Antropos febbraio 2016

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 European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal

LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA e la musicoterapia(1)

4. La paura della morte-

ANNO XII N.RO 2 del 01/02 /2016

Pag. 1. Pag. psicologica 2. Sistema pensionistico 3. L’angolo del cuore 4. El Cid campeador 6. Teatro romano 7. Un’edicola particolare 8. Petrolio?No grazie! 9. Catullo a Napoli 10. Una donna nella storia 11. Schengen la scheggia 13. Come conobbi Franco 14. IL Bluff della ripart.za 15. Giubileo 16. Paremiologia e pubbl. 17. Pagina medica 18. I grandi pensatori 19. Il Professore 20. Letture filosofiche 21. Le carni porcine ricette 22. Mater Dei 23. L’Adolescente 24. Storia della musica 25. Virus Zica 26. Guerra e danari 27. Favola del mese 28. Avamposto a Venezia 29. ‘A posteggia 30. Il Museo Diocesano 31. Nonne e tecnologie 32. Leviora 33. Nunziatina 34. Come dimenticare? 35. Penelope 36.Redazioni e riferimenti

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Intorno all‟amore e alla sessualità esistono numerosi pregiudizi, perché abbiamo alle spalle un retaggio culturale etico religioso che tende a fare passare, come fine esclusivo della sessualità, la riproduzione della specie, togliendo, di conseguenza, la legittimazione del sesso tra gli anziani,perché la vecchiaia continua ad essere vista come decadimento. Lo stereotipo vigente, appunto, tende a considerare il vecchio come privo di potenzialità. Ma per quale motivo agli anziani è stato ed è reso obiettivamente difficoltoso esprimere liberamente la loro affettività? Dobbiamo abbandonare ipocrisie, falsi pudori e moralismi e smontare la convinzione che i comportamenti sessuali non siano presenti, o non siano possibili,o non siano importanti per gli anziani. In questo senso dobbiamo promuovere una estesa e decisiva campagna di controin-formazione sull‟anziano e sul suo diritto ai sentimenti ed alla sessualità. Nell‟anziano il dialogo con la morte si fa più serrato e consueto, ma non per questo meno drammatico; e se nelle società rurali la morte avveniva entro le pareti domestiche, in un clima di maggior rassegnazione e accettazione, oggi, con un livello culturale indubbiamente più elevato e un‟organizzazione di vita urbana, essa viene rifiutata, allontanata e ospedalizzata. Chi lavora con gli anziani sa bene quanto sia importante il suo ruolo come punto di riferimento davanti al dubbio, alla paura, all‟abbandono e alla solitudine e di come, per quei vecchi che lo desiderano, il parlare della morte in generale sia benefico e catartico. Perché, dunque, si deve pensare alla morte e non rinnegarla? La risposta può apparire forse troppo semplice: la morte è parte integrante della vita, se non si vive non si muore. Essa ci appartiene e il nostro prepararci a vivere la vita impliimplica, in ogni momento, la consapevolezza che la morte,intesa non come la fine della vita, ma come una sua modificazione,ne fa parte in tutto e per tutto. Chi ha fede, o ha una visione dell'esistenza che va al di là della realtà del corpo, vede nella morte non la fine della vita nel mondo, ma la fine della vita biologica. Purtroppo la nostra cultura, che deve ancora compiere molti passi verso un pensiero che faccia della morte un evento plausibile ed accettabile. (Continua) _________

1) F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELLA Vecchiaia, pag.15 e 16 - A.I.T.W. ed. SA. 2004 – Scaricabile in e-book su Google play, cod. GGKEY:K6C9CH8SW3Q E

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Antropos in the world

PEN SI ONI ,UN S ISTE MA MIS ERA BILE voluto dai poteri forti Da “LE OPINIONI ERETICHE” di M.Rallo Grandi manovre sulle pensioni. Ad agitarsi più di tutti è un “amerikano” di casa nostra, Tito Boeri, da poco più di un anno presidente dell‟INPS (di nomina renziana). Boeri è un bocconiano che ha coronato i suoi studi di economia con un dottorato di ricerca alla New York University; rientrato in patria ed ottenuta una cattedra nell‟Ateneo di provenienza, si è illustrato per essere stato il primo docente italiano ad avere introdotto un corso universitario interamente in lingua inglese. Il che sarebbe come a dire che – secondo il bocconiano di ritorno – il diritto allo studio è subordinato alla conoscenza perfetta della lingua dei padroni. Naturalmente, come tanti altri economisti “al passo coi tempi”, il nostro è stato anche consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, dell‟OCSE e forse anche di altri organismi internazionali che predicano la macelleria sociale in nome dei mercati e della globalizzazione finanziaria. Recentemente il Boeri si è dato un gran daffare per spedire ai futuri pensionati la famosa “busta arancione”, un documento contenente una previsione dell‟ammontare del trattamento (da fame) che il lavoratore di oggi dovrebbe percepire domani, una volta raggiunta l‟agognata “soglia pensionistica”. Una specie di mania, al punto da indurlo a scatenare una guerra mediatica contro il Parlamento che gli aveva negato i soldi per i francobolli. Come mai tutto ciò? Per una repentina smania di comunicare? Per un ridondante complesso del postino? Non credo proprio. Credo, piuttosto, che il bocco-newyorkese pensi di utilizzare le reazioni (ovviamente negative) dei destinatari della busta arancione per raggiungere un obiettivo squisitamente politico: assoggettare anche i pensionati di oggi (o comunque una larga fetta di questi) al medesimo infame sistema “contributivo” che dovrebbe determinare le sorti dei pensionati di domani. A meno che – sia detto per inciso – non salti tutto per aria, da qui a pochi anni. Contrariamente a quanto taluno crede – quindi – quella di Boeri non è una battaglia d‟avanguardia né tampoco populista o rivoluzionaria. È invece la classica battaglia di retroguardia, il solito servizievole intervento a pro dei desiderata dei poteri forti e delle “riforme strutturali” invocate dai mercati. Sono stati i poteri forti, i mercati, le banche d‟affari e tutta l‟onorata compagnia della speculazione finanziaria internazionale a chiederci di cancellare il nostro sistema pensionistico “retributivo” e di adottare il miserabile “sistema contributivo”, quello secondo cui il pensionato riceverà soltanto “quel che ha versato” durante la propria vita lavorativa. Naturalmente, sento già l‟obiezione degli assertori del politicamente corretto: dove sono i soldi per tornare al sistema retributivo? Dovremmo farceli prestare dalle banche, e il nostro debito pubblico è già così alto da non permetterci ulteriori indebitamenti. Obiezione buona per essere giocata su tutte le ruote: dalle spese per l‟ambiente a quelle per la sicurezza pubblica.È proprio questo il nocciolo del problema. A mio sommesso parere, la spesa previdenziale – essendo una spesa istituzionale di fondamentale importanza – do-

vrebbe essere affrontata dagli Stati con denaro proprio, emesso “a credito” da banche pubbliche “nazionali”, e non ottenuto “a debito” da banche “centrali” o da altre istituzioni private. Certo, se per pagare le pensioni ai suoi cittadini lo Stato italiano (o qualunque altro Stato) dovrà farsi prestare i soldi dalla Banca Centrale Europea (o dalla Goldman Sachs o dalla Banca Rotschild, poco importa), il debito pubblico dovrà necessariamente crescere sempre di più. A meno che – ecco l‟infame “riforma strutturale” – lo Stato non si limiti a restituire al pensionato “quel che ha versato”. Ma neanche questo è sufficiente a far quadrare i conti previdenziali. Perché questa specie di “mettiamo i soldi sotto il mattone” può reggersi soltanto se ci sono un numero x di lavoratori in attività per ogni singolo lavoratore in quiescenza. Meccanismo – questo – che è messo in crisi dalla riduzione delle nascite e dall‟aumentata “aspettativa di vita”; ragion per cui in Italia – per esempio – il rapporto fra lavoratori e pensionati si va lentamente ma continuativamente riducendo. Ecco – dunque – che anche qui gli americani e i loro fan europei ci vengono in soccorso con le loro alzate di genio: facciamo entrare più immigrati, facciamoli diventare cittadini italiani (o tedeschi, o francesi) e utilizziamo i loro contributi previdenziali per pagare le pensioni. Nessuno – fra questi geni dell‟economia – che avesse proposto di dare più posti di lavoro ai nostri! I risultati, comunque, sono sotto gli occhi di tutti: in Italia – per esempio – abbiamo 2 milioni e mezzo di lavoratori stranieri che versano regolarmente i contributi, e il Presidente dell‟INPS è ancora in cerca dei soldi per i francobolli. Senza considerare che questo ragionamento – apparentemente fondato – è soltanto una sorta di “catena di Sant‟Antonio”. Ammettiamo che oggi ci vogliano 2 milioni di stranieri per pagare le pensioni degli italiani; quando anche costoro saranno diventati pensionati, serviranno 12 milioni di lavoratori stranieri e, dopo un‟altra generazione, 22 milioni; e così via. Chiaramente – come tutte le catene di Sant‟Antonio – questo sistema è palesemente truffaldino: regge solo fino a quando qualcuno smette di pagare e la catena s‟interrompe; ovvero – nel nostro caso – fino a quando avremo raggiunto la completa saturazione di “migranti”.

popolo

Governo

Sistema bancario

In realtà – è sempre la mia opinione più eretica che mai – anche questo meccanismo può essere piegato dall‟unica scelta logica che oramai è indilazionabile: gli Stati devono riappropriarsi del diritto di creare il proprio denaro e, con questo, fare fronte ai propri compiti istituzionali. Compreso quello di assicurare una pensione dignitosa ai propri cittadini.

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Michele Rallo


Antropos in the world L’ANGOLO DEL CUORE

Da “χρòνο “ Silloge di Franco Pastore ___________________________

SENZA VOCE Ἄφωνη

DOMANI Αυριανή

Sui tetti delle case, aggrovigliate nel silenzio, si cela nell'ombra il respiro del cuore.

Muore il sole tra i rami, il tramonto è perduto. Lentamente, il crepuscolo scompare sotto la luna.

Non più, della mia pelle ancora s‟impregnano le tue labbra.

Come un angelo bianco, l‟alba, domani, aprirà le porte d‟un nuovo mattino.

Come nella prigione d‟ un sogno, senza voce, corre l‟animo dietro un raggio di luna.

IL CASO DI FRITTELLA Ovvero, l’unica bestia al mondo è l’uomo La docile Frittella, benvoluta cagna del quartiere di Aversa, in provincia di Caserta, è stata vittima di un gesto mostruoso. La LNDC sporge denuncia affinché chi ha compiuto questa infamia, la paghi severamente e avverte i cittadini a stare all’erta perché i responsabili di un'azione tanto vile sono individui socialmente pericolosi, anche per i propri simili. Ora Frittella, amabile meticcia tipo golden retriever, è al sicuro, in convalescenza presso la sezione LNDC di Aversa (CE) dove le stanno curando le ferite del corpo e quelle, ancora più profonde, dell’anima. Questa docile cagnolona ufficialmente registrata come cane di quartiere, seguita dalla Lega Nazionale per la Difesa del Cane e benvoluta da tutti, è stata ritrovata, il mattino di sabato 23 gennaio, accasciata e con una copiosa emorragia in corso, nel giardinetto di un bar dove si era trascinata barcollando per poi crollare esausta per terra. I gestori del locale hanno immediatamente chiamato i servizi veterinari dell’Asl che, constatato le condizioni pietose del povero animale, lo hanno trasferito all’Ospedale Veterinario Frullone di Napoli dove è emersa la raccapricciante verità. Frittella era stata vittima di abusi sessuali ad opera di mostri perversi che hanno approfittato della bontà assoluta di questa creatura per accanirsi vigliaccamente su di lei. “E’ un caso di una gravità inconcepibile che denunceremo e seguiremo senza tregua affinché i responsabili vengano individuati e puniti come meritano. Ma sollecitiamo anche una presa di posizione forte da parte del Commis-

sario Straordinario del Comune aversano che, in base alla normativa vigente, è il proprietario di Frittella come di tutti i cani di quartiere del suo territorio” dichiara Piera Rosati, presidente della LNDC. “Noi di Aversa”aggiunge Emma Gatto, presidente della sezione campana – ci attiveremo attraverso i giornali locali e tramite l'affissione di manifesti pubblici, per chiedere la collaborazione di tutti per risalire a chi si è macchiato di questo crimine allucinante. È importante che la gente stia all’erta perché la violenza nei confronti degli animali, come testimoniano studi internazionali di diverse Università e anche i rapporti dell’FBI, è un campanello d’allarme che segnala soggetti sociopatici che usano questi atti come una sorta di palestra per poi passare alla violenza sugli altri esseri umani”. n.d.D.

