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RASSEGNA STAMPA OTTOBRE 2023
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PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI OTTOBRE: INCONTRO ANNUALE GESTORI DI RIFUGIO DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE ............................................. 3 IL CORSO PER AMMINISTRATORI DELLE DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE ................................................. 3 OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI ...................................................................................................................... 4 PISTA DA BOB: GLI AGGIORNAMENTI ............................................................................................................... 6 TRENO DELLE DOLOMITI: GLI AGGIORNAMENTI............................................................................................. 14 GRANDE GUERRA: UN MUSEO IN TOFANA ..................................................................................................... 15 COMUNICAZIONE E SOCIAL: ‘GIU’ DALLA VETTA DEL CRISTALLO IN MTB’ ................................................... 15 LA RICHIESTA DI TUTELA PER IL SASSOLUNGO............................................................................................. 16 LEGGIOMONTAGNA 2023 ................................................................................................................................. 17 OLTRE LE VETTE 2023 ..................................................................................................................................... 18 GESTIONE DEI FLUSSI ..................................................................................................................................... 18 ANNIVERSARIO VAJONT .................................................................................................................................. 22 DIGA DEL VANOI .............................................................................................................................................. 23 GLI EFFETTI DELLA CRISI CIMATICA SULLE DOLOMITI................................................................................... 25 MARMOLADA: GLI AGGIORNAMENTI ............................................................................................................... 29 PELMO: UNA NUOVA COLATA DETRICA .......................................................................................................... 30 TRE CIME DI LAVAREDO: LA GESTIONE DEGLI ACCESSI ............................................................................... 31 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 32 RIFUGI SANI E SICURI: IL PROGETTO DI AGRAV E ULSS ................................................................................ 35 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 36 NOTIZIE DALLE ASSOCIAZIONI ALPINISTICHE ................................................................................................ 37 INTERVISTE ED EDITORIALI ............................................................................................................................. 38
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INCONTRO ANNUALE GESTORI DI RIFUGIO DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE La Usc di Ladins | 6 ottobre 2023 p. 18
IL CORSO PER AMMINISTRATORI DELLE DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE Corriere delle Alpi | 15 ottobre 2023 p. 15 Amministratori a confronto sulla capacità di adattamento L'Unesco Ma quando si comincerà a parlare di adattamenti ai cambiamenti climatici? Quando cominceranno ad implementarsi quelle misure ipotizzate in convegni organizzati a Belluno dal Corriere delle Alpi e da Confindustria Dolomiti? La Fondazione Dolomiti Unesco che ha partecipato a questi appuntamenti ha organizzato per fine novembre un raduno di amministratori del territorio, che si terrà nel vicino Primiero, per verificare in che modo i territori si stanno attrezzando. «Come Fondazione stiamo lavorando sul monitoraggio di ciò che avviene sulle Dolomiti dal punto di vista del cambiamento climatico, perché questo comporta trasformazione del paesaggio e trasformazione della frequentazione», anticipa la direttrice Mara Nemela. «L'importante per noi è lavorare di concerto con tutti gli enti territoriali, e mantenere alta l'attenzione su queste tematiche nell'ottica del futuro». Fino a che punto, dunque, è saggio spingere sulla destagionalizzazione? Solo fra due settimane chiuderanno definitivamente alberghi e impianti di risalita, almeno quelli rimasti aperti dopo settembre. «Dobbiamo stare molto attenti perché da un lato siamo molto contenti se i flussi turistici del picco agostano si distribuiscono in un periodo più ampio, ma al tempo stesso dobbiamo evitare che questi siano occasione di ulteriore intensificazione della frequentazione su nuovi luoghi, su un territorio esteso. La destagionalizzazione va bene se ci aiuta a mantenere numeri più contenuti rispetto ai picchi dell'agostano». Oltretutto, secondo Nemela, non si può parlare di montagna al singolare. «Dobbiamo parlare di Dolomiti in maniera plurale perché tanti sono i territori e purtroppo non c'è una ricetta unica perché ci sono situazioni diversificate anche turisticamente parlando».
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Le Alte Vie 1 e 2 sono iperfrequentate, le altre no. La Strada delle Tre Cime resterà aperta ad oltranza, anche se i rifugi sono chiusi. In sede Dolomiti Unesco verranno suggeriti dei limiti? «Non voglio entrare nei casi specifici. Credo che quello che noi promuoviamo sono proprio incontri di confronto anche tra amministratori che magari appartengono a territori diversi per cercare e trovare insieme soluzioni a problemi complessi», conclude la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco. — fdm L’Adige | 28 ottobre 2023 p. 32
Dolomiti Patrimonio Unesco: come gestirle PRIMIERO Sarà Primiero a ospitare, i prossimi 24 e 25 novembre, gli amministratori locali dei Comuni, delle Unioni montane e delle Comunità di valle per il corso sul ruolo delle amministrazioni ne la gestione delle Dolomiti Patrimonio Mondiale dell'Umanità. La due giorni, che vedrà la partecipazione del Segretario generale della Commissione nazionale italiana per l'Unesco Enrico Vicenti, è alla sua seconda edizione, ed è organizzata sul territorio trentino dalla Fondazione Dolomiti Unesco grazie alla collaborazione del Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino e della locale Azienda di promozione turistica. I corsisti avranno modo di approfondire la conoscenza dei valori che hanno determinato il riconoscimento Unesco e di discutere sulla consapevolezza e sulle responsabilità connesse, anche alla luce dall'adattamento imposto dagli effetti della crisi climatica. Sull'argomento, gli esperti saranno Roberto Barbiero, fisico, climatologo e divulgatore scientifico della Provincia autonoma di Trento, Antonio Furlanetto, docente universitario, e Rocco Scolozzi, che, oltre a docente universitario è facilitatore di innovazioni sociali. Tra gli altri relatori del percorso formativo, interverranno Gianluca Cepollaro, di Tsm Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti, Carlo Francini, coordinatore scientifico dell'associazione Beni italiani patrimonio mondiale, Piero Gianolla, del comitato scientifico della Fondazione Dolomiti e Valerio Zanotti, presidente del Parco. Lo scopo è fornire agli amministratori conoscenze e chiavi di lettura per contribuire alla conservazione delle Dolomiti e individuare strategie di sviluppo locale che tengano conto della molteplicità di valori che caratterizzano un sito Unesco. M.C.
OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI Corriere delle Alpi | 19 ottobre 2023 p. 28 Villaggio a Fiames, ora serve davvero? «Con soli 800 atleti bastano gli hotel» CORTINA "Tutto sbagliato, tutto da rifare" , come diceva Bartali? In effetti, con un villaggio olimpico da 800 posti, anziché da 1300, non vale la pena fare come Bormio e Livigno, ospitando gli atleti negli alberghi? Non si butterebbero 39 milioni, per villette in legno removibili a Fiames. «Gli albergatori di Cortina, a determinate condizioni, sarebbero pronti a fare la loro parte», anticipa il loro presidente, Stefano Pirro, «per la verità abbiamo già dato, mettendo a disposizione 3 mila posti letto, chi pari al 60 e chi all'80% della propria ricettività. Ma, grazie anche alle ristrutturazioni in corso, e ad una maggiore quota di camere, recuperare 800 posti letto non sarebbe utopia. Certo è che nessuno ancora ci ha parlato nemmeno per i 3.000 concordati...».
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E', quello del villaggio, un altro punto da chiarire. Le condizioni che il presidente Pirro chiede di verificare sono quelle dei prezzi da concordare, come pure della sicurezza; perché non tutti gli ambienti sono in grado di accogliere interi team, con relativi apparati di protezione. «Certo è che se diciamo di no a Cesana, per un investimento di 40 milioni, che viene "buttato" subito dopo i Giochi; se lor signori hanno detto di no ad un'analoga cifra per la pista di bob, che invece sarebbe rimasta, ha un senso dire di sì a uno spreco da 39 milioni quale appunto sarà il villaggio di Fiames», si chiede Pirro. « Lo ha», interviene l'ex sindaco, Giampietro Ghedina, «se il villaggio resterà di 1300 posti portando a Cortina nuove discipline, come è nel nostro diritto». Quale diritto? «È stata Cortina la prima ad annunciare la candidatura. Si è aggiunta Milano. Abbiamo trattato e ci siamo allora così suddivisi: 50 medaglie della neve all'area dolomitica, altrettante, quelle per il ghiaccio, a Milano», ricorda Ghedina, «bene fa il presidente Luca Zaia a voler rivedere la distribuzione delle gare. Il Comune e la Regione pretendano tutto lo sci alpino, maschile e femminile, oltre allo sci alpinismo. Cortina e il Veneto, su questo, devono battere i pugni, ma facendolo subito». E, a questo riguardo, anche il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ricorda che «Milano-Cortina è un'associazione che abbiamo fatto con un'equa divisione delle discipline. Tante cose sono cambiate, è corretto che si punti a un riequilibrio visto che le Olimpiadi le facciamo in due e non c'è solo la Lombardia. Non serve litigare, è un fatto di buon senso. Non si può pensare che le Olimpiadi a Cortina si facciano solo con due discipline, curling e alpino femminile: ci vogliono compensazioni». Quanto, poi, all'ipotesi di una mancata realizzazione del villaggio olimpico Zaia aggiunge: «Non è ancora dato sapere: Cortina è città olimpica, sarà sede di gare olimpiche, cercheremo di capire cosa accadrà. A Losanna nel dossier Cortina era prevista la centralità del bob e di una serie di discipline. Si tratta di redistribuire le discipline: da questo dipende la sorte del villaggio». — francesco dal mas Corriere delle Alpi | 24 ottobre 2023 p. 27 «Ritardi? La colpa è di altri» Malagò respinge le critiche la polemica Un altro duro attacco di Giovanni Malagò per i ritardi nell'iter per la pista di bob. «Il Veneto è stato penalizzato da chi aveva onori e oneri di realizzare l'opera, ossia un'organizzazione del Governo, e di conseguenza tutto può fare che non prendersela con lo sport», ha dichiarato ieri. Di fatto Malagò invita il presidente Zaia ed eventualmente il sindaco Lorenzi a prendersela con il Governo o più precisamente con Simico. Dagli ambienti vicini al commissario Luigivalerio Sant'Andrea si continua a ripetere, in questi giorni, che in 11 mesi la società ha recuperato i ritardi accumulati da altri in 3 anni. Ricordate quando la Regione stessa si rendeva disponibile ad investire 30 milioni di euro, salvo poi riuscire a porre l'intero onere a carico dello Stato? Ed era la notte tra il 20 ed il 21 dicembre 2021 quando nel dibattito parlamentare sulla Manovra 2022 il costo della pista veniva indicato in 61 milioni. Più la gestione successiva, 400/500 mila euro l'anno per 20 anni. L'allora il ministro Daniele Franco autorizzava un emendamento che prevedeva la copertura di una parte delle spese di realizzazione. «La somma sarà finanziata da fondi dello Stato per circa 60 milioni, in attesa di ulteriori fondi della Regione (5 milioni? ndr ) e con un contributo del Comune e della Provincia», specificava il presidente regionale Zaia, illustrando il progetto insieme a Ivo Ferriani, presidente della Federazione internazionale di bob e skeleton. Passavano poche settimane e nel febbraio 2022 si veniva a scoprire che degli 81 milioni per le Olimpiadi, 61 sarebbero andati alla variante della Statale 12 dell'Albettone e del Brennero. La notizia fece balzare sulla poltrona l'allora ministro Federico D'Incà che chiese conto alla vice presidente del Veneto, la veronese Elisa De Berti. Che a sua volta replicò: «Considero offensive le dichiarazioni del ministro D'Incà, che vuole insinuare un legame tra l'attribuzione di 61 milioni per la Statale 12 e la mia provenienza geografica». Costi da una parte e legacy dall'altra. Un dibattito perfino surreale. La riqualificata pista Eugenio Monti sarà utilizzata – si assicurò – per le attività federali delle tre specialità. Anzitutto per gli allenamenti. Poi le gare, che portano indotto. Ferriani già assicurava la Coppa del mondo 2027 e, se Cortina avanza la candidatura, anche i Mondiali 2028. «E poi il taxi bob», era l'idea di Zaia, «sia d'inverno che d'estate». Già all'epoca, intanto, la pista veniva privata del parco giochi. Dba Group aveva riscontrato, nella sua consulenza, che il parco era superfluo, anzi costoso. «Quindi», diceva Zaia, «l'abbiamo tolto. E, pertanto, il Golf club avrà ancora più spazio». Quanto ai tempi, i ritardi erano già chiari. «Ma c'è margine per concludere i lavori entro fine 2024», assicurava Ferriani, «per questo ci metto la faccia». Abbiamo visto. E ieri, ancora con Malagò. «Da tempo avevo lanciato l'allarme sui ritardi, in tutti i modi possibili e immaginabili, esiste un intero dossier con le tutte le cose che ho detto. Poi quando qualcuno ti dice "vedrai che tu tutto andrà a posto" ci conti, ma non mi sembra sia andata così». —
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Corriere del Veneto | 29 ottobre 2023 p. 5, edizione Treviso-Belluno Giochi, un altro no allo sci alpinismo E sul villaggio torna l’ipotesi di Borca VENEZIA Adesso che le speranze per lo Sliding Centre a Cortina sono tramontate, anche nella fantasiosa versione light, ormai è chiaro che la partita delle Olimpiadi 2026, per il Veneto e per Luca Zaia, si gioca tutta intorno alle compensazioni da ottenere dopo l’addio alle gare del bob. Da un lato ci sarebbero quelle sportive, con l’idea del trasferimento a Cortina delle competizioni di sci alpinismo; dall’altra ci sono quelle infrastrutturali, con il ritorno, per certi versi clamoroso, dell’ipotesi villaggio olimpico a Borca di Cadore. La partita sulle gare continua a presentarsi difficile, com’è evidente dalle parole del governatore lombardo, Attilio Fontana. «Non vedo perché - ribadisce - la redistribuzione degli eventi sportivi si debba giocare sulla nostra pelle. Le Olimpiadi 2026 sono state costruite intorno a due cluster , la Lombardia e l’area delle Dolomiti. Se andate a vedere la suddivisione delle gare secondo questo schema, vedrete che la nostra regione non è affatto privilegiata. E se poi molte competizioni dell’area Dolomitica sono finite in Trentino Alto Adige e non in Veneto, non è stata mica una nostra scelta. In Lombardia ci sono in ballo 500 milioni di investimenti legati ai Giochi, e certe gare, come il pattinaggio di velocità, ce le siamo dovute prendere perché altrove non si riusciva ad ospitarle». L’ipotesi di compromesso sullo sci alpinismo? Fontana non si smuove: «È stato destinato a Bormio proprio come forma di compensazione sulle paralimpiadi che si disputeranno per la quasi totalità in Veneto e in Trentino». Altro che «restituzione» a Zaia. Su queste basi, si rischia la paralisi decisionale, il voto dei territori nel cda della Fondazione organizzatrice deve essere unanime. «E allora - riprende Fontana - non le facciamo più le Olimpiadi? Aspettiamo a quali conclusioni arriverà il governo sulla pista da bob, visto che c’è una valutazione in corso, e poi parleremo con tutti. Ma, al momento, la nostra risposta sullo sci alpinismo è no». Forse ci si può attaccare alla locuzione avverbiale, «al momento», per mantenere una speranza di accordo. In ogni caso, il centro di gravità continua ad essere la pista da bob. Come ha riportato Marco Bonarrigo ieri sul Corriere , il Comitato olimpico internazionale appare orientato a sostenere la scelta su St. Moritz. Opzione che si gioca anche sullo strano asse lombardosvizzero: lo scambio avverrebbe intorno alla candidatura della stessa St. Moritz per i Giochi 2030, auspicata dal Cio in cerca di offerenti che ora scarseggiano. Le eventuali discipline del ghiaccio di quelle Olimpiadi potrebbero essere ospitate dagli stessi luoghi del 2026, cioé Milano. Da qui le aperte dichiarazioni del sindaco Beppe Sala proprio a favore del trasloco verso il budello di ghiaccio naturale nella famosa stazione invernale svizzera. L’altra sorpresa delle ultime ore è appunto l’idea che il Veneto possa essere ricompensato con finanziamenti per le strutture alberghiere in disuso nell’area cortinese, leggi l’ex villaggio Eni a Borca di Cadore. Zaia per ora non ha ricevuto alcuna proposta in questo senso. Certo è che ne sarebbero ben contente le istituzioni bellunesi, a cominciare dal presidente della Provincia, Roberto Padrin. Bortolo Sala, sindaco di Borca, ne sarebbe ovviamente felice: «La ristrutturazione dell’ex colonia Eni lascerebbe una vera eredità al territorio. Dopo le Olimpiadi, la struttura potrebbe ospitare un Centro studi sulla montagna, e abbiamo già registrato l’interesse di alcune università. Potremmo pensare a forme di social housing, perfino ad alloggi da mettere a disposizione dei medici che si vogliono trasferire nei nostri territori, sapete che abbiamo il problema di doverli attrarre perché mancano». Borca è però di proprietà privata, l’ex colonia da 800 posti letto (circa) fa capo alla società Minoter Cualbu. «Ma - replica il sindaco - mi risulta che sarebbe disposta a un accordo veloce per cedere la struttura. E l’operazione non sarebbe costosissima. Come ha peraltro valutato Confindustria Belluno, siamo intorno ai 30 milioni contro i 36 necessari per il villaggio a Fiames». Il tempo stringe, non sarà certo facile cambiare idea per l’ennesima volta. Anche perché Simico, la società ministeriale che gestisce le opere di Milano Cortina 2026, ha già prodotto a suo tempo 60 pagine di analisi tecnica con le quali ha bocciato senza appello il villaggio olimpico a Borca, luogo con una morfologia e condizioni logistiche - questa era stata la conclusione - inadatte ad ospitare gli atleti dei Giochi.
PISTA DA BOB: GLI AGGIORNAMENTI Corriere delle Alpi | 1 ottobre 2023 p. 26 Pista da bob, impiantisti compatti: «Non esiste un piano B che tenga» Cortina I Mondiali di sci, nel 2021, hanno fatto riconoscere Cortina in tutto il mondo. «Non possiamo rinunciare al progetto olimpico, così come immaginato, se vogliamo ulteriormente crescere», afferma Marco Zardini, autorevole presidente del Cortina Skiworld, Consorzio impianti a fune di Cortina, San Vito, Auronzo, Misurina, «gli americani, i sud coreani, gli altri stranieri che anche in queste ore affollano, per l'80%, i nostri alberghi ed impianti, li avremmo avuti ad inizio ottobre senza le Olimpiadi? Immagino che nessun ampezzano», prosegue, «voglia la decrescita felice, anzi infelice».
