07-GIU-2020 Estratto da pag. 5
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 1
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 1
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 11
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 5
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 9
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 9
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 35
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 2
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 2
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 11
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 2
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 3
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3043
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07-GIU-2020 Estratto da pag. 30
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03-GIU-2020 Estratto da pag. 18
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PRIMO PIANO
Corriere di Verona Domenica 7 Giugno 2020
LA FASE 3
Bene gli acconciatori, male i ristoranti: «La gente ha ancora paura». Gli aeroporti fuori dalla lista delle zone più pericolose
L’UetoglieilVeneto dalleareeadaltorischio Aperture,affariarilento Non sorprendiamoci se, di qui a breve, esploderà il fenomeno delle cosiddette «ghost kitchen», le «cucine fantasma» senza tavoli né sedie dove staff di soli cuochi prepareranno piatti da asporto. O se alcune discoteche restituiranno la licenza da sala da ballo per tramutarsi in giganteschi - e meno costosi, per i gestori - bar dove ascoltare dj-set senza ballare. O se ancora pagheremo il caffè almeno 10 centesimi in più. Lo scenario post-Covid, in sostanza, potrebbe mutare il volto del sistema ristorazione-intrattenimento del Veneto. Con un solo obiettivo: sopravvivere alla crisi. Anche se un barlume di speranza c’è: l’Ue ha tolto gli aeroporti veneti dalla lista delle zone a rischio. Si torna a volare. Ad ogni modo, il primo bilancio delle categorie dopo tre settimane di riapertura non offre un quadro soddisfacente. Bene hanno lavorato acconciatori ed estetisti («anzi, superlavorato») ma l’agenda degli appuntamenti comincia già a sfoltirsi e il 30% delle attività non avrebbe neppure riaperto. «Il boom iniziale c’è stato - am-
VEVENEZIA
Caner La ripresa dei voli darà una boccata di ossigeno al nostro turismo mette Tiziana Chiorboli, presidente regionale e nazionale di Confartigianato Acconciatori ed i clienti hanno dimostrato il loro affetto. Adesso la situazione si sta assestando. Stiamo tornando alla normalità». Normalità, tuttavia, non significa che i problemi siano risolti. «Avvertiremo i veri effetti - precisa Chiorboli - fra 20-30 giorni, ma se non riceveremo soldi a fondo perduto molti posti di lavoro saranno a rischio. Sottolineo: soldi a fondo perduto, non prestiti». Quanti posti potrebbero saltare? «In Veneto abbiamo 8.408 parrucchieri con 17.459 addetti e 3.673 estetisti con 6.755 dipendenti. L’impatto potrebbe aggirarsi sul 10%. Molti non hanno ricevuto né i 600 euro né la cassa integrazione, sono amareggiata». Concorda Valeria Sylvia Ferron, presidente del settore Estetica di Confartigianato. Secondo cui, però, i centri estetici subiscono anche altri problemi. «Abbiamo perso la primavera, una stagione chiave per noi. E molti clienti non andranno in vacanza, per cui non sentiranno l’esigenza di sottoporsi a trattamenti», spiega. Senza contare un’altra variabile: la paura. «Già prima utilizzavamo guanti, mascherine e igienizzanti. Ora si sono aggiunte le visiere, ma c’è chi teme l’approccio ravvicinato.
Specie le donne e chi ha genitori anziani, mentre gli uomini sono più fatalisti» ammette Ferron. Dopodiché c’è la questione delle mamme con figli piccoli: «Non tutti hanno nonni ai quali affidare i bambini, c’è chi è rimasto in smart working... Manca obiettivamente il tempo». Quanto ai prezzi in pochi - secondo Ferron - avrebbero ritoccato i listini. «Vedremo come andrà nel lungo periodo, considerato il nostro ruolo legato non sono all’estetica ma anche al benessere, ma temo che avverranno delle chiusure». Sul fronte della ristorazione il bilancio è negativo. L’ampliamento dei plateatici ha consentito di arginare le perdite, ma i numeri sarebbero comunque impietosi: «Stiamo operando al 30%», dichiara Filippo Segato, segretario della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) del Veneto. I motivi sono molteplici: «A causa della paura gli over 55 sono scomparsi, ed è la fascia che spende di più. Abbiamo perso matrimoni, battesimi e comunioni, ma anche le feste di fine anno scolastico e le cene di chiusura dei campionati. Maggio era un mese fondamentale. Giusto i bar che servono l’aperitivo sono tornati al 60-70% del fatturato, grazie ai ragazzi che possono uscire». Le pasticcerie, poi, hanno saltato la Pasqua, la festa della mamma «e d’estate lavorano poco o nulla». «Nel complesso, da qui a fine anno potremmo perdere il 20% dei locali. L’autunno sarà drammatico». Quanto all’asporto, i risultati non hanno entusiasmato: «Qualcuno ha retto, molti altri hanno rinunciato presto. E solo a Padova metà degli uffici è ancora in smart working: ciò significa poco lavoro a pranzo», spiega Segato. Che teme per la sorte «di 20 mila dei 100 mila dipendenti del settore, in Veneto». Sempreché - come pare inevitabile - i prezzi non aumentino, a cominciare dal caffè, e non si punti su nuovi modelli: «Le ghost kitchen, appunto, e le discoteche convertite in bar. Ma saranno ripieghi». Una buona notizia dopo giorni neri arriva invece per turismo e aeroporti: l’Easa, Agenzia europea per la sicurezza aerea, ha rimosso gli aeroporti veneti dall’elenco degli scali situati in aree ad alto rischio. Ciò agevolerà la ripresa dei collegamenti «e sarà una boccata d’ossigeno per il nostro settore turistico», esclama l’assessore regionale al Turismo Federico Caner. Restrizioni imposte da Paesi come la Grecia, dunque, dovrebbero decadere. E con la ripresa degli arrivi si spera nell’innesco di un ciclo virtuoso che restituisca ossigeno anche a bar e ristoranti. Stefano Bensa © RIPRODUZIONE RISERVATA
30% I ristanti operativi
I ristoranti stanno operando al 30% spiega Filippo Segato, segretario della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) del Veneto. Tra le cause la paura: gli over 55 sono scomparsi ed è la fascia che spende di più.
3 VR
16
REGIONE
DOMENICA 7 GIUGNO 2020 CORRIERE DELLE ALPI
1970-2020
I cinquant’anni della Regione Veneto ascesa, fasti e scandali dell’ex isola felice L’ente nacque proprio nel passaggio storico dalla miseria del “Sud del Nord” al benessere diffuso da miracolo economico Un grande balzo in avanti pur fra forti tensioni sociali, che ottenne riconoscimento anche sul fronte politico-istituzionale LO SCENARIO FRANCESCO JORI
È
un anno storico il 1970, per il Veneto: lo spartiacque tra la grande miseria che a fine Ottocento gli aveva valso l’etichetta di “Sud del Nord”, e i primi scalini di un benessere diffuso che farà parlare agli studiosi di “miracolo economico”. Due segnali inequivocabili in questa direzione vengono dal censimento del 1971: si inverte il saldo demografico, passando da negativo a positivo, chiudendo per sempre il doloroso capitolo dell’emigrazione di massa che in un secolo ha portato all’estero tre milioni di veneti; gli addetti all’industria superano la soglia del 50%, consentendo per la prima volta al reddito pro-capite di agganciare quello nazionale. Sono autentiche pietre d’angolo, per un ente Regione che nasce con oltre vent’anni di ritardo rispetto al dettato costituzionale. Dopo il voto del 7 e 8 giugno, la prima riunione del Consiglio si tiene il 6 luglio 1970; l’1 agosto elegge la giunta che si riunisce tre giorni dopo, designando alla guida del Veneto un ingegnere veronese 46enne, Angelo Tomelleri. Si apre così una lunga stagione politica sotto il segno della Democrazia Cristiana, e al suo interno della potente corrente dorotea, il cui leader è il vicentino Mariano Rumor: pochi giorni dopo inizierà a Roma la prima delle sue cinque presidenze del Consiglio. Più tardi, verrà scalzato dal suo delfino, il polesano Toni Bisaglia; ma i dorotei veneti rimarranno fino all’ultimo dominanti nello scudo crociato regionale. Pur non ottenendo più la maggioranza assoluta dei voti, la Dc
manterrà quella dei seggi per altre due legislature, e resterà comunque l’asse portante del governo veneto fino alle ultime battute della prima Repubblica. Per la società regionale, la seconda metà degli anni Settanta si rivela quella del “grande balzo in avanti”, ma anche di forte tensione sociale segnata dagli “anni di piombo” che hanno proprio in Veneto uno dei loro epicentri: in particolare, tra il 1977 e il 1979 in regione si verificano 1.197 atti di violenza eversiva; e nell’intera durata di quella sanguinosa stagione si succedono omicidi, ferimenti, assalti, attentati. Ma la sostanziale coesione sociale consente di superare l’emergenza e di riprendere la corsa, facendo degli anni Ottanta quelli della definitiva affermazione, grazie a un’ininterrotta crescita del Pil a un ritmo superiore alla media nazionale, senza mai neppure un anno di saldo negativo. A fine decennio, così, il Veneto compie un significativo sorpasso, diventando la seconda regione industriale italiana a spese del Piemonte, e collocandosi alle spalle della sola Lombardia. Già a metà anni Ottanta i televisori a colori sono 51 su 100, come dire che ce n’è uno ogni due famiglie. Ci sono 38 automobili ogni 100 abitanti; le utenze telefoniche sfiorano i 2 milioni, con un aumento del 26 per cento in soli tre anni. Si coglie un’evidente maggior propensione a spendere, come dimostra l’indice dei prezzi al consumo, che tra il 1980 e il 1985, fatta base 100, sale fino ad attestarsi a livelli che arrivano fino al 187. L’indice di natalità delle aziende sfiora il 10 per cento, collocando la regione nettamente al di sopra della media nazionale: c’è già un’impresa ogni dieci abitan-
L’irrilevanza costante nella rappresentanza politica a livello nazionale Tangenti del Mose crac delle popolari fino alla pandemia: il futuro è un rebus ti, si comincia a parlare del “popolo delle partite Iva”. Ma qualcosa sta cominciando a cedere, nell’incontrastato feudo democristiano: senza che nessuno o quasi se ne renda conto, sta franando il terreno sotto ai piedi non solo per la Dc egemone, ma anche per i partiti tradizionali; e non solo in Veneto. Un segnale all’intera Italia della politica viene dal voto nazionale del 1983, quando a sorpresa un partitino neonato e assolutamente privo di mezzi, la Liga Veneta, riesce a mandare due suoi rappresentanti in Parlamento; e conferma l’exploit due anni dopo, alle regionali, conquistando due seggi a Venezia. È un percorso che rimane ancora sommerso fino al termine del decennio, e che esploderà fragorosamente con gli anni Novanta, con la devastazione di tangentopoli. La Regione simbolo di granitica stabilità, con tre soli presidenti in vent’anni, ne cambia tre nei successivi due. E quando si verifica il tracollo dei vecchi partiti e l’avvio di un sistema diverso con nuovi soggetti, l’ex Veneto bianco sparisce per sempre, sostituito prima dall’azzurro di Forza Italia, poi dal verde della Lega: se i “dogi” della precedente stagione erano stati Angelo Tomelleri e Carlo Bernini, entrambi Dc
Due foto storiche per l’istituzione Regione del Veneto. Sopra, il presidente della Regione Tomelleri (al centro) nella prima seduta del 6 luglio 1970. Sotto, l’Ufficio di presidenza durante la stessa riunione
MARIO BERTOLISSI
IL COMMENTO
Benefici a tutti se si lascia fare a ciascuno quel che sa fare
L
e Regioni ordinarie hanno cinquant’anni di vita. Li dimostrano oppure no? Dipende! Qualcuno ha tracciato un bilancio negativo, ma ha commesso un duplice errore nel motivare quella conclusione. Ha trascurato – nel senso che non ha considerato per nulla – lo Stato. Gode buona salute oppure è pieno di acciacchi? Le Regioni ordinarie sono quindici, ma il giudizio ha riguardato le Regioni nel loro insieme. Insomma, il voto è stato dato alla
classe, non agli alunni, e si è fatto finta che non ci fosse il professore: chi ha il compito di insegnare ed educare. Tanto per cominciare, non v’è dubbio che il regionalismo italiano poteva dare una migliore prova di sé. Avrebbe potuto incalzare lo Stato sul piano del suo rinnovamento; non soffocare – come, talvolta, è accaduto – i Comuni e le Province, in nome di una vocazione neocentralista; riservare a sé poteri di governo e non di gestione, che sono di sicura com-
petenza dei Comuni. Tuttavia, mezzo secolo è un tempo assai prolungato, nel corso del quale Stato e Regioni avrebbero dovuto trovare un equilibrio positivo e condiviso, per operare nell’ottica della leale collaborazione. Ma il primo atto di lealtà avrebbe dovuto consistere in una scrupolosa ed attenta attuazione di quel che aveva stabilito il Costituente. Un costituente illustre – Costantino Mortati – ha scritto che l’autonomia finanziaria è “pietra angolare del sistema”.
Ancora oggi, le Regioni non dispongono di alcuna potestà fiscale, che abbia un qualche rilievo significativo. Tant’è vero che un noto tributarista – Francesco Tesauro – l’ha definita, ironicamente, “autonomia inautonoma”. Senza una fiscalità propria, non c’è responsabilità e, conn essa, neppure vera politicità. Il nome di uno che la pensava così? Luigi Einaudi. Il Costituente aveva stabilito inoltre – è da leggere, per stupirsi dell’accaduto, l’VIII disposizione transitoria
e finale – che le elezioni dei Consigli regionali fossero indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione: ci sono voluti più di vent’anni! La medesima disposizione imponeva che, con il trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, passassero a queste ultime anche i “funzionari e dipendenti dello Stato”. Una legge di delega del 1970 ebbe a disporre che fossero riordinati i ministeri: lettera morta! Non solo. Lo Stato avrebbe dovuto stabilire i principi – la
cornice -, relativi alle varie materie, oggetto di potestà concorrente. Una medesima operazione l’avrebbe dovuta svolgere pure in attuazione della riforma costituzionale del 2001. Salvo qualche sporadico esempio, inerzia assoluta, causa non ultima del contenzioso Stato-Regioni, di cui ci si lamenta, a vanvera. Sotto questo profilo, c’è da aggiungere che la decisione se impugnare le leggi regionali o meno la prende solo formalmente il Governo. La decisione sostanziale è della burocrazia ministeriale, che ha trasformato il giudizio sulle leggi in controversie sul mansionario. Dunque, le Regioni hanno
REGIONE
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1970-2020 dorotei, il loro ruolo passa prima al forzista Giancarlo Galan e poi al leghista Luca Zaia, che dominano assolutamente incontrastati, relegando il centrosinistra veneto a un ruolo puramente marginale. Del tutto diverso è l’andamento dell’economia, al punto da far coniare lo slogan di una regione popolata da “giganti economici, nani politici”. Una divaricazione che si spiega anche con la sostanziale irrilevanza politica del Veneto a livello nazionale, malgrado per lunghi periodi si registri piena omogeneità della linea di comando del centrodestra tra Roma e Venezia: le contestazioni nei confronti del governo nazionale sono le stesse, anzi salgono di tono. Gli anni Novanta sono caratterizzati comunque da un’economia in piena salute e che cresce a ritmi esponenziali, con le industrie che cominciano a delocalizzare, alimentando al proprio esterno un indotto basato su piccole aziende specializzate, e andando a conquistare sempre nuovi mercati oltre confine grazie all’originale formula dell’impresa diffusa, che qualcuno ribattezza anche “multinazionale tascabile”. In particolare, tra il 1992 e il 1994 il Veneto aumenta di otto punti percentuali la sua propensione all’export. Nel 1994, un terzo del valore aggiunto prodotto in regione viene venduto all’estero. Ma qualcosa si sta inceppando nel meccanismo; e mentre vengono al pettine i nodi di decisioni strategiche troppo a lungo rinviate, si innescano i processi di esaurimento delle principali risorse interne, che nei primi anni del terzo millennio alimenteranno un acceso dibattito sulla fine del vecchio modello di sviluppo e sull’esigenza di definirne uno di nuovo ma pure di profondamente diverso. L’ex isola felice vive oggi i 50 anni della Regione in un clima appesantito da scandali quali quelli esplosi sul Mose e la difesa di Venezia dalle acque alte, e sul crac di istituti di credito quali Veneto Banca e Popolare Vicenza; da terremoti come quello innescato dalla crisi globale del 2008; e per ultimo dall’impatto di un coronavirus tuttora in atto, ma destinato a produrre devastanti danni collaterali per gli anni a venire. Un futuro pieno di punti interrogativi. —
la storia
Alcuni dei protagonisti I volti dell’istituzione
Carlo Bernini a capo della Regione dal 1980 al 1989
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Il 7 e l’8 giugno di mezzo secolo fa 2,5 milioni di veneti ai seggi elettorali La Democrazia cristiana incassò la maggioranza assoluta sfiorando il 52% dei consensi. A Vicenza il picco massimo con oltre il 64% VENEZIA
Le prime elezioni regionali si tengono il 7 e 8 giugno 1970; alle urne si presentano poco meno di due milioni e mezzo di veneti. La Democrazia Cristiana incassa la maggioranza assoluta, sfiorando il 52
Marino Cortese, padre dello Statuto regionale
Il simbolo della Dc, partito egemone nel Veneto anni ’70
giunte e alleanze
Tomelleri e Feltrin i primi presidenti Nel 1992 le scosse di Tangentopoli Giuseppe Pupillo, presidente Pds fra 1993 e 1994
Primi 20 anni, solo tre leader Ma con le dimissioni di Cremonese inizia un periodo di grande instabilità: tre presidenti in soli due anni VENEZIA
Il primo presidente della giunta regionale, un monocolore Dc, è il veronese Angelo Tomelleri, con un intermezzo di poco meno di un anno gestito dal trevigiano Piero Feltrin.
