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Per quanto... libertà
LIBERTA ` per quanto...
In accompagnamento alla mappa mondiale della Libertà di stampa, riporto la email che mi è arrivata, segnalandone la pubblicazione sul sito dell’organizzazione Reporters sans Frontières (RSF, https://rsf.org/en/ranking).
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«Cari amici, abbiamo appena pubblicato il nostro World Press Freedom Index 2021. Questo indice, che valuta ogni anno la situazione della libertà di stampa nel mondo, mostra che il giornalismo è attualmente in pericolo in più di centotrenta paesi. La pandemia è stata usata come motivo per bloccare l’accesso dei giornalisti alle fonti di informazione e ai resoconti sul campo. Questo accesso verrà riaperto quando la pandemia sarà finita? La nostra indagine mostra che i giornalisti trovano sempre più difficile indagare e scrivere e fotografare, riportando su storie delicate, soprattutto in Asia e in Medio Oriente, ma anche in Europa.
«Il giornalismo è il miglior vaccino contro la disinformazione, ma -purtroppo- la sua efficacia è troppo spesso resa vana da fattori politici, economici e tecnologici. Durante la pandemia, ciò è accaduto con maggior frequenza del solito.
«Per esempio, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro e il presidente venezuelano Nicolás Maduro hanno promosso rimedi contro il Covid-19 la cui efficacia non è mai stata dimostrata dalla ricerca medica. Fortunatamente, il giornalismo investigativo di organi di stampa, come la brasiliana Agência Pública, e le storie approfondite dalle poche pubblicazioni indipendenti del Venezuela sono stati in grado di smentire con i fatti le affermazioni dei presidenti.
«In Iran, le autorità hanno rafforzato il controllo sulla copertura delle notizie e intensificato i processi contro i giornalisti, per essere liberi di ridurre il numero di morti attribuibili al Covid-19. In Egitto, il presidente Adbel Fattah Al-Sisi ha semplicemente vietato la pubblicazione di dati sulla pandemia diversi da quelli forniti dal ministero della salute egiziano.
«In risposta al controllo delle notizie da parte dei governi e alla natura virale della disinformazione sui social media, il giornalismo è la fonte principale per garantire che il dibattito pubblico si basi su una vasta gamma di fatti accertati. Difendere il giornalismo significa difendere la libertà di tutti».
L’email conclude, suggerendo una donazione all’associazione che si può elargire a https://donate.rsf.org/b/my-donation. Suggerisco anche di dare un occhio alla collezione di libri fotografici che pubblica, a https://boutique.rsf. org/collections/albums-photos. Ho appena acquistato, a 9,90 euro, il titolo più recente, dedicato a Jacques Henri Lartigue. Molto bello.
Post Scriptum: nella classifica, l’Italia è al quarantunesimo posto, davanti alla Corea del Sud. Non ha cambiato posizione dalla pubblicazione del precedente indice. Come sempre, i paesi migliori sono quelli scandinavi: Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca. Meglio dell’Italia, incredibilmente (?), il Ghana (trentesimo) e il Sudafrica (trentaduesimo). Il Regno Unito (trentatreesimo) e la Francia (trentaquattresima) non è che stiano proprio meglio. Bene la Svizzera (decima) e la Germania (tredicesima). Libertà di stampa!
A cura di Reporters sans Frontière, il Freedom of the Press Worldwide 2021 misura lo stato di libertà di stampa nel mondo: l’Italia è al quarantunesimo posto, in una “classifica” sempre guidata dai paesi scandinavi. In questo ordine: Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca.
