PIANCAVALLO Dolomiti Friulane
magazine
PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura - Estate 2016
Š Dan Patitucci, 2016 Patagonia Inc.
Piazzale XX Settembre n° 21 Pordenone Piancavallo tel. 0434 520524
Foto Ferdi Terrazzani
PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura n.20 Supplemento n.2 al n.83 de La Città (aprile 2016)
Editrice: Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 33170 Pordenone Tel. 0434 240000 Fax 0434 208445 info@lacitta.pordenone.it www.lacitta.pordenone.it Direttore Responsabile: Flavio Mariuzzo HANNO SCRITTO IN QUESTO NUMERO: Francesco Boni De Nobili, Giulio Ferretti, Mauro Fracas, Piergiorgio Grizzo, Valentina Gasparet, Pino Roveredo, Mario Tomadini, Sabina Tomat, Ferdi Terrazzani, Michela Zin PROGETTO GRAFICO: Francesca Salvalajo FOTO: Ferdi Terrazzani, Mario Tomadini, Archivio Piancavallo Magazine Archivio fotografico Pordenone with love, Studio Sandrin IMPIANTI STAMPA: Visual Studio Pordenone STAMPA: Tipografia Sartor Pordenone
Provincia di Pordenone
In copertina: Mauro Corona, vincitore dell’edizione 2009 del Premio Cavallini, riceve il riconoscimento da Vittorio Sgarbi (foto Michele Missinato)
SOMMARIO SOMMARIO 5.
Editoriale
6.
Montagna pordenonese, piccolo mondo di luoghi incontaminati e gente autentica
7.
Un’estate nel segno dello sport
9.
Sgarbi: “Valcellina piccolo tesoro d’Italia”
13.
La terra buona
17.
Menocchio, il coraggio di pensare in grande
20.
Il Conte di Montececon
25.
Il Sentiero della Battaglia di Pradis
31.
Cjastelat, la fortezza fantasma
35.
El mulin de Bronte
39.
Giovani Valdesi a Tramonti di Sopra
42.
Lorenzo, il fotografo-globetrotter a caccia di paradisi
47.
Quando canta il gallo forcello
49.
“Il toccasana” di un bagno nella natura
51.
Arnica Montana Piancavallo. Un sogno che infiamma
53.
Grotte Verdi, lo smeraldo della Val Cosa
55.
Piancavallo totaldog 2016, quattro zampe sul red carpet
57.
Largo ai funamboli degli sci d’alta quota
58.
Sapori d’alta quota
61.
“Dalla fattoria alla tavola”
63.
La vecchia valigia del cuoco metafora per il futuro
65.
Val Colvera, la colonia estiva dei pordenonesi
70.
Proloco Piancavallo, fiocco rosa all’ombra di Cima Manera
72.
“Io sono della M.C.P.”
75.
“Cortina e Piancavallo, facciamo un gemellaggio”
83.
Ecce Humus
87.
Giugno-settembre, tre mesi di appuntamenti per tutti i gusti
EDITORIALE
Valli che riflettono la bellezza italiana
Piegato ad autografare una pila di volumi del suo ultimo romanzo “Non luogo a procedere”, ad un certo punto Claudio Magris alza gli occhi. L’azzurro dello sguardo vibra come un mare increspato e rivela la profondità di un “microcosmo” del quale lo scrittore triestino è uno dei figli più illustri. “Quanti ricordi legati all’infanzia in Valcellina… il sapore dolce delle pannocchie abbrustolite, gli spostamenti in groppa all’asino, il calore di un ambiente domestico”. È proprio sul legame tra la cultura e la montagna pordenonese che ci siamo voluti soffermare in questo numero estivo di Piancavallo Magazine. È incredibile come un luogo apparentemente “ordinario” nasconda uno scrigno di tesori che attende solo di essere scoperto e vissuto in tutta la sua bellezza. Negli scorsi numeri di questa rivista, tra le altre cose, abbiamo offerto un assaggio delle peculiarità enogastronomiche. Abbiamo anche acceso un faro sulle chiesette affrescate da Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone. Stavolta dedichiamo la copertina al Premio Cavallini, un appuntamento letterario istituito vent’anni fa a Barcis da Vittorio Sgarbi, che ha rilasciato a Valentina Gasparet l’intervista che pubblichiamo nelle pagine interne. Nato da una costola del Premio di poesia intitolato a Giuseppe Malattia della Vallata, il Premio Cavallini, oggi trasferitosi a Pordenone, rappresenta uno degli eventi letterari dell’agenda culturale del Friuli Venezia Giulia, anche se non ha mai perso la connotazione di “finestra” sulle valli pordenonesi. Accanto a questo, proponiamo un testo inedito dello scrittore Pino Roveredo (il cui padre era un calzolaio di Montereale) e un doveroso omaggio al professor Aldo Colonnello, fondatore e anima del Circolo Menocchio, vero e proprio manifesto del valore universale della cultura, anche quando promana da realtà di nicchia. Il “gancio” è rappresentato dal quarantennale della pubblicazione del libro di Ginzburg che rese immortale la vicenda di Domenico Scandella, il mugnaio eretico finito sul rogo a Portogruaro nell’estate del 1599. Sempre in tema di cultura, infine, la bellissima ricostruzione operata da Mario Tomadini della figura, della visione e delle opere del Conte Giacomo Ceconi di Pielungo, il cui castello in Val d’Arzino è oggi diventato l’avanguardistica sede di una delle aziende più brillanti e innovative del nostro territorio: la Graphistudio. Insomma, questo numero di Piancavallo Magazine è l’ennesima riprova della straordinaria ricchezza ambientale e culturale nella quale siamo immersi e della quale siamo imbevuti noi italiani. Anche in questo angolo così periferico di un Paese dalle mille bellezze. Buona estate a tutti! Flavio Mariuzzo
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REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
Montagna pordenonese,
Foto Ferdi Terrazzani
piccolo mondo di luoghi incontaminati e gente autentica
Il trenino della Valcellina (foto Terrazzani)
“
Questa stagione estiva rappresenta un’opportunità per conoscere le nostre bellissime montagne e scoprire come esse siano in grado di offrire esperienze non omologate. La nostra montagna infatti ha la fortuna di essere facilmente accessibile, ma al contempo di essere un valico per entrare in contatto con un contesto naturale unico nel suo genere. Natura, tradizioni, cultura, storia e gastronomia sono elementi tutti fortemente connessi fra loro e radicati nel territorio. Vivere le nostre montagne è un’opportunità per trovare, nella comodità delle strutture di cui disponiamo, luoghi e gente autentica. L’augurio è che ognuno di noi possa trovare il giusto tempo per esplorare e conoscere le montagne pordenonesi”.
Momenti di svago, intrattenimento e relax sulla conca pordenonese
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Sergio Bolzonello Vicepresidente e assessore al Turismo Regione Friuli Venezia Giulia
COMUNE DI AVIANO
Foto Ferdi Terrazzani
Un’estate nel segno dello sport
Passeggiate per tutti i gusti e per tutta la famiglia a Piancavallo (foto Terrazzani)
“
Alla fine anche la stagione invernale, appena trascorsa, si è chiusa sostanzialmente in positivo nonostante l’inizio sia stato drammaticamente povero di neve. Questo permette di guardare alla imminente stagione estiva con la fiducia che si possa ripetere la positività dell’estate 2015. Il nostro territorio gode di una grande vitalità nel settore agroalimentare e molte sono le produzioni tipiche che lo caratterizzano. Proprio per valorizzare queste peculiarità il 26 giugno, oltre al tradizionale “salat e cavo”, proporremo la prima mostra mercato del prodotto tipico della Pedemontana con un ricco programma di animazione. Finalmente sono partiti i lavori per la costruzione del secondo campo di calcio e troveranno sistemazione anche alcune piastre per gli sport all’aperto; proprio lo sport caratterizzerà il migliore utilizzo delle tante strutture che ci sono a Piancavallo: il campionato Italiano di pattinaggio artistico, almeno tre “Camp” di pallacanestro, uno di Rugby del campione e nazionale Martin Castro Giovanni, uno di ginnastica artistica e non mancheranno le escursioni e le mountain bike. L’auspicio che il meteo sia dalla nostra e che i tanti eventi facciano salire molti turisti sulla nostra montagna, anche grazie alla professionalità degli operatori”.
Carlo Tassan Viol Assessore al Turismo
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L’ANNIVERSARIO
Qui sopra una suggestiva veduta panoramica del Lago di Barcis. Sotto, foto di gruppo con la famiglia Sgarbi all’edizione 2014 del Premio Cavallini assegnato a Nuccio Ordine e Raffaele La Capria
Sgarbi:
“Valcellina piccolo tesoro d’Italia” di VALENTINA GASPARET
Compie vent’anni il Premio Cavallini istituito nel 1996 da Vittorio Sgarbi a Barcis nell’ambito del Premio letterario “Giuseppe Malattia della Vallata”. Il noto critico d’arte è un habitué dell’appuntamento estivo barciano dedicato alla poesia che quest’anno è in programma domenica 17 luglio
B
arcis, la Valcellina, il Premio Malattia della Vallata e poi il Premio Cavallini: quali sono i suoi primi ricordi? Siamo a metà degli anni ‘90, io sono Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati e accetto l’invito di Maurizio Salvador a Barcis, per rappresentare la Commissione a un premio letterario, di cui non conoscevo gli estremi, ma che poi avrei capito essere di poesia dialettale. Sto lì qualche ora, non capisco quasi nulla, perché si trattava di versi nelle lingue vernacolari più lontane. Però mi accorgo che il Presidente della giuria del Premio, dedicato al poeta dialettale Malattia della Vallata, è Antonio Piromalli, un grande amico di mio zio Bruno Cavallini. Piromalli, insegnante a Ferrara, diventato poi professore all’università e
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Claudio Magris, vincitore del Cavallini 2010 con Maurizio Salvador, Sgarbi e Valentina Gasparet
siete tutti molto legati al nostro territorio, a cui avete ispettore del Ministero - quindi con una posizione molto sempre dimostrato affetto e attenzione. Chi c’era, si autorevole, solenne, poiché era collegato ai “terminali” ricorda benissimo la signora Rina, qualche anno fa, con del potere ministeriale -, aveva scritto un bel libro sulla lei a Barcis... letteratura della sua regione, la Calabria. Sì, quella era un’epoca in cui mia madre mi seguiva in Vedo Barcis, vedo il posto bellissimo, vedo il lago e ascolto molte mie escursioni in luoghi diversi nel le figure, anche di un certo rilievo, che mondo; così come si divertiva a venire in partecipavano al premio e poi faccio il mio Yemen, in Marocco o in Libia o in Iran, discorso, osannando Piromalli e lodando è venuta anche a Barcis. Con lo stesso questa iniziativa. L’anno successivo, divertimento per le località “esotiche” o ritornando nella stessa piacevole situazione, diversamente esotiche: alcune lo erano pensai di proporre un altro premio – con il criterio subito stabilito di una giuria sostanzialmente per la loro distanza, per la difficoltà di essere raggiunte, e altre per il loro composta da un numero dispari di giurati essere comunque remote. A Barcis si va in inferiore al tre (Sgarbi è l’unico giurato, n.d.r.) – a integrazione del Premio di Barcis, un luogo remoto, riparato e misterioso per dedicato a Bruno Cavallini, e con il preciso quanti non hanno avuto ancora la fortuna di mandato di avere il vincitore un testo scritto conoscerlo. Bruno Cavallini in lingua italiana, magari anche tradotto. E Lei ha scritto “Il tesoro d’Italia”, un viaggio prezioso da lì è partito il Premio Cavallini con Gaio Fratini, primo premiato, a cui ne sono seguiti tanti altri in questi 20 anni. che ci consente di scoprire opere e luoghi talvolta meno noti o nascosti. Barcis e la Valcellina possono essere I suoi genitori, sua sorella, la sua famiglia, lei stesso, considerate un piccolo tesoro.
Franco Loi, Premio Cavallini 2000
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Premio Cavallini 1998 alla rivista letteraria Panta
Gaio Fratini, primo vincitore del Premio nel 1997
per incontri e premi Non c’è dubbio. Le mie letterari, presentazioni escursioni producono dei testi che talvolta di autori, mi sembra una condizione confluiscono nei privilegiata dell’Italia, libri organici, come un luogo in cui Il Tesoro d’Italia, o ovunque ci sono altre volte, come le cose sorprendenti. cose che ho scritto E accanto a sulle mie esplorazioni queste bellezze pordenonesi, rimangono di tipo naturale in pubblicazioni più o naturalistico si ristrette come quelle può comunque realizzate per il Premio immaginare che Cavallini. L’edizione 2015 del Premio Malattia della Vallata, un appuntamento culturale sempre molto Ma sono tutte atteso. Nella foto anche il poeta friulano Pierluigi Cappello, vincitore del Premio Cavallini 2013 ci sia la voce di e membro della giuria del Premio Malattia della Vallata un poeta che le ha comunque narrate, come nel testimonianze caso di Giuseppe Malattia della Vallata. memorialistiche di esperienze, appunto, memorabili. Sono luoghi che hanno una vocazione letteraria esplicita, non già supposta. Ogni luogo in Italia ha molto Quanto può essere importante il binomio cultura probabilmente un poeta o un narratore con radici locali e turismo - che da anni a Barcis si cerca di stringere molto forti: e questo è un nesso molto importante. in modo sempre più forte e importante – proprio nell’ottica della valorizzazione della bellezza dei luoghi? Allora l’appuntamento è a luglio, per festeggiare i venti Barcis è un luogo dalla straordinaria bellezza naturale e, in anni del Premio Cavallini... linea generale, le bellezze più memorabili sono le bellezze Sì, arrivederci nuovamente a Barcis, la prossima estate. della natura; che queste siano poi l’ambiente e il teatro
L’ALBO D’ORO DEL PREMIO CAVALLINI
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Michele Ainis è nato a Messina. Costituzionalista, editorialista, saggista, dal 2016 è membro dell’Antitrust. Fra i suoi ultimi volumi: La cura (2009), Chiesa padrona (2009), La legge oscura (2010), L’assedio (2011), Privilegium (2012), Le parole della Costituzione (2014), La piccola eguaglianza (2015), L’umor nero (2015), L’ordinamento della cultura (con Mario Fiorillo, III edizione 2015). Nel 2012 ha pubblicato un romanzo, Doppio riflesso.
Vittorio Sgarbi è nato a Ferrara. Critico e storico dell’arte, ha curato mostre in Italia e all’estero. Tra i suoi ultimi libri: L’Italia delle meraviglie. Una cartografia del cuore (2009), Viaggio sentimentale nell’Italia dei desideri (2010), Le meraviglie di Roma (2011), Piene di grazia (2011), L’arte è contemporanea (2012), Nel nome del figlio (2012), Il tesoro d’Italia (2013), Il punto di vista del cavallo. Caravaggio (2014), Gli anni delle meraviglie (2014), Dal cielo alla terra (2015).
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La Costituzione e la Bellezza
contribuirono intellettuali come Croce, Marchesi, Calamandrei, capaci di esprimere, nel rigore della forma, un’altissima (La Nave di Teseo, 2016) sensibilità letteraria. Questo “paesaggio umano e naturale”, Se l’Italia è una Repubblica che affiora tra gli articoli e i fondata sulla bellezza, come è commi della Costituzione, stato recentemente proposto esprime nella forma più riuscita in Parlamento, non c’è dubbio la corrispondenza tra il diritto che l’abitudine al bello – e a un e i cittadini: noi stessi, posti patrimonio artistico e culturale davanti allo specchio che non ha eguali nel della legge, potremmo mondo – sia il vero riconoscervi molto della elemento unificante nostra eredità, e scoprirci degli italiani, e come La Carta costituzionale italiana è una sorgente di bellezza, più ricchi di quanto sifonterifletta nel testo oltre tale che la prima del diritto. immaginiamo. della Costituzione L’Italia è il paese più bello del mondo. Alla bellezza del testo promulgata nel 1948. Non può non avere la bellezza come elemento costituzionale. Michele Ainis della Carta, testimoniata Michele Ainis e Vittorio Sgarbi dalla sua longevità, Vittorio Sgarbi La Costituzione e la Bellezza questo libro affianca compongono un un tesoro di riferimenti, inedito commento assonanze, simmetrie, letterario e tratti dalle diverse arti illustrato alla nostra e ispirati ai princìpi Costituzione in sedici costituzionali: suggerimenti di capitoli, uno per ciascuno dei lettura che illuminano la vitalità dodici princìpi fondamentali e dei e l’attualità del testo della quattro titoli in cui s’articola la Costituzione, un monumento da prima parte della Carta. preservare come parte del nostro Un incontro che rivela la immenso patrimonio culturale. bellezza di un documento a cui La nave di Teseo
i Fari
Michele Ainis
Vittorio Sgarbi
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Ainis, Sgarbi La Costituzione e la Bellezza
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1997 Gaio Fratini 1998 Rivista Panta 1999 Younis Tawfik Egi Volterrani (Premio speciale) 2000 Franco Loi 2001 Alain Elkann 2002 Franco Marcoaldi 2003 Gian Antonio Cibotto 2004 Edoardo Nesi 2005 Diego Marani 2006 Pino Roveredo 2007 Alexandre Jardin (Narrativa) Giovanni Reale (Saggistica) 2008 Lucio Dalla e Marco Alemanno (Saggistica) Matteo Collura (Saggistica) 2009 Mauro Corona (Narrativa)Pierluigi Panza (Saggistica) 2010 Claudio Magris Folco Quilici 2011 Roberto Vecchioni Alessandro Spina 2012 Maurizio De Giovanni Alice 2013 Boris Pahor (Premio speciale) Pierluigi Cappello (Poesia) Eleonora Cavallini (Critica della cultura) Tommaso Cerno (Attualità) 2014 Nuccio Ordine Raffaele La Capria (Premio speciale) 2015 Jean-Louis Georgelin Marc Fumaroli Ramin Bahrami Foto: © Julian Hargreaves
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L’ULTIMO LIBRO DI VITTORIO SGARBI
Se l’Italia è una Repubblica fondata sulla bellezza, come è stato recentemente proposto in Parlamento, non c’è dubbio che l’abitudine al bello – e a un patrimonio artistico e culturale che non ha eguali nel mondo – sia il vero elemento unificante degli italiani, e come tale si rifletta nel testo della Costituzione promulgata nel 1948. Michele Ainis e Vittorio Sgarbi compongono un inedito commento letterario e illustrato alla nostra Costituzione in sedici capitoli, uno per ciascuno dei dodici princìpi fondamentali e dei quattro titoli in cui s’articola la prima parte della Carta. Un incontro che rivela la bellezza di un documento a cui contribuirono intellettuali come Croce, Marchesi, Calamandrei, capaci di esprimere, nel rigore della forma, un’altissima sensibilità letteraria. Questo “paesaggio umano e naturale”, che affiora tra gli articoli e i commi della Costituzione, esprime nella forma più riuscita la corrispondenza tra il diritto e i cittadini: noi stessi, posti davanti allo specchio della legge, potremmo riconoscervi molto della nostra eredità, e scoprirci più ricchi di quanto immaginiamo. Alla bellezza del testo della Carta, testimoniata dalla sua longevità, questo libro affianca un tesoro di riferimenti, assonanze, simmetrie, tratti dalle diverse arti e ispirati ai princìpi costituzionali: suggerimenti di lettura che illuminano la vitalità e l’attualità del testo della Costituzione, un monumento da preservare come parte del nostro immenso patrimonio culturale. La Costituzione e la Bellezza è un intreccio sorprendente tra arte, diritto e letteratura, che si legge come un’appassionata storia della bellezza d’Italia.
