Storie dello Stagno
Il corvo e il cervo FRANCESCO SMELZO
Allo stagno andavano ad abbeverarsi, alla sera, animali di ogni genere che provenivano dai boschi lì intorno. Tra questi, il più bello e imponente era il grosso cervo Fulvio, dotato di un largo palco di corna e di muscoli possenti. Quando scendeva a bere lo faceva sempre con grande strepito, piombando nello stagno incurante di chi, in quel momento vi si trovasse. Una volta poco mancò che non sterminasse, travolgendola nella sua corsa sfrenata, un’intera famiglia di paperi, paperottoli compresi, che stava cibandosi vicino al canneto. Tuttavia tutti avevano timore e rispetto del cervo Fulvio, vuoi perché capace di terribili sfuriate con chi lo faceva arrabbiare, vuoi perché tutti ammiravano la sua bellezza e potenza. Quando quindi arrivava come un ciclone tutti si allontanavano alla svelta senza dire niente. Non fu così quella sera per il corvo Armando. Se ne stava bello appollaiato su un ramo basso della vecchia quercia che quasi rasentava l’acqua, in attesa di acchiappare qualche pesciolino che risaliva a cacciare insetti. Aveva adocchiato una bella lasca che stava per venire in superfice e, proprio quando stava per prenderla col becco, ecco che arriva il cervo con il solito trambusto di zoccoli a far scappare tutti i pesci. 1
«Ehi, ma che modi sono?» - sbottò il corvo Armando scrollandosi per l’acqua che il cervo gli aveva schizzato addosso - «non puoi comportarti in modo più educato? C’è bisogno di scendere in quel modo nello stagno?» «Chi è che mi parla in questo modo?» - esclamò il cervo Fulvio, già pronto ad incornare l’insolente che aveva osato protestare. Poi, quando si accorse che si trattava solo di un misero corvo, scrollando il capo, scoppiò in una grossa risata: «Ah saresti tu quello che viene a darmi lezioni di educazione!» disse sprezzante - «ma che denti aguzzi che hai… che artigli affilati… per venire a farmi la morale!» «Ebbene sappi che, essendo l’animale più forte e bello » continuò Fulvio - « tutti mi debbono obbedienza e rispetto, tu per primo se non vuoi finire infilzato dalle mie corna.» Il corvo Armando, di fronte a tanta superbia non si scompose e rispose: «Non ho né denti aguzzi né artigli affilati, ma ti dico che un giorno sarai tu a servire me!». Il cervo, a quel punto, non sapeva se ridere di quel corvo matto o se infilzarlo direttamente. Scalciò violentemente sull’acqua con le zampe potenti provocando un’onda d’acqua che investì il povero Armando che, scrollandosi le penne, volò via. Ma prima disse ancora al cervo: 2
«Ti dico che un giorno sarai tu a servire me!» Dopo un po’ tempo allo stagno arrivò il freddo inverno, con il gelo che chiude nella sua morsa le acque e copre di brina tutte le piante. E con il freddo arrivarono le nubi dal Nord che portano neve e vento. Presto tutti i prati si ricoprirono di ghiaccio e, sopra il ghiaccio, cadde copiosa la neve che tutto nascondeva. Tutti gli animali in quei giorni soffrivano la fame. Chi mangiava pesci non poteva pescare a causa del ghiaccio che ricopriva lo stagno, chi mangiava erba non poteva trovarla perché sepolta sotto strati e strati di neve. Tutti soffrivano la fame, ma più di tutti il cervo Fulvio che, con il suo grande corpo possente aveva bisogno di più cibo degli altri. Ma l’inverno quell’anno non voleva lasciare tregua e il freddo e la neve continuarono ancora a lungo a tormentare lo stagno e i suoi abitanti. E alla fine accadde l’inevitabile. Il cervo, stremato dalla fame e dal freddo, cercando inutilmente di grattare la neve con gli zoccoli per raggiungere l’erba, si accasciò sul bianco manto che copriva il terreno e morì. Ed ecco dal ramo della quercia, da dove aveva visto la scena, che calò il corvo che, con il forte becco aprì un varco nella dura pelle del cervo e si cibò a sazietà delle sue carni. 3
Abbandonando quel banchetto, che gli sarebbe servito ancora per molto a placare la fame, il corvo allora esclamò: Che ti avevo detto? Un giorno saresti stato tu a servire me.
4