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La prossima settimana sarà decisiva, più per il Governo che per la Fondazione Milano-Cortina o Simico, per decidere sulla pista di bob: aumentare il budget di 20 milioni, dagli 81,6 del bando, e quindi riaprendo la gara; o virare su una possibile alternativa. Che oggi appare più Sankt Moritz che Innsbruck. La scelta è esclusivamente politica, anzi governativa. Ma da Cortina si chiede a Roma, piuttosto che a Venezia, di non tradire le attese. Che vanno ben oltre il bob, ma – come sostiene Zardini – verso il consolidamento anzitutto dei servizi alle diverse attività, quindi allo sviluppo di Cortina. A cominciare dalla rigenerazione dell'ospedale. «Noi impiantisti crediamo nelle istituzioni che abbiamo visto lavorare con grande serietà in questi anni. Ci auguriamo che possano continuare a farlo, per arrivare a definire la soluzione per assolvere all'impegno che Cortina con il Veneto e Milano con la Regione Lombardia hanno assunto nei confronti del mondo dello sport olimpico», afferma Zardini, «per conto di tutto il comprensorio, fino, quindi, anche ad Auronzo. Abbiamo piena fiducia nell'operato del Governo, del Coni, della Regione, della Fondazione Milano Cortina, di Simico del suo AD Luigi Valerio Sant'Andrea e del Comune di Cortina. Crediamo che realizzare delle opere infrastrutturali sia sempre una grande occasione». Zardini rimanda all'esperienza del 2021: con le opere realizzate per i Mondiali, si è registrata una sostanziale ricaduta positiva sull'economia locale e sulla montagna veneta, innescando un processo economico e sociale virtuoso. Nessuno tradisca, quindi, è il forte appello. «Nessuno», il suo è quasi un monito. «È in atto, infatti, un trend positivo nell'economia turistica invernale ed estiva e, parallelamente, si registra un rinnovato interesse da parte di investitori, che sono tornati a guardare alla montagna con rinnovata fiducia e come ad un laboratorio di progettualità non solo in ambito strettamente turistico, ma anche sociale e sanitario, per cui», conclude il presidente, «grandi eventi, opere e infrastrutture non sono sempre sinonimo di non sostenibilità». Ma, queste opere, puntualmente compatibili – conclude Zardini – «sono state e sono indispensabili per attivare meccanismi di rigenerazione, innovazione e sviluppo, con ricadute positive sull'intera macro-regione alpina non solo veneta». In questi giorni, tanti operatori di Cortina hanno l'impressione, anche se lo ammettono a denti stretti, di essere lasciati soli. Anzi, l'impressione è che qualcuno volti loro le spalle, rispetto agli impegni assunti nel passato. «Non può accadere», conclude Zardini. — Francesco Dal Mas Corriere delle Alpi | 3 ottobre 2023 p. 26 Pista da bob, due giorni per decidere Sul piatto spuntano altri 20-30 milioni CORTINA Valutate (e subito scartate) le ipotesi delle piste straniere; semaforo rosso anche per quella di Cesana, soprattutto per i costi eccessivi. Ciò premesso, il Governo decide di tornare su Cortina per bob, skeleton e slittino olimpici. «Ci diamo 48 ore per decidere», ha dichiarato a Torino il ministro per lo Sport, Andrea Abodi, «la priorità fino all'ultimo è quella di mantenere l'impegno sul dossier olimpico. Dovesse andare male, ci sono possibilità anche in altre zone d'Italia. Le opzioni straniere non sono certamente le prime scelte». La precisazione arriva con riferimento indiretto a Cesana, dopo che il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, vi aveva fatto cenno. «Acquisiremo tutte le informazioni e i dati utili che serviranno a chi dovrà prendere una decisione, perché noi diamo degli indirizzi politici ma poi la decisione è tecnica: c'è una società che si chiama Simico che dovrà fare le sue valutazioni. Non abbiamo un piano B, ma vogliamo il rispetto del contratto con il Cio; e per questo obiettivo lavoreremo». Cirio, si diceva. «Abbiamo stime di spesa sulla messa in sicurezza dell'impianto di Cesana che vanno dai 20 ai 30 milioni, molto inferiori a quelle che fanno altrove», ha tenuto a chiarire il presidente. Salvo essere poi smentito dalla parlamentare veneta dei Verdi, Luana Zanella, che raddoppia la cifra a 60. Quei 20-30 milioni sono la cifra, guarda caso, di cui si sta discutendo in queste ore come integrazione del budget da 81,6 per l'impianto di Cortina. La "decisione" politica di cui dice Abodi potrebbe essere quella di autorizzare Simico a fare una nuova gara – magari contenendo i tempi in due settimane – con una disponibilità da 100/110 milioni, magari rinviando ad altra data il terzo stralcio, quello monumentale. Il presidente Luca Zaia, anche lui a Torino (per il festival delle Regioni) ritorna sulle posizioni di un tempo e precisa che «l'elemento centrale del dossier è il bob, che rese famosa Cortina nel mondo. Bocconi, Sapienza, Ca'Foscari ci dicono che avremo un incremento di un miliardo e mezzo di Pil, tre miliardi e mezzo di cittadini del mondo che vedranno le nostre olimpiadi, che trascinano con sé in maniera virtuosa molte altre opere». E quindi? Avanti con Cortina, dice Zaia. Ed essendo in casa del collega Cirio, aggiunge: «Non so quanto sia recuperabile Cesana; perché qua sono tutti esperti di bob, ma alla fine si parla di opere complicate e di piste che devono essere certificate dal Cio. Dopodiché, se dovessi parlare dell'orientamento di Cesana, che è a sud, o del sistema di raffreddamento, che è ad ammoniaca, mi pare che ci siano ancora un sacco di...». Problemi o questioni irrisolte e da gestire, avrebbe probabilmente chiuso Zaia. — francesco dal mas
Corriere delle Alpi | 3 ottobre 2023 p. 26
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Malagò: «Se bisogna investire meglio farlo su impianti nuovi» la posizione «Vorrei ricordare che abbiamo vinto presentando una candidatura con un dossier in cui abbiamo scritto che il bob, lo skeleton e lo slittino erano previsti a Cortina». Per Giovanni Malgò, presidente del Coni, componente del Cio e presidente pure della Fondazione Milano Cortina, non ci sono dubbi. Un impianto nuovo sarebbe meglio di un impianto da riqualificare, afferma a margine dell'avvio del cantiere per il villaggio olimpico di Milano. «Non posso dire tanto di più», dichiara ai giornalisti che insistono per sapere se il bob a Cortina resta oppure no, «perché è chi deve realizzare l'opera che deve dire sì a noi che, a quel punto, come comitato organizzatore recepiamo». Ma ecco che Malagò manifesta dubbi sulla convenienza di riammodernare impianti esistenti. «Certo, ridurrebbe costi e tempi. Però c'è un problema: se c'è un impianto esistente tu lo devi riammodernare e anche adattare alle nuove esigenze; il che implica che devi spendere molti altri soldi che oggettivamente non ci sono in Italia». Dopo di che «c'è un problema di diritti, di sponsor, di sicurezza di villaggio olimpico; tutto questo è spesa corrente, mentre il resto almeno è un investimento sull'attività», precisa. Ad ogni modo, «siamo ancora fiduciosi che nel giro di qualche giorno si possano rispettare gli impegni che abbiamo preso». Quando parla, Malagò non sa ancora che il ministro Abodi avrebbe dettato più tardi il cronoprogramma dell'attesa: 48 ore. «Aspettiamo risposte con grandissima urgenza», si limita ad aggiungere, «soluzioni alternative? Aspettiamo che nel giro di qualche giorno vengano rispettati gli impegni presi. Se non ci sarà la pista, allora dovremo capire quale potrebbe essere l'alternativa. Io magari in testa ce l'ho, però», dice ai giornalisti, «dovete avere rispetto: perché siamo ancora fiduciosi che nel giro di qualche giorno saranno rispettati gli impegni presi. Verrà il giorno in cui qualcuno ci darà le chiavi di questo impianto: noi entriamo e faremo il nostro mestiere. Che non è quello di costruirlo». — f.d.m.
Corriere delle Alpi | 4 ottobre 2023 p. 28 Pista da bob, si decide Simico attende il via per un terzo tentativo con maggiori risorse CORTINA Le 48 ore del ministro Andrea Abodi «per la decisione politica» sulla pista di bob, skeleton e slittino, scadono oggi. E ieri, infatti, nessun protagonista diretto della governance olimpica ha parlato, segno che la decisione non è affatto semplice. I rumors, arrivati fino in corso Italia a Cortina, anticipano che probabilmente verrà autorizzato un supplemento di budget (dai 20 ai 30 milioni, oltre agli 81,6 delle due gare andate deserte) e che Simico sarà invitata a procedere con il terzo bando, da farsi con modalità semplificate. Non resta che attendere. «Incrocio le dita, ma non ho ricevuto nessuna informazione», precisa il sindaco Gianluca Lorenzi che dice di aver letto con interesse, ma soprattutto con preoccupazione, quanto ha dichiarato il presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti. Il passaggio meno rassicurante? Eccolo: "Non realizzare la pista da bob a Cortina significherebbe limitare la partecipazione olimpica veneta a un paio di gare di sci alpino e di curling, indubbiamente importanti ed emozionanti, ma con impatto e ritorno analogo a quello di una normale gara di Coppa del mondo di sci, demotivando ogni altro investimento infrastrutturale pensato per l'evento». Gli investimenti diretti e indiretti a Cortina e in provincia di Belluno ammontano a un miliardo e mezzo di euro. Senza la nuova pista da bob «quella di Cortina non sarebbe una edizione dimezzata ma quasi azzerata. I danni sarebbero impressionanti», avverte Ciambetti. I danni, «oltre alla perdita di credibilità e alla figuraccia fatta, alla fine rischiano di essere veramente pesanti e viene da chiedersi a chi giovi veramente il "no" alla pista da bob», sintetizza il presidente del Consiglio. E, tanto per dare una idea di cosa ci sia in ballo, Ciambetti ricorda che, secondo l'Università Bocconi, con l'Olimpiade invernale del 2026 a Milano e Cortina, il giro d'affari complessivo dei 17 giorni di manifestazione dovrebbe attestarsi attorno a 4,2 miliardi, di cui almeno 1,2 tra Veneto e Trentino: per ogni euro speso potrebbero esserci ricavi pari a 2,7 euro. Ma oggi in Senato, dunque a Roma, per iniziativa dem. M5S, Luigi Casanova, Adriana Giuliobello, Giovanna Ceiner, Marina menardi, Rosaria Calabria Fanucci e Gianluca Felicetti, in rappresentanza di Comitati ed associazioni ambientaliste, sosterranno l'esatto opposto. Saranno supportati dall'ex ministro Stefano Patuanelli e dai parlamentari Elena Sironi, Elisa Pirro, Enrico Cappelletti, Aurora Florida. «La nostra contrarietà su quest'opera, altamente impattante su ambiente e conti pubblici, è ormai cosa nota», ha anticipato Florida, «il mistero sono i motivi per i quali il ministro dello Sport continua a temporeggiare: Abodi venga in aula a riferire sui nuovi sviluppi». Intanto la consigliera regionale dei Verdi in Veneto, Cristina Guarda, torna alla carica per dire che l'unica scelta da fare è decidere di portare la gare a Innsbruck. Dopo che il Comitato olimpico internazionale lo ha sconsigliato, «continuiamo a sostenere che il costo opportunità per un contributo di fondi pubblici così i mportante non sia favorevole e rischi realmente di pesare sulle future generazioni», afferma, « e la nostra ferma raccomandazione è non intraprendere alcun lavoro sulla pista da bob di Cortina. E questo soprattutto dopo che la Camera ha detto che vanno cercate alternative e dopo che sono scesi in piazza centinaia di cittadini ampezzani, veneti e non solo». Secondo Guarda è «inaccettabile che un presidente di Regione scelga di insistere nello sperpero di 124 milioni di fondi pubblici, per costruire un'opera impossibile da mantenere visti i costi di manutenzione attualmente stimati attorno i 500.000 euro all'anno». — Francesco Dal Mas
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Corriere delle Alpi | 05 ottobre 2023 p.37 Pista da bob, Abodi fa tremare Cortina «Sette giorni per valutare tutte le opzioni» CORTINA Cortina Trema. Il sindaco Gianluca Lorenzi, il presidente degli albergatori Stefano Pirro, la Fondazione Cortina: insomma tutti quelli che avevano tifato per la nuova pista di bob, skeleton e slittino. Entro ieri sera, alla scadenza cioè delle 48 ore indicate due giorni fa, il ministro Andrea Abodi avrebbe dovuto prendere una decisione. O, meglio, annunciare la decisione "politica" del governo per la location: Cortina, s'invocava in corso Italia, forti dei rumors da Milano e soprattutto da Roma. Le alternative (da Innsbruck a Sankt Moritz, passando addirittura per Pechino) venivano tutte scartate. Compresa Cesana, già sede delle Olimpiadi 2006. E invece niente. Il ministro non ha parlato nello specifico e Cesana resta in campo. Lo ha fatto capire lo stesso Abodi, riportando in fibrillazione i suoi amici di Cortina. «La pista da bob sta facendo parlare molto? Sì, anche se non c'è ancora. La nostra decisione, qualunque essa sarà», ha dichiarato ieri, «dovrà essere compresa, condivisa; e rispettata se non condivisa. La decisione è da prendere in una settimana e valutiamo anche l'opzione Torino perché scartarla a priori sarebbe mancare l'impegno assunto nei confronti del Parlamento». A margine dell'evento "Sky 20 anni" alle Terme di Diocleziano, a Roma, Abodi ha preso altro tempo. «Nell'arco di qualche giorno daremo informazioni e prenderemo una decisione grazie alle informazioni che abbiamo ricevuto da tutti i soggetti. Stanno arrivando anche proposte da Innsbruck e Sankt Moritz, mentre quelle di Cortina le abbiamo già. Abbiamo anche le valutazioni di impatto ambientale e con la giusta trasparenza spiegheremo poi la decisione, che non sarà solo nostra perché noi diamo un indirizzo politico mentre poi la decisione sarà tecnica», ha proseguito il ministro; che ha poi sottolineato come «quando abbiamo sottoscritto il contratto con il Cio, e questo è successo anni fa quando questo Governo non c'era, ci eravamo impegnati a riqualificare la pista da bob di Cortina. Adesso ci siamo impegnati, anche a livello di Governo, a valutare tutte le opzioni». «Ma come?», è stata la prima reazione, a calco, del sindaco ampezzano Lorenzi, quasi interdetto. Che poi però si cuce la bocca. Di tutt'altro segno la reazione della parlamentare Luana Zanella (Alleanza Verdi Sinistra). «È apprezzabile che il ministro Abodi ricordi l'impegno assunto nei confronti del Parlamento, che ha approvato all'unanimità un nostro ordine del giorno sulle alternative alla pista da bob per Cortina 2026. A questo punto, superata la sciagurata proposta iniziale, ogni decisione dovrà rispettare i criteri di trasparenza e di compatibilità ambientale e finanziaria». Le Olimpiadi? Non ci sono dubbi per il M5S e gli ambientalisti che hanno portato in Senato il loro no alla pista. «Sono un harakiri economico», hanno spiegato dati alla mano. Elena Sironi, promotrice della conferenza stampa di ieri, Elisa Pirro e Enrico Cappelletti hanno sostenuto che le Olimpiadi sono nate sotto la buona stella della sostenibilità economica, sociale ed ambientale, ma ora «si stanno arrot ando su stesse». Ecco perché ieri (insieme ad Aurora Floridia di Avs) hanno ribadito la necessità che il governo si adoperi immediatamente per un piano B, e che magari intavoli già da subito un dialogo con l'Austria per la soluzione Innsbruck. O, in alternativa, per altre opzioni. «Dal canto nostro, continueremo a dare il massimo supporto alle associazioni e ai comitati del territorio. Spendere 124 milioni per questo budello del ghiaccio è fuori da ogni logica». E per Floridia, «è surreale il silenzio assordante del ministro Abodi, visto che le 48 ore che si era preso per comunicare la decisione della cabina di regia sono scadute senza risultati». — francesco dal mas Corriere del Veneto | 05 ottobre 2023 p.9, edizione Treviso e Belluno Pista da bob, spunta l’ipotesi Torino «È un’opzione per le Olimpiadi» Ugo Cennamo venezia «Oggi ridiamo vita a un cadavere eccellente che diventerà l’icona dei giochi olimpici e paralimpici di Milano Cortina 2026». Così parlò il governatore Zaia il 21 dicembre 2021 a proposito della vecchia pista Eugenio Monti nella Conca ampezzana. Ieri è stato il ministro per lo Sport Andrea Abodi a riesumare invece la pista di Cesana Pariol, un impianto che oggi versa in condizioni disastrose, tant’è che nel 2016 fra le varie ipotesi di riutilizzo dell’area, oltre a quella di realizzare il primo impianto sciistico d’Italia coperto, si pensò di demolire tutto, sgomberare le macerie e rimettere i larici abbattuti dalle ruspe. Il costo complessivo della infrastruttura realizzata per le Olimpiadi di Torino del 2006 è stato pari a centodieci milioni di euro (contro i sessanta preventivati nel ‘98), più due milioni di euro di costi di manutenzione annui fino al 2012, quando si decise la chiusura dell’impianto. «La nostra decisione sulla pista dei Giochi 2026 - ha precisato ieri il ministro - dovrà essere compresa, condivisa e rispettata se non condivisa. Sarà da prendere in una settimana e valutiamo anche l’opzione Torino perché scartarla a priori sarebbe mancare l’impegno assunto nei confronti del Parlamento». Parole pronunciate a margine dell’evento «Sky 20 anni» che si è tenuto a Roma. Le reazioni
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non si sono fatte attendere. Esultano gli ambientalisti, che avevano fatto passare alla Camera all’unanimità, con il voto favorevole della Lega, l’ordine del giorno che prevede la valutazione di altre soluzioni oltre a Cortina. Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, firmataria insieme ad Angelo Bonelli dell’odg in questione, afferma: «È apprezzabile che il ministro Abodi ricordi l’impegno assunto nei confronti del Parlamento circa le alternative alla pista da bob per Cortina 2026. A questo punto, superata la sciagurata proposta iniziale, ogni decisione dovrà rispettare i criteri di trasparenza e di compatibilità ambientale e finanziaria». La sensazione è che tutti abbiano qualcosa da perderci e di questo passo non si sa come finirà. In Piemonte il sindaco interessato non aveva fatto salti di gioia davanti all’idea che le prove olimpiche di bob e slittino si svolgano a casa sua: «Se ci viene richiesto dalle istituzioni - aveva dichiarato nei giorni scorsi Roberto Vaglio, primo cittadino di Cesana - noi riapriremo il nostro impianto, non abbiamo nessun problema a metterci a disposizione. Ma sia chiaro: dovranno garantire, terminato l’evento, la demolizione dell’impianto. I Comuni non possono farsi carico dei costi del post olimpico». Da qui, la richiesta: «Conclusi i giochi si metta Cesana nelle condizioni di realizzare l’impianto di Skydome, l’impianto di sci al coperto, sul quale abbiamo degli studi che smentiscono l’ipotesi di una struttura energivora». Abodi comunque non ha dato un’indicazione chiara e non ha escluso le altre ipotesi: «Nell’arco di qualche giorno prenderemo una decisione grazie alle informazioni che abbiamo ricevuto da tutti i soggetti. Stanno arrivando anche proposte da Innsbruck e St. Moritz, mentre quelle di Cortina ce le abbiamo già. Abbiamo anche le valutazioni di impatto ambientale e con la giusta trasparenza poi spiegheremo la decisione che non è solo nostra perché noi diamo un indirizzo politico, ma poi c’è un’indicazione tecnica». Per settimane si è attesa un’ufficializzazione dell’impresa che si farebbe carico dei lavori per Cortina, ma le 48 ore per comunicare una decisione in merito, di cui aveva parlato lo stesso ministro Abodi, sono abbondantemente scadute. E ieri sostituite da una nuova promessa di pronunciamento «entro una settimana». La partita per salvare in extremis la scelta su Cortina pare si giochi sullo stralcio del museo e di altre opere accessorie, diminuendo costi e tempi di realizzazione e convincendo così una delle due imprese interpellate, Pizzarotti o Webuild, ad accollarsi i lavori. Ma i giorni passano e il cronoprogramma per la realizzazione dell’opera in Veneto pare sempre più una corsa a ostacoli. E i buoni rapporti fra il governatore del Piemonte Alberto Cirio e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini potrebbero far pendere la bilancia verso le Alpi occidentali. Corriere delle Alpi | 6 ottobre 2023 p. 37 Pista bob a Cortina: il ministro riapre E Harvard certifica «Unica sostenibile» CORTINA Dun que, Cortina o Cesana? Il ministro dello sport Andrea Abodi ha chiarito ieri il suo pensiero, rimettendo in gioco la location di Cortina per la pista di bob, slittino e skeleton. L'altro ieri, infatti, aveva rilasciato una dichiarazione che ai piedi delle Tofane era stata interpretata come un'apertura all'ex impianto Torinese, costato nel 2006 ben 110 milioni di euro. Ieri lo stesso Abodi la precisato che, siccome non si devono costruire altre cattedrali nel deserto, gli impianti vanno realizzati là dove possono avere una gestione garantita. Secondo gli studi commissionati da Simico, Cortina ha un futuro, seppur pazientando i primi anni sui risultati economici. Dunque, a margine della prima edizione di "ComoLake2023 - Next Generation Innovations" il ministro ha testualmente ammesso che «quello di cui ci stiamo occupando è non soltanto valutare la realizzazione, ma anche la sostenibilità nel tempo e la gestione» della pista di bob, mettendo a confronto i costi di costruzione o ristrutturazione degli impianti, ma anche quelli di gestione. Il titolare dello sport non lo precisa, ma questo è proprio il senso del voto condiviso dal Governo per una nuova comparazione tra le diverse piste delle Alpi con quella programmata a Cortina. Così come chiesto da un recente voto del Parlamento. Ecco infatti Abodi sostenere che «è doveroso, così come il governo si è impegnato con il parlamento, valutare anche le altre opzioni per scegliere al meglio in termini finanziari e di impatto ambientale», per quanto su quest'ultimo, ricorda, «abbiamo raccolto un'opinione terza di un soggetto emanazione dell'Università di Harvard che è più che rassicurante rispetto alle preoccupazioni emerse». E proprio qui ritorna in ballo Cortina. Harvard ha infatti certificato, attraverso questi studi, che il progetto per la nuova ‘Eugenio Monti' rispetta più di ogni altra pista esistente i parametri della sostenibilità. Igls (Innsbruck), ad esempio, funziona ad ammoniaca, Cortina no. Ma in campo rest a, seppur marginalmente, pure Cesana Torinese, ancorchè – ammette il ministro – sia «una pista chiusa da tanti anni». Ed è chiusa, ricorda sempre Abodi, non a caso. Quindi, conclude il ministro, «noi vorremmo cercare di dare un'eredità a un'infrastruttura olimpica perché questo è il compito che si è dato il Cio, ma anche la Fondazione Milano Cortina e il governo di non realizzare opere che poi non hanno un destino e un futuro». Attenzione, comunque: anche in Piemonte non tutti sono d'accordo sull'ipotesi-Cesana. Giorgio Bertola, consigliere regionale Europa Verde Piemonte, afferma, ad esempio, che «se il progetto per la pista da bob di Cortina per le Olimpiadi invernali 2026 è in discussione per diverse criticità economiche e ambientali, per le stesse ragioni siamo contrari all'ipotesi alternativa di ripristinare la pista da bob abbandonata di Cesana. Si tratta di una struttura già smantellata per il cui riutilizzo servirebbero milioni di euro. Sarebbe un investimento inutile e privo di lungimiranza perché, com'è già accaduto dopo le Olimpiadi del 2006, l'impianto verrebbe nuovamente abbandonato».