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EL CID CAMPEADOR

(I PARTE)

DI FRANCO PASTORE ebook cod. GGKEY:W38KJCG48BD E stampa sbn IT\ICCU\PUV\1385163 – SA 2014

Durante le sue lunghe peregrinazioni‚ passa da Burgos e lascia la moglie Jimena‚ con le due figlie‚ al monastero di Cardena. Numerosi cavalieri si uniscono a lui nella lotta contro i mori‚ che sconfiggono in diverse occasioni. Fa prigioniero il conte di Barcellona conquista Valencia e sconfigge il re di Sevilla‚ mandando nuovi doni a Alfonso VI‚ il quale‚ finalmente‚ permette che la sua famiglia lo raggiunga a Valencia. L'eroe è al massimo della sua fama. I due conti di Carrión chiedono e ottengono dal re la mano di Elvira e Sol‚ le belle figlie di Rodrigo de Vivar‚ ma presto i due rivelano tutta la loro codardia‚ sul campo di battaglia,. Per vendicare l‟onta‚ si allontanano da Valencia con le mogli e, giunti al querceto di Corpes, le frustano e le abbandonano. Il Cid chiede giustizia al re, i suoi uomini sfidano e vincono i conti di Carrión‚ i quali vengono dichiarati traditori. Il poema si conclude con Ripescare un personaggio storico così ecceziona- le nuove nozze delle figlie di El Cid. Rodrigo de Vivar è ardito‚ leale e generoso, le è un piacere tanto sottile da annullare ogni incern o n un eroe fantastico come quello della "Chantezza ed ogni paura di confronto con altri scritti. s o n di Roland", non ha nulla di sovrumano‚ né Cid Campeador è il titolo dato al cavaliere Rodrigo Díaz de Vivar, nato a Burgos (in Castiglia) una spada magica che accresca il suo valore. Egli nel1043,l più popolare degli eroi nazionali spagnoli. è soltanto un uomo notevole‚ saggio‚ forte e riIl titolo di Campeador gli fu dato dai soldati cri- flessivo‚ che vive ed agisce in un contesto fatto di stiani‚ militando sotto don Sancio di Castiglia‚ con- bellezza lineare e di virtù non idealizzate. Morì tro il re di Navarra. Furono i Mori‚ invece‚ a chia- combattendo nel 1099‚ all‟età di 56 anni. Il nobile Rodrigo Diaz era figlio di Diego Laímarlo el Cid‚ quando combatté contro di essi‚ sotto Alfonso VI di Leon. Alle sue imprese s'ispirano: il nez, diretto discendente di Laín Núñez, stimato dramma le gesta giovanili del Cid di Guillén de alla corte del re di Castiglia, Ferdinando I e, da Castro (1618)‚ la celebre tragedia di P. Corneille quanto risulta dagli annali navarro-aragonesi della famiglia di Laín Calvo, apparentemente un mem(1636). Il Cid‚ è il capolavoro della poesia eroica del Me- bro dei Giudici di Castiglia,mentre sua madre, Tedioevo spagnolo, della prima metà del XII secolo, resa Rodriguez, era la figlia di Rodrigo Álvarez, dal titolo Il Cantar de mio Cid‚ di autore anonimo e primo conte di Asturia e suo governatore. Rimasto orfano di padre, nel (1058), Rodrigo formato da due cantares: c r e bbe nella corte del re Fernando I di Castiglia  El cantar del destierro (canzone dell‟esilio) insieme al principe Sancho, futuro re come San El cantar de las bodas (canzone delle nozze) cho II di Castiglia. La trama dell‟opera letteraria è la seguente: Rodrigo venne investito cavaliere intorno al Rodrigo‚ campione del re‚ accusato da un cortigiano 1060, nella chiesa di Santiago de los Caballeros, a d‟essersi appropriato di una parte dei tributi dei moZamora da Doña Urraca, futura signora di Zamori di Andalusia, dovuti ad Alfonso VI di León, è manra. dato in esilio. -4-


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Nel 1063, si recò con Sancho a Saragozza e partecipò,contro lo zio di questi, Ramiro I di Aragona, alla difesa della taifa di Saragozza dell'emiro, al-Muqtadir, alleato di Ferdinando I. In seguito partecipò alla battaglia per la conquista del paese di Graus in cui Ramiro, l'8 maggio, morì. In quell'occasione, secondo la leggenda, ottenne il titolo di Campeador quando, per risol-vere una disputa sull'attribuzione di alcuni castelli di frontiera, Rodrigo vinse il duello con Jimeno Garcés, alfiere del re d'Aragona, Ramiro I. Tra gli anni 1063 e 1072 fu il braccio destro di don Sancho e combatté con lui in numerose battaglie. Nel 1066, venne nominato Alfiere Reale (colui che portava lo stendardo del re in tutte le manifestazioni pubbliche) dopo che Sancho era salito al trono della Castiglia nel 1065. Come capo delle truppe reali, il Cid accompagnò il suo re nella guerra che combatté contro il regno di Navarra, detta guerra dei tre Sanchi (Sancho II contro il re di Navarra, Sancho IV ed il suo alleato il re d'Aragona, il successore di Ramiro I, Sancho I) che terminò, nel 1068 con la parziale riconquista dei territori castigliani ceduti da Ferdinando I al fratello Garcia III Sanchez di Navarra. Al fianco del re fu, poi, nella guerra che combatté contro il fratello Alfonso VI, re di León e García, re di Galizia. La guerra fratricida era scoppiata a causa della divisione dell'eredità del padre Ferdinando. Dopo che Alfonso venne sconfitto nella battaglia di Llantada, sul fiume Pisuerga (19 luglio 1068), Sancho e Alfonso raggiunsero un accordo per combattere Garcia, lo attaccarono e lo privarono del suo regno obbligandolo ad andare in esilio a Siviglia, presso il suo tributario abbadide Muḥammad al-Muʿtamid, emiro di Siviglia; ripresa la lotta con Alfonso, nella battaglia di Golpejera, vicino a Carrión de los Condes, (1072), lo sconfissero, lo catturarono ed lo imprigionarono a Burgos, da dove però fuggì e riparando, in esilio, nel regno moro di Toledo, suo tributario. Sancho II occupò allora il León, riunendo così nuovamente il regno che era stato di suo padre.

Non accettarono il fatto compiuto i nobili del León e si strinsero attorno alle sorelle del re, soprattutto a Doña Urraca, che si fortificò nella sua signoria, la città di Zamora. Sancho II dapprima espugnò la signoria di Toro, della sorella Elvira e poi pose l'assedio a Zamora il 4 marzo del 1072; durante l'assedio, pare che un nobile di León, lo zamorano Bellido Dolfos, forse amante di Urra-5-

ca, fingendosi disertore, lo invitò a seguirlo per fargli vedere il punto debole delle mura, lo separò quindi dalla sua guardia e lo assassinò, il 6 ottobre del 1072. Dopo la morte di Sancho II, il Cid ed i castigliani continuarono l'assedio di Zamora; Alfonso VI era tornato a León e, dato che il fratello non aveva lasciato eredi, si prodigò per garantire che, se riconosciuto re di Castiglia, avrebbe trattato i nobili castigliani alla stregua dei nobili leonesi; ma il sospetto che Urraca e Alfonso fossero complici nell'assassinio di Sancho serpeggiava in buona parte della nobiltà castigliana. Maggiorenti castigliani, tra cui il Cid Campeador, dopo aver tolto l'assedio a Zamora pretesero che Alfonso VI giurasse la sua innocenza in pubblico, sul sagrato del la chiesa di Santa Gadea (dedicata a Santa Agata) di Burgos, di poi, lo riconobbero come re di e sovrano di León. Con il nuovo re, l'incarico di Alfiere Reale passò a García

Ordóñez, conte di Nájera. Per alcunianni il Cid fu tenuto in gran conto alla corte di Alfonso che nel luglio del 1074 gli concesse la mano di sua cugina,doña Jimena, figlia del conte di Oviedo e delle Asturie Diego Fernández e della contessa Cristina Fernández.

Donna Jmena Nel 1079, il Cid venne incaricato dal re di riscuotere le parias (tributi) dal re di Siviglia, alMuʿtamid b. ʿAbbād, che allora era in guerra col re del Regno di Granada alleato di García Ordóñez. Rodrigo si schierò con al-Muʿtamid, alleato del re Alfonso e riuscì, nella battaglia di Cabra, a battere il re di Granada e a catturare García Ordóñez. Venne poi coinvolto in un fatto d'armi contro il re di Toledo, alleato del regno del León; tornato a corte, fu messo in cattiva luce agli occhi del re Alfonso da García Ordóñez e da Pedro Ansúrez, potenti nobili della corte di León, che convinsero il re a punirlo con l'esilio (1081). (Continua)


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IL TEATRO ROMANO a cura di Andropos

La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Negli ultimi decenni della repubblica, si assiste a una grande crescita di interesse verso il teatro, che ormai non coinvolge più solo gli strati popolari, ma anche le classi medie e alte, e l'élite intellettuale. Cicerone, appassionato frequentatore di teatri, ci documenta il sorgere di nuove e più fastose strutture, e l'evolvere del pubblico romano verso un più acuto senso critico, al punto di fischiare quegli attori che, nel recitare in versi, avessero sbagliato la metrica. Accanto alle commedie, lo spettatore latino comincia ad appassionarsi anche alle tragedie. Il genere tragico fu anch'esso ripreso dai modelli greci. Era detta fabula cothurnata (da cothurni, le calzature con alte zeppe degli attori greci) oppure palliata (da pallium, come per la commedia) se di ambientazione greca. Quando la tragedia trattava dei temi della Roma dell'epoca, con allusioni alle vicende politiche correnti, era detta praetexta (dalla toga praetexta, orlata di porpora, in uso per i magistrati). Ennio, Marco Pacuvio e Lucio Accio furono autori di tragedie, non pervenuteci. L'unica praetexta ("Octavia") giunta fino ai nostri giorni è un'opera falsamente attribuita a Lucio Anneo Seneca, composta poco dopo la morte dell'imperatore Nerone. Il massimo dei tragici latini si ritiene sia stato Accio, il quale, oltre a scrivere una quarantina di tragedie d'argomento greco, si avventurò nella composizione di due praetextae: Bruto e Decius, tratteggiando i caratteri di due eroi repubblicani romani. Seneca si distinse per lo spostamento del nodo tragico, dalla tradizionale contrapposizione tra l'umanità e le norme divine, alla passione autenticamente sgorgata dal cuore umano.