Non è proprio il caso di riferire in senso stretto e contingente dei vincitori (e vinti?) al World Press Photo 2021, per fotografie realizzate nel precedente 2020, certamente il più accreditato e autorevole Concorso di fotogiornalismo al mondo. Non è il caso di farlo, soprattutto perché altre ovvie tempestività hanno già compilato i propri casellari, per quanto in forma anonima e impersonale: solo elenchi, dopo elenchi precedenti e prima di elenchi successivi. Per contro, in allineamento a un mandato che ci definisce, andiamo sottotraccia, per raccontare -come sempre- in modo da comporre un ulteriore tassello di Storia della Fotografia, in proprio svolgimento
World Press Photo of the Year 2021 e Primo premio General News / Singles: The First Embace, di Mads Nissen (Danimarca; Politiken / Panos Pictures). 5 agosto 2020. Il primo abbraccio che Rosa Luzia Lunardi (ottantacinque anni) ha potuto ricevere dopo cinque mesi. È la sua infermiera Adriana Silva da Costa Souza che l’abbraccia. A marzo 2020, le case di cura brasiliane sono state chiuse a tutti i visitatori, a causa della pandemia di Covid-19, impedendo a milioni di brasiliani di andare a visitare i propri parenti anziani.
A Viva Bem, una casa di riposo di San Paolo, hanno inventato la “tenda dell’abbraccio”, che ha permesso alle persone di abbracciarsi rimanendo sostanzialmente isolati uno dall’altro. Le affermazioni del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che ha minimizzato la gravità della pandemia e la pericolosità del virus, hanno aggravato la situazione. A fine 2020, il Brasile ha raggiunto uno dei risultati peggiori a livello globale, con oltre sette milioni di casi segnalati (7,7 milioni) e centonovantacinquemila morti (195.000).
World Press Photo 2021; Skira Editore, 2021; in italiano; 240 pagine 19x25cm, cartonato; 27,50 euro.
di Lello Piazza
Parliamo del World Press Photo (WPP, nel seguito), alla luce della sua edizione 2021, in attualità di valutazioni e considerazioni. Ma, fra un attimo. Prima, voglio dedicarmi all’importanza della parola Press (nella propria declinazione “italiana”, sostantivo femminile): “informazione” in senso lato, cominciando da un recente fatto di cronaca.
Lo scorso mercoledì dodici maggio, l’Agenzia Nazionale Stampa Associata (ANSA, la prima agenzia di informazione multimediale in Italia e la quinta al mondo -dopo Reuters, Associated Press / AP, Agence France Press / AFP e la spagnola Agencia EFE-, che, dal 2003, per le notizie che riguardano il Mediterraneo, opera come ANSAmed) lancia questa terribile notizia, con accompagnamento di precisazioni doverose: «Tel Aviv, 12 mag - Israele ha distrutto oggi un edificio di dieci piani situato nel pieno centro di Gaza City [in territorio palestinese]. Si tratta del palazzo al-Shuruk [e altre grafie], dove hanno sede -tra l’altro- le redazioni di alcuni media. Nel pomeriggio, è poi stato colpito, ed è crollato, anche un edificio di una dozzina di piani che ospitava gli uffici, tra gli altri, dell’agenzia di stampa Associated Press e di al Jazeera.
Primo premio Portraits / Stories: The “Ameriguns” [combinazione tra “Americans” e Ameriguns”, che si pronunciano allo stesso modo, in un contesto nel quale “gun” esprime quello che effettivamente significa: arma], di Gabriele Galimberti (Italia; per National Geographic). 14 aprile 2019. Il trentacinquenne Torrell Jasper posa mostrando il funzionamento di una delle sue armi, davanti all’esibizione del suo arsenale, esposto ai bordi della piscina della sua casa a Schriever, in Louisiana, negli Stati Uniti [dove, per caso?, ha sede una delle più agguerrite basi dell’aeronautica]. Torrell Jasper è un ex marine. Suo padre gli ha insegnato a sparare quando era bambino.
Secondo lo Small Arms Survey, progetto di ricerca creato a Ginevra, la metà di tutte le armi da fuoco del mondo usate per scopi non militari è di proprietà di cittadini degli Stati Uniti. I dati raccolti affermano che il numero di armi da fuoco supera la popolazione del paese: quasi quattrocento milioni di armi (393) e poco più di trecento milioni di persone (328). Da tempo questione controversa, il diritto alla proprietà di armi è garantito dal secondo emendamento della Costituzione (1791). Secondo il Gun Violence Archive (GVA), solo nel 2020, negli Stati Uniti, si sono verificate seicentotrentatré aggressioni con armi private, due al giorno, più che in qualunque altro paese del pianeta.