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A questo punto non resta che attendere le decisioni politiche del Governo. Abodi le aveva assicurate, lunedì scorso, in 48 ore. Alla scadenza di mercoledì ha prolungato la scadenza a una settimana. Intanto mancano solo 20 giorni dalla data fissata dal cronoprogramma come tempo indispensabile per costruire la pista. Manca la nuova gara. E manca l'affidamento dei lavori. — francesco da mas Corriere delle Alpi | 8 ottobre 2023 p. 27 Pista da bob, Malagò passa palla al governo «Decisione politica» CORTINA La settimana che sta per iniziare sarà quella decisiva per la pista di bob, anche perché tra pochi giorni si raduneranno, prima l'Esecutivo del Comitato olimpico internazionale e poi tutti i membri per la sessione di Mumbai (India), dove inevitabilmente ci sarà un confronto sullo stato dei lavori con gli organizzatori delle prossime edizioni dei Giochi, quindi Milano Cortina 2026 compresa. Da Istanbul, dove è intervenuto in occasione dell'assemblea generale del Comitato olimpico europeo, Giovanni Malagò, presidente della Fondazione Milano Cortina 2026, è stato chiaro, «ci aspettiamo che l'esito venga annunciato a breve da Simico, l'Agenzia governativa per le infrastrutture». Malagò ha poi aggiunto, «il Governo italiano ha la responsabilità esclusiva e può decidere di non procedere con la consegna della sede a causa di costi elevati e ragioni di sostenibilità, di conseguenza, Milano Cortina 2026 potrebbe aver bisogno di individuare un'altra sede fuori dall'Italia». Come abbiamo anticipato, pare infatti che in occasione della seconda gara, andata deserta, le imprese abbiano chiesto 50 milioni in più, rispetto agli 81, 6 della base d'asta (per il solo impianto) portando il costo complessivo dell'opera a più di 170 milioni. Un costo compatibile? La risposta può darla il governatore Luca Zaia: «Noi siamo in attesa di una decisione da parte del Governo. La pista la realizza il Governo e viene pagata a livello nazionale, non è un'opera della Regione. Ovvio che è l'elemento centrale del nostro dossier, aldilà dei costi, tanto o poco». Ma il supplemento di 50 milioni? «Non so quanto sia in più. Da un punto di vista di bilancio finanziario delle Olimpiadi, sarebbe comunque un esito positivo. Poi sull'opportunità o meno di un investimento così cospicuo deciderà il Governo». Zaia, infatti, ricorda che il Veneto porterà a casa con le Olimpiadi 1. 5 miliardi di Pil, «opere che mai avremmo visto, come la variante di Cortina, con 800 milioni di euro, la variante di Longarone, altri 300 milioni di euro, la messa a norma di tutta l'arena di Verona per l'accessibilità, con 18 mln di euro, una visibilità con 3. 5 miliardi di cittadini nel mondo, ed altre opere ancora». Quindi se dovessimo fare un bilancio, tra dare e avere, «ci converrebbe comunque fare la pista da bob». In ogni caso, aggiunge, attendiamo comunque le decisioni. E il rischio che la pista se ne vada in giro per il mondo? «C'è tutto» conferma Zaia. «In questi giorni ho sentito parlare di Stati Uniti, di Pechino e di altre soluzioni. Innsbruck a quanto è dato sapere ha dato la disponibilità, ma oltre al fatto che dovremmo pagare per avere un noleggio, ci ha anche confermato che non ha tutta l'opera finanziata. Cesana da quel che ci capisce, se fosse recuperabile andremmo a pagare il recupero di una pista per poi distruggerla». Il ministro dello Sport, Andrea Abodi ha già anticipato che «la nostra decisione, qualunque essa sarà, dovrà essere compresa, condivisa e rispettata se non condivisa» aggiungendo «la decisione è da prendere in una settimana e valutiamo anche l'opzione Torino perché scartarla a priori sarebbe mancare l'impegno assunto nei confronti del Parlamento». Oggi, alla Barcolana di Trieste, lo stesso ministro Abodi potrebbe aggiungere qualcosa di più preciso. FRancesco Dal mas Corriere delle Alpi | 17 ottobre 2023 p. 2, segue dalla prima Il governo cancella i lavori alla pista Bob, skeleton e slittino via da Cortina La telenovela è finita? Probabilmente sì. Con lo stop alla pista di bob, parabob, skeleton e slittino arrivato ieri mattina, quasi all'alba, dal vertice Cio in corso a Mubai, in India. «Solo due giorni fa il Governo ci ha informati che sta valutando l'opzione migliore e più sostenibile, ovvero non realizzare lo Sliding Center e spostare le gare in una sede già esistente e funzionante e di conseguenza Milano Cortina 2026 deve individuare un'altra sede fuori dall'Italia», ha mandato a dire il presidente del Coni e della Fondazione Milano Cortina 2026, Giovanni Malagò. Per tutta la mattinata, il presidente della Regione, Luca Zaia, sorpreso, anzi sgomento, ha cercato di saperne di più, telefonando sia a Malagò che ai ministeri, ricevendo – ma solo da questi ultimi – qualche spiraglio. In serata, invece, la doccia fredda, anzi gelata: un no secco, per i tempi ed i soldi. TEMPI E CONTI STRETTI Per realizzare lo Sliding Center occorrono 807 giorni, ai Giochi ne mancano 30 in più. Troppo pochi, tenendo conto dei 100 giorni festivi. Quanto al "conquibus", sarebbero necessari almeno 150, se non 170 milioni, con il supplemento di budget per una nuova gara
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d'appalto, decisamente troppi. Palazzo Chigi, alle prese con i tagli della Manovra, e sotto il tiro dell'opposizione, oltre che delle parti sociali, non se l'è sentita di affrontare la sfida. Andare all'estero potrebbe costare una ventina di milioni circa. Troppi anche i 35 milioni per riaprire l'impianto torinese di Cesana, con il progetto presentato proprio ieri. «Non è stata scelta la sede di gara delle tre discipline e nei prossimi giorni insieme alla Fondazione e a Simico, il Governo farà ulteriori valutazioni di carattere tecnico sulla base di dati oggettivi», ha puntualizzato il ministro dello Sport Andrea Abodi. La destinazione finale non è ancora certa, ma che si tratti di un indirizzo estero non pare in discussione. Secondo i conti del ministro, per proseguire con il progetto di Cortina, sarebbero serviti altri sessanta milioni. Troppi. «Il Governo ha assunto una posizione logica e responsabile, lavorando in costante, quotidiana collaborazione con il comitato organizzatore, la Fondazione Milano Cortina 2026, e la società Infrastrutture Milano Cortina». Decisioni che ora vanno formalizzate. In effetti, a parte le dichiarazioni di Malagò e di Abodi, manca un atto che dovrebbe arrivare sotto forma di Dpcm, come è avvenuto per la rinuncia all'impianto di Baselga, sull'altopiano di Piné. Adesso, dunque, a Cortina e al Veneto, come hanno anticipato il presidente Luca Zaia e il sindaco Gianluca Lorenzi, non resta che chiedere una compensazione in termini di gare. Sarà lo scialpinismo? il cio si congratulA A pesare sembra essere stata anche la procedura scelta per la rigenerazione della "Eugenio Monti". Malagò lo ha detto chiaro e tondo ai suoi. «Come sapete, questa sede è stata al centro di un processo lungo e controverso – ha spiegato il numero uno dello sport italiano –. Dalla primavera è in corso una procedura di gara pubblica che ha attraversato diverse fasi. Il drammatico scenario internazionale degli ultimi anni ha costretto a riflettere sulle risorse originariamente stanziate dal Governo italiano e la capacità di attrarre alcune imprese edili, capaci di realizzare un progetto complesso come la pista da bob, non ha prodotto molti risultati» . le alternative Karl Stoss, presidente del Comitato olimpico austriaco e membro del Cio, dopo aver ascoltato il collega Malagò lo ha subito rassicurato. Innsbruck, che ha organizzato già due edizioni dei Giochi invernali, «sarebbe felice di sostenervi», gli ha detto. E il Cio, che è favorevole al riutilizzo degli impianti esistenti, ha accolto con favore la rinuncia delle autorità italiane con la presidente della Commissione di coordinamento Kristin Kloster Aasen che ha parlato di «decisione responsabile». Il ministro Giancarlo Giorgetti, che ha già avuto due incontri con colleghi svizzeri, ha raccolto la medesima disponibilità per St. Moritz. La vecchia pista di Ronco intitolata a Eugenio Monti, il "Rosso volante"– mito di questo sport, 6 medaglie olimpiche tra il 1956 e il 1967 – è già stata smantellata, come si sa. Il sindaco Lorenzi ha ricordato che va adesso completata la sua parte memoriale. Ma chissà mai se accadrà. Certo è che così il programma olimpico si assottiglia: a Cortina restano il curling e lo sci femminile, il villaggio previsto per 1.400 atleti è sovradimensionato. — L’Adige | 20 ottobre 2023 p. 37
Corriere delle Alpi | 24 ottobre 2023 p. 27 Cortina insiste per avere la pista di bob Cesana mette sul piatto costi più bassi Francesco Dal Mas / CORTINA E se per la pista di bob tornasse in ballo Cortina, magari con un progetto ridotto all'essenziale, privo ad esempio del memoriale? «Se domani si apre un pertugio, noi ci infileremo», sorride il sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi, che questa mattina sarà a Milano con il
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presidente della Regione, Luca Zaia, per partecipare alle 11 alla riunione convocata dalla Fondazione Milano Cortina. «Non anticipo nulla, ma con il presidente Zaia abbiamo concordato di tener ferma la richiesta di avere il bob. Altre offerte? Se di pari dignità, le valuteremo. Ma il bob resta una priorità. Di sicuro non torneremo a casa a mani vuote». Per il bob si guarda già decisamente all'estero ma, tra chi ancora punta sull'Italia, questa è stata la prospettiva nuova coltivata ieri per tutto il giorno . Fino alle 17,43, quando si afflosciata al primo lancio di agenzia. Il Piemonte faceva sapere, a quell'ora, che il suo progetto per Cesana prevede un investimento di 33,8 milioni e un anno di tempo per i lavori. Mentre 34 milioni di euro sono grosso modo il supplemento di budget necessario per far riaprire, con qualche speranza, la gara per la nuova Eugenio Monti. Proviamo, infatti, a rifare i conti. A Cortina per la rimozione della vecchia pista sono già stati spesi 3 milioni e 800 mila euro. Per il lotto 2, che comprende la rigenerazione dell'impianto e delle aree contermini, l'adeguamento della viabilità e la valorizzazione di nuovi spazi e percorsi "per la valorizzazione delle qualità identitarie" sono da investire 118 milioni e 424 mila euro, di cui 940 mila euro del Comune e della Provincia. Per il Memoriale altri 2 milioni e mezzo, di cui 30 mila del Comune e della Provincia. Le gare sono saltate perché i tempi e soprattutto la quota di 118 milioni era ritenuta troppo bassa. Si è detto che le imprese, Webuild e Pizzarotti, avrebbero chiesto dai 50 ai 60 milioni in più. Si è tuttavia precisato che con un supplemento 30 milioni, forse 40 con l'Iva ed altre spese, il bando potrebbe andare a buon esito. I 118 milioni già ci sono, mancherebbe la differenza di 30 milioni o poco più. Ancora qualche ora e oggi si saprà che cosa Giovanni Malagò, presidente del Coni ma soprattutto di Milano Cortina, proporrà. Ieri, in visita a Sedico, ai cronisti che gli chiedevano se Cortina fosse in grado di ritornare in campo, Malagò ha risposto: «Merita una riflessione, questo discorso». Quando l'ha detto, il Piemonte non aveva ancora definito la sua proposta. Però è interessante anche la contestualizzazione che Malagò ha fatto. «L'impianto di Cortina si doveva realizzare con fondi del Governo ed era l'unico impianto sportivo, nell'ambito del master plan, che si doveva realizzare ex novo, seppur sulla base della vecchia pista. Tutti gli altri sono interventi di riqualificazione di strutture esistenti o in mano ai privati. Dev'essere dunque il governo a decidere, nell'ambito di una rimodulazione. Comunque», precisa Malagò, «di un investimento previsto con Dpcm». Vanno messe subito le mani avanti: non c'è da farsi alcuna illusione. La riconferma di Cortina sarebbe un clamoroso passo indietro. La soluzione dipende, per la verità, anche da quanto costerebbe la nuova Cesana. E, oltretutto, da quale fine farebbe il nuovo impianto. Resta in campo l'opzione B: altre gare a Cortina al posto di quelle di bob, skeleton e slittino. Zaia e Lorenzi si presenteranno questa mattina a Milano con l'idea di non cedere almeno un millimetro su questo. Non presenteranno alcuna lista, ma il solo scialpinismo – per intenderci – non lo accetterebbero. Sosterranno la tesi che una delle due città che dà il nome ai Giochi non può essere beffata con due o tre discipline. Malagò ha ammesso ieri di «avere qualche idea per la testa». Quindi i vari Beppe Sala, sindaco di Milano, e Attilio Fontana, presidente della Lombardia, devono rassegnarsi a qualche rinunci a. — Corriere della Sera | 26 ottobre 2023 p. 45 Milano-Cortina e il rebus del bob Un mese di tempo per decidere di Marco Bonarrigo Un mese, due a tenersi larghi: è il tempo massimo concesso dal Cio all’Italia per decidere dove si svolgeranno le gare di bob, slittino e skeleton delle Olimpiadi 2026 e, sopratutto, per non perdere la faccia sul piano politico-sportivo. Sbaglia chi crede che quella dello Sliding Center sia una battaglia diplomatica personale di Giovanni Malagò, la più difficile delle tante affrontate dal presidente del Coni e della Fondazione Milano-Cortina che qui, vista la complessità della questione, potrà svolgere solo un ruolo di mediazione. Il prologo è noto. Dieci giorni fa il governo Meloni ha deciso di non stanziare i 120 (o 140 o più) milioni di euro per la ricostruzione dell’impianto Eugenio Monti di Cortina (appena demolito al costo di 3,8 milioni), che nel 2026 avrebbe dovuto assegnare le medaglie delle tre specialità. A Mumbai Malagò ha dovuto comunicare al congresso del Cio di cui fa parte che (per prima volta nella storia) una gara olimpica invernale si dovrà svolgere fuori dal territorio nazionale, forse a Saint-Moritz, forse a Innsbruck. Oltre alla figuraccia, la beffa dei costi del trasloco (10/12 milioni) a carico degli organizzatori e non più del governo e l’ira del governatore Luca Zaia, perché a Cortina e al Veneto rimarranno solo il curling e lo sci alpino femminile. La società pubblica Simico, braccio operativo di MilanoCortina, è partecipata dai ministeri di economia e finanze e delle infrastrutture e dei trasporti ma anche dalle regioni Veneto e Lombardia, che hanno garantito i lavori con fidejussioni. La situazione si è complicata sul piano diplomatico due giorni fa quando, in una conferenza stampa convocata in fretta e furia, il governatore del Piemonte Alberto Cirio (pare con il pieno appoggio di Forza Italia) ha presentato la sua soluzione del problema: il ripristino (90 giorni per il progetto esecutivo, 365 per i lavori) del vecchio impianto olimpico di Cesana dei Giochi di Torino 2006. Struttura in abbandono ma recuperabile, acqua glicolata ecologica al posto dell’ammoniaca per creare il ghiaccio rispettando l’ambiente, pannelli solari a gogò. I costi: 33,8 milioni di euro chiavi in mano, meno di un quarto di Cortina, a questo punto finanziabili dallo Stato. Nessuna necessità di emigrare, impianto disponibile alla fine delle gare per diventare il centro tecnico nazionale di bob e slittino. Proposta irresistibile? No. Torino e il Piemonte non c’entrano nulla col progetto originale dei Giochi e non fanno parte di Simico. Per includerli bisognerebbe riscrivere lo statuto societario con un decreto legge, stabilire nuove garanzie finanziarie e, dettaglio non trascurabile, portare tutto al Cio, che si troverebbe di fronte per la terza volta a un nuovo progetto da verificare.
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Battaglia politica La Lombardia fa il tifo per St. Moritz: è vicina a Livigno. E il Cio vuole una risposta in fretta La rabbia di Zaia per l’intervento a gamba tesa del Piemonte si è trasformata in furia quando Malagò gli ha proposto come «compensazione» la presenza del Veneto a fianco della designata Lombardia nel progetto dei Giochi Olimpici giovanili invernali 2028, che verranno assegnati il prossimo anno. Zaia delle Olimpiadi dei ragazzini non sa che farsene e ieri si è sfogato con il segretario della Lega Matteo Salvini. Il governatore non ha però molte frecce al suo arco, se non incassare la sconfitta: potrebbe mettere un veto al progetto Piemonte ma il passo ulteriore (ritirare il Veneto) segnerebbe la clamorosa implosione dei Giochi. L’impianto estero resta quindi la soluzione più logica e la scelta di Saint-Moritz (che fa gongolare il governatore della Lombardia Attilio Fontana) la più agevole dal punto di vista pratico, vista la vicinanza con Livigno di cui si potranno sfruttare gli alberghi. Giovanni Malagò cerca di restare ottimista. «Il Cio è stato chiaro — ha spiegato ieri il presidente del Coni —, oggi dobbiamo lavorare sull’esistente. Se questo esistente domani mattina si arricchisce di altre situazioni, tutto può essere. La storia la conoscete: noi organizziamo i Giochi ma non costruiamo gli impianti sportivi. Ora dobbiamo assolutamente trovare una soluzione e una scadenza per fine novembre. Stiamo lavorando per quello».
TRENO DELLE DOLOMITI: GLI AGGIORNAMENTI Corriere delle Alpi | 7 ottobre 2023 p. 34 Treno delle Dolomiti «Forse è il momento di rivedere la scelta» AGORDO Nel momento in cui si fa più che mai attuale la criticità dei trasporti pubblici in provincia, torna alla ribalta la questione della ferrovia per Cortina. «La scelta è stata fatta. Il treno delle Dolomiti andrà lungo la Val Boite, con un "braccio" verso Auronzo». Il 18 giugno 2021 il " Corriere delle Alpi" titolava così la notizia dell'annuncio dato dall'assessore regionale Elisa De Berti che a Villa Patt di Sedico aveva incontrato una quarantina di sindaci bellunesi, il presidente della Provincia Padrin, i consiglieri regionali Puppato e Cestaro e l'ingegner Helmut Moroder, grande esperto di ferrovie. Ma, come sempre ormai succede nelle sedi istituzionali e, purtroppo, altrettanto nell'opinione pubblica, i problemi si dimenticano e si va per le lunghe rispetto ai tempi previsti. Un silenzio che ora, dopo oltre due anni, il Comitato ferrovia Dolomiti bellunesi denuncia con una lettera di richiesta di «informazioni e valutazione di un possibile collegamento con l'Agordino», inviata all'assessore regionale ai Trasporti, Elisa De Berti, e per conoscenza al presidente Luca Zaia. «Nello specifico ci riferiamo al comunicato n. 1465 del 3 agosto 2021», scrive il Comitato ricordando un precedente incontro con De Berti a fine 2019 assieme ai sindaci dell'Agordino, «con il quale si rende noto della costituzione di un tavolo tecnico per la realizzazione del Treno delle Dolomiti, conseguente al protocollo d'intesa tra RFI, Regione Veneto e Provincia di Belluno, che dovrà studiare e valutare la sostenibilità economica di nuovi collegamenti ferroviari di accesso alla provincia dolomitica tra cui un possibile collegamento con l'Agordino». Ma, prima di arrivare alla decisione definitiva, era stato previsto almeno un anno per approfondire, insieme a Regione, Rfi, Provincia e comuni, ogni aspetto del progetto e soprattutto la sua fattibilità e la sua sostenibilità economica. Il Comitato così prosegue: «Nell'attesa di notizie, siamo rimasti attivi sostenendo la nostra proposta di una ferrovia che da Belluno possa raggiungere Agordo, per proseguire eventualmente come via di penetrazione diretta nel cuore delle Dolomiti, attraverso una ormai indispensabile forma di mobilità sostenibile e a basso impatto ambientale, coadiuvata e integrata da altre modalità di trasporto». E, in relazione alla sostenibilità, non manca il riferimento a Luxottica: «Riteniamo che la sostenibilità di tale forma di mobilità», si legge nella lettera, «si configuri nella indiscutibile presenza di un importante polo dell'occhialeria nella Conca Agordina, per proseguire verso il maggior circuito impiantistico funiviario delle Dolomiti costituito da ben tre aree di ambito quali Falcade-San Pellegrino, Alleghe–Selva di Cadore–Zoldo e Marmolada–Arabba–Sellaronda». Ricordando poi i vari contatti istituzionali avuti nel frattempo in merito al problema: «Abbiamo anche avuto il modo di conoscere importanti proposte nelle realtà a noi contermini», aggiunge il Comitato, «attraverso la partecipazione a interessanti convegni, dove sono stati presentati importanti studi ferroviari che si intrecciano in forma trasversale su ampi territori montani, compresa la Svizzera». Insomma, gli agordini non intendono demordere e, richiamando oggi i problemi della Dolomitibus, così concludono la loro richiesta all'assessore De Berti: «Vista l'attuale situazione di difficoltà in cui versa la mo bilità e il trasporto pubblico in provincia di Belluno, con la presente chiediamo notizie circa l'evoluzione della determina tecnica-istituzionale del sopracitato tavolo del quale allo stato attuale non si è avuto modo di conoscerne gli sviluppi». — Gianni Santomaso
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GRANDE GUERRA: UN MUSEO IN TOFANA Corriere delle Alpi | 05 ottobre 2023 p.37 Grande Guerra, prende forma il museo della memoria in Tofana L'appuntamento Il primo posto di comando italiano sul fronte cortinese della Grande Guerra diventa il punto di partenza del museo della memoria, inserito al centro di un progetto di interesse non solo storico militare ma anche turistico e culturale. Il primo atto del più ampio progetto denominato "Ospedaletti sulle Tofane" verrà inaugurato sabato alle 10.30. L'iniziativa, finalizzata alla realizzazione di un museo diffuso che si innesta lungo l'itinerario storico del giro del Col dei Bos, vede in prima linea "Difesa servizi", società in house del Ministero che ha supportato e coordinato i lavori di riqualificazione di alcune rovine dell'area Ospedaletti. La zona presenta numerose testimonianze storiche (trincee, gallerie, strade, fortini, postazioni e stazioni di teleferiche) ed è documentata in libri, fotografie e documenti degli archivi storici militari. Sabato sarà inaugurato l'intervento di restauro e consolidamento dell'ex casermetta degli Alpini. Il progetto di recupero apre le porte ad un itinerario escursionistico da compiersi in giornata, che può andare dalle quattro alle sei ore di cammino, arricchito da circa trenta stazioni con cartellonistica rievocativa ed illustrativa dei luoghi. Il progetto generale autorizzato dagli enti competenti prevede anche alcuni interventi di consolidamento di opere di sostegno della strada di Rozes, sempre risalenti al periodo bellico. Alla cerimonia di inaugurazione parteciperanno gli studenti del Comprensivo Valboite di Cortina (indirizzo artistico). Il punto di partenza da cui raggiungere il sito è al passo Falzarego. A partire dalle 10.15 si alterneranno gli interventi del sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi, del presidente delle Regole d'Ampezzo e del parco naturale Dolomiti d'Ampezzo Stefano Gaspari, dell'amministratore delegato di "Difesa servizi" Luca Andreoli e del comandante area territoriale delle Truppe Alpine, generale di divisione Massimo Biagini; questi, una volta effettuato il taglio del nastro, guiderà ospiti e studenti nei luoghi un tempo terreno di guerra. —
COMUNICAZIONE E SOCIAL: ‘GIU’ DALLA VETTA DEL CRISTALLO IN MTB’ Corriere delle Alpi | 7 ottobre 2023 p. 36 Giù dalla vetta del Cristallo con la mtb: follia che cattura like e forti critiche L'impresa "Un giorno di ordinaria follia sul Cristallo": è il titolo di un video che in queste ore sta facendo discutere il popolo della montagna. L'ennesima iniziativa dal carattere estremo attorno a cui arrovellarsi. Protagonista è Michele Ferro, esperto biker specializzato nelle evoluzioni spericolate sulle due ruote grasse: dopo aver guadagnato faticosamente la vetta del Cristallo con la bici in spalla, si è lanciato in una spericolata discesa con tanto di passaggio sul ponte sospeso reso celebre da Sylvester Stallone nel film Cliffhanger. «Siamo noi che andiamo alla conquista della montagna o è la montagna che conquista noi che a nostra volta non riusciamo ad evitare questo richiamo così forte?», si chiede Ferro, in arte "Iron Mike", molto conosciuto nell'ambito della mountain bike di cui è anche guida turistica. È qui, a metà tra lo stupore per la tipologia di impresa portata a termine ed il richiamo paesaggistico dei luoghi, che iniziano i dubbi. Perché al racconto accorato dell'impresa si intrecciano quei dubbi che ormai con cadenza quotidiana accompagnano la fruizione della montagna tra rispetto e tutela. «Scendere in bicicletta da una ferrata, attraversare il ponte sospeso e poi alzare un polverone guadagnando a tutta velocità la discesa ripida di forcella Staunies: siamo sicuri che sia stata rispettata la montagna?», si chiedono gli utenti della rete di fronte ad un video che, indubbiamente, lascia senza fiato. «Avevo in mente già da un paio d'anni quest'avventura», racconta Michele Ferro, «volevo portare la bici sul Cristallo e finalmente ci sono riuscito. Dopo il Nepal è stata l'avventura più bella che io abbia mai fatto». Ferrata (Dibona) in salita, in sicurezza. E poi addirittura in discesa ma in sella ad una mountain bike fino alla "conquista" di Forcella Staunies con vista sul rifugio Lorenzi non prima di aver attraversato il noto ponte sospeso. Rischio eccessivo o tutto calcolato? Difficile dirlo, di sicuro il pubblico dei social ha apprezzato l'iniziativa, "premiandola" con migliaia di like in pochissime ore. Il video si chiude con una discesa a perdifiato lungo la ripidissima forcella Staunies dove un tempo correva l'ovovia e dove oggi resistono solo i suoi vecchi piloni. «Questa è mountain bike o altro?