Lucio Anneo Seneca: Hercules Oetaeus (fabula coturnata - circa 20 d.C.) Seneca, in latino Lucius Annaeus Seneca, anche noto come Seneca o Seneca il giovane (Corduba, 4 a.C. – Roma, 65), è stato un filosofo,drammaturgo e politico romano, esponente dello stoicismo. Seneca fu attivo in molti campi, compresa la vita pubblica, dove fu senatore e questore, dando un impulso riformatore.Condannato a morte da Caligola ma graziato, esiliato da Claudio che poi lo richiamò a Roma, divenne tutore e precettore del futuro imperatore Nerone, su incarico della madre Giulia Agrippina Augusta. Quando Nerone e Agrippina entrarono in conflitto, Seneca approvò l'esecuzione di quest'ultima come male minore. Dopo il cosiddetto "quinquennio di buon governo" (54-59), in cui Nerone governò saggiamente sotto la tutela di Seneca, l'ex allievo si trasformò progressivamente in un tiranno, e Seneca, forse implicato in una congiura contro di lui (nonostante si fosse ritirato a vita privata), cadde vittima della repressione, costretto al suicidio dall'imperatore.Seneca influenzò profondamente lo stoicismo romano di epoca successiva: suoi allievi furono Gaio Musonio Rufo (maestro di Epitteto) e Aruleno Rustico, nonno diQuinto Giunio Rustico, che fu uno dei maestri dell'imperatore filosofo Marco Aurelio. TRAMA DELLA COMMEDIA

La tragedia inizia con un lungo monologo in cui Eracle si lamenta col padre Giove perché non ha ancora mantenuto la promessa della sua assunzione in Cielo, per far parte degli dei olimpici. Egli è reduce dalla presa della città di Ecalia che è rimasta vittima dell'ira dell'eroe al quale il re della città aveva negato la mano della figlia Iole. Deianira, consorte di Ercole, appresa la notizia del tradimento medita un inganno che le permetta di riacquisire l'amore del marito: fa cospargere una tunica di un unguento che è, in realtà, il sangue del centauro Nesso, che il mostro le ha consegnato dopo essere stato ucciso da Ercole con una freccia. Il sangue del centauro è rimasto impregnato del veleno nel quale Ercole impregnava i propri dardi. Ercole, ricevuto il vestito ed indossatolo, si accorge che questo aderisce alle sue carni e comincia a bruciarlo. Saputo ciò, Deianira decide di uccidersi, comprendendo di aver commesso un orrendo delitto: non soltanto ha ingannato Ercole ma ha soprattutto privato il mondo del suo vindex, del suo protettore. Ercole, smaniando per il dolore, si fa costruire una pira sulla quale si fa bruciare. La tragedia si conclude con la risurrezione e la seguente apoteosi dell'eroe che appare raggiante alla madre Alcmena.

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SINOSSI:

Hercules Oetaeus ha come modello principale le Trachinie di Sofocle. La questione della paternità senecana, a lungo dibattuta, rimane ancora aperta.

Guido Reni - Il centauro Nesso rapisce deianira (Museo del Louvre)


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AEDICULA PARTICOLARE Di Renato Nicodemo Le edicole (dal latino aedicula: diminutivo di aedes, tempio), erano presenti già nel mondo pagano; venivano erette dalla pietas degli antichi Romani verso i Lari ed i Penati protettori delle loro case o per ricordare i defunti. Nel Medioevo più che nelle abitazioni si diffusero nelle chiese inserendosi nell'architettura gotica. Dal Rinascimento in poi si diffuse l'uso delle edicole, munite di lucerna votiva, - che diede inizio all'illuminazione delle strade - sulle facciate o agli angoli delle case, per non sentirsi soli e per essere consolati da una presenza che osserva e aiuta. Nel Sei-Settecento assunsero quella struttura che troviamo ancora oggi: nicchie a misura di finestra, ornate da stucchi, con lampada votiva e, spesso, con iscrizioni che sono di per se stesse un poema di amorosa fede, tanto più preziosa quanto più schietta e ingenua. A Napoli, ad esempio, su questo sentimento popolare il domenicano Padre Gregorio Rocco, nel 1700, riuscì ad illuminare la città invitando i concittadini a impiantare edicole votive illuminate per risolvere la piaga delle aggressioni nei vicoli oscuri. (l) Ecco, poi, qualche preziosa testimonianza di fede schietta:  Se de 'falli tuoi brami il perdono/Offri a Maria il cuore in dono./Rifugio dei peccatori Ella ti chiama! E di salvarti ardentemente brama.  Qui con dimessa fronte/O passegger t'arresta./Qui delle grazie è il fonte/ Di Dio la madre è questa./Mirala, piangi e prega/Ch 'Ella a devoti suoi grazie non nega.  Vi saluto Maria/Salutate Gesù da parte mia.  Posuerunt me custodem. Tra le poesie ricordiamo questa del poeta G. Barsottini: Sulle vie popolate e sugli aperti piani/E per entro i solitari boschi/E negli antri più foschi/E sull 'aspre montagne e sui deserti;/per ogni parte, in tempi a noi remoti,/I nostri padri con pietà divina!Del Cielo alla Regina! Alzarono cellette e appeser voti. Alcune di queste umili edicole, a causa di eventi straordinari, sono diventate santuari famosi, come, ad esempio, quella della Madonna del Pilone a Vico presso Mondovì o quelle, a noi più vicini, della Madonna dei Bagni a Scafati e della Madonna dell' Arco vicino Napoli. I motivi che ne determinano l'erezione sono prevalentemente devozionale,propiziatorio, per grazia ricevuta o per voto. (2)

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Le DEVOZIONALI vengono inserite nelle facciate delle case e sono costituite da una nicchia racchiudente l'immagine sacra (Madonna, Gesù, Santi). Le PROPIZIATORIE si trovano lungo le strade, presso incroci o tratti particolarmente difficili o pericolosi per uomini o animali. Ricordiamo qui il tabernacolo con le anime purganti che incontrava don Abbondio lungo il viottolo che percorreva per la sua solita passeggiata (I Promessi sposi, Cap. I). PER GRAZIA RICEVUTA: è un modo di ricordare e ringraziare la grazia ricevuta dalla Divinità o Santo che l'ha concessa; se c'è stata una promessa l'erezione avviene per EX VOTO. Le immagini sacre - dipinti a fresco sul muro, quadretti, statuine - sono le più varie, ma prevalgono quelle della Madonna sotto i suoi numerosi titoli devozionali: Hodigitria (La Conduttrice), Eleusa (La Misericorde) Immacolata, Addolorata, Assunta, del Carmelo, del Rosario, con Santi o con le anime del Purgatorio, ecc .. La Vergine, infatti, è percepita dalla pietà popolare come una Madre potente e misericordiosa, attenta ad ascoltare le preghiere che le vengono rivolte soprattutto dagli umili e dai deboli e pronta a rispondere ai bisogni concreti della vita. Trascurate da tempo sono tornate di recente al centro di un rinnovato grande interesse; lungo le strade, sui muri delle case, nei sentieri delle montagne con varie denominazioni (verginine, madonnelle, maestà, capitelli, madonnette, figureddi) queste testimonianze della devozione popolare fanno ancora bella mostra di sé, molte hanno fiori freschi e candele accese! E sono ormai numerose le Amministrazioni comunali che finanziano progetti per catalogarle e restaurarle. Non mancano in proposito pubblicazioni, associazioni, convegni e ricerche anche da parte di scuole. L'Istituto Nazionale di Ricerche e di Studi sull'Edilizia Popolare Sacra (lSEPS) ha condotto studi approfonditi sulle edicole affermando tra l'altro che "anche oggi esse non sono soltanto una nota di colore decorativa devozionale o folcloristica, ma che le immagini della Vergine o dei Santi richiamano ad una discreta ma reale presenza e instaurano un intimo rapporto con una persona che ascolta e vede tutto quello che accade intorno, partecipando così anch'essa attivamente alla vita degli uomini. "(3) ( Continua a pagina 23)


Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI SAN VALENTINO TORIO, il giornalista Dott.Vincenzo Soriente

PETROLIO? NO, GRAZIE! Il petrolio a partire dagli anni sessanTa è stato sempre al centro dell‟attenzione in tutti i paesi del mondo. L‟economia ha seguito con costanza l‟ andadamento della produzione,del prezzo e delle ricadute sui bilanci statali.Il prezzo continuava a salire in concomitanza con la diffusione dell‟auto negli Stati Uniti e in Europa. In Italia, dopo un periodo di costante crescita dei consumi di benzina e petrolio, seguì un periodo (negli anni settanta) di crisi, con delle misure drastiche per limitare l‟uso dell‟auto nei giorni festivi (la domenica tutti a piedi). Intanto, non si poteva fare a meno del cosiddetto “oro nero” ; il petrolio costava sempre di più, mentre noi avevamo sempre più bisogno di questo prezioso carburante che serviva per le auto (che aumentavano sempre di più), per il riscaldamento (centralizzato), per il trasporto delle merci, per le centrali produttrici di energia elettrica, per il bitume per asfaltare le strade, per la lavorazione della plastica. Il problema era serio: a fronte dei pochi paesi produttori di petrolio ( che si arricchivano a dismisura), tutti gli altri paesi erano in sofferenza per il prezzo che continuava sempre a salire. Si cominciò a parlare del petrolio come di una risorsa che prima o poi si sarebbe esaurita. Fu a questo punto che gli Stati Uniti, l‟Inghilterra, l‟Europa e tutti i paesi occidentali, decisero di fare qualcosa per contrastare il monopolio dei paesi produttori di petrolio. Gli Stati Uniti cominciarono a fare delle ricerche e trovarono del petrolio anche loro nello sterminato suolo americano. L‟Inghilterra, a seguito di ricerche, trovò del petrolio nel Mare del Nord, al largo della Scozia. In Italia, a seguito di ricerche, fu trovato del petrolio in Basilicata, e si riuscì, sia pure in minima parte a fronteggiare il problema. In Europa e in altri paesi occidentali cominciarono delle ricerche scientifiche per cercare di trovare una soluzione per le auto puntando, prima su auto con una più ridotta emissione di gas nell‟atmosfera e, poi su fonti alternative, come il gas o con energia elettrica ricavata da pannelli solari direttamente sulle auto ( è stato costruito anche un aereo che consuma solo energia solare!). Per gli usi domestici, per il riscaldamento, si fece ricorso alla costruzione di lunghi gasdotti (in superficie o sottomarini) per far arrivare gas prezioso. Intanto si erano costruite navi petroliere sempre più grandi per il trasporto del petrolio e, in alcuni casi, si verificarono anche gravi “ incidenti ” durante il trasporto con enormi danni per l‟ambiente e per i mari. A partire dal secolo corrente, la situazione sembra notevolmente migliorata con conseguente abbassamento continuo pel prezzo del greggio: Ma l‟Europa e i paesi più avanzati con una ricerca più ossessiva sono riusciti a raggiungere ragguardevoli risultati positivi per trovare soluzioni alternative e cercare allo stesso tempo di adottare tutti gli accorgimenti necessari per combattere lo “smog” nei grandi centri urbani o industriali. Di conseguenza, tutti i maggiori paesi produttori di automobili hanno cercato in

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in tutti i modi di indirizzare i loro sforzi verso la costruzione di auto ibride o verso auto completamente elettriche. All‟inizio queste auto presentavano due problemi urgenti da risolvere: la velocità (più modesta) e la durata della carica, comunque effettuata, e la velocità di ricarica delle batterie. Agli albori di questa ricerca le auto elettriche presentavano questi problemi, che, con il passare degli anni, sono stati in gran parte risolti. Risultato? Si è passati ad un tipo di batteria che meglio soddisfa queste esigenze: la batteria al litio. E si spera che quanto prima si riusciranno ad ottenere risultati molto incoraggianti, impensabili pochi anni fa. E, nel contempo, si sta cercando di raggiungere l‟obiettivo di effettuare la ricarica in tempi molto più ridotti (addirittura cinque minuti). Intanto in questi giorni stiamo registrando con meraviglia che il costo del greggio sta subendo dei ribassi enormi (nel momento in cui scrivo – gennaio 2016 - questo prezzo si aggira intorno ai trenta dollari a barile!). La caduta libera del prezzo del greggio viene spiegata in questo modo: per alcuni questo fenomeno è legato ad una legge economica, mai andata in soffitta, secondo la quale il prezzo cala perché la domanda diminuisce nei confronti dell‟offerta, mentre, secondo altri, ancora una volta lo scenario politico dei paesi produttori ha fatto registrare grandi manovre per conservare il suo prezioso tesoro; secondo altri ancora il crollo dei prezzo del greggio è dovuto a manovre politiche da parte dei maggiori paesi produttori in vista di un probabile ritorno sul mercato di paesi come l‟Iran e la Libia. E‟ inutile sottolineare che la diffusione di questa nuova risorsa energetica si presenta come una grande rivoluzione: si risolve il problema della dipendenza dal petrolio per i paesi che ne sono privi e, cosa altrettanto importante, si contribuisce in maniera notevole alla risoluzione dei gravi problemi di inquinamento riscontrati nell‟anno scorso in tutte le grandi città del mondo. .