«Nell’imminenza dell’attacco, preannunciato dall’esercito con un’ora di anticipo, l’edificio era stato evacuato. La dirigenza dell’AP si è detta “scioccata” e “inorridita” dal gesto compiuto da Israele, che ha accusato Hamas di usare il medesimo stabile come base di supporto per farsi scudo con i civili. L’episodio è stato condannato anche dalla Casa Bianca, secondo la quale “la sicurezza dei media è essenziale”». [Hamas è l’organizzazione politica che ha vinto le elezioni legislative palestinesi del 2006, diventando -di fatto- l’autorità di governo della Striscia di Gaza, dopo la Battaglia di Gaza, del 2007].
Già... La sicurezza dei media è essenziale. Forse questo avrebbe dovuto (potuto?) essere l’aforisma del Cinquantesimo anniversario del World Press Photo, celebrato nel 2005, invece della celebre sentenza del filosofo inglese Francis Bacon (1561-1626): The contemplation of things as they are, without substitution or imposture, without error or confusion, is in itself a nobler thing than a whole harvest of invention («Guardare le cose come stanno, senza confondersi o mal interpretare, senza cambiar le carte in tavola o mentire a se stessi, rappresenta il traguar(continua a pagina 21)
Nell’autunno Duemilacinque è stato celebrato il cinquantenario del World Press Photo. Con l’occasione, e a margine, l’8 ottobre 2005, le poste olandesi hanno emesso una serie filatelica dedicata (anche Souvenir).
Terzo premio Spot News / Stories: Minneapolis Unrest: The George Floyd Aftermath, di John Minchillo (Usa; Associated Press). 29 maggio 2020. Le forze dell’ordine usano gas lacrimogeni contro i dimostranti, durante una manifestazione per l’omicidio, da parte della polizia, di George Floyd. Siamo a Saint Paul, in Minnesota, nei pressi della stazione di polizia nel quale è arruolato l’agente che ha arrestato e ucciso George Floyd, il venticinque maggio.
La vicenda è nota in tutto il mondo. L’afroamericano quarantaseienne George Floyd è morto durante l’arresto da parte della polizia di Minneapolis. Quattro giorni dopo, Derek Chauvin, l’ufficiale di polizia che lo ha tenuto bloccato a terra, premendogli un ginocchio sul collo per più di otto minuti, è stato accusato di omicidio. Decisivo un video girato durante l’arresto, finito sui social e diventato virale. Nei mesi successivi, grandi proteste si sono svolte in più di centocinquanta città americane, alle quali hanno partecipato circa ventisei milioni di cittadini, dando vita al Black Lives Matter (BLM), il più grande movimento di protesta nella storia degli Stati Uniti. A sostegno, le manifestazioni si sono allargate nel mondo. In ognuna, otto minuti e quarantasei secondi di silenzio doveroso e partecipe: il tempo passato il quale George Floyd è morto soffocato.
Terzo premio Sports / Singles: Tour of Poland Cycling Crash, di Tomasz Markowski (Polonia). 5 agosto 2020. A Katowice, il corridore olandese Dylan Groenewegen (a sinistra) cade a pochi metri dal traguardo della prima tappa del Giro ciclistico della Polonia, dopo essersi scontrato con un altro atleta, altrettanto olandese, Fabio Jakobsen.
Per chi ne fosse all’oscuro, lo sprint finale di una gara ciclistica su strada si svolge a ottanta
Secondo premio Portraits / Stories: Nowhere Near, di Alisa Martynova (Russia). 13 giugno 2020. Christ è un ragazzo del Gabon, Africa centrale. È venuto in Italia per studiare economia all’Università di Firenze.
Ufficialmente, in Italia, risiedono più di un milione di immigrati provenienti dall’Africa. Oltre a questi, una quantità sconosciuta di migranti privi di documenti, molti dei quali hanno rischiato la vita per arrivarci.