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Questo è rispetto della montagna o altro?», ci si chiede anche tra coloro che seguono le evoluzioni di Michele Ferro, alias "Iron Mike" sul suo cliccatissimo canale Youtube. «Addirittura scambiare lo scialpinismo con la bicicletta, a che punto siamo arrivati?». Ancora interrogativi senza risposta, in un paese come Cortina finito da tempo nel vortice della polemica legata ad una corretta fruizione degli spazi nel nome della sostenibilità. — Gianluca De Rosa
LA RICHIESTA DI TUTELA PER IL SASSOLUNGO Alto Adige | 10 ottobre 2023 p. 30 Oltre 5 mila firme per la tutela ambientale del Sassolungo Dolomiti La petizione online "Salviamo le Dolomiti: Gruppo del Sassolungo in pericolo" del gruppo ambientalista gardenese Nosc Cunfin ha raggiunto 5000 firme."Insieme alle associazioni sostenitrici Cai Alto Adige, Avs Südtirol, Lia per Natura y Usanzes, Lia da Mont, Heimatpflegeverband Hpv, Dachverband für Natur und Umwelt Dnu, Mountain Wilderness, Climate Action Südtirol, Vereinigung Südtiroler Biolog:innen, Lipu, Wwf Trentino Alto Adige, abbiamo messo online la nostra petizione per la tutela del Gruppo del Sassolungo il 2 ottobre - spiegano i membri di Nosc Cunfin - per preservare l'unicità geologica di questo gioiello naturale, con le sue fonti di acqua potabile. Nel settembre 2023, la giunta provinciale altoatesina ha deciso di sostenere un processo di partecipazione nei comuni interessati con l'obiettivo di ottenere la tutela. La nostra petizione online ha lo scopo di accelerare il percorso verso un referendum nei 3 comuni interessati della Val Gardena e di Castelrotto e di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza di proteggere i nostri gioielli naturali. Già sabato 7 ottobre abbiamo raggiunto la sorprendente quota di 5000 firme e attualmente sono addirittura 5.880 le firme. Il nostro prossimo obiettivo di 7500 firme dovrebbe essere raggiunto nei prossimi giorni. Un grande ringraziamento - prosegue Nos Cunfin - va a tutte le persone che hanno firmato la nostra petizione, un forte segnale nella giusta direzione. Siamo tutti parte di questa grande petizione, ogni voto conta. Invitiamo tutti i rappresentanti dei media alla conferenza stampa congiunta con i presidenti e i rappresentanti di Cai Alto Adige, Avs Südtirol, Lia per Natura y Usanzes, Lia da Mont, Heimatpflegeverband Hpv, Dachverband für Natur und Umwelt Dnu, Mountain Wilderness, Climate Action Südtirol, Vereinigung Südtiroler Biolog:innen, Lipu, Wwf Trentino Alto Adige. Informeremo sulle iniziative per la tutela del gruppo del Sassolungo e riferiremo sullo stato di avanzamento della petizione". Alto Adige | 17 ottobre 2023 p. 21 «Giù le mani dal Sassolungo» in pochi giorni 40 mila firme Bolzano Quasi quarantamila sottoscrizioni in sole due settimane. Le hanno raccolte i protezionisti altoatesini per dire giù le mani del Sassolungo: stop al collegamento fra Alpe di Siusi e Sella Ronda; no alla nuova impattante cabinovia per forcella Sassolungo in sostituzione della vecchia bidonvia. Una petizione nata soprattutto per dire sì alla trasformazione del massiccio dolomitico in un parco naturale, fase prodromica all'inserimento nel patrimonio mondiale Unesco. Il tutto a meno di una settimana dalle elezioni provinciali. «Perché la prossima giunta provinciale non potrà delegare le decisioni ai Comuni - si è spiegato ieri - bensì dovrà assumersi le proprie responsabilità nei confronti delle Dolomiti, patrimonio di tutti, non solo degli altoatesini».Quindici associazioniIl gruppo di iniziativa Nosc Cunfin insieme ai propri sostenitori - Cai, Avs, Mountain Wilderness, Lia per Natura y Usanzes, Lia da Mont, Heimatpflegeverband, Dachverband, Climate Action, Associazione provinciale biologi, Lega italiana protezione uccelli, Wwf, Oldies for future, Lia uciei e Arbeitsgemeinschaft für Vogelkunde und Vogelschutz - ieri ha annunciato di aver suoperato le 39 mila firme per la petizione online Save the Dolomites, avviata solo il 2 ottobre per la tutela dei due monumenti naturali Piani di Cunfin e Città dei Sassi. «La risposta alla nostra petizione online è stata travolgente, la solidarietà e la volontà di partecipazione ci riempiono di grande gratitudine. Queste quasi 39 mila firme in così poco tempo sono un chiaro segno che i nostri obiettivi incontrano un ampio consenso», ha dichiarato Heidi Stuffer, presidente di Nosc Cunfin. «È impressionante vedere quante persone si impegnino attivamente affinché il Sassolungo riceva finalmente il suo giusto status di protezione. L'alto numero di partecipanti dimostra che le persone, in Alto Adige e non solo, sono pronte a difendere con coraggio civile il bene comune della nostra natura e delle nostre montagne. La popolazione vuole dire la sua. Le firme raccolte avranno un ruolo importante nel promuovere la nostra richiesta di referendum nei comuni interessati».Oltre 40 anni di battaglieOltre 40 anni fa furono le iniziative Sos Saslonch e Sos Dolomiti a sostenere la salvaguardia del Sassolungo. Da tre anni Nosc Cunfin, composto da cittadini dei tre comuni della Gardena e di Castelrotto, si impegna per la tutela definitiva del gruppo dolomitico. «In questo modo, questo gioiello naturale con le sue fonti d'acqua potabile per Ortisei, questo habitat per la flora e la fauna
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degno di essere protetto, sarà preservato per le generazioni future senza ulteriori sviluppi». Nel settembre 2023, la giunta provinciale altoatesina ha deciso di sostenere un processo di partecipazione nei comuni interessati con l'obiettivo di ottenere lo status di area protetta.Le parole dei sostenitoriNella sua dichiarazione, Georg Simeoni, presidente dell'Avs, ha ricordato la grande manifestazione di protesta del 1985 sui terreni dei Piani di Cunfin all'Alpe di Siusi, quando era stata chiesta una protezione senza compromessi delle aree naturali ancora intatte dell'Alpe di Siusi, davanti a 1.200 partecipanti: «La pressione sull'ambiente alpino sta aumentando e il rispetto per la natura sta diminuendo. Dobbiamo scuotere la politica e l'economia affinché lo spazio alpino possa finalmente riposare. Tutti trarrebbero beneficio da uno status di protezione per il Sassolungo: arrampicatori, escursionisti, ciclisti, amanti del tempo libero e soprattutto la natura e la fauna selvatica».Florian Trojer, direttore dell'Heimatpflegeverband, ha aggiunto: «Siamo fermamente convinti che ora si tratti di trasmettere alle prossime generazioni questo tesoro senza tempo che abbiamo qui con il nostro paesaggio. E la tutela del gruppo del Sassolungo, con i Piani di Cunfin e la Città dei Sassi, è una pietra miliare». Josef Oberhofer, presidente delle Federazione ambientalisti Alto Adige e rappresentante nazionale della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi - Cipra, ha spiegato: «Per troppo tempo in Italia abbiamo lasciato che la configurazione della regione alpina fosse affidata prevalentemente agli operatori turistici e agli impiantisti. È stata una semplice negligenza. Le Alpi, nella loro origine di ecosistema funzionante ed equilibrato, devono essere incondizionatamente protette. Quindi, fine dello sviluppo eccessivo del nostro spazio alpino, del potenziamento degli impianti di risalita esistenti, della costruzione di nuovi impianti di risalita e dell'ampliamento e accorpamento dei comprensori sciistici, della costruzione di bacini di accumulo per l'innevamento artificiale mascherati da bacini di spegnimento incendi, degli eventi motoristici di qualsiasi tipo - tour in moto e rally, voli in elicottero e raduni di auto d'epoca - sulle strade di valico dell'Alto Adige».Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige ha sottolineato: «Il Sassolungo è veramente in pericolo. Io mi auguro che venga fatto questo parco naturale, un parco unico che comprenda Latemar, Catinaccio, Sciliar, Sassolungo, Sassopiatto e Sella in modo da avere una zona di altissimo valore ambientale e anche turistico. Salviamo questo paradiso, che ci è stato dato, e non lo lasciamo in mano agli imprenditori che hanno allungato le loro mani speculative». DA.PA©RIPRODUZIONE RISERVATA
LEGGIOMONTAGNA 2023 Messaggero Veneto | 12 ottobre 2023 p. 45, edizione Udine Leggimontagna ospita Hervé Barmasse E poi sabato le premiazioni dei libri Si apre domani, venerdì 13, a Tolmezzo, Leggimontagna: a inaugurare la 21esima edizione del premio letterario promosso dall'Asca, l'associazione delle sezioni Cai di Carnia, Canal del Ferro e Val Canale, l'atteso appuntamento con Hervé Barmasse, già sold out nelle prenotazioni. Il noto alpinista, impegnato in un tour in tutta Italia per narrare le bellezze della montagna e parlare di alpinismo e di tutela dell'ambiente, incontrerà il pubblico della nostra regione nella conferenza "Oltre l'orizzonte" (alle 21, Teatro Candoni). Sabato 14 ottobre il tradizionale momento delle premiazioni con libri, autori ed editori presentati dalla giornalista Francesca Spangaro (alle 17, Sala convegni della Comunità di montagna della Carnia). In collaborazione con la Fondazione Dolomiti Unesco anche quest'anno verrà assegnato il premio speciale Dolomiti Unesco al saggio che maggiormente interpreti i valori del patrimonio mondiale, mentre il carnico Lino Di Lenardo, alpinista di lungo corso e componente del Soccorso alpino, riceverà il riconoscimento di Amico alpinista 2023. Le opere finaliste nella categoria narrativa, che vede in giuria Luciano Santin, Riccarda de Eccher, Leila Meroi e Carlo Tolazzi, sono: "Questione di prati - Cerro X. Due racconti di montagna" di Giovanni Pirelli (Le Chateau), "Il Duca" di Matteo Melchiorre (Einaudi), "Non voglio comandi, non voglio consigli. Racconti di una vita libera" di Giovanna Zangrandi (MonteRosa). Nella categoria saggistica, con la giuria composta da Gianpaolo Carbonetto, Claudio Lorenzini, Giuseppe Muscio e Andrea Zannini, risultano finaliste: "Gli alpinisti di Stalin" di Cédric Gras (Corbaccio), "Bellina che sei nata alla montagna. Donne, agro-pastoralismo e migrazioni a Pietracamela" di Marta Iannetti (Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun Aps), "Atlante dei Monti Arcani" di Albano Marcarini (Hoepli), "Inverno liquido" di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli (DeriveApprodi).A contendersi il podio per la categoria guide, con giurati Andrea Zannini, Antonio Cossutta, Jasna Dionisio e Tiziana Romano, sono: "Il trekking del lupo" di Annalisa Porporato e Franco Voglino (Terre di mezzo), "Dolomiti. Uno sguardo tra le rocce/1" di Emiliano Oddone, Gianluca Piccin, Stefano Furin e Giovanni Carraro (Ediciclo), "Clean Climbing" di Maurizio Oviglia e Michele Caminati (Versante Sud). — L’Adige | 23 ottobre 2023 p. 8 Premio speciale a Leggimontagna per il saggio «Inverno liquido» Nell'ambito della ventunesima edizione di Leggimontagna, il Premio speciale Dolomiti Patrimonio mondiale Unesco 2023 - assegnato al saggio che maggiormente interpreta i valori del patrimonio mondiale dell'umanità - è andato a "Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa" di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli (DeriveApprodi 2023).Nella Sala convegni
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della Comunità di montagna della Carnia a Tolmezzo (Udine), la Giuria della sezione saggistica Leggimontagna e la Fondazione "Dolomiti Unesco" hanno espresso questo riconoscimento con le seguenti motivazioni:«Maurizio Dematteis e Michele Nardelli affrontano, con un'indagine serrata tra Alpi e Appennini, l'ormai insostenibile situazione dell'industria del turismo legato alla neve e allo sci alpino che si trova a dover affrontare una crisi originata dal gigantismo delle strutture abitative e degli impianti di risalita, messo ancor più in rilievo dal fatto che il cambiamento climatico sta modificando in maniera drastica la situazione che oggi vede un deciso calo delle precipitazioni nevose e, contemporaneamente, un evidente scioglimento dei ghiacciai. Questo libro affronta vari problemi: dall'incombente crisi economica di un settore, al contraccolpo sociale e demografico che investirà zone già molto fragili per gli evidenti disequilibri, all'ingombrante presenza di strutture ormai inutili e obsolete, al recupero di spazi strappati alla natura. Con il costante richiamo che l'uomo non può pensare esclusivamente all'economia.»«Un bel riconoscimento che con Maurizio vogliamo estendere a tutte le persone che hanno reso possibile questo lavoro» dice Nardelli.
OLTRE LE VETTE 2023 Corriere delle Alpi | 14 ottobre 2023 p. 18 Riflettori sulle crisi climatica nel rush finale di Oltre le vette La rassegna Dalla crisi climatica sulle Dolomiti alle montagne viste dall'animo femminile. E in mezzo tanto altro ancora, nel penultimo giorno di "Oltre le vette", che propone ben sei eventi. Si comincia alle 10.30 a Palazzo Bembo, con un confronto organizzato dalla Fondazione Dolomiti Unesco, all'interno del nuovo progetto "La scrittura delle rocce". La conferenza "Ghiaccio/roccia: la crisi climatica sulle Dolomiti" ricercherà le tracce delle crisi climatiche del passato e degli effetti di quella, molto più accelerata, del presente. Si discuterà di fusione dei ghiacciai, crolli, colate detritiche, eventi estremi, ma anche di una montagna da continuare ad abitare, percorrere, vivere. Interverranno il geomorfologo Alberto Carton, i geologi Piero Gianolla e Franco Fiamoi, la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela. Alle 11.30, in piazza dei Martiri, il tema di "Un'ora per acclimatarsi" sarà "Eredità idriche, dal Vajont ai nuovi invasi". Ne parleranno, insieme agli ospiti fissi, Luca Rota, scrittore e curatore di pratiche culturali per la valorizzazione e rigenerazione dei territori in quota, Giacomo Poletti, ingegnere ambientale ed esperto di meteorologia alpina, il geologo Emiliano Oddone. Alle 16, a Palazzo Bembo, Manuela Ruaben presenterà il libro "Esploro la natura – 30 avventure per tutte le stagioni". Una guida pratica e colorata, edita da Erickson, dedicata in primis a famiglie e insegnanti della scuola dell'infanzia e primaria. L'intento? Educare i bambini a conoscere e rispettare la natura, attraverso curiose attività all'aperto e laboratori creativi. Nella stessa sede, alle 18, l'ultimo incontro di "Parole di carta e di montagna" avrà per protagonista il medico Riccardo Drigo, autore di un romanzo sorprendente che è già un vero caso editoriale: "Gli uccelli non muoiono mai – Tra fantasia e realtà nello scenario delle Vette Feltrine", edito da Priuli e Verlucca. Alle 19, in piazza dei Martiri, a "Un'ora per acclimatarsi" si parlerà di "Turismi di massa" con l'alpinista Luca Vallata, Michela Canova, addetta stampa del Soccorso Alpino Dolomiti Bellunesi, e Carlo Alberto Zanella, presidente Cai Alto Adige. Infine, alle 21, al Teatro Comunale andrà in scena "Anima, sii come la montagna…", recital tratto dai libri di Paolo Cognetti "Le otto montagne" e "L'Antonia. Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi". L'innamoramento per le montagne, lo stupore e la comprensione della natura alpina, la condivisione con un'altra anima dell'incanto, la bellezza dell'andar per sentieri, il senso d'infinito nel passo solitario… Protagonista di queste suggestioni – tramite le voci recitanti di Chiara Turrini e Beatrice Scartezzini, il pianoforte di Lorenza Anderle e la cantante Francesca Martinelli – l'animo femminile. — Ivan ferigo
GESTIONE DEI FLUSSI Alto Adige | 14 ottobre 2023 p. 30 «Accessi a pagamento alle valli per combattere il traffico» Dolomiti "Il costante incremento del traffico sui passi dolomitici in Gardena e Badia impone di fare delle scelte per ridurre il numero di macchine e di mezzi in circolazione. In questo ultimo mese da alcuni sindaci è stata ipotizzata la soluzione della creazione di un grande
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parcheggio all'inizio della Valle, con obbligo per di lasciare lì la macchina e usufruire esclusivamente degli autobus pubblici. Dal nostro punto di vista - scrivono Christian Bianchi, capolista della Lega alle Provinciali e l'albergatore ladino Monteleone - anche a seguito di vari confronti con operatori turistici, commercianti, esercenti, questa soluzione non ci pare essere la più adatta". "La nostra proposta continuano Bianchi e Monteleone - mira a integrare e rendere più attuabile e gestibile il progetto. L'idea della creazione di un parcheggio e della messa disposizione gli autobus pubblici la potremmo accettare, lasciando però la possibilità a chiunque lo desiderasse di poter accedere con il proprio mezzo alle valli. Lo potrà fare gratuitamente chi avrà in mano la prenotazione presso un albergo, i residenti ed i titolari delle aziende, oltre ai loro dipendenti. Per tutti gli altri e a titolo oneroso, pagando quindi un biglietto di ingresso, il cui valore possa però essere scontato da spese effettuate nelle valli, per l'acquisto di giornalieri degli impianti di risalita, acquisti nei negozi, bar ristoranti, tutto escluso ovviamente le spese di parcheggio. In Val Gardena e in Val Badia, infatti, il traffico che nuoce più di tutto è quello delle persone che transitano, e sono tante, senza fermarsi, generando solo traffico, insicurezza, pericolo, senza alcun beneficio economico per le zone interessate. La nostra proposta - concludono Bianchi e Monteleone - genererà un ottimo risultato, sia sul fronte del contenimento del traffico, ma anche sul fronte della garanzia che va offerta a tutte le attività economiche. Inoltre, lascerà intatta la possibilità da parte di persone e famiglie di potersi muovere con la propria macchina, perché per molte persone sarebbe impossibile lasciare la macchina e salire in autobus (pensiamo ad anziani, famiglie con bambini, persone con difficoltà motoria ecc)". Corriere delle Alpi | 14 ottobre 2023 p. 12
Cinquemila turisti per ogni km quadrato Venezia è la capitale dell'overtourism lo studio Laura Berlinghieri O ltre 5 mila turisti per chilometro quadrato: che ressa, verrebbe da dire. Ed è esattamente così: è la fotografia di Venezia. Del Ponte di Rialto, di Piazza San Marco, della lista di Spagna e della riva degli Schiavoni, per citare i luoghi più affollati. I più affollati del Veneto: perché, appunto, con una media di 5.048 turisti per chilometro quadrato, il centro storico di Venezia è l'area più densamente popolata di tutta la regione. E in buona parte è "colpa" degli affitti brevi: senza questi, infatti, la cifra scenderebbe a 3.845 turisti per chilometro quadrato. Comunque tantissimi, e infatti Venezia rimarrebbe comunque in vetta alla "classifica", ma sicuramente con più respiro. Per spiegare l'entità delle cifre, poi, è sufficiente pensare che la seconda località veneta più densamente "abitata" dai turisti è CavallinoTreporti, che però conta una media di "appena" 410 presenze per chilometro quadrato. Non è una novità. Di overtourism si parla da anni a Venezia. Se ne è parlato giovedì a Rimini, con la presentazione di un rapporto dedicato proprio a questo fenomeno, realizzato dalla società di consulenza Sociometrica, su mandato di Federalberghi Veneto e del presidente Massimiliano Schiavon.