Palazzo Balbi, a Venezia sede della Giunta regionale
Gianfranco Cremonese, a capo della Regione dal 1989 al 1992
le regole
Statuto in un anno: 4 parti e 64 articoli approvati dall’aula all’unanimità
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le loro responsabilità, ma non tutte sono responsabili allo stesso modo. Alcune hanno ben operato, altre se la sono cavata, altre ancora hanno arrancato: lo ebbe a rilevare Livio Paladin, con estrema lucidità. È quel che abbiamo potuto constatare in questi giorni, vittime del coronavirus. Il quale ha confermato un’idea salda, che avevano in mente coloro che hanno scritto e approvato la Costituzione. La sintesi tra autonomia, pluralismo e unità consiste nel lasciar fare a ciascuno quel che sa fare, perché va a beneficio di tutti. Convinti che aveva ragione Henry Ford quando disse che «mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo». —
la ricorrenza
Giancarlo Galan alla guida dal 1995 fino al 2010 Passaggio sull’«autogoverno del popolo veneto» da attuarsi «in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia» VENEZIA
Luca Zaia è presidente della Giunta regionale dal 2010
L’atto fondante della Regione è lo statuto, come previsto dalla Costituzione stessa. Il compito di elaborarlo, nel 1970, viene affidato a un’apposita commissione, presieduta dal democristiano Marino Corte-
L’aula del Consiglio regionale a Palazzo Ferro Fini, Venezia
per cento dei consensi; ottiene la punta massima a Vicenza (all’epoca definita non a caso “la sacrestia bianca d’Italia”) con oltre il 64 per cento; va sopra il 50 anche a Padova e Treviso, con il 56, e a Verona, con il 53; la punta più bassa è nella “rossa” Venezia, dove si ferma al 38. Il secondo partito, nettamente più distanziato, è il Pci, che arriva poco sotto il 17 per cento: la sua roccaforte è il Polesine, con quasi il 42 per cento, seguito da Venezia con il 26; la punta minima è a Vicenza, dove non riesce ad andare oltre la percentuale a una sola cifra, bloccandosi sul 9. Al terzo posto si piazza il Psi, che peraltro riesce a superare di appena quattro decimali il 10 per cento; il suo insediamento principale è il Bellunese, dove arriva al 14; e spunta buoni risultati anche a Venezia e Verona, collocandosi attorno al 12; la soglia più bassa è quella di Padova, con il 7. Assieme, i tre maggiori partiti fanno la parte del leone,
portando via otto su dieci dei voti veneti. Il resto del dividendo elettorale viene suddiviso fra altre sette forze in campo: ai socialisti del Psu va il 7 e mezzo per cento (peraltro con un exploit a Belluno, dove si ferma appena un decimale al di sotto dei “cugini” del Psi); ai liberali del Pli il 4 per cento (con punta massima nel Bellunese, dove sfiora il 5); al Psiup il 3 e mezzo (i migliori risultati vengono da Venezia e Verona, poco sotto il 4 e mezzo); al Msi poco meno del 3 e mezzo (con roccaforte a Verona, sfiorando il 4); ai repubblicani del Pri il 2 (punta massima a Treviso col 2 e mezzo); socialdemocrazia e monarchici devono accontentarsi di un paio di decimali. Nella ripartizione dei seggi, la Democrazia Cristiana ottiene la maggioranza assoluta dei 50 posti, con 28 rappresentanti; 9 ne vanno al Pci, 5 al Psi, 3 al Psu, 2 al Pli, 1 a testa a Psiup, Msi e Pri. —
Nel secondo mandato, che si apre nel 1975, Tomelleri dapprima guida un bicolore Dc-Pri; poi dal 1977 si torna alla giunta solo scudocrociata. Dopo due legislature, nel 1980, gli subentra il dc trevigiano Carlo Bernini che ricopre l’intero mandato in tandem con il Psdi. Viene confermato dal voto del 1985, e governa con il quadripartito Dc-Psi-Psdi-Pli. Chiude un anno prima della scadenza naturale, in quanto chiamato nel 1989 a Roma per ricoprire l’incarico di ministro dei trasporti. L’anno residuo di legislatura viene gestito dal democristiano Gianfranco Cremonese, confermato nell’incarico dopo il voto dell’anno successivo; ma stavolta presiede il primo quadripartito del centrosinistra classico, con Psi, Psdi e Pri. Nei primi vent’anni di vita, il Veneto ha avuto tre presidenti in tutto, a parte il breve intervallo di Feltrin. Nel 1992, il terremoto di Tangentopoli, con le dimissioni
di Cremonese, innesca un accentuato turn-over, con tre diversi presidenti in soli due anni: Franco Frigo (Dc) dal novembre 1992 al maggio 1993; Giuseppe Pupillo (Pds, l’unico presidente postcomunista del Veneto) dal maggio 1993 al maggio 1994; Aldo Bottin (Dc) dal maggio 1994 al giugno 1995. Da quell’anno Giancarlo Galan (Forza Italia) è alla guida di un esecutivo dapprima con An e Cdu, poi allargato alla Lega. Dal 2010 a oggi è la volta di un esecutivo di centrodestra, ma a guida del leghista Luca Zaia. Questi i presidenti del Consiglio regionale: Vito Mario Orcalli (Dc), Giancarlo Gambaro (Dc), Bruno Marchetti (Psi), Francesco Guidolin (Dc), Amalia Sartori (Psi), Umberto Carraro (Psi), Enrico Cavaliere (Lega), Marino Finozzi (Lega), Clodovaldo Ruffato (Pdl), Roberto Ciambetti (Lega).
se, all’epoca 32enne, politico con forte senso delle istituzioni. Il lavoro è impegnativo, ma viene svolto in meno di un anno: il testo, strutturato in quattro parti e 64 articoli, è portato in aula e approvato il 22 maggio, all’unanimità, e ratificato dal Parlamento. Significativo in particolare l’articolo 2, in cui si parla di “autogoverno del popolo veneto”, da attuarsi “in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”. Le riforme apportate nel 2001 al titolo V della Costituzione, con l’assegnazione di poteri e competenze alle Regioni, hanno comportato l’esigenza di varare un nuovo statuto. In Veneto vengono presentate quattro proposte, vagliate da un’apposita commissione, che nel 2011 approda a un testo unitario, approvato anch’esso all’unanimità in due successive votazioni, il 18 ottobre 2011 e l’11 febbraio 2012; consiste di tre parti e 65 articoli, e in esso viene ribadito tra l’altro il principio
dell’autogoverno del popolo veneto. Le riforma del titolo V prevede anche che le Regioni possano ottenere maggiore autonomia in una serie di materie elencate dalla Costituzione, se ne fanno richiesta. Il Veneto indice in tal senso un referendum consultivo il 22 ottobre 2017, al quale partecipa il 57 per cento dei 4 milioni di elettori; il sì alla richiesta di autonomia differenziata ottiene il 98 per cento dei sì. Si apre una trattativa col governo assieme ad altre regioni, Lombardia ed Emilia-Romagna in testa; il 28 febbraio 2018 viene raggiunto un accordo preliminare. Le trattative sono ancora in corso; una volta varato definitivamente dal governo, il provvedimento sull’autonomia differenziata passerà alle Camere: perché sia efficace, dovrà essere approvato con la maggioranza assoluta dei loro componenti.
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BELLUNO la campagna contro l’influenza
la psicologia ospedaliera
L’allarme dei medici di base «Servono spazi e personale»
Supporto psicologico: 360 interventi in ottanta giorni
Il presidente provinciale dell’Ordine preoccupato per quanto accadrà in autunno «Non potremo fare le vaccinazioni in ambulatorio per evitare assembramenti» Inoltre, proprio perchè si dovrà aumentare la platea degli immunizzati la Regione ha richiesto, tramite Azienda zero, una quantità maggiore di dosi per far fronte alle cresciute esigenze. «Abbiamo chiesto, inoltre, che la campagna vaccinale parta molto presto, e di poter avere a disposizione le dosi presto, non come l’anno scorso a novembre». Ma per rendere più agevole una eventuale diagnosi di coronavirus in una persona, Rossa suggerisce che «sarebbe opportuno fare in modo che le persone anziane si sottoponessero alla vaccinazione contro il pneumococco, il virus responsa-
Paola Dall’Anese / BELLUNO
Campagna vaccinale contro l’influenza anticipata a settembre e rivolta a persone fino a 60 anni, insieme ad una ripresa dei vaccini contro il pneumococco da parte dei medici di famiglia. Si prospetta un autunno molto caldo per i camici bianchi che operano nel Bellunese. Ma il problema maggiore sarà capire come ottemperare a tutto questo, evitando assembramenti e quindi contagi. A chiederselo è il presidente dell’Ordine dei medici di Belluno, Umberto Rossa all’uscita dal vertice con l’assessore veneto Manuela Lanzarin che ieri ha spiegato gli strumenti messi in campo per evitare il più possibile il diffondersi del coronavirus tra la popolazione dall’autunno.
Il presidente Rossa chiede la ripresa delle immunizzazioni contro il pneumococco
IL VACCINO ANTINFLUENZALE
«Dobbiamo stare molto attenti alla vaccinazione», spiega Rossa che prosegue: «Già oggi si iniziano a vedere molti pazienti che arrivano in ambulatorio senza appuntamento, come se l’emergenza covid-19 non esistesse più. E noi medici a sottolineare che il virus è ancora presente, che le norme di sicurezza come quelle del distanziamento sociale, della mascherina e dell’igienizzazione delle mani vanno ancora seguite e che per venire dal medico di famiglia serve prendere appuntamento. Se ora è così», sottolinea Rossa, «figuriamoci quando sarà il momento di fare i vaccini». Vaccino che quest’anno
L’ambulatorio di un medico di famiglia
contrariamente alle scorse stagioni, sarà esteso anche alle persone fino a 60 anni, anziché 65. Questo per aumentare la platea dei vaccinati. La vaccinazione rimarrà sempre facoltativa, anche se per le categorie a rischio resta caldamente consigliata. «Se gli anni scorsi si presentavano in ambulatorio anche 60-70 persone al giorno per farsi vaccinare, ora non sarà più possibile per impedire l’assembramento», dice il presi-
dente dell’Ordine dei medici bellunese. «Quindi sarà opportuno pensare a trovare delle aree dove è possibile vaccinare in sicurezza, dove si potrà far arrivare numerose persone ma sempre garantendo il distanziamento. Per poter poi effettuare un triage saranno necessarie anche più infermiere o infermieri, insomma personale in grado di fare da filtro in caso di sintomi che rinviano al virus. L’Usl o i comuni trovino le aree adatte».
bile di molte polmoniti nei soggetti deboli». Questa vaccinazione che ha valenza decennale, fino a qualche anno fa veniva eseguita dai medici di famiglia, ma poi è stata presa in carico dal Dipartimento di prevenzione. «Ma con questo passaggio da noi medici vicini ai pazienti al Dipartimento con sede all’ospedale molte persone non si sono più sottoposte alla vaccinazione. Ecco perché abbiamo chiesto all’assessore Lanzarin di fare in modo di riportare in capo al medico di base anche questa immunizzazione». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
in ospedale
Sono 111 gli addetti della sanità che sono risultati positivi al Covid dall’inizio dell’epidemia al primo giugno scorso. Vale a dire il 3,22% sui 3.414 totali. Si questi 20 sono medici ospedalieri, 56 sono infermieri, 15 sono operatori socio sanitari, due tecnici, 10 impiegati amministrativi, un ausiliario e 7 medici di medici-
Trecentosessanta interventi in 80 giorni: è quanto fatto nell’ambito del progetto “Sostegno Psicologico Covid” promosso dall’Usl Dolomiti in collaborazione con l’Ail sezione di Belluno e il Fondo Welfare Dolomiti della Provincia a partire da marzo. Nella fase dell’emergenza in cui la preoccupazione era più forte, l’unità di Psicologia ospedaliera si è fatta promotrice dell’attività di sostegno psicologico secondo il modello della psicologia dell’emergenza, partendo dalle persone malate e da chi le cura. Il sostegno è stato poi via via allargato. Ad oggi sono stati fatti 152 colloqui a favore di 39 persone Covid positive o in isolamento fiduciario; 83 colloqui di supporto a 11 famiglie di persone ricoverate per Co-
vid; 44 colloqui di supporto nell’elaborazione del lutto a otto familiari; otto reparti ospedalieri e sei case di riposo formate nella tecnica del Defusing; 19 incontri di gruppo; 33 colloqui a favore di 12 sanitari; 20 colloqui di supervisione ai coordinatori di reparto. Inoltre, nell’ambito del progetto, è stato curato anche il sostegno ai medici di medicina generale oltre che la produzione di diverso materiale informativo per la cittadinanza. «La pandemia ha fatto toccare a ciascuno, nella continuità del proprio isolamento, la fragilità ma anche la possibilità di crescita. Per qualcuno si è trattato di riuscire a stare soli con sé stessi. Per altri responsabilizzarsi rispetto all'impatto del proprio comportamento sulla collettività», spiega la coordinatrice Francesca De Biasi. —
la novità
Dodici ecografi in arrivo negli ospedali bellunesi BELLUNO
L’Usl Dolomiti acquista 12 ecografi per un valore totale di oltre 785 mila euro Iva compresa. Due apparecchiature andranno alla Radiologia Agordo, tre alla Medicina di Belluno, alla Neurologia e Medicina di Feltre. Un apparecchio cardiovascolare top di gamma alla Cardiologia di Belluno, quattro ecografi cardiovascolari di media gamma alla Medicina di Feltre, all’Anestesia rianimazione di Agordo e alla
Cardiologia di Belluno. Infine, due ecografi per uso ostetrico/ginecologico di fascia medio/alta andranno all’Ostetricia Ginecologia del San Martino. Per tutti i lotti la configurazione base è stata integrata con alcuni dispositivi accessori. «Rinnovare costantemente le attrezzature sanitarie è un modo per continuare a migliorare la qualità dei servizi offerti ai nostri assistiti e per investire sui nostri ospedali», spiega il dg Adriano Rasi Caldogno. —
il bollettino
Sono 111 gli operatori della sanità contagiati da inizio pandemia BELLUNO
BELLUNO
na generale. Attualmente di questi soltanto sei sono ancora positivi e si tratta di un medico ospedaliero, un operatore socio sanitario e quattro infermieri. Ad oggi, inoltre, sono stati eseguiti 10.208 tamponi, per un totale di 3.446 addetti (tra cui anche medici non dipendenti). Dunque il dato finale dell’Usl 1 Dolomiti per quanto riguarda il suo personale conta-
giato è in linea con quello nazionale. «Anche se all’inizio la percentuale di contagiati in ospedale era di circa il 26%. Questo ad indicare che all’inizio ci sono stati dei problemi sicuramente, che poi sono stati risolti all’interno della gestione della pandemia. Ora per si dovrà capire ora», sottolinea Luca Barutta, esponente dell’Anaao di Belluno, «se ci sarà qualcuno intenzionato a fare una causa, anche se per tutti è partita la copertura Inail per infortunio sul lavoro». Ma Barutta si dice perplesso anche su quello che si farà da qui ai prossimi mesi a tutela dalla sanità pubblica. «Il taglio ai posti letto e ai servizi ospedalieri sono iniziati dal
2012, quindi in pieno governo Zaia. Con l’allora piano socio sanitario regionale si sono tolti dei letti, ma si è declassato l’ospedale di Agordo e via via quello di Pieve di Cadore che fino ad allora erano due strutture per acuti con capacità di rispondere all’urgenza sia per quanto riguarda gli interventi chirurgici che ortopedici e potevano contare su due primari distinti». E poi il referente dell’Anaao si pone il problema che un paio di anni fa tutti si erano posti: «Perché trasformare Cortina in una struttura privata, quando si poteva farla restare pubblica? Questo denota un piano della Regione che è ancora in atto, non illudiamoci». — PDA
Due nuovi positivi c’è un nuovo decesso BELLUNO
Due contagiati in più nella giornata di ieri in provincia di Belluno, dove i positivi passano da 1174 a 1176 dall’inizio dall’epidemia. Sono in realtà 85 gli attuali positivi. E aumenta anche il numero dei decessi che passa da 110 a 111. In compenso continua la discesa del numero di persone in isolamento che si ferma a 125, mentre
sono 980 le persone guarite. Restano ancora due i ricoverati in ospedale in area Covid non critica, mentre è confermata l’assenza di ricoverati nelle aree a bassa intensità di cura sia a Belluno che ad Agordo, e così pure nella terapia intensiva Covid. La situazione in provincia quindi si conferma stazionaria, anche se l’attenzione deve rimanere alta. —
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Coronavirus: il rischio sanitario
Non solo infanzia e gli over 65: l’obiettivo di Zaia è estendere la copertura all’intera popolazione. In arrivo 4,5 milioni di dosi
REPORT DEL 05.06 ORE 17 Casi attualmente positivi
Deceduti in ospedale + extraospedale
Negativizzati virologici
3.845
+1
53
292
3.500
88
0
1
3
84
Treviso
2.663
+2
248
316
2.099
146
Venezia
2.668
+2
105
291
2.272
145
Verona
5.105
+2
307
565
4.233
321
Vicenza
2.852
+1
157
326
2.369
120
Belluno
1.176
+1
85
111
980
125
Rovigo
442
0
9
34
399
67
Domicilio fuori Veneto
316
0
115
15
186
CASI SARS-CoV-2 POSITIVI Raggruppamenti sulla base del domicilio del soggetto positivo SARS-CoV-2
Padova (escluso domiciliati Vo') Cluster domiciliati Comune di Vò
TOTALE REGIONE VENETO
Il virus è clinicamente morto, affermano Alberto Zangrillo e Paolo Navalesi. Sciocchezze, la verità è che non ne sappiamo abbastanza, obietta Andrea Crisanti. Se tra gli scienziati c’è discordia, il linguaggio delle cifre è inequivocabile: un solo paziente “superstite” nelle terapie intensive del Veneto, giunte a un passo dalla saturazione e ora deserte; 82 i casi non critici nei reparti ordinari già affollati da oltre mille ricoveri; 0,3 per mille, infine, l’attuale indice di contagi tasso pressoché insignificante - sentenziano gli infettivologi - a fronte di una pandemia capace di mietere 2 mila vittime ma infine depotenziata nella carica aggressiva. INDICE INFETTIVO SOTTO LO 0,3 PER MILLE
Eccesso di ottimismo? Sottovalutazione dei rischi in agguato? «Non ho titoli per azzardare diagnosi, da ingegnere constato che il nostro algoritmo previsionale colloca alla fine di giugno la cessazione dei contagi e dei nuovi malati. Dall’inizio della crisi, si è rivelato attendibile con un margine d’errore inferiore al 5%», è
il commento dell’assessore alla protezione civile Gianpaolo Bottacin, che insieme agli statistici della sanità lavora all’aggiornamento quotidiano del modello matematico. Il recente, lievissimo, incremento dei positivi, peraltro, non sembra associato alla ripartenza: «Al momento il monitoraggio esclude agenti riconducibili alla movida o alla ripresa delle attività lavorative, si tratta
Un solo paziente Covid nelle terapie intensive L’algoritmo: i contagi azzerati entro giugno piuttosto di contagi in ambito parentale oppure di strascichi dei focolai nelle case di riposo». «Sì, l’andamento è incoraggiante e ci spinge ad accelerare il completamento del programma di riapertura», fa eco Luca Zaia «tuttavia, il rischio non è svanito: mascherine, gel e distanze di sicurezza ci accompagneranno per mesi, fino all’autunno almeno». L’accenno non è casuale: «Stavolta il coronavirus ha intercettato la coda dell’influenza inver-
nale ma se ad ottobre l’eventuale seconda ondata coincidesse con l’avvio della stagione influenzale, allora ci ritroveremmo di nuovo gli ospedali gremiti». I MEDICI DI FAMIGLIA IN CAMPO
Il pericolo è duplice: l’effetto congiunto delle patologie sulle fasce di popolazione a maggiore rischio (malati cronici e immunodepressi in primis) e l’ulteriore complicanza diagnostica determinata dall’analogia dei sintomi. Per scongiurarlo, sono in cantiere misure straordinarie: «Quest’anno la campagna influenzale e anti pneumococco non privilegerà i target d’età tradizionali, infanzia e over 65, ma sarà rivolta a tutti attraverso un piano d’informazione veicolato dai social, che coinvolgerà anzitutto i medici di i famiglia», fa sapere l’assessore alla salute Manuela Lanzarin «la Regione non può, legalmente, obbligare i cittadini a vaccinarsi, perciò ci affideremo alla moral suasion e faremo di tutto per convincere la popolazione veneta ad aderire alla nostra proposta di prevenzione. A riguardo siamo fiduciosi, tangto che abbiamo prenotato 4,5
