Storie dello Stagno
L’inverno nello stagno FRANCESCO SMELZO
“Era venuto l’inverno nello stagno. Una lastra di ghiaccio si era formata sulla superficie dell’acqua mentre la neve scendeva lieve ricoprendo, a poco a poco, gli alberi e i prati.” “C’era silenzio.” “Anche il ticchettio del picchio che scavava col becco il tronco della vecchia quercia era adesso come il suono di un pianoforte in sordina.” “Tutti gli animali stavano al riparo dal freddo nelle loro tane.” – pensava Giacomo - e, mentre pensava, guardava scendere, sulle case grigie della città grigia, la stessa neve che scendeva sullo stagno. Seduto vicino alla finestra della sua camera aveva sulle ginocchia un vecchio libro, con figure ormai sbiadite dal tempo. La mamma gli aveva detto che quel libro le era stato donato da suo padre quando lei era ancora bambina. Se lo ricordava ancora, il nonno, con i grossi baffi bianchi e la pipa in bocca, quando la domenica lo portava a fare le passeggiate vicino al fiume e gli parlava degli animali. La mamma gli raccontò che una sera di tanto tempo fa il nonno era tornato, dopo molti anni, da un paese lontano, su al Nord, dove faceva sempre freddo, la strinse in un forte abbraccio e le donò questo libro trovato in un vecchio mercato. 1
Nel libro c’erano poche parole, del resto Giacomo non le capiva perché erano scritte in una lingua straniera, ma non importava, quello che a lui interessava erano le figure: pagine e pagine di figure degli animali dello stagno. Erano animali che Giacomo non aveva mai visto. Dalla sua camera, affacciandosi alla finestra vedeva solo case, case grigie nella città grigia. Solo qualche volta, quando pioveva forte, qualche piccione si riparava sul suo davanzale. Lui stava tutto il tempo a guardarlo, al dì là della finestra chiusa e appannata, mentre quello stava là fuori, libero di volare, di andare, se voleva, a cercare uno stagno. Ma il piccione non se ne andava, stava lì come una statuetta di ceramica, finché non smetteva di piovere. Solo allora il piccione si dava una scrollatina alle piume inzuppate d’acqua e volicchiava fino al lampione, si accertava che non passasse nessuno e scendeva sul marciapiede, vicino alla fermata dell’autobus, a beccare qualche briciola di pane. I piccioni fanno sempre così; possono volare, ma in realtà sembra che non abbiano molta voglia di farlo. Proprio quando qualche macchina è lì lì per investirli allora, quasi con fastidio, fanno un voletto per togliersi dalla strada, ma è solo per andare qualche metro più in là, sul marciapiede o sul lampione. 2
Mai che Giacomo avesse visto un piccione che volava alto, sopra le case grigie, sopra la città grigia, per cercare uno stagno. Altre volte, dalla finestra della sua camera, aveva visto dei gatti dal pelo sporco e arruffato. Stavano vicino al bidone dell’immondizia, accanto al ristorante in fondo alla strada. Quando uno sguattero buttava via gli avanzi saltavano fuori a litigarsi, a furia di morsi e graffi, una testa di pesce o degli ossi di pollo. I gatti avrebbero potuto correre o anche semplicemente camminare, lontano, via dalle case grigie, dalla città grigia, a cercare uno stagno; mai che Giacomo, tuttavia, avesse visto un gatto salire sui tetti e da lì, di tetto in tetto, fuggire lontano. Gli animali che conosceva erano quelli: piccioni e gatti, anch’essi grigi come le case e come la città. Però aveva il libro, il libro di suo nonno, pieno di figure di animali. Aveva dato loro un nome, e aveva dato loro un mondo: lo stagno. Nelle figure parevano seri e compunti, che ti guardavano quasi seccati che tu li avessi disturbati nella loro posa, ma Giacomo li immaginava vivi nella loro vita di tutti i giorni: il castoro con la sua diga; i tassi, i conigli e lepri sui prati; il riccio curioso che conversava col gufo e la civetta che cacciava i
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toporagni; la libellula che cantava con l’usignolo e il corvo, la gazza, le papere e i tanti altri che animali dello stagno. Affacciato alla finestra Giacomo vedeva le automobili che passavano sulle strade della città grigia. Un po’ gli assomigliavano: anche loro avevano le ruote. Beh… non è che lui avesse proprio le ruote… ci stava seduto sopra. A differenza sua però le automobili potevano correre, scappare dalla città grigia, dalle case grigie per andare a cercare uno stagno, ma - come i piccioni e i gatti – anche loro non lo facevano mai: vedeva sempre le stesse automobili, la mattina andare in una direzione, la sera in quella opposta. Però aveva un libro, il libro di suo nonno, pieno di figure di animali. Non poteva volare come i piccioni, non poteva saltare sui tetti come i gatti e neanche sfrecciare con le ruote sulle strade come le automobili. Ma poteva guardare il cielo. Il cielo è lo stesso cielo sopra la città e sopra lo stagno, quindi guardando il cielo poteva pensare allo stagno. Sfogliando in libro che gli aveva dato la mamma, che l’aveva avuto in dono dal nonno, creava il suo stagno, dove vivono buffi animali che parlano. Ma ora era inverno sulla città grigia e scendeva la neve sulle case grigie. Era freddo e stava arrivando la notte. Era tempo di chiudere il libro e andare a dormire, tanto anche allo stagno era
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venuto l’inverno; una lastra di ghiaccio si era formata sull’acqua e gli animali stavano al riparo dal freddo nelle loro tane. Non ci sarebbe stato niente da raccontare, nessun mondo da creare. Fino a domani. Giacomo ripose il libro sul comodino e portò la carrozzina vicino al letto, ci si infilò e si ricoprì ben bene con le coperte, la mamma sarebbe rientrata più tardi dal lavoro, come ogni sera e, come ogni sera, si sarebbe affacciata sulla porta della sua camera, credendo che dormisse, e gli avrebbe dato un bacio leggero. Poi… poi si sarebbe addormentato e domani avrebbe nuovamente creato un mondo… nel suo mondo.
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