In copertina: Francesco Del Cossa, Trionfo di Venere, affresco, 1470 circa, particolare del mese di Aprile dal Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, Ferrara. DeA Picture Library, concesso in licenza ad Alinari. Progetto grafico: Studio Cerri & Associati
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IL RACCONTO
Fotografando@PnBear
La terra buona (VG) La famiglia di Pino Roveredo è originaria di Montereale Valcellina: il padre nacque e lavorò qui prima di trasferirsi a Trieste. Nel 2007 il Comune di Montereale Valcellina ha conferito allo scrittore la cittadinanza onoraria. Pino Roveredo allora l’ha idealmente dedicata al padre, che a Montereale nacque, ma non riuscì a tornare e che sarebbe stato orgoglioso di questo figlio che ha saputo farsi onore nella vita di PINO ROVEREDO
M
io padre mi parlava sempre di Montereale Valcellina, e immancabilmente lo faceva con l’emozione bagnata degli occhi, il cuore rivoltato e una nostalgia che strozzava la gola. Mio padre che per una fame d’amore, partì lasciando l’abbraccio delle montagne e la terra natia della Valcellina, quella terra dove col sudore nero della fatica crescevano i frutti più belli e buoni del mondo, e si trasferì a Trieste dove c’era quel vento violento che gonfiava la suscettibilità degli umori. 13
nella sua Me lo ricordo terra, nelle mio padre, in sue origini. Ci occasione delle teneva tanto, vacanze estive, ci teneva da quando veniva morire… a prendere noi Il mio caro morì figli all’Istituto un mese dopo e ci portava a aver raggiunto Montereale. quel sospirato Era sempre traguardo, di Ferragosto, lasciando nella piazza nell’aria dei c’era un piccolo vivi il morso luna-park, e di un desiderio dentro una folla affamato, da ubriacarsi. deluso, Gente che sconfitto… salutava col Io sono tornato suono friulano, Pino Roveredo riceve da Vittorio Sgarbi il Premio Cavallini nel 2006 gente che si abbracciava col muscolo del contadino, gente e torno a Montereale, la terra con i frutti più belli del mondo, tante volte, e ogni volta costeggio i campi con che sollevava mille bicchieri per accontentare il brindisi l’odore che mi era stato raccontato da bambino, poi e la sete della compagnia. Ancora oggi ho stampato nella entro nell’abbraccio rassicurante e confortante dei monti, mente la fotografia felice del mio congiunto. Quando quindi mi infilo nella via che porta al paese, quando respirava l’aria della sua terra, riusciva a cambiare viso e a arrivo nella piazza, vedo qualche bicchiere sollevato, il regalarci la bellezza meravigliosa del sorriso. suono dei saluti, e una bocca che si allarga per regalare la Me lo ricordo mio padre quando appoggiato sui gomiti meraviglia di un sorriso… del ricordo, giurava la rivalsa contro il male pesante della nostalgia. Giurava che, e lo faceva puntuale ogni Eccoci finalmente arrivati! Siamo a Montereale!... sacrosanto giorno, appena tagliato il traguardo della Contento papà?... pensione avrebbe raccolto la sua vita e sarebbe tornato
CHI È
IL LIBRO
Mastica e sputa (Bompiani, 2016)
Pino Roveredo è nato nel 1954 a Trieste da una famiglia di artigiani: il padre era calzolaio. Dopo varie esperienze (e salite) di vita, ha lavorato per anni in fabbrica. Operatore di strada, scrittore e giornalista, collaboratore del “Piccolo” di Trieste, fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate. Con Bompiani ha pubblicato Mandami a dire (2005, Premio Campiello, Premio Predazzo, Premio Anmil, Premio “Il campione”), Capriole in salita (2006), Caracreatura (2007, Premio Torre di Castruccio 2008), Attenti alle rose (2009, Premio “La Lizza d’oro” di Massa Carrara e Premio “Giuseppa Giusti” di Monsummano), La melodia del corvo (2010), Mio padre votava Berlinguer (2012), Ballando con Cecilia (2014) e l’ultimo, Mastica e sputa (2016). Nel 2006 Pino Roveredo ha vinto il Premio Cavallini. 14
Donne di dolori, fatiche di uomini. Malattia, isolamento, solitudine, carcere, manicomio. Il mondo di Pino Roveredo torna in una raccolta di racconti lucidi, spietati, disarmanti come di consueto, che si tratti di schegge o di esistenze narrate intere, di redenzioni in extremis o di condanne irreversibili. Un bacio e un morso: la vita è così, e siamo tutti sempre impegnati a masticare e sputare, come dice la canzone di De André che diventa leitmotiv di un amore spaccato in due da un delitto non commesso. Ma in questo universo che ha la nettezza scavata del bianco e nero entrano anche la luce del mare, la leggerezza di una parola umile, fagioli, che si meriterebbe una doppia per guadagnare ancora più sapore, la voglia di guardare certe città belle per definizione – Trieste, Parigi – con gli occhi nuovi della meraviglia.
Pordenonelegge Festa del libro con gli autori dal 14 al 18 settembre 2016
CULTURA
Menocchio,
il coraggio di pensare in grande A 40 anni dalla pubblicazione del libro di Ginzburg “Il formaggio con i vermi” che rese celebre la vicenda del mugnaio eretico di Montereale, il Circolo culturale fondato da Aldo Colonnello continua ad incarnare lo spirito libero e curioso di Domenico Scandella detto Menocchio
di MAURO FRACAS
C’
era una volta un uomo, di mestiere mugnaio, cui piaceva imparare, e quello che apprendeva lo metteva a servizio della comunità. Sapeva suonare la zitara, e così veniva chiamato ad animare le feste, e, visto che s’intendeva di amministrazione, faceva il cameraro (curatore dei beni ecclesiastici) ed insegnava ai bambini a leggere e scrivere, arti rare un tempo. Gli piaceva anche leggere, e, soprattutto, pensare. Non c’erano molti libri in circolazione allora, ma anche l’esperienza è buona maestra
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Due immagini con Aldo Colonnello, fondatore e anima del Circolo Menocchio
e, se è vero che in ogni frammento del cosmo rivive il tutto, allora perché non pensare che ogni forma vivente, l’uomo, gli angeli, Dio stesso, non nasca da un caos primigenio, così come dal formaggio nascono i vermi? Questo fu troppo per i funzionari della verità di allora, che condannarono Domenico Scandella, detto Menocchio, pertinace nell’eresia, al rogo. La vita del mugnaio heretico di Montereale, le cui vicende sono state consacrate nel noto libro Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, si spense secondo i termini di giustitia tra le fiamme di un rogo eretto nella piazza grande di Portogruaro, in una mattina d’estate nel 1599. A raccogliere l’eredità di Menocchio è l’omonimo Circolo culturale di Montereale, fondato da Aldo Colonello. “E’ sorprendente vedere quanto seguito goda ancora questa figura”, sostiene Rosanna Paroni Bertoja, Presidente del Circolo. “Domenico Scandella sentiva forte il legame di appartenenza alla comunità locale, eppure non esitò a gettare il suo guanto di sfida alla mentalità dominante e ad un mondo che non sentiva suo”. “Menocchio si collocava all’intersezione di due culture diverse, quella scritta, ufficiale, e quella orale, popolare” afferma Aldo Colonello, “da entrambe ha attinto e su entrambe ha
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esercitato la sua azione feconda. È questo lo spirito che il Circolo vuole incarnare, uno spirito curioso, pronto a lasciarsi sorprendere dal nuovo, che sa valorizzare le varietà locali ma anche resistere alla tentazione di riposare su un localismo asfittico ed autoreferenziale”. Le attività del Circolo rispondono alle necessità di una promozione culturale volta a fornire occasioni per chi intende godersi almeno qualcuna delle mille avventure che il pensiero sa offrire, come ad esempio Università della prima età (da 0 a 100 anni), dove è stata attivata una facoltà unica, quella del libero perché; il Museo archeologico di Montereale, una struttura a misura di bambino; né al rogo né al macero: il libro condiviso ed altre ancora. La qualità dell’offerta ha dato al Circolo la possibilità di essere inserito nel novero delle Associazioni di interesse regionale, consentendole di diventare un porto franco per liberi pensatori, un luogo dove approdare, ma anche da dove salpare in cerca di nuovi orizzonti. Tra loro vi è Federico Tavan, apprezzato cantore della poesia friulana. La riscoperta a livello internazionale della figura di Menocchio ha caricato il Circolo di nuove aspettative e di nuove responsabilità, per dar voce a chiunque, come il Mugnaio di Montereale, abbia il coraggio della verità.
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IL PERSONAGGIO
IL CONTE DI MONTECECON Breve storia di Giacomo Ceconi e del Castello di Pielungo
di MARIO TOMADINI*
È
un’insolita visione lo scorgere, tra i faggi della Valle dell’Arzino, quello che a prima vista sembra un antico maniero. Le mura e le torri merlate stuzzicano la fantasia, la coccolano un po’ e la depongono nelle braccia di un tempo passato che si pensa sia stato vissuto da dame e cavalieri. In realtà il castello non ha origini medioevali essendo, si fa per dire, abbastanza giovane. La sua età, infatti, supera di poco il secolo di vita. Tuttavia, la storia di quella fortezza è degna di essere ricordata, giacché è legata a un personaggio che ha portato con orgoglio il nome dell’imprenditoria friulana nelle strade d’Europa. Giacomo Ceconi (tra l’altro, il vero cognome era Cecon) nasce, suddito austriaco, il 29 settembre 1833 a Pielungo da Antonio e Maddalena Guerra, una coppia che i registri comunali definiscono con tre aggettivi: cattolica, villica e possidente. Quel “possidente” non deve trarre in inganno, poiché i Ceconi avevano poche pertiche di terreno, un paio di pecore e una casupola. Nel 1851 il diciottenne Giacomo si trasferisce a Trieste dove trova occupazione come manovale; il suo primo contatto con le opere stradali e ferroviarie avviene quando è alle dipendenze della ditta Martina di Chiusaforte. La volontà e l’ingegno lo portano ben presto ad assumere incarichi di responsabilità ma non solo, poiché nel 1865, a soli 32 anni, inizia l’attività di impresario edile. Da quel momento in poi la sua crescita professionale è esponenziale. Strade, ferrovie, arditi ponti, stazioni ferroviarie in Austria, Slovenia, Ungheria, Croazia, Romania, Baviera: le opere della Società guidata da Giacomo Ceconi non si contano più. Il giovanotto partito dalla Val Nespolaria è ormai un impresario che gode del rispetto del Governo austriaco che, peraltro, è lesto nel concedergli la cittadinanza alla quale, peraltro, lo stesso Giacomo rinuncerà nel 1890. L’imperatore Francesco Giuseppe lo eleva al rango di nobile d’Austria e i Savoia, per non essere da meno, gli assegnano il titolo di Cavaliere della Corona d’’Italia. Il Ceconi
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Giacomo Ceconi (*Pielungo 1833 + Udine 1910) fotografato da Alois Beer. (immagine tratta dalla pubblicazione Giacomo Ceconi & Co. Quaderni del Craf 01, Forum 2007)
ottiene l’appalto per la costruzione di un tronco della galleria dell’Alberg tra il Tirolo e il Voralberg, un’opera imponente che porta a termine con tredici mesi d’anticipo che gli valgono fama, notorietà e un premio in fiorini. Giacomo, arrivato all’apice del successo, non dimentica la sua terra; in Val d’Arzino promuove la nascita della Società Operaia di Mutuo Soccorso, alcune scuole elementari e una di Arti e Mestieri, ma di lui si ricorda anche l’idea, il progetto e l’esecuzione della strada “Regina Margherita” che collega Anduins con l’Alta valle dell’Arzino. Il titolo di Conte di Montececon arriva nel novembre 1893 a firma di Umberto I° e proprio da questo conferimento nasce in lui l’idea di costruire una dimora consona al nuovo rango ed è così che prende forma un’imponente villa padronale eretta, giusto per non dimenticare le sue origini, accanto alla sua casa natale. Pochi anni dopo l’edificio è ampliato e trasformato con l’aggiunta di torri, torrette e merli ghibellini, nel castello che oggi vediamo.
Particolare del Castello di Giacomo Ceconi negli Anni Venti del secolo scorso. (collezione Mario Tomadini)
I puristi dell’architettura lo considerano un bizzarro edificio in bilico tra lo stile neo-gotico e l’eclettico e per di più con scampoli di liberty, senza dimenticare, come scrivono i cultori della materia, i riflessi medioevali e rinascimentali, mentre balconi e merlature gotiche cercano una simbiosi con le finestre rettangolari. I loggiati presentano tonalità calde che conferiscono all’insieme una vista gradevole. Non mancano negli affreschi esterni le figure di George Stephenson, inventore della locomotiva, di Alessandro Volta e, giusto per non dimenticare la religione anche una Madonna con Bambino. Completano la lista delle figure quella di Irene da Spilimbergo, Vittoria Colonna, Giovanni da Udine, Leonardo da Vinci, mentre in una delle torri merlate si riconosce il Manzoni. Lo stemma gentilizio, scolpito nel marmo, impreziosisce il fabbricato. Nel castello ci si scaldava a legna che nei pressi abbondava ed era anch’essa di proprietà del Ceconi che a tempo debito aveva provveduto al rimboschimento dei versanti, mentre l’energia elettrica era ottenuta da una centralina idroelettrica che sfruttava le acque del Torrente Arzino dal quale era prelevata anche l’acqua potabile per i residenti. Nelle cantine erano in funzione un paio di forni per il confezionamento dei pasti. Il Conte aveva destinato uno
Il castello del Conte Ceconi negli Anni venti del secolo scorso. (collezione Mario Tomadini)
mecenate per la sua Val d’Arzino, rendeva l’anima a Dio in Udine. Il destino gli aveva risparmiato la Prima Guerra Mondiale che di certo gli avrebbe procurato un gran dolore visto che la sua anima era protesa verso la Mitteleuropa; tuttavia, i pur gloriosi trascorsi in terra d’Austria non avrebbero mai potuto sopravanzare l’amore che nutriva per l’Italia. Tornando al castello sappiamo che nel 1944 aveva subito un incendio e che nel secondo dopoguerra gli eredi l’avevano ceduto all’Ente Provinciale di Economia Montana (EPEM), lo stesso ente che precedentemente aveva goduto di un lascito relativo al terreno circostante il fabbricato che era stato rimboscato, come precedentemente accennato, proprio dal Conte Giacomo nel periodo 18901908. Per quest’opera nel 1912 la Società Friulana Pro Montibus et Sylvis aveva assegnato a Giacomo Ceconi, purtroppo postmortem, un diploma di benemerenza. L’orcolat del 1976 squassa l’Alto Friuli, ma l’edificio, proprio perché eretto a regola d’arte, resiste anche alle spallate del sisma. La proprietà intanto è passata alla Regione che intenderebbe, il condizionale è d’obbligo, destinarlo a scuola alberghiera, ma intanto il degrado avanza con maligna progressività. Giacomo Ceconi in tarda età. La svolta arriva nel 2008 quando (immagine tratta dalla pubblicazione IL CONTE GIACOMO CECONI di Montececon di Lodovico la Graphistudio di Arba, azienda Zanini, Edizioni La Panarie- Udine 1930) leader a livello mondiale nel camstanzone ad uso museo; la mostra raccoglieva arnesi e attrezzature da muratore, i disegni di gallerie, strade e ponti, cioè i progetti che erano divenuti delle vere e proprie opere d’arte e poi ancora, diplomi, attestati e medaglie ricevute per il suo lavoro; in esposizione vi erano ritratti di chi, tra ingegneri, capomastri, muratori o semplici manovali, avevano permesso alla sua impresa, composta da moltissimi compaesani, di raggiungere i più alti obbiettivi. Correva il 18 luglio 1910 quando Giacomo Ceconi, uomo dalle umili origini divenuto uno stimato impresario, nonché generosissimo
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Il Castello Ceconi di Pielungo (foto Mario Tomadini - marzo 2016)
po della realizzazione di album matrimoniali e stampa digitale, acquista il castello; ancora una volta è l’intervento di un privato che permetterà di riportare all’antico splendore un fabbricato che correva il rischio di cadere nell’oblio. La ristrutturazione è avviata nel 2011 e prosegue ininterrottamente per due anni. Dalle fondamenta al tetto tutto è minuziosamente restaurato, compresi affreschi e statue e i lavori avvengono sotto l’occhio vigile della Sovrintendenza. Oggi il castello, al di là della valenza architettonica, si propone come un’ottima location per l’azienda di Arba che intende crearvi un centro internazionale della fotografia, una sorta di “casa comune” dove i fotografi professionisti potranno esprimere e realizzare le proprie idee. Mostre, spettacoli, workshops e corsi di formazione per operatori dell’immagine, completeranno le possibilità offerte da un ambiente che favorisce la fantasia e l’ispirazio-
ne. Ma il futuro abbraccia già il presente, poiché le sale del castello sono già dotate delle più moderne tecnologie audiovisive e di banda larga per videoconferenze. All’interno del castello, la Graphistudio ha adibito l’ampio locale del primo piano a showroom e sala riunioni. Sono luoghi ideali per l’esposizione dei prodotti, per promuovere le nuove realizzazioni e per incontrare i clienti. Ed è così che l’antico si coniuga con il moderno, il tutto sotto l’egida dell’Accademia di Fotografia Conte Ceconi, un’altra realizzazione voluta dalla Graphistudio che ha voluto legare il nome di una moderna azienda a quello di un grande imprenditore del passato. Siamo certi che il diciottenne Giacomo, partito da Pielungo in cerca di fortuna, sarebbe fiero nel vedere il suo castello risorgere a nuova vita. * Accademico Istituto Arte e Cultura Alpina Gruppo Italiano Scrittori di Montagna
All’interno del castello, la Graphistudio ha adibito l’ampio locale del primo piano a showroom e sala riunioni. Sono luoghi ideali per l’esposizione dei prodotti, per promuovere le nuove realizzazioni e per incontrare i clienti. (gentile concessione Graphistudio- Arba )
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IL SENTIERO DELLA BATTAGLIA DI PRADIS Da Pielungo al Cimitero di Guerra della Val da Ros. Passeggiata nel cuore della storia locale tra luoghi ricchi di fascino immersi in un ambiente naturale incontaminato Il viottolo lastricato nel bosco di faggio. (Foto Mario Tomadini- aprile 2016)
testo e foto di MARIO TOMADINI
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ell’ottobre 1917 il fronte era lontano dall’Arzino come gli scontri di Pielungo e Forno e la Battaglia di Pradis; a scanso di equivoci va scritto che quello che e niente lasciava presagire che nel breve volgere è successo in Val d’Arzino non è paragonabile alle di pochi giorni la vallata si sarebbe trovata a carneficine consumatesi nelle rive dell’Isonzo o sul Carso. far i conti con il conflitto. Tutto aveva avuto inizio nella Qui la guerra non era prevista, quindi aveva colto tutti notte del 24 ottobre tra Plezzo e Tolmino con un potente di sorpresa e proprio per questo non ci sono i resti di cannoneggiamento austroungarico e tutto quello che è trincee, camminamenti o fortini. Tuttavia, piccolo o successo nelle ore e nei giorni successivi è racchiuso in grande che sia stato, il tributo di sangue versato in quelle un nome che nella storia patria è divenuta sinonimo di montagne nel novembre 1917 merita quantomeno sconfitta, disfatta, rotta, vale a dire Caporetto. Per farla il nostro ricordo. Com’è d’uso scrivere, correva il 5 breve, gli storici ricordano che il 27 ottobre l’esercito novembre quando l’unità italiana nemico aveva occupato Cividale arroccata a Pielungo era stata presa e il giorno dopo era entrato di mira dalle mitragliatrici delle in Udine. Niente e nessuno truppe da montagna tedesche e sembrava in grado di fermare di quelle dei Kaiserjager austriaci. un’avanzata vissuta con tremenda Nonostante l’impegno degli alpini disperazione. Era necessario del “Gemona” e del “Monte rallentare il cammino del nemico Canin” l’effetto sorpresa era stato per permettere al nostro esercito dirompente e gli italiani avevano di guadagnare la riva occidentale riparato nei pressi del Castello del Tagliamento e stabilire una Ceconi. In località Forno si era prima linea di difesa. E’ stato cercato di ritardare l’avanzata in questo contesto che si sono La presenza della segnaletica rende sicuro il nostro nemica e sotto il fuoco del “Val sviluppati gli accadimenti ricordati cammino. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
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La cappelletta in località Sompielungo. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
Per alcuni tratti il Sentiero della Battaglia di Pradis corre tra i muretti a secco. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
Fella” gli attaccanti erano stati costretti a fermarsi. Si combatteva una guerra di pattuglie con incursioni, scaramucce, assalti e strenue difese; solo alle ore 11 del giorno seguente per i nostri soldati era arrivato l’ordine di ripiegamento, purtroppo la mancanza di collegamenti tra i vari reparti aveva causato la cattura dei soldati italiani che erano rimasti bloccati tra la borgata di Forno e il costone di Pradis, mentre altri si erano fortunosamente sganciati verso il Monte Taiet. Sul terreno erano rimasti decine di morti e di feriti intrasportabili e tutti, sia italiani che austro-tedeschi erano stati affidati alla pietà dei valligiani. Dopo aver conosciuto, sia pure per sommi capi, i fatti d’arme, invito i lettori a percorrere il Sentiero della Battaglia di Pradis. Il tracciato parte (cartello esplicativo) dalla piazzetta di Pielungo (mt. 451 s.l.m.), intitolata al Conte Giacomo Ceconi e prosegue, con accentuata salita, in una via lastricata. Un tempo era questa la via da percorrere per chi doveva recarsi a Clauzetto. (…..era la
nostra autostrada, quando qui vivevano duemila anime, mi ha confidato un anziano valligiano). Poco dopo, le abitazioni e i fienili abbandonano il paesaggio a favore di un viottolo che mantiene le pietre e sfiora faggi che per la loro circonferenza, ma ancor di più per l’altezza, suscitano la nostra ammirazione. Raggiungiamo la località Sompielungo; qui la quota è di 645 metri e adesso è sufficiente seguire la segnaletica che indica Pradis e che ci porta in poco tempo alla gola di Forno. Una breve deviazione ci indirizza alla sommità del modesto colle sito alla nostra sinistra per visitare quello che rimane del piccolo cimitero austro-tedesco. Ridiscendiamo alla “Stretta di Forno” e seguiamo la tabella che ci spedisce nelle braccia di un sentiero che perde quota rasentando le pareti del Cuel di For. Dal punto di vista ambientale proprio qui inizia la parte più interessante del tracciato. Attraversiamo il ponticello sul Rio Salaries, successivamente ci impegniamo in una breve salita, subito seguita da un tratto di discesa che immette nel Rio di Molin (sulla nostra sx, c’è una piccola forra) che oltrepassiamo grazie ad un ponte. Ci alziamo dal greto del Rio percorrendo il largo sentiero che corre vicino agli stavoli Fumatins. Attratti dalla tranquilla espressione della natura, forse stiamo dimenticando lo scopo della nostra visita. Ormai la nostra meta è vicina, ancora una manciata di minuti e poggiamo i piedi nella rotabile che collega Pielungo con Pradis. La seguiamo verso destra e dopo la curva ci appare il Cimitero di Guerra dove dall’autunno del 1917 e fino al 1920 trovarono un primo riposo le salme dei
Siamo quasi alla fine del nostro percorso. La meta è ormai vicina. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
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De Pol Calzature – Treviso centro
COMINBLU
Alcuni stavoli a lato del nostro sentiero. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
e potremo osservare tutto Caduti italiani e tedeschi. quello che c’è da vedere, La vista delle croci e dei senza dimenticare stavoli e nomi incisi sulla pietra ci ruderi, muti testimoni di riporta ai nostri propositi un’umanità perduta, e poi mattutini e al desiderio di gli alberi, i fiori, i torrenti, saperne di più anche sugli i muretti a secco e tutte le aspetti meno noti della altre meraviglie che sapendo Grande Guerra. Poco oltre, di antico e irripetibile, ci ecco la sella della Val da permettono di far volare Ros e la Capanna Alpina, l’immaginazione. Salvo la abbondantemente provvista presenza di neve o ghiaccio di panche e tavoli. Qui si Una rara immagine del Cimitero di Pradis scattata a guerra appena finita quando il piccolo camposanto accoglieva ancora le salme dei combattenti. al suolo, tutte le stagioni può appoggiare lo zaino, Nel 1930 le salme di tutti i Caduti, sia tedeschi e austriaci (una settantina) sono buone per questo andar sgranocchiare qualcosa e sia italiani (218), sono state traslate. (collezione Mario Tomadini) per monti di bassa quota; tra dare un ‘occhiata alla Carta l’altro l’ottima copertura arborea e la rinfrescante presenza Tabacco 028, tanto per conoscere i nomi dei monti che di alcuni torrentelli rendono percorribile questa storica ci circondano. Con un sacco da montagna sulle spalle e un paio di scarponcini ai piedi quest’escursione è adatta a traccia anche nei mesi più caldi. Per il ritorno è preferibile compiere a ritroso lo stesso tragitto, evitando il richiamo tutti; alcune guide indicano il tempo di percorrenza (sola dell’asfalto che vorrebbe riportarci a Pielungo privandoci andata) in un’ora e mezza, ma vi consiglio di prenderla con molta più calma. Regaliamoci almeno mezz’ora in più di qualsiasi emozione.