In conclusione aggrappiamoci a questa batteria al litio sperando che ci risolva tutti i problemi sin qui elencati. V. S. ________________________________

V. Soriente, ha frequentato il liceo T.L.Caro di Sarno e l’Università Federico II di Napoli. Stimato avvocato, è stato Sindaco di S.V.Torio e Dirigente scolastico alle Scuole medie inf. e sup..Attualmente, quale giornalista europeo, è redattore capo, presso “Antropos in the world”.


Antropos in the world

L‟AUTORE DEL MESE:

Antropos

CATULLO A NAPOLI Copyright © by Franco Pastore - Febbraio 2015 Una realizzazione A. I. T. W. - GGKEY:28FR507EU9K E

Presso le Librerie universitarie di Salerno, Campobasso, Napoli, Modena e Pavia.

Poeta lirico latino C. Valerius Catullus nacque a Verona nell‟84 a. C. circa. Di agiata famiglia, appena indossata la toga virile si recò a Roma, dove e fu accolto nell'alta società e nei circoli letterarî più noti. Ricco, con una casa a Verona e a Roma, una villa a Sirmione sul Garda, un'altra fra Tivoli e la Sabina, fu a Roma che si innamorò di una donna che doveva essere la gioia e la tragedia della sua vita di poeta e d'uomo. Egli la cantò sotto lo pseudonimo di Lesbia, ma, con tutta probabilità essa era Clodia, una delle sorelle di Publio Clodio Pulcro, moglie di Quinto Metello Celere. Non si sa quando sia iniziato il loro amore; certo era già cessato prima del 57: la morte del fratello aveva allontanato il poeta dalla sua donna, anche si in effetti, il rapporto era stato un continuo succedersi di rotture e di riconciliazioni. Nel 57 a. C.. il poeta seguì Gaio Memmio in Bitinia, per dimenticare e per rimediare alle disastrose condizioni finanziarie, dovute alla sua prodigalità, ma nulla ottenne e, disperato, si recò a piangere sulla tomba del fratello sepolto presso il promontorio Reteo. Tornato in Italia, cercò riposo e pace nella sua villa di Sirmione. Della produzione poetica di Catullo sarebbero probabilmente rimasti solo pochi frammenti,come è avvenuto per gli altri "poeti nuovi", se nel Trecento non fosse stato ritrovato un manoscritto con le sue poesie. Il manoscritto, il cosiddetto "Codice Veronese", ignorato per secoli, fu copiato e poi perduto. Le liriche del manoscritto non furono quasi sicuramente pubblicate dall'autore, ma raccolte dopo la sua morte in un Catulli Veronensis Liber, che comprende 116 carmi per un complesso di circa 2 300 versi. I compilatori della raccolta non seguirono un criterio cronologico o di affinità tematica, bensì uno metrico e stilistico: all'inizio e alla fine le poesie più brevi, al centro le più lunghe ed erudite. -9-

Si ritiene comunque che sia in parte diverso da quel lepidum novum libellum (garbato nuovo libretto) che Catullo aveva dedicato all'amico Cornelio Nepote,come si legge nel primo canto, e che doveva essere composto solo da poesie brevi. I carmi di Catullo si dividono in tre sezioni: 1. le cosiddette nugae, piccoli carmi in metri varî con prevalenza di endecasillabi (1-60); 2. i cosiddetti carmina docta (61-68), di maggiore impegno, epitalamî, poemetti, elegie, in composizione strofica di gliconei e ferecratei (61), esametri (62 e 64), galliambi (63), distici elegiaci (65-68); 3. epigrammi in distici elegiaci (69-116) che per l'argomento non si distinguono dalle nugae.I carmi del primo e del terzo gruppo sono pieni degli odî e degli amori di Catullo Egli passa attraverso tutti i gradi del sentimento alternando ad accenti delicati espressioni violente e volgari, in essi si avvertono gli influssi di Archiloco, Saffo e Callimaco, ma non intorbidarono mai la limpidezza delle sue espressioni. La figura di Lesbia, predominante, non ha mai l'aspetto di una finzione letteraria,ma esonda nei versi come una tempesta di sabbia nel deserto. La polimetria dei carmi del poeta risponde al movimento del suo animo, la lingua è viva e familiare,con espressioni un po' ricercate e grecismi nei carmi maggiori.Egli, il maggiore dei poetae novi, fu dagli antichi chiamato poeta doctus, con evidente allusione ai soli carmi maggiori, ma la sua poesia sgorga anche dagli strati più intimi dell'anima.Figlio del suo tempo,ma fortemente individuale, fu continuamente alla ricerca dell‟amore ma, deluso dipinse i suoi versi di struggente malinconia: « Damme „nu vase,/ e mille e nati ciénte./ E quanne so‟ migliaia / „sti mumènte,/ l‟arravugliàmme „ndà nu firmamente,/ ca nu‟ se po‟ cunta‟,/ pecché l‟mmòre nunn‟è malvagità.» (Catullo, Vivamus mea Lesbia)


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LA DONNA NELLA STORIA - A cura di Andropos -

Caterina Cornaro

Nacque dalla casata veneziana Corner del ramo di San Cassiasiano, figlia di Marco di Giorgio, diretto discendente dell'omonimo doge,e di Fiorenza di Nicolò Crispo,duchessa di Nasso e nipote per via materna dell'imperatore Giovanni IV di Trebisonda.Trascorse un'infanzia serena, dapprima nel palazzo di famiglia sul Canal Grande,quindi, dal suo decimo compleanno, nel monastero delle benedettine di San Benedetto Vecchio, presso Padova. Nel luglio del 1468, a quattordici anni, sposò per procura il re di Cipro e di Armenia Giacomo II di Lusignano.Il matrimonio era stato proposto da Andrea Corner, zio paterno di Caterina il quale, bandito da Venezia e confinato a Cipro, aveva rafforzato i legami di amicizia che legavano la sua famiglia ai Lusignano. L'unione risultava vantaggiosa per entrambe le parti: la Serenissima intendeva estendere la sua influenza su Cipro, importante base commerciale dove già deteneva grossi interessi economici; il sovrano aveva bisogno di un alleato potente, minacciato dalle rivendicazioni della sorellastra Carlotta (da lui detronizzata nel 1464), dalle pretese dei genovesi su Famagosta e dall'incombere dei turchi. Giacomo fu rappresentato nella fastosa cerimonia dal suo ambasciatore Filippo Mistahel. Caterina portò una dote ricchissima: 100.000 ducati, che vennero assicurati sulle rendite di Famagosta e Cerines. Tuttavia dovettero passare alcuni anni prima che potesse raggiungere il suo consorte. Quest'ultimo, infatti, in un primo periodo trascurò l'impegno e cominciò ad avvicinarsi al regno di Napoli, da sempre nemico della Serenissima, e a considerare un nuovo matrimonio con una figlia naturale di re Ferdinando.Tuttavia le insistenze dei veneziani e soprattutto l'avanzata ottomana lo convinsero a rispettare i patti e nel 1469 concluse un'alleanza con cui Cipro veniva posto sotto la protezione della repubblica. In effetti, il Lusignano temporeggiò ancora qualche tempo finché, di fronte alla minaccia della repubblica di Venezia di far tornare sul trono la sorellastra, nell'estate del 1472, si decise a inviare un'ambasciata in laguna per portare Caterina sull'isola. La futura regina fu condotta al porto di San Nicolò a bordo del Bucintoro, accompagnata dal doge Nicolò Tron e da una moltitudine di nobili e popolani. Il 26 settembre,nel monastero di San Nicolò del Lido, fece testamento in cui nominava il fratello Giorgio suo principale erede in caso di morte senza figli. Giunta finalmente sull'isola, Caterina si unì in matrimonio al sovrano nella cattedrale di San Nicola a Famagosta. Poco dopo, a Nicosia, venne incoronata. Pochi mesi dopo, nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1473, Giacomo II moriva improvvisamente, lasciando la consorte incinta. Fu tumulato nella cattedrale di Famagosta. Prima di spirare il sovrano aveva lasciato delle disposizioni ambigue sicché la regina, benché designata a succedergli assieme al figlio che aspettava, venne esclusa dal governo. Le redini del regno furono invece assunte da un collegio di commissari, formato, ad eccezione dello zio Andrea Corner, da esponenti del partito filo-napoletano. Altra fonte di insidie furono i tre figli naturali del sovrano,ai quali sarebbe spettata la corona in caso di morte sua e del nascituro, e le mai sopite rivendicazioni di Carlotta. Frattanto, il 28 agosto, diede alla luce l'erede al trono al quale impose il nome di Giacomo III. Di fronte a questa situazione, la repubblica passò alle vie di fatto: il 24 agosto il capitano generale da Mar, Pietro Mocenigo, ricevette l'ordine di raggiungere Cipro con la flotta per occuparne le posizioni più strategiche; il 31 agosto comunicò a papa Sisto IV, sostenitore di Carlotta, di voler difendere il regno ad ogni costo, conservandolo sotto la sovranità della sua "figlia adottiva"; un comunicato simile fu inviato, il 2 settembre, a Ferdinando I di Napoli.Queste azioni, tuttavia,non intimidirono gli oppositori della sovrana.Capeggiati dall'arcivescovo di Nicosia Luigi Fabricies, appena tornato da Napoli dove aveva negoziato le nozze tra Ciarla e Alfonso (figli naturali rispettivamente di Giacomo II e Ferdinando di Napoli), ordirono un complotto:nella notte tra il 13 e il 14 novembre i congiurati irruppero nel palazzo reale, trucidando gli uomini più fidati di Caterina, tra cui Andrea Corner e il nipote di questi Marco Bembo.

Successivamente, comunicarono alla Serenissima che i due veneziani erano stati uccisi dai propri mercenari per un mancato pagamento e la invitarono a disarmare le sue truppe perché non avvenissero altri incidenti; Venezia adottò una linea prudente: acconsentì. Allo stesso tempo la regina fu sottoposta a nuove vessazioni: fu obbligata a consegnare le fortezze, ad assentire alle nozze tra Ciarla e Alfonso e di riconoscere a quest'ultimo il titolo di principe di Galilea, tradizionalmente assegnato all'erede al trono di Cipro; in aggiunta le fu strappato il figlioletto che venne affidato alla suocera Marietta di Patrasso e le vennero sottratti il sigillo reale e i gioielli della corona. Per tranquillizzare Venezia, i commissari in-viarono in laguna un'ambasciata che recava alcune lettere estorte a Caterina in cui veniva confermata la versione dei fatti da loro sostenuta. Negli stessi giorni il Mocenigo, ritiratosi a Modone con il grosso della flotta, si era insospettito per il transito di navi napoletane che riportavano a Cipro il Fabricies. Aveva quindi inviato sull'isola il provveditore Vettor Soranzo con dieci galee; qui incontrò i commissari e gli venne assicurata l'intenzione di restituire alla regina la sua autorità. Ma la situazione per i congiurati si stava complicando: Ferdinando, volendo evitare lo scontro diretto con la repubblica, smise di apportare il suo aiuto, mentre tra gli stessi commissari stavano sorgendo delle discordie e c'era chi avrebbe preferito un accordo con Venezia proponendo il matrimonio tra il maggiore dei bastardi di Giacomo II e una sorella della Corner. Di questo momento di difficoltà approfittò il Soranzo che, favorito dagli abitanti di Nicosia che si erano rivoltati a sostegno della regina, il 31 dicembre sbarcò a Famagosta con le proprie truppe, provocando la fuga del Fabricies e di altri congiurati. Assicuratosi il controllo dell'isola, mise a morte quanti erano coinvolti negli assassini del Corner e del Bembo, bandì catalani, siciliani e napoletani e ne confiscò i beni. Quando il 2 febbraio il Mocenigo lo raggiunse con il resto della flotta, l'isola era ormai pacificata.Caterina continuò a regnare sotto la costante protezione della repubblica di Venezia anche dopo la morte di suo figlio Giacomo III, avvenuta per febbri malariche nel 1474. Nell'ottobre 1488 fu scoperta un'altra congiura, ordita ancora dai nobili catalani.Venezia represse di nuovo la ribellione e decise di richiamare Caterina costringendola ad abdicare a favore della repubblica. A seguito del suo rifiuto, fu minacciata che, nel caso di disobbedienza, sarebbe stata spogliata di tutti i privilegi e trattata come ribelle.Il 26 febbraio 1489 fu sottoscritto l'atto ufficiale dells abdicazione di Caterina in favore della repubblica di San Marco. Il 18 marzo, vestita di nero, la regina lasciò per sempre l'isola. Venezia accolse la sua figlia in maniera trionfale. Arrivata da Cipro a San Nicolò al Lido, entrò il giorno seguente, il 6 giugno 1489, seduta sul Bucintoro accanto al doge Agostino Barbarigo, dopo la consegna formale della corona alla Serenissima in S.Marco, fu no-minata domina Aceli (signora di Asolo), conservando tuttavia anche negli atti ufficiali il titolo e il rango di regina. Sul territorio di Asolo, Caterina aveva gli stessi poteri del doge. Unici limiti: non poteva far subire ai sudditi nessun onere o angheria e non poteva ospitare chi non fosse gradito al doge. Morì a Venezia il 10 luglio 1510 e venne tumulata nella chiesa dei Santi Apostoli. Tale fu la folla che volle partecipare al rito funebre che i Provveditori fecero costruire un ponte di barcheda Rialto a Santa Sofia per permettere un migliore deflusso.La salma rimase solo pochi anni nella chiesa dei Santi Apostoli perché nel 1584 venne trasferita nella chiesa di San Salvador, nella grande tomba voluta per lei dal fratello Giorgio, dove tuttora riposa