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Dice che Lazise è il comune veneto con il più alto rapporto tra turisti e residenti, pari a 1,5. Significa che, per 100 residenti, la cittadina che guarda il Garda accoglie una media di 150 turisti. Utilizzando i dati reali: 7 mila abitanti e 14 mila presenze temporanee. Al secondo posto si colloca Cavallino-Treporti (1,4) e poi Bibione (1,3). Venezia è solo nona, ma il motivo è semplice: il comune comprende anche la terraferma. Per il resto, il sovraffollamento turistico regna sovrano in laguna. Si pensi al recente avvertimento dell'Unesco, che aveva minacciato di inserire la città nella sua "lista nera", anche a causa dell'overtourism. Per questo, l'amministrazione ha deciso di prendere delle contromisure, introducendo – dalla prossima primavera e soltanto per alcune giornate, in via sperimentale – la prenotazione obbligatoria, con ticket di accesso di 5 euro. E così anche l'Unesco si è convinta e ha "perdonato" Venezia, ritirando la minaccia. Il fenomeno dell'overtourism, però, rimane, con tutte le sue conseguenze. Soprattutto su una città fragile come Venezia. Del resto, il crollo del turismo negli anni del Covid ha rappresentato una delle batoste più pesanti per l'economia della regione. Un settore sul quale il Veneto continua a puntare forte, come dimostra l'incremento dei posti letto complessivi a disposizione dei turisti tra il 2014 e il 2022: erano 214.137, sono diventati 214.710, con un incremento dello 0,3%. Paradossalmente, è diminuito il numero delle camere, passato da 112.012 a 109.724, mentre il numero degli alberghi è cresciuto da 3.055 a 3.146 (3%). Non c'è da sorprendersi, per un settore che punta molto sulla quantità, è poi questo ciò che contestano i veneziani del centro storico. Da qui, ogni anno, passano oltre 14 milioni di turisti. Significa che la media è di 40 mila al giorno, per una città che è ormai s cesa sotto la soglia-simbolo dei 50 mila residenti. La superficie della città è tra le più ridotte in Veneto: appena 7,8 chilometri quadrati. Ecco spiegato il dato, enorme, che quantifica l'entità dell'overtourism, nella città d'acqua. Un fenomeno da frenare: sarà questa la grande sfida per il futuro della città. — Gazzettino | 17 ottobre 2023 p. 11, edizione Belluno Overtourusm: Belluno ai vertici
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Corriere delle Alpi | 22 ottobre 2023 p. 12 Contributo d'accesso Venezia si prepara con i varchi e i Qr Code Enrico Tantucci /VENEZIA A Venezia, dalla prossima primavera si entrerà da varchi controllati, senza barriere ma distinti tra residenti e turisti, nei maggiori punti di accesso alla città storica, come Piazzale Roma, il Piazzale della Stazione di Santa Lucia, il terminal acqueo di Punta Sabbioni. Questo almeno per i 30 giorni – sino alla fine di agosto del 2024 – considerati a maggior afflusso turistico e in cui un entrerà in vigore in via sperimentale il nuovo contributo di accesso istituito dal Comune. I varchi d'accesso Lo ha chiarito l'assessore al Bilancio Michele Zuin in un incontro pubblico organizzato da Forza Italia all'hotel Amadeus di Venezia e dedicato al tema del contributo d'accesso per la gestione dei flussi turistici. Presenti anche il responsabile nazionale Enti locali del partito senatore Maurizio Gasparri, il coordinatore per il Veneto di Forza Italia onorevole Flavio Tosi e il capogruppo di Fi in Consiglio comunale, Deborah Onisto. Ai varchi, dove i flussi di entrata scorreranno in modo fluido e senza ingorghi – ha assicurato Zuin – il personale incaricato dal Comune effettuerà controlli a campione per verificare il versamento del contributo d'accesso fissato per ora in 5 euro a persona. Previste per i trasgressori multe da 50 a 300 euro. Carta d'identità e Qr code Ai veneziani basterà esibire, nel caso, a richiesta, la carta di identità, mentre chi viene a Venezia per un giorno, innanzitutto i turisti escursionisti, dovrà prenotare la visita su un sito attivato dal Comune dove potrà scaricare il codice Qr che sarà chiamato ad esibire su richiesta per dimostrare l'effettivo pagamento anticipato del ticket. Dovranno prenotarsi anche gli esenti dal pagamento del
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contributo, e cioè chi studia o lavora a Venezia, facendo il pendolare, i turisti soggiornanti in città che già pagano l'imposta di soggiorno, chi viene per visite mediche, udienze in tribunale o anche eventi sportivi. E anche chi paga l'Imu al Comune su un'abitazione, e dunque i proprietari di seconde case. Il caso dei veneti «Confermiamo l'esenzione dal pagamento del ticket di tutti i veneti», ha detto ieri Zuin, «ma anche loro dovranno prenotare la visita, e in assenza di codice Qr di esenzione, saranno multati come i turisti inadempienti». Possibili, ma meno frequenti, saranno i controlli a campione in città. Partirà nei prossimi mesi anche una campagna di informazione a livello internazionale estesa ai tour operator che spiegherà l'istituzione del contributo di accesso presentandolo – come ha spiegato ieri Zuin – come un modo per contribuire alla salvaguardia di una città fragile come Venezia. la soglia e l'esempio dei 100 mila «Già conosciamo il numero dei residenti e possiamo verificare anche il numero dei turisti pernottanti», ha spiegato l'assessore al Bilancio, «ma con l'introduzione del ticket su prenotazione potremo avere dati certi anche sul numero dei giornalieri che affluiscono a Venezia per poter poi partire con la seconda fase, quella definitiva, dell'adozione del contributo d'accesso». Sarà fissata così anche la soglia della cosiddetta capacità di carico della città, che sarà significativamente più alta di quella individuata dagli studi di Ca'Foscari che parlava di circa 50 mila escursionisti al giorno. Pur riservandosi di stabilirla ieri l'assessore ha parlato ad esempio di centomila presenze. «Dobbiamo anche decidere se introdurre il ticket tutto l'anno o solo ampliare significativamente il numero delle giornate di adozione rispetto alle 30 attuali», ha sottolineato Zuin, «e la sperimentazione servirà anche a questo. Ma, ad esempio, potremmo decidere di far pagare 3 euro fino a una soglia di 100 mila presenze giornaliere e chiedere il pagamento massimo di 10 euro per chi decide di venire a Venezia oltre questa soglia. Venezia resterà comunque una città aperta e non potrebbe essere altrimenti, non possiamo impedire alle persone di venire a visitarla». Salvaguardia e Tari più bassa L'assessore al Bilancio ha chiarito anche come verranno utilizzati gli introiti del contributo di accesso alla città. «Non lo istituiamo per fare cassa, ma per controllare meglio i flussi turistici», ha detto, «e non a caso si chiama contributo e non tassa. Nella prima fase sperimentale i costi saranno sicuramente superiori rispetto alle entrate. Poi, a regime, pensiamo di utilizzare le risorse del contributo d'accesso in due modi. Una metà sarà impiegata per la riduzione della Tari, la tassa sui rifiuti, per i residenti, che a Venezia è particolarmente alta proprio perché legata anche alla raccolta dei rifiuti provocati dai turisti, soprattutto giornalieri. L'altra metà verrà invece impiegata per la salvaguardia della città». Il Comune dovrà fare tutto da solo per la riscossione del contributo e i relativi controlli perché si è rivelato impossibile "scaricare" sui vettori di trasporto, a cominciare da Trenitalia, la verifica del pagamento dei propri passeggeri. —
ANNIVERSARIO VAJONT Corriere delle Alpi | 1 ottobre 2023 p. 15 Alta formazione in geologia: lanciata l'idea di una scuola LONGARONE Una scuola superiore di geologia. Magari come eredità del 60° anniversario del Vajont. La chiederà il sindaco di Erto Casso, Fernando Carrara, in occasione della visita, sulla diga, del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 9 ottobre, alla presenza anche dei presidenti delle Regioni Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. La proposta l'ha anticipata all'assemblea del Consiglio nazionale dei geologi italiani, svoltasi venerdì e ieri a Longarone. La prospettiva è stata condivisa dal sindaco Roberto Padrin. «È importante ricordare, commemorare, continuare ad analizzare, ma bisogna portare avanti anche dei progetti», ha detto Padrin ieri ai geologi al Centro Parri. «L'alta formazione in geologia, rispetto in particolare al tema della sicurezza per quanto riguarda le dighe, potrebbe essere al centro di corsi da realizzare proprio in questo territorio». I geologi si sono annotati, studieranno la proposta e la discuteranno anche con i competenti ministeri. Col nuovo Codice dei contratti pubblici, infatti, queste figure professionali assumono ruoli più puntuali, finalizzati in particolare alla pianificazione, per farvi entrare i criteri della sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Intanto, ieri mattina, dopo un ultimo momento di condivisione di alcune analisi si sono recati lassù, alla diga. I geologi si sono portati dall'altra parte, spesso in silenzio, poi condividendo alcune riflessioni. Viva commozione nel momento di far memoria delle 1.910 vittime e in particolare delle 487 sotto i 15 anni. «Un'opera giusta, questa diga, ma costruita nel posto più sbagliato», hanno condiviso. Il tema è stato affrontato anche a margine di un convegno a Padova, col ministro Nello Musumeci, Protezione civile, e il viceministro all'ambiente, Vania Gava. L'assessore regionale Giampaolo Bottacin, al riguardo del Vajont, ha rilanciato quanto affermato al convegno con i geologi. «Sento addirittura dire che i piani di Protezione civile dovrebbero adeguarsi ai piani urbanistici e non, come presumevo fosse evidente, viceversa. Di fronte a ciò mi viene davvero da pensare che spesso manchi la cultura della sicurezza. Senza se e senza ma, quando il rischio è l'incolumità pubblica non vi possono essere posizioni ideologiche o di qualsivoglia opportunità che tengano». — francesco dal mas
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DIGA DEL VANOI Corriere delle Alpi | 6 ottobre 2023 p. 31 La Provincia boccia la diga sul Vanoi «Opera pericolosa per il territorio» Laura Milano / lamon Tornato sulla ribalta con soldi pronti da spendere, il progetto di sbarramento del torrente Vanoi per la realizzazione di un invaso "sopra la testa" di Lamon, Cinte Tesino e Canal San Bovo, è stato bocciato all'unanimità dalla Provincia di Belluno. Il consiglio provinciale ha approvato un ordine del giorno contro il progetto avanzato dal Consorzio di bonifica Brenta per un bacino artificiale sul Vanoi, tra il Bellunese e il Trentino, con ripercussioni soprattutto sulla zona di Lamon. Cosa di cui sono consapevoli i lamonesi che si mobilitano con il sindaco Loris Maccagnan, presente alla seduta. Il progetto dell'impianto del Vanoi, proposto dal Consorzio di bonifica Brenta, prevede la realizzazione di una diga alta 116 metri e la creazione di un lago artificiale da 33 milioni di metri cubi d'acqua. Il cantiere avrebbe una durata di 60 mesi, per un utilizzo di 245 mila metri cubi di calcestruzzo. Nei giorni scorsi anche Feltre, all'unanimità, ha approvato un documento proposto dal centrosinistra con il capogruppo e segretario provinciale del Pd Alessandro Del Bianco, sintetizzato in commissione e fatto proprio dal presidente Ennio Trento a nome di tutto il consiglio. A presentare l'ordine del giorno della Provincia, è stato ieri il consigliere Simone Deola, delegato all'ambiente, con un excursus storico che costituisce la premessa della delibera. «Ogni vicenda fa storia a sé, ma non possiamo non associare il progetto del Vanoi alla diga del Vajont», ha detto Deola. «Si tratta di un progetto che viene riproposto da almeno un secolo: la prima volta fu nel 1922, poi di nuovo nel 1955 e di seguito fino a oggi, quando è stato ripresentato con una forte accelerazione data dalla possibilità di utilizzare i fondi Pnrr. Viene proposto come bacino collegato al contrasto della siccità, tanto che la Regione del Veneto lo ha inserito al primo posto tra le richieste al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per quanto riguarda i finanziamenti Pnrr. Ma la stessa Provincia di Trento ha evidenziato l'estrema pericolosità nell'avventurarsi in un'opera di questo tipo, dato che gran parte del territorio interessato dall'invaso si trova in area a rischio idrogeologico 4, il massimo della scala». Si è ricordato che nello studio di pre-fattibilità ambientale i progettisti arrivano alle conclusioni, riportate nero su bianco, che "i Comuni montani che vedranno insistere nel proprio territorio la diga ne riceveranno gli effetti negativi connessi alla modificazione dell'ambiente naturale e all'incremento delle misure di sicurezza a fronte di possibili incidenti", come si evidenzia nella relazione. «Un progetto che la prima volta venne presentato dalla Sade, la stessa che poi realizzò la diga del Vajont», ha aggiunto il consigliere Paolo Perenzin. «Non è un caso che abbiamo convocato questo consiglio a pochi giorni dal 9 ottobre, anniversario del Vajont: non è possibile commemorare le stragi del passato, pensando che il presente sia una cosa diversa. Non si possono commettere gli stessi errori». I rischi connessi all'invaso del Vanoi sono di gran lunga superiori ai benefici, questa la sintesi del presidente della Provincia, Roberto Padrin. «Da sindaco di Longarone, a pochi giorni dal 9 ottobre, non posso non considerare la mobilitazione dei cittadini di Lamon, giustamente allarmati per la riproposizione di questo nuovo progetto che ha inevitabilmente dei parallelismi storici tristemente noti nel nostro territorio». Le strategie e le alternative per combattere la siccità ci sono. Nell'ordine del giorno, infatti, si sottolinea la richiesta agli enti preposti di eseguire i lavori di manutenzione, pulizia e sghiaiamento degli attuali bacini artificiali esistenti. Cosa che sollecita da anni il sindaco di Sovramonte, Federico Dalla Torre, per quanto riguarda Ponte Serra e il lago del Corlo, chiamando in causa Regione e Provincia, affinché si provveda allo sghiaiamento della diga «secondo un progetto che giace ancora dal 2010». — Corriere del Veneto | 11 ottobre 2023 p. 4, edizione Treviso - Belluno Vanoi, la diga contestata Quanto costa, dove si fa e perché il Veneto la vuole ? Lo spettro del Vajont sul nuovo invaso contro la siccità venezia L’ultima stoccata l’ha data Roberto Padrin, presidente della Provincia di Belluno e sindaco di Longarone, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, due giorni fa, commemorando i quasi duemila morti del Vajont nel sessantesimo anniversario della tragedia. Pur senza nominarla, Padrin ha chiesto che «si abbandonino progetti che possono portare ad altre tragedie come questa». Il riferimento, evidente, è alla diga del Vanoi che il Veneto ha inserito, a maggio (con il nuovo commissario per l’emergenza siccità, il veneto Nicola Dell’Acqua), in cima alle opere strategiche per combattere la siccità. Poco dopo, all’ombra della diga del Vajont il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha detto che il progetto del Vanoi «è stato ereditato», che si stanno «raccogliendo informazioni», che «decideranno i tecnici» e che non si procederà «se non con un livello di sicurezza totale». Non una marcia indietro, ma quasi.
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Di che si tratta Di una diga su quella valle stretta in cui scorre il torrente Vanoi, cucendo insieme Trentino e Veneto, si parlava già cent’anni fa, negli anni Venti del ‘900. Dopo la grande alluvione del 1966 l’ipotesi inizia a prendere nuovamente corpo ma come opera di contenimento di future piene in pianura del fiume Brenta, dato che il Vanoi è un affluente del Cismon, che a sua volta lo è del Brenta. L’opera viene inserita fra quelle analizzate dalla storica «Commissione De Marchi» ma non si arriva a nulla, neppure sulla prima versione che prevedeva di creare, con lo sbarramento della diga, un invaso da 17 milioni di metri cubi d’acqua. Il progetto attuale ne prevede oltre 33 (il Vajont a pieno regime sarebbe arrivato a 168). Il meccanismo, però, è lo stesso. A nord dell’abitato di Lamon, in Veneto, si vuole costruire una diga alta 123 metri (quella del Vajont è alta 262) per dare origine a un invaso che si allungherebbe quasi tutto in Trentino, invadendo completamente la Val Cortella, nella zona compresa fra i comuni di Cinte Tesino e Canal San Bovo. Una prospettiva che ha fatto salire sulle barricate le associazioni ambientaliste, Italia Nostra in testa, ma anche i territori coinvolti e persino la Provincia Autonoma di Trento guidata dal leghista Maurizio Fugatti. Il suo vice che ha anche la delega all’Ambiente, Mario Tonina, (già protagonista di continue scaramucce estive sul salvataggio dell’arida pianura veneta con gli invasi trentini) a giugno è stato lapidario: «Che si riparli di una diga sul Vanoi lo apprendo dai giornali, con il Veneto ne abbiamo parlato nel 2019 e abbiamo espresso la nostra ferma contrarietà. Da allora non è cambiato nulla». A che punto siamo Il Veneto ha ottenuto che il ministero dell’Agricoltura pagasse la progettazione dell’opera con 912 mila euro e ha già chiesto il finanziamento dell’opera al Mit, Infrastrutture e Trasporti, per un totale stimato in 150 milioni di euro. Lo scorso 22 dicembre la Regione Veneto ha approvato l’affidamento del progetto esecutivo al Consorzio Brenta, il consorzio di bonifica che gestirebbe l’invaso artificiale con il suo tesoro d’acqua nei mesi più siccitosi garantendo, peraltro, anche la navigabilità del Naviglio del Brenta ormai a rischio nei mesi estivi. Ma quanto parliamo di progettazione dobbiamo intenderci. Proprio dalla ferita sanguinosa del Vajont, la normativa si è evoluta significativamente. Se quando si costruiva tra Erto e Casso non era richiesta alcuna analisi geologica, negli anni successivi veniva richiesta anche se successiva al progetto stesso e oggi, nel nuovo codice degli appalti, a fronte di un’idea progettuale di un intervento che modifica pesantemente un ambiti naturale, l’analisi geologica dev’essere contestuale e vincolante. E per la diga del Vanoi si è proprio in questa fase, la valutazione se le pendici di roccia che racchiudono la stretta valle incisa dal torrente siano a rischio crollo come accadde per il monte Toc sul Vajont. I comitati trentini per la difesa della valle segnalano che già negli anni scorsi ci sono stati crolli e piccole frane. L’allerta, insomma, è massima. Lo spettro del Vajont fa paura. Poi c’è il «no» irremovibile dei trentini che risuona ai tavoli con il Veneto da più di 50 anni. Un po’ come per il prolungamento a Nord della Valdastico, i rapporti di vicinato con la Provincia autonoma e, ancor prima, con i battaglieri valligiani trentini, non sono semplici. Con buona pace dello stesso colore politico delle due giunte (anche se Trento è prossima al voto provinciale). E per poter procedere alla costruzione di una diga che pur su suolo Veneto, finirebbe per allagare un’intera valle trentina, il via libera di Trento è ovviamente una condizione imprescindibile. Gli scenari e le alternative Il pressing veneto sul Vanoi affonda le sue radici in un incubo tutto sommato recente, quello della siccità che ha flagellato la pianura negli ultimi due anni, non solo d’estate. Il consiglio dei trentini è: «Usate le cave abbandonate per fare gli invasi in pianura e sprecate meno acqua». Quello del professor Luigi D’Alpaos è implicito: «Come al solito la montagna si sacrifica per la pianura?». Corriere delle Alpi | 17 ottobre 2023 p. 17 Zaia cancella l'idea diga di Vanoi «Mai più opere non sicure» il caso «Il monito del Vajont ci serva per capire che non dobbiamo mai più fare opere che non sono sicure». Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, si trova davanti al Cimitero delle Vittime del Vajont a Fortogna mentre pronuncia queste parole rispetto a un'altra diga, che ancora non c'è, ma che è in corso di valutazione: quella sul Vanoi. Ad inserire la diga del Vanoi, in comune di Lamon, al primo posto tra le opere venete a contrasto dell'emergenza siccità è stata proprio la Regione nel suo elenco inviato al governo e soprattutto al commissario straordinario Dall'Acqua, una scelta contestata e contrastata dalla Provincia autonoma di Trento, dove ricadrebbe il lago, dalla popolazione, dai comitati, da alcuni partiti a iniziare dal Pd e in questi giorni anche dai Comuni bellunesi che hanno già portato la mozione in consiglio. Nonostante l'opera sia inserita in un elenco regionale, Zaia afferma dunque di essere contrario, ma anche di avere un potere limitato rispetto a certe decisioni: «Sul Vanoi non c'è nulla, in realtà. Quando ti chiedono di fare la lista della spesa ci metti dentro tutto e quel progetto era finanziato. Non c'entra quello che penso io. Sarebbe veramente grave se un amministratore dicesse "questo sì, questo no", non sono gli amministratori a poter scegliere quali opere fare e dove farle». Indirette, ma mirate, le parole del portavoce dell'opposizione in consiglio regionale, Arturo Lorenzoni: «È doveroso essere qui, oggi, a Longarone e deve servire da monito: abbiamo l'umiltà di non ritenerci padroni del mondo e della natura. Solo così sapremo tenere alto il rispetto per le migliaia di morti. Il dramma del Vajont riportò al centro dell'attenzione la necessità di tenere al primo posto il rispetto per il territorio e le sue fragilità. Un avvertimento tutt'oggi attualissimo. Abbiamo capito meglio quanto sia fragile l'ambiente in cui viviamo, in primo luogo per le sollecitazioni che diamo alla stabilità del clima».