Il Cimitero di Pradis negli Anni Venti del secolo scorso. (collezione Mario Tomadini)
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Il Cimitero di Guerra di Pradis com’è oggi. (foto Mario Tomadini- marzo 2016)
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STORIA
Cjastelat, la fortezza fantasma
Verosimilmente l’installazione militare pre-medievale di Dardago aveva il compito di sbarrare la strada a eventuali aggressori che avessero tentato di scendere a valle attraverso i monti con carriaggi al seguito di MAURO FRACAS
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volte il territorio racconta vicende impreviste, si esprime per enigmi. Così, pochi si aspetterebbero di trovare una istallazione militare in piena regola, antica più di mille anni nei colli retrostanti Dardago, eppure è proprio questo che sembrano testimoniare i ritrovamenti archeologici rinvenuti in prossimità della località Cjastelat. Essenziale per la scoperta di questo sito è stata l’adozione delle tecniche proprie della Archeologia del territorio, che si propone di ricostruire le diverse configurazioni e destinazioni d’uso di un determinato comprensorio che si sono succedute nel tempo. Pioniere in questo settore è stato Moreno Baccichet, che, incrociando ricerche archivistiche e indagini sul campo, ha contribuito ad individuare la presenza, nelle adiacenza dell’abitato di Dardago, di un complesso fortificato risalente con ogni probabilità ad un periodo pre-medievale. Sulla base dei rilievi archeologici fino ad ora effettuati, il complesso risulta essere costituito da una serie di palizzate in legno che delimitavano terrapieni in terra e sassi, a loro volta circondati da una
Una vecchia cartina geografica di Dardago e Budoia. Sopra una ricostruzione dell’antica fortezza del Cjastelat
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serie di fossati volti ad enfatizzarne la capacità difensiva. La struttura, ormai da secoli in disuso, ha conosciuto un progressivo decadimento, di qui verosimilmente il toponimo “Cjastelat”, ossia castellaccio, volto ad identificare un castello in rovina. È ancora incerta la minaccia in relazione a cui questa opera difensiva è stata eretta, verosimilmente il suo compito era quello di sbarrare la strada a forze ostili che avessero tentato di scendere a valle attraverso i monti, in quanto era una via praticabile anche da eventuali aggressori con carriaggi al seguito. Si tratta comunque di una delle prime strutture del genere rinvenute in regione, il che rappresenta una opportunità, ma anche un impegno per chi opera nel territorio. “Quella storica è una delle dimensioni del comprensorio budoiese che, di concerto con la Pro Loco e l’Amministrazione comunale, intendiamo recuperare”, afferma Valentino Zambon, Presidente del Comitato Ruial de San Tomé, “e questo anche per
Alcuni scorci dell’abitato di Budoia e dintorni
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aumentare l’attrattività della zona nei confronti di una domanda turistica sempre più complessa e diversificata. È nostra intenzione, infatti ripristinare attraverso un qualificato intervento di volontariato, questa struttura per come l’archeologia è in grado di ricostruirla.” Si tratta dunque di riproporre una strategia d’azione che ha avuto successo nel caso del Ruial, ossia la storica canaletta di pietra che per generazioni ha portato l’acqua dalla montagna a Dardago e Budoia. In tal modo, l’Associazione intende realizzare quel connubio tra ricerca accademica ed intervento sul campo capace di radicare profondamente l’agire del volontariato negli aspetti identitari del territorio. “Come Amministrazione ci sentiamo responsabili anche nei confronti dell’opera dei Budoiesi di un tempo, come gli oscuri difensori che presidiavano il Cjastelat”, afferma Pietro Ianna, Consigliere comunale. “D’altronde, il passato rimane sempre la miglior caparra per il futuro”.
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SOTTO LA LENTE
El mulin de Bronte
L’antico manufatto di pietra del ‘700, simbolo dell’operosità della gente locale, è stato restaurato grazie al lavoro dei volontari del sodalizio “Chei del Ruial”
testo e foto di FERDI TERRAZZANI
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Budoia la grande ruota idraulica del “mulin de Bronte” sul torrente Artugna ha ripreso a mulinare. Il restauro dell’affascinante manufatto è opera dei tanti volontari del sodalizio “Chei del Ruial”, coordinati da Valentino Zambon. La lunga opera di recupero è iniziata con il riordino dell’antica canaletta, lunga due chilometri, edificata alla metà del 1600 per portare l’acqua dall’Artugna a Dardago. L’impegno dei volontari si è poi concentrato sull’antico manufatto di pietra simbolo
dell’operosità della comunità budoiese: “el mulin de Bronte”. Il macinatoio di proprietà del conte Fulini, è stato costruito nel 1775, quando l’acqua del Ruial già forniva un opificio del 1669 utilizzato per la ritorcitura di filati nel borgo di Dardago. Grazie anche alla preziosa acqua corrente del “Ruial” la comunità aveva combattuto e debellato una epidemia di tifo. Il comitato, con il recupero dell’acquedotto in pietra e il mulino, ha aggiunto al territorio di Dardago un nuovo e importante tassello di valore storico paesaggistico. I volontari
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Una finestra del Mulin de Bronte. Sotto, un gruppo di persone in visita all’antico manufatto restaurato
dell’associazione del Ruial si sono spesi anche per la rivalorizzazione dei numerosi sentieri che collegano la valle di San Tomé. Attraverso un itinerario di 12 chilometri si possono ammirare le bellezze naturalistiche della valle ed apprezzare in località “col dell’Angelo” un remoto rudere testimone di un antica chiesa risalente al XI secolo. Il vero protagonista di questo territorio pedemontano è senza dubbio il torrente Artugna: il torrente che non c’è; il torrente dai due nomi; elaborato di una natura che non finisce mai di stupire. Infatti, nella sua parte alta il torrente percorre l’alveo rivelando la sua presenza è viene chiamato Cunath, mentre nella parte bassa spesso asciutto si inabissa per formare un
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bacino sotterraneo e qui viene denominato Artugna. Questo corso d’acqua è una presenza importante per le persone e le genti che hanno abitato e abitano in questi luoghi perchè le loro case sono state erette con i suoi sassi e la sua acqua da sempre li disseta. Per questo motivo il torrente Artugna è divenuto il simbolo della cellula ecomuseale del ‘Piccolo Teatro di Dardago’. Un territorio facile da raggiungere, ottimamente segnato, che richiede una mezza giornata per essere percorso. Ideale per chi ama la natura contemplativa e attiva ma, ben si presta anche al passo spedito di uno sportivo. Un itinerario che non può essere raccontato solo a parole, deve essere vissuto.
VAL TRAMONTINA
GIOVANI VALDESI A TRAMONTI DI SOPRA Pochi sanno che a Tramonti di Sopra era attiva una colonia estiva gestita dalla Comunità protestante di culto valdese che in quelle zone aveva un nucleo attivo fin dal 1874 La Casa per ferie Tramonti di Sopra ex Centro Ecumenico Valdese come si presenta oggi. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
di MARIO TOMADINI
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Tramonti di Sopra, primi anni ‘50 del secolo scorso: un gregge transita accanto alla Colonia Evangelica Valdese (collezione Mario Tomadini)
el 1876 il pastore protestante Wilhelm Bion aveva condotto nelle montagne di Zurigo una settantina di giovani per lo più appartenenti alle classi meno abbienti. La Feriekolonien (colonia per ferie) permetteva alla gioventù di ritemprarsi con la vita all’aria aperta e con il buon cibo offerto dall’organizzatore. Nella Kolonien si costruivano capanne, si tirava con l’arco, si giocava con marionette, si rappresentavano spettacolini teatrali. Anche in Francia l’avvio delle colonie era avvenuto per merito di un pastore protestante, tale Théodore Lorriaux che nella sua opera era stato supportato
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SOTTO LA LENTE
LA CHIESA EVANGELICA VALDESE La tradizione fa risalire la fondazione del movimento valdese, avvenuta nel XII° secolo, a Valdo di Lione. I suoi seguaci si caratterizzano per uno stile di vita povero e improntato ai dettami evangelici. La Chiesa cattolica dapprima sembra tollerante, ma successivamente combatte il valdismo con la scomunica. Seguono secoli di persecuzioni e di tentativi, anche sanguinosi, di cancellare le comunità valdesi; nell’aprile del 1545 è perpetrata una strage dove periscono 6000 valdesi. In seguito il “valdismo” è permesso solo nelle zone di montagna e ad una quota superiore ai 700 metri; è evidente il tentativo di isolare le comunità valdesi relegandole in zone decentrate situate per lo più tra la Francia e il Piemonte. Nel febbraio 1848, le Lettere Patenti di Re Carlo Alberto riconoscono i diritti politici e civili ai valdesi, ma non ancora la libertà di culto che per loro, come per le altre religioni a stento tollerate, arriva il 5 marzo dello stesso anno con lo Statuto Albertino. I valdesi partecipano attivamente sia al Risorgimento, sia, nel Secondo conflitto mondiale, alla Resistenza. Il valdismo di oggi è impegnato in direzione progressista soprattutto nei temi etici quali, per esempio, l’omosessualità, l’aborto, il testamento biologico, l’eutanasia e l’accanimento terapeutico. Il Valdismo è diffuso soprattutto in Piemonte (Val Pellice) dove si contano ben 41 delle 120 chiese presenti sul territorio nazionale. Nel 1975 i Valdesi entrano a far parte delle Chiese Evangeliche Valdesi e Metodiste. Il 22 giugno 2015 Papa Bergoglio, durante la visita ad un Tempio valdese, ha chiesto perdono per le persecuzioni patite dai valdesi durante il corso della storia. Il suo gesto è stato apprezzato e accettato dal Sinodo Valdese. 40
La Colonia Alpina Evangelica “Luciano Menegon” nei primi anni ‘50. In primo piano alcuni ospiti (cortesia famiglia Manlio Facchin Paronello)
quella località, dove dal 1874 era attivo dalla moglie Suzanne. In Italia, le colonie cattoliche erano nate negli ultimi un nucleo di fedeli valdesi, il sito adatto per creare un luogo d’incontro non solo anni dell’Ottocento; allo scoppio del per i ragazzini, ma anche per le loro Primo conflitto mondiale nel Regno si famiglie. Nella stagione estiva i giovani contavano circa ottanta strutture, un valdesi raggiungevano la Val Tramontina numero destinato a crescere in maniera per trascorrervi un periodo di studio, esponenziale durante il Ventennio di svago e preghiera. In mancanza di fascista. A partire dagli anni Settanta un’adeguata struttura, i giovanotti del secolo scorso, il diffuso benessere alloggiavano in tende, case private, aveva ridimensionato il ruolo delle fienili e qualcuno alla Locanda Vittoria. colonie e così gli edifici che fino a poco tempo prima avevano ospitato i fanciulli La frequentazione era numericamente importante, ma solo nel Secondo avevano mutato la loro destinazione; alcuni erano stati trasformati in alberghi, dopoguerra l’attività della colonia aveva assunto un carattere di continuità e ostelli e residence, mentre altri erano questo grazie ad un prefabbricato in rimasti vuoti. Siamo partiti da Zurigo, legno lasciato a Udine dalle truppe ma la nostra meta è vicina e così per inglesi. La capanna, smontata e rimanere nell’ambito delle nostre trasportata fin lassù non senza difficoltà, montagne ricordiamo le colonie di era stata installata dalle comunità Poffabro (Val Colvera) e Pradibosco valdesi del Friuli e del (Val Pesarina) e le due Veneto in un terreno di Cimolais, le prime messo a disposizione due gestite dalla Pro dai coniugi Menegon, Infanzia, ente sorto anch’essi di fede valdese, nel 1903 dalla sinergia che con questo gesto promossa dal Comune di avevano inteso ricordare Pordenone in unione con il figlio Luciano, la locale Società Operaia prematuramente di Mutuo Soccorso ed scomparso a causa di una Istruzione, le seconde da malattia. istituzioni religiose. Pochi La struttura era adibita sanno che a Tramonti a dormitorio, mentre i di Sopra era attiva una pasti erano consumati colonia estiva gestita dalla nelle case Facchin Comunità protestante di L’interessante pubblicazione e Menegon. Grazie culto valdese. Le vicende curata da Alessio Christian Parolin stampata in occasione del centenario all’impegno dei pastori della Colonia Alpina (1897-1997) dell’apertura al culto e delle famiglie valdesi Evangelica di Tramonti di della Chiesa Evamgelica Valdese di Tramonti di Sopra. Nelle pagine con il trascorrere Sopra iniziano nel 1927 è scritta la storia della Comunità degli anni l’’afflusso grazie al pastore Bertinatti Valdese di Tramonti di Sopra. (cortesia famiglia Facchin Manlio) di ragazzi e adulti era che aveva individuato in
SOTTO LA LENTE
I VALDESI IN VAL TRAMONTINA
La Chiesa Evangelica Valdese di Tramonti di Sopra. (foto Mario Tomadini- aprile 2016)
aumentato. Tramonti di Sopra si stava affermando quale “location” perfetta per culti e conferenze, soprattutto perché le bellezze paesaggistiche permettevano molte attività. Estate dopo estate, pastori, giovani e famiglie attendevano l’arrivo della stagione buona che avrebbe permesso loro di risalire la Val Tramontina per raggiungere la Vil di Zore, cioè Tramonti di Sopra. Nel 1940 un soggiorno di studio e preghiera aveva visto la partecipazione di circa cinquanta valdesi provenienti da Pordenone, Trieste, Padova, Bergamo e Torino. Correvano i primi anni Settanta del secolo scorso quando era emersa l’esigenza di costruire ex-novo una nuova struttura per accogliere contemporaneamente almeno una trentina di persone, ma come spesso avviene in questi casi, era necessario fare i conti con la disponibilità finanziaria. Il 6 maggio 1976 anche Tramonti era caduto tra le grinfie dell’’Orcolat, il terremoto. Nelle more della ricostruzione post-sisma l’Entraide Protestante Svizzera e la Federazione delle Chiese Evangeliche avevano contribuito in solido alla realizzazione della nuova colonia valdese. Come era già avvenuto in passato, anche in questo caso il terreno necessario ad ampliare la colonia era stato donato dalla famiglia Menegon. A poco più di due anni dal terremoto, il nuovo Centro era una realtà. Con trentasei letti, sessanta posti pranzo e una moderna cucina, la
Colonia Valdese, che nel frattempo aveva mutato la sua denominazione in Centro Ecumenico “Luciano Menegon” era affollata da valdesi che giungevano non solo da tutta Italia, ma anche dalla Francia, Svizzera e Germania. Valdesi e non solo, poiché i soggiorni erano usufruiti anche dai cattolici, il tutto in un clima di reciproco rispetto. In tempi a noi più vicini la Chiesa Valdese aveva ceduto l’edificio in comodato d’uso al Comune di Tramonti di Sopra. Nel 2000 l’Amministrazione Comunale aveva indetto una gara per la gestione della struttura. Quella che un tempo era la Colonia Alpina Valdese oggi è condotta dall’intraprendente Marco Milan e si presenta come Casa per Ferie Tramonti di Sopra (44 posti letto divisi in 14 camere con bagno, sala mensa e locali accessori) ed è accessibile a tutti, previa prenotazione. Tuttavia, per il rispetto che si deve a chi ha permesso a tante persone di trascorrere giornate serene di preghiera e di svago in un ambiente di rara suggestione, anche questa nuova realtà è rimasta legata al nome di Luciano Menegon. A Tramonti di Sopra il filo che lega il presente al passato non solo non si è spezzato, ma si è ulteriormente irrobustito e le vicende che hanno visto protagonista la colonia montana si uniscono indissolubilmente con la storia della Comunità Valdese di un paese di montagna che merita tutta la nostra attenzione.