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Antropos in the world DA TRAPANI

SCHENGEN LA SCHEGGIA IMPAZZITA DELL‟UNIONE EUROPEA

Schengen è un piccolo paesino,posto all‟estre mo sud-orientale del minuscolo Granducato del Lus semburgo. La sua esistenza – probabilmente – sarebbe oggi nota solamente agli specialisti di geo grafia del Benelux, se non fosse stato per un pic colo particolare, di quelli che una volta si chiama vano “accidenti della storia”: il convegno tenutovi, in un lontano giorno del 1985, fra i rappresentanti dei governi di Germania occidentale, Francia, Bel gio, Olanda e Lussemburgo, e l‟accordo (detto ap punto di Schengen) raggiunto in materia di “elimi nazione graduale dei controlli” alle frontiere comu ni fra i cinque Stati interessati; con l‟obiettivo finale di costituire un‟area comune di libera circola zione per uomini e merci. Obiettivo presto raggiun to, e codificato nel 1990 in un vero e solenne trat tato internazionale – la Convenzione di Schengen – cui aderivano successivamente anche Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia; ma non l‟Inghilterra. Nel frattempo – nel 1992 – era nata l‟Unione Europea, che nel 1999 recepiva la Convenzione e la acquisiva al proprio apparato istituzionale ( Trattato di Amsterdam). Da quel momento, gli Stati che ade rivano all‟Unione aderivano automaticamente an che alle disposizioni della Convenzione di Schen gen, ed erano quindi tenuti ad abolire i controlli al le frontiere “interne” ed a consentire la libera cir colazione di persone e cose (e denari) all‟interno dello “spazio Schengen”. E non era tutto: perché – nella foia di ampliare a dismisura i confini di questa pseudo -Europa senza frontiere– i burocrati di Bruxelles concepivano l‟al largamento dello “spazio” anche ad altri Paesi esterni all‟Unione, che volessero accettare i dettami di Schengen. Era il caso – fra gli altri – della Svizzera, il cui governo aderiva nel 2008, ma che nel 2014 era costretto a fare precipitosamente marcia indietro; e ciò per l‟esito del referendum popolare che aveva bocciato il libero attraversamento dei confini elvetici (vedi «Chi ha paura del referendum svizzero?» su “Social” del 21/2/14). Quello elvetico era probabilmente il primo campanello d‟allarme, anche se proveniente da un Paese estraneo all‟Unione. Ma si preferiva igno rarlo, liquidandolo come un “referendum razzista”, da archiviare il più in fretta possibile insieme agli altri fastidiosi episodi di “populismo” anti -UE. La cupola europea continuava a far finta di nul la, ligia alle disposizioni che, dall‟altra sponda del l‟Atlantico, ordinavano che l‟Europa finisse di essere “fortezza” e si aprisse al mondo: prima agli immigrati, che dovevano alterarne l‟identità fisica e

culturale; e subito dopo – beninteso – al trattato coloniale di libero scambio (il famigerato TTIP) che in un futuro prossimo dovrebbe distruggere i suoi ulti mi scampoli di benessere. Si è andati avanti così per un annetto, fra una giaculatoria di Papa Bergolio e i moccoli del giorna lismo buonista, mentre l‟ISIS ammassava in Libia un milione di “rifugiati” africani, che poi scaglio nava nelle quotidiane spedizioni verso le coste sici liane, brillantemente collaborata dalle missioni di soccorso d‟ispirazione vaticana (l‟italiana “Mare Nostrum” e l‟europea “Triton”). Si poteva far finta di nulla, perché quei fessi di italiani accoglievano i migranti che si proclamavano “rifugiati” (cioè tutti), li ospitavano spensieratamente per un annetto, e poi facevano finta di credere che si trattasse veramente di emaciati esuli politici e non di baldi giovani in cerca di fortuna. A un certo punto, però, il meccanismo si è in ceppato. Ciò è accaduto nell‟autunno scorso, quando dalla Turchia di Erdoğan sono cominciati a partire contingenti sempre più folti di profughi siriani e di migranti economici di varie nazionalità asiatiche (ma con passaporto “siriano” made in Turkey) diretti – attraverso la Grecia e i Balcani – in Germania e nell‟Europa settentrionale (vedi «Signori, l‟invasione è servita» su “Social” dell‟11/9/2015). Mentre i Paesi esteuropei, uno dopo l‟altro, iniziavano ad alzare i loro bravi muri e mentre l‟Inghilterra blin dava il passo di Calais, la signora Merkel – improvvisamente e misteriosamente convertita al buonismo – apriva le porte della Germania ai profughi veri e falsi. Malgrado la mancia miliardaria promessa ai turchi per arginare l‟esodo, in breve fiumi di mi granti si riversavano sulle strade dei Balcani, inneg giando alla Kanzlerin ed alla sua magnanimità. Imbarazzati, i Paesi del Nordeuropa e dell‟area germanica si allineavano disciplinatamente alla capofila, e si dichiaravano pronti ad ospitare quanti più immi grati possibile. Ma questa disponibilità è durata lo spazio d‟un mattino. Perché, sommersi da una vera e pro pria invasione, anche i nordici hanno alzato i loro bravi muri. Muri non materiali,non di mattoni, ma non per questo meno difficili da superare. Le loro barriere si chiamano pudicamente “controlli alle frontiere inter ne”, ma suonano comunque come un de profundis per le utopistiche regole di Schenghen. Alla fine, anche la Merkel ha dovuto fare una imbarazzante retromarcia e si è di fatto convertita alla causa dei controlli alle frontiere.Con il cerino in mano sono rimaste soltanto l‟Italia di Renzi e la Grecia

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Antropos in the world del convertito Tsipras, piene zeppe di immigrati che nessun altro è più disposto ad accogliere. Ecco perché il Vispo Tereso si agita tanto e va dicendo che, se si archivia Schengen, l‟Eu ropa finisce. Perché sa benissimo – il tapino – che bloccare la “libera circolazione” nell‟Unione Europea(anche soltanto per due anni,come da taluno proposto) significherebbe condannare l‟Ita lia a tenersi per sempre quell‟esercito di “rifugiati” che per ora si accontenta di bivaccare nei centri di accoglienza,ospitati,nutriti, vestiti e stipendiati con fondi in larga parte europei. Cosa succederà quando sarà passato il periodo previ sto per l‟esame delle richieste d‟asilo e dall‟UE

non arriveranno più i contributi? Cosa succederà se, sospesa “provvisoriamente” Schengen, i “rifugiati” non potranno uscire dall‟Italia? Come fare per rimpa triare l‟esercito dei non aventi diritto all‟asilo, senza affrontare rivolte e disordini di ampie proporzioni? E, se non si sarà in grado di rimpatriarli, come gesti re centinaia di migliaia di nerboruti giovanotti che, in un modo o nell‟altro, dovranno procurarsi il necessa rio per campare? Ecco perché il Bulletto dell‟Arno – insieme al Topolino del Pireo – si agita tanto. Sa benissimo che dalla sopravvivenza di Schengen dipende anche la sua personale sopravvivenza politica. Michele Rallo

Facebook è un kinderheim planetario Nel tempo in cui si va globalizzando tutto, compresa la disperazione dei migranti che ci parlano attraverso il loro corpo, la loro allarmante invadenza fisica, il re della più grande rivoluzione immateriale e antisociale, Mark Zuckerberg, festeggia con un miliardo di persone connesse in un solo giorno, il rumore di fondo che ci avvolge (ci scalda, ci illude) e che noi chiamiamo comunicazione interattiva, equivocandone il suo sostanziale silenzio passivo. Perché credendo di parlare agli altri, stiamo in realtàparlando con noi stessi. In una collettiva regressione infantile, verso quei giochi che giocavamo da soli, ma facendo le voci di tutti i personaggi in campo. Facebook è un kinderheim planetario. Dentro al quale la benestante moltitudine del pianeta – quella che in questo momento non sta morendo di fame, di sete, di aids,non sta per annegare su un barcone, non si sta scannando nella macelleria di una qualche lurida guerra santa – non ha assolutamente nulla da dire, ma lo dice almeno una dozzina di volte al giorno. Lo fa postando nella propria pagina il piatto di patatine che sta per mangiare. La bevanda colorata che ha di fronte. Il bel tramonto ad ampio schermo e il brufolo stretto nel dettaglio. Lo fa scrivendo resoconti non richiesti di vacanze andate in malora e di diete da ultimare. Di amori finiti male. Di un film da vedere, di un ristorante vegano da evitare. Di un video imperdibile dove un tizio da qualche parte in America ha appena sterminato la famiglia e ora finalmente sta per suicidarsi, appena dopo la pubblicità. La forma che in Facebook diventa sostanza, illude chi digita i messaggi che stia per davvero comunicando qualcosa a qualcuno, ma non è quasi mai vero. Il più delle volte sta solo facendo a se stesso il resoconto millimetrico della propria solitudine. E sta usando gli altri come pretesto. Sta semplicemente dicendo allo specchio “Io sono qui”. E dicendolo dieci volte al giorno, vuole convincersi di esistere per davvero almeno in quello specchio, grazie a quella scia digitale che lo avvolge di luce. Per poi cercare il coraggio di farsi la seconda domanda, quella cruciale: “C‟è qualcuno in ascolto?” Domanda che non ha quasi mai una vera risposta, anche

quando ne raccoglie cento oppure mille. Perché se chi manda una voce in rete la manda a se stesso, altrettanto fa chi risponde, quasi sempre parlando d‟altro, accontentandosi di cogliere uno spunto per imprimere una nuova direzione al discorso, la sua. Un tempo mi impressionavano i primi viaggiatori di treni e metropolitane che non alzavano mai lo sguardo verso il vicino, ma concentravano tutta la loro attenzione sulla superficie dei cellulari e dei computer che li rifornivano di immagini, suoni e compagnia.Erano sparpagliati qui e là nei vagoni, in mezzo a qualche giovane donna che inspiegabilmente leggeva ancora un libro di carta e a qualche filippino che parlava (in diretta, live) con la persona in carne e ossa che gli stava accanto. Oggi il paesaggio è uniforme, quelle giovani donne con i libri sono scomparse, i filippini sono anche loro connessi, intorno solo teste reclinate in sequenza sui bagliori dello schermo degli smart-phone, nessuno che si azzardi ad alzarla. Lo stesso accade sempre più spesso – fateci caso – al ristorante, al semaforo, dove coppie di amici o fidanzati navigano ognuno per contro proprio, insieme solo nella forma, ma separati nella sostanza. Ognuno dentro un mondo lontanissimo, il proprio. Ma l‟immaterialità che ci avvolge non è e non sarà senza conseguenze. Ci sta rendendo sempre più fragili – più stupidi e specialmente più spaesati – come lo sono quei turisti d‟agenzia o da crociera che credendo di viaggiare per il mondo stanno fermi in un simulacro del mondo, protetti dall‟aria climatizzata, lavati e nutriti, difesi da ogni interferenza della vita reale, fossero anche il caldo e gli insetti. La nostra crociera dentro il mondo che non esiste, finirà prima o poi per fare naufragio contro gli scogli di quello vero. La crisi economica e i tagliatori di teste non spariranno in un clic. E nemmeno le ondate dei migranti che con i loro corpi e le loro morti atroci sono un principio di realtà che ci sorprende così tanto da credere alla scorciatoia politica dei muri e delle ruspe. E se quel giorno – mentre postiamo una ricetta o un insulto su Facebook – ci verrà addosso il mondo, toccherà affrontarlo con gli occhi di nuovo aperti e il telefonino spento. Se ne saremo ancora capaci.