CASI RICOVERATI IN OSPEDALI PER ACUTI TOTALE RICOVERATI POSITIVI
A volte le buone notizie piovono dal cielo: l’Agenzia europea per la sicurezza aerea, ha rimosso gli aeroporti del Veneto dall’elenco degli scali situati in aree ad alto rischio di trasmissione Covid-19. «È un segnale di forte incoraggiamento per la libertà di movimento da e per la nostra regione, una vera e propria boccata d’ossigeno per il nostro settore turistico», il commento dell’assessore al turismo Federico Caner, lesto a sottolineare come la decisione favorevole a Venezia, Verona e Treviso sia stata assunta alla luce delle valutazioni «rassicuranti» giunte dall’Organizzazione mondiale della sanità. «Solo pochi
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Pazienti positivi in AREA NON CRITICA
Pazienti positivi in TERAPIA INTENSIVA
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TOTALE RICOVERATI (POSITIVI + NEGATIVIZZATI)
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milioni di dosi, circa il doppio rispetto al passato». IL MALESSERE DEGLI SPECIALIZZANDI
A proposito di collaborazione medica, nella fase più acuta della crisi un aiuto prezioso - e volontario- è giunto dagli specializzandi, i giovani laureati che completano la formazione in ospedale. Generosi ma negletti («Ci è negato l’accesso alla mensa universitaria, dobbiamo provvedere da soli a sterilizzare indumenti e dispositivi indossati in corsia») reclamano un trattamento più rispettoso: «Richiesta legittime, stamani ne abbiamo discusso con gli Ordini professionali, la Regione si impegnerà a favorirne accoglimento», promette Lanzarin. — © RIPRODUZIONE RISERVATA
Aeroporti veneti via dalla black list Caner: «È ossigeno per il turismo» giorni fa», osserva «per i viaggiatori in partenza dai nostri scali aeroportuali e diretti in altri Paesi come la Grecia, erano previste misure restrittive che prevedevano test obbligatori all’arrivo e isolamento volontario. Ora questi obblighi appaiono superati e il riconoscimento che il Veneto è un territorio sicuro, potrà favorire la ripresa delle attività negli aeroporti veneti e quindi dell’incoming turistico»; «Un risultato», conclude «che premia gli sforzi del nostro sistema sanitario e il grande impegno profuso da tutte le componenti della filiera dell’accoglienza per garantire vacanze sicure agli ospiti italiani e stranieri». La ripartenza, tuttavia, richiederà finanziamenti ade-
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TOTALE RICOVERATI NEGATIVIZZATI
la decisione dell’agenzia di sicurezza europea
VENEZIA
Soggetti in Isolamento Domiciliare (Dato del 01.06 Ore 20.00)
∆ Totale casi positivi
Assegnazione in corso
Filippo Tosatto / VENEZIA
dati cumulativi
TOTALE CASI con tampone positivo dato cumulativo
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1.057 decessi dal ---21.2
--1.401 (+3)
un ostacolo al piano anti-pandeMia
Scarseggiano i medici di anestesia e urgenza VENEZIA
Il programma di rafforzamento delle cure intensive post Covid, anticipato nelle linee guida dal nostro giornale, prevede una nuovo rete anti-pandemia articolata in otto ospedali veneti (Schiavonia, Jesolo, Dolo, Santorso, Villafranca, Treviso, Aziende di Padova e Verona) dotati di terapie intensive e subintensive capaci di
guati al danno provocato dal prolungato lockdown: Luca Zaia, a riguardo, preme sull’acceleratore del riavvio delle attività e si prepara alla delicata riunione della Conferenza delle Regioni in programma martedì. «Stiamo lavorando ad un’ordinanza complessa e articolata, entro il mese vogliamo sbloccare gli ultimi comparti. Cinema, teatri, discoteche, concerti, locali da ballo, fiere, sagre, congressi, sale da gioco, centri scommesse, bingo: è un circui-
La Regione rifà i conti dell’emergenza: è salita a 200 milioni la spesa sanitaria straordinaria
Passeggero all’aeroporto di Venezia: il “Marco Polo” è uno scalo sicuro
Dimessi dal--21.2
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CROMASIA
Si teme l’abbinata Covid-influenza Campagna vaccini senza limiti d’età
to importante che assicura reddito, cultura e intrattenimento. Non possono restare ancora nel limbo, lavoratori e imprenditori hanno diritto ad una risposta». Martedì caldo, si diceva: «Discuteremo le linee guida e i criteri del ristoro statale a
affrontare le vecchie e nuove epidemie. I macchinari sono disponibili, non così il personale; oltre agli infermieri, occorreranno specialisti in anestesia e medicina d’urgenza: «L’offerta scarseggia, reclutarli non sarà semplice», sospira il direttore della sanità, Domenico Mantoan, con allusione trasparente all’esito degli ultimi bandi di concorso, andati pressoché deserti. —
fronte degli oneri straordinari sostenuti dalle sanità regionali per fronteggiare la pandemia», fa sapere il governatore «il Veneto ha investito oltre 200 milioni extra bilancio ai quali se ne aggiungono 35 l’anno per le nuove assunzioni ospedaliere. Al momento ci è stato ventilato un contributo pari a un centinaio di milioni ma abbiamo esigenze di cassa impellenti». Non è tutto. Sullo sfondo, ma neanche tanto, si profila la questione legata al possibile arrivo dei fondi europei: «È evidente che si tratterà di pianificare investimenti di alto profilo, noi abbiamo in ballo il nuovo policlinico universitario a Padova, un progetto da 600 milioni che vogliamo di spessore internazionale. Entro sei mesi, inoltre, contiamo di completare la dotazione di 100 nuovi posti letto altamente specializzati all’ospedale di Treviso: oltre a migliorare la cura dei pazienti favoriranno la formazione dei giovani medici e la ricerca». — FILIPPO TOSATTO © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Economia
«TERREMO IL PIÙ POSSIBILE UNITA ALITALIA E LE SUE DIMENSIONI INIZIALI CON OLTRE 100 AEREI RICHIEDERANNO UN FABBISOGNO DI RISORSE UMANE MOLTO IMPORTANTE» Paola De Micheli
Domenica 7 Giugno 2020 www.gazzettino.it
economia@gazzettino.it
Bloccato il 30% delle richieste al Fondo I dati di Confartigianato Veneto svelano i motivi di una `Bonomo: «Falso che non esista istruttoria fino a 25mila euro, richiesta di contributi governativi minore del previsto serve la “prefattibilità”. Sono pochi 6 anni di ammortamento» `
IL CASO MESTRE Dal 17 marzo al 2 giugno 2020, sono quasi 43mila le operazioni pervenute al Fondo di Garanzia a seguito dei provvedimenti introdotti dai DL “Cura Italia” e “Liquidità” da imprese della regione Veneto per un importo totale di quasi 2 miliardi e 600 milioni di euro. Di queste 36.344, pari al 84,7% (percentuale tra le più basse del Paese e inferiore di oltre 6 punti percentuali rispetto alla media italiana che è dell’90,8%) sono quelle fino a 25mila euro a garanzia 100% dello Stato. In Veneto l’incidenza delle operazioni fino a 25.000 euro sul totale delle domande è tra le più basse (84,7%). La regione che ha presentato il maggior numero di richieste è la Lombardia (95.316). Seguono, a distanza, Emilia Romagna (50.939) e Lazio (43.713). Il Veneto si colloca al 4° posto (42.911) con circa il 9% delle operazioni presentate. Risultati questi che provengono del primo monitoraggio che l’Ufficio Studi di Confartigianato ha avviato sui dati del Fondo di Garanzia. «Il fatto che ad oggi risultiamo “solo” al 4° posto come numero di operazioni presentate commenta Agostino Bonomo, Presidente di Confartigianato Imprese Veneto - è dovuto in particolare al fatto che registriamo una incidenza delle richieste di piccolo taglio (quelle garantite al 100%) tra le più basse del Paese. Fenomeno che trova conferma nell’importo medio che, in Veneto, è di 60mila euro. Un valore ben superiore (di ben 15mila euro) a quello medio ita-
liano che mette in luce un elemento già evidenziato dalla Confartigianato alla Regione Veneto: la necessità di garantire al 100% ed agevolare al massimo finanziamenti più consistenti dei 25mila euro previsti dallo Stato». «Queste evidenze - sottolinea - sono la conseguenza diretta di due problemi che vanno risolti. Il primo è che “la mano destra non sa cosa fa la sinistra”. Non è infatti vero, come afferma il Governo nei DL Cura Italia e Liquidità, che non esiste istruttoria per le domande sotto i 25mila euro. Le regole di Banca d’Italia e del Fondo Centrale di Garanzia non sono cambiate e chiedono la pratica di prefattibilità (di fatto una istruttoria). Procedura che sta rallentando a tal punto le operazioni che i nostri Consorzi Fidi (le Banche ovviamente nemmeno ci pensano) si sono visti costretti a mettere il personale non solo in smartworking, ma operativo tra le 17 e le 24, orario in cui risulta un po’ più agevole caricare le pratiche sul portale del Fondo. Il numero di registrate è pertanto falsato di almeno un 30% di richieste ancora in coda. Il secondo elemento che “scoraggia” la domanda sono i 6 anni previsti per l’ammortamento del debito. Se a causa della pandemia il Governo permette alle imprese di indebitarsi, congelando il nuovo Codice della Crisi, deve dare la possibilità agli imprenditori di restituire il denaro almeno in 10 anni. Su questa modifica stiamo concentrando, come Confartigianato, molti sforzi al fine di ottenere la modifica in fase di conversione del DL». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Le richieste al Fondo Centrale di Garanzia Operazioni al 2 giugno 2020. Valori assoluti e incidenza %
Lombardia Emilia Romagna Lazio Veneto Toscana Piemonte Campania Puglia Sicilia Marche Abruzzo Calabria Liguria Sardegna Friuli Venezia Giulia Umbria Basilicata Trentino Alto Adige Molise Val d'Aosta Totale Italia
Operazioni di cui fino totali 25mila euro 95.316 86.940 50.939 46.748 43.713 39.740 42.911 36.344 39.224 36.768 35.062 32.083 30.922 27.481 28.130 26.386 25.031 21.323 19.368 17.897 12.533 11.906 12.072 11.601 10.764 10.099 9.970 9.125 8.883 8.042 8.113 7.503 4.284 4.099 3.525 2.546 2.342 2.191 971 916 484.073 439.738
Incidenza % su totale 91,2 91,8 90,9 84,7 93,7 91,5 88,9 93,8 85,2 92,4 95,0 96,1 93,8 91,5 90,5 92,5 95,7 72,2 93,6 94,3 90,8 L’Ego-Hub
Confronto Calearo Ciman-Di Stefano
Confindustria giovani, sfida a due Domani il veneto Eugenio Calearo Ciman ed il siciliano Riccardo Di Stefano presenteranno ai giovani di Confindustria il loro programma per la prossima presidenza. Sono i due candidati che il 26 giugno andranno alla sfida del voto per l’elezione del nuovo leader dei Giovani Imprenditori, il movimento degli industriali under 40 di via
dell’Astronomia. Con l’emergenza Covid che ha fatto saltare l’iter previsto, impedendo il confronto tra idee e proposte dei candidati che era stato programmato per inizio aprile a porte chiuse in Puglia a Borgo Egnazia, per i due imprenditori sarà la prima occasione per un confronto diretto con la platea di giovani industriali, sia pur collegata in videoconferenza.
Menarini, un nuovo stabilimento in Italia Aleotti: «Scelta di cuore, diamo l’esempio» L’INIZIATIVA ROM A «Fin da prima del lockdown stavamo valutando se aprire un nuovo stabilimento. Sul tavolo avevamo diverse alternative in tutto il mondo, alcune anche più vantaggiose dell’Italia. Ma alla fine abbiamo chiuso il dossier e ci siamo detti che siamo la prima azienda farmaceutica italiana e questo è il momento di privilegiare il nostro Paese». Così Lucia Aleotti, azionista e componente del board di Menarini, racconta la scelta della multinazionale toscana di investire 150 milioni di euro in un nuovo stabilimento ultra-tecnologico.
UN AIUTO ALLA RIPARTENZA Un innovativo centro produttivo da 40 mila metri quadri che sorgerà nell’area di Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, da sempre quartier generale del gruppo, e darà lavoro a 250 persone dirette e ad altrettante nell’indotto. «Più che una decisione imprenditoriale - continua - quella mia, di Alberto Gio-
FARMACEUTICA Lucia Aleotti
INVESTIMENTO DA 150 MILIONI IN UNA STRUTTURA SUPER TECNOLOGICA CHE OCCUPERÀ 500 LAVORATORI
vanni (il fratello, ndr) e dell’intero consiglio di amministrazione è stata una scelta presa con il cuore e dettata anche dalla voglia di dare l’esempio». Un segnale a favore della ripartenza che «ci auguriamo possa innescare un effetto a catena che spinga altre aziende a fare lo stesso» e, quindi, a tornare ad investire nella Penisola. Un «modo di gettare il cuore oltre l’ostacolo» che dovrebbe coinvolgere soprattutto i protagonisti di quei settori industriali che «sono cruciali per il nostro Paese», proprio come quello farmaceutico che «è un’eccellenza italiana e, anche se a volte lo dimentichiamo, è già un traino per il futuro a livello economico, occupazionale e sanitario». L’intero comparto infatti è il terzo in termini di investimenti di ricerca e sviluppo nella Penisola e vanta un ruolo di leadership in tutta Europa grazie ad un valore della produzione di 32,2 miliardi di euro ed una crescita dell’export costante (+117% in 10 anni, raggiungendo i 26 miliardi di euro nel 2018).
Il nuovo stabilimento di Menarini che avrà una capacità produttiva annua di 100 milioni di confezioni (circa 3 miliardi di compresse), sarà interamente votato all’Industry 4.0. Vale a dire che al suo interno i sistemi di automazione e di digitalizzazione avranno un ruolo fondamentale, permettendo all’industria di essere smart e perseguire anche i propri obiettivi di sostenibilità ambientale. Nonostante l’importanza dell’innovazione tecnologica però, al centro del progetto restano le persone. «Lo dobbiamo ai nostri dipendenti - spiega Aleotti - sono stati straordinari durante l’emergenza. Soprattutto quando all’inizio di marzo abbiamo riconvertito un impianto di produzione di Firenze per produrre gel disinfettante da donare ad ospedali e a forze di polizia. Abbiamo avvertito uno spirito di solidarietà che è la forza della nostra azienda». Per questo«a loro chiederemo di scegliere un nome per lo stabilimento». Francesco Malfetano © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Contratto scaduto per l’80% dei dipendenti
Popolare Bari azioni gratis agli azionisti per l’assemblea
CGIA
RILANCI
MESTRE Oltre l’80% dei 12,6 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato in Italia ha il contratto di lavoro scaduto ed entro il 2020 si prevede un milione di occupati in meno. Lo rileva la Cgia la quale, su base Cnel, osserva che i contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti in Italia erano, a fine 2019, 922. Di questi, 126 sono in scadenza quest’anno. Dal dicembre 2012, lo stock complessivo dei contratti è salito del 67%. Il settore con il più alto numero di contratti è il commercio (244). Poi gli enti e istituzioni private (114), edilizia (75), trasporti (70), agricoltura (53), aziende di servizi (47), poligrafici e spettacolo (43), alimentaristi-agroindustriale (42), metalmeccanici (36), chimici (33), tessili (29), credito e assicurazioni (28) e Pa (19). «Vista la caduta verticale dei consumi delle famiglie e l’andamento dell’inflazione che nel corso dell’anno scivolerà verso il quadrante negativo, - spiega Paolo Zabeo - c’è la necessità di appesantire le buste paga per dare un impulso alla ripresa della domanda interna. Ovviamente, ciò deve avvenire senza aumentare i costi fissi in capo alle aziende che, in questo periodo, non dispongono di risorse aggiuntive per farvi fronte. Pertanto, una strada percorribile potrebbe essere quella di ridurre per legge il costo del lavoro in capo ai dipendenti, in modo tale da trasferire questo risparmio fiscale e/o contributivo nelle tasche degli operai e degli impiegati».
ROMA Azioni gratuite per 20 milioni di euro a tutti i soci che parteciperanno all’Assemblea della Popolare di Bari che dovrà votare il piano di salvataggio e di rilancio Fitd-Mcc. È quanto prevede il Fitd, d’intesa con Mcc e con i Commissari Straordinari, secondo cui l’assegnazione «sarà a prescindere da come essi abbiano votato, secondo criteri di proporzionalità nei limiti che saranno definiti nella documentazione assembleare». Previsto anche un incentivo per i soci che parteciperanno all’Assemblea. La banca sottolinea poi i vantaggi per gli obbligazionsiti nel caso del buon esito del piano di salvataggio e rilancio. L’istituto di credito ha emesso in corso di tempo prestiti subordinati non convertibili che costituiscono «strumento di classe 2», per un totale di 283,3 milioni di euro. Questi prestiti sono regolati dalla clausola di subordinazione secondo la quale, in caso di liquidazione della Banca, le obbligazioni saranno rimborsate solo dopo che siano stati soddisfatti gli altri creditori non ugualmente subordinati. Tutti i prestiti possiedono i requisiti previsti dalla Banca d’Italia per la loro inclusione nel capitale di classe 2. Il percorso di risanamento della Banca, ove realizzato, rende possibile l’integrale rimborso del capitale e pagamento della remunerazione stabilita alle scadenze previste, di tutti gli obbligazionisti subordinati. A. Fons.
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Primo Piano
Domenica 7 Giugno 2020 www.gazzettino.it
L’Europa divisa LE RIAPERTURE VENEZIA L’Europa toglie gli aeroporti veneti dalla lista degli scali situati in zone ad alto rischio contagio. Era proprio l’appartenere a questo elenco che aveva indotto la Grecia ad aprire i propri confini a 29 paesi, ma non al Nord Italia. Quindi la decisione dell’Easa, l’Agenzia europea per la sicurezza aerea, è un passaggio fondamentale per la libertà di spostamenti che arriva proprio nella giornata in cui il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Lubiana ha incontrato il collega Anze Logar annunciando la possibile riapertura dei confini con la Slovenia già dal 15 giugno. «È molto importante per tanti nostri connazionali e anche per la ripartenza del turismo - ha detto il titolare della Farnesina - siamo trasparenti con la condivisione dei dati a livello epidemiologico e guardiamo al 15 giugno come data di riapertura a livello europeo».
Gli aeroporti veneti fuori dalle zone a rischio Covid
DA LUBIANA
L’assessore Caner: «Risultato importante `Il ministro Di Maio da Lubiana annuncia: per far partire la nostra stagione turistica» dal 15 giugno confini aperti con la Slovenia `
Il dramma Ammazza l’ex moglie e l’amica in Austria poi il suicidio a Tarvisio
SCALI LIBERI Una boccata d’ossigeno per il turismo potrebbe arrivare proprio dalla scelta dall’Easa, incaricata dalla Commissione Europea di predisporre le raccomandazioni per la riapertura sicura del traffico aereo. La decisione di togliere gli aeroporti veneti dall’elenco di quelli situati in aree ad alto rischio di trasmissione Covid-19 è stata assunta dall’agenzia sulla base delle valutazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. I risultati che ormai da giorni si registrano sulla regressione dei contagi in Veneto hanno quindi permesso di sfilare il territorio regionale dalla zona pericolosa. Notizia accolta con entusiasmo dall’assessore al Turismo della
dall’Agenzia per la sicurezza aerea, «misure restrittive che prevedevano test obbligatori all’arrivo e auto-isolamento». Ora questi obblighi appaiono superati e «il riconoscimento che il Veneto è un territorio sicuro - sostiene l’assessore - potrà favorire la ripresa delle attività dei vettori aerei negli aeroporti veneti e quindi dell’incoming turistico».