Dal 1874 è presente a Tramonti di Sopra (in friulano occidentale Vil di Zore) una Comunità Valdese; la formazione di questo nucleo avviene grazie a Gio Batta Facchin Paronello, giovane studente di medicina nell’Università di Padova, a Antonio Menegon, muratore stagionale in terra d’Austria e a Raimondo Mazzeri. Nell’ottobre 1875 il pastore Lissolo raggiunge Tramonti per visitare la Comunità. Questa presenza esacerba gli animi dei valligiani di fede cattolica i quali lanciano sassi contro le abitazioni di Facchin e Mazzeri. Lo stesso pastore è arrestato e tradotto nelle carceri di Spilimbergo. Mazzeri è aggredito e percosso; morirà tempo dopo a causa delle lesioni riportate nell’agguato. Seguono altre minacce e atti intimidatori tanto che Gio Batta Facchin sarà costretto a chiudere la sua scuola, gratuita e serale, frequentata con profitto da una cinquantina di allievi. Il 12 gennaio 1897 viene aperta al culto la piccola chiesa valdese ancora oggi esistente. Negli anni Trenta del secolo scorso la Comunità Valdese conta circa cinquanta fedeli, una cifra che corrisponde al 10% della popolazione di Tramonti di Sopra. Durante il secondo conflitto mondiale alcuni valdesi irrobustiscono le fila della Resistenza e due di loro, Luciano Pradolin e Armando Facchin, cadono durante la lotta partigiana. Estinte fin dalla fine dell’Ottocento le piccole comunità valdesi di Poffabro e Andreis, oggi nella Vil di Zore rimangono una decina di fedeli di culto valdese.
La famiglia Facchin-Paronello in un’immagine d’epoca. Al centro in alto spicca la figura di Gio Batta Facchin Paronello che portò il culto valdese a Tramonti di Sopra. (Cortesia famiglia Manlio Facchin Paronello)
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IL PERSONAGGIO
Lorenzo, il fotografo-globetrotter a caccia di paradisi “Volevo un tramonto invernale sulla Croda Cimoliana, vista dalla forcella della val Montanaia. Sono salito lassù 12 volte, prima di trovare la luce che cercavo. Alla fine la natura mi ha regalato una chicca” di PIERGIORGIO GRIZZO
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iaggiare e raccontare. Tenere un diario, di cronache, chiose e immagini. Un bel modo di passare il tempo. Essere una finestra sul mondo, attraverso le foto digitali, i blog e i social network, per chi, per un motivo o per l’altro, è inchiodato al posto in cui vive. Il sogno di molti sarebbe di farne una professione. O almeno un escamotage per mantenersi in tutto o in parte, per pagarsi l’ostello, la corriera o un biglietto aereo, fintanto che si è in viaggio. Poi alle volte succede che il viaggio non finisce mai. La vita diventa viaggio e il viaggio diventa vita. Anche Lorenzo Santin, ventiseienne di Azzano
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Decimo, può definirsi un cronista di viaggio, sebbene il suo percorso sia stato leggermente diverso. Il suo viaggio nel mondo dei viaggi è iniziato grazie alla fotografia, una passione nata circa otto anni fa, che ha trovato da subito nella natura e nei paesaggi una sorgente di ispirazioni. È stata la fotografia la molla che lo ha spinto a mettersi in moto. A ritrovarsi, oltre che fotografo, anche escursionista, trekker e poi viaggiatore a tutto tondo. L’avventura è iniziata tra le montagne di casa, tra il Piancavallo, il Pramaggiore e la Val Montanaia. Prima una notte passata in prossimità di una casera, per ammirare il cielo notturno, distante dalle luci e dai riverberi del mondo urbanizzato. Poi escursioni più lunghe, mini viaggi di tre o cinque giorni, tra vallate, forcelle e bivacchi, con lo zaino pieno di ottiche e grandangoli, a caccia di albe e tramonti, delle notti più terse per immortalare la Via Lattea o aspettando su qualche cengia o qualche pianoro la fatidica Ora Blu, il momento magico poco dopo il tramonto o poco prima dell’alba in cui tutto il mondo assume in toto questo colore. Il fotografo naturalista è anche un esploratore. Girovaga in lungo e in largo in cerca di Muse, tentando di immaginare il potenziale di una certa scena,
fotografando con la fantasia prima che con l’obbiettivo e intuendo quale possa essere il momento migliore per catturare un certo scatto. La luce bassa, il cielo terso, i larici gialli. È come trovare un accordo, una formula magica, una combinazione. Perché tutte le variabili e tutte le condizioni si incrociano in maniera ottimale solo pochi giorni – o forse pochi istanti – in un anno. La natura non è statica. Evolve con tempi che sembrano eterni e che invece sono rapidissimi. Ombre e luci si inseguono e si accavallano e ogni giorno è diverso dal precedente e dal successivo. Le foto fatte con il cavalletto richiedono intuito, fortuna e fatica. “Ho inseguito alcune foto per mesi – racconta – una addirittura per un anno. Volevo un tramonto invernale sulla Croda Cimoliana, vista dalla forcella della val Montanaia. Sono salito lassù 12 volte, prima di trovare la luce che cercavo. Alla fine la natura mi ha regalato una chicca. Nella foto ha fatto capolino anche un passero, che ha impreziosito ancora di più la scena”. Altre istantanee memorabili le ha realizzate dal Col Cornier. “È un belvedere fantastico, uno dei miei preferiti. In alcuni fortunati giorni dell’anno si possono cogliere foto eccezionali spaziando a 360 gradi fino a Venezia, a Monfalcone, ai
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monti sloveni, al Cansiglio e alle dolomiti”. Tra ottobre e novembre del 2015 Lorenzo ha accompagnato Danilo Callegari in Tanzania, raccontando con i suoi scatti l’ultima impresa estrema dell’ultra sportivo pordenonese. Dalla traversata a nuoto del braccio di Oceano Indiano, che divide Zanzibar alla terraferma, alle 27 maratone in 27 giorni nella savana, fino all’ascesa al Kilimangiaro. Poi, a febbraio, è partito da Azzano Decimo su un vecchio furgone Volkswagen diretto verso il Grande Nord, come il protagonista di Into the Wild, libro e film icone dei moderni viaggiatori. 4000 chilometri di autostrade, fino al 65esimo parallelo, la soglia del circolo polare artico, oltre il quale inizia il mondo delle aurore boreali, il suo vero obbiettivo. Lorenzo si è spinto fino alle isole Lofoten, scogli norvegesi nel mezzo del Mare del Nord, paradisi di luce, fiordi e montagne. Ora sta per iniziare la sua prossima avventura. Sempre in solitaria ed in totale autonomia. “Voglio percorrere
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l’intero Sentiero Italia, un’insieme di sentieri e alte vie che cuce assieme la Penisola e le due isole maggiori”. 6000 chilometri complessivi, tra l’arco alpino, gli Appennini e i rilievi di Sicilia e Sardegna. “Partirò verso il 20 di giugno da casa, ma l’attacco del sentiero sarà dalla Sardegna, perché sulle Alpi c’è ancora troppa neve. L’arrivo quindi sarà in Friuli. Viaggerò comodo e senza pesi superflui. Ho deciso di lasciare a casa la tenda e anche la macchina fotografica. Il reportage del viaggio sarà affidato al mio smartphone, con il quale cercherò di tenere aggiornate la mia pagina facebook e instagram”. Un viaggio di 6000 chilometri lungo un itinerario che è più un progetto disegnato sulla carta che altro. Se dovesse riuscire a completarlo (tempo stimato 4 mesi) il fotografo azzanese sarebbe probabilmente il primo ad averlo percorso per intero. L’arrivo è previsto per fine ottobre, quando le montagne di casa sono una bomboniera, con i larici che esplodono di giallo, il verde brillante degli abeti e il ramato dei faggi.
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AMBIENTE
Quando canta il gallo forcello
Già dalle prime luci dell’alba o nelle ore che precedono il tramonto nella piana del Cavallo si può udire netto il canto di questo gallo dal piumaggio simile a una lucente livrea testi e foto di FERDI TERRAZZANI
Il
gallo forcello o fagiano di monte in tutto l’arco alpino è considerato una vera e propria icona. Nella sua lucente livrea viene rappresentato in quadri o fotografie appese alle pareti nei locali tipici di montagna. Osservarlo nel suo territorio è però tutt’altra cosa vista l’indole estremamente sfuggente. L’aspetto di questo imponente uccello della famiglia dei tetraonidi presenta un evidente dimorfismo sessuale: il maschio ha la livrea nero azzurro scuro, con ali bianche e la maestosa coda bianca a forma di lira che viene opportunamente sfoggiata durante la stagione degli amori per catturare l’attenzione delle femmine. Caratteristiche del maschio sono anche le due caruncole rosso vivo alla base del becco. La femmina ha un piumaggio bruno, molto più discreto, uno stratagemma che la natura gli ha riservato per mimetizzarsi e proteggersi durante il periodo di cova. Normalmente nel nostro territorio alpino vive in boschi misti dotati quasi sempre di sottobosco. L’habitat ideale per il Forcello è il limite della foresta tra i 1600 e i 2000 metri di quota dove tra le conifere ormai rade spuntano i rododendri e le piante di mirtillo. Nel periodo estivo il Forcello predilige sostare nei versanti protetti dal sole, mentre in inverno quando la neve ricopre i pendii scava cavità immerso nelle quali, appiattito, cerca rifugio dal
gelo. L’alimentazione del tetraonide varia nelle stagioni: nel periodo primaverile estivo si nutre con bacche, erbe, foglie di varie piante in inverno quando gli arbusti sono indisponibili cerca negli aghi di pino, nelle bacche del Sorbo dell’uccellatore e Ontano la sussistenza. Sul finire del mese di aprile, quando il manto nevoso scopre i pendii inizia il periodo “magico” per i Forcelli. I maschi si riuniscono nelle arene dove mettono in mostra le loro virtù. Gli “anfiteatri amorosi” sono quasi sempre luoghi pianeggianti, privi di vegetazione dove attraverso canti, gorgoglii, saltelli, balletti, voli acrobatici e ostentazioni di piumaggio cercano di propiziarsi le attenzioni delle femmine. Quest’ultime restano attente e interessate ai bordi delle arene pronte ad accaparrarsi il maschio più adatto per trasmettere i geni migliori. Le arene sono teatro di cruenti scontri, quasi sempre rituali ma che in casi estremi possono causare al duellante soccombente profonde ferite e la conseguente morte. Già dalle prime luci dell’alba o nelle ore che precedono il tramonto nella piana del Cavallo si può udire netto il canto di questo straordinario gallo che come un dolce sussurro fa vibrare l’aria ancora gelida segno della ormai prossima bella stagione. Il territorio del Cavallo e Alpago rappresenta uno dei rifugi di una specie storicamente molto diffusa in tutto il continente. 47
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BENESSERE
“Il toccasana” di un bagno nella natura “Migliaia di persone stanche, stressate e fin troppo civilizzate, stanno cominciando a capire che andare in montagna è tornare a casa e che la natura incontaminata non è un lusso ma una necessità”. L’ha scritto John Muir detto “John of the Mountains”, botanico, scrittore e filosofo ambientale (1838-1914); lo conferma l’esperta di benessere Anna Del Pup di SABINA TOMAT
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ai come in questi ultimi anni di crisi dell’economia e della società si è sentita una così grande esigenza di ritorno alla natura. C’è chi lo intende come un liberarsi del superfluo e vivere in “sana” povertà, chi compie scelte alimentari alternative, chi lascia a casa l’automobile e rispolvera la bicicletta, chi vende l’appartamento in città per andare a vivere nella vecchia casa dei nonni in montagna. Ognuno a proprio modo, siamo tutti coinvolti in una piccola grande rivoluzione che vede la Natura come speranza di salvezza per il corpo e l’anima. La Natura infatti non è solamente un bel paesaggio da condividere su Instagram. La Natura è tutto intorno a noi, la Natura siamo noi e nostro dovere (e diritto) è riprendere il contatto con gli elementi che, da sempre, sono per noi la maggiore fonte di energia. E, dato che la vita è energia, è proprio dagli elementi naturali che possiamo partire per risvegliare e rigenerare i nostri sensi sempre più contaminati e oscurati da pensieri negativi, manie, fobie, dipendenze di vario genere. Le nostre montagne, cosi vicine e sorprendentemente ricche di varietà animali, vegetali e minerali, possono essere un’ottima occasione per avviare quel processo di rinnovamento e rinascita di cui tutti necessitiamo. Ne parliamo con la Dottoressa Anna Del Pup, titolare dell’omonima Sanitaria a Pordenone, esperta di benessere e fondatrice dell’Associazione Avellana. Dottoressa, in quale modo la montagna può aiutarci a riequilibrare il corpo e lo spirito? “La montagna rappresenta la sintesi degli elementi naturali aria, terra ed acqua che certamente possono aiutare il nostro benessere psicofisico. Pensiamo al piacere di una passeggiata un po’ faticosa che, oltre all’attività muscolare, impone
ampi respiri che ossigenano più profondamente i polmoni che, nella respirazione corta quotidiana, non vengono sufficientemente dilatati. L’aria di montagna è più ricca di ossigeno, di oligoelementi e olii essenziali rilasciati da fiori e alberi, ad esempio dalle conifere ricche di resine. Camminare sotto gli alberi consente un vero e proprio aerosol di particelle invisibili ad azione disinfettante, balsamica, immunomodulante e stimolante del sistema nervoso centrale”. Anche a livello visivo una passeggiata nel bosco è molto piacevole. “L’osservazione dell’ambiente circostante è estremamente rilassante. Non serve essere degli esperti di botanica per trarre beneficio dalla brillantezza e varietà dei colori, dai particolari delle piante e dalle forme delle pietre”. Visto che parliamo di sensi, anche il tatto è importante. “Il contatto dei piedi, ma soprattutto delle mani con l’erba, il muschio, le rocce e il terriccio consente un incontro tangibile con la Terra e una sorta di riavvicinamento spirituale alle nostre origini. Tutto ciò pacifica i pensieri e distrae da preoccupazioni e stress. La montagna, se siamo dei sedentari, è salutare anche da sdraiati sull’erba, accanto ad un fresco ruscello”. Se poi ci aggiungiamo un bel cestino pic-nic pieno di cose buone da condividere con gli amici o con la famiglia, ecco che la giornata sarà sicuramente rigenerante! MANIFESTAZIONE DI CARATTERE OLISTICO CHE SI TIENE OGNI ANNO IN GIUGNO A FRISANCO ALLO SCOPO DI DIVULGARE E PROMUOVERE LA RICONCILIAZIONE CON LA NATURA E IL BENESSERE PSICOFISICO
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SOTTO LA LENTE
Arnica Montana Piancavallo
Un sogno che infiamma Intervista ad Antonio Conzato, agricoltore pioniere a Piancavallo, fondatore di ARMO 1191_Arnica Montana Piancavallo A CURA DELLA REDAZIONE
Il
pordenonese Antonio Conzato, viticoltore di Roveredo in Piano, insieme alla sua famiglia, ha avviato da qualche anno un ambizioso progetto di coltivare a Piancavallo l’arnica montana, pianta officinale molto nota e utilizzata per le sue proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Perché ha scelto Piancavallo? Sono cresciuto ammirando ogni giorno l’imponente muraglia prealpina di cui conosco ogni dettaglio. Amo le nostre montagne, sono lo sfondo irrinunciabile della mia esistenza. Mi basta guardarle per sapere che ore sono, che tempo farà o, a spasso per la pianura friulana, dove mi
Antonio Conzato e Andrea Muner
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trovo. Quando tornavo a casa dopo qualche escursione, avvertivo sempre la sgradevole sensazione di essere stato in montagna a trascorrere del tempo libero. Volevo che la montagna fosse parte della mia vita. E volevo appartenere alla montagna. Per questo ho voluto insediare la nostra coltivazione assieme agli animali selvatici e alle greggi tra i pascoli, al limitare dei boschi di faggio. Siamo a tutti gli effetti dei pionieri a due passi da casa. Qui a Piancavallo non ci sono terreni dissodati, è difficile anche trovare la terra. Non c’è tradizione di agricoltura. Ho anche dato un nome al luogo dove ci troviamo. ARMO 1191. Alcuni prodotti Armo Cosa vuol dire? ARMO è un acronimo, vuol dire Arnica Montana. 1191 è la quota dell’aiuola pilota che ho dissodato personalmente a colpi di piccone sul monte Caseratte. Ci troviamo a due passi dalla casera Del Medico ai bordi del sentiero che scende verso la Madonna del Monte. Come impiegate poi la vostra arnica? Il mondo dei cosmetici e dei prodotti erboristici è soffocato da un marketing e da una pubblicità invadenti. Noi siamo dei coltivatori. L’arnica montana è una pianta poliennale che trapiantiamo tra la fine di maggio e l’inizio di giugno. Raccogliamo a mano gli inconfondibili fiori giallo aranciati nel giusto tempo balsamico che vengono essiccati in un fienile
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a temperatura ambiente. Grazie all’aiuto di un noto e apprezzato trasformatore professionale, abbiamo creato una linea cosmetica secondo le nostre indicazioni. Noi, gli agricoltori, siamo i registi della filiera. Protagonista invece è l’arnica montana coltivata nel nostro territorio, come è giusto che sia e non le false promesse di natura. Devo dire con orgoglio che il risultato si sente. Sono contento che si sia unito al nostro progetto il mio giovane cognato Andrea Muner, ex capitano del PIENNE Basket Pordenone e tuttora cestista in attività. Non si tratta solo di una moda, i giovani oggi hanno davvero il gusto per i valori genuini della terra. Ma c’è un altro aspetto che riteniamo ancora più importante… Quale? La maggior parte dell’arnica montana presente sui mercati delle piante officinali proviene da raccolta spontanea. Questa pratica, assieme ai mutamenti climatici e all’agricoltura intensiva, sta minacciando l’esistenza stessa della specie in molte aree. In Italia mancano dati certi, ma posso assicurare che ho personalmente constatato i danni prodotti dal prelievo incontrollato e indiscriminato. Dunque, scegliere un prodotto a base di arnica montana coltivata dall’uomo è un impegno per la salvaguardia dell’ambiente naturale. Per saperne di più: www.armo1191.it e www.facebook.com/ARMO1191
MERAVIGLIE NATURALI
Grotte Verdi,
lo smeraldo della Val Cosa La Valcellina è la più nota delle valli pordenonesi. Ma poco distante la natura custodisce altri tesori nascosti, come l’ambito del torrente Cosa in comune di Clauzetto, con le Grotte Verdi di Pradis di GIULIO FERRETTI
