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Editoriale

Accompagnati dalla Fotografia, abbiamo attraversato decenni di Vita. A breve, l’età ne conteggerà sette; la Fotografia, cinque. Nello scorrere di questo Tempo, tanto è cambiato e si è trasformato, anche in Fotografia (soprattutto, in Fotografia?). Ma il cambiamento più energetico e sostanzioso non è visibile e non si può conteggiare con nulla di concreto, materiale, corporeo e tangibile. È lì, che aleggia nell’aria come nulla fosse: riguarda il senso (e valore?) dell’Età, sia individuale (ahinoi), sia collettiva (ancora, ahinoi). Nei primi anni Settanta del Novecento, di nostro esordio professionale in Fotografia e nel giornalismo fotografico, al quale arrivammo per Caso, ma soprattutto per inganno, l’Età considerava soltanto l’Esperienza: più si era avanti negli anni, meglio era, perché questo significava aver svolto e superato esami, vicende, esercizi che richiedono soprattutto Tempo. In quei lontani momenti, in ogni occasione, ci sentivamo come intrusi in un Mondo già formato e consolidato, ci sentivamo fuori luogo. Eravamo subordinati a tutto e tutti. Ci era concesso soltanto di “guardare”, senza altre autorizzazioni ad agire come soggetti logici e razionali. Stavamo lì, punto e basta, in un mondo dominato, guidato e condizionato da altre Età, che non la nostra. Ciononostante, nell’inevitabile scorrere del Tempo, il solo “guardare”, in ruolo subalterno, si è rivelato più che proficuo, principalmente perché abbiamo avuto la fortuna di avvicinare e affiancare personalità fotografiche di immenso valore e spessore... ovvero di grande esperienza. È la fonte alla quale ci siamo saziati, edificando, a nostra volta, quell’edificio di conoscenze (e coscienze!) che non smette mai di crescere, sia verso l’alto del Sapere, sia verso l’altissimo del non-Sapere (sia chiaro, più si sa, più si è coscienti che se ne può sapere di più). In termini invertiti, e perfino contrapposti, verso la fine di Secolo/Millennio, un clamoroso cambiamento sociale ha rovesciato i termini della questione. Il valore della gioventù ha sopravanzato quello dell’Esperienza (largo ai giovani). Nel frattempo, avremmo potuto rimanere stravolti: l’una nostra se n’era andata e l’altra non serviva più. Improvvisamente, ci siamo scoperti Vecchi. Nulla funzionava più come un tempo. Eravamo diventati come un vecchio e caro orologio, le cui molle e i cui meccanismi si incontrano per segnare il tempo, ben lontani dalla precisione computerizzata di un attuale dispositivo al quarzo. Eppure, non avevamo, e non abbiamo, smesso di ticchettare. Rispetto la nostra gioventù, sottomessa all’Esperienza altrui, abbiamo imparato a osservare e considerare in termini di precedenti e opinioni; pertanto, tutto è oggetto di continui riesami. Oggi, siamo consapevoli che altro non serve, non servirebbe. In particolare, oggi, sappiamo bene che nulla è freddo come appare, che non si deve ragionare in base a un sistema di termini e dogmi, nel tentativo di forzare le infinite varianti dell’Umanità in un organismo di regole prestabilite: fino alla Fotografia, magistrale combinazione di norme logiche e applicazioni arbitrarie.

No! Sono passati i decenni, ed eccoci ancora qui. Qualcuno ha ipotizzato e profetizzato che avremmo dovuto spegnerci, scomparire: e, invece, continuiamo a camminare e pensare e ragionare. E questo non smette mai di sorprenderci. Il pensiero ci fa sorridere, anche se possiamo supporre che non sia vero. Maurizio Rebuzzini

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