VENEZIA Gli aerei che decollano dall’aeroporto Marco Polo
SEMAFORO VERDE AGLI SPOSTAMENTI PER CHI ARRIVA E PARTE DAGLI SCALI SENZA OBBLIGO DI ISOLAMENTO
Regione Veneto Federico Caner, che considera questo come un passaggio strategico per poter vedere almeno in parte decollare la stagione turistica. Uscire da quella lista “nera” dei contagi significa liberarsi da tutti quei vincoli, come le quarantene, imposti a chi partiva dal Veneto. «La decisione
dell’Easa - dice Caner - è un segnale di forte incoraggiamento per la libertà di movimento da e per la nostra regione». Ricordando che solo pochi giorni fa per i viaggiatori in partenza dai nostri scali aeroportuali e diretti in alcuni Paesi come la Grecia, erano previste, per effetto dell’elenco stilato
Il commento
Non si perda altro tempo per agganciare la ripresa Romano Prodi
segue dalla prima pagina
(...)Accanto a tutto questo non si pone tuttavia altrettanta attenzione al fatto che le politiche messe in atto in gran parte del mondo appaiono più vigorose di quanto mai sia avvenuto nelle crisi precedenti. Nella lontana Asia, dalle Filippine alla Corea del Sud, dall’India all’Indonesia, pur in situazioni tra loro così diverse, le misure per frenare la caduta sono sempre più corpose e marciano nella stessa direzione. A sua volta la Cina ha messo in atto tagli di imposte, nuove infrastrutture e incentivi agli investimenti che, nelle ultime settimane, hanno portato l’indice della produzione manifatturiera a livello molto vicino a quello precedente la crisi. Il primo ministro Li Keqiang, nel suo discorso al Congresso Nazionale del Popolo, non ha, per la prima volta, fatto previsioni quantitative per l’anno in corso. La crescita sarà quindi ben lontana dai livelli previsti prima della pandemia, ma tutti gli esperti concordano sul fatto che, se non vi saranno eventi imprevisti, il segno dell’economia cinese sarà positivo già da quest’anno. Un quadro meno negativo arriva, in modo del tutto inatteso, anche dagli Stati Uniti, dove pure il virus ancora imperversa. Nel mese di maggio si sono infatti avuti 2,5 milioni di disoccupati in meno: nulla di rivoluzionario di fronte alle decine di milioni di posti di lavoro persi in precedenza, ma si tratta di una reazione positiva certamente dovuta alla quantità di denaro iniettata nel sistema economico. Misure ancora più positive arrivano dall’Europa. Alle decisioni già ampiamente illustrate si è aggiunto un inaspettato aumento di ben 600 miliardi di ulteriori acquisti di titoli sovrani da parte della Banca centrale europea.Significa che, nello spazio di pochi mesi, il 25% del nostro debito potrà essere collocato nel portafoglio della Bce e non nei fondi speculativi internazionali. Una sorpresa ancora più inaspettata è arrivata negli scorsi giorni dalla Germania: all’enorme mole di interventi a favore delle famiglie e delle imprese (a partire dalla Lufthansa) si è infatti aggiunta, con un accordo fra i due pilastri della coalizione di governo,
un‘impressionante serie di misure fiscali (con un corposo abbassamento dell’Iva) e una consistente somma di aiuti alle famiglie. Provvedimenti così massicci da mettere in deficit anche il bilancio pubblico tedesco. Una decisione del tutto logica e senza rischi, date le ottime condizioni della finanza pubblica, ma che il governo germanico aveva rifiutato di adottare anche quando, nella precedente crisi, sarebbe stata sufficiente per mettere al sicuro l’economia dell’intera Unione Europea. A questo si aggiunge una quantità di crediti senza precedenti al sistema produttivo da parte del governo francese (93 miliardi di euro) e di quello spagnolo (63 miliardi). Tutto questo ci spinge a concludere che, diversamente da quanto avevo doverosamente messo in rilievo in precedenza, anche l’Unione Europea e i maggiori paesi membri si sono finalmente messi in moto. Questo non basta a concludere che la ripresa sia vicina. Le tensioni del commercio internazionale rendono infatti assai lenta la trasmissione di questi stimoli positivi all’intero sistema economico mondiale. Dobbiamo tuttavia ammettere che queste decisioni pongono certamente un freno alla sua caduta. Di questo contesto possono giovarsi la politica e l’economia italiana. Esso agisce infatti nella stessa direzione, anche se gli stimoli quantitativi alla domanda delle famiglie e all’attività delle imprese risentono delle precarie situazioni del nostro bilancio pubblico. Le vere differenze rispetto agli altri partner sono la lentezza con cui le decisioni si traducono in aiuti concreti e l’incertezza sulle misure che saranno prese in futuro. Eppure da questo dipende se saremo in grado di agganciarci alla ripresa nei tempi e nei modi che oggi si stanno preparando. A questo stato di cose si può porre rimedio solo con un robusto accordo tra i partiti della coalizione di governo, come è avvenuto in Germania, dove pure la divergenza degli interessi politici fra democristiani e socialisti non è inferiore alle differenze esistenti fra i partiti che compongono il nostro governo. Alla fine dei conti, con o senza gli Stati Generali, è il governo che deve prendere le decisioni. E le deve prendere, e mettere in atto, con la massima urgenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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UDINE Una mattinata di follia con tre morti tra Villach e Tarvisio. Ha ucciso l’ex moglie con un’ascia. Poi è salito in auto, ha raggiunto un villaggio vicino e ha sparato a bruciapelo a una seconda donna, con cui pare avesse una relazione, assassinandola di fronte agli occhi terrorizzati di una bambina. Quindi è fuggito verso l’Italia: lungo il tragitto ha telefonato alla figlia e si è assunto la responsabilità del duplice delitto. Giunto a Tarvisio, ha preso un caffè al bar e, quando ha visto un’auto della Polizia, ha sparato due colpi che hanno centrato la sua stessa vettura e poi si è ucciso. Protagonista del doppio femminicidio un elettricista austriaco di 63 anni, residente nei dintorni di Villach.
Agli aeroporti liberati si sommano i confini aperti, da metà giugno, anche con la Slovenia. «L’ottimismo sloveno in vista del 15 giugno - ha detto Di Maio da Lubiana - è molto importante perché aiuterà sicuramente l’industria turistica e le nostre reciproche comunità», ricordando che il 15 giugno è anche la data in cui «la Germania ci ha dato garanzie di riapertura». Per quanto riguarda la ripresa dei flussi turistici il ministro ritiene che «intese tra gruppi di paesi con parametri ad hoc non sono una soluzione appropriata, a livello europeo stiamo lavorando perché ci siano regole uniformi per garantire viaggi sicuri in linea con il pacchetto turismo e mobilità approvato dalla Commissione Ue». Sul fronte economico dopo l’emergenza sanitaria, Di Maio ha parlato di «forte sintonia con gli amici sloveni, che hanno sostenuto a Bruxelles il nostro piano ambizioso per il rilancio dell’economia, ma come noi sono consapevoli dell’esigenza di ridurre il più possibile la tempistica di esecuzione del recovery fund e di semplificare la procedura per la sua attuazione». Il ministro degli Esteri italiano si è infine impegnato a lavorare per garantire un riconoscimento della minoranza slovena in Parlamento. Raffaella Ianuale © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Primo Piano
Domenica 7 Giugno 2020 www.gazzettino.it
Coronavirus, la ripartenza LAVORO ROVIGO Gli effetti del lockdown e delle limitazioni imposte dalle varie misure di contenimento epidemico hanno avuto ricadute pesanti sul fronte dell’occupazione, con Veneto Lavoro che stima la perdita in ben 61mila posti di lavoro. Con un segnale incoraggiante, di ripresa, già a maggio e con la situazione del Polesine meno pesante rispetto a quella di altre province. Per quanto riguarda le posizioni di lavoro dipendente nel settore privato, dal 23 febbraio al 3 maggio, il saldo fra assunzioni e cessazioni in provincia di Rovigo è stato di meno 558 posti. Un dato che in sé appare una perdita quasi contenuta ma se raffrontato al 2019, attesta il momento di estrema crisi, perché un anno fa il saldo dello stesso periodo era stato di più 1.113. La differenza, quindi, è pari a ben 1.671 posti di lavoro in meno, un’enormità per il Polesine. Anche se ancora maggiore è stata l’emorragia nelle altre province.
I DETTAGLI Guardando, poi, al dato del periodo dal 4 al 17 maggio, il saldo fra assunzioni e cessazioni in provincia di Rovigo è stato maggiore rispetto a quello dello stesso arco temporale dello scorso anno, 559 a fronte di 528, per effetto non tanto di maggiori assunzioni, quanto di minori cessazioni. Nel periodo 18-31 maggio, invece, il saldo 2020 è stato nettamente negativo, meno 1.038, ma positivo se raffrontato al meno 1.487 dello stesso periodo del 2019. Complessivamente, quindi, in Polesine, dal 23 febbraio al 31 maggio, risulterebbero “bruciati” 1.191 posti di lavoro rispetto allo stesso periodo del 2019.
IL CONFRONTO Nel rapporto di Veneto Lavoro si sottolinea come «se si articola la lettura dell’andamento occupazionale a livello provinciale, si osserva che il costo più alto è pagato da Venezia e Verona, le due province dove le attività stagionali hanno un’incidenza maggiore. Venezia rispetto al 2019 perde quasi 26mila posizioni lavorative (con un calo del 73% delle assunzioni), Verona oltre 17mila (meno 51% le assunzioni). Molto meno rilevanti le contrazioni nelle altre province, dove solo a Padova si superano le meno 5.000 unità, mentre la riduzione delle assunzioni sta attorno al 45%, con Rovigo nella condizione migliore a meno 33%». A Treviso la perdita di posti di lavoro è di circa 4.900 posti, a Vicenza di 4.200, mentre solo Belluno, meno 800, ne ha persi meno rispetto a Rovigo.
STAGIONALITÀ Il turismo e l’agricoltura aumentano l’occupazione in questa fase dell’anno e la ripartenza sta mostrando segnali incoraggianti
La pandemia costa quasi 1.200 impieghi Veneto Lavoro ha analizzato l’andamento di assunzioni e licenziamenti di questi mesi. Maggio ha dato immediatamente segnali incoraggianti `
SEGNALI POSITIVI
ne della caduta, mentre il venir meno dei vincoli alla mobilità interregionale (e parzialmente, intraeuropea) dovrebbe favorire la ripartenza della domanda turistica e, conseguentemente, dell’occupazione. Dal 4 al 31 maggio si è dispiegata una significativa tendenza alla progressiva riduzione del differenziale nel numero di assunzioni tra 2019 e 2020: meno 34% (meno 21% dal 18 alla fine del mese), mentre tra il 23 febbraio e il 3 maggio la variazione negativa era stata quasi doppia (meno 61%). Tale differenziale si riduce ancor più significativamente per diversi settori e in alcuni casi (costruzioni, tessile-abbigliamento, servizi turistici) si registrano anche incrementi volti al recupero delle posizioni perdute. Il saldo occupazionale è tornato in maggio a essere positivo, smentendo pertanto le proiezioni più negative e le correlate preoccupazioni». Francesco Campi
I segnali, spiega Veneto Lavoro, sono incoraggianti: «La situazione è mutata a partire dal 4 maggio quando, pur con saldi negativi, si constata una ripresa sia dei flussi di assunzione che di cessazione, segno che il mercato del lavoro torna ad avere vitalità. Il comparto dei servizi turistici, fortemente caratterizzato dalla domanda di lavoro stagionale, risulta il più esposto agli effetti della pandemia e da solo spiega quasi la metà della contrazione occupazionale regionale. Dall’esordio della crisi Covid-19 ha visto crollare la domanda di lavoro, con una riduzione di circa meno 30mila posizioni lavorative rispetto all’omologo periodo dell’anno precedente, per due terzi imputabile al lavoro stagionale. A partire dall’inizio di maggio, il progressivo allentamento delle misure restrittive ha comportato comunque una sensibile attenuazio-
Torna positivo un operatore dell’Ulss È al via l’indagine sierologica Croce rossa
SANITÀ ROVIGO Doveva operarsi e invece, durante i controlli prima del ricovero, è risultato positivo. Anzi, ri-positivizzato. Il protagonista è un operatore dell’Ulss 5, dipendente dell’azienda sanitaria polesana, che era già stato dichiaro guarito. Doveva sostenere un intervento a Verona e durante lo screening prima del ricovero (obbligatorio in tutte le strutture del Veneto) il tampone naso-faringeo ha rivelato presenza di virus attivo, in grado di contagiare altre persone. A quel punto l’operazione è stata rinviata, l’uomo è stato posto in isolamento domiciliare e verrà sottoposto a nuovi controlli periodicamente. Le sue condizioni di salute sono buone, infatti è asintomatico. «Questo è
il classico esempio che ci fa capire quanto questo virus sia subdolo. Ricordo che il nostro senso di responsabilità deve rimanere elevato; per quanto si sia ridotto, il virus non è ancora del tutto scomparso», sottolinea il direttore generale dell’Ulss 5 Antonio Compostella commentando il dato emerso dal bollettino Covid di ieri. L’invito, dunque, è di continuare a utilizzare i dispositivi di protezione individuale, cioè le mascherine nei luoghi chiusi e ogni volta che si entra in contatto con persone che escono dalla cerchia di contatti familiari.
CONTAGI FERMI Per quanto riguarda il bollettino, si è al tredicesimo giorno consecutivo a zero contagi di residenti in Polesine; sono in totale 449 i residenti in provincia con
positività al Covid-19 riscontrati da inizio epidemia, con 64 persone ancora in isolamento domiciliare. Gli ospiti delle strutture attualmente positivi sono due a Fratta Polesine e nessun operatore delle case di riposo è attualmente positivo. Sul fronte dell’operatività dell’ospedale, il Centro unico di prenotazione ha ricevuto, il 5 giugno, 7.034 chiamate. I tamponi eseguiti da inizio epidemia, in Polesine, sono 32.911. Le persone sottoposte a tampone sono 18.373. Il totale è di 404 guariti in Polesine da inizio epidemia: erano 405 ma è stato tolto l’uomo che si è ri-positivizzato. A Trecenta il reparto Covid è vuoto, chiuso ed entro la fine del mese il San Luca di Trecenta recupererà la piena operatività. Roberta Paulon
DIRETTORE Antonio Compostella ricorda che i rischi ci sono
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Si partirà giovedì, al Censer, con la maxi indagine sierologica sui lavoratori delle forze dell’ordine, vigili del fuoco e commesse di negozi e supermercati. La Croce rossa, in collaborazione con l’Ulss 5, darà il via a una serie di test veloci per verificare la presenza o meno dell’infezione da Covid 19. «Ci saranno 3 postazioni per l’accettazione e 5 per l’esecuzione dei test spiega il numero uno della Cri di Rovigo, Alberto Indani - lo screening riguarderà le categorie individuate dall’Ulss, come medici, farmacisti, volontari, forze dell’ordine e le cassiere, che dovranno recarsi al Censer nei tre giorni dedicati all’indagine: giovedì, venerdì e sabato». Solo chi
risulterà positivo verrà sottoposto a un successivo tampone e messo in quarantena in attesa dell’esito. Lunedì partiranno le chiamate dei volontari della Cri, precedentemente formati, per dare il via all’indagine sierologica condotta dal ministero della Salute in collaborazione con l’Istat .Circa 500 persone residenti in 9 comuni del Polesine saranno invitati a presentarsi ai punti di prelievo dell’Ulss 5 per sottoporsi all’indagine sierologica. L’obiettivo è capire quante persone hanno sviluppato gli anticorpi, in assenza di sintomi, attraverso un campione di 150mila persone in Italia. R.Mer.
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Primo Piano
Domenica 7 Giugno 2020 www.gazzettino.it
Le pagelle Il quadro complessivo
TREND SETTIMANALE DEI CASI DI COVID-19
I dati si riferiscono alla settimana fra il 25/31 maggio
in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in aumento in aumento in diminuzione in diminuzione stabile in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione in diminuzione
INCIDENZA SETTIMANALE DEI NUOVI CASI DI COVID-19 Su 100.000 abitanti Bassa - sotto 5 Intermedia - alta Alta - oltre 10
Fonte: Ministero della salute in collaborazione con le Regioni
IL CASO ROMA L’epidemia da Covid-19 è al momento sotto controllo nel paese, ma restano focolai attivi un po’ ovunque e per questo l’invito del ministro della Salute Roberto Speranza è di tenere alta la guardia, perché «siamo sulla strada giusta», ma «occorre ancora prudenza e gradualità». L’aggiornamento della situazione è contenuta nel terzo report di monitoraggio settimanale rilasciato ieri mattina dalla cabina di regia del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità, che fa il punto dell’andamento regione per regione.
L’INDICE RT Agli antipodi la Basilicata che può fregiarsi a buon diritto di essere la prima regione “Covid-free” avendo indice Rt pari a zero e la Lombardia che, malgrado il miglioramento, raggiunge ancora il valore di 0.91, con un leggero rialzo rispetto allo 0,75 della settimana scorsa. Non ci sono dunque più situazioni critiche, ma restano sotto osservazione i vari cluster attivi, tanto che gli esperti nella nota di accompagnamento al report hanno parlato di situazione «epidemiologicamente fluida in molte Regioni italiane». Quanto fluida e dove si annidino i focolai non è però dato sa-
MILANO Ospedali, case di riposo, famiglia. È qui che si annidano i focolai di Covid-19 e la rapidità nel circoscriverli è fondamentale nella battaglia contro l’epidemia. Nella fase 1 la maggior parte dei contagi avveniva nei luoghi di lavoro, tant’è che il Palazzo di giustizia di Milano è diventato «un cluster con dieci magistrati malati, di cui tre gravi, due persone morte», una cancelliera e un carabiniere, «e diversi avvocati positivi a causa di scelte sbagliate», afferma il presidente della Sezione misure di prevenzione Fabio Roia, anche lui ricoverato per tre settimane. Ora i rischi maggiori sono le strutture sanitarie, dove distanziamento sociale e obbligo di mascherine, per le situazioni piscologiche spesso delicate degli
Settimana precedente
Settimana 25-31 maggio
0,67 0 0,13 0,55 0,90 0,74 0,58 0,75 0,55 2,20 0,50 0,57 0,88 0,62 0,51 0,75 0,59 0,94 0,80 0,75
0,76 0 0,37 0,58 0,58 0,76 0,75 0,48 0,91 0,86 0,59 0,58 0,86 0,86 0,78 0,14 0,55 0,72 0,65 0,47 0,61
Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Bolzano* Trento* Puglia Sardegna Sicilia Toscana Umbria Valle d’Aosta Veneto *Provincie Autonome
L’Ego-Hub
Le Regioni passano il test «Ma in Italia focolai attivi» Il report ministero della Salute-Iss: tutte `Gli esperti: «L’epidemia non si è ancora con indice RT sotto 1. Lombardia al limite conclusa». Piccoli cluster sotto osservazione `
pere, visto che dopo ripetute richieste al ministero della Salute e all’Iss, nessuno ha voluto dare il quadro fornito obbligatoriamente da ciascuna regione, perché previsto dal decreto che ha istituito il monitoraggio. Sono dati pubblici che però non vengono forniti al cittadino, e che rendono nebulosa l’intera operazione. Ci basti sapere che in
I DATI SI RIFERISCONO AL PERIODO 25-31 MAGGIO, QUINDI I CONTAGI SONO RELATIVI ALLA PRIMA FASE DI RIAPERTURA
nessuna regione l’Rt, ossia l’indice di replicazione, supera il valore di 1. Tuttavia bisogna essere cauti nell’ottimismo, consapevoli che il report si basa sui dati dei giorni compresi tra il 25 e il 31 maggio e dunque, visti i tempi necessari allo sviluppo dei sintomi dopo il contagio e quelli della successiva diagnosi «verosimilmente molti casi notificati in questa settimana hanno contratto l’infezione 2-3 settimane prima, cioè durante la prima fase di riapertura tra il 4 e il 18 maggio». Il che ci riporta all’interrogativo dei focolai: dove cova il contagio? Dal monitoraggio, che i tecnici continuano sempre a spiegare di non considerare una pagel-
Dalla Liguria all’Emilia Romagna gli epicentri dei nuovi contagi IL FOCUS
STIMA DI RT
anziani, sono complicate da rispettare. E i casi di diffusione in atto lo dimostrano.