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olendo illustrare e descrivere quanto di interessante si può trovare in comune di Clauzetto, andrebbe ricordato il sottotitolo di un libretto sulla val d’Arzino e l’altopiano di Pradis, da poco pubblicato a cura di un gruppo di Pordenone e di Trieste, con il sostegno dell’amministrazione comunale di Vito d’Asio: “I tesori nascosti”. Che vale anche per quelli del territorio di Clauzetto, ancora non sufficientemente conosciuti dai più. In provincia di Pordenone, l’itinerario principale dei turisti che si recano in montagna risulta la Valcellina, la più vasta, con le emergenze ambientali più spettacolari che rientrano nel Parco delle Dolomiti friulane. Ma anche le altre valli del Friuli occidentale non mancano di possedere tesori ambientali, però nascosti. Non in val Tramontina o Meduna, che attrae abbastanza gente nelle stagioni più calde e che presenta il grande lago artificiale e altri due un po’ più nascosti. Qui però si vuol descrivere una vallata molto più piccola, quella del torrente Cosa, che nasce nella frazione di Pradis di sotto di Clauzetto e che sfocia nel Tagliamento, poco a valle di Spilimbergo, nella riva destra, in località Cosa, appunto, in comune di San Giorgio alla
Richinvelda. Il nome della frazione, dove nasce il torrente Cosa, è maggiormente conosciuto per il fatto che, da lì, si attinge l’acqua minerale che prende il nome Pradis e che è imbottigliata in loco in un piccolo stabilimento. Per raggiungere il comune di Clauzetto vi sono varie possibilità. La prima risulta quella che da Travesio e Castelnuovo permette di raggiungere il centro abitato. La seconda è quella in costa, da Vito d’Asio e anche questa porta direttamente al centro abitato. La terza si trova nella parte opposta del territorio e consiste nel deviare nella riva destra del lago di Tramonti, detto anche di Redona percorrendo, la strada che porta a Campone e proseguendo fino a Pradis di Sotto. Un ultimo itinerario stradale, per raggiungere il territorio di Clauzetto e, in particolare la frazione di Pradis di Sopra è quello che parte dalla vallata della val d’Arzino e in particolare da Pielungo, frazione di Vito D’Asio. Alla fine di questi percorsi si arriva proprio alle maggiori emergenze ambientali che caratterizzano quel particolare territorio, anche se in parte
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nascoste e sconosciute ai più. Arrivando dal primo itinerario, dopo aver attraversato l’abitato di Clauzetto e seguendo la cartellonistica per arrivare alle Grotte Verdi, a metà percorso, sulla sinistra della strada, è osservabile un monumentale albero di castagno, ultracentenario. Arrivando da Campone val la pena di affacciarsi all’alto ponte che attraversa il torrente Cosa dal quale si può iniziare a osservare la profonda forra del torrente, poco a valle della sua sorgente. Arrivando a Clauzetto da Vito d’Asio e in particolare dalla frazione Anduins, si arriva alla chiesa di Clauzetto con la grande scalinata. Con l’ultimo itinerario, quello da Pielungo, si arriva nella piccola sella che fa da spartiacque tra gli affluenti del Cosa e dell’Arzino; poco distante si trova il cimitero di guerra della prima guerra mondiale. Per apprezzare tutto ciò che si può osservare nella pur piccola valle del Cosa, nella sua parte montana, val la pena di procurarsi un mappa Tobacco per seguire i vari sentieri e il libretto “L’acqua e la memoria”, opera di un gruppo di appassionati di quel territorio che illustra la val d’Arzino e la zona di Pradis. È stato un quartetto di appassionati a produrlo: Lorenzo Cardin, Tiziana Melloni, Maurizio Pertegato ed Eleonora Crupi ed è stato stampato dalle Edizioni dallo Studio Associato Comunicare di Pordenone. Nel quasi centinaio di pagine, con molte illustrazioni a colori, gli autori si sono soffermati nel descrivere le principali emergenze del territorio e anche della piccola valle del Cosa, nella sua parte più alta e sulle principali storie e personaggi locali. Nell’attuale centenario in corso dello svolgimento della prima guerra mondiale, in Italia (1915-18), nel libretto si trova la descrizione della battaglia di Pradis, combattuta il 5 e 6 novembre del 1917, tra soldati italiani e tedeschi, a seguito degli eventi di Caporetto e la conseguente veloce avanzata degli austro – tedeschi. La battaglia fu una delle due più importanti avvenute nelle montagne del Friuli occidentale. L’altra ha avuto come scenario la forcella Clautana, è stata curata dall’ex sindaco di Clauzetto, Cescutti, che ha studiato a fondo l’argomento. I corpi dei 200 caduti, di ambedue schieramenti della battaglia di Pradis, sono stati raccolti nel cimitero di guerra che si trova vicino nella piccola sella che fa da spartiacque tra il bacino del torrente Cosa e quello del fiume Arzino. Riguardo alla storia degli insediamenti antichi nell’alta valle del Cosa, quello più importante e segnalato, risulta quello del Riparo Preistorico, poco distante dal sito delle Grotte Verdi di Pradis di sotto. Quel modesto antro è facilmente raggiungibile per mezzo di un breve sentiero. Quel riparo era abitato da popolazioni prealpine dedite prevalentemente alla caccia, testimoniato dai resti trovati nel riparo. Materiali che, insieme ad altri recuperati nel territorio circostante, sono stati 54
raccolti nel museo che si trova presso l’abitato di Pradis di sotto. Ma l’emergenza principale della vallata di Pradis risulta sicuramente l’ambito delle Grotte Verdi. Luogo facilmente raggiungibile grazie al parcheggio che si trova poco distante. Quella parte del territorio, che si trova nella riva sinistra del torrente Cosa, si caratterizza in due parti distinte. Nella parte alta, vicino all’ingresso, si trova la grotta vera e propria, abbastanza ampia. La seconda si raggiunge dalla zona della grotta, con una lunga scalinata che permette di arrivare alla riva del torrente, che scorre in quel luogo in una profonda e spettacolare forra, percorribile in parte con percorsi pedonali in sicurezza. Da segnalare poi che, nei pressi delle grotte, è attivo un esercizio di ristorazione che è in grado anche di dare informazioni sull’attività di Canyoning nella zona. L’evento storico più conosciuto riguardo la particolare geologia della zona è stata la frana che, il 21 marzo 1914 si rovesciò sopra alcune case ed era stata documentata anche sulla copertina della Domenica del Corriere. Ma le frane a Clauzetto non sono rare e la più grande e storica si trova in località Masarach. Nel visitare il territorio di Clauzetto e in particolare la conca tra Pradis di sotto e Pradis di sopra, si consiglia di partire dall’abitato principale, per poi seguire la strada più bassa, deviando verso sinistra e percorrendola in senso orario. Dopo aver visitato i luoghi precedentemente descritti, val la pena, dopo aver imboccato la strada di ritorno, di fermarsi presso la latteria di Pradis di sopra, dove si producono diversi latticini di qualità. Le produzioni simili si trovano anche più avanti, a Orton, da Girani. Sempre partendo da quella località, si potrebbe, girando a sinistra, prendere la strada che porta in cima la monte Pala (1331 m), dalla quale è possibile ammirare il paesaggio fino al corso del fiume Tagliamento. In cima al Pala è stata sistemata una malga ma, chi vuol raggiungerla, si sconsiglia a chi a un’auto normale, perché l’ultimo tratto di strada risulta difficile. Meglio percorrere la strada fino a metà percorso, per poi proseguire a piedi, ne guadagnerà la salute. Anche l’abitato di Clauzetto, merita una sosta, in particolare per le sue caratteristiche di spalto verso la pianura. Chi poi ha piacere di effettuare una breve escursione, la può fare proseguendo la strada che scende verso la pianura per un tratto. Sul luogo ci si può informare da dove parte il sentiero che porta al laghetto artificiale del Tul e dalla sua riva si può risalire il torrente per esplorare la parte finale della forra del Cosa. Tornando verso Castelnuovo, si passa di fronte alla diga che sbarra il Cosa, per formare il lago del Tul, creato per produrre energia elettrica. La diga è stata realizzata nel luogo dove, nel passato, era attivo un mulino. Per questo il locale che si trova nel pressi prende il nome in friulano “ai Mulinars”.
L’INIZIATIVA
Piancavallo totaldog 2016, quattro zampe sul red carpet Oltre cento razze, per un totale di cinquecento cani, si daranno appuntamento domenica 17 luglio a Piancavallo in una vera e propria sfilata con prove di tipicità e obbedienza. Prevista anche la marcia a sei zampe che tanto successo ha riscosso nella prima edizione testi e foto di FERDI TERRAZZANI
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iancavallo dopo i risultati e i consensi ottenuti all’esordio della esposizione canina nella passata stagione si appresta il 17 luglio a riformulare l’evento. Ancora una giornata di “totaldog”, attesa da molti, da vivere con l’inseparabile e fedele amico sulla piana a contatto della natura. Un cartellone ricco di proposte prevede la presenza di oltre cinquecento cani che si sottoporranno alle prove di tipicità, obbedienza sotto gli occhi degli “implacabili” giudici. Sarà possibile ammirare da vicino soggetti di oltre 100 razze canine: dai minuscoli toy ai potenti molossoidi. Al Palasport e al Paladue sfileranno sul “red carpet” per l’intera giornata soggetti a pelo raso, dal folto mantello, orecchie corte e lunghe, come vere star di un defilé seguito da diverse centinaia di appassionati. Seguitissimo sarà il backstage, un dietro le quinte che precede la sfilata vera e propria, dove i proprietari dei soggetti in mostra si impegneranno a preparare al meglio i loro “campioni” con complessi rituali di maquillage, toilettatura, pettinatura e stripping. Per le prove di bellezza in palio il prestigiosissimo CAC che altro non è che il passaporto per diventare campione italiano di
razza. Seguitissime come sempre saranno le prove di lavoro riservate alle razze canine di utilità che si svolgeranno nel campo delle Roncjade. I riconoscimenti saranno consegnati a quei soggetti che alla fine del percorso avranno dimostrato di saper interagire al meglio con il conduttore per carattere e attitudine. Presenza record prevista anche per l’ormai imperdibile marcia a sei zampe. Per mantenersi in forma niente di meglio che una salutare camminata sulla piana senza l’assillo del tempo cronometrico in compagnia dell’inseparabile bau-bau. I binomi si incammineranno di buon mattino attraverso i tre percorsi di: 6,12 e 20 chilometri che la Cooperativa Piancavallo 1265 ha appositamente allestito. Tutte le tipologie di cani con i loro padroni possono partecipare a questa singolare marcia che anno dopo anno recluta sempre nuovi sostenitori. Lungo il percorso non mancheranno le consuete soste di ristoro per tutti. Il tracciato porterà i binomi attraverso i lussureggianti sentieri forestali che conducono agli storici alpeggi il tutto all’insegna del divertimento e del rispetto della natura. Nell’attesa dell’evento un bau bau a tutti!
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L’EVENTO
Largo ai funamboli degli sci d’alta quota Colpaccio per Piancavallo che si è aggiudicata per l’inverno 2017 le prove di sprint, le gare di vertical e le staffette di Coppa del Mondo di scialpinismo testi e foto di FERDI TERRAZZANI
S
ulle nevi di Piancavallo una schiera internazionale di campioni ha disputato la Transcavallo Sprint Race valida come penultima tappa del circuito ISMF Skimountaineering World Cup. Doveva essere una festa per i funamboli dello sci d’alta quota nonostante questo strampalato inverno avesse tentato di mettersi di traverso è così e stato. Le cime e i pendii del comprensorio del Cavallo a poche ore dal via, grazie ad una provvidenziale perturbazione nevosa, hanno assunto il sospirato aspetto invernale, ricordando a tutti gli agonisti di apprestare gli sci e le pelli di foca per prepararsi alla sfida. Ancora una volta il polo turistico di Piancavallo si è trovato per merito al centro dell’attenzione mondiale e ad applaudire i virtuosismi dei protagonisti del circo bianco è arrivato anche il pubblico delle grandi occasioni. Dallo spettacolare anfiteatro delle “Buse”, posto alla base della partenza di tutti gli impianti sciistici, hanno preso il largo le prove sprint, un mix adrenalinico di destrezza e velocità. La collaborazione di Piancavallo con la Coppa
del Mondo di sci alpinismo è nata dalla volontà di avvicinare i tantissimi sostenitori di questa straordinaria disciplina che anno dopo anno fa incetta di proseliti. Enzo Sima, consigliere nazionale FISE e direttore del polo di Piancavallo per Promoturismo FVG, dopo la positiva esperienza del mondiali di Claut 2011 ha fortemente contribuito a dirottare in questo 2016 la complessa macchina organizzativa sulle nevi di casa. Programmi iridati anche per il 2017, infatti Piancavallo nell’inverno 2017 ospiterà oltre alle prove sprint anche le gare di vertical e le staffette di coppa del mondo, il comitato organizzare sta lavorando per stabilire le date. Questi appuntamenti prestigiosi sono opportunità imperdibili per l’economia turistica del nostro polo sciistico a conferma della ormai conclamata attitudine per gli sport outdoor in Piancavallo. Le prove di Coppa del Mondo hanno avvalorato la profonda collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia e il polo sciistico avianese, un’unione necessaria e fondamentale in vista dei Mondiali del 2017.
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GUSTO
Sapori d’alta quota
In Piancavallo non solo per passeggiare e fare sport: la bella stagione ci invita a scoprire sapori, profumi ed accostamenti inediti con le ricette di punta dei ristoranti locali. Gustosa estate a tutti! di SABINA TOMAT
PACCHERI RIPIENI AL RAGÙ DI RADIC DI MONT E CERVO
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TAVERNA ALL’UROGALLO
Ingredienti per il ragù: 500 gr di polpa di carne di cervo, 3 scalogni, bacche di ginepro, 2 foglie di alloro, 2 bicchieri di vino bianco, sale e pepe. Ingredienti: 500 gr di pasta di grano duro (paccheri), 300 gr di radicchio delle nevi, 1 scalogno, formaggio grana q.b., sale e pepe. Preparazione: soffriggere lo scalogno tritato con le foglie di alloro e le bacche di ginepro e olio d’oliva. Quando lo scalogno è dorato, aggiungere la polpa di cervo macinata, condire con sale e pepe e farla cucinare per 2 ore, aggiungendo man mano il vino. Una volta pronto il ragù, si inizia a preparare la cottura del radicchio delle nevi, già lavato e curato.
Preparare un soffritto di scalogno, aggiungere il radicchio tagliato a tocchettini, condendo con sale e pepe, facendolo cucinare per 20 minuti. Tirare da parte due cucchiai di radicchio già cotto per frullarlo al mixer. Questo servirà per colorare la besciamella di verde. Ora si può procedere alla preparazione del piatto. Far cuocere la pasta (paccheri), scolarli e farli raffreddare. Mescolare il ragù con il radicchio delle nevi cotto e aggiungere del formaggio grana. Preparare una pirofila con uno strato di besciamella sul fondo. Con un cucchiaio riempire dell’impasto di ragù e radicchio i paccheri e disporli nella pirofila. Spolverare con del formaggio grana i paccheri ripieni e far gratinare in forno per 15 minuti. Per una porzione, si possono servire 4 paccheri a testa.
BISCOTTI ALLE ORTICHE SU CREMA DI ZABAIONE AL RAMANDOLO TAVERNA ALL’UROGALLO Ingredienti per biscotti: 500 gr di farina 00, 150 gr di farina di mais, 40 gr di bicarbonato, 250 gr di burro, 250 gr di zucchero, 2 limoni (buccia grattugiata), 1 pizzico di sale, 100 gr di ortiche cotte, 1 pizzico di vaniglia, 4 rossi d’uovo. Ingredienti per zabaione: 4 tuorli d’uovo, 120 gr di zucchero, 2 bicchierini di ramandolo Preparazione: Lessate l’ortica in acqua bollente per 5 minuti. Scolate e togliete più acqua possibile. Passate il tutto il mixer. In una terrina capiente versate le farine, lo zucchero, il burro ammorbidito e tutti gli altri ingredienti. Lavorate bene l’impasto affinché risulti omogeneo, elastico e soffice. Quando l’impasto è pronto, formate dei lunghi rotolini dello spessore di poco più di un dito (come quando si fanno gli gnocchi), tagliateli a pezzettini di 2 centimetri ed disponeteli in una placca di acciaio. Adagiateli dalla parte del taglio e infornate a 170 ° per 12 minuti. Non devono cambiare colore. Potete infornare le placche man mano che li preparate, senza timore di aprire il forno. Per lo zabaione, in una casseruola lavorate i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere un composto bianco e spumoso. Sempre mescolando, aggiungete poco alla volta il ramandolo. Mettete sul fornello e cuocete a bagnomaria, a fiamma molto bassa, continuando a mescolare senza far raggiungere l’ebollizione finché il composto comincia a montare. Ritirate subito. Lo zabaione si serve caldo con i biscotti.
GNOCCO DI MAIS RIPIENO DI ASÍNO CON PITINA SFUMATA ALL’ACETO DI MELE RISTORANTE PIZZERIA EDELWEISS Preparare una consistente polenta gialla e farla intiepidire. Aggiungere della Pitina tagliata molto fine. Con l’aiuto di un cucchiaio da the, farcire la polenta già appallottolata della misura di una pallina da golf con l’asino morbido. Rosolare su burro e salvia. Sfumare della Pitina tagliata a cubetti con l’aceto di mela ed adagiarle su di un piatto per il servizio. Sopra quest’ultime posare il gnocco di mais ben rosolato e decorare a piacere. Edelweiss Piancavallo
DELIZIE BBQ E RELAX NEL VERDE IMPERDIBILI LE PUNTINE DI MAIALE AFFUMICATE IN CASA E LE ABBONDANTI GRIGLIATE DA GUSTARE NELL’AMPIA TERRAZZA DEL RONCJADE. TOMMY E NADIA VI ASPETTANO PER UN’ESTATE IN ALLEGRIA! 59
LA SCUOLA ALBERGHIERA IAL DI AVIANO
“Dalla fattoria alla tavola” Una storia che valorizza i prodotti agroalimentari di nicchia del territorio per promuovere una ristorazione di alto pregio. Creare professionisti della ristorazione per il ben-essere
di FRANCESCO BONI DE NOBILI
La vecchia valigia del cuoco
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Una offerta ristorativa che conosca i prodotti di alta qualità del proprio territorio e li sappia utilizzare, valorizzare e presentare adeguatamente all’ospite, acquisisce una propria, precisa, originale e rilevante identità quale espressione di una storia e di una cultura del territorio e diventa forte motivo di attrazione per i buongustai e il turismo di qualità sia nazionale che internazionale. In questo ambito, la Scuola Alberghiera IAL di Aviano, ha intrapreso un percorso, con il pieno coinvolgimento dei propri studenti, docenti ed esperti, per: a – conoscere, valorizzare e promuovere le produzioni di nicchia e accompagnare e valorizzare le piccole aziende
Foto Ferdi Terrazzani
sistono nella nostra pedemontana numerosi prodotti agroalimentari di nicchia, di grande valore gastronomico, frutto della cultura produttiva e della tradizione ed elaborati nel corso del tempo dalla sapienza delle generazioni. Questa varietà e ricchezza di prodotti è in grado di dar vita a una cucina e a una ristorazione di altissima qualità. Questi prodotti sono spesso conosciuti, apprezzati e ricercati dal consumatore, sempre più attento alla storia ed all’origine dei prodotti – come emerge anche da una recente ricerca dell’IRTEF di Udine, presentata nei giorni scorsi alla Scuola alberghiera IAL di Aviano - ma scarsamente valorizzati da parte del comparto della ristorazione.