Questo progetto fotografico sottolinea le differenti vicende di una costellazione di giovani provenienti da diversi paesi africani, maschi e femmine e di culture diverse. Sono arrivati in Italia con le proprie storie personali, e cercano di smentire gli stereotipi sui migranti africani, sostenuti soprattutto dai simpatizzanti della Lega, il cui leader è Matteo Salvini, già ministro degli Interni.
Ammesso e non concesso che l’avverbio sia plausibile e corretto, curiosamente questo progetto fotografico “italiano” è stato svolto da una fotogiornalista russa: segno tangibile che il senso “geografico” dei progetti fotografici è soggettivo.
Secondo premio Environment / Singles: Temple and Half Mountain, di Hkun Lat (Myanmar). 15 luglio 2020. Hpakant, Stato Kachin (Myanmar). Un tempio buddista occupa ancora metà di una imponente montagna, mentre l’altra metà è stata scavata da imponenti macchinari per l’estrazione della giada. La più grande miniera di giada del mondo sta appunto qui, dove si estrae la giadeite, la più preziosa delle forme di giada, della quale la Cina è il maggior acquirente. Le tecniche estrattive rappresentano una distruzione inaccettabile dell’ambiente (Antropocene!).
chilometri orari. Nello specifico, una autentica fotografia di sport, che congela il gesto atletico (qui non cercato, ma subìto) in un istante colmo di intensità: al contrario delle due immagini aggiudicate al Primo e Secondo posto del Concorso. In complemento, ricordiamo che la media di una corsa a tappe, quale è il Giro d’Italia, è di quaranta chilometri all’ora: per almeno tremilacinquecento chilometri, scalate comprese. Primo premio Nature / Stories: Pandemic Pigeons - A Love Story, di Jasper Doest (Olanda). 6 aprile 2020. Una coppia di piccioni ha fatto amicizia con la famiglia del fotografo (Jasper Doest), bloccata in casa, a Vlaardingen, in Olanda, durante la pandemia di Covid-19. Ollie e Dollie, come la famiglia ha battezzato i due piccioni, hanno cominciato a visitare diverse volte al giorno la casa. Il piccione di città (Columba livia domestica) discende dal piccione selvatico, che abita le scogliere del mare. Negli edifici urbani, ha trovato un eccellente sostituto delle scogliere e si è adattato alla vita in città. Oggi, vive in ogni continente, tranne l’Antartide.
La popolazione mondiale conta centinaia di milioni di volatili. I piccioni selvatici sono stati tra i primi uccelli a essere addomesticati, cinque-seimila anni fa, in Mesopotamia. Sebbene siano ritenuti vettori di malattie, non ci sono prove scientifiche a supporto. Comunque, il pensiero comune è avverso ai piccioni in città, tanto da aver creato barriere di pensiero. Al contrario, questo episodio olandese: nella fotografia, Merel, figlia del fotografo, si protegge all’arrivo di Dollie.
Terzo premio Sports / Stories: Thoughts of Flight, di Fereshteh Eslahi (Iran; Podium Photos). 11 settembre 2020. L’iraniano Saeed Ramin è stato un esperto del parkour, attività ludico-sportiva, praticata negli spazi cittadini, che consiste nel superare ostacoli architettonici di vario tipo con volteggi, salti e altre acrobazie. Sette anni fa, è caduto durante una competizione. Rimase quasi paralizzato. Oggi, ha riconquistato qualche funzione vitale ed è in grado di muovere da solo la sedia a rotelle: qui è sollevato da una gru, per avere la sensazione di volare.
Terzo premio Environment / Stories: Inside the Spanish Pork Industry: The Pig Factory of Europe, di Aitor Garmendia (Spagna). 28 febbraio 2020. Maiale che soffre di un’infezione agli occhi in un allevamento intensivo a Castilla-La Mancha, in Spagna. I maiali vivono in un ambiente invaso da gas, come metano e ammoniaca, prodotti dall’accumulo di residui di mangime e materia fecale.