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L’Adige | 25 ottobre 2023 p. 36 Diga del Vanoi, scontro con Roma FLAVIA PEDRINI PRIMIERO Incoronato presidente della Provincia per il secondo mandato, il governatore Maurizio Fugatti ha potuto contare sul supporto del vicepremier e segretario nazionale della Lega, Matteo Salvini, che nelle ultime settimane ha battuto le valli trentine per mostrargli il suo sostegno. Ed anche la premier Giorgia Meloni ha voluto complimentarsi con il governatore trentino per la sua rielezione. Ma, a poche ore dai brindisi e dalle promesse di collaborazione, il rapporto con Roma non appare dei migliori. Ad innescare lo scontro un'opera alla quale, da tempo, il Trentino ha detto chiaramente di no, ovvero la diga del Vanoi. Al braccio di ferro già in corso con il Veneto, che ritiene l'invaso fondamentale, se ne aggiunge ora un altro. A causare la levata di scudi trentina è il rifiuto da parte del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste di fornire a piazza Dante i documenti amministrativi relativi all'opera "Serbatoio del Vanoi - Realizzazione di un invaso sul torrente Vanoi e tutela dell'irrigazione nel Comprensorio di Bonifica Brenta», finanziata con decreto ministeriale del 21 luglio 2022. Per questo, nella sua ultima seduta, la ex giunta provinciale ha deciso di promuovere un ricorso alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi contro il Ministero dell'agricoltura - nel mirino c'è la nota inviata lo scorso 28 settembre dal Dipartimento delle politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale - contestando il diniego che è stato opposto. «Posto che l'invaso sul torrente del Vanoi ricadrà per la maggior parte sul territorio provinciale e considerate le competenze riconosciute dallo Statuto alla Provincia autonoma di Trento - si legge nel provvedimento - l'Agenzia provinciale per le risorse idriche e l'energia ha chiesto, in particolare, di ricevere copia della documentazione istruttoria relativa all'assegnazione del finanziamento». Gli atti che la Provincia ha chiesto di potere ottenere sono molteplici: la domanda di finanziamento, le dichiarazioni e gli impegni assunti dal Consorzio di Bonifica Brenta; la documentazione presentata dal Consorzio di Bonifica Brenta, la verifica dei requisiti e dei criteri di ammissibilità, l'elenco dei fabbisogni dei Distretti idrografici individuati nei Piani di gestione relativi al periodo 2015-2021. E ancora i punteggi assegnati al progetto, le note inviate il 3 novembre 2021 con le quali la Commissione di valutazione e selezione ha trasmesso i verbali riportanti gli esiti della fase di valutazione finale delle proposte dichiarate ammissibili ed in particolare le note con le quali sono stati trasmessi i quadri economici ed i punteggi dei singoli consorzi.Ma la richiesta della Provincia è stata respinta. Da Roma, come ricostruisce la delibera, hanno replicato che «la mancanza di in un interesse diretto, concreto e attuale in capo alla Provincia autonoma di Trento deriva dal fatto che la Provincia potrà in ogni caso beneficiare della fase di dibattito pubblico prevista dall'articolo 22 del Codice dei contratti pubblici». In questa fase, secondo il Ministero, piazza Dante non potrebbe rivendicare alcun diritto di accesso agli atti, non avendo «un interesse diretto», visto che «è stata finanziata la sola iniziativa progettuale e non sono state allocate risorse per la realizzazione dell'opera». Di tutt'altro parere la Provincia che, ritenendo «non fondati» i motivi, ha deciso di autorizzare il dirigente dell'Agenzia provinciale per le risorse idriche e l'energia alla sottoscrizione del ricorso. Perché, se è vero che il muro - 116 metri di altezza - si trova in territorio bellunese, il bacino ricadrebbe catastalmente tra Canal San Bovo e Cinte Tesino. E dunque, non solo la Provincia ritiene legittima la richiesta di accesso agli atti, ma nei mesi scorsi - per voce dell'ex vice presidente della Provincia, Mario Tonina - era stata chiara: «Il Veneto fermi il progetto, senza l'ok trentino non si costruirà nulla».
GLI EFFETTI DELLA CRISI CIMATICA SULLE DOLOMITI Corriere delle Alpi | 15 ottobre 2023 p. 15, segue dalla prima Crolli accelerati e più frequenti «Sono gli effetti del caldo in quota» Francesco Dal Mas / BELLUNO «I crolli sulle Dolomiti ci sono stati da sempre, però mai così numerosi. E soprattutto mai così accelerati». Parola di Alberto Carton, geomorfologo. Quindi? «Quando si va in montagna e si cammina sotto le pareti bisogna avere la consapevolezza che qualche sasso può caderci in testa». Dunque prudenza, tanto più in periodi stagionali di così intensa e prolungata frequentazione come l'estate scorsa. Il geologo Pietro Gianolla, che lo sta ascoltando, annuisce e aggiunge: «Anche i ghiacciai, con questo clima, possono avere dei distacchi più frequenti». Che cosa vuol dire? «Ad esempio che il crollo sulla Marmolada può ripetersi. Soprattutto se la calotta di ghiaccio è appiccicata in parete, come lo era quella del tragico crollo». Siamo a Palazzo Bembo, per un importante momento di confronto organizzato dalla Fondazione Dolomiti Unesco, partner di Oltre le Vette e del nuovo progetto La Scrittura delle Rocce. L'appuntamento "Ghiaccio/roccia la crisi climatica sulle Dolomiti" ha il compito di ricercare le tracce delle crisi climatiche del passato e degli effetti di quella, molto più accelerata, di oggi. Si discute di fusione dei ghiacciai, crolli, colate detritiche, eventi estremi, ma anche di una montagna da continuare ad abitare, percorrere, vivere.
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«Sto frequentando le Dolomiti da 40 anni e non ho mai constatato tanti crolli come accade da qualche tempo», testimonia Carton, che è docente all'università di Padova. Lo studioso si sofferma sul permafrost, precisa che ogni parte rocciosa fa storia a sé, ma ricorda che lo zero termico si è alzato negli ultimi decenni almeno di 500 metri, per cui il permafrost ne risente. Con quali effetti? Un solo esempio: nel territorio delle Dolomiti Unesco i ghiacciai sono aumentati negli ultimi 20 anni da 50 a 65. Ma la loro superficie complessiva si è più che dimezzata, è infatti scesa da 11 kmq a 5. Il che significa che questi depositi glaciali, spesso misti, cioè anche nivali, di piccole dimensioni, anzi micro, si stanno frazionando e scompaiono sotto i detriti. Come si degradano i ghiacciai, analogo processo subiscono le pareti dolomitiche a causa del processo di de-permafrostizzazione. Al consulto quasi "medico" sulla montagna Unesco hanno partecipato ieri mattina anche il geologo della Provincia di Belluno, Franco Fiamoi, e la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela. L'assessore comunale alla cultura, Raffaele Addamiano, per richiamare al dovere della responsabilità quale presupposto – come ha specificato – della corresponsabilizzazione, è stato severo nell'analisi, ricordando i 3 gradi di aumento della temperatura in soli 120 anni, i due terzi della superficie di ghiacciai persa dalle Dolomiti in 200 anni, le emergenze che si sono succedute dopo Vaia. Col bostrico, ad esempio, che ha proliferato grazie alle temperature sempre più tropicali. La direttrice Nemela ha introdotto i relatori e tra questi il geologo Fiamoi che ha spiegato come ad una corretta comprensione della crisi climatica e dei suoi effetti possono contribuire anche nuovi strumenti quali il portale del Dolomites World Heritage Geotrail, realizzato dalla Rete del Patrimonio Geologico della Fondazione Unesco le cui spettacolari foto immersive hanno accompagnato il dialogo tra gli studiosi. Il valore del Patrimonio geologico – ha ricordato Fiamoi – è stato determinante per il riconoscimento Unesco. Al termine della mattinata a Palazzo Bembo, abbiamo chiesto a Gianolla quali possono essere le conseguenze pratiche di questa evoluzione climatica. Se lei fosse un amministratore locale o regionale – è stata la domanda precisa – finanzierebbe un impianto di risalita? E se fosse alla guida di una società impiantistica, le nuove piste a quale quota le attiverebbe? «Intanto non farei impianti e soprattutto piste a sud, dove batte il sole. Non le farei neppure sotto una certa quota, i 1550-1700 m. Mi comporterei, insomma, come i governanti in Svizzera e in Austria, che permettono insediamenti molto in alto. E questo perché», prosegue Gianolla, «non sarebbero impianti convenienti nemmeno da un punto di vista economico. Se fossi un imprenditore, insomma, prima di investire milioni per fare attività con la neve o che abbisognano d'acqua, ci penserei non solo due volte. Semmai immaginerei uno sviluppo della montagna più sostenibile». Ma le piste da sci ci sono – ribattiamo – e da esse dipende l'economia di intere valli. Contro obiezione: «Diventerà, però, sempre più complicato gestirle. Non è un problema solo di neve ma anche dell'acqua. Bisogna pensare in avanti e non solo per i cinque anni di un mandato da sindaco o da amministratore regionale. 80 milioni di sicuro non li investirei, nelle condizioni date, per nuovi collegamenti tra Cortina ed il Civetta o la Val Badia». — Corriere delle Alpi | 15 ottobre 2023 p. 16 «Il clima è sempre cambiato Ma mai così velocemente» «Le Dolomiti sono un incredibile archivio geologico, raccontano una storia lunghissima, che comprende diverse crisi biotiche, legate solitamente ai cambiamenti climatici e all'aumento dell'anidride carbonica». Ma la crisi attuale? «È sotto gli occhi di tutti, specie sulle Dolomiti, con una differenza rispetto a quelle del passato: è un'accelerazione fuori scala che, naturalmente, non appartiene nemmeno alla memoria collettiva delle comunità locali; anche per questo è difficile far comprendere la necessità di cambiare i nostri stili di vita». Ce ne parla Piero Gianolla, ordinario di Geologia dell'Università di Ferrara e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco. Le Dolomiti, dicono i più, sono il risultato fortunato dei cambiamenti climatici, che dunque ci sono sempre stati... «È vero, mai però con questa accelerazione. Cinque anni fa la tempesta Vaia, poi il bostrico, la siccità, e ancora le alluvioni. In soli 5 anni. E ancora: i distacchi dei ghiacci, i crolli delle pareti. Che cosa vogliamo di più?». Lei ad "Oltre le vette" ha presentato uno studio. Che cosa dimostra? «Da una ventina d'anni, anche di più, stiamo studiando questo episodio di 'perturbazione climatica' che è registrata nel sistema delle Dolomiti del Carnico. Si chiama "Cpe", nella nostra sigla, che significa "Evento pluviale carnico' Scoperto in Inghilterra, l'abbiamo sviluppato molto nelle Dolomiti. È registrato in quella cengia che si vede alle basi delle grandi pareti, davanti alle Tre Cime, sul Civetta, sul Pelmo. Cengia che può essere giallastra, ma anche rossa… L'ha presente?" Sì. Ma quali segreti vi sono nascosti? «Quella cengia l'abbiamo studiata con l'Università di Ferrara, di Padova, con il Cnr e poi in tante altre Università nel mondo. Abbiamo dunque identificato (usi pure questo verbo) che all'inizio della crisi c'è una perturbazione del ciclo del carbonio». Che vuol dire? «Che aumenta l'anidride carbonica in atmosfera. E a questo aumento corrisponde tutta una serie di fenomeni: cresce la temperatura, aumenta l'acidità dell'acqua e vanno in crisi determinati organismi vivi. Aumenta pure il ciclo idrogeologico, quindi piove di più. E praticamente andiamo a creare una grande piana su cui poi successivamente inizierà una nuova storia. Questa è una cosa di cui ci siamo resi conto qui nelle Dolomiti e poi è stata riconosciuta in tutto il mondo. È un evento globale a cui corrispondono poi eventi importanti, per esempio la diversificazione dei dinosauri che parte da quel momento lì, compaiono i primi mammiferi, cambiano completamente le flore».
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Ma che cosa vuole significarci? «Anche oggi siamo in presenza di un cambiamento climatico importante associato a un aumento della C02, quindi alla crescita della temperatura e dell'acidificazione, oltre alla crisi degli ecosistemi». E poi inizierà una nuova vita? Come dobbiamo comportarci? «Quello che sta succedendo adesso è molto simile, anche se cambia la velocità. Per quel che ci riguarda dobbiamo cercare non tanto di stoppare l'evoluzione (o l'involuzione), che è impossibile, ma ridurre l'aumento della temperatura prima che succedano tutta una serie di processi che si autoalimentano e mandano tutto in crisi. Dobbiamo fermarci prima che questo avvenga. È una sfida importante, dobbiamo far sì che l'aumento della temperatura sia al massimo di 2 gradi. Oggi siamo a 3 gradi». Il presidente del Cio, Thomas Bach, ha detto l'altro ieri che i cambiamenti climatici renderanno difficili in futuro le Olimpiadi invernali. Ha dunque ragione? «Questo è un pensiero importante soprattutto per i nostri amministratori su come deve essere lo sviluppo della montagna, perché è evidente che di neve ce ne sarà sempre meno verosimilmente. Adesso stanno aumentando i bacini artificiali. Ma anche l'acqua è un problema e quindi di conseguenza forse va ripensato il modello di sviluppo». — Corriere del Veneto | 15 ottobre 2023 p. 10, edizione Treviso-Belluno I geologi: «Il clima è cambiato, sulle Dolomiti serve prudenza» Il focus degli esperti: fenomeni sempre più accelerati, difficile prevedere i crolli improvvisi di roccia e ghiaccio com’è successo sulla Marmolada Dimitri Canello BELLUNO «La crisi climatica sulle Dolomiti». Un argomento attuale, quello sullo stato di salute dei ghiacciai delle nostre montagne, dibattuto ieri a Palazzo Bembo in un convegno organizzato nell’ambito del Festival «Oltre le Vette» da diversi studiosi. «Un’occasione importante per parlare di adattamento alla crisi climatica da molti punti di vista — afferma la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, Mara Nemela — le Dolomiti ci offrono la possibilità di cogliere le trasformazioni scolpite nella roccia dal tempo, osservando le stratificazioni, toccando un’ammonite, ascoltando il movimento di un ghiaione. Oggi è fondamentale imparare a leggere il paesaggio in mutamento perché è una chiave di interpretazione della realtà». I cambiamenti climatici che coinvolgono anche i ghiacciai ricordano, secondo Nemela, la grande estinzione di massa di 240 milioni di anni fa, a cavallo tra i periodi geologici Permiano e Triassico. «Ci sono analogie con quello che sta accadendo — evidenza — I fenomeni di allora assomigliano molto al surriscaldamento globale attuale. Le Dolomiti sono lo specchio del nostro clima, la lettura del loro valore geologico è impagabile. Sono uno scrigno di informazioni e di indicazioni. Assieme a tre diversi geologi, abbiamo ripercorso fenomeni catastrofici del passato che dovrebbero insegnarci tanto anche nel presente». Alberto Carton, geomorfologo dell’Università degli Studi di Padova, ha un’idea ben precisa, che spiega con dovizia di dettagli. «Il focus è capire come cambia la montagna, di pari passo con i mutamenti climatici. L’innalzamento delle temperature e la penuria di precipitazioni portano al degrado della criosfera e alla sparizione dei ghiacci nelle zone a permafrost (il terreno gelato che, normalmente non si scioglie mai, Ndr )». In un contesto simile, con questi fenomeni, anche per i geologi diventa difficile prevedere crolli improvvisi di ammassi di roccia. «Uno dei pochi vantaggi che ancora abbiamo — aggiunge Carton — è che i nostri ghiacciai sulle Dolomiti sono molto piccoli, a differenza di quelli sulle Alpi occidentali. Il rilascio improvviso di grandi quantità d’acqua, però, può provocare crolli di ammassi di roccia, con grosse fette di versante della montagna che possono rovinare più in basso». Come purtroppo successo l’anno scorso sulla Marmolada. Anche le Dolomiti soffrono il cambiamento climatico. «Un fenomeno ciclico – chiosa Carton – c’è sempre stato, ma l’uomo ha dato un’accelerazione importante, che sta velocizzando il tutto in modo preoccupante». Chiude Franco Fiamoi, geologo del servizio Ecologia della Provincia di Belluno e membro della Rete del Patrimonio Geologico della Fondazione Dolomiti Unesco. «Per le nostre montagne — spiega — L’importanza della conoscenza della geologia è fondamentale. La fragilità delle Dolomiti non è solo un limite, ma un valor e». Corriere delle Alpi | 17 ottobre 2023 p. 23 Cambiamento climatico: la montagna sotto la lente di scienziati e alpinisti ambiente Indagare gli effetti del riscaldamento globale sulla montagna e sulla sua frequentazione. È l'obiettivo del convegno nazionale che sabato vedrà confrontarsi a Feltre climatologi, alpinisti, operatori della montagna, sotto l'egida del Club alpino accademico italiano, la sezione del Cai dedicata alla promozione dell'alpinismo ad elevato livello di difficoltà ma impegnata anche sul fronte della conservazione dell'ambiente montano.