Allievi dello IAL Scuola Alberghiera di Aviano, impegnati alla “lampada” in una dimostrazione guidati dal maitre Fabio Pezzella, dal presidente dell’AMIRA Giacomo Rubini, insieme al direttore dello IAL Luciano Moro e al coordinatore del Lewisham College di Londra Goran Milovanovich
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Foto Ferdi Terrazzani
hotel di Venezia e da qui letteralmente in importanti ristoranti e hotel di tutto il mondo. Chi opera nel settore sa che vi sono due zone in Italia con questa caratteristica di vera e propria “terra dei cuochi”: Villa Santa Maria in Provincia di Chieti, paese natale di San Francesco Caracciolo – Patrono dei cuochi – e la Pedemontana Pordenonese. Arrigo Cipriani, patron dello storico e mitico locale Harry’s Bar di Venezia mi ha proposto una spiegazione a questo fenomeno: “questa terra ha un proprio equilibrio tra tre componenti: l’acqua (le sorgenti della Livenza), la pietra (bianca ma non troppo lucente, poco invasiva, utilizzata per costruire le case), il legno degli alberi che non ti sovrasta come in altre zone. Questo equilibrio entra nelle persone, donando una personalità attenta agli altri: per questo ho sempre assunto collaboratori di queste zone e continuo oggi con gli allievi della Scuola Alberghiera di Aviano che, negli ultimi anni, sono i Il tutto per contribuire a formare professionisti del continuatori di questa comparto e migliorare il tradizione”. ben-essere degli ospiti. Il museo della Cucineria Peraltro vi è una di Polcenigo è un continuità storica, testimone di questa storia quasi antropologica ma che è anche presente e che lega il territorio futuro: abbiamo contato, della Pedemontana in questi 33 anni di pordenonese alla cucina attività, almeno 10 exe alla ristorazione allievi stellati Michelin. internazionale. Da questo Ma quello più conta sono territorio, infatti, sono le migliaia di giovani partiti negli ultimi cento cresciuti e diventarti anni, migliaia di ragazzi e La presidente della Regione FVG Debora Serracchiani, visita lo stand dello IAL alla uomini oggi impegnati in ragazze, che si sono fatti Fiera Cucinare assieme al vice - Presidente Bolzonello. Presenti alcuni studenti del questo importante lavoro. onore prima nei grandi Lewisham College di Londra ospiti ad Aviano per una visita di studio Foto Ferdi Terrazzani
produttive locali nel migliorare le proprie produzioni, in particolare nella presentazione all’ospite e sviluppare nel territorio il turismo enogastronomico, coinvolgendo la ristorazione di qualità. b – coinvolgere, parallelamente i professionisti della ristorazione - albergatori, ristoratori, cuochi, pizzaioli, pasticceri, camerieri, maitre, ecc. perché spostino l’acquisto della materia prima, per la loro attività, dai grossisti e dalle multinazionali, alle produzioni di nicchia locali, accorciando, migliorando e qualificando la filiera corta. c – preparare personale, in particolare di servizio, capace di accogliere l’ospite turista, e promuovere i prodotti enogastronomici di nicchia del territorio, creando corretti e produttivi collegamenti fra produttori e utilizzatori, punti vendita e ristoranti.
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SOTTO LA LENTE
La vecchia valigia del cuoco metafora per il futuro Un dibattito alla Fiera Cucinare di Pordenone In questo ambito, sono stati promossi negli ultimi anni, momenti di riflessione e proposta su questi temi. Tra questi, durante l’ultima edizione della Fiera Cucinare di Pordenone, ad esempio, abbiamo raccolto intorno ad una vecchia valigia di cuoco esperti e giovani sia italiani che di una delegazione inglese del Lewisham College di Londra, ospite della scuola, ponendo la domanda: “Cosa mettevano nella loro valigia i cuochi della pedemontana pordenonese, quando giovanissimi partivano per Venezia e da lì in tutto il mondo conquistavano ruoli, professionalità e prestigio unanimemente riconosciuti? Cosa devono mettere nella loro valigia – oggi - i giovani cuochi che si formano ai mestieri della ristorazione e dell’accoglienza in un contesto di lavoro sempre più internazionale e multiculturale? Al centro del dibattito un vero proprio reperto di “antropologia culinaria”: la valigia, completa di tutti gli attrezzi, con la quale lo chef Giovanni Boschian Bailo ha iniziato la sua avventura umana e professionale oltre 50 anni fa, raggiungendo attraverso il Danieli di Venezia, il Gritti e poi numerosi hotel internazionali, prestigiosi riconoscimenti, completando la sua carriera come docente alla Scuola alberghiera IAL di Aviano. Gelosamente custodita in tutti questi anni, Bailo, durante l’incontro ha illustrato le attrezzature utilizzate, ma ha risposto così alla domanda sui giovani: nella valigia mettete il “profumo” di casa vostra e la voglia di imparare! Ho cercato di trasmettere ai giovani la mia esperienza e ho visto che i giovani sono bravi. Un bel messaggio di fiducia davvero necessario gli ha fatto eco Giovanni Fabbro – Presidente della Federazione Cuochi di Pordenone – il
quale ha aggiunto nella valigia mettete molta umiltà e voglia di imparare sempre. Lo chef inglese del Lewisham college Goran Milovanovich, ha posto al centro un tema interessante: non è a suo avviso questione di “tools” ovvero di attrezzi o tecniche ma di “skill” competenze, guidate da una mentalità aperta (“open mind”): aggiungete anche un personal computer nella valigia. Sergio Lucchetta – presidente della FIPE - che ha ospitato l’evento – ha raccomandato lo studio e la conoscenza delle lingue e delle culture, elemento essenziale per potersi porre professionalmente in un contesto internazionale. Gianfranco Bisaro – Presidente di Enopordenone – ha raccomandato di inserire nella valigia la conoscenza dei prodotti del territorio, vero valore aggiunto da condividere e contaminare nelle diverse culture e paesi nei quali andrete e lavorare e poi riportate a casa quello che avrete imparato. L’enogastronomo Giampiero Rorato ha spostato l’attenzione dagli oggetti ai testimoni presenti: “qui avete degli esempi di grandi cuochi della pedemontana pordenonese, famosi in tutto il mondo; veri cuochi che all’Harry’s bar di Venezia hanno inventato piatti come il “carpaccio” o drink come il Bellini. Imparate da loro - ha aggiunto - cuochi che cucinano ben diversi dai presunti divi televisivi che magari non cucinano da anni. Le vere soddisfazioni della professione si hanno anche lontani dai riflettori. Un lucido appello alla dignità della professione. Infatti, citando il maestro Gualtiero Marchesi, possiamo dire che il cuoco è un lavoro che deve diventare un’arte. Speriamo che la nostra formazione riesca a trasmettere almeno una parte di questa etica del lavoro.
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STORIA
Val Colvera, la colonia estiva dei pordenonesi Casa Lorenzon a Poffabro fu dal 1921 al 1929 la colonia estiva dei bambini pordenonesi, che portavano nel fisico i patimenti del primo dopoguerra. Un toccasana fatto di passeggiate alla Fonte Giulia, in Pala Barzana, a Frisanco, al San Lorenzo, nei declivi baciati dal sole del Raut e del Dassa. Ogni mattina ci si lava all’aperto nei catini. Da Frisanco la quotidiana visita del medico condotto di MARIA LUISA GASPARDO AGOSTI
Le
valli pordenonesi, Cellina, Colvera, Tramontina, Cosa, D’Arzino sono mondi da scoprire. Ai piedi dei grandi monti che costituiscono le dolomiti del Friuli Occidentale sono oasi di verde che si estende attorno a fiumi, piccoli laghi, e abitati dall’architettura tutta propria, fatta di pietra e
legno. Grandi ballatoi da cui spesso d’estate debordano coloratissimi gerani. Case raggruppate in un nucleo principale e piccoli borghi, chiese, capitelli, resti di antiche stalle e ricoveri andando verso i monti. Anche nel primo Novecento i piccoli centri delle valli hanno costituito luoghi di soggiorno per chi veniva
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Bambini in colonia a Poffabro nel 1927 (Archivio Gaspardo)
dalla pianura con l’obiettivo di cambiare aria. Certo solo alcuni potevano permetterselo. E così sono sorti alcuni alberghetti ed anche le famiglie ospitavano i villeggianti. Così a Frisanco e in particolare a Poffabro, uno dei Borghi più belli d’Italia abbarbicato ai piedi del Raut. Nel 1923 il comune di Frisanco istituì la tassa di soggiorno. “Il comune per la sua speciale posizione è ritenuto e non a torto, posto di villeggiatura ed infatti nella stagione estiva, quando si fanno maggiormente sentire i rigori del caldo, nei mesi di Giugno, Luglio e Agosto, vengono molti villeggianti. Dovendo per esigenze di Bilancio trovare in tutti i modi delle fonti di risorse per il Comune si crede opportuno applicare la tassa di soggiorno”. I pordenonesi li sappiamo arrivati d’estate negli anni venti, i triestini anche prima, nella seconda metà dell’Ottocento. Poffabro era infatti divenuto famosa località climatica per la presenza della Fonte Giulia, scoperta nel 1892 dal dr. Giulio Cesare. Medico condotto dei comuni di Maniago e Frisanco, aveva poi costituito la “Società dei bagni di Poffabro” ed il “Gabinetto Idrotermale – Fonte Giulia”. Era stato steso anche un grosso progetto dall’architetto friulano Raimondo Da Ronco, per ampliare notevolmente la ricettività. Ma l’ambizioso e valido disegno non andò a buon fine, fondamentalmente per la mancanza di fondi e della Fonte Giulia restò solo il ricordo, in località Taviela. Vi si accede, lasciato il borgo, per una strada in salita che oltrepassato il Cimitero conduce oggi al Monastero di Santa Maria. Molti in ogni caso erano stati gli ospiti saliti fino alla Fonte per curarsi. Arrivavano in 66
carrozza, dopo aver pernottato a Maniago o in qualche altro alberghetto della zona. Un’altra categoria di persone trasse beneficio dall’aria salubre della Val Colvera e di Poffabro in particolare: i bambini di Pordenone in maggior parte, ma anche di Castions, Travesio, Porcia, Zoppola e Fiume Veneto. La Grande guerra aveva indebolito la popolazione, per la scarsità di cibo, per la Spagnola (la grande pandemia che mieté centinaia di migliaia di vittime in tutta Europa dal 1917 al 1920. I fisici dei bambini erano indeboliti, per qualcuno si temeva la tubercolosi. Il rachitismo era diffusissimo. L’ente Pro Infanzia di Pordenone trovò a Poffabro un grande edificio, la bellissima Casa Lorenzon, quattro piani e un sottotetto, interamente costruito in pietra, con ballatoi di legno. La si può ammirare ancora oggi in tutta la sua imponenza sulla destra della via che conduce alla piazza del paese. I fratelli Valentino e Vincenzo Lorenzon l’avevano costruita nel 1900. Poi erano emigrati negli Stati Uniti. La grande famiglia che hanno generato i capostipiti è rimasta legata a quella abitazione, ed ogni anno qualcuno dei Lorenzon rientra a Poffabro per soggiornare nell’abitazione avita. Dal 1921 al 1929 Casa Lorenzon diventa la Colonia dei bambini pordenonesi, con alcuni da altri luoghi nei primi anni. Ogni estate accoglie centinaia di bambini che arrivano tra i monti, magri, affaticati nel camminare, malaticci. Da Pordenone, ma anche dalla stessa Poffabro e da Maniago si provvede agli arredi, al cibo. È tutto un gareggiare tra i commercianti e piccoli imprenditori pordenonesi per
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aiutare i bambini, che dal soggiorno a Poffabro traggono notevoli benefici, come attestato nel Registro presenze conservato a Pordenone presso la Società Operaia. I bimbi vanno a fare soprattutto passeggiate alla Fonte Giulia, in Pala Barzana, a Frisanco, al S. Lorenzo, nei declivi del Raut e del Dassa dove il sole bacia i piccoli. In colonia si fa molta attenzione anche all’igiene. Ogni mattina ci si lava all’aperto nei catini. Da Frisanco la quotidiana visita del medico condotto. Dal 1930, troppo piccola diventa Casa Lorenzon e ci si sposta a Pradibosco, in Val Pesarina. Di quel soggiorno a Poffabro sono rimasti materiali d’archivio e alcune foto. Anche oggi Poffabro, Frisanco, Casasola, Pian delle Merie sono luoghi ameni per splendide passeggiate. La ricezione alberghiera si è notevolmente ampliata anche con Bed and Breakfast. Si organizzano feste, celeberrime “Paesi aperti” la prima domenica di settembre in tutta la valle e “Poffabro presepe tra i presepi”, ma anche il ferragosto a Frisanco e il teatro di strada, la festa del patrono S. Liberale e quella della
zucca e delle castagne a Poffabro. Si tengono concerti in piazzetta Marizza, mostre un po’ dovunque. Anche mostre stabili come quelle presso l’ex latteria a Poffabro, uno dei centri delle Dolomiti occidentali e “Da lis man di Carlin” a Frisanco. Ciclicamente Frisanco ospita la festa delle mele antiche, con lo scopo di salvaguardare i meleti autoctoni. Ci sono associazioni di volontari che animano le feste, l’associazione Scarpet, Il Borgo. E tanto altro ancora. Frisanco è dotata di uno spazio per tende e roulotte. Centro e borgate offrono ampi parcheggi. Suggeriamo di raggiungere la Val Colvera per vivere una giornata a contatto con la natura, o di andarci in una delle tante manifestazioni sparse durante l’anno. Se qualcuno vuole allontanarsi dal caldo afoso cittadino può scegliere di trascorrervi una settimana. Troverà sempre aria e luce, “acqua pura, l’ombra dei boschi, il ricamo delle felci, il roseo delicato dei crocus ed il profumo dei ciclamini”, come li trovarono i bambini pordenonesi nel primo dopoguerra.
Bambini in colonia a Poffabro nel 1926 (Archivio Gaspardo)
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Per le scuole... Settimane o giornate “Neve” a Piancavallo
Proloco Piancavallo, fiocco rosa all’ombra di Cima Manera Da una costola della Pro Aviano è nata la nuova associazione con l’obiettivo ricreare lo spirito di aggregazione e armonia della Magnifica Comunità degli anni ’70-’80 di MICHELA ZIN
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iancavallo ha una nuova associazione. È la Pro Loco di Piancavallo nata solo da qualche mese come sezione staccata della Pro Loco Aviano. A dar vita al nuovo sodalizio sono stati Angelo e Giulio Veronese padre e figlio di Paese in provincia di Treviso. Ci facciamo raccontare la loro storia, la loro idea, i progetti futuri. «L’idea di creare un nuovo organismo in Piancavallo è venuta a me – spiega Giulio, classe 1973 - poco più di un anno fa quando sono venuto a conoscenza che un mio carissimo amico dell’infanzia trascorsa in Piancavallo, Italo Tizianel, era diventato presidente della Scuola sci Aviano Piancavallo. Oltre a questo, avevo appreso che in Piancavallo si era costituita una cooperativa di imprenditori del luogo. Grazie a questi due eventi ho capito che, finalmente, in Piancavallo ci sarebbero stati i presupposti per iniziare una nuova esperienza. È stato così che ho proposto a mio papà, ex presidente della Pro
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Loco di Paese e del mandamento di 11 comuni di Treviso, di riattivarsi nel volontariato per dar luogo al progetto di creare una Pro Loco in Piancavallo». «La necessità che sentivamo entrambi – aggiunge il padre Angelo - era ed è quella di far tornare il Piancavallo, quello che conoscevamo un tempo, con tutte le strutture ricettive che aveva, di migliorare l’ambiente e il territorio, di ricreare quel sostrato sociale venuto meno forse a causa del ricambio generazionale, di rivalorizzare il territorio e gli immobili, di permettere ai nostri figli e nipoti di vivere quello che noi avevamo vissuto. In Piancavallo, non si può dire che manchino le strutture anche se a nostro avviso andrebbero mantenute in condizioni più decorose. La fatiscenza di alcuni immobili e degli ambienti non gioca certamente a favore della località. Manca a volte il calore, l’accoglienza nei confronti dell’utente, il personale operativo per garantire a chi soggiorna di non annoiarsi. Manca anche una pubblicità massiva delle diverse
Foto Ferdi Terrazzani
NOVITÀ
Foto Ferdi Terrazzani
lavorare di concerto manifestazioni che per perseguire un vengono già fatte unico obiettivo: ma che troppo pochi Piancavallo. In conoscono». secondo luogo, «L’idea di creare una collaboreremo sezione della Pro Loco fattivamente – riprende Giulio - è implementando stata frutto di incontri la manifestazione con le varie persone di apertura della del luogo. Come stagione estiva del 26 detto hanno avuto giugno “Memorial un ruolo importante Gigi Rizzo” e assolutamente organizzata dalla Pro insostituibile Italo La riunione della neonata Pro loco Piancavallo e un articolo sulle iniziative della MCP Loco Aviano, dall’ Tizianel ma pure Claudio Pasqualin, gestore di Nevelandia ex direttore della Associazione “La Sompradese” e dalla famiglia Rizzo, che vorremmo diventasse, tra le altre, un fiore all’occhiello Scuola Sci, persona omnipresente nel territorio, senza della località. le quali non saremmo partiti nell’iniziativa. Entrambi Avvalendoci dell’ausilio del Comune, della Pro Loco hanno creduto senz’ombra di riserve in noi e in quello Aviano, dei gestori e di quanti vorranno aiutarci, che Piancavallo può ritornare a essere. Il primo passo vorremmo dare spazio all’artigianato locale e far emergere che abbiamo fatto è stato contattare quante più persone le prelibatezze proprie del nostro territorio». potevamo per coinvolgerle nell’intento, grazie alle diverse Guardando più a lungo termine la neocostituita proloco, conoscenze nostre, di Italo e di Claudio. La maggior punta alla nascita del mercatino di Natale in Piancavallo parte delle persone che hanno risposto all’appello sono che potrebbe essere impreziosito dalla meravigliosa proprietari di immobili in Piancavallo. Subito dopo mostra dei Presepi, che già si svolge nei mesi di dicembre abbiamo cominciato a riunirli e a manifestare loro il e gennaio, allestita dai volontari della Pro Loco Aviano. nostro progetto riscuotendo immediato successo. Così, E per assicurare continuità, si vorrebbe migliorare ciò abbiamo chiesto conforto al Presidente della Pro Loco che già c’è magari pubblicizzandolo in modo massivo Aviano Ilario De Marco Zompit e all’assessore comunale nel territorio, offrendo questa nuova forza alle entità che CarloTassan Viol. Il rapporto con loro si è spinto oltre già fanno tanto per il Piancavallo. E solo quando tutte ogni più rosea aspettativa». le manifestazioni saranno La Pro Loco Aviano organizza operative in modo ineccepibile in Piancavallo ormai da anni, pensano a dedicarsi a nuove il “Memorial Gigi Rizzo” iniziative. (l’ultima domenica di giugno), «Per noi Piancavallo è un pozzo “La Sardellata” e l’edizione senza fondo di possibilità, speciale “AnticaMente” (la credeteci! – rispondono penultima domenica di all’unisono i Veronese agosto), l’esposizione presepiale basterebbe solo che tutti nei mesi di dicembre e gennaio si unissero per renderlo e il falò con la befana il 5 irrinunciabile. Come abbiamo gennaio. detto, manca a Piancavallo La neonata sezione di una sana e disinteressata Piancavallo può contare, ad cooperazione tra soggetti oggi, su oltre 20 iscritti che e manca decisamente la altro non sono che il neo diffusione delle iniziative e gruppo “dirigente”. delle manifestazioni. Speriamo «I primi due impegni ufficiali di essere in grado di apportare della nostra associazione – il nostro contributo per spiega Giulio - sono anzitutto perseguire questo obiettivo». riunire sotto la spinta Non resta che attendere e armoniosa della Pro Loco augurare loro di raccogliere quante più possibili realtà l’eredità della memorabile siano esse pubbliche o private, Magnifica Comunità di proprietari o imprenditori, Piancavallo. nella speranza di poterle far
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SOTTO LA LENTE
“Io sono della M.C.P.” La testimonianza diretta sull’esperienza della Magnifica Comunità di Ennia Darbo Zin, che dell’associazione fu segretaria fino al 1987 Era il 1970 quando grazie a Redento Toffoli, nacque la Magnifica Comunità di Piancavallo. L’idea arrivò dall’omonima organizzazione cadorina (ancor’oggi molto attiva) immaginando proprio di mettere insieme gli allora pochi villeggianti per condividere le molte ore di vacanza, far divertire i propri figli e attrarre sempre più ospiti nell’allora “giovane montagna pordenonese”. Creare insomma quel senso di comunità che inevitabilmente mancava a un paese senza abitanti. Memoria storica della Magnifica Comunità di Piancavallo è Ennia Darbo Zin che dalla costituzione e fino a metà degli anni ottanta, ne è stata segretaria. «La prima iniziativa - racconta - fu la benedizione da parte di don Raffin del nostro vessillo con i colori sociali e il conseguente alzabandiera nella terrazza del Park Hotel. Da lì in poi, faccio persino fatica a ricordare le mille cose fatte. Soprattutto in estate, si cominciava a giugno e si finiva a settembre. E nell’arco della giornata c’erano più di un’iniziativa. Il nostro intento era quello di far sì che tutta la famiglia fosse impegnata in qualcosa. O nell’organizzare o nel partecipare». Per chi ha vissuto quegli anni, le gare di “torte casalinghe” riservate alle donne o di “sughi e seghetti” per gli uomini, i tornei di bocce, tennis, pallavolo, briscola e tressette, le marce, le corse con i sacchi, il tiro alla fune, i travestimenti (memorabile quello da Gigio Vipera), il processo al Cavalier Cavallo, le cacce al tesoro diurne e notturne, le gare di ballo, dal twist alla polka, dal valzer al tango... erano solo alcuni degli appuntamenti in programma. E in inverno c’erano i falò, le fiaccolate, la pinza con il brulè, le camminate sulla neve in notturna, il carnevale sugli sci... Ma soprattutto, c’era il 15 agosto e quella data voleva dire gli attesissimi Giochi della Magnifica Comunità. «Ci ispiravamo a qualsiasi cosa - prosegue Ennia - pur di divertirci e far divertire i nostri ragazzi. Il problema, per assurdo, era che avevamo troppe idee e tutte bellissime. Mio marito Gino diceva che doveva tornare al lavoro per riposarsi un po’ perché i ritmi erano veramente frenetici. La cosa più interessante, secondo me, era la composizione delle squadre nelle diverse iniziative perché mettevamo insieme ragazzi e ragazze di età diverse e adulti e bambini insieme. É stato un modo vincente per creare ancora più relazione. I piccoli si affidavano ai grandi e i grandi si caricavano i piccoli sulle spalle, li coccolavano, li incitavano. Giochi come “mangia e 72
tuffati nell’anguria” o “cerca le caramelle nella farina”, sono rimasti nella memoria di molti. La gente veniva a Piancavallo dalle città per partecipare e per seguire le nostre iniziative e soprattutto i Giochi di cui parlavano tutti i giornali». Alla Magnifica Comunità di Piancavallo si iscriveva solo il capofamiglia con proprietà a Piancavallo. Il sodalizio raccolse oltre 200 iscritti ma se pensate che le famiglie erano minimo di tre persone, possiamo di certo dire che erano veramente una comunità magnifica! La MCP non era, però, solo divertimento ma anche sentieri da segnare a ogni stagione, pulizie collettive, sensibilizzazione degli ospiti alla cura dell’ambiente, studio della flora e della fauna, ricerca fossili, esplorazioni... «C’era - sottolinea Ennia Zin - un ottimo rapporto con tutti coloro che a diverso titolo operavano a e per Piancavallo. Cito tra tutti Marco Cescut perchè rappresentativo di operatori, istituzioni, appassionati. E insieme a lui veramente tante, tante persone. Non ci è mai mancato l’affetto e il sostegno anche nelle avventure più difficili, come le traversate Piancavallo-Tambre sugli sci o qualche sciata sul “nevaio” in estate». Insomma, la maglietta con la scritta “Io sono della M.C.P.” era un vanto e anche quando la stagione estiva si caratterizzava magari per il brutto tempo nascevano idee come la poesia che vi riportiamo qui a lato e che ben rappresenta lo spirito di quegli anni (ndr grazie a Tiziana Giovetti). Giusto per ingannare il tempo sorridendo. «Ho lasciato la segreteria della MCP – chiude la signor Zin – nel 1987. Qualcuno ha proseguito poi ancora per qualche anno ma lo spirito iniziale era ormai venuto a mancare. Vorrei solo che se qualcuno ne parla, lo facesse con cognizione di causa e non per sentito dire. La Magnifica Comunità è stata qualcosa di unico, soprattutto perché eravamo pochi pionieri di un Piancavallo in espansione. A chi oggi cerca di dare vita a nuovi organismi non posso che augurare di metterci la nostra stessa passione e raccogliere altrettanti grandi risultati. Di quegli anni, o di chi come noi Zin che abbiamo comperato casa in Piancavallo nel 1964, siamo rimasti pochi. Credo sia bello ricordare quei tempi andati senza nostalgia ma con la voglia di fare ancora qualcosa per la nostra splendida montagna. Così come fa il vostro giornale che cerca la “memoria” di Piancavallo in ognuno di noi».