CORDONE SANITARIO Il San Raffaele Pisana, a Roma, è diventato zona rossa dopo che i contagi sono saliti a 31, con un morto. «Questo focolaio ci dice che dobbiamo tenere alta la guardia e io lo leggerei in modo positivo: è un bene averlo individuato precocemente. Siamo ancora nella battaglia contro il Covid-19 e dobbiamo restare vigi-
AL CENTRO DELLE INFEZIONI SEMPRE CASE DI RIPOSO PER ANZIANI E STRUTTURE PER LUNGODEGENTI
li», dice il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco. Stessa situazione in Liguria, con 29 malati concentrati in una sola casa di riposo, la Santa Marta. Qui il coronavirus ha colpito 20 ospiti su 57, uno su tre, e nove dipendenti. Ad ammalarsi per prima è stata un’anziana, che per una frattura alla tibia era stata ricoverata al San Martino. «Dopo qualche giorno ha avuto i sintomi del Covid — ricostruisce il governatore Giovanni Toti — perciò è tornata in ospedale». Cosa è accaduto, dovrà essere accertato. A Torino, nella settimana dal 25 al 31 maggio, sei degenti sono risultati positivi nella Residenza Richelmy di via San Donato e sono stati 22 in totale gli anziani contagiati in quel periodo nelle strutture assistenziali della città. «I focolai che stiamo registrando sono distribuiti a livello geografico e
la, i dati sono grosso modo coerenti con quello che ogni giorno emerge dai bollettini della Protezione civile: nel nord a Trento e Bolzano l’indice è 0.86; in Campania l’indice è a 0,58, uguale a quello del Piemonte e simile a quello del Veneto (0,61). Più alto l’Rt in Toscana (0,72), Lazio (0,75), Puglia (0,78); in coda la Calabria
(0,37), la Sardegna (0,14), ma va sottolineato che sono migliorati anche i valori di Valle d’Aosta (0.47) e Molise (0.59) che avevano fatto preoccupare per un piccolo focolaio nelle settimane scorse. «Persiste in alcune realtà regionali un numero di nuovi casi segnalati ogni settimana elevato seppure in diminuzione. Questo deve invitare alla
Gli ultimi focolai emersi in Italia PIEMONTE
LOMBARDIA
Sei degenti positivi nella Residenza Richelmy, 22 in totale gli anziani contagiati nelle strutture assistenziali di Torino
Non ci sono al momento nuovi focolai, restano alcuni casi in ospizi che però risultano isolati
cautela in quanto denota che in alcune parti del Paese la circolazione di Sars-CoV-2 è ancora rilevante» si legge nella nota al report, in quell’aggettivo «rilevante» così indeterminato da apparire generico, la chiave che manca a tracciare il quadro completo.
LA MAPPA Una mappa fluida che certamente spinge a pensare positivo, ma l’epidemia sotterranea continua a richiedere il rispetto rigoroso delle misure necessarie a ridurre il rischio di trasmissione quali l’igiene individuale e il distanziamento fisico, come hanno ribadito i tecnici secondo i quali è necessario mantenere elevata «la resilienza dei servizi territoriali per continuare a favorire la consapevolezza e la compliance della popolazione, realizzare la ricerca attiva ed accertamento diagnostico di potenziali casi, l’isolamento dei casi confermati, la quarantena dei loro contatti stretti». Appare chiaro insomma che il trend positivo è ancora il “buon raccolto” delle settimane di lockdown. Oggettivamente però il numero dei casi è in diminuzione e non sono segnalate situazione di stress del sistema sanitario, né focolai fuori controllo. Lucilla Vazza © RIPRODUZIONE RISERVATA
EMILIA ROMAGNA
LIGURIA
Sono risultate positive 22 persone residenti in una struttura per senza fissa dimora a Bologna
Ventinove ospiti risultati positivi nella RSA Santa Marta di Genova
LAZIO
ABRUZZO
Il caso del San Raffaele è in evoluzione ma al momento ci sono almeno 31 casi positivi
Cinque-sei contagiati in una struttura ospedaliera di Pescara L’Ego-Hub
non destano allarme perché sono controllati - precisano dalla Regione Piemonte - Stiamo facendo screening e tracciamo i contatti, abbiamo avuto un massimo tra due e sei casi per focolaio, spesso si tratta di positivi asintomatici. Sono in famiglia, Rsa o comunità di alloggio». Stessa situazione a Pescara, in Abruzzo, dove è stato identifica-
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to un cluster di sei persone in una struttura.
LA DELIBERA Per questo motivo la Regione Lombardia ha cambiato le regole per i ricoveri degli anziani e il 4 giugno ha approvato una delibera che prevede il «tempestivo trasferimento» negli ospedali con reparti attrezzati degli ospi-
ti affetti da Covid, salvo i pazienti terminali. Si tratta di una netta retromarcia rispetto alla famigerata delibera dello scorso 8 marzo, che bloccava il ricovero di nuovi ospiti nelle case di riposo e invitava le strutture, su base volontaria, a predisporre spazi separati per prendere in carico i pazienti affetti dal virus e dimessi dagli ospedali. E ora la strage degli anziani nelle Rsa delle province di Milano e Lodi ha anche un bilancio ufficiale. Dal 20 febbraio al 20 maggio nelle case di riposo e residenze sanitarie milanesi sono morte 1.273 persone positive al coronavirus. Pesante anche il bilancio per gli operatori: il 40%, a fine aprile, era assente dal lavoro perché accusava sintomi di contagio. I numeri sugli effetti della pandemia nelle rsa sono raccolti in un dossier dell’Ats di Milano e sommando il lodigiano in tre mesi ci sono stati 4.486 morti per il Covid, pari al 59,6% del totale dei decessi. Claudia Guasco © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Attualità
LA POLITICA dal nostro inviato
PADOVA Elegante (magari il pantalone un po’ più corto, ma vabbè). Affabile (e per essere un docente universitario è già inusuale). Ottimista: «Che obiettivi abbiamo? Vincere». Ecco Arturo Lorenzoni, 53 anni, il prof di Economia dell’Energia che si appresta a lasciare Palazzo Moroni e la carica di vicesindaco di Padova per tentare l’impossibile: sfidare Luca Zaia, contendere il consenso al governatore del Veneto che è riuscito a battere tutti i sondaggi di gradimento (91%, roba da Guinness). Chi vuol bene a Lorenzoni dice che l’unico, vero, ottimo risultato sarebbe quello di far meno peggio di Alessandra Moretti nel 2015 (22,7 per cento, per il centrosinistra la peggiore ecatombe di sempre). Chi guarda lontano dice che fa niente se si perde, l’importante è costruire. Cioè non fermarsi alle elezioni del 2020, ma guardare a quelle del 2025 quando Luca Zaia non potrà più ricandidarsi e magari in Veneto nascerà una voglia di alternativa alla Lega e al centrodestra. La vera sfida, dunque, sarà la resistenza: lì dove non sono riusciti Massimo
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Regionali, l’ora di Lorenzoni: «Il nostro obiettivo? Vincere» Il prof presenta la squadra di centrosinistra `Una sfida tutta in salita: cinque anni fa Pd, verdi e civici alleati. Renzi corre da solo la candidata Moretti si era fermata al 22,7% `
LA SQUADRA Cacciari, Massimo Carraro, Giuseppe Bortolussi (l’unico scusato, mancato prematuramente), Alessandra Moretti, tutti fuggiti, potrebbe farcela Prof Arturo?
LA COALIZIONE Prima scelto, poi a rischio di essere scaricato per assenza prolungata di intervento (due mesi di Covid in cui, a parte un’incursione sui topi cinesi di Zaia, non è mai
stato avvistato), infine ripreso nonostante una clamorosa gaffe («Crisanti? Se si candida gli lascio il posto»), a tre mesi dal voto Arturo Lorenzoni è riuscito a mettere tutti assieme e solo i maligni potrebbero insinuare che non c’erano alternative. Ecco allora il Partito Democratico di Alessandro Bisato, la formazione civica Veneto Che Vogliamo di Elena Ostanel (al cui interno ci sarà an-
che LeU Articolo Uno), i Verdi di Luana Zanella, +Europa di Annamaria Zanetti, la Rete Civica Veneta di Carlo Casagrande, il Centro Democratico di Fabio Amato, il movimento politico paneuropeo Volt presente in 32 Paesi di Alessandro Pace, pure Sanca Veneta di Matteo Visonà («Perché l’autonomia è un tema di sinistra, altro che destra»), tutti assieme ieri mattina al Musme, il Museo
GLI ATTACCHI A ZAIA «UN’ALTERNATIVA A QUESTO REGIME» «HA SFRUTTATO IL COVID PER FARE CAMPAGNA ELETTORALE»
IL RETROSCENA dal nostro inviato
PADOVA Arturo Lorenzoni non avrà la lista del presidente. «Non la farò, andrebbe a drenare le altre forze politiche», ha detto il docente universitario che con la sua Coalizione Civica nel 2017 scombussolò la politica padovana. I dem gliene sono grati, preoccupati che una lista del presidente possa portar via voti al partito. I calendiani di Azione lo sono un po’ meno, perché se dovranno chiedere ospitalità avrebbero preferi-
IN CORSA 4–5 FORMAZIONI PER LA COALIZIONE I DEM CONCEDONO IL TERZO MANDATO IL VENETO CHE VOGLIAMO SCEGLIE IL CONTRASSEGNO
chiuso, la porta rimane aperta anche ai renziani del Veneto», ha detto Lorenzoni più o meno negli stessi istanti in cui, da Roma, l’Ansa batteva la seguente agenzia: “Italia Viva correrà alle prossime regionali di settembre in tutte e sei le regioni. Così finalmente conteranno i voti e non i sondaggi” (e la papabile in Veneto è la veronese Orietta Salemi).
di storia della medicina, in centro a Padova, per lanciare la candidatura di Lorenzoni alla presidenza della Regione. All’appello, benché calorosamente salutati dal Prof, mancavano la pasionaria dell’autonomia Simonetta Rubinato (che aspetta la firma di un documento in cui si riconoscono i temi che da anni sta portando avanti) e i calendiani di Azione. «Il nostro non è un perimetro
LA COALIZIONE Il candidato governatore Arturo Lorenzoni; a sinistra, con gli alleati; a destra, i 4 simboli tra cui scegliere il contrassegno del Veneto che vogliamo
Niente lista del presidente ecco chi scende in campo tra deroghe e nuovi simboli to farlo in una lista “istituzionale”, non in quella del Veneto Che Vogliamo ritenuta, a torto o a ragione, troppo spostata a sinistra. Anche se il numero delle firme da raccogliere per presentare una lista potrebbe calare (un emendamento al Decreto Elezioni le ha ridotte a un terzo, ad esempio nella circoscrizione di Treviso ne basterebbero 584 anziché 1.500), Lorenzoni dovrebbe essere sostenuto da 4-5 liste. Sicuramente Partito Democratico, Veneto che Vogliamo, Verdi (con al proprio interno forse Sanca Veneto), Civica
Simonetta Rubinato per le Autonomie. Ma chi è in corsa?
I PAPABILI Il Pd ha deciso di concedere la deroga al terzo mandato per i consiglieri uscenti, ma tra chi potrebbe usufruirne non ci sarà il veneziano Bruno Pigozzo che ha deciso di non tornare al Ferro Fini. Il capogruppo Stefano Fracasso, vicentino, ha deciso di prendersi una pausa di riflessione. I papabili nel Pd sarebbero i seguenti: a Vicenza Giacomo Possamai e la segretaria provinciale
Chiara Luisetto; a Rovigo l’uscente Graziano Azzalin, l’ex deputato Diego Crivellari e la portavoce delle donne Raffaella Salmaso; a Treviso Andrea Zanoni e Claudio Beltramello (ma è corteggiato Antonio Silvio Calò, il famoso professore che aveva ospitato in casa i profughi); a Padova il segretario regionale Alessandro Bisato, è corteggiata l’ex deputata Vanessa Camani, la consigliera comunale Anna Barzon e pure Laura Frigo, la figlia dell’ex presidente della Regione protagonista la scorsa estate di un duro attacco al gover-
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natore Luca Zaia sui tagli in sanità. E ancora: a Venezia l’uscente Francesca Zottis, l’ex sindaco di Camponogara Giampietro Menin, il vicesindaco di Mira Gabriele Bolzoni, Marco Terenzi di Portogruaro, il capogruppo in consiglio comunale a Chioggia Jonatan Montanariello. A Verona l’uscente Anna Maria Bigon, l’ex segretario provinciale Giandomenico Allegri, la consigliera comunale Elisa La Paglia. Candidature in alto mare a Belluno, per ora si parla dell’assessore di Sedico Sebastiano Casoni.
Tant’è, in un’ora e mezza di presentazione della coalizione l’unica a pronunciare il nome di Zaia è stata Annamaria Zanetti (che peraltro pare ben lo conosca, essendo stata all’ufficio stampa di Palazzo Balbi: «Bisogna costruire un’alternativa a questo regime»), mentre Casagrande ha attaccato le conferenze stampa quotidiane del governatore («Ha sfruttato il periodo Covid per farsi campagna elettorale ogni giorno a mezzogiorno e mezzo strumentalizzando chi ha sofferto e raccontando come giocare a biglie con i cugini di terzo grado»). Senza manifesti, senza big (tranne, in platea, il presidente del Pd Giovanni Tonella e l’ex deputata dem Vanessa Camani e Marco Carrai di Vcv), senza scenografie, con neanche una quarantina di persone opportunamente distanziate, Lorenzoni ha raccontato in diretta social il suo obiettivo: «Non abbiamo un progetto elettorale ma di governo della Regione, non semplicemente di gestione». E non da solo: «Siamo una squadra». La partita, come direbbe Zaia, è appena iniziata. Alda Vanzan © RIPRODUZIONE RISERVATA
IL SIMBOLO Da registrare nel Veneto Che Vogliamo - dove a Padova tra i papabili ci sono Elena Ostanel e Marco Carrai, a Venezia Margherita Lachin di Marcon - la diatriba sulla scelta del simbolo. “Il Veneto che Vogliamo - era stato annunciato - sarà l’unica lista a far votare, tra 4 proposte, il suo simbolo ai propri simpatizzanti, dalle 8 di venerdì 5 giugno, alle 8 di sabato 6 giugno”. Ieri doveva essere annunciato il logo vincitore, ma, a parte la presentazione della squadra di Lorenzoni, non è stata fatta parola. Dicono che devono essere controllati i voti, fatto sta che dal Pd era giunto un veto: la parola “Lorenzoni” deve essere scritta in piccolo, altrimenti sembra la lista del presidente (che il Pd non vuole). Vero che tutte le liste dovranno avere il nome del candidato governatore. Ma, appunto, in piccolino. Al.Va. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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La Fase 2 a Nordest IL CASO VENEZIA Dice che è «la realizzazione di un sogno». E non ha alcuna intenzione di farselo portare via. Il Governo ha impugnato la legge veneta che istituisce il corso di laurea in Medicina e Chirurgia a Treviso? Ebbene, il presidente della Regione non farà un passo indietro: «A me non me ne frega niente dell’impugnativa, incomprensibile e ridicola, noi andiamo avanti», tuona Luca Zaia. Quindi cosa devono fare gli aspiranti dottori? Fermarsi lo stesso a Treviso sperando di non restare vittime delle carte bollate o, più prudentemente, spostarsi a Padova o in un altro ateneo? Zaia non ha dubbi: «Si iscrivano perché l’anno accademico 2020-2021 avrà gli studenti a Treviso e poi il conto lo pagherà chi va a dire che questa formula è sbagliata». A Roma lo ascolteranno? Raccontano che si stia cercando una onorevole soluzione, fatto sta che dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, il veneziano Andrea Martella, arriva l’invito a «evitare polemiche, questo Governo ha dato un sacco di fondi per la sanità, un miliardo e quattro in due anni, di
IL PRESIDENTE: «GLI STUDENTI POSSONO ISCRIVERSI AL NUOVO CORSO DI MEDICINA HO CHIAMATO BOCCIA CHIUDIAMO LA CONTESA»
Università a Treviso, si tratta Zaia: «Noi andiamo avanti» Dopo l’impugnazione della legge veneta contatti `Il sottosegretario Martella: «Palazzo Balbi sapeva Regione-governo per trovare un’intesa al più presto dei problemi, evitiamo polemiche. I soldi ci sono» `
cui 300 milioni per il diritto allo studio, 600 milioni per la ricerca, 500 per l’università». Della serie: i soldi ci sono, quindi «basta fughe in avanti, ci saranno tutte le condizioni per aprire la sede di Treviso». E comunque, sottolinea Martella, non è vero che a Venezia non si sapeva che la legge sulla facoltà a Treviso era in bilico: «Il ministro Boccia mi ha riferito che l’Avvocatura regionale del Veneto era al corrente dei problemi posti relativi al Fondo sanitario e alla capacità formativa dell’ateneo».
I RILIEVI Un passo indietro. La legge contestata dal Governo prevede l’istituzione anche a Treviso, a partire dall’anno accademico 2020/2021, della laurea magistrale per i medici. In base alla convenzione, la Regione dovrebbe sostenere l’intero costo dei docenti di ruolo e a con-
tratto, quantificato in 1.570.000 euro l’anno e contabilizzato nel Fondo sanitario regionale. Secondo il Governo, però, così facendo si userebbero i soldi dell’assistenza sanitaria per altri fini. Quanti soldi? Secondo Zaia una inezia: «Stiamo parlando di 6 milioni di euro per attivare il corso che vengono pescati dai 9 miliardi e 600 milioni del budget sanitario della Regione. Sei milioni a fronte di nove miliardi e sei! E per qualche azzeccagarbugli sono una sorta di sopruso. Da una parte il Governo sta pensando di investire 3 miliardi per la sanità, dall’altro impugna per 6 milioni». Ma da Roma è giunto anche un altro rilievo: l’aumento delle immatricolazioni da parte del Bo «determina un aumento della capacità formativa dell’Ateneo che potrebbe non coordinarsi con le disposizioni statali riguardanti la definizione del fabbisogno di diri-
genti medici». In pratica verrebbero sfornati troppi camici bianchi, accentuando così «un disallineamento tra il numero degli studenti ammessi a frequentare i corsi di laurea e quello dei medici ammessi alla formazione specialistica». Per Zaia il problema non esiste: «L’aspetto della programmazione è superato». Quindi cosa succederà? Il presidente della Regione confida che a Roma comprendano -«Ho chiamato il ministro Boccia e l’ho trovato disponibile» - e che, nonostante l’annuncio, l’impugnativa non venga presentata: «È un’impugnativa che è scappata di mano a qualche azzeccagarbugli di uffici, non della politica. L’impugnativa si può presentare come ultimo giorno il 16 giugno e quindi il Governo ha ancora dei giorni prima di depositarla. Lo invito a prendere in mano le carte e chiudere velocemente». E se così non fosse?
«Se Roma deciderà di impugnare saprà che si troverà l’artiglieria pesante, da un punto di vista tecnico-legale, e si andrà in Corte Costituzionale per chiedere se è tanto sopruso destinare una certa somma alla formazione universitaria di studenti che faranno i medici».
L’INVITO
Pedemontana pronto il tratto Malo-Valdastico `VENEZIA
Un invito a moderare i termini arriva dal sottosegretario Martella: «Sarebbe bene evitare di fare polemica, anche perché a seguito del Decreto Rilancio i fondi per l’università e la sanità ci sono, non c’è bisogno di usare il Fondo sanitario regionale, quindi basta con queste fughe in avanti di Zaia. Ci saranno tutte le condizioni per aprire, giustamente, la sede di Treviso, basta sedersi attorno a un tavolo e ragionare». Alda Vanzan © RIPRODUZIONE RISERVATA
GOVERNATORE Luca Zaia
SOTTOSEGRETARIO Andrea Martella
La superstrada
Il tratto della Pedemontana tra Malo e la Valdastico sarà aperto «tra una decina di giorni, al massimo tra due settimane e siamo già pronti per altri tratti». Lo ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, il quale ha ricordato che l’opera contempla 95 chilometri di strade, per un investimento di 2 miliardi e 258 milioni di euro, coinvolgerà 36 Comuni e impegnerà 1.600 lavoratori. «C’è un fine lavori programmato per contratto a fine dicembre 2020, ma se non si rispetterà la data è perché il lockdown ha pesato anche sui cantieri, questo è logico». Per quanto riguarda le elezioni, Zaia e altri governatori confidano ancora nella “finestra” di luglio, ma se proprio si dovesse andare a settembre la richiesta è che si voti non il 20 e men che meno il 27, come si sta ipotizzando, ma prima che inizino le scuole. «Siamo in un Paese nel quale abbiamo capito che andare a votare è un problema - ha detto il presidente della Regione - io mi metto dalla parte dei cittadini che vogliono andare a votare. Pensare che si riapre tutto ma non si va a votare, qualcuno dovrà spiegarlo ai cittadini». «Come presidenti di Regione - ha aggiunto Zaia abbiamo dimostrato di essere persone per bene, abbiamo detto: volete farle più in là? ne prendiamo atto. Anche se io non sono d’accordo, secondo me vanno fatte il prima possibile. Spero che almeno si facciano prima della riapertura delle scuole: non ha senso aprire le scuole, chiuderle per le elezioni, poi riaprirle ribonificando tutto».