Come abbiamo imparato negli ultimi tempi, o come avremmo dovuto imparare, una delle più pericolose minacce per l’Uomo è il mondo dei virus, noti o ancora sconosciuti. Uno dei settori dove si ritiene più probabile la comparsa di nuovi virus è quello dell’allevamento intensivo di animali per alimentazione. La Spagna è uno dei quattro grandi esportatori mondiali di carne di maiale. Ogni anno, l’Unione Europea consuma circa venti milioni di tonnellate di carne di maiale, ed esporta circa il tredici percento della sua produzione, per lo più in Asia orientale, in particolare in Cina.
In Spagna, Francia e Portogallo è stata lanciata Let’s Talk About Pork, una campagna finanziata dall’Unione Europea, per dimostrare che il settore segue alti standard di sostenibilità e biosicurezza: garanzie che gli animali non soffrono e che abbiano spazio sufficiente per muoversi liberamente. Chi si occupa dei diritti degli animali afferma che l’industria rende difficile l’accesso alle aziende, per i controlli. E che sono costretti a introdursi nelle strutture segretamente, spesso di notte, al fine di documentare ciò che accade all’interno. Le fotografie di questa storia sono state realizzate durante una serie di incursioni notturne in varie strutture di tutta la Spagna. Missione della Fotografia (anche questa): mostrano che la situazione non è quella dichiarata. A mio giudizio, questa storia avrebbe dovuto essere Primo premio della categoria Environment.
Primo premio Spot News / Singles (tra i sei finalisti della World Press Photo of the Year 2021): Emancipation Memorial Debate, di Evelyn Hockstein (Usa; per The Washington Post). 25 giugno 2020. Un gruppo di circa cento cittadini statunitensi si sono raccolti davanti al monumento dell’Emancipation Memorial, di Washington DC, per discutere della sua eventuale rimozione. Un uomo e una donna del gruppo sono in evidente disaccordo. È una classica situazione nella quale, senza didascalia, una ricca didascalia, l’immagine potrebbe venire cestinata in quanto banale e anonima (appunto, se decontestaualizzata).
Il tema è scottante. Siamo nel Lincoln Park, a Washington DC. Il gruppo scultoreo dell’Emancipation Memorial mostra Abraham Lincoln che tiene in una mano il Proclama di Emancipazione (1862, che decretò la liberazione di tutti gli schiavi nei territori degli Stati Confederati d’America). L’altra mano di Lincoln è poggiata sulla testa di un afroamericano (in definizione attuale), inginocchiato ai suoi piedi. I sostenitori della rimozione della statua ritengono che sia paternalista, umiliante nella rappresentazione dei neri americani. Quelli contro la rimozione dicono che è una rappresentazione della liberazione dei neri dalle catene della schiavitù e che, rimuovendola, si cancellano attimi importanti della Storia americana. Il dibattito non si è ancora concluso. Primo premio Spot News / Stories (tra i sei finalisti della World Press Photo of the Year 2021): Port Explosion in Beirut, di Lorenzo Tugnoli (Italia; Agenzia Contrasto, per The Washington Post). 4 agosto 2020, 18,00. Una terrificante esplosione, causata da oltre quasi tremila tonnellate di nitrato di ammonio: (2750), scuote la capitale del Libano. Equivalente a un terremoto di grado 3.3 della scala Richter, l’esplosione danneggia o distrugge circa seimila edifici, uccide almeno centonovanta persone e ne lascia ferite altre seimila; i senza casa sono quasi trecentomila. L’ec-
cellente lavoro fotografico documenta in modo estremamente vivo la cronaca del post esplosione. Molti cittadini hanno visto nell’incidente un chiaro sintomo dei problemi che il paese sta affrontando, dall’insufficienza governativa alla cattiva gestione e corruzione. Nei giorni successivi all’esplosione, decine di migliaia di manifestanti sono scese nelle strade del Beirut, protestando e scontrandosi con la polizia.
Eccellente esempio di ottimo fotogiornalismo sul campo, che fa onore alla nuova generazione di fotografi italiani in azione nel mondo. (continua da pagina 17) do più prezioso che l’Uomo in tutta la sua Storia abbia mai raggiunto» [altrove, «La semplice contemplazione delle cose così come sono, senza superstizioni o inganni, errori o confusioni, vale più di tutti i frutti dell’invenzione»]), in Novum Organum, Science, Aphorisms, Book I, CXIXX.