Piove sulla vallata del Piancavallo ricca di faggi, di sassi, di massi. Piove sul Tremol, sulla Manera da mattina a sera piove sul Palantina dalla sera alla mattina piove sul Tublat sui Castelat su Ca’ dei Mughi e dei Faggi sugli sciocchi e sui saggi piove sui belli e sui brutti piove su tutti. Piove sui mille Tomadini, sui Bianchi, sui Balsamini sui tremila Raffin sui Sandrin sulla famiglia Zin piove sui Serena, Magri, Pecelli sui Toffoli, sugli Zanelli piove sul capo implume di Beltrame sulla gente che ha fame di luce di sole di estate di quella calda estate così a lungo bramata sognata. Piove senza sosta in eterno su questo borgo d’inferno, sulla Magnifica Comunità: piove e si torna in città tristi per la vacanza bagnata consumata senza il piacere di una passeggiata. Dal cielo nero senza una stella piove sulla favola bella che ieri m’illuse che oggi t’illude o Ermione! Gianluigi Giovetti (con licenza dell’orbo Gabriele) Piancavallo, 19 agosto 1976
i Terrazza ni
Ricorda con noi il tuo Piancavallo! Piancavallo Magazine cerca ricordi, aneddoti, storie, avventure, personaggi di Piancavallo di oggi e di un tempo. Se vi va di raccontarci “il vostro Piancavallo” mandateci un vostro testo con una foto Si dice che “si ricorda solo quel che ci piace ricordare”. E allora ecco che Piancavallo Magazine invita tutti i suoi lettori a ricordare. Siete tra coloro che hanno vissuto momenti memorabili a Piancavallo? Qualche giorno fa o quando ancora c’era solo qualche casa? Avete messo per la prima volta gli sci al mitico Casere? O al Collalto? Ricordate la messa al condominio Val Piccola? Avete assistito alla prima gara di rally o alla recente edizione del Snow Sonic Festival? Avete acquistato qualcosa dalla “vecchietta del souvenir” o mangiato le rane fritte alla Baracca del Sauc? Avete conosciuto personaggi che hanno fatto la storia di Piancavallo? Allora mettetevi all’opera! Piancavallo Magazine cerca ricordi, aneddoti, storie, avventure, personaggi di Piancavallo di oggi e di un tempo. Se vi va di raccontarci “il vostro Piancavallo” mandateci un vostro testo magari anche con una foto. Fateci venire voglia di approfondire, rivivere, conoscere scorci
di un Piancavallo inedito e sorprendente. A discrezione della redazione alcuni di questi racconti potranno trovare spazio nelle successive edizioni del giornale cartaceo. Passaparola! Ditelo ad amici e parenti. Tutti possono avere qualcosa di bello da raccontare. Qualcosa che renda ancora più amato il nostro Piancavallo. E se volete mantenere l’anonimato, potete firmare il vostro pezzo con uno pseudonimo. Potete mandare il vostro testo con l’eventuale foto e tutti i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, contatto telefonico, mail ed eventuale pseudonimo) a: ilmiopiancavallo@gmail.com oppure a: Il mio Piancavallo c/o Piancavallo Magazine Associazione La Voce Viale Trieste 15 – 33170 Pordenone
Foto Ferdi Terrazzani
Piove. Sulle soglie del bosco non odo parole umane ma odo urla strane inumane di cercatori di funghi bagnati infradiciati che coi musi lunghi ritornano a casa delusi.
AMARCORD
Foto Ferd
LA POESIA La pioggia sul faggeto
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LA PROPOSTA
“Cortina e Piancavallo,
facciamo un gemellaggio” Suggestiva proposta del pordenonese Mario Sandrin che ricorda il profondo legame tra la città del Noncello e la Regina delle Dolomiti. “Quando nacque Piancavallo ci si ispirò al modello della località ampezzana per ricreare lo spirito montano”
di PIERGIORGIO GRIZZO
La targa ricordo del concerto dell’Orchestra di Cortina a Piancavallo nel 1978 per la Via di Natale
C
ortina è un po’ la sorella maggiore di Piancavallo. Ne fu l’ispiratrice fin dalla nascita e anche oggi, dall’alto del suo prestigio e della sua tradizione, rappresenta un modello di riferimento prezioso e imprescindibile come una stella polare. Testimone di questa antica e solida “parentela” è Mario Sandrin, che nella sua lunga ed intensa vita di sportivo ed appassionato di montagna ha vissuto da protagonista, sia gli anni d’oro di Cortina, soprattutto la decade dei Cinquanta, culminata con le Olimpiadi, che gli anni ruggenti di Piancavallo, dalla fondazione alla Coppa del Mondo di sci alpino nei primi Ottanta.
Paolo (a sinistra) e Alberto Sandrin alla fine degli anni ‘60 a Cortina (foto Ghedina)
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La famiglia di Alberto Sandrin negli anni ‘40 a Cortina (foto Zardini)
“La Cortina dei miei ricordi più belli – racconta – è un paese di stradine bianche e di fienili. All’inizio degli anni Quaranta, gli anni della mia infanzia, la Regina delle Dolomiti doveva ancora scoprire a pieno la propria vocazione turistica. C’erano sì i grandi alberghi che ammiccavano al limitare dell’abitato, con gli inservienti in livrea, le luccicanti Alfa Romeo e le Bugatti parcheggiate sul piazzale antistante, il viavai di signori importanti e belle signore. Ma nella mia memoria sono più vivi il profumo dei covoni di fieno, il caldo torpore dei pomeriggi distesi sull’erba, il riverbero del sole estivo sui selciati. Quelle strade bianche, nei pressi di Villa Bigontina o nei dintorni, al limitare delle quali ci appostavamo pazienti, a gruppi di sei o sette, per indovinare le targhe delle rare automobili che passavano, solitamente al ritmo di una ogni mezz’ora. E poi c’erano le gite a Pocol e al Faloria in funivia, che ci portavano a qualche rifugio accessibile per la nostra età. Le lunghe passeggiate nei dintorni del Boite. Ed ancora, i pomeriggi a giocare a nascondino nei toulà, e le
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Cortina, Ferragosto 1942: Fausto Gubian con la bicicletta di Lino Zanussi e i fratelli Mario e Giovanni Sandrin (foto Roma)
mattine della domenica, quando si andava a messa nella parrocchiale o nella chiesa della Madonna della Difesa. Ricordi, questi ultimi, dolci e amari per il sottoscritto, che essendo il più piccolo della combriccola ed essendo ancora troppo giovane per fare il chierichetto e vestire la tonaca da fraticello, era costretto, nonostante i suoi pianti disperati, ad assistere alla funzione non dall’altare, ma dai primi banchi. All’epoca gli amici per la pelle si chiamavano Ferruccio Zanghellini e Fabio Menardi, due cugini ampezzani purosangue. Il secondo era nipote dell’onnipresente signora Olga Zanghellini ed era figlio di Daniela, che per anni ha gestito il ristorante alla partenza della seggiovia del Col Druscié. Dall’estate del 1942 i miei genitori, Anita e Alberto, preoccupati che i figli crescessero in salute, ci mandavano ogni anno a Cortina, a godere il clima delle Dolomiti. Se ci capitava qualche malanno di stagione, era sempre pronto l’indimenticabile dottore Mario Gaspari. Le vacanze cominciavano tra giugno e luglio
Cortina, 2015: Nives Sandrin con Fabio Menardi, esperto di aeromodellismo (foto Mario Sandrin)
sull’arenile del Lido di Venezia, dove andavamo a respirare lo iodio. Poi, dai primi di agosto, ci trasferivamo in montagna per un altro mese di giochi e svaghi. Il rientro a casa doveva avvenire tassativamente entro l’8 settembre, giorno che a Pordenone era santificato alla festa della Madonna delle Grazie e, naturalmente, alla relativa sagra. Sempre nel 1942, il giorno di Ferragosto, venne a trovarci nostro cugino Fausto Gubian, che all’epoca era già un ragazzo ventenne. Arrivò da San Vito di Cadore, dove soggiornava, in sella alla bicicletta del suo amico Lino Zanussi, il grande industriale pordenonese. Anche quest’ultimo aveva scelto le Dolomiti ampezzane per i suoi brevi periodi di vacanza lontano dalle pressioni e dalle responsabilità del suo ruolo di grande capitano d’industria. Una foto, che tengo nell’album dei miei ricordi più cari, mi ritrae seduto sul telaio della bicicletta di Lino Zanussi assieme a mio fratello Giovanni e al cugino Fausto.
In diverse occasioni salivamo a Cortina anche d’inverno: il divertimento era rappresentato allora dalle corse in slittino sui pendii vicino al centro. In un secondo momento, quando fui un po’ più grandicello, cominciarono le sciate. Che il più delle volte finivano sempre con grandi capitomboli. L’equipaggiamento, paragonato a quello di oggi, farebbe sorridere: gli sci erano pesanti assi di legno, le racchette bastoni di bambù: nulla a che vedere con i moderni materiali ultra leggeri e resistenti. Mentre all’inizio degli anni Quaranta la guerra ancora rumoreggiava in lontananza come un imminente temporale estivo, i miei fratelli, Giovanni e Andreina, e io trascorrevamo tutto il soggiorno ampezzano all’Ancora in corso Italia, un albergo a conduzione famigliare, gestito dai signori Bertozzi, per i quali eravamo diventati anche noi di famiglia. Qui ho perso i dentini da latte con un sistema caro alla stessa signora Bertozzi e a Francesco, il portiere: il classico spago a cui si lega
a un’estremità il dente pericolante e all’altra la maniglia della porta. Un rimedio rapido e quasi indolore: un piccolo strillo ed era fatta! Anche la signora Lovat, che gestiva un piccolo ristoro in legno in corso Italia, mi aveva spesso tra i piedi. Da bambino ero piuttosto inappetente, avevo l’argento vivo addosso, troppo vivace ed irrequieto per perdere tempo a tavola. Ma ai dolci e alla cioccolata con la panna della signora Lovat non sapevo resistere. Un altro luogo “magico” era la Cooperativa, piena di tutto, con il suo immenso bancone di legno e le derrate alimentari ordinatamente disposte sugli scaffali. Io stesso vestivo all’ampezzana: calzoni corti a salopette, con la pezza di cuoio da malgaro sul petto, e il maglione di lana pesante anche nella bella stagione. E salutavo con il tipico sanin dapò, ossia: arrivederci a dopo. Anche durante la guerra io e i miei fratelli continuammo ad andare in estate a Cortina. Nel 1943, l’8 settembre, mio padre venne a
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Il Rifugio Piancavallo del Club Alpino di Pordenone negli Anni Cinquanta del secolo scorso (collezione Mario Tomadini)
prenderci per riportarci a casa. Nell’Ampezzano, nei turbolenti giorni dell’armistizio, poco era successo: solo qualche bomba caduta per sbaglio, ma il papà riteneva che fossimo ugualmente più al sicuro a casa. A Calalzo salì sul trenino delle Dolomiti per Cortina e arrivò a destinazione. Da lì tutti assieme facemmo il percorso inverso. Di seguito, dopo un rocambolesco viaggio su un treno merci raggiungemmo prima Conegliano e infine Pordenone. Fino alla fine degli anni Sessanta ho frequentato assiduamente Cortina, sia in estate che in inverno. Ricordo ancora con molta nostalgia le Olimpiadi del 1956, quando con un gruppo di amici di Pordenone salimmo a vedere i mitici Giochi: che entusiasmo e che emozione per il salto dal trampolino e per le partite di hockey! Poi, gli impegni professionali si sono fatti più pressanti, costringendomi ad andarci più di rado. Tuttavia, anche da novello sposo e padre, negli anni Sessanta, con mia moglie Nives e con i bimbi in tenera età, cercavo di ritagliarmi un po’ di tempo per trascorrere qualche giorno nella Regina delle Dolomiti. Mio figlio maggiore, Alberto, lo abbiamo portato per la prima volta a Cortina nell’estate del 1965, che non aveva neanche un anno. Paolo, il più piccolo, aveva invece appena due mesi, quando ha respirato per la prima volta l’aria frizzante delle Dolomiti. Entrambi, una volta cresciuti, prima da adolescenti e poi da adulti, sono diventati anch’essi dei grandi appassionati di Cortina e dintorni. In quegli anni, forse i più belli, con mia moglie e i
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miei figli, salivamo per le feste di Natale e a Ferragosto e soggiornavamo nei caratteristici appartamenti ampezzani, dove potevamo anche ospitare parenti e amici. Quando i ragazzi sono diventati adulti, io e mia moglie abbiamo iniziato a soggiornare all’Hotel Pontechiesa, in un ambiente di grande calore e cordialità, gestito dalla famiglia Villafranca Soissons con la signora Lidia e in particolare dalla figlia signora Emanuela. Oppure eravamo ospiti del mio testimone di nozze Pierantonio Locatelli e della moglie Adriana insieme anche agli amici Rosetta e Armando Starnoni. Ricordo ancora con piacere le belle feste di Capodanno nella casa di Pierantonio in via Menardi e le lunghe passeggiate autunnali. Molte amicizie, intrecciate durante i soggiorni ampezzani, resistono tuttora a oltre cinquanta anni di distanza. Come quella con la famiglia di Valerio Menardi, della moglie Linda e dei figli Maria Luisa, in gioventù buona giocatrice di pallacanestro, Luciano e Fabrizio, questi ultimi due ottimi giocatori di hockey, maestri di sci ed abilissimi intagliatori del legno. Fabio Menardi, di cui ho già parlato, mi invita anche oggi a vederlo all’opera durante le sue uscite estive nei pressi dell’ex aeroporto di Cortina, dove fa decollare i suoi fiammanti modellini radiocomandati. Una passione, quella per l’aeromodellismo, che Fabio coltiva fin da ragazzo .” Tra i tanti amici non posso dimenticare la famiglia Zardini, persone meravigliose e grandi imprenditori, famosi per la loro produzione di stufe e cucine.