DOTTORI Treviso avrà un nuovo corso di laurea dell’Università di Padova
IL BILANCIO VENEZIA Continua la discesa dei contagi in Veneto e Friuli Venezia Giulia, che ieri hanno avuto solo 12 nuovi casi, e anche nel resto d’Italia, dove si è registrato un incremento di 270 positivi, dei quali la metà in Lombardia. Ma è ancora impensabile liberarsi della mascherina, anche se ormai fa caldo e inizia a dare fastidio. È lo stesso presidente del Veneto Luca Zaia a confermare che «il distanziamento sociale, l’igienizzazione delle mani e l’uso delle mascherine ci accompagneranno ancora per mesi». Non si tratta di un semplice consiglio, ma di un obbligo quando ci si trova «nei locali al chiuso e all’aperto nei luoghi in cui ci siano assembramenti». Per togliere le masche-
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Contagi quasi azzerati a Nordest: solo 12 «Ma le mascherine resteranno per mesi» rine, quindi, non se ne parla almeno fino alla fine dell’estate. «Ci confronteremo - ha aggiunto il governatore - quando ci sarà la fase influenzale in autunno: il rischio è quello della sovrapposizione con il Coronavirus, questo è lo scenario peggio-
IN VENETO QUASI CENTO NUOVI GUARITI NEL RESTO DEL PAESE 270 POSITIVI IN PIÙ DEI QUALI LA METÀ IN LOMBARDIA
re. Quello migliore è che non si ammali nessuno e la chiudiamo lì».
IN VENETO E FRIULI Ma veniamo ai dati. Ieri in Veneto il totale dei casi dall’inizio dell’epidemia ha raggiunto quota 19.183 (+9 in ventiquattr’ore), mentre il numero delle persone attualmente positive è sceso a 1.107 (-90) e i guariti sono ora 16.123 (+97). Anche gli ospedali si stanno svuotando sono infatti 319 i pazienti ricoverati in area non critica, dei quali solo 82 ancora positivi al virus, mentre i malati nelle terapie intensive sono 17, dei quali appena 2
positivi. Rimane invece ancora aperto il capitolo dei decessi che ieri sono arrivati a 1.953, cinque in più rispetto al giorno precedente. Quasi azzerato il virus in Friuli Venezia Giulia dove si sono registrati solamente 3 nuovi casi e nessun decesso, lasciando il numero delle vittime fermo a 338. Le persone attualmente positive al Coronavirus sono adesso 237 (-17), i ricoverati in area non critica sono 24, e 2 i pazienti nelle terapie intensive. Dall’inizio dell’epidemia le persone risultate positive al virus sono 3.283 e i guariti 2.708 (+20).
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I numeri
35.877 i malati di Coronavirus attualmente in Italia
1107 le persone ancora positive al virus in Veneto
72 i morti in ventiquattr’ore, dei quali 5 in Veneto e zero in Friuli
IN ITALIA A livello nazionale ieri si sono contati 270 nuovi casi, dei quali 142 in Lombardia. I contagiati complessivi dall’inizio dell’epidemia sono adesso 234.801, dei quali 165.068 sono guariti e 33.846 sono deceduti. In questo momento le persone affette dal Coronavirus in Italia sono 35.877, gli attualmente positivi sono diminuiti di 1.099 persone, i guariti sono cresciuti di 1.297 unità, i deceduti in ventiquattr’ore sono stati 72, dei quali 27 in Lombardia. Sono 293 i malati in terapia intensiva, 23 in meno rispetto al giorno precedente, le persone in isolamento domiciliare 30.582 e in cinque regioni ieri non si sono registrati nuovi casi. r.ian. © RIPRODUZIONE RISERVATA
ATTUALITÀ
DOMENICA 7 GIUGNO 2020 IL MATTINO
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La nuova fase Il manifesto dei pediatri per sollecitare la ripresa della normalità nel percorso educativo e sociale «I piccoli non hanno quasi subito contagi ma pagano le conseguenze di mesi di isolamento» Termoscanner verranno sistemati nelle entrate degli istituti scolastici, e ci saranno colonnine con gel igienizzante negli ambienti scolastici. All’ingresso delle aule si considera ancora l’ipotesi di utilizzare plexiglass divisorio tra i banchi; verrà distribuito materiale informativo sui comportamenti da tenere
I danni del lockdown sui bimbi «Cresce il disagio psicologico» IL CASO Maria Rosa Tomasello / ROMA
PRECARI
SUPPLENTI
32.000
109.195
il 69%
DIREZIONI DIDATTICHE
385 in tutta Italia
CLAUDIO GAUDIO SEGRETARIO CISL SCUOLA FIRENZE-PRATO
Non ho nulla contro di lei, ma chi insegna deve agire secondo le linee del ministero, cioè con la didattica a distanza Ora vogliamo sapere in concreto, al di là dei banchi protetti, come si potrà ricominciare in sicurezza a far lezione a settembre
l’uno contro l’altra, ma le cose non stanno così». Di chi è allora la responsabilità del putiferio scoppiato? «Il sindaco di Prato si era rivolto alla ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina sollecitando la riapertura immediata dalle scuole dell’infanzia, come se questo potesse avvenire su richiesta, portando come esempio proprio la maestra Sivieri. Il sindacato si è limitato a chiarire che l’iniziativa personale della maestra non doveva far dimenticare il lavoro di tutti gli altri docenti». Cosa dirà alla maestra? «Le dirò che ha avuto una bella idea e che non sarò certo io a dirle di non proseguirla, ma che al tempo stesso non dobbiamo dimenticare le altre centinaia di migliaia di insegnanti che stanno facendo il loro lavoro 5-6 ore al giorno al computer. Le letture al parco sono una personale lodevole iniziativa, ma i docenti sono tenuti ad agire secondo quanto stabilito dal ministero. Piuttosto vorremmo sapere in concreto, al di là delle uscite della ministra sui banchi protetti dal plexiglass ed altre amenità del genere, come si potrà ricominciare in sicurezza a far lezione a settembre». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
isogna restituire ai piccoli il tempo che gli è stato sottratto. Il tempo delle aule e dei banchi, dei giochi con gli amici, dei luoghi per lo sport e per la musica, perché il rischio, in caso contrario, è «che alla crisi sanitaria e a quella economica di aggiunga una crisi educativa e sociale con conseguenze pesanti per tutti i bambini e drammatiche per una consistente minoranza che già in precedenza viveva situazioni di difficoltà di apprendimento». Dopo due mesi di isolamento forzato e la brusca interruzione delle attività scolastiche, i bambini – otto milioni nella fascia che va da zero a 14 anni – continuano a essere ultimi nella lista delle priorità della politica. A chiedere attenzione è un gruppo di pediatri di fama che in una lettera-manifesto chiede interventi che non possono più essere rinviati: primo firmatario è Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la Salute del Bambino e membro del Comitato scientifico dell’International Society for Pediatrics and Child Health. «Il rischio di contagio per e da parte dei bambini – ricordano – è molto basso mentre il rischio di compromissione di aspetti cognitivi, emotivi e relazionali conseguenti alla prolungata chiusura delle scuole è molto alto». Ma se i bambini si ammalano poco e con manifestazioni cliniche lievi, «viceversa si stanno accumulando le evidenze sui danni collaterali provocati dal lockdown» con «un ritardo educativo che per la maggioranza è molto rilevante». A questo, denunciano, si associano «manifestazioni di disagio psicologico, aumentato rischio di violenza subita o assistita», oltre a inferiore qualità dell’alimentazione, o dei supporti medici per i piccoli affetti da patologie o disabilità. «È urgente cambiare rotta – avvertono – vanno riaperti spazi ludici con componenti educative e messe in campo iniziative di supporto per chi ha difficoltà specifiche» perché, concludono, «non possiamo far pagare ai bambini e alle loro famiglie il peso delle nostre esitazioni e della nostra ignoranza di fronte a quanto sta accadendo». A conferma di questi rischi gli esperti citano i rapporti di organizzazioni co-
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Un’alunna impegnata in una lezione a distanza
I RISCHI
Disagio psichico I bimbi hanno patito meno i contagi, ma c’è «il rischio di compromissione di aspettivi cognitivi e relazionali».
Compiti a casa Un minore su 5 in questi mesi ha incontrato maggiori difficoltà a fare i compiti rispetto al passato.
Lezioni a distanza Tra i bambini di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni, quasi 1 su 10 non segue le lezioni da casa.
Socialità Non aiutano le incertezze per l’estate: necessario il ritorno alla normalità nei centri estivi.
me Save The Children e Sant’Egidio, secondo i quali almeno 6 bambini su 10 sono in condizioni di difficoltà. Secondo l’indagine di Save The Children condotta su un campione di oltre 1000 bimbi e ragazzi tra gli 8 e i 17 anni (il 39, 9% dei quali in condizioni di fragilità socio-economica a causa del Covid) un minore su 5 incontra maggiori difficoltà a fare i compiti rispetto al passato e, tra i bambini tra gli 8 e gli 11 anni, quasi 1 su 10 non segue mai le lezioni a distanza. Una situazione che rende ancora più drammatica le condizioni di chi ha meno. In Italia oggi più di un milione di bambini vive in condizione di povertà assoluta: per questo l’ong sollecita misure che «durante l’estate e durante il prossimo anno scolastico contrastino la povertà educativa e la dispersione scolastica». Allarmanti a Roma i dati di Sant’Egidio che ha analizzato un campione di 800 famiglie con bimbi dai 6 ai 10 anni: per il 61% degli studenti delle primarie la didattica a distanza non è mai partita. Mentre il governo continua a ripetere che si lavora per la ripresa della scuola a settembre con lezioni in presenza che tuttavia – tra ipotesi di divisori in plexiglass, classi ridotte e necessità di maggiori spazi e di più insegnanti – sono ancora una incognita, il primo segnale di normalità è la riapertura dei centri estivi sulla base delle linee guida redatte
dal Dipartimento della Famiglia con un investimento di 185 milioni. Le attività, in collaborazione con Regioni e Comuni, prenderanno il via il 15 giugno. Il 4 giugno il Comitato tecnico scientifico ha dato parere positivo all’estensione delle linee guida per le attività estive destinate alla fascia 0-3 anni, ma gli amministratori aspettano ancora indicazione dettagliate del Ministero. Il Veneto sceglie di accelerare: a partire da domani saranno erogati infatti i servizi per la fascia da 0 a 3 anni: «Al momento non abbiamo notizie da Roma, non potevamo più attendere oltre la validazione» ha detto il governatore Luca Zaia firmata l’ordinanza. Punta a riaprire nidi e scuole dell’infanzia nella stessa data anche il Trentino, mentre a Torino, a partire da 15 giugno, i bimbi iscritti all’anno in corso potranno tornare a giocare nei cortili di 45 asili nido. Ma la strada della ripartenza è costellata di incertezze e gli operatori chiedono chiarezza: «A settembre, come si intende riaprire? Per quanto tempo si ipotizzano soluzioni transitorie? » ha chiesto al premier Giuseppe Conte Luigi Morgano, segretario generale della Fism, la Federazione che raggruppa oltre novemila asili nidi e materne. «Riaprire le scuole esige di non lasciare margini a equivoci interpretativi». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
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VENEZIA
DOMENICA 7 GIUGNO 2020 LA NUOVA
La ripresa della cultura e dell’economia
Caccia agli invisibili della cultura veneta Al via una ricerca di Ca’ Foscari che mapperà le realtà diffuse nella regione e le loro difficoltà a causa del coronavirus Enrico Tantucci
Mappare gli invisibili della cultura del Veneto. La rete di artisti, attori, filmaker, danzatori, artisti di strada, associazioni che non fanno parte delle grandi istituzioni culturali della regione, ma ne costituiscono in qualche modo il tessuto connettivo. E scoprire anche quanto hanno sofferto e stanno soffrendo, anche a livello economico per l’emergenza coronavirus, come quelli che hanno manifestato pochi giorni fa a Venezia. È l’obiettivo, ambizioso ma anche strategico per capire in pieno le potenzialità culturali della nostra regione, che si pone la ricerca appena avviata dall’Università di Ca’ Foscari, curata dal professor Fabrizio Panozzo che insegna tra l’altro “Governo delle organizzazioni culturali” all’interno del dipartimento di Management cafoscarino. Il tema della ricerca è appunto la “Mappatura dei bisogni delle organizzazioni culturali e creative in regione Veneto alla luce dell’emergenza sanitaria Covid 19” e si ripromette nel giro di pochi mesi di fotografare una situazione ancora in larga parte sconosciuta alla stessa Regione Veneto, che è infatti potenzialmente interessata allo studio avviato da Ca’ Foscari. «Lo scopo della ricerca è duplice», spiega il professor Panozzo, che ha tra l’altro già coordinato il progetto Alta Gamma, di formazione e consulenza agli hotel veneziani di fascia alta per avvicinarli alle eccellenze artistiche della città, «perché da una parte vuole appunto capire i problemi e le difficoltà che l’emergenza coronavirus ha provocato a queste realtà culturali diffuse, meno protette, per la loro stessa natura, rispetto alle grandi istituzioni come le fondazioni liriche o i teatri stabili che possono contare su fondi pubblici. Ma dall’altro punta a far emergere questo arcipelago culturale vene-
to che conosciamo ancora pochissimo, proprio perché fatto di individui o associazioni che operano spesso al di fuori di albi o registra e che magari non risultano alla stessa Camera di Commercio. Pensiamo agli artisti, da quelli visivi a quelli di strada, ma anche ai freelance della cultura che magari collaborano a vario titolo con le stesse istituzioni ma magari non hanno
Il professor Panozzo «Sono artisti, attori filmaker, associazioni finora mai censiti» neanche la partita Iva. È un mondo vitalissimo e importante per la tenuta di tutto il settore culturale veneto, ma che in buona parte non conosciamo, come per i musicisti, o i filmaker. Il Veneto ad esempio organizza moltissimi festival del cinema o dell’audiovisivo a vari livelli, forse un centinaio, ma nessuno li ha mai mappati con esattezza. Cercheremo anche la collaborazione dei Comuni, ad esempio per i bandi periodici relativi agli artisti di strada che si fanno anche a Venezia, ma soprattutto lanceremo sul sito del nostro dipartimento un questionario on line che stiamo strutturando in questi giorni proprio per entrare in contatto con queste realtà diffuse della cultura del Veneto, singoli o associazioni e per conoscere anche i loro problemi. Sarà un patrimonio d dati che poi metteremo a disposizione anche delle istituzioni. La ricerca è appena partita ma contiamo nel giro di qualche mese di avere un primo quadro approfondito della situazione, anche perché non partiamo da zero, avendo già sviluppato in questi anni studi e ricerca sulla creatività artistica nel Veneto e anche sul suoi rapporto con il mondo dell’impresa». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
i sindacati chiamano in causa anche il comune
«Musei civici, non si riparte se restano quasi tutti chiusi» Anche il Comune al tavolo della trattativa per la reale apertura al pubblico dei musei civici dopo l’emergenza Coronavirus. E’ quello che chiedono i sindacati che sollecitano un incontro oltre che con la Fondazione Musei Civici anche con il sindaco Luigi Brugnaro, vicepresidente di diritto dell’istituzione. «Si riaprono da sabato solo per poche ore al giorno e nei fine settimana Palazzo Ducale e i musei del Vetro di Murano e del Merletto di Burano», commenta il delegato della Cgil Andrea Porpiglia, «ma i musei andrebbe-
il ProGetto
Non più termoscanner in ufficio la temperatura si misura a casa Garantire un posto di lavoro sicuro e scongiurare il ritorno del lockdown a causa del Covid-19. Molte le proposte in campo per monitorare la temperatura dei lavoratori, ma sempre all’entrata delle aziende. C’è chi usa misurazioni personali tramite termometro digitale oppure l’utilizzo di termoscanner. La veneziana Venicecom porta in Italia un’idea innovativa anti-Covid. Si tratta di Kalmo Smart Monitoring,
con il quale la fase di controllo viene virtualmente spostata direttamente a casa del collaboratore, lasciando a lui il compito di misurare la temperatura, come gli altri parametri utili all’auto-anamnesi. Prima di recarsi sul luogo di lavoro il collaboratore compila un semplice questionario comportamentale e sintomatico giornaliero, consentendo un triage virtuale. «Crediamo molto nel sistema dell’autocertificazione: è
la persona che deve monitorarsi», afferma Pierluigi Aluisio, presidente di Venicecom, «Noi forniamo un sistema che aiuta la raccolta dei parametri vitali e l’auto-anamnesi con annessa autocertificazione quotidiana, e facilitiamo la comunicazione verso l’azienda fornendo una risposta all’idoneità o meno del dipendente. Naturalmente in caso di semaforo rosso siamo in grado di fornire alla persona l’aiuto necessario
ro riaperti tutti, con i dipendenti delle cooperative dei servizi museali che restano in cassa integrazione (con il Fis) e che verranno reimpiegati ora al massimo al 10 per cento, con la Fondazione che parla della primavera del 2021 per un possibile ritorno alla normalità dopo l’emergenza coronavirus. Ma se non si investe e non si riaprono i musei, è difficile ritrovare un pubblico. Per questo chiediamo un’assunzione di responsabilità da parte del Comune che non può stare a guardare». «Se la stessa Fondazione Musei tiene in
per l’attivazione dell’eventuale intervento del Servizio Sanitario Nazionale». Alla base di tutto c’è un’applicazione, scaricabile dai market digitali, che registra dei parametri. Una volta installata si inserisce il proprio codice personale di attivazione che consente, in modalità completamente anonima, di attivare il monitoraggio giornaliero. Ogni giorno il lavoratore riceverà, direttamente sul proprio smartphone, una notifica per la compilazione di un semplice questionario comportamentale sempre tramite app. In questo modo, la responsabilità sociale dei lavoratori e dei datori di lavoro non si limita solo all’eliminazione dei casi all’interno della azienda, ma si allarga anche al contenimento del virus in tutte
cassa integrazione quasi tutti i suoi dipendenti», aggiunge il segretario della Cgil Funzione Pubblica Daniele Giordano, «come può pensare di far ripartire la progettazione, i servizi educativi, i tempi estivi? E’ chiaro che in questa situazione serve anche un nuovo progetto culturale per ritrovare un nuovo pubblico, ma la fondazione Musei ci sta pensando o aspetta semplicemente che ritornino i turisti Perché l’attesa potrebbe essere molto lunga e la rendita di posizione non basta più a Venezia anche per i musei civici. Non
quelle aree comuni, che il lavoratore frequenta recandosi sul posto di lavoro. Il gruppo Venicecom, multinazionale operante nel settore dell’Information Technology è stata fondata nel 1997 a Venezia. La società conta oltre 22 anni di esperienza nella realizzazione di software custom per pmi ed
L’idea anti Covid realizzata dalla società Venicom per misurare i parametri vitali aziende nazionali e internazionali, in Europa, Asia e Africa. Venicecom Group ha sede principale Porto Marghera, e sedi a Roma, Bari e Milano, e
siamo noi a doverlo dite, ma è evidente che il modello seguito in questi anni, legato anche alle grandi mostre, va aggiornato, perché possono aver portato prestigio ma non hanno reso più solida economicamente la Fondazione. Su tutto questo serve una profonda riflessione e un ruolo di coordinamento anche con le altre istituzioni culturali cittadine per ripartire tutti insieme Un ruolo che può svolgere solo il Comune, Per questo sul futuro dei Musei Civici chiederemo al più presto un incontro oltre che alla Fondazione Musei Civici, all’Amministrazione, per capre quali sono le sue intenzioni». Resta intanto chiuso oltre al museo Correr, anche la sua biblioteca, per la quale si parla di significativi problemi statici emersi nel corso dei lavori di restauro. — E.T.