Pino Corrias (Da Il fatto quotidiano)

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COME E QUANDO CONOBBI FRANCO Di GIUFFRY FARINA All‟incirca quaranta anni fa conobbi Franco Pastore nel salotto letterario di “Verso il Duemila” in Salerno; della omonima rivista diretta da Arnaldo Di Matteo, Franco ne era perno, essendo vicedirettore. Momenti leggiadri,noi amici ci incontravamo nella sede,in via Luigi Guercio, dal professor Arnaldo, conversavamo con „il nostro linguaggio‟ intorno ai „nostri amori‟:la poesia, la narrativa, la pittura, la musica, la scultura … Ricordo con tenerezza quei meravigliosi istanti, Franco apprezzava particolarmente le delicate liriche di Angelo Nese, faccio affiorare alla memoria le figure della saggista Liana Annarumma , del poeta Antonio Limongi, del giornalista Saverio Natale, del critico letterario Giuseppe Capozzoli ….Però, purtroppo, numerosi sono gli amici che ci hanno lasciato: Di Matteo, il professor Vittorio Di Benedetto, il dottor Renato Ungaro, lo stupendo pittore Gigino Grieco, l‟altrettanto meraviglioso artista Alfonso Grassi, il coltissimo preside Marino Serini (del quale,tra i tanti, in particolare apprezzai uno stranissimo, singolare articolo che trattava del “linguaggio delle anime nell‟oltretomba Dantesco” ), il poeta Achille Cardasco, il vicedirettore di Agire professor Claudio Di Mella, il sindaco Alfonso Menna; non sono più con noi alcuni cari ai quali Franco era legato particolarmente: il leggiadro cantore di “Ninfa plebea” ,di “Spaccanapoli”, di “Gesù, fate luce”, Domenico Rea il quale nel 1979 recensì l‟opera di estetica morale,autori Franco e Liana Annarumma,”Il Vangelo di Matteo”; gli aggettivi dovrebbero poi sovrabbondare per un formidabile attore,il buon „sacrestano Giacinto‟protagonista de “I ragazzi di padre Tobia” , Franco Angrisano,col quale Franco intesseva quella stessa affettuosa amicizia che già aveva con Carlo Levi. Comunque, di lì a breve, recensii i motivi conduttori riscontrabili all‟interno della poesia e “dentro” la prosa di Franco,esaminando e commentando varie sue opere, le esegesi apparvero sul summenzionato periodico di Lettere ed Arti; il “reo tempo”di foscoliana memoria è fuggi-

to inesorabile, le immagini riappaiono ed impla cabili sfumano, ma io sposo la tesi di Pablo Picasso: « Io osservo con gli occhi di un bambino e dipingo con il cuore di un fanciullo »; secondo tale visuale,dunque, gli Artisti (è doverosa la “A” maiuscola), in fondo, restano sempre eterni giovinetti,quello che cambia è soltanto l‟esteriorità, l‟aspetto visibile “vittima” della impietosa e torreggiante divinità greca Kronos, tuttavia l‟interiorità non può essere intaccata da uno scorrere di ore, di giorni, di anni, non può subire variazioni, resterà immutata, per sempre. Ecco, questo volume si propone di riportare alla luce alcune fasi del passato, inoltre intende esplicitare il nostro quarantennale sodalizio con una „sequenza interattiva‟, dunque raccoglie, integrate con mie interpretazioni artistiche, opere di Franco; al quale la Biblioteca Provinciale di Salerno, in virtù di „chiari meriti artistici‟, si appresta a dedicare una Sezione a lui intitolata, è giusto così, Franco Pastore deve risultare un nome significativo nel panorama letterario nazionale, la sua opera, alta ed intensa, è (iper)abbondante, come si può agevolmente riscontrare anche con una semplice scorsa dei titoli delle sue opere. Ritornando al testo di cui siamo coautori, in aggiunta vi sono alcune liriche del Nostro, recitate dallo stesso autore e da me musicate. Con l‟auspicio di regalare, al Lettore, momenti di riflessione e di serenità, Buona lettura e piacevole ascolto! Giuffri Farina

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Franco Pastore

Franco Pastore

VOCI

A.I.T.W.Edizioni

A.I.T.W. Edizioni Collana Poesia

Collana Saggi

( Libri illustrati da Giuffri Farina )


Antropos in the world M i c he l e Ra ll o d a TR A PA N I

LA “RIPARTENZA” CHE NON RIPARTE Il grande bluff

A un tavolo di poker – si sa – il bluff è consentito; anzi, è una delle varianti “istituzio nali” del gioco stesso. È previsto che un gio catore faccia finta di avere carte migliori di quelle che realmente ha, in modo da spaven tare gli altri e indurli ad abbandonare la partita. I bravi giocatori – però – dopo avere soffiato il piatto agli avversari, mantengono coperte le loro carte e le confondono nel mazzo, in modo da non fornire agli avversari indi cazioni utili per le partite future. In politica – invece – il bluff non funziona; o, meglio, può funzionare soltanto a inizio di partita. Perché? Perché il simulatore non può mantenere coperte le proprie carte, e il suo sistema di gioco – a più o meno breve scadenza – è destinato ad essere scoperto. Prendete Renzi, per esempio. Ha bluffato fin dal primo momento, prima ancòra della sua nomina a Presidente del Consiglio (ricordate “Enrico stai sereno”?) ed ha continuato poi imperterrito, ostentando la sicurezza di chi ha in mano un poker servito.In realtà, in mano aveva soltanto una doppia coppia: due fanti (po trebbero essere Padoan e Delrio) e due regine (forse la Boschi e la Madia). Un po‟poco per sedersi attorno a un tavolo con giocatori di pri m‟ordine e qualche abilissimo baro. Eppure, il Pifferaio dell‟Arno non ha fatto una piega, ed ha continuato a bluffare anche quando è stato costretto a mostrare al tavolo il suo gioco scarso a sgangherato. Voglia di perdere,di farsi spennare dagli altri giocatori? No. Il gioco renziano ha una sua logica, una sua cervellotica ed illogicissima logica. Non mira ad un miglioramento della situazione economi ca, ma soltanto a dare l‟impressione di un miglioramento. Tutte le sue iniziative, dalle prime alle ultime, sono state concepite in funzione delle lo ro ricadute propagandistiche. Gli 80 euro mensili di sconto fiscale riconosciuti ad una larga platea (e negati ad altri) sono stati studiati non soltanto per far dire al popolino che Renzi aveva fatto un bel regalo a tanti, ma soprattut to nella speranza che i denari in questione venissero spesi nei negozi, in modo da poter di sporre di statistiche che attestassero una ripre sa dei consumi. Poco importava che il cospicuo mancato in -

troito fiscale venisse a fiaccare i conti pubblici. Si sarebbe posto rimedio con la “flessibilità”, cioè con un semplice rinvio delle scadenze contabili; e pazienza se, a breve termine, gli “im pegni con la Eu-

ropa”avrebbero dovuto essere comunque mantenuti. Idem per quanto riguarda il Job Act, con i suoi fortissimi incentivi (ma solo per i primi tre anni) alle imprese private che assumessero per sonale a tempo indeterminato. Anche questo era un provvedimento disastroso per i conti pubbli ci; e, naturalmente, si passava sotto silenzio il fatto che il Job Act cancellasse del tutto il concetto di impiego a tempo indeterminato, ren dendo possibili i licenziamenti (pure quelli in giusti o immotivati) prima che per i neo-assunti potesse maturare anche soltanto il primo stadio di fantomatiche “tutele crescenti”. Pure in que sto caso, comunque, il bluff aveva un obiettivo preciso: invogliare gli imprenditori ad assumere a tempo indeterminato, salvo poi a licenziare successivamente; non prima, però, di aver for nito al governo le statistiche atte a dimostrare un aumento (bugiardo) dei posti di lavoro. Anche i tre anni di sconti per le assunzioni, naturalmente, dovevano andare in conto flessi bilità, nella speranza che gli italiani non si ren dessero conto che “flessibilità”non significa affatto “cancellazione”. E così via cantando. Sempre all‟insegna delle “riforme”. Perché le riforme – recita ancor oggi il Vispo Tereso, disciplinatamente supportato dai media conser vator-progressisti – sono indispensabili per attrarre gli investimenti esteri. E perché gli investitori e i “mercati” – mi permetto di aggiungere – sono naturalmente portati ad andare là dove il lavoro costa meno, là dove i lavora tori si possono buttare sulla strada dall‟oggi al domani, magari con il disturbo di una piccola mancia per salvare la faccia ai promotori di un qualsiasi Job Act. Poco importa. L‟importante è che qualcuno venga ad aprire qualche filiale in Italia, come la si aprirebbe a Tunisi o a Shan ghai; pagando i dipendenti come li si pagherebbe a Tunisi o a Shanghai. E l‟importante, so prattutto, è che questo ambaradàn porti alla creazione di qualche similposto di lavoro, an che “a tempo”; ma tale, comunque, da poter fi gurare in qualche statistica “a fisarmonica”, buona per una conferenza-stampa in maniche di camicia. (coninua a pagina 22)

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GIUBILEO E MISERICORDIA Papa Francesco ha indetto il Giubileo speciale, l‟anno Santo, nella Misericordia, nella compassione, nel coraggio del cambiamento: “Via il lievito vecchio per essere pasta nuova”. L‟Uomo si rivolge a tutte le genti, affinché alle persone sia dato tempo e possibilità di vivere e confrontarsi, senza per questo dover scavare a forza la propria fossa. Nelle sue note c‟è il non senso di azioni fondate sul rancore, sull‟odio, sulla vendetta, su quei sentimenti che non consentono giustizie sociali né pace per alcuno, perché è vero: “la violenza regna dove l‟ingiustizia ingrassa”. Il Papa ha parlato per coloro che hanno voltato le spalle alla propria umanità, per chi ha dipinto la propria assenza-sconfitta nelle ferite inferte. Ha parlato anche per chi pensa che al male si risponde con altro male, nell‟illusoria convinzione di risolvere i drammi individuali e le tragedie collettive. E‟ davvero così difficile affrontare una lettura evangelica del sentimento del perdono? Nessuno si salva, se non sa perdonarsi, se non tro-va nell‟altro gesti e parole d‟amore. Pagare il proprio debito alla società non può significare la creazione di una nuova dimensione di violenza, in una pena distruttiva e immutabile. Un contesto disumanizzato e disumanizzante, come quello del carcere, toglie all‟uomo la speranza, non solo privandolo della libertà, ma estraniandolo dalla propria dignità. Privare la persona della possibilità di rendersi conto dei propri errori, significa non consentirle di fare i conti con il peso delle proprie colpe, con le lacerazioni che hanno prodotto la rottura del vivere civile. Quanto è difficile chiedere perdono in queste condizioni? E quanto essere perdonati? Ciascuno vive il suo presente in funzione delle scelte fatte, le azioni del cuore se non condivise non consentono di essere scelte. Rimangono le responsabilità e gli abissi dell‟anima, nulla è cancellato, niente è dimenticato, ma sentire dentro il bisogno di perdonarsi, di avere pietà di se stessi, riconoscendo l‟esigenza di giustizia di chi è vittima, degli innocenti sempre più spesso privati di quella giustizia, indica la via maestra per l‟altro bisogno: essere perdonati per ciò che si è nel presente, nella consapevolezza degli errori disegnati a ogni passo in avanti, condividendo quel bene comune che è intorno a noi, per tentare di tramutare l‟ansia e il dolore delle vittime in una riparazionericonciliazione che sia cambiamento fruibile per la

collettività tutta. L‟umanità, quando è ferita, richiede maggiore severità nelle pene da espiare, mentre la persona detenuta sconta la propria pena convincendosi di aver pareggiato il conto, di aver pagato assai più di quanto dovuto, fino a intendere la libertà proprio come un adolescente: fare tutto quello che voglio. Dove sta il carico della responsabilità, la capacità di fare delle scelte, l‟azione morale condivisa che stabiliscono il valore della libertà? L‟uomo infantilizzato non ha vicinanza né prossimità con alcun interesse collettivo. Invece, riconoscere il bisogno di perdonarsi e perdonare, sottolinea l‟urgenza di un percorso umano ( non solo cristiano ) nella condivisione e reciprocità, nell‟accettazione di una possibile trasformazione e di un fattivo cambiamento di mentalità. Ecco cosa ha detto a me Papa Francesco con questo Giubileo.