Piancavallo, anni ‘70: gruppo di famiglie della Magnifica Comunità (foto De Pascalis)
Un’amicizia di cui mi onoro è poi quella con Lino Lacedelli e suo nipote Mario, che in molte occasioni sono venuti in visita alla Conceria Pietro Presot di Porcia (Pordenone). L’opificio di cui parliamo produsse il cuoio speciale con il quale vennero realizzate le calzature tecniche per la leggendaria spedizione che portò alla conquista del K2 nel 1954. Quel modello di calzature, prodotto anche oggi, porta il marchio K28611. Nel frattempo nei primi anni Sessanta iniziava sul pianoro sottostante al massiccio del monte Cavallo, fino ad allora frequentato solo da escursionisti e malgari, la costruzione dei primi condomini e dei primi impianti di risalita della futura Piancavallo. “Molti, ma molti anni prima, sul finire degli anni Quaranta – riprende Sandrin – vidi per la prima volta questo angolo di paradiso tra le montagne di casa. Il massiccio del monte Cavallo o Cima Manera domina tutta la pianura pordenonese, fa parte del nostro orizzonte, è il nostro Kilimangiaro. Le nostre sono montagne strane, che si alzano all’improvviso come un muro di cinta; dagli spazi pianeggianti delle brughiere e dei magredi si passa immediatamente a rilievi di una certa importanza”. “Ebbene, la prima volta a Piancavallo fu in una giornata di primavera durante una gita scolastica, organizzata dal collegio e dall’oratorio Don Bosco alla fine degli anni ‘40. Nel cassone di un camion iniziò il nostro avventuroso viaggio fino alla chiesetta di San Tomé, a
Dardago, e da lì salimmo a piedi fino a raggiungere il pianoro. In quella immensa distesa d’erba e di enormi pietroni biancheggianti, che profumava come un giardino botanico, passammo un pomeriggio meraviglioso giocando ed esplorando i dintorni”. “Qualche anno dopo ci tornai per un’escursione invernale, sempre grazie ad un professore salesiano del Don Bosco, appassionatissimo di montagna. In una dozzina di noi, lasciato il camion alla Bornass, salimmo con gli sci e le pelli di foca ai piedi nel silenzio e nella quiete di quelle valli imbiancate. La neve si faceva sempre più alta e nel frattempo il sole iniziava a scendere. Arrivammo alla piana del Sauc che era già buio. Una notte bellissima, un cielo terso indimenticabile con milioni di stelle. Arrivati al rifugio, ancora in costruzione, dove avremmo pernottato, entrammo per una finestra al primo piano, perché la neve era così alta che aveva sepolto tutti gli ingressi al piano terra. Il mattino dopo, sotto un sole provvidenziale ed un cielo azzurrissimo, iniziammo una memorabile giornata di sciate”. “Fu grazie a momenti come questi che mi innamorai di Piancavallo, così come era successo per Cortina. Così nel 1964 aderii con grande entusiasmo al progetto dell’amico Mario Sartori di Borgorico, giovane e brillante dottore in Legge, che aveva appena costituito l’Ediltur per realizzare la futura stazione sciistica. Io fui coinvolto nella neonata società come revisore dei conti. La nostra idea era quella di creare una palestra per gli sport invernali a due passi dalla pianura, che servisse
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Pordenone e tutto il suo circondario, una meta facile da raggiungere, per i ragazzi e le famiglie in primis. Il modello al quale ispirarsi era, ovviamente, la nostra amata Cortina. Il progetto decollò rapidamente ed in un breve arco di anni, tra la stessa Ediltur e altri investitori privati, vennero realizzati oltre 2000 tra case ed appartamenti, le piste e gli impianti di risalita, e il primo albergo, il Park Hotel, al quale poi ne seguirono altri. Anni ruggenti, di grande sviluppo dell’imprenditoria pordenonese, ma anche della vita associativa di una città, che aveva trovato in Piancavallo la propria succursale in montagna”. Nel 1970, su iniziativa di Redento Toffoli, nacque la Magnifica Comunità di Piancavallo. Anche stavolta l’idea venne partorita ispirandosi a Cortina e all’omonima organizzazione ampezzana. Si voleva creare nella neonata località turistica sul pianoro del Cavallo quel senso di comunità che inevitabilmente mancava ad un paese senza abitanti. Vi si iscriveva il capofamiglia con proprietà in Piancavallo, quindi di fatto, essendoci negli anni d’oro oltre 200 iscritti, erano almeno 600-700 le persone, bambini, adulti e anziani, che partecipavano alla vita aggregativa della comunità. Attivissimo in quel periodo, al fianco della vulcanica segretaria Ennia Darbo Zin, troviamo ancora una volta Mario Sandrin. “Tantissime manifestazioni ed iniziative all’insegna della socialità e della convivialità – racconta – furono organizzate dalla MCP, dalla sua fondazione alla metà degli anni Ottanta. Gare culinarie, giochi popolari, tornei di bocce, tennis, pallavolo, briscola, tressette. E poi ancora le escursioni estive, le attraversate invernali sugli sci, ma anche tanta attività legata alla cura e al ripristino dei sentieri e dei luoghi in generale”. “L’apogeo di Piancavallo arrivò all’inizio degli anni Ottanta, quando l’allora presidente dell’Azienda di
Mario Sandrin con la moglie Nives in Piancavallo (foto De Pascalis)
Promozione Turistica, Giancarlo Predieri, riuscì a portare all’ombra di Cima Manera la Coppa del Mondo di sci alpino femminile. E poi ancora il Rally e tanti altri eventi di primo piano, come il concerto al Park Hotel dell’allora emergente Roberto Vecchioni, mostre di pittori rinomati a livello internazionale e molte altre iniziative di alto profilo, che rendono ancora più stridente il paragone con la realtà attuale”. “Personalmente mi onoro di essere riuscito a portare a Piancavallo l’orchestra di Cortina nel 1978. Una splendida serata con un nobile
scopo, quello di raccogliere fondi da destinare ad una Via di Natale appena nata”. “Il pluriennale legame che unisce Cortina d’Ampezzo e AvianoPiancavallo, attraverso i rapporti di stima ed amicizia che uniscono tante persone, che da una parte e dall’altra hanno operato per il bene e il prestigio delle due località, mi incoraggia a proporre un’idea forse non originale, ma certamente opportuna: la celebrazione di un gemellaggio tra la Regina delle Dolomiti e la Perla delle Prealpi Carniche”.
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Ecce Humus Quando l’arte “intreccia” con la natura un rapporto privilegiato costruito sui principi del rispetto e dell’amore nasce Humus Park: una produzione artistica in simbiosi con l’ambiente testo e foto di FERDI TERRAZZANI
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umus Park a cadenza biennale è la più importante rassegna di Land Art che si svolge sul territorio italiano. La popolarità guadagnata in questi anni la pone all’attenzione internazionale come appuntamento imperdibile per gli artisti del settore. Per questa quinta edizione tre comuni: Pordenone, Polcenigo e Caneva ospiteranno gli ottanta performer coinvolti in questa chermes provenienti da 13 paesi del globo, otto le scuole d’arte e accademie coinvolte. La formula Humus Park prende fisionomia nel 2008 da una brillante intuizione dei pordenonesi Gabriele Meneguzzi e Vincenzo Sponga, sostenuta sin d’allora dal comune di Pordenone. Le regole per l’esecuzione delle opere,
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dettate dai direttori artistici, sono rigorosissime. Gli artisti lavorano in coppie, per realizzare le creazioni possono approvvigionarsi esclusivamente dei materiali reperiti in loco e messi a disposizione dalla natura in comodato d’uso. Sassi, rami, foglie, acqua, cortecce sono i più ricercati così come tutti gli altri elementi naturali disponibili in loco. Idee, fantasia, scenografia e abili mani li trasformeranno una volta assemblati in opere uniche e irripetibili d’arte contemporanea. Le creazioni artistiche realizzate resteranno sul posto, il tempo compirà implacabile la sua opera di trasformazione secondo le regole naturali. Il luogo dove le opere prendono fisionomia sarà custode e proprietario delle stesse considerato che il decalogo dell’artista Land Art prevede
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di rinunciare al possesso e alla commercializzazione dei manufatti realizzati. L’Humus Park è anche una risposta alla sempre più diffusa richiesta d’attenzione ecologica riguardante aree del territorio in cui si vive. Zone non frequentate abbastanza, spesso non sufficientemente valorizzate vengono rivitalizzate con una sorta di galleria artistica all’aria aperta. Il teatro espositivo di Caneva e Polcenigo vede come epicentro le suggestive sponde della Livenza e il prestigioso sito naturalistico del Palù del Livenza , eletto dall’Unesco patrimonio da tutelare per la sua storia passata. A Pordenone Humus Park mette in vetrina i suoi gioielli nei parchi del Seminario e del castello di Torre. La mostra dell’intreccio sarà visitabile per tutta l’estate.
Guido Cecere
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“Al ballo del Savoy” L’Operetta in Piancavallo
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Provincia di Pordenone
Grande
nel Friuli occidentale
Venerdì 12 agosto 2016 ore 21.00 Palapredieri Piancavallo INGRESSO LIBERO
Comune di Aviano
ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DELL’OPERETTA Friuli Venezia Giulia
Foto Ferdi Terrazzani
QUI PIANCAVALLO
Giugno-settembre, tre mesi di appuntamenti per tutti i gusti
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ull’onda di un inverno strepitoso, la stagione estiva 2016 si prospetta altrettanto ricca di eventi e di presenze. Forte di una rinnovata sinergia tra operatori, amministrazione, giovani (e meno giovani) intraprendenti e volenterosi, il Piancavallo offrirà eventi di notevole interesse per tutti i visitatori. Non mancheranno i tradizionali appuntamenti con il Rally Storico e il Festival del Folklore. Gli sportivi potranno contare su manifestazioni di alto livello come le gare di corsa e trail (organizzate da Atletica Aviano e Montanaia Racing), sui trofei di MTB ed altre discipline emergenti (grazie all’organizzazione della Cooperativa 1265 e della Scuola di Sci Aviano Piancavallo), e sulle altre numerose iniziative inedite. Gli amanti delle tradizioni e della buona cucina troveranno il consueto mercato della domenica
nonché nuove e golose mostre mercato del prodotto tipico della pedemontana. I bambini avranno di che divertirsi con Fantalibro, rappresentazioni teatrali, cinema, escursioni e laboratori. Da non perdere, per chi ama gli animali, l’Esposizione Nazionale Canina a cura del Gruppo Cinofilo Pordenonese. Le serate avranno come tema dominante musica e cultura, con l’introduzione di alcune belle novità tra cui la lirica. E, di notte, tutti ad osservare le stelle con il Gruppo Astrofili Sacilese. Appuntamento il 19 giugno all’Infopoint per la presentazione ufficiale del programma. Buona estate a tutti! NB: il programma potrà subire variazioni, pertanto è sempre consigliabile consultare i siti del Comune e degli enti organizzatori
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PROGRAMMA PIANCAVALLO ESTATE 2016
Giugno 19
h.8.00 Avvio mercato h.10.00 Presentazione filmato Piancavallo estate programma eventi estate 2016 a seguire preludio musicale degli allievi Ist.Musica Dalle h.9.00 alle h. 17.00 Campionato Italiano Pattinaggio
Dal 20 al 26 Artistico 25
h.18 presentazione mostra pittura Sergio Perini a cura di Cinzia Botteon
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dalle h. 8.00 mostra mercato artigianato e del prodotto tipico della pedemontana Artigiani in piazza h.11.00 Memorial Gigi Rizzo - “polenta salat e cavo”
P.zza Della Puppa Infopoint
Ufficio Turismo
Palapredieri
Coop Piancavallo 1265
Edelwaiss Proloco Aviano P.zza Della Puppa
h. 14.30 Esibizione gruppo sbandieratori e tamburi di Valvasone h. 16.00 Spettacolo Art-music
Ufficio Turismo
Luglio 3 Dal 3 al 17 10
10 Miglia Internazionale Aviano Piancavallo Gara podistica di corsa in montagna in salita 3° memorial Luisa Mattioz
Atletica Aviano
Castro Rugby Accademy Camp
Campo centrale
Coop Piancavallo 1265
h.10.00 17° trofeo “Livenza Bike”MTB h.14.30 Trofeo Bottecchia 15.00 MTB Piankabike challengeJuniores
Area Ronciade Anello pcv Area Ronciade
Montanaia racing Soc.Bottecchia Montanaia racing
Area Palazzetti P.zza Della Puppa Sala convegni
Gruppo cinofilo pordenonese Club “ruote del passato Compagnia teatrale Cibìo Chions
Area Palazzetti P.zza Della Puppa Sentiero delle Malghe
Gruppo Cinofilo pordenonese Coop Piancavallo 1265
Palasport
Coop Piancavallo 1265
Esposizione Nazionale Canina
16
h.17 Autostoriche “ruote del passato” h.20.45 “Sucede sempre de venere” Testo e regia di Aldo Presot
17 Dal 17/7 al 5/8 23
Dalle 10.00 alle 17.00 Esposizione Nazionale Canina h.9.00 Autostoriche “ruote del passato” h.9.00 passeggiata delle malghe & marcia Ginnastica -Corpo libero Training Camp 9-17 Gran Prix Giovani pattinaggio h.20.30 Serata magia 9-17 Gran Prix Giovani pattinaggio h.10.00 “GIOCHI PER BAMBINI” –
24
h.10.00 Raduno Vespa Club Aviano h. 10.00-18.00 Esibizione Aero/eli-modelli 20.30 Parassitosi da zecche: miti, leggende e aspetti reali. Dr. Stefano Candotti.
30 sabato 31 domenica 88
20.30 esibizione Filarmonica di Mossa Dalle h. 9.00 “HIGHLANDER GAMES” - Trofeo sportivo h.20.45 proiezione immagini in multivisione a cura di Ferdi Terrazzani
Palapredieri P.zza Della Puppa Palapredieri P.za della puppa p.za della puppa Area Ronciade Sala convegni
Coop Piancavallo 1265 Ufficio Turismo Coop Piancavallo 1265 ASD Maestri d’Italia - Scuola Sci Aviano Piancavallo Ufficio Turismo Ufficio Turismo
sala convegni
Ufficio Turismo
Area Ronciade
ASD Maestri d’Italia - Scuola Sci Aviano Piancavallo Ufficio Turismo
Infopoint
Tutte le foto sono di Ferdi Terrazzani
Agosto 1
17-19 Fantalibro letture con laboratorio di lucia
3
h. 9.00 “Per-corsi” di fotografia –1^ Escursione fotografica alla scoperta del territorio 17-19 Fantalibro letture con laboratorio di Lucia h. 10 – 12 Fantalibro: letture a passeggio con Lucia h. 17.00 Fantalibro: speciale cinema ragazzi
4
h. 17-19 Fantalibro letture con laboratorio di Lucia 20.30 Cimevisioni
5
h.18.00 30° Rally Piancavallo storico partenza1^ prova speciale
6
h.8.00 2^ Tappa- Riordino out Rally Piancavallo h.16.15 Arrivo ultima PS rally h.20.00 Premiazioni rally h.21 Cori alpini sotto la tenda ANA Aviano
2
7
Dalle 8.00 65° raduno alpini Aviano e gara corsa a staffetta
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h.14.00 48° Festival folcklore Aviano/Piancavallo sfilata gruppi e spettacolo in piazza 20.30 Cimevisioni
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h.17 – 19 Fantalibro: fantastelle con lucia h. 20.30 Cabaret “straparliamone 2016” davide stefanato
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h. 10 – 12 Fantalibro: letture a passeggio con Lucia h.16.00 Osservazione sole 18.00 Introduzione alle stelle “il cielo in una stanza” 21.00 Osservazione stelle h.9.00 2^ Escursione fotografica alla scoperta del territorio h. 11.00 Fantalibro: letture a passeggio con Lucia
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h. 18 Presentazione libro “il passato in pentola” di Lorenzo Cardin h.20.30 Concerto di MUSICA MODERNA Pop Internazionale dei “JUST DUET”
h 17.00 Speciale Fantalibro : teatrino per bambini
12
13
14 15
h. 21 Operetta “Al ballo del Bavoy” parafrasando Paul Abraham,
h. 17.00 tombola dei libri h.20.45 Serata fotografia-“ Multivisioni d’autore” a cura di Ferdi Terrazzani h. 9.30 “MTB: BIKE - BIATHLON” h.17.00 Festa Parrocchiale Santa Messa e Processione
Infopoint
Ufficio Turismo
Ritrovo c/o Infopoint Infopoint
Ufficio Turismo
Infopoint bosco nei pressi sala convegni
Ufficio Turismo
Infopoint e bosco nei pressisala convegni
Ufficio Turismo
P. zza Della Puppa
ACI Pn
P. zza Della Puppa
ACI Pn
P.zza Martiri della Libertà
ANA Aviano ANA Aviano
P. zza Della Puppa
Proloco Aviano
Sala convegni
Ufficio Turismo
Infopoint Sala convegni
Ufficio Turismo
Infopoint e bosco nei pressi P.zza Della Puppa Infopoint Baita Arneri Ritrovo c/o Infopoint Infopoint e bosco nei pressi Infopoint Sala convegni
Sala convegni Palapredieri
Infopoint Sala convegni Area Ronciade P.zza Della Puppa
Festa in malga “Polenta salat e cavo” h.17.00 Tombola in piazza Dalle h. 9.00 alle 17.00 S tage musicale “Orchestra Giovanile
Dal 16 al 29 Vicentina”
Ufficio Turismo Gruppo Astrofili Sacilese
Ufficio Turismo
Ufficio Turismo Associazione Internazionale dell’Operetta FVG l’Associazione Internazionale dell’Operetta FVG allestisce un concerto Ufficio Turismo ASD Maestri d’Italia - Scuola Sci Aviano Piancavallo Coop Piancavallo 1265
Sala convegni
Coop Piancavallo 1265 89
Tutte le foto sono di Ferdi Terrazzani
16 17
h. 20.00 Eupolis, passeggiata serale di didattica ambientale con Eupolis
Ritrovo Infopoint
h.10.00 torneo di Minigolf
P. zza Della Puppa
Ufficio Turismo Coop Piancavallo 1265
17-19 Fantalibro letture con laboratorio di Lucia 20,30 Cimevisioni
Infopoint SALA CONVEGNI
Ufficio Turismo
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h. 10 – 12 Fantalibro: letture a passeggio con lucia 17.30 Fantalibro: speciale cinema ragazzi
Infopoint e bosco nei pressi Sala convegni
Ufficio Turismo
19
h. 17 – 19 Fantalibro letture con laboratorio di Lucia h.20.30 Esibizione Orchestra Giovanile Vicentina
Infopoint SALA CONVEGNI
Ufficio Turismo Coop Piancavallo 1265
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21
h. 9.00 Olimpiadi dei bambini h. 17.00 Fantalibro: spettacolo per bambini h. 20.30 serata “introduzione alla lirica” a cura della “Accademia Lirica Santa Croce” TS maestro Alessandro Svab h.8.00 Anticamente Speciale pcv Dalle ore 11.00 Sardellata in piazza h.16.00 Concerto di MUSICA MODERNA Pop/Rock della Band a cura delle Eccellenze dell’ISTITUTO di MUSICA DELLA PEDEMONTANA
Dal 20 al 27 Camp scherma
Area Genzianella Sala Convegni Palapredieri
P. zza Della Puppa
Coop Piancavallo 1265 Ufficio Turismo
Proloco Aviano Ufficio Turismo
Palasport
Coop Piancavallo 1265
Infopoint
Ufficio Turismo
Sala convegni
Ufficio Turismo
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17-19 Fantalibro letture con laboratorio di lucia
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17.30 Fantalibro: speciale cinema ragazzi
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17-19 Fantalibro letture con laboratorio di Lucia
Infopoint
Ufficio Turismo
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17-19 Fantalibro letture con laboratorio di Lucia
Infopoint
Ufficio Turismo
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h.20.30 Esibizione Orchestra Giovanile Vicentina
Sala convegni
Coop Piancavallo 1265
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Piancavallo-Cansiglio Ecotrial dorsale panoramica 10 - 21 – 30 – 42 km. 20,30 cimevisioni
Partenza e arrivo P. zza Della Puppa Sala Convegni
Atletica Aviano Ufficio Turismo
Sala Convegni
Compagnia Teatrale CRUT- Trieste
Campo “Ronciade” Area Genzianella P.zza Della Puppa
Coop Piancavallo 1265 Ufficio Turismo
Settembre 3
h.20.45 “Indovina chi è rimasta incinta” Testo e regia di Giorgio Amodeo
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Dalle 9.00 alle 18.00 10° Trofeo “Cristian Tassan” h.9.30-13.30 Malghic Walking h.16.30 “SPETTACOLO COMICO CON I PAPU”
7-10
Istituto comprensivo
10
h.17.00 9^ SkyRace breafing tecnico con ospite h.20.30 Cimevisioni
Infopoint Sala Convegni
Montanaia Racing Ufficio Turismo
11
h.8.30 9° Skyrace Monte Cavallo “sentiero degli orizzonti” h.9.00 Air Expo volo libero dalle h.11.00 Festa ciao estate
Sala Convegni
Montanaia Racing Coop Piancavallo 1265
17 sabato
90
Corso ambiente
7° Historich Nord Est auto storiche