in Kazakhistan, Mozambico, Romania e Slovenia. È proprietaria delle soluzioni software Pro-Q (gestione di fornitori e acquisti nel settore pubblico e privato) e Kalmo (gestione della sicurezza sul lavoro). Il sistema Kalmo prevede la possibilità di integrare l’applicativo con un braccialetto multifunzione che rileva temperature del corpo, saturazione dell’ossigeno nel sangue, livello di stress, e immette nel sistema i dati, oppure che offre semplicemente la possibilità di far leggere all’applicazione la temperatura rilevata da un termometro con funzione bluetooth che, integrandosi al device, inoltra direttamente i risultati all’applicazione. — NICOLA BRILLO © RIPRODUZIONE RISERVATA
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DOMENICA 7 GIUGNO 2020 LA TRIBUNA
TREVISO
Treviso Corso del Popolo, 42 Centralino0422/417.611 Fax 0422/579.212 Abbonamenti 800.420.330 Pubblicità 0422/575611
Troppi segnali di allarme su diversi fronti, aleggia lo spettro di una congiuntura ben lontana dai fasti del passato. Una crisi che parte da lontano
Canova, centro, atenei: la città perde colpi Treviso più debole all’uscita dal lockdown LA CRISI
ubi fosche sull’aeroporto Canova, che solo un anno fa celebrava il record di passeggeri. Un’altra università a rischio – e stiamo parlando di Medicina – perché contestata dal governo, dopo quella di Moda e Design che la città si è fatta inopinatamente sfuggire negli anni di governo del centrosinistra. Persino la sanità desta allarme, con la fuga dei talenti prodotti in casa dal Ca’ Foncello verso le aziende socio sanitarie confinanti. Ma Treviso non era il cuore della tanto decantata scuola trevigiana di medici fondata da Domenico Stellini ?E trema il turismo, la parola magica della città nell’ultimo decennio, diventata glamour nei cinque continenti, interprete di una dimensione slow, enogastronomicamente accattivante, perfetto retrobottega incantato della perla inimitabile che è Venezia. E invece, dopo il ritorno di Goldin, dopo l’adunata alpina 2017 dei record - non vorremmo sia stato l’acme del boom le mostre e gli eventi non sono stati all’altezza del passato, e i
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Le nubi sull’aeroporto Lo j’accuse di Beraldo sulla bolla immobiliare il declino del turismo turisti sono calati anche perché Venezia ha nel frattempo portato in Laguna i voli più affollati. E adesso in centro si moltiplicano le serrande abbassate e le vetrine vuote, già apparse un anno fa. Se ne va anche Ovs. Il centro storico del post Appiani non ce la fa: Beraldo, patron Ovs, mette sotto accusa la bolla immobiliare della città. Lasciando un dubbio inquietante: non è che per questa Treviso che non sostiene più certi costi ci sia un allarme ricchezza? Già nello sport si era dovuti ripartire dopo l’addio dei Benetton (rugby a parte) ricalibrandosi dopo i fasti e i trionfi mondiali del passato prossimo. LA CARTINA DI TORNASOLE
E poi c’è stato il Covid 19. All’uscita dal lockdown, Treviso si scopre vulnerabile e più debole . Cosa succede, alla città e di riflesso alla provincia? La sensazione è che stia perdendo peso e potere, che l’emergenza sanitaria sia stata un’impietosa cartina di tornasole che ha reso evidenti a tutti limiti, fragilità, ritardi, incompiutezze. Aleggia il timore di una perdi-
ta di posizioni nelle gerarchie venete, con tutte le conseguenze del caso. Negli ultimi anni è caduta una banca popolare ceduta al prezzo di un caffè, nemmeno macchiato o corretto - e la crisi ha dissanguato le casse di Fondazione Cassamarca, alle prese con una sfida di sopravvivenza: difendere con unghie e denti la mission territoriale – università e cultura –
Da outsider ricercata e competitiva si prospetta ora un ruolo meno rilevante dopo aver abbandonato il filone immobiliare, che comunque pesa ancora in tutte le sue implicazioni. Non a caso, il sindaco Conte deve ridisegnare, dopo poco più di un decennio la vocazione della Cittadella delle Istituzioni, l’ex Appiani firmata dall’archistar Botta: doveva essere il suggello al grande Risiko firmato Lega & De Poli nel 1998, ma ha perso per strada due inquilini come Prefettura e Camera di Commercio. E tra pochi anni ne perderà altre due, Entrate e Finanze. I conti urbanistici, e non solo quelli, non tornano, nel grande valzer dei contenitori che restano vuoti e di altri nuovi che non si riempiono. Anche la Provincia a Sant’Artemio, tempio di Zaia e Muraro, è stata “svuotata” dalla riforma di Renzi. Inaugurate alla fine dello scorso decennio, le due cittadelle - 300 milioni di valore, allora - sono già diventate qualcos’altro. Due scommesse perdute, per motivi diversi. E due simboli di gloria quantomeno ridimensionati IL RUOLO E LA VISIONE
È come se Treviso sia scivolata, su diversi fronti, e ora non riesca a riportarsi ai livelli precedenti. Ed è questa, forse, la fase più difficile, perché si stanno giocando diverse partite strategiche per il futuro della città e della Marca. Anche solo in chiave geografica e logistica: l’imminente completamento della Pedemontana - in ritardo peraltro, salvata dal governo - collocherà Treviso esattamente a metà strada fra due snodi strategici , uno a Sud fra Passante e A27, e l’altro a Nord a Spresiano fra A27 e Pedemontana. Già opzionati da Amazon & Co., colossi della logistica. C ’è di che esaltare la location naturale già baricentrica di Treviso, nel quadrilatero Garda, Austria, Slovenia ed Emilia Romagna, ma che rischia ora di vedere una città mai cresciuta nelle infrastrut-
ture. Al di là del Canova. Per un Terraglio Est che arriverà a compimento - 10 anni perduti, la Lega perse l’“attimo” nel 2011 - resta incompiuto anche il quarto Lotto della tangenziale (altro decennio perso, in Provincia e a Veneto Strade ancora si chiedono perché allora la giunta Gobbo disse no). E le ferrovie? Lo scalo Motta è sempre lì; il metrò di superficie partorito dalla Regione si è rivelato una chimera, come la nuova stazione e la riconversione delle Poste vicino ai binari. Ma non ha mai riaperto neanche S. Quaranta. Serve un’altra visione. Una chiave poteva essere la Grande Treviso, le sinergie con l’hinterand per un agglomerato potenziale di 250 mila abitanti. Nulla di pervenuto, dopo decenni di discorsi anche trasversali fra gli schieramenti. Un’altra era (è) comunque la Pa-Tre-Ve. Sembrava rilanciata persino da Venezia, per non parlare delle fondazioni bancarie. Tutto incagliato ancora, e nel frattempo sono venuti a mancare padri e portatori di idee. E adesso aleggiano dinamiche addirittura contrarie, una Treviso a rischio di subordinazione nonostante sia il feudo del governatore Za-
Cala il peso a Roma I ritardi in trasporti e viabilità: ma ci sono risorse e opportunità ia, dominus di Marca e Veneto e ora anche potenzialmente vicinissimo a palazzo Chigi. LIMITI E RISORSE
Non c’è dubbio che la Marca abbia perso peso a Roma, dove i lumbard hanno “macinato” nello scacchiere del potere leghisti veneti. Il velodromo finanziato e incompiuto – anche quello – rischia di esserne l’ultimo simbolo. Né il Carroccio né il centrosinistra hanno trovato eredi ai big della Dc. Aggiungiamoci che il capoluogo meno capoluogo d’Italia vanta un a serie di sconfitte storiche a favore della provincia. E pensare che le risorse non mancano, dal risparmio anche dopo il ciclone Popolari a un’economia invidiataci ovunque, un territorio ricco di offerte e proposte, un’area turistica piena di tesori con l’atout dell’Unesco, istruzione e alta formazione (in attesa di Medicina). Ma anche troppi cortocircuiti nel momento in cui si deve ragionare in grande, oltre l’orticello, quando non è la minuscola gombina. — ANDREA PASSERINI © RIPRODUZIONE RISERVATA
Piazza dei Signori e la torre civica: il salotto buono deserto ai tempi del lockdown
il caso di medicina a treviso
Università, Zaia invoca la Corte Costituzionale Il governo ha impugnato la legge regionale di istituzione, a Treviso, in accordo con l’università di Padova, di un corso di laurea completo in Medicina e chirurgia: Zaia ribadisce che intende percorrere ogni strada per non far tramontare il sogno dell’ateneo. Ieri il governatore ha telefonato al ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, e ha annunciato di essere
pronto a rivolgersi alla Corte Costituzionale. «A me non interessa nulla dell’impugnativa, incomprensibile e ridicola: gli studenti si iscrivano perché l’anno accademico 2020-2021 avrà gli studenti a Treviso e poi il conto lo pagherà chi va a dire che questa formula è sbagliata» ha sottolineato Zaia, «se deciderà di impugnare, Roma si troverà l'artiglieria pesante dal punto
di vista legale. Chiederemo alla Corte se è così tanto un sopruso destinare 6 milioni di euro su un bilancio di 9,6 miliardi alla formazione universitaria di studenti che faranno i medici. Tra massimo sette-otto mesi avremo anche ultimato il nuovo ospedale, l’università in questo modo trova una culla eccezionale, mille posti letto ad alta specializzazione ricavati nella
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... Domenica 7 Giugno 2020
La Voce
ECONOMIA Cristiano Corazzari: “Come Regione siamo al lavoro per snellire tutti i procedimenti”
“Con la Zes, meno burocrazia”
“Anche lo Stato deve fare la sua parte, invece fino a ora si è mosso in direzione opposta” Marco Randolo
Zes e autonomia: passa da questi due pilastri la ricetta dell’assessore regionale Cristiano Corazzari per fare scacco matto alla burocrazia. “Sarà la nostra crociata, e lo sarà ancora di più in questa fase in cui c’è da costruire la ripartenza del nostro sistema economico”. Corazzari, la burocrazia, però, esiste ad ogni livello, non solo a Roma. C’è anche in Regione e nei Comuni. Come si batte? “Sì, è una delle grandi piaghe italiane, uno dei mali del nostro Paese. Ma me lo lasci dire: in Veneto abbiamo già iniziato a farle guerra. Stiamo cercando di semplificare tutte le normative. E per quanto riguarda il Polesine, vi dico: aspettate la Zes e vedrete”. Che c’entra la Zes? “C’entra: non si tratta soltanto di finanziamenti e sgravi per attirare gli investimenti. C’è molto di più, tra cui procedure semplificate per ottenere le autorizzazioni per fare imprese, senza aspettare i tempi biblici denunciati giustamente da professionisti e associazioni di categoria”. E sul fronte dell’autonomia? “Nel momento in cui la Regione avrà competenza sulle 23 materie che abbiamo chiesto al governo, la nostra priorità sarà quella di rende-
n “Per i Comuni parola d’ordine meno moduli” La semplificazione burocratica per l’assessore regionale Cristiano Corazzari passa anche attraverso l’autonomia
re i procedimenti amministrativi quanto più semplici possibili, per far perdere meno tempo possibile a cittadini e imprenditori. Il problema della burocrazia asfissiante ed elefantiaca è proprio il tempo: danneggia soprattutto i piccoli imprenditori, gli artigiani e i commercianti che spesso sono chiamati a passare più tempo a compilare carte, moduli e adempimenti che non a pensare al proprio lavoro. Ma si può pensare di ripartire a queste condizioni?”.
E basta la Regione per risolvere un problema così grande? “No di certo. Anche lo Stato deve fare la sua parte perché, comunque, anche dopo l’autonomia manterrà le competenze su uno degli aspetti principali, qual è quello fiscale. La lotta alla burocrazia è una battaglia che va vinta a tutti i livelli, e che deve avere lo Stato come grande protagonista. Fino ad adesso, invece, non c’è stata nessuna risposta in questo senso, anzi si è rema-
to in direzione opposta”. Professionisti e associazioni di categorie lamentano anche le difficoltà ad avere a che fare con procedure e regolamenti che cambiano persino da Comune a Comune. Come se ne esce? “Beh, sgombriamo il tavolo da un fraintendimento: la fusione dei Comuni non può essere una risposta a questo. Intanto perché è un argomento delicato, che riguarda le comunità e che non può essere imposto dall’alto
ma che funziona solo se voluto dai cittadini. E poi perché non è detto che mettere assieme due Comuni inefficienti produca un grande Comune efficiente. Anzi, il rischio che a sommarsi siano le negatività diventa ancora più elevato”. E quindi che si fa? “Bisogna coordinare le varie amministrazioni, per rendere i procedimenti semplici. La tecnologia ci dà la volontà di fare grandi cose: si tratta solo di avere la volontà politica di organizzare le co-
se al meglio. La parola d’ordine per i Comuni deve essere: meno moduli, e più semplici. Ma quella che dobbiamo battere è soprattutto una certa mentalità”. Quale? “Quella propria della burocrazia, quella di certi apparati che trovano proprio nella complicazione delle procedure il modo per perpetuare il proprio potere. E questo avviene ad ogni livello, ma nei ministeri romani tocca vette mai viste”. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’EX PARLAMENTARE Crivellari: “Servono competenze chiare”
“Apparati indietro di 150 anni” “Contro la burocrazia? Ma qui ci serve una rivoluzione! …democratica, ovviamente”. Diego Crivellari (Pd) è stato cinque anni a Montecitorio, e lì la burocrazia l’ha conosciuta bene. Di più: l’ha toccata con mano. “Ma voi davvero pensate ancora che le leggi le scrivano i parlamentari? Niente di più sbagliato”. Scusi, Crivellari, ma allora chi le scrive? “I capi di gabinetto, i consiglieri di Stato, i responsabili delle segreterie. Si tratta di figure di profilo ultra-tecnico, giuristi, magistrati in aspettativa, che difendono le proprie prerogative che esistono da 150 anni. E’ per questo che in Italia le leggi spesso sono oscure, o ambigue, con rimandi plurimi ad altre leggi, altri commi, altri articoli. Tutto questo serve a dare più potere alla burocrazia, a difendere rendite di posizione. Lei lo sa chi è Federico De Roberto?” No, mi dispiace. “E’ uno scrittore verista. A fine ’800 ha scritto un romanzo davvero illuminante, ‘Imperio’, glielo consiglio. Racconta la vita parlamentare italiana di quel tempo. La descrizione di Montecitorio che ne esce sembra quella di oggi. Solo che sono passati quasi 150 anni e il nostro modello di Stato è, appunto, ancora quello del 1861: centralistico, francese e giacobino. E non sono mica soltanto le leggi il problema”. Che altro c’è? “Se anche la legge si fa, e magari è pure chiara, non è detto che poi fun-
L’ex deputato polesano del Partito democratico Diego Crivellari analizza il problema della burocrazia
zioni. Perché servono i decreti attuativi, e magari non si fanno perché intanto cambia il governo, o un ministro freno, o alla segreteria generale non piace. Insomma, arrivare alla concreta attuazione della legge è una telenovela. Se ci mettiamo poi che le leggi non le fa più il parlamento, ma il governo con decreti e deleghe, il quadro è completo”. E come se ne esce? “Occorre una grande riforma, che da un lato conceda un vero federalismo e dall’altra parte garantisca autorevolezza al livello centrale. Soprattutto bisogna mettere in chiaro chi deve fare cosa: quali sono, esattamente, le competenze dello Stato e quali quelle della Regione”.
Crivellari, non è che dal Pd si sta spostando sulle posizioni autonomistiche della Lega? “Per favore: affrontiamo la cosa con un approccio laico, e non con le lenti di questa eterna campagna elettorale. L’Italia è una, ma Torino è diversa da Taranto: non dobbiamo fare l’errore di lasciare il decentramento appannaggio di una parte politica, che spesso non ha neanche del tutto abbandonato l’idea di secedere e fondarsi una propria repubblichetta…” Qual è la ricetta? “La ricetta è una via di mezzo tra la tentazione di fuga semisecessionistica e la difesa del Piave dello Stato centralista. Roma e Venezia devono
porsi l’obiettivo di portare a termine una trattativa senza propaganda, per stabilire chi fa cosa. Avere materie concorrenti, in cui le competenze siano sia dello Stato che delle Regioni, paralizza l’azione di governo, anche sul territorio. Il titolo quinto della Costituzione, rivisto dal centrosinistra in buonafede vent’anni fa, ora andrebbe aggiornato, facendo chiarezza. Ci avevamo anche provato, in realtà…” E poi? “Beh: come sia andato finire il referendum costituzionale del 2016 ce lo ricordiamo tutti. Oggi anche chi l’ha affossato fa autocritica. Dall’altra parte, devo dire che Renzi sbagliò approccio, decidendo di perso-
nalizzare troppo la questione e di non spacchettare i quesiti. E così abbiamo buttato via utilissimi elementi di semplificazione. Un altro esempio di semplificazione virtuosa sono le lenzuolate di Bersani: anche queste, però, andrebbero riverificate oggi, a oltre 10 anni di distanza. E poi la Bassanini. Sa che succede nella pubblica amministrazione?”. Cosa? “Che spesso sono i burocrati che governano al posto di sindaci e assessori. E’ qui che bisogna intervenire per mettere la politica nelle condizioni di decidere liberamente”. Ma. Ran. © RIPRODUZIONE RISERVATA
30 Provincia
L'ARENA
Domenica 7 Giugno 2020
GARDA- BALDO TORRI. Mario Gandini,65 anni stavaprocedendoda sololungo viaSan Zeno, lastrada cheda Albisanosiinerpica versoCostermano. Inutilii tentativi dirianimarlo
Haunmalore,cadedallabiciemuore Losforzonell’affrontare laripidasalita eil caldosono probabilmentelacausa dell’improvviso mancamentodelciclista Stefano Joppi
Un malore in bici, la caduta e la morte. Lo sforzo fisico nell’affrontare la ripida salita e il grande caldo dovrebbero essere la causa dell’improvviso mancamento che ha procurato il decesso di Mario Gandini, sessantacinque anni residente a Mirandola. Il ciclista poco dopo mezzogiorno procedeva da solo in sella alla bici lungo via San Zeno, la strada che dall’abitato di Albisano si inerpica verso lo svincolo che conduce per Costermano. All’altezza del numero civico 1476, sulla curva del tornante che precede la fermata delle corriere, deve averlo colto il malore che gli ha fatto perdere il controllo della bici e cadere a terra proprio dove s’innesta lo stradello comunale che crea la bretella con Albisano. Secondo la ricostruzione fatte dagli uomini della polizia stradale di stanza a Bardolino, giunti sul luogo dell’incidente per gli accertamenti del caso, le persone che sopraggiungevano in transito hanno subito soccorso il malcapitato e allertato il 118. Per più di mezz’ora, prima i passanti e poi i sanitari dell’ambulanza, hanno provato a rianimare il Gandini ma purtroppo per il povero ciclista non c’è stato nulla da fare. Fatale il malore che ha portato alla caduta accidentale, sotto sforzo in salita, del mo-
Garda
Sonostaticonsegnati 480pacchialimentari
L’arrivodelleforzedell’ordine nel luogodelmalore
Unmomento deirilievi
denese: giusto un mese fa aveva festeggiato il compleanno. Dalle prime notizie raccolte sembra fosse arrivato a Lazise in auto e da qui, in sella alla bicicletta, si sia diretto verso Albisano. Dopo aver lasciato la piaz-
zetta e dato le spalle al campanile della frazione di Torri Gandini ha percorso via San Zeno, una strada che esce dal centro abitato e continua lungo una salita sempre più irta verso lo svincolo per Costermano. Nell’affrontare uno
dei tanti tornanti, dove la carreggiata si restringe ma permette comunque il transito delle auto nel doppio senso di marcia, si sono consumati gli ultimi istanti di vita di Gandini che ha terminato la sua salita proprio sotto l’immenso cartello che pubblicizza in duplice lingua (italiano e tedesco) la vendita di «ville e appartamenti eccezionali ad Albisano». Sul luogo sono intervenuti anche il comandante della polizia locale Domenico Tenca e gli operai dei Comune che hanno provveduto a pulire l’asfalto. Nella caduta il ciclista, facilmente già privo di conoscenza, ha battuto pesantemente il corpo a terra. •
Col«cuore inmano» maanche conun forte senso dirazionale responsabilità:consegnati 480 «pacchialimentari»,una media di60la settimana,destinati ad altrettantefamigliee/o personebisognose chehanno ricevutopanieri delvalore di 24,33euro l'uno per untotale di11mila e679euro. Cifra copertadai fondigovernativi e daquelliaccumulatinelconto corrente«benefico» istituito adhocesempre apertoe, così, risparmiatadal Comune che potràusarlaper iniziative analoghe.Sono i «numeri»della ProtezionecivilediGarda che, il30 maggio,hachiuso l'operazionediconsegnaditali pacchisopperendo alle necessitàdichi, con l'emergenzaCovid-19,si è trovatonell'indigenza. Evidenziailsindaco Davide Bendinelli:«Quandosiamo stati colpitidalla pandemia, l'amministrazione,con la Protezionecivile, ha predispostounservizio di consegnaperi bisognosi. Ho affidatol'organizzazione a FrancescoRuffoli, della ProtezionecivilediGarda, considerandola sua esperienza lavorativamanageriale. Abbiamousatobeni donatida cittadinieimprenditoriche,
Ipacchi alimentari volendoaiutaregli altri, cihanno assicuratounagran quantità di prodottiepartecipatoal nostro contocorrente Graziea tanta generosità»,dice,«abbiamo fronteggiatol'emergenza e soddisfattocon costanzaogni esigenzasenza intaccare le risorserese disponibilidal Governoperi “buoni spesa” 21.800eurocui si aggiungonoi 18milaraccolti sul conto corrente».Ruffoli, 56anni, dipendentediunagrossa azienda, sposatoecon trefigli,èun
volontario«pernatura»:ènel gruppoalpinidiGarda,cantanei corilaRocca eparrocchiale. L'«interventoCovid-19» l'ha moltopreso:«Homessoinpiedi procedureamministrative voltea normareestandardizzare la gestionedellapreparazione e distribuzionedei pacchi,previa l'obbligatoriavalutazionedei requisitideglieventuali beneficiaridapartedei Servizi sociali.Abbiamoquindi stilato la listadeibenidi primanecessità, creatopanieri tipo per nucleida unao piùpersone per 7giorni,lista aggiornatabi-settimanalmente considerandola duratadelle confezionideiprodotti, come i detersiviche durano piùa lungo. «Ricevutalalista, abbiamo procedutosecondola gravitàdel bisogno.Poiché durante il lockdownsi consegnavaa casa, abbiamomappato Garda, dividendolain6zoneper razionalizzarei tempi.Non avendo sempretuttoil necessario, ho chiestounaquotazionea supermercatilocaliche cihanno fattoprezzi speciali odonazioni. Abbiamospeso circa5500 euro», ragguaglia,«delfondo delComune perle donazioni».Chiude Bendinelli:«Siamosoddisfatti. Conquestaorganizzazione abbiamocoperto, senza costi, le necessitàdimoltepersone che hannoricevuto sempreprodottidi qualità.L'emergenzaha riguardatofamiglie di2-3 persone,soprattuttostagionali trovatisidisoccupati.Ringrazio Ruffoli,i volontaridellaPc, eil consiglieredelegato Luigi Lavezzariper il prezioso contributo». B.B.