Come raccontiamo nel riquadro pubblicato a pagina 14, che si riferisce al rapporto annuale di Reporters sans Frontières, per quanto possa essere lecito discutere della qualità del lavoro dei fotoreporter, prima ancora e a monte, è doveroso battersi per metterli in condizione di lavorare. Speriamo di esserne consapevoli in tanti.
Dunque, World Press Photo, edizione 2021, per immagini scattate nel 2020. Personalmente, vedo e considero il WPP più come uno dei più rilevanti e apprezzati medium di informazione, che non come un Concorso; un medium che pubblica un solo numero all’anno, compilato e illustrato da tutti i vincitori del Concorso ed editato dalla sua giuria. Questo (solo) numero non soltanto informa, come peraltro fa in misura egregia, ma redige una sintesi delle più considerevoli notizie dell’anno. Lo fa con le immagini, accettando in Concorso le fotografie più significative dei momenti più sintomatici dell’anno.
Volente o nolente, con riserve che si sono potute esprimere in diverse occasioni, l’immenso valore del World Press Photo arriva soprattutto (non anche) dall’impegno dei fotogiornalisti. Anno dopo anno, se vogliamo, edizione dopo edizione, sono loro che spalancano le porte per far conoscere argomenti che possono sfuggire all’informazione planetaria, perché si svolgono in località estranee al giornalismo condizionato dall’immancabile Società dello spettacolo. Certo, tanto dolore. Certo, soprattutto tragedie. Ma, attenzione: Vita... per quanto è doveroso conoscere e, magari per indignarsi. Certamente, per comprendere anche la crudeltà e ferocia del Sapiens. Comunque, per non girare mai la testa dall’altra parte.
Per questo, anche il WPP deve far parte di tutti i media dei quali è fondamentale proteggere la sicurezza e l’esistenza. Non solo WPP è informazione, ma educa, insegna come si realizza e confeziona informazione giornalistica visiva, crea modi espressivi, elargisce lezioni e sollecita intenzioni. (continua a pagina 24)
A partire dal titolo di World Press Photo of the Year, c’era da aspettarsi una particolare attenzione ai lavori dedicati all’attualità planetaria Covid-19 (quella che si prende quando si viene infettati dal virus SARS-CoV-2). Altro argomento frequentemente presente nei lavori del Concorso 2021 ha riguardato la situazione israelopalestinese. Poca attenzione al problema dei migranti, in anni passati nel mirino. E forse poco efficaci le immagini che illustrano vicende ambientali. Questo almeno secondo me.
Passiamo alla nostra selezione di fotografie scelte tra alcune categorie. In breve: Contemporary Issues (questioni culturali, politiche e sociali che interessano individui e società), Environment (l’impatto umano, positivo o negativo, sull’ambiente), General news (notizie di cronaca e relative conseguenze), Nature (flora, fauna e paesaggi nel proprio stato naturale), Portraits (individui o gruppi in ritratti osservati o in posa), Sports (sport individuali o di squadra), Spot News (testimonianze di momenti o eventi che hanno uno svolgimento immediato).
Ciascuna categoria si divide in Singles e Stories. Poi, ci sono i Long-Term Projects, da ventiquattro a trenta fotografie scattate negli ultimi tre anni, con un minimo di quattro scattate nel 2020 di riferimento temporale.
Tutte le immagini di queste categorie (in versione Singles o Stories) sono idonee per il titolo di World Press Photo of the Year. Stesso discorso per tutte le storie che hanno potuto beneficiare del titolo Storia dell’anno.