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Andraous

Occorre perdonarsi e Perdonare ...

Dici bene! Ma “homo lupus homini est”, qualcuno ha detto tanto tempo fa...

in Vile Europa, 33 Caserta di Tilde MAISTO


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PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA 1. „A femmene è cumm‟all‟onna, o te sustene, o t‟affonna; 2. Femmene bella e cara è merce molto rara; 3. „E cap‟e lignàmme fanne sempe rummòre; Esplicatio: La donna può essere la fortuna o la rovuna d‟un uomo. La bellezza non sempre si accompagna alla bontà. Sono gli imbecilli a creare disagio. Riflessio: Sono proverbi antichissimi, che ritrovia-

Implicanze semantiche:

Femmene: dal latino femina; Onna: dal lat. unda-m; Cape: dal latino caput; Affunnà:denom. Ad fundum; Sirica Dora Rummòre: dall‟acc.lat. rumòre-m; Antropologia: Il seme dei proverbi è chiaramente espresso in latino: - Facta non verba. - Fallere, flere, nere, statuit Deus in muliere. mo anche nel mondo greco e latino. Fraseologia: nu‟ tutt‟e spusate so muglière – chi po- - Femina est quod est propter uterum. che sa, tròppe parla.

Progetto Famiglia Network Filiale Angri CENTRO SERVIZI ANGRI via badia n.6 - Per Privati - Assistenza socio sanitaria alla persona H 24. Ass.nza anziani.. Fax 081/946895 - Cel. 335/8065955 - Cel. 334/7317790 - angri@progettofamiglianetwork.it

Finalmente anche nell’Agro Nocerino- Sarnese si ha la possibilità di accedere ad assistenze specializzate, per gli anziani, per i disabili, per tutti i tipi di malattie e per tutte le problematiche: specialisti nelle cure mediche e nel sostegno degli ammalati, son pronti a raggiungere ogni luogo ed ogni abitazione per portare, a chi ne ha bisogno, i benefici della loro competenza. Un grazie a coloro che si sono adoperati nella realizzazione del progetto. Da settembre, l’iniziativa sarà seguita molto dalla direzione di ANTROPOS IN THE WORLD che darà tutte le informazioni che i lettori della rivista vorranno ottenere.

COOPERATIVA SOCIALE « SAN PIO » VIA SATRIANO 12 - ANGRI ( SA ) – tel. 335 806 5955 – 334 731 7790

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LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos

LE MALATTIE DELL‟INVERNO

( IV PARTE )

L’OTITE è l'infiammazione o infezione dell'orecchio medio o esterno, classificata in acuta e cronica a seconda della sua durata. I sintomi tipici dell'otite, in generale, sono il mal d'orecchio, la sordità, gli acufeni, il prurito. Questi sintomi principali possono essere associati ad altri, quali la febbre, i brividi di freddo, la nausea, il vomito e la diarrea. Un esame fisico del paziente (attraverso un otoscopio) può determinare i sintomi, e quindi far porre diagnosi, di otite. Il medico solitamente prescrive, per il trattamento di questa condizione, antibiotici o altri farmaci antimicrobici a seconda del tipo di infezione riscontrata. L’otite esterna è l'infiammazione o l'infezione dei canali esterni dell'orecchio, solitamente una condizione acuta, cioè che non si prolunga nel tempo. Questa condizione è piuttosto comune negli adolescenti e nei giovani e si verifica soprattutto quando si nuota in acque inquinate. Anche i traumi, però, tipo l'inserimento di oggetti estranei nell'orecchio (anche la pulizia effettuata con bastoncini di cotone può irritare la pelle dell'orecchio e provocare infiammazione), possono causare l'otite esterna. Talvolta l'otite esterna può essere collegata all'otite media o ad infezioni delle vie respiratorie superiori, mentre la presenza di umidità può costituire il luogo ideale per la proliferazione dei funghi e può predisporre l'organo ad un'infezione fungina. Per prevenire la comparsa dell'otite esterna, quindi, è importante asciugarsi bene le orecchie ed utilizzare gli appositi tappi quando ci si immerge. Tipici sintomi dell'otite esterna sono il mal d'orecchio, il prurito o la fuoriuscita di materiale di secrezione (spesso di colore giallo, come il pus). La diagnosi di otite esterna viene effettuata dal medico già dopo che l'esame fisico ha rilevato gonfiore e rossore dell'organo. Il canale uditivo può apparire come colpito da eczema e la palpazione dell'orecchio esterno accresce il dolore. Se l'uso di un otoscopio si rivela difficoltoso, il medico potrà raccogliere il materiale che fuoriesce dall'orecchio e farne fare una coltura per scoprire quali batteri o funghi hanno provocato l'otite. La terapia si basa essenzialmente sulla cura dell'infezione con la pulizia del canale uditivo dal materiale di secrezione e con la somministrazione di farmaci topici a base di antibiotici e corticosteroidi. Generalmente questi farmaci topici sono disponibili come gocce da applicare direttamente nell'orecchio in modo che agiscano immediatamente sulla parte infetta. A questo tipo di terapia potrebbe essere associato un trattamento analgesico per calmare il dolore. È importante, in ogni caso, proteggere bene l'orecchio interessato dall'infiammazione, pulendolo bene ma senza irritarlo con bastoncini di cotone o altro e facendo attenzione a che non vi entri acqua durante il bagno o la doccia. La prognosi è sempre buona, anche se, in assenza di adeguato trattamento, si possono presentare complicanze quali la cronicizzazione dell'otite stessa.

Otite media è l'infiammazione, provocata da batteri o vi-

rus, dell'orecchio medio, posto immediatamente dopo la membrana timpanica. In questa condizione avviene la formazione di pus, accompagnata da dolore, aumento di pressione ed infiammazione. La membrana timpanica si gonfia e si arrossa e non vibra più come prima, causando una temporanea perdita d'udito. L'otite media si presenta spesso associata ad un'infezione delle vie aeree superiori; sono soprattutto i bambini ad esserne colpiti perché la tromba d'Eustachio del loro orecchio è più breve di quella degli adulti ed è un perfetto ricettacolo per batteri e virus. Possono essere considerate persone più a rischio di contrarre otite media le persone con Sindrome di Down o i soggetti allergici, i maschi più delle donne. La prevenzione dell'otite media si basa essenzialmente sulla riduzione del rischio di contrarre infezioni alle vie aeree superiori (spesso associate a questa condizione). Sintomi tipici dell'otite media sono l'irritabilità e la difficoltà nel mangiare e nel dormire, il mal d'orecchio, l'aumentata pressione sanguigna nell'organo e la perdita di udito. Possono presentarsi sintomi associati quali febbre, tosse e naso che cola. Nei casi più gravi la pressione sanguigna può essere così forte da provocare la rottura della membrana timpanica. Il trattamento dell'otite media si basa fondamentalmente sulla somministrazione di antibiotici in gocce; potrebbe essere necessaria la somministrazione di analgesici per calmare il mal d'orecchio. Il miglioramento è immediato, talvolta dopo appena 48 ore, ma la terapia antibiotica va comunque continuata, pena la mancata remissione completa dell'infezione.

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ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” -- SALERNO

SEDE SOCIALE in Via Cantarella


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I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos

Epíktetos

Quasi tutti gli studiosi sono comunque concordi nel fissarne la nascita intorno al 50-55 d.C.e la morte intorno al 120-130 d.C. Egli visse dunque sotto l'impero di Nerone, dei Flavi, di Traiano e di Adriano. Furono suoi contemporanei anche Stazio, Tacito, Svetonio, Plinio il giovane e Plutarco. È certo che fosse nato nella città di Ierapoli allora in Frigia e oggi, con il nome di Pamukkale, in Turchia, anche se dell'antica città sussistono tuttora abbondanti e assai interessanti rovine. E‟ anche documentato che Epitteto fosse di ma-dre schiava (un'iscrizione lo vuole figlio di genitori entrambi schiavi) e che, nato schiavo lui stesso, tale sia rimasto per molti anni. Fu poi comperato da Epafrodito, ex schiavo liberato dall'imperatore Clau-dio e divenuto il potente e ricchissimo segretario di Nerone. Pare che Epitteto fosse di salute cagionevole e tutti concordano nel descriverlo come zoppo. Sulle cause di questo suo difetto fisico le opinioni sono però contrastanti. Essendo egli schiavo, alcuni, come Celso, accettano la versione che fa risalire questa sua menomazione ai maltrattamenti subiti da parte di un padrone, forse dallo stesso Epafrodito. Altri propendono, data la sua condizione di schiavo istruito, quindi, come molti schiavi greci, avviato probabilmente a diventare un precettore privato di alto livello, a credere che la zoppìa fosse il risultato di una malattia reumatica o delle percosse di un maestro di scuola, o in alter-nativa, di un semplice incidente. Difatti, al servizio di Epafrodito, e forse per iniziativa dello stesso, Epitteto ebbe modo di istruirsi e frequentare a Roma le lezioni di Gaio Musonio Rufo, certamente, assieme ad Aruleno Rustico, il più celebre filosofo stoico di quegli anni. Simplicio afferma anche che egli era fin da piccolo gracile e malato. Comunque la prima versione (quella dei postumi della punizione e dei maltrattamenti di un padrone) fu quella più diffusa dagli allievi che volevano così indicare come un vero filosofo stoico sopportasse i mali fisici e i patimenti. Probabilmente Epitteto rimase schiavo per i primi 25-30 anni di vita. Epafrodito, prima di essere esiliato e poi fatto uccidere da Domiziano, per aver seguito nel 68 Nerone nella sua fuga ed averlo aiutato a suicidarsi, liberò Epitteto, forse durante il regno di Tito o di Vespasiano, intorno al 7980. La tradizione voleva che lo schiavo liberato assumesse il nomen della famiglia dell'ex padrone (come Epafrodito stesso aveva fatto con Claudio), ma non sappiamo se Epitteto abbia aggiunto al suo vero nome quello di "Tiberio Claudio". La condizione di schiavo di Epitteto non andò comunque oltre l'85-90, anni in cui l'imperatore Domiziano cominciò a perseguitare i filosofi, tra i quali anche Aruleno Rustico (fatto uccidere dal princeps per lesa maestà), e li bandì da Roma assieme ai matematici e agli astrologi. Questi personaggi erano infatti considerati troppo vicini all'opposizione degli aristocratici e dei senatori,