CAPRINO. L’assessoregarantisce ilricalcolo delCanone perl’occupazione dellearee pubbliche MALCESINE. Domani pomeriggio doppia seduta AFFI
Ilragionierefaicontisuisocial «Occorre sospendere la Cosap» Lapetizionevirtualeharaccolto settanta firme, spedite in Comune Dito puntato sul Canone di occupazione del suolo aree pubbliche (Cosap): in Comune e anche fuori. Una petizione virtuale, con 70 firme, chiede all’ Amministrazione di annullare il Cosap o di restituirlo a chi l’avesse già pagato. Le ha raccolte il ragioniere Federico Vacca, sulla sua pagina Facebook, che le ha allegate alla lettera spedita per mail, il 21 aprile, al sindaco Paola Arduini. L’oggetto è «richiesta sospensione del Cosap 2020 per le imprese turistico ricettive». Il tema è stato affrontato nel Consiglio del 28 aprile, «a prescindere dalla petizione», ha precisato l’assessore al bilancio Maurizio Salomoni. «L’amministrazione», ha detto, «sensibile alle problematiche generate dalla pandemia del Covid-19, ha agito, in prima battuta, deliberando, il 10 aprile, la proroga al 31 agosto dei termini di scadenza del pagamento del Cosap dei pubblici esercizi, stabilendo
che il calcolo del contributo sarà fatto sul tempo dell’effettivo uso dello spazio. Per chi avesse pagato prima, il costo sarà ricalcolato e l’eccedenza rimborsata». Ha poi aggiunto: «Nelle nostre intenzioni ci sono però, oltre alla concessione, ove possibile, per il 2020, di un ampliamento gratuito dei plateatici, la riduzione o il totale annullamento del contributo. Intendiamo anche», ha aggiunto, «ricalcolare la Tari 2020 per le attività economiche più colpite dal lockdown». A Federico Vacca Il sindaco ha risposto il 28 aprile. «Tutti viviamo», dice, «il terribile evento Covid-19. Il mio impegno è rivolto alle aziende del territorio che combattono, come tutti, per sopravvivere a questa forzata chiusura. Per il settore turistico/ricettivo, cardine del territorio,le restrizioni per la riapertura prevedrebbero limitazioni imponenti in termini di spazi con
IlConsigliofa il bis Ilavori saranno indiretta streaming Verrannodiscussii punti nonaffrontati inmaggio L’assembleafu interrotta conl’uscitadel sindaco
Unavista dall’altodi Caprino
pesanti ricadute a livello anche occupazionale. Le chiedo di intervenire, come Comune, per sostenerle sospendendo, per il 2020, l’esazione del Cosap e prevedendo un rimborso di quanto già corrisposto affinché le aziende dispongano di spazi sicuri a costo zero». E aggiunge: «Se il Comune può fare poco per artigiani, industrie, può invece intervenire a favore dei pubblici esercizi». Esemplifica: «Locali che accoglievano
100 persone ne potranno forse accogliere 30. Di qui la mia proposta attuabile con atto amministrativo ufficiale. Il numero delle firme raccolte testimonia quanto la gente senta il problema». Il sindaco Paola Arduini chiude: «Sono, ora come non mai, vicina ai miei cittadini La loro chiusura, se prolungata, decreterà la «morte» della comunità di Caprino. Sarà mio compito evitare che ciò accada». • B.B.
Domani, doppio consiglio comunale a Malcesine. E, per la prima volta, in diretta streaming. Sarà un'insolita duplice seduta consecutiva quella in programma in sala consiliare in municipio: alle 16.30 la prima convocazione vede un solo argomento che riguarda l'illustrazione del documento programmatico preliminare del piano degli interventi da parte del sindaco Giuseppe Lombardi. Subito dopo, a ruota, ci sarà un secondo consiglio, alle 17, che riprenderà la seduta sospesa lo scorso 13 maggio al primo punto all'ordine del giorno dopo una discussione durata quattro ore, in cui, tra l'altro, il primo cittadino aveva abbandonato l'aula tra le proteste delle minoranze. Proprio in quell'occasione le stesse opposizioni avevano chiesto e ottenuto la sospensione del consiglio alla fine della discussione del primo
punto – come aveva già chiesto lo stesso Lombardi prima di uscire – con l'impegno di riconvocare il consiglio comunale, per discutere gli argomenti rimanenti, entro il 5 giugno, con la diretta streaming sul web. La proposta era stata votata all'unanimità, maggioranza compresa. All'ordine del giorno, riserva 2019 e 2020, verrà discussa l'interpellanza del gruppo di opposizione Malcesine 2.0 sulla richiesta di chiarimenti in merito alle responsabilità dell'area edilizia privata e urbanistica da parte del sindaco. Di seguito verrà esaminata la mozione presentata dalla stessa Malcesine 2.0 assieme a Vivere Malcesine in merito alla revoca in autotutela della determinazione 674 del 24 dicembre 2019 riguardante il «caso» della consulenza esterna affidata dal Comune all'architetto Lucio Donatini. Ad integrazione dell'ordine del giorno si discuterà il canone relativo all'occupazione di spazi e aree pubbliche. Intanto, in vista della seduta bis, i tecnici hanno effettuato i collaudi del caso. • EM.ZAN.
Nuova fornitura dimascherine Il Comune provvederà a consegnare una nuova fornitura di mascherine ai residenti. Lo annuncia il sindaco Roberto Bonometti: «È in corso una nuova distribuzione di mascherine sul territorio comunale», spiega il sindaco. «Questo è possibile grazie alla donazione della ditta Dakota Living. Ricordiamo che è obbligatorio indossare le mascherine nei luoghi chiusi accessibili al pubblico e, all’esterno, in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza tra non conviventi». Bonometti ha disposto la riapertura dei parchi giochi. Gli addetti comunali igienizzeranno tutti i giorni dalle 8 alle 10 altalene giostrine e tutte le attrezzature. L’entrata nei parchi è consentita dalle 10 alle 19. «I genitori o gli accompagnatori hanno l'obbligo igienizzare le mani dei bambini e devono far indossare la mascherina ai bimbi se si creano assembramenti», precisa Bonometti che ricorda anche alle famiglie interessate ai Grest estivi di compilare i questionari, reperibili sul sito internet comunale. • L.B.
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PRIMO PIANO
DOMENICA 7 GIUGNO 2020 MESSAGGERO VENETO
LE IDEE
SALVINI INSEGUITO DA ZAIA E LA STRATEGIA DEL RILANCIO
BASTA GALLEGGIARE COMINCIAMO A NAVIGARE
DAVID ALLEGRANTI CLAUDIO SICILIOTTI
on c’è soltanto l’incubo degli avversari interni alla Lega (Luca Zaia) per Matteo Salvini. Da mesi l’ex ministro dell’Interno è incalzato regolarmente dall’alleata Giorgia Meloni, in crescita stabile nei sondaggi. La leader di Fratelli d’Italia è diventata insidiosa. Ha una identità ideologica ben definita ed è abile nella comunicazione, il che le consente persino di oscurare alcune pulsioni estremiste nel suo partito. Non è chiaro quale sarà il futuro di Meloni, le potenzialità di crescita tuttavia non mancano. Così come non mancano i più o meno ravvicinati duelli con Salvini. Basta vedere che cosa sta succedendo con le elezioni regionali, sbloccate dalla progressiva fine del lockdown; per non dimenticare le elezioni dell’anno prossimo per il sindaco di Roma, città in cui potrebbe candidarsi la stessa Meloni. Il segretario leghista ha rimesso in discussione l’accordo nazionale siglato ai tempi della scelta del presidente del Copasir (toccato alla Lega), che prevede anche una spartizione delle candidature nelle varie regioni. Secondo quello schema, i presidenti uscenti vengono confermati come candidati, vedi Zaia in Veneto e Giovanni Toti in Liguria, mentre il resto va diviso fra i partiti della coalizione. La Puglia a Fratelli d’Italia (con Raffaele Fitto candidato), la Toscana alla Lega (Susanna Ceccardi, la Campania a Forza Italia (Stefano Caldoro) e via così. Da giorni però Salvini ha deciso che l’accordo va rimesso in discussione e che Fitto non è più il candidato. La coalizione ha fatto diverse riunioni per risolvere la questione, un’altra - forse definitiva - è in programma a inizio settimana. Anche perché il tempo scorre. Salvini però nel tentativo di sparigliare ha già lanciato una sua candidatura pugliese, Nuccio Altieri, peraltro ex fittiano. Minaccia pure di rompere l’alleanza e andare per conto proprio (la Lega in Puglia alle Europee ha preso il 25 per cento). I sondaggi dicono che il centrodestra è dato largamente vincente contro Michele
N
Il leader della Lega Matteo Salvini
Il presidente del Veneto Luca Zaia
Emiliano, quindi non si capisce la voglia di farsi del male da soli. A meno che non si voglia credere a chi nel centrodestra dice che Salvini teme così tanto la crescita di Giorgia Meloni da preferire una sconfitta pu-
gliese piuttosto che far governare la regione da Fratelli d’Italia, seppur in coalizione. Vogliamo pensare che queste siano soltanto dietrologie senza fondamento. Anche la scombiccherata politica del 2020 mantiene una qualche forma di razionalità, non fosse altro che per mero spirito di sopravvivenza. C’è però senz’altro una questione vera che riguarda il posizionamento geopolitico della Lega. Salvini ha perduto la battaglia in Emilia-Romagna contro Stefano Bonaccini, e pure la Toscana viene data per perduta. La vittoria di Zaia non è invece in discussione. La Lega al momento non avrebbe al prossimo giro elettorale una candidatura leghista nel Mezzogiorno, né in Puglia né in Campania, e il radicamento territoriale della Lega, iniziato con la svolta nazionale (e nazionalista) della segreteria salviniana, è essenziale anche per frenare il calo dei consensi che si è intensificato con l’emergenza sanitaria. Non potendo contare su immigrazione, sicurezza e attacchi all’Europa, oggi politicamente poco appetibili, Salvini è costretto a ripiegare altrove. In assenza di una strategia chiara, deve puntare a spremere fino in fondo il consenso di un’epoca immediatamente precedente, quella delle elezioni europee. Sempre che i voti di un anno fa, che oggi Salvini fa pesare nelle trattative con gli alleati, ci siano effettivamente ancora sui mitologici territori. La beffa infatti sarebbe ottenere alla fine una candidatura unitaria al Sud senza potersela più permettere davvero e lasciare la regione a Emiliano, che è in difficoltà e ha solo da guadagnarci dalle baruffe del centrodestra. Insomma, assediato dai consensi di Zaia e Meloni, a Salvini non resta che inseguire la strategia del rilancio continuo. Silvio Berlusconi era un maestro in quest’arte, ereditata nel centrosinistra da Matteo Renzi. Solo che qualcuno, come il senatore di Scandicci insegna, a furia di rilanciare s’è rottamato da solo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CALMA&GESSO
LA SOFFERENZA DELLA DIDATTICA A DISTANZA ENRICO GALIANO
così anche questa cosa della didattica a distanza è andata, con sospiri di sollievo tali che sono stati registrati aumenti della bora a Trieste e recrudescenze dello scirocco in Sicilia. Perché diciamolo, senza tanti indugi: andava fatta perché andava fatta, ma è stata una sofferenza. Di preciso il sentimento che l’ha accompagnata di più, a parte i problemi alla laringe a forza di urli verso lo schermo per farsi sentire dai ragazzi, è stata la nostalgia: nostalgia per loro, che li vedevi lì ma erano distanti, ma soprattutto nostalgia di loro, dei ragazzi, privati di qualcosa che in adolescenza è come l’acqua o il cibo, cioè il contatto coi coetanei. E ce ne siamo accorti ancora di più l’ultimo giorno, quando il virus ha perpetrato l’ultimo e definitivo scippo al loro anno scolastico, privandoli di quella specie di momento cardine, di gioia incontenibile che è l’ultima campanella, il grido di liberazione uscendo dal cancello, i gavettoni, gli abbracci e le lacrime. Ora è importante che di queste sofferenze sappiamo fare tesoro: che quando si ritornerà a scuola, cioè, ci ricorderemo che cosa ci hanno insegnato que-
E
sti mesi. Prima cosa fra tutti: le differenze. Se c’è qualcosa per cui dovremo ringraziare la didattica a distanza, è stata l’evidenza con cui ci ha fatto capire che i ragazzi non sono tutti uguali, e che per alcuni riuscire a stare al passo con gli altri è impossibile non per mancanza di voglia o di intelligenza, ma proprio perché non ci sono i mezzi. Materiali o familiari che siano, abbiamo troppi ragazzi che partono svantaggiati. Dobbiamo capirlo una volta per tutte che la famosa frase con cui spesso vengono bollati gli studenti con difficoltà, “non ci arriva”, rivela nel suo doppio senso una verità scomoda: che non arriva a noi, che non riesce ad esserci, ad essere presente. Plexiglass o non plexiglass, lezioni in giardino o in classe, tutti problemi molto seri, ma il problema più serio che avrà la scuola domani sarà riuscire a mettere tutti i ragazzi in condizione di essere presenti e tutti con gli stessi mezzi. Altrimenti per qualcuno, anche quando si tornerà alla normalità, anche quando saremo di nuovo tutti lì insieme sarà ancora, in qualche modo, didattica a distanza. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Manifestazione contro la didattica a distanza
e vignette di Altan hanno spesso l’efficacia di un editoriale. In una delle più significative, fa dire ai suoi personaggi che se è vero che il Paese ha bisogno di riforme, è ancor più vero che le riforme avrebbero prima di tutto bisogno di un Paese. Questo per ricordarci, nella maniera impietosa tipica di quest’autore satirico ormai friulano d’adozione, che non bastano le necessità o le opportunità a determinare i risultati, ma occorrono soprattutto le persone giuste ed il supporto delle comunità organizzate. Senza la cui volontà e determinazione nessun obiettivo potrà mai essere conseguito. Ho pensato a questo quando ha cominciato a prendere corpo l’idea del cosiddetto “Recovery Plan” europeo. Una novità di portata davvero storica, a cominciare dalla denominazione che è stata prescelta per rappresentarlo: “Next Generation Eu”. Una volta tanto, già nel titolo, una visione finalmente di lungo periodo che fa riferimento ai giovani europei del futuro. Un piano quindi concepito per aiutare una ripresa a lungo termine che non è, è bene ricordarlo sempre, la semplice somma di tanti brevi periodi. Imponenti le risorse complessivamente ipotizzate. 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto e 250 a prestito. Molto rilevante la quota che, dalle prime anticipazioni, sembra potenzialmente destinata al nostro Paese (circa 80 miliardi a fondo perduto, 90 a prestito). Risorse da raccogliere sul mercato, garantite dal bilancio europeo. Una mutualizzazione del debito, sì. Ma questa volta si mutualizza il futuro e non il passato, attraverso misure strutturali e non congiunturali. Viene prevista una gestione europea del debito, quindi finanziata anche da risorse proprie. Si devono pertanto immaginare delle imposte europee con finalità di politica economica (sarà finalmente la volta buona per la web tax?). Le condizioni per l’erogazione dei fondi saranno connesse alla presentazione di dettagliati piani di ripresa nazionali personalizzati. Quindi riforme, investimenti, sanità e ricerca, misure di prevenzione di future crisi. Con una visione finalmente europea dello sviluppo. Da qui anche l’attenzione dedicata al nostro Paese, il cui ruolo di subfornitore di importanti settori dell’industria europea (quello dell’automotive, per esempio) non conviene a nessuno sia messo in crisi. Se questa è giustamente la prospettiva, a nessuno dei nostri politici venga allora in mente di pensare che queste disponibilità possano essere utilizzate per abbassare le tasse nel nostro Paese (come si è già sentito dire …), oppure per gli indiscriminati finanziamenti a pioggia tanto di moda qui da noi (bonus qui, bonus là …). Al contrario, ci si prepari da subito per un Progetto Paese in chiave europea, serio e prospettico, che meriti di ricevere quelle risorse che, potenzialmente e provvisoriamente, sono state previste a nostro favore. Altrimenti lo faranno solo gli altri. Col risultato finale di ampliare quella differenza che sempre più ci separa, in negativo, dai nostri partners europei. Ne saremo capaci? È questa la sfida. Di qui l’efficacia corrosiva della vignetta di Altan. Che ci ricorda che non solo la classe politica non si è sinora rivelata all’altezza, ma altrettanto non si è dimostrata migliore neppure la cosiddetta società civile che questa ha espresso. Perché se non se ne è disfatta, vuol dire che si è comunque sentita ben rappresentata. È quindi da noi stessi che bisogna partire. Mettendoci tutti in gioco, non come giudici ma come corresponsabili. Perché è tempo di navigare. E non basta più galleggiare. —
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