World Press Photo Story of the Year 2021 e Primo premio Long Term Projects: Habibi, di Antonio Faccilongo (Italia; Getty Reportage). In arabo, “Habibi” significa “amore mio”. La serie fotografica di Antonio Faccilongo mostra l’impatto del conflitto sulle famiglie palestinesi e sulle loro difficoltà nel preservare i propri diritti riproduttivi e la dignità umana, partendo da inverosimili storie d’amore. Per i carcerati, mettere al mondo figli è un’impresa quasi impossibile. Le visite coniugali sono negate e il contatto fisico è vietato. Fanno eccezione i bambini di età inferiore ai dieci anni, ai quali sono ammessi dieci minuti alla fine di ogni visita, per abbracciare i loro padri. Con i bambini, nascosto in cannucce di biro, in involucri di plastica delle caramelle, lo sperma illegale esce dalle carceri. Nel febbraio 2021, il Middle East Monitor ha riferito che era nato il novantaseiesimo bambino palestinese figlio del liquido seminale contrabbandato in prigioni israeliane.
Tulkarm (Palestina), 25 gennaio 2015. Amma Elian, il cui marito è stato condannato all’ergastolo nel 2003, tiene in braccio due gemelli nati grazie a questo espediente. Più che eccellente, eccezionale addirittura, l’interpretazione dell’italiano Antonio Faccilongo si iscrive a pieno diritto nell’album della fotografia umanista: osservazione lieve, quasi trasversale, che da fiato e vita al soggetto... se vogliamo, il marito di Amma.
Secondo premio Long Term Projects: Reborn, di Karolina Jonderko (Polonia). 29 aprile 2015. Commovente esplorazione fotografica nel territorio onirico entro il quale bambole / bambolotti, perfettamente somiglianti a bambini in carne e ossa, evocano partecipazioni emotive negli adulti. Si tratta di veri e propri bambini artificiali (reborn babies). Addirittura, molte donne che non possono avere figli o che ne hanno perso uno, riversano il proprio amore su un bambino artificiale, curandolo, cambiandogli i pannolini, comprandogli vestiti, come se fosse un bambino vivo.
Nell’immagine-simbolo del progetto, un reborn baby pronto e imballato per essere spedito a un nuovo genitore. Siamo a Olesnica, in Polonia. La confezione include un certificato di nascita e un set di abiti. Il rituale di apertura della scatola finisce spesso sui social media, come fosse una nascita vera e propria.
I reborn babies sono apparsi per la prima volta negli anni Novanta del Novecento. Sono iperrealistici, creati con capelli umani impiantati, pori, lacrime e saliva. I più sofisticati sono dotati di sistemi elettronici in grado di riprodurre il battito cardiaco, la respirazione e il poppare di un bambino vero. La maggior parte di queste “bambole” sono in vinile, anche se le più realistiche sono realizzate in silicone, e talvolta sono “aromatizzate” alla fragranza di bambino.
A proposito della nostra messa in pagina di una selezione di fotografie premiate al World Press Photo 2021, sono necessarie un paio di precisazioni/ segnalazioni. Una per la combinazione, sulle doppi pagine affacciate, di fotografie in qualche modo e misura convergenti: attenzione “redazionale” che accosta tra loro interpretazioni di soggetti impegnativi e lievi.
La seconda nota ribadisce la conservazione delle didascalie originarie, senza le quali verrebbe meno la definizione della stessa fotografia, relegata alla sola propria apparenza di superficie. Oppure, senza le quali il soggetto potrebbe risultare incomprensibile.
Tra i sei lavori finalisti per il titolo di World Press Photo of the Year 2021, oltre quelli qui considerati (Evelyn Hockstein, Primo premio Spot News / Singles, e Lorenzo Tugnoli, Primo premio Spot News / Stories), c’è stato anche Fighting Locust Invasion in East Africa, dello spagnolo Luis Tato (per The Washington Post), che abbiamo segnalato lo scorso mese come vincitore nella categoria Professional Wildlife & Nature dei Sony World Photography Awards 2021. (continua da pagina 21)
Moltissimi sono coloro che, ogni anno, aspettano gli esiti del Concorso. Aleggiano domande: Chi sono i più bravi? Quali le immagini più belle? Quali gli eventi scelti come più significativi?
Un po’ di cifre sono d’obbligo. All’edizione WPP 2021, hanno partecipato più di quattromila fotografi (4315), provenienti da centotrenta paesi (130), con circa settantacinquemila immagini (74.470). Alla precedente edizione 2020, i fotografi furono un poco meno, quattromiladuecentottantadue (4282), da centoventicinque paesi (125), con settantatremilanovecentonovantasei immagini (73.996).