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Un confronto, quello in programma a Palazzo Bianco sabato dalle 14, che vedrà intervenire protagonisti di primo piano a livello nazionale. A partire dal coordinatore dei lavori Maurizio Fermeglia – già Magnifico Rettore dell'Università di Trieste, alpinista, accademico del Cai, istruttore di alpinismo e sci alpinismo, membro del Soccorso alpino – e dal moderatore Carlo Barbolini, alpinista e manutentore di bivacchi. Sabato pomeriggio, dunque, si inizierà ad inquadrare il tema del riscaldamento globale e del suo impatto sul pianeta con Roberto Valenti del Caai, con il climatologo e fisico dell'atmosfera Filippo Giorgi dell'Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) e dell'Icpt (Centro internazionale di fisica teorica) di Trieste. L'ex Rettore dell'università di Trieste Maurizio Fermeglia interverrà quindi sul tema "Le cause del riscaldamento globale: produzione di energia oggi e domani". Non mancherà l'intervento dello scienziato feltrino Carlo Barbante, docente all'università Ca' Foscari di Venezia e direttore dell'Istituto di scienze polari del Cnr, che parlerà degli effetti del riscaldamento globale sul piano della fusione dei ghiacciai e del permafrost. Analisi scientifiche sul fenomeno del riscaldamento globale che serviranno da base per innescare il confronto sugli effetti sulla montagna e sulla sua fruizione. Effetti che già da tempo hanno iniziato ad essere evidenti sull'innevamento e sull'andamento climatico in quota. Sarà così Paola Favero del Gism (Gruppo italiano scrittori di montagna), ex forestale e già comandante dell'ufficio per la biodiversità di Vittorio Veneto a cui fanno capo le foreste bellunesi, a parlare sul tema "Gli effetti del riscaldamento globale su boschi e foreste". Silvia Stefanelli del Caai, impegnata in prima fila sul fronte del cambiamento climatico come Climate policy officer per la Regione Friuli Venezia Giulia, farà invece il punto sulle azioni possibili a livello globale e a livello locale per contrastare la crisi climatica. Crisi che si ripercuote anche sulle modalità di frequentazione e di fruizione della montagna da parte degli appassionati. Ne parleranno Carlo Barbolini, trattando il tema delle criticità dei bivacchi legate al riscaldamento globale, e gli alpinisti Claudio Inselvini, Nives Meroi e Romano Benet, che faranno il punto sulle trasformazioni che toccano l'alpinismo a causa del mutamento climatico in atto. Il convegno di sabato, sostenuto dal Comune, dal Cai di Feltre, da Karpos e da Vertical sport, è ad ingresso gratuito e tutti sono invitati. — Corriere delle Alpi | 26 ottobre 2023 p. 15 «Ora i cambiamenti climatici ci impongono più prevenzione» BELLUNO C'è da accontentarsi dei 2527 cantieri? «Assolutamente no – risponde l'assessore alla protezione civile Giampaolo Bottacin –. In Veneto lo 0,1% della popolazione è esposta a rischio elevato frana contro un valore nazionale dello 0, 7 per cento. Se calato sulla provincia di Belluno il dato vale l'1,3 per cento della popolazione. Rispetto al rischio allagamento in regione l'8,7 per cento della popolazione risulta a "rischio elevato" contro un dato nazionale del 4, 1%. Il dato relativo alla provincia di Belluno è del 3 per cento. Ebbene, l'obiettivo della Regione negli ultimi anni è stato quello di ridurre questa quota di rischio. Sono stati investiti in Veneto 1,5 miliardi di euro per interventi di difesa del suolo (bacini di laminazione, consolidamenti arginali, stabilizzazione frane, ecc) con 320 milioni di euro investiti in opere di manutenzione. Il nostro piano di adattamento ai cambiamenti climatici» continua Bottacin «prevede investimenti nella difesa del suolo pari a 3,5 miliardi di euro complessivi. Ciò significa che se abbiamo già realizzato opere per 1,5 miliardi, dobbiamo ancora realizzare numerosi altri interventi». Ma, secondo Bottacin, la strada intrapresa è quella giusta, tanto che nel 2018 e nel 2020 abbiamo registrato picchi di precipitazione superiori a quelli del 2010 e non si sono avuti gli stessi danni, dimostrando che le opere realizzate sono efficaci. «Purtroppo la burocrazia a le costanti contestazioni a opere salvavita non aiutano» aggiunge l'assessore, facendo riferimento all'anno tema delle casse di espansione sul Piave a Ciano del Montello. In occasione di Vaia il Veneto ha dato una lezione di Protezione civile all'Italia. E ciò è stato possibile grazie all'attività silenziosa ma costante – afferma ancora l'assessore – di tutto il sistema di Protezione civile che in Veneto ha raggiunto valori di assoluta eccellenza negli ultimi anni, sistema al quale voglio esprimere un grandissimo ringraziamento. «I cambiamenti climatici ci impongono sempre più impegno e determinazione nella prevenzione di questi eventi che purtroppo sembrano intensificarsi nella frequenza. Ed è proprio per questo che abbiamo investito tanto e continuiamo a investire in previsione, prevenzione e cultura della sicurezza». — Fdm
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MARMOLADA: GLI AGGIORNAMENTI Corriere delle Alpi | 2 ottobre 2023 p. 8 Marmolada, ora rispunta la nuova funivia Dopo 5 anni c'è l'ok del Consiglio di Stato il caso Francesco Dal Mas Un nuovo impianto sulla Marmolada, nella parte orientale del ghiaccio, quella ovviamente al sicuro. E a realizzarlo potrebbe essere la società Funivia Marmolada di Valentino Vascellari. Si tratta di un terzo tronco, dopo il primo di Malga Ciapela-Serauta e il secondo di Serauta-Punta Rocca, la seconda cima del gruppo. Il Consiglio di Stato, infatti, ha sentenziato, dopo 5 anni di contenzioso tra la Società di Vascellari e la Provincia di Trento, che il collegamento fra Serauta e Sass del Mul si può fare. Si tratta di un sito a mezza strada tra Serauta e Passo Fedaia. L'impianto, se verrà davvero realizzato, permetterà agli sciatori di fermarsi ai "piani alti" del ghiacciaio. La pista che scende dagli oltre 3 mila metri di Punta Rocca è la più lunga d'Europa, ben 12 km. Ma oggi, chi non si ferma a Serauta e decide di scendere, non può che fermarsi al capolinea, quindi a Malga Ciapela, per poi risalire. Invece, con l'attivazione della nuova stazione a Sass del Mul, può sospendere la discesa a mezza pista e risalire a Serauta e fiondarsi giù ancora una volta, oppure salire a Punta Rocca da dove riprendere la corsa. Le stazioni di Serauta e Punta Rocca sono in territorio veneto, precisamente di Rocca Pietore. La discesa è tutta in territorio trentino. I Vascellari avevano progettato il nuovo collegamento una dozzina di anni fa – dove c'era una vecchia seggiovia, ormai inservibile – ma 5 anni fa è maturato il contenzioso con Trento, oltre con il Comune di Canazei, che ha la titolarità sul ghiacciaio. La Regione Veneto, ancora 10 anni fa, aveva assicurato un finanziamento di 3 milioni di euro per la funivia, a fronte di un costo calcolato allora in 6,5 milioni. Finanziamento che nel frattempo è scaduto. Secondo i giudici, il Piano urbanistico provinciale trentino e le indicazioni dell'area sciabile e degli impianti sciistici contenute nel "Programma per la Marmolada" superano il Piano urbanistico di Canazei e rendono possibile l'impianto. «La possibilità di questo terzo impianto offre l'opportunità alla Società Marmolada di trattenere gli sciatori in quota, quando manca la neve nella parte conclusiva della pista. Però – avverte il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin – non so se la società di Vascellari ha ancora intenzione, dopo cinque anni, di fare l'investimento». Questo progetto, in ogni caso, non interferisce con quello di Canazei e di Trento: il collegamento tra Passo Fedaia e Punta Rocca, attraverso il ghiacciaio, con un pilone centrale di sostegno. Una funivia avveniristica. «Immagino che dopo la tragedia del 3 luglio 2022, con 11 scialpinisti morti sotto la valanga di ghiaccio, quell'idea progettuale sia definitivamente saltata», afferma il sindaco. E al momento è bloccata anche l'iniziativa imprenditoriale di alcuni operatori gardenesi che hanno smantellato la storica cestovia tra Passo Fedaia e Pian dei Fiacconi. Una slavina – prima ancora di quella drammatica dell'anno scorso – ha travolto sia il rifugio Pian dei Fiacconi sia l'arrivo dell'impianto, che si trovava a pochi metri di distanza. «Per la verità ritengo che il nuovo impianto di Vascellari, se mai vedrà la luce, sarà indifferente per le attività del passo Fedaia, in provincia di Trento, mentre penalizzerà gli esercizi lungo la pista che scende fino a Malga Ciapela» anticipa Aurelio Soraruf, storico rifugista del Castiglioni e di Capanna Genziana. Quanto a nuovi, possibili impianti della Provincia di Trento sul ghiacciaio, Soraruf conferma che «non c'è stata alcuna cancellazione dei progetti: mi risulta che Canazei e Trento si siano presi un periodo di riflessione più lungo, dopo quanto è avvenuto con il crollo conseguente al superiscaldamento del ghiacciaio». — Corriere delle Alpi | 12 ottobre 2023 p. 26 Marmolada, il perito Bellin: «Assenti segni premonitori» ROCCA PIETORE Nei giorni precedenti il 3 luglio 2022, il giorno del crollo della Marmolada, i crepacci del ghiacciaio si erano allargati e dalle profondità saliva il rumore dei ruscelli, ogni giorno più ingrossati. Lo segnalò anche Carlo Budel, dall'alto della Capanna Punta Penia. Ma quelli non erano «segni premonitori evidenti del disastro di un crollo imminente». Lo ha detto Alberto Bellin, professore ordinario di Costruzioni idrauliche del Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica all'Università di Trento, e consulente della Procura di quella città per le indagini sul crollo, in riferimento ad analisi sul ghiacciaio compiute in collaborazione con il glaciologo dell'Università di Pisa, Carlo Baroni. Bellin ha parlato per la prima volta nell'ambito di un convegno internazionale a Trento dedicato al rischio alluvionale, inserito nel programma della Settimana della Protezione civile. «Di fronte a cambiamenti climatici che incidono fortemente sugli eventi calamitosi, è ora meno possibile fare affidamento sull'esperienza per prevenire possibili eventi futuri. Per questo, è fondamentale che chi frequenta la montagna», ha detto, «prenda
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coscienza del fatto che il rischio zero non esiste ed agisca con cautela, ad esempio rendendosi conto che nei periodi più caldi il rischio di crolli di masse glaciali aumenta». Il crollo del ghiacciaio di punta Rocca era dunque imprevedibile. Gli approfondimenti scientifici hanno poi stabilito che la resistenza del ghiaccio sul fondo roccioso è diminuita a causa della presenza di acqua liquida in seguito all'innalzamento della temperatura durante l'intero periodo estivo: «Questo ha fatto sì che gli sforzi tangenziali all'interno del ghiacciaio siano aumentati, fino alla rottura della massa», sono state le sue parole. La perizia curata da Bellin e Baroni ha portato all'archiviazione dell'inchiesta seguita al disastro in cui hanno perso la vita undici alpinisti. Numerosi sono gli spunti emersi dal confronto tra i tecnici dei territori italiani dell'Arco alpino, in una tavola rotonda moderata dal dirigente generale del Dipartimento Protezione civile, foreste e fauna della Provincia di Trento, Raffaele De Col. Al centro del dibattito, la compatibilità con i cambiamenti climatici di opere realizzate per mitigare gli effetti del pericolo alluvionale. I relatori hanno messo in luce sia la necessità di garantire la sicurezza dei territori attraverso i necessari investimenti, sia l'importanza di favorire la conoscenza dei cittadini sulla loro esposizione al rischio residuo, secondo quanto riportato nelle Carte della pericolosità. — Francesco Dal Mas
PELMO: UNA NUOVA COLATA DETRICA Corriere delle Alpi | 25 ottobre 2023 p. 25
Corriere delle Alpi | 29 ottobre 2023 p. 26 Rifugio Città di Fiume via d'accesso sbarrata e lavori interni stoppati VAL DI ZOLDO/AGORDINO La frana venuta giù dal Pelmo venerdì scorso continua a preoccupare i gestori del rifugio Città di Fiume, oggi ancora più isolato dopo l'ordinanza di chiusura, anche pedonale, emessa dal Comune di Borca (sul cui territorio ricade amministrativamente) per il primo tratto
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della strada silvo pastorale, segnavia 467, che da passo Staulanza immette nella val Fiorentina. L'accesso è stato sbarrato con l'obiettivo di frenare sul nascere eventuali iniziative spontanee, ritenute estremamente pericolose per via della mole di materiale detritico riversato nella zona dall'evento calamitoso. «Abbiamo deciso di tenere chiuso il rifugio almeno per questo fine settimana», ha commentato il gestore e presidente Agrav Mario Fiorentini, «anche se avevamo in programma per domani (oggi, ndr ) un evento. Alla fine, last minute, abbiamo deciso di garantirlo solo per coloro che si erano iscritti per tempo. Per una serie di circostanze, non ultima la vicenda legata alla frana, i partecipanti saranno pochi ma ci dispiaceva annullare tutto, sia per loro e sia per la guida ed il docente che erano stati coinvolti. Saliremo tutti insieme dal rifugio Aquileia, unica via d'accesso percorribile fino al rifugio visto che tutte le altre sono chiuse o sconsigliate». Già, perché la situazione di fatto si presenta abbastanza fluida: in alternativa al sentiero segnavia 467 si può raggiungere la val Fiorentina ed il rifugio Città di Fiume solo partendo dal rifugio Aquileia e seguire il sentiero che porta a Malga Fiorentina da dove poi riprendere il sentiero 467. Sconsigliata, per via del movimento franoso, la percorrenza dei sentieri 472 e 480 da forcella Staulanza verso il rifugio Città di Fiume o verso forcella val D'Arcia e rifugio Venezia. «I lavori nel rifugio si fermeranno in questo weekend ed il cantiere chiuderà fino a data da destinarsi», ha aggiunto Fiorentini, «tecnicamente il rifugio è operativo ma l'impresa, che per tutta la settimana è salita quassù a piedi per completare il rifacimento del tetto, ha deciso di fermarsi. Lo smontaggio del cantiere, con ponteggi e gru avverrà solo a strada liberata anche se al momento non esistono tempi certi in tal senso e questo, inevitabilmente, ci preoccupa e non poco. Guardiamo con apprensione alle previsioni meteo perché se arriva la neve le cose qui si complicano ulteriormente e non di poco». Intanto, per portare via dal cantiere del rifugio materiali ingombranti, si è provveduto a richiedere l'ausilio di un elicottero che venerdì mattina ha effettuato alcune rotazioni. — Gianluca De Rosa
TRE CIME DI LAVAREDO: LA GESTIONE DEGLI ACCESSI Corriere delle Alpi | 24 ottobre 2023 p. 28 Strada delle Tre Cime da record entrati in cassa oltre tre milioni Trenta euro per salire con la macchina AURONZO La strada d'accesso alle Tre Cime resterà aperta fino al 5 novembre ma nel frattempo per il Comune di Auronzo è già tempo di fare i primi conti in cassa. Conti che parlano di numeri da record: stimati in circa centomila i passaggi stagionali di automobili, moto e caravan che hanno prodotto un incasso superiore ai tre milioni di euro. Numeri ufficiosi allo stato attuale delle cose, così come è ufficiosa la data di chiusura della strada strettamente condizionata alle previsioni meteorologiche. Quanto basta però al Comune di Auronzo per tirare la linea ed iniziare a fare i primi calcoli. «La parte eccedente i tre milioni di euro verrà destinata ad attività ordinaria corrente», annuncia il sindaco Dario Vecellio Galeno, «la tipologia degli interventi sarà decisa di volta in volta ma la metteremo in pratica nel breve periodo. Quel che è sicuro è che la strada delle Tre Cime per un piccolo Comune come quello di Auronzo si conferma un elemento di vitale importanza». Gli incassi, andati ben oltre le più rosee previsioni così come i passaggi giornalieri, inducono inevitabilmente gli amministratori auronzani a fare le prime valutazioni di quello che sarà il futuro della strada. «Da agosto abbiamo iniziato ad effettuare una serie di ragionamenti», aggiunge il primo cittadino, «sappiamo benissimo quali sono le problematiche meritevoli di attenzione. Sono situazioni annose, che si trascinano da tempo e ruotano attorno alla viabilità. L'obiettivo primario è quello di limitare le code, azzerarle sarebbe il sogno. I passaggi sono in un numero crescente, l'attrazione turistica si conferma di primissimo piano. Entro la prossima estate vogliamo apportare le prime modifiche alla circolazione, ci stiamo già lavorando e proseguiremo per tutto l'inverno in questa direzione». Dal sindaco di Auronzo arriva anche una simbolica stretta di mano con i vicini dell'Alto Adige, anch'essi impegnati nella promozione turistica delle Tre Cime di Lavaredo, alias Drei Zinnen. «La collaborazione è massima, checché se ne dica, così come il dialogo con i rappresentanti istituzionali», sottolinea Vecellio Galeno, «abbiamo condiviso di recente un pensiero riguardante i turisti stranieri. Un turista proveniente da Singapore non sta sicuramente a guardare se si trova a Dobbiaco oppure se si trova ad Auronzo. Lui si sente tra le Dolomiti ed il suo obiettivo è quello di visitare le Dolomiti patrimonio Unesco. Bisogna lavorare in quest'ottica, di massima collaborazione e condivisione. Del resto anche la Pusteria, come il Bellunese, ha le sue problematiche legate alla viabilità interna ad esempio, oppure al trasporto pubblico ed alla gestione dei flussi turistici nei periodi clou di entrambe le stagioni». «Ribadisco che tra le amministrazioni dei paesi confinanti c'è sempre stato dialogo attorno al tema delle Tre Cime», dice il sindaco. «I rapporti sono ottimi, è in questa direzione che dovremo continuare a lavorare se vogliamo garantirci uno standard qualitativo dell'offerta turistica, quello a cui guardano esclusivamente i nostri ospiti». — Gianluca De Rosa
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NOTIZIE DAI RIFUGI Corriere delle Alpi | 4 ottobre 2023 p. 19 L'estate dei rifugi non si arresta «Ma la burocrazia è un ostacolo» Francesco Dal Mas / BELLUNO Sindi Minushi, sindaco di Pieve di Cadore, ha accompagnato il consiglio comunale in escursione al rifugio Antelao. «I mitici Livio e Shailesh ci hanno accolti con un pranzo strepitoso e il sorriso che li contraddistingue. Tra malattie e impegni sono mancati metà dei consiglieri. Per par condicio, li porterò al Tita Barba», fa sapere il sindaco. L'Antelao e il Tita Barba sono due dei tanti rifugi ancora aperti, nonostante la chiusura dei più domenica scorsa. Come il Giussani, sempre ai piedi dell'Antelao, dove però sono iniziati importanti lavori di ristrutturazione. «Là dove è possibile la gestione familiare è meno difficile tenere aperto, ma generalmente i nostri rifugi dispongono di personale contrattualizzato, quindi», spiega Renato Frigo, presidente regionale del Cai, «concluso il rapporto di lavoro tornano a casa. Tanti sono studenti universitari e hanno l'impegno dello studio. Altri, magari stagionali, sono attesi da nuovi rapporti di lavoro». Ecco, dunque, che anche i rifugi ancora aperti, sono a corto di personale e con la frequentazione escursionistica di questi fine settimana di splendido sole, vengono letteralmente assaltati dai camminatori che il più delle volte si spazientiscono, ad esempio, nell'attesa del pranzo. «Accade, quindi, di essere presi a male parole perché poco organizzati e perché serviamo il pranzo in tempi non rapidissimi, ma la comprensione e la pazienza sono doverose», protesta Mario Fiorentini, coordinatore dell'Associazione Rifugi del Veneto. «Non pretendiamo di essere ringraziati perché teniamo aperto oltre la stagione classica, ma almeno che non ci si prenda a male parole». Fiorentini gestisce il rifugio Città di Fiume in Val Fiorentina, davanti al Pelmo. Sabato e domenica occorrevano almeno otto tra cuochi e camerieri per fronteggiare la massa di commensali, ma fuori stagione il personale si riduce a tre presenze, ovviamente. Anche perché nel resto della settimana gli escursionisti continuano a esserci, ma in numero assolutamente compatibile, e soprattutto stranieri, molto più pazienti degli italiani. Sempre domenica, intorno alle Tre Cime di Lavaredo era aperto solo il rifugio Auronzo, che andrà avanti sino a fine ottobre. Chiusi il Lavaredo e il Locatelli. Eppure c'erano scarpinatori come a Ferragosto. Centinaia a bivaccare tra gli scampoli di verde e i sassi davanti al Locatelli e in faccia alla Trinità, le Tre Cime. Un po' distante garantivano servizio il Pian di Cengia e il Carducci (peraltro all'ultima giornata). La destagionalizzazione dei rifugi alpini ha quindi fatto passi avanti quest'anno, almeno una quindicina quelli ancora attivi, ma le difficoltà restano. «Chi allunga la stagione, siano rifugi o alberghi», insiste Fiorentini, «dovrebbe essere agevolato, almeno nella tassazione. L'Inail per un giorno di più di lavoro ti fa pagare per uno scaglione di 15. La società di raccolta dei rifiuti prevede un contratto stagionale di 4 mesi, ma se tieni aperto solo una settimana in più, ti impone una tariffa annuale. E via elencando. Ma questi istituti sanno che, se questo supple mento d'estate s'interrompe per una giornata di brutto tempo e magari arriva improvvisa una nevicata, quassù chiudiamo perché non arriva nessuno?». Il presidente Frigo ammette la problematica e anticipa che c'è già un'interlocuzione con la Regione per facilitare normativamente il prolungamento della stagione. «Mi risulta che problemi analoghi a quelli dei nostri rifugi ce li hanno gli albergatori di Jesolo e di Bibione, dove pure non si arrende l'afflusso turistico», aggiunge Frigo. Il presidente del Cai esclude, quindi, che la stagione corta (si fa per dire) sia un'imposizione del Club alpino che, al contrario, pretende un minimo di apertura, appunto i 90 giorni. Aggiunge che in verità ci sono anche delle ragioni oggettive. Il Rifugio Giussani, ad oltre 2000 metri, giusto un anno fa rischiava il congelamento delle condotte dell'acqua, se non venivano svuotate; è anche per questo che domenica sera il Cai di Mestre ha concluso le accoglienze. Il Palmieri-Croda Da Lago, a quota 2000 sopra Cortina, garantirà invece l'accoglienza fino a domenica 29, ma è attrezzato per far fronte anche all'arrivo del freddo. Ma, anche in questo caso, l'ultima data possibile per pernottare è il 21 ottobre, dal 22 al 29 saranno aperti solo il bar e il ristorante. Marco Zardini, presidente del Consorzio Cortina Skivorld, si dice rammaricato. «Dovrò chiudere la seggiovia 5Torri a fine settimana (abbiamo infatti prolungato le aperture estive), avendo programmato lavori di revisione. Ma Cortina accoglie ancora numerosi turisti, da ogni parte del mondo, e avremmo potuto proseguire ben oltre. È un peccato davvero». Del Consorzio fa parte anche la funivia del Lagazuoi. «Chiuderemo solo il 22 ottobre», conferma il titolare Stefano Illing, «perché in questo modo daremo soddisfazione ai tantissimi appassionati di alta montagna che continuano a frequentare Cortina. È un servizio doveroso». —
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Alto Adige | 05 ottobre 2023 p. 14
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Corriere delle Alpi | 05 ottobre 2023 p.38 Bruno, tutta una vita sul "Berti" «Ma forse è l'ora di lasciare» il personaggio Dei sessant'anni di esistenza del rifugio Berti, quarantasei sono stati caratterizzati dalla gestione firmata Bruno Martini. Una storia, quella della famiglia Martini, radicata saldamente al Popera. Iniziata con papà Bepi settant'anni fa dal rifugio Lunelli e proseguita con i figli Rosalia, sempre al Lunelli, e con Bruno che nel 1978 si è "allungato" fino al Berti, di proprietà del Cai di Padova che al suo rifugio ha dedicato un libro, scritto da Giampaolo Fornara: verrà presentato il 14 ottobre alle 17 nella sala della Regola di Padola. Bruno, cosa ci racconta di questa lunga esperienza ad alta quota? «La mia famiglia è fortemente ancorata a questo angolo dolomitico. I rifugi Lunelli e Berti sono collegati da una passeggiata molto frequentata in estate. Quassù, oggi, arriva ogni tipo di turista. Le cose, purtroppo, sono profondamente cambiate con il trascorrere degli anni. Quarant'anni fa chi raggiungeva il Berti chiedeva di mangiare qualcosa e riposare bene, di notte, prima di ripartire all'alba verso nuove ferrate. Oggi i pernottamenti sono pochissimi, in compenso durante la giornata c'è un delirio difficile da gestire. È sempre più numerosa la gente che arriva qui denotando scarsa propensione alle regole, molte non scritte, della montagna. C'è tantissima arroganza». Com'è cambiato lo scenario all'ombra del Popera in questi quarantasei anni? «È cambiato tutto. Le montagne si stanno sgretolando, per noi che siamo cresciuti qui vedere la roccia franare ed i ghiaioni cambiare aspetto è ogni volta una ferita al cuore. L'ultima estate è stata molto difficile e non solo per un infortunio domestico che mi ha costretto a lavorare in stampelle. Una delle tante frane venute giù dal Popera ci ha mandato in frantumi la turbina. Abbiamo chiuso la stagione con i gruppi elettrogeni ma è una situazione insostenibile. Un rifugio ha bisogno di energia. Senza una nuova turbina mi sembra improbabile riuscire a garantire una nuova stagione estiva». Quanto è difficile oggi gestire un rifugio? «È difficile perché nel frattempo l'età avanza, anche se la passione è sempre quella dei giorni migliori. Il nostro cuore è quassù, questo rifugio non è una seconda casa, probabilmente è la prima casa per legami ed affetti. Abbiamo tantissimi ricordi indimenticabili di questi 46 anni. Il futuro? Al momento è presto per parlarne ma qualche dubbio, oggi, si è insediato nella testa a proposito del continuare o meno l'avventura. Il contratto con il Cai di Padova, proprietario del rifugio, va in scadenza; i rapporti sono ottimi ed i presupposti per continuare ci sono tutti ma ci sono prima da valutare alcune situazioni. In primis la turbina. Senza centralina idroelettrica non sarà possibile riaprire a giugno (il Berti lavora solo d'estate, ndr ). Abbiamo davanti diversi mesi per fare le valutazioni del caso a mente serena. I tempi sono cambiati, il Popera fa i capricci. Forse è il momento di andare in pensione». Pensiero finale dedicato a chi? «A mia moglie Rita Zandonella ed ai miei figli. Osé quest'anno ha lavorato con noi in rifugio, in cucina. Alex fa altro, vive e lavora in Inghilterra ma ogni tanto sale a darci una mano. Futuri gestori del Berti? Lo spettacolo della natura qui rappresenta un'esperienza unica, ma i sacrifici da mettere in conto sono tanti». — Gianluca De Rosa Corriere delle Alpi | 14 ottobre 2023 p. 31 Il Galassi chiude: ma al suo interno fervono i lavori calalzo Fine stagione con il botto al rifugio Galassi, ai piedi dell'Antelao. «Non contenti di tutti i sacrifici fatti durante la stagione, abbiamo deciso di rinnovare il rifugio», dice Francesco Abbruscato del Cai di Mestre, «un nuovo, grande impegno per renderlo sostenibile». Sotto Forcella Piccola fervono i lavori di sistemazione della colonna dei bagni. «Vogliamo portare l'acqua della sorgente a disposizione degli ospiti con un impianto di potabilizzazione. Inoltre abbiamo progettato di sdoppiare l'impianto dell'acqua in modo da utilizzare quella piovana per i wc. Sembra facile, ma un cantiere a 2000 metri è una continua sfida organizzativa e logistica. Siamo a buon punto». Abbruscato ha dato l'ultimo giro di chiavi da pochi giorni. «Chiudere il rifugio non è facile. Sia per la logistica e sia per il risvolto emotivo che un po' tutti i gestori cercano comunque di celare. L'organizzazione per la chiusura richiede prestanza fisica e pazienza. Sistemare tutti i piumini, mettere in ordine tutte le coperte. Distribuisci per ogni letto un piumino e due coperte. Fai la selezione. Posiziona i letti nelle camere in modo da avvolgerli nel telo di protezione. Pulisci tutto. Dalla canna fumaria all'ultimo bagno. Poi la cucina. Poi metti sottovuoto tutto in modo da non buttare nulla. E poi gli oggetti che ti ricordano i momenti belli e brutti di questa fantastica stagione».