Per tutte le notizie riguardanti il WPP 2021, che, per mille motivi (anche di spazio, ma non solo), non inseriamo in questo articolo, rimandiamo a www.world pressphoto.org/contests/photo-contest [anche dal QRcode a fine articolo].
A causa della pandemia in corso, il processo di valutazione è avvenuto esclusivamente online. In un primo round, sette giurie specializzate e indipendenti hanno selezionato i finalisti delle otto categorie. A seguire, questi sono poi stati giudicati da una ulteriore giuria, presieduta da NayanTara Gurung Kakshapati, basata a Kathmandu, capitale del Nepal, co-fondatrice di Photo. Circle (2007), una piattaforma LED indipendente riservata a giovani artisti nepalesi, per la realizzazione e pubblicazione di propri progetti. Ha fondato anche la Nepal Picture Library (2011), un’iniziativa di archiviazione digitale per valorizzare la storia socio-culturale e politica del paese. Infine, è anche la co-fondatrice e direttrice del festival internazionale di fotografia che si svolge a Kathmandu ogni due anni.
Per meglio comprendere il valore del Concorso, coinvolgo ora in alcuni aspetti del WPP, riferendo regole e informazioni che solo chi ha già provato a parteciparvi conosce. Queste regole e informazioni danno l’idea della sua sacralità.
Intanto, chi può partecipare? Il WPP è indirizzato e aperto solo ai fotografi professionisti. Ogni partecipante deve fornire un documento con una data valida che dimostri il suo status professionale. Per esempio, una lettera di referenze (del 2019 o 2020) di un’agenzia fotografica, di un photo editor o il tesserino di un’associazione giornalistica riconosciuta, il riscontro di una pubblicazione di un servizio con fotografie del 2019 o 2020 (con certificazione visibile nel credito) su un medium riconosciuto.
Ci sono poi regole che riguardano il formato digitale delle fotografie inviate al Concorso. Ognuno di noi, che abbia fatto parte di una giuria o che abbia lavorato in un giornale, conosce la sofferenza che nasce dalla disattenzione con cui tanti (troppi?) fotografi inviano il proprio materiale digitale. Ogni immagine inviata al WPP deve essere nella dimensione originale in pixel con cui è stata scattata (a meno che non ci sia stato un ritaglio). Il formato deve essere Jpeg con compressione di alta qualità. Il profilo ICC (International Color Consortium) deve essere incorporato. Si consigliano AdobeRGB, sRGB o Gamma 2.2 in scala di grigi. Nessun CMYK, solo RGB.
Non sono accettati elaborati con esposizioni multiple, polittici (dittici, trittici e così via). Né panorami cuciti, prodotti on camera o con software di modifica delle immagini. Il contenuto di un’immagine non deve essere alterato. Ci sono due eccezioni, ma non voglio privarvi del piacere di scoprirlo in un filmatino su www. youtube.com/watch?v=WtLLJ55qVIw.
Non mi dilungherò sul processo che la giuria si riserva di applicare per il controllo della autenticità dell’immagine, che potrebbe essere il controllo dei file RAW; oppure, il controllo di una serie di almeno sette fotogrammi (tre prima e tre dopo lo scatto in Concorso); oppure, dell’utilizzo di una app dedicata per scatti realizzati con smartphone; oppure, se si tratta di una scansione da pellicola, della stampa a contatto di una porzione della pellicola che includa almeno tre fotogrammi prima e tre dopo lo scatto in concorso.
È stato doveroso sottolineare il rigore estremo e regale a cui il materiale sotto giudizio viene sottoposto. In questo mondo, altrimenti approssimativo, dove stiamo vivendo, almeno nel nostro pigro e permissivo Occidente, mi rassicura poter credere che esista la possibilità di osservare e considerare lavori premiati e giudicati con estremo rigore.
Chi vuole proseguire, passi alle didascalie delle immagini selezionate, che pubblichiamo. Ogni fotografia è completa della didascalia originaria, spesso necessaria per avvicinare e comprendere il soggetto. ■ ■
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