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Abbruscato ringrazia i tanti volontari che anche in questa stagione hanno provveduto alla conduzione dell'ambiente. Prolungare la stagione, considerato il meteo tipicamente estivo? «Impossibile tecnicamente», risponde il dirigente Cai, «perché corriamo il rischio che si congelino le condotte dell'acqua; un rischio che abbiamo corso un anno fa» . — Corriere delle Alpi | 14 ottobre 2023 p. 36 Quando il Papa bussò al Berti Un libro celebra il 60° del rifugio Stefano Vietina / COMELICO «Praticamente me lo sono trovato sulla porta del rifugio. E mi sarei aspettata chiunque, ma non certo il Papa». Il ricordo ancora commosso ed incredulo di Rosalia Martini Barzolai è uno dei tanti che compongono il libro che Giampaolo Fornara ha dedicato ai 60 anni del rifugio Antonio Berti e che verrà presentato oggi alle 17 nella sala della Regola di Padola. Era il 10 luglio 1987: per il Santo Padre rappresentava la prima escursione sulle Dolomiti e per Rosalia un evento che resterà indelebile perché si trovava ad accogliere l'ospite senza dubbio più prestigioso che abbia mai varcato le soglie del rifugio gestito dalla sua famiglia. Serviva l'acqua Sul Creston Popèra a quota 2094 metri, nel Gruppo del Popèra nelle Dolomiti Orientali, la Sezione di Padova del Cai aveva già un rifugio dal 1924, dedicato a Olivo Sala. Prima di quell'anno era stata la "Baracca del Comando Region Popèra" , affidato alla 9ª Compagnia del 53° Battaglione di Fanteria nella Guerra del 1915-18. Ma nel 1958, la dirigenza della Sezione si rende conto che il Rifugio non è più sufficiente a soddisfare l'afflusso di escursionisti e alpinisti, soprattutto per la carenza della raccolta d'acqua piovana e la mancanza di quella potabile. Da qui l'idea di una nuova costruzione in posizione più idonea. Ed ecco il sorgere dell'attuale Rifugio Antonio Berti, sempre sul Creston Popèra, a quota 1950 m. Il progetto Così nella primavera di quell'anno, Livio Grazian, da poco nominato presidente della Commissione Rifugi del Cai, decise di fare un sopralluogo nel rifugio in compagnia di Illes Ulgelmo, socio Cai di Padova. I due si rendono conto che non era possibile eseguire ampliamenti del Sala e che qualsiasi lavoro interno al rifugio non avrebbe portato a un reale miglioramento, a causa dell'impossibilità di far arrivare l'acqua. «Pensammo subito a un nuovo rifugio», spiega Illes Ulgelmo, oggi centenario, che fu poi il direttore dei lavori, «ma dove costruirlo? Doveva infatti rispondere ad alcuni requisiti: non essere soggetto al pericolo di valanghe; essere in posizione baricentrica rispetto ai vari itinerari alpinistici del Vallon Popera; essere visibile dal fondovalle (Val Padola) per attirare il maggior numero possibile di escursionisti; trovarsi in posizione idonea per far arrivare l'acqua». Così individuarono l'area dove oggi sorge il rifugio, anche se l'acqua dovettero andare a trovarla ben più in alto, a 2mila metri, sul sentiero n. 101, quello che porta al Vallon Popèra e al Passo della Sentinella. Dedicato ad un appassionato Antonio Berti fu uno dei pilastri storici della Sezione di Padova e del Cai Veneto. Era un innamorato della montagna, si ricorda nel libro di Fornara "Rifugio Antonio Berti. 60 anni di vita", un esploratore e conoscitore di primo piano dell'ambiente dolomitico, osservatore sistematico, alpinista animato da spirito naturalistico-geografico e sportivo alieno però da ogni spinta competitiva. A seguito della sua ampia attività esplorativa, fu anche autore di guide alpinistiche caratterizzate da un'approfondita ricchezza di particolari come mai era avvenuto fino ad allora. A lui dunque si decise di dedicare il rifugio. Tante avventure «Questa pubblicazione», spiega Giampaolo Fornara, «nasce dal desiderio di raccontare la storia dell'attuale Rifugio nel sessantesimo anno dalla costruzione e in essa si vuole fare ricordo di alcuni avvenimenti tra i più salienti vissuti lassù». Così nel libro si parla degli impegnativi lavori della costruzione; dell'inaugurazione e delle tre gestioni che da allora si sono susseguite al rifugio; delle cronache di alcuni avvenimenti molto significativi vissuti lassù, tra le crode maestose del Popèra, riconosciute dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità, tra cui l'emozionante visita improvvisa e inaspettata di Papa Giovanni Paolo II, di cui si è detto, e anche un concerto dei Solisti Veneti. Ed infine, sono riportate, oltre a tante fotografie, anche le immagini di alcune significative lettere e documenti della vita del rifugio. —
RIFUGI SANI E SICURI: IL PROGETTO DI AGRAV E ULSS Corriere delle Alpi | 4 ottobre 2023 p. 19 Ecco il bollino della sicurezza: patto tra USLL e rifugisti AGRAV
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Alleanza tra Ulss 1 Dolomiti e i rifugisti bellunesi con il progetto "rifugi sani e sicuri". A Longarone Fiere, all'interno della rassegna Horeca Dolomiti, è stato siglato un protocollo che impegna i rifugi aderenti ad Agrav a una serie di azioni di miglioramento di sicurezza sanitaria per elevare gli standard dell'offerta turistici. «Ci teniamo molto all'aspetto della prevenzione», commenta il commissario dell'Ulss 1 Giuseppe Dal Ben, «oltre alle nostre azioni consuete abbiamo deciso di stimolare i rifugi per raggiungere una sorta di attestato di sicurezza sanitaria di qualità. La montagna è sempre più frequentata e quindi è necessario alzare gli standard adeguandoci alle nuove esigenze turistiche. L'impegno non è di poco conto e per questo ringraziamo Agrav per aver accettato la sfida». «Dopo il Covid c'è stata un'esplosione del turismo all'aperto», aggiunge il responsabile del Dipartimento di prevenzione e igiene Sandro Cinquetti, «e quindi è necessario alzare la qualità anche in vista dell'appuntamento delle Olimpiadi di Cortina. Sono coinvolti 23 rifugi su 72, ma in futuro la rete si potrà ampliare e potremmo diventare un'esperienza pilota. Sarà creata una squadra, coordinata dal nostro dirigente Vincenzo Marcotrignano, che valuterà l'aderenza al protocollo: se verranno rispettati almeno 5 requisiti aggiuntivi oltre ai punti base, verrà rilasciato al rifugio un "bollino di qualità"». I punti principali del protocollo sono l'igiene sanitaria, la promozione della salute e la sicurezza sanitaria. Tra le azioni richieste c'è il possesso di un defibrillatore in struttura, di un misuratore della pressione, la formazione dei dipendenti sulle norme di primo soccorso ma anche un menù attento ai celiaci e alle intolleranze alimentari, la disponibilità di creme solari e vestiti di protezione in caso di necessità e un corretto flussaggio dell'acqua. «Continua il nostro dialogo con l'azienda sanitaria», sottolinea il referente di Agrav Mario Fiorentini. «I rifugi sono tutti diversi, ognuno con le sue specificità e non è quindi facile essere uniformati. È necessaria però una formazione da parte di tutti gli operatori per essere pronti alle sfide delle nuove richieste del turismo montano». —
NOTIZIE DAI PARCHI Corriere delle Alpi | 6 ottobre 2023 p. 28 Il Parco è in festa: «Il futuro? Più turisti con la sinergia di Dolomiti Unesco» Raffaele Scottini / BELLUNO Vanno in scena i primi trent'anni di attività del Parco nazionale Dolomiti bellunesi, che fa della cultura del territorio un segno distintivo. Oggi alle 21, il Teatro Comunale di Belluno ospita una serata cinematografica dedicata al trentennale dell'area protetta, che apre la rassegna culturale "Oltre le Vette". Dopo i saluti istituzionali del presidente del Parco delle Dolomiti Ennio Vigne e dell'amministrazione comunale di Belluno, sarà presentato per la prima volta il filmato dedicato ai 30 anni dell'area protetta e si farà una rassegna delle principali attività di ricerca scientifica. «Oltre le Vette" diventa la sede naturale per parlare di Parco, di montagne e di natura», commenta Ennio Vigne. «Associamo il Parco all'ambiente, però ci sono attività scientifiche che sono il cuore del Parco. Penso agli studi sulle farfalle, ma anche alla geologia, che è un altro tema trattato nella rassegna ed è rilevante anche per il Parco», dice il presidente dell'ente. «Oltre le Vette è il contenitore in cui tutti i temi della montagna vengono sviluppati. Secondo noi Belluno, unico Comune capoluogo che è all'interno di un Parco nazionale, è la sede giusta per festeggiare il compleanno». Stasera verrà proiettato il documentario "Lupo uno", di Bruno Boz e Ivan Mazzon, dedicato alla gestione proattiva del lupo, vincitore del premio come miglior documentario di attualità all'ultimo Trento film festival. Si darà inoltre uno sguardo al trailer del documentario "Il sentiero dei lupi" di Bruno Boz, Ivan Mazzon e Roberto Sacchet, che è parte di un più ampio progetto di divulgazione scientifica realizzato dal Parco per illustrare il ritorno del lupo in area dolomitica. Guardando avanti e pensando al futuro delle aree protette, Vigne sottolinea due aspetti: «Uno è quello del livello nazionale in cui l'attenzione per le aree protette dovrà ancora più aumentare. Siamo un Paese che non ha una percentuale così grande di aree a protezione totale». Per quanto riguarda il livello locale, «il ruolo del Parco, oltre a quello scontato di tutela e salvaguardia dell'ambiente, con regole che servono perché c'è un territorio unico che va mantenuto tale, abbiamo bisogno che diventi un'opportunità maggiore di quella che è stata finora», rilancia. «Sfruttiamo al meglio anche l'evento olimpico». C'è poi il binomio con il sito Unesco: «Dobbiamo essere più consapevoli che il Parco nazionale, abbinato al sito Unesco, è un elemento di attrattiva incredibile per gli stranieri», afferma Ennio Vigne. «Sottovalutiamo che per gli stranieri questo binomio è una garanzia assoluta di qualità. Dobbiamo esserne consci e tradurlo anche in ricettività e quant'altro. Abbiamo bisogno di sfruttare di più il fatto di essere sito Unesco, perché i nostri vicini in pochissimi anni hanno saputo catalizzare questo elemento e noi in vent'anni un po' meno», aggiunge Vigne. «Chiaramente non dobbiamo puntare a un turismo di massa, ma parliamo di un turismo straniero che ha anche una certa disponibilità economica. Arrivano da Nuova Zelanda, Australia, Stati Uniti, Giappone, Corea. In provincia di Belluno il 60 per cento del turismo è straniero, nel Parco probabilmente siamo verso l'80». —
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L’Adige | 27 ottobre 2023 p. 36 “Forestali e Parco, ok solo se sono efficaci”
NOTIZIE DALLE ASSOCIAZIONI ALPINISTICHE Corriere delle Alpi | 10 ottobre 2023 p. 31 Sei consigli del CAI di Feltre per chi vuole andare in rifugio «È aumentato il numero di chi va in montagna, ma nel contempo cresce il numero di chi è inesperto. Persone che vanno senza riserve, con scarpe non adatte, senza giacca a vento. Sopravvalutano il proprio fisico e dopo si trovano male». A dirlo è Renzo Zollet, presidente del Cai di Feltre, che in occasione dei 60 anni del rifugio Dal Piaz ha preparato un pieghevole con le regole per la frequentazione dei rifugi alpini. «Abbiamo deciso di scrivere alcune cose». Sei punti all'apparenza semplici, ma fondamentali, dalla valutazione delle proprie capacità e condizioni fisiche, fino al risparmio dell'acqua e alla cura dell'ambiente portando i rifiuti nello zaino a valle. La prima cosa è "assumere diligentemente ogni più opportuna informazione sul percorso, sulle previsioni meteorologiche e sulla presenza di strutture di accoglienza aperte ed eventuale riparo". Il secondo richiamo alla prudenza, seguendo i sentieri segnalati "e quando incontri altre persone, saluta e in caso di necessità, aiuta". Indispensabile il rispetto delle terre alte, che "rappresentano la casa delle popolazioni che in quelle montagne vivono, contribuendo a mantenerle ospitali". C'è inoltre l'invito a sostenere i rifugi, scegliendoli come meta, "ma non per trovare in quota ricercatezze, quanto piuttosto una cortese accoglienza, consigli competenti e la sobria qualità di una ristorazione che esprima i sapori tradizionali di quella particolare zona di montagna. Il rifugista presidia (è il custode) di un territorio prezioso e assicura i contatti per i soccorsi: collabora con lui e attieniti alle sue indicazioni. È importante la prenotazione". In questo periodo oltretutto i rifugi non sono sempre aperti, perché la stagione è in fase di chiusura. «Bisogna che uno prima di partire si informi», rimarca Renzo Zollet. «Se per caso ha da fermarsi in rifugio ed è chiuso, deve andare in bivacco senza avere sostegni». Un episodio deplorevole è accaduto pochi giorni fa, quando il rifugio Boz era chiuso e il gestore ha trovato la porta di legno del magazzino forzata per prendere qualche bibita. «Adesso la mettiamo a posto, ma è una tristezza vedere qualcuno che va su a 2 mila metri per aprire una porta e tirarsi fuori una birra. È una cosa che rammarica», commenta il presidente del Cai di Feltre, condannando il gesto. Riguardo al tema dei rifiuti, «c'è meno gente che butta via roba. C'è più rispetto per la montagna, anche se si trova sempre il maleducato», osserva Zollet, che un'ultima considerazione la fa sulle biciclette elettriche. «Diventano pericolose in discesa, sulla strada per esempio del Dal Piaz, che è malmessa. Speriamo di riuscire a fare dei lavori cospicui di sistemazione del tracciato l'anno prossimo,
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con l'aiuto del Parco delle Dolomiti. Ci sono parecchi soldi che il Parco è riuscito a indirizzare su questa», sottolinea. «In discesa le bici corrono e se c'è qualcuno a piedi che sale, l'incidente prima o dopo succede». — Raffaele Scottini Corriere dell’Alto Adige | 22 ottobre 2023 p. 5 Zanella: «Sostenibilità, serve un dialogo tra valle e alta montagna» Il convegno del Cai. «L’obiettivo: far convivere svago e tutela» Chiara Currò Dossi BOLZANO «Per tenere insieme le esigenze di tutti coloro che vivono la montagna, e al tempo stesso promuoverne uno sviluppo sostenibile, serve un accordo tra valle e alta montagna». È Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, a lanciare l’appello al termine del convegno dedicato al tema «Montagna bene primario o solo svago». Un centinaio i partecipanti, pochi i politici. Fra le poltroncine del teatro di Gries erano presenti solo l’assessore al Patrimonio, Massimo Bessone (Lega), Paul Köllensperger, Elio Dell’antonio (Pd) e il senatore Luigi Spagnolli, presidente della commissione del comitato scientifico del Cai. Tema centrale, la condivisione dello spazio montano. Patrimonio di tutti, con le Dolomiti parte della lista Unesco, come ricorda la presidente della Fondazione, Mara Nemela. «Un patrimonio di tutti — afferma — che non può, pertanto, essere aperto a tutti e a tutti gli usi, perché alcuni ne precludono altri. Scelte come quelle della regolamentazione degli accessi — è la stoccata —, non possono essere prerogativa di un’unica vallata, vanno condivise. La montagna non può diventare un’esperienza esclusiva». Un dato di partenza per ragionare sull’importanza del dialogo. «Imprescindibile — secondo Marco Broll, direttore della Ripartizione foreste della Provincia —. La montagna è un sistema integrato, e siamo troppo “piccoli” per non andare d’accordo». Serve, insomma, un progetto comune della montagna, della quale i proprietari dei boschi, così come i residenti, sono parte essenziale, perché garanti di una gestione attiva del territorio. E della sua biodiversità, insiste Spagnolli. «Il presidio del territorio — afferma — è la principale misura contro il dissesto idrogeologico. Ma non bisogna dimenticare che anche le attività umane che sembrano più umane, come camminare scalzi in un prato, che concentra in un metro quadro oltre 100 specie animali e vegetali, hanno un impatto importante. L’antropizzazione va più veloce della capacità della natura di reagire, adattandosi». Di qui l’invito a ragionare sulle attività troppo impattanti. E la carrellata di foto: dal boom edilizio degli ultimi dieci anni a Maso Corto, ai sorvoli in elicottero sulle Dolomiti (vietati), ai voli in parapendio, ai sentieri da mountain bike. Un punto su cui lavorare, sostiene Ivano Rodighiero, presidente della Commissione tutela ambiente montano (Tam), è il problema «cronico» dell’abbandono della montagna, «accentuato dagli effetti dei cambiamenti climatici». Emblematica una delle immagini proiettate in sala: una visuale su alcune vette altoatesine, di inizio ottobre, poco nitida a causa della caligine arrivata fin qui dai grandi incendi nelle foreste canadesi. Sintomo di quanto la montagna sia vulnerabile. E un motivo in più per prestare attenzione ai numeri: «Su 190 mila chilometri quadrati di arco alpino — continua Rodighiero —, vivono 14 milioni di persone. Con turisti che, nelle stagioni di punta, arrivano a quota 100 milioni: in pratica, 10 per ciascun residente. Una situazione che non può andare avanti: è necessario cercare uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale». Attraverso modelli di turismo lento, ma soprattutto attraverso l’educazione. Relatore d’eccezione (in senso letterale), Andy Varallo, presidente di Dolomiti Superski che esordisce snocciolando alcuni dei numeri del carosello: 450 impianti di risalita, 1.200 chilometri di piste, 3,5 milioni di skipass venduti la scorsa stagione invernale, 670 mila persone trasportate ogni ora. «L’anno prossimo — dice —, festeggeremo i 50 anni dalla nascita del Superski. E siamo intenzionati a festeggiarne, almeno, altri 50». Motivo per cui non c’è alcuna intenzione di deturpare il territorio. «Non lo abbiamo mai fatto — rivendica —, altrimenti non avremmo ottenuto il riconoscimento Unesco. Il nostro faro sono innovazione e sostenibilità, che vanno a braccetto. Nessuno spreco d’acqua, olii ed energia utilizzata per produrre la neve artificiale ridotti al minimo». Ma per prolungare una storia di successo, sostiene, «bisogna continuare a creare occasioni di business, e garantire che il territorio rimanga abitato». L’impegno, per il futuro, è a incentivare la discussione sull’utilizzo degli impianti di risalita per gli spostamenti, al posto dell’auto privata. «Un discorso — afferma — che nelle grandi metropoli ha già oggi la sua valenza». E che, in sala, fa storcere diversi nasi.
INTERVISTE ED EDITORIALI L’Adige | 12 ottobre 2023 p. 43, sezione ‘Lettere e commenti’ L'assalto alla montagna, sempre più consumata di Luigi Casanova
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Per comprendere come la montagna venga consumata nella sua intima pelle, giorno dopo giorno, prendiamo a esempio tre diversi recenti accadimenti.Partiamo dalla controversa croce imposta dal Soccorso alpino locale sul Piz de Guda (Rocca Pietore, Belluno). I membri del gruppo sono soci del Cai. Si tratta di una croce invasiva, di ferro, imponente, con basamento in cemento: porta con sé il tradimento dei valori della cristianità autentica, quella che si offre alla comunità in preghiera, anche in silenzio. Uno sfregio sulle alte quote, imposto per apparire, per vanagloria di un gruppo e di un sindaco. Più che cementare una croce in vetta è l'immagine del locale Soccorso alpino a uscirne umiliata: la sua collocazione ha invaso uno spazio fino a poco tempo fa inciso da una croce umile, in legno. Un atto autoritario al quale nessuna istituzione si è opposta, men che meno la magistratura nonostante fosse informata in tempi utili e si sia violata un'area di rete Natura 2000.Passiamo ora a delle vie ferrate. La società Funivia Ciampac (Canazei) annuncia di voler costruire una nuova via ferrata sulla Crepa Neigra. Non si ritiene sufficiente l'esistente ferrata dei Finanzieri, una situazione di rischio continuo per chi la frequenta. Per alimentare sempre più il circo che usa i mezzi funiviari per salire in quota si aggiunge un nuovo percorso, un insieme di ferraglia imposta alla parete. Eppure tutta l'area circostante l'arrivo della Funivia Ciampac - Contrin è già stata trasformata in circo divertimenti, o meglio, devastata. La montagna autentica e leggera è stata cancellata, ma non ci si accontenta mai. Ogni limite va superato, con cemento e ferri ben ancorati.Cambiando regione passiamo in Lombardia dove si è annunciato che si realizzerà una nuova via ferrata sul ghiacciaio dei Forni, una via dedicata al fratello della sciatrice Deborah Compagnoni, Jacopo, morto travolto da una valanga (Valfurva, Sondrio). Ogni scusa è buona per aggiungere. Invece di apporre una minima, comunque non richiesta targa, si realizzerà una nuova ferrata finanziata con 135 mila euro della Regione Lombardia. Avviene nonostante si sia nel cuore di un'area protetta e delicata.Si aggiunge sempre. Non si pensa mai a togliere, a ripulire le montagne dagli errori del passato, da sfregi abbandonati al degrado (Fedaja, Stelvio, Tonale). Eppure ancora oggi chi sale le montagne con fatica e i propri mezzi va alla ricerca di spazi liberi, di natura autentica, di paesaggi che non vengano interrotti da intrecci di funi o da torri alberghiere, o croci che invece di parlare con il linguaggio del Vangelo impongono quello dei mercanti. Si inneggia alla potenza dell'uomo, si eleva il narcisismo (di gruppo o singolo) a valore. Si cancellano spazi naturali, paesaggi e emozioni. Questo è il divenire delle montagne italiane. Si deve lasciare l'impronta della nostra arroganza, ovunque e sempre ben visibile. Si occupa ogni spazio, devono trionfare i segni di questa umanità disperata, incapace di leggere la ricchezza di un ambiente libero. Il tutto si riassume in una sola parola. Vuoto.Luigi Casanova
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