che spesso avevano gli stoici come insegnanti dei loro figli e loro consiglieri personali. Poiché il definitivo senato-consulto d'espulsione, sollecitato da Domiziano, è del 94, è probabile che anche Epitteto, che secondo Simplicio, aveva criticato, duramente e coraggiosamente, l'involuzione autocratica del governo dell'imperatore, fosse stato colpito dal provvedimento, tra il 90 e il 93. Questo vuol dire che in quel tempo egli fosse non soltanto di condizione libera (liberto), ma ricoprisse ormai, come filosofo, un ruolo eminente e socialmente distinto, benché, per la sua umiltà e disinteresse nei confronti del denaro, vivesse appartato. n seguito al bando di Domiziano, Epitteto lasciò per sempre Roma e l'Italia e si stabilì in Epiro, nella piccola città greca di Nicopoli. Qui si dedicò con successo all'insegnamento, aprendo una scuola che fu molto frequentata e vivendo con semplicità. È anche possibile che egli abbia compiuto uno o più viaggi ad Olimpia e ad Atene, luoghi che ricorda nelle Diatribe, parlando dei giochi olimpici e dell'acropoli nei suoi ragionamenti. Epitteto non si sposò e non ebbe figli ma in tarda età prese con sé una donna che curasse la crescita di un bambino orfano che egli aveva adottato. Supremamente indifferente alla gloria letteraria, Epitteto, come Socrate, non si curò mai di scrivere dei libri. Tuttavia un suo discepolo di nome Flavio Arriano, che poi divenne un noto scrittore e una personalità politica di notevole rilievo, ebbe l‟idea di stenografare le lezioni alle quali assisteva, trascrivendo fedelmente le parole così come uscivano dalla bocca del maestro. Questa eccezionale documentazione, nota come Diatribe e Manuale di Epitteto, era originariamente contenuta in otto libri, dei quali soltanto i primi quattro e il Manuale sono fortunosamente giunti fino a noi. Nei suoi ultimi anni di vita, malgrado le umili origini, Epitteto ebbe grande fama e rispetto e godette dell'amicizia personale dell'erede al trono e poi imperatore Adriano, che venne a Nicopoli per consultarlo. L'imperatore e filosofo stoico Marco Aurelio (nato nel 121), che per ragioni di età non ebbe modo di conoscere personalmente Epitteto, nei suoi Ricordi parla di lui con la massima deferenza e lo annovera tra le sue guide spirituali. Fu uno dei suoi maestri, Quinto Giunio Rustico (nipote di Aruleno Rustico), a fargli conoscere gli scritti di Epitteto. Epitteto era certamente in vita durante l'impero di Adriano (117-138), ma era già morto quando Antonino Pio andò al potere (138); Aulo Gellio parla della recente morte di Epitteto quando scrive le Noctes Atticae, verso la metà del secolo, cosa che ha fatto fissare la data di morte nel decennio 120-130, probabilmente verso il 130, anche se taluni indicano il 135, quando avrebbe avuto l'età, molto avanzata per l'epoca, di circa 80-85 anni. Qualche tempo la sua morte, racconta Luciano di Samosata, la sua fama era ancora così viva che un suo ammiratore acquistò una lampada ad olio in argilla che gli era appartenuta per 3000 dracme. (Continua)

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Antropos in the world RACCONTI DI VITA

IL PROFESSORE

(II parte)

di Franco Pastore A.I.T.W. edizioni – ebook GGKEY:HDBRYKBRA1C E – TRA LE RUGHE (Mεταξύ της πυτίδες ) Quando solo rimani con la tua malinconia,/ l‟alba più non discerni dalla notte;/ ti sazi di parole e di ricordi,/ ma il vuoto è privo d‟ogni poesia./ I sogni li smarrisci, uno ad uno,/ chiude la mente tutte le finestre,/ vicino a te non vedi più nessuno./ Poi, tra le rughe, più profonde e meste, un lucido rimpianto si fa / strada, ti fai forza, cambi pure contrada,/ ma cosa vuoi cambiar, se tutto è andato. (Dalla silloge Cronos)

Lo vidi passare dall‟altro lato della strada e mi sembrò un segno del destino. - Buon giorno professore!- Buon giorno!- mi rispose con un sorriso che sembrava aprisse le porte della mia anima. Ben fatto, biondo e con un bell‟abito blu scuro, stava per entrare nel por-tone del Maresciallo Capece, camminava svelto, ma non tanto da sfuggirmi l‟eleganza del portamento e l‟azzurro dei suoi occhi. - Dovrei parlarle …, sbiascicai imbarazzata, potrebbe concedermi cinque minuti del suo tempo?- Venga, andiamo nello studio!S‟avviò di buon passo verso casa sua, una vecchia abitazione a due piani, con un un ampio portone tra un garage ed uno studio, dove il professionista faceva lezione a liceali ed universitari. Entrammo in un ambiente pieno di luce, dove una bianca scrivania la faceva da padrona, tra tre tavoli disposti asimmetricamente e le sedie dagli schienali arrotondati ed i cuscini rosso cardinale. - Sono all‟ultimo anno delle magistrali – dissi tutto d‟un fiato - vorrei che mi aiutasse nelle discipline che presentano per me maggiori difficoltà: il latino, l‟italiano e la filosofia Mi ascoltò attentamente e rispose: - Sono a sua disposizione … Iniziammo all‟indomani e continuammo fino a maggio, una lezione dopo l‟altra, mentre in me nasceva qualcosa che mi spingeva verso quel professore dalla voce pavarottina, dagli occhi grandi e buoni e dal sorriso che mi faceva bene all‟anima. Roberto, a quel tempo, era un divorziato trentottenne, professore di lettere in un istituto tecnico per ragionieri, ed aveva due figlioli adolescenti: Tatiana, una bella ragazzina di otto anni e Bartolomeo, un giovincello di circa tredici anni, paffuto e sensibile, che frequentava la prima classe delle scuole medie. Ero gelosa di loro, avrei preso volentieri il loro posto, io che un padre quasi non lo avevo avuto. Beppe era avaro di carezze e di attenzioni, l‟unica sua preoccupazione era il lavoro, che lo portava ad assentarsi da casa per settimane ed a volte anche mesi. Mamma lo accoglieva come meglio poteva, allargando, con le braccia, le gambe e la pazienza. Così, quella povera donna gli aveva sfornato otto figli, uno all‟anno e sarebbero stati tutti lì se qualcuno non fosse morto. A me toccò il compito -

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faticoso ed ingrato di crescerli, mentre mia madre si incurvava nei campi ed ingrassava nei filari di pomodori. Povera donna, già vecchia a quarant‟anni!Un grande uomo davvero, quell‟irascibile camionista, che mi aveva dato la vita. Ora capite perché invidiavo le atten-zioni del mio professore per i suoi figli. Cercai, deliberatamente,di insinuarmi nella sua vita e dalla occhiate che lanciava al mio seno, capii che non doveva essere difficile arrivare a qualcos‟altro. Eravamo quasi alla meta degli esami, quando dalla scuola mi comunicarono che non potevano ammettermi alla prova, perché avevo fatto troppe assenze. In effetti, il mio lavoro di badante non mi aveva permesso una frequenza più assidua delle lezioni: smontavo tardi e raggiungevo Nocera a mattinata inoltrata, con la necessità di riprendere le forze con un buon sonno ristoratore. Fu il mio professore ad aggiustare le cose ed a farmi ammettere agli esami. Intensificammo le lezioni e spesso salivo su, nello studio della sua grande casa a due piani, per fare gli approfondimenti necessari ed a nutrirmi alquanto di quell‟ambiente saturo di cultura e di amore. Venne la sospirata prova, Roberto, conscio della mia preparazione lacunosa, contattò tutti i professori della commissione e l‟esame si trasformò in un gioco facile. Dopo il tema , difficile ma non troppo, tanto che riuscii a scrivere qualcosa, venne la prova di matematica e dovetti consegnare il foglio in bianco. In effetti, avevo fatto bene solo le elementari, e nemmeno, perché il mio insegnante di classe era il responsabile del plesso ed il vicario della scuola, per cui passavamo il tempo a fare copie e disegni. Le medie, ancora oggi, sono l‟aborto che sono, come potevo andar bene agli esami? Ci pensò il mio professore e, quando uscirono i quadri, con un nodo

alla gola, guardai timidamente l‟elenco dei promossi ed ero tra quelli, con la votazione di quarantadue sessan-tesimi. Era fatta.

Una settimana dopo, entrai nello studio del mio insegnante con un bassorilievo su argento ed un fascio di rose rosse. (continua)


Antropos in the world ICOMUNICAT INVIATO DA MANZO MARIA

Tradizione e contemporaneità - Letture Filosofiche Il Leviatano di Hobbes Giovedì 11 febbraio, presso l‟Aula Magna del Liceo Scientifico “G. da Procida”, si è tenuto il secondo dei quattro incontri in cui si articola il progetto Tradizione e contemporaneità. Letture filosofiche, realizzato in collabora zione tra il Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale (DISPAC) dell‟Università, la Società Filosofica Italiana, la cui sezione salernitana è presieduta da Giuseppe Cacciatore, e nove Licei di Salerno e provincia, oltre che con il supporto tecnico di ArtiLab. Il progetto, al quale ha preso parte un folto numero di studenti liceali, si basa su un‟esperienza di lettura dei testi, condotta in ambito scolastico dal docente e poi oggetto di approfondimento in un incontro conclusivo alla presenza di due esperti, che introducono il dibattito. L‟iniziativa intende promuovere un più stretto raccordo tra scuola e università, sia in ordine alle esigenze di formazione degli insegnanti,che devono trovare nell‟università il principale interlocutore scientifico ed istituzionale, sia per quanto riguarda l‟orientamento agli studi filosofici, favorendo un‟esperienza diretta del pensiero e del linguaggio filosofici proposta attraverso forme di didattica in-novative.L‟incontro, coordinato da Giso Amendola, ha avuto per tema la lettura di sei capitoli fondamentali del Leviatano di Thomas Hobbes, commentati da Domenico Taranto del nostro ateneo e Giuseppe D‟Antonio del liceo “A.Genoino” di Cava de‟ Tirreni. Non è mancato il saluto da parte di Annalaura Giannantonio ed Elena Magaldi in rappresentanza del Liceo ospitante e di Clementina Cantillo portavoce della Università di Salerno. Il "Leviatano",datato 1651, è una delle prime opere teoriche in cui i problemi della società borghese e dello Stato sovrano vengono affrontati secondo i principi del pensiero filosofico moderno. Nella storia delle dottrine politiche esso costituisce la conclusione delle ricerche condotte su tali problemi sin dal Quattrocento e la premessa dei successivi svolgimenti.

Culmine del progetto hobbesiano di organizzazione della filosofia politica secondo il modello delle scienze fisiche e matematiche, il "Leviatano" è l'opera fondamentale per comprendere il ruolo dell'assolutismo nella storia politico-sociale d'Europa, il suo rapporto con la società borghese e con l'individualismo. Secondo Hobbes, le leggi naturalinon sono da sé sufficienti a spingere gli uomini a rispettare i patti , i quali “senza la spada non sono che parole” . Di conseguenza è necessa rio un potere coercitivo che si erga al di sopra dellevolontà individuali . Nel capitolo XVII del Leviatano, di cui verranno proposti alcunipassi fondamentali, Hobbes definisce la formula del patto di unione che gli uomini dovrebbero siglare , che è al tempo stesso un patto di associazione e un patto di sottomissione: da esso si genera lo Stato, che il filosofo definisce anche «dio mortale», per l‟assoluto potere che incarna. La sola via per erigere un potere comune che possa essere in grado di difendere gli uomini dall‟aggressione straniera e dalle ingiurie reciproche , e con ciò di assicurarli in modo tale che con la propria industria e con i frutti della terra possano nutrirsi e vivere soddisfatti, è quella di conferire tutti i loro poteri e tutta la loro forza ad un uomo o ad un‟assemblea di uomini che possa ridurre tutte le loro volontà , per mezzo della pluralità delle voci , ad una volontà sola ; ciò è come desi gnare un uomo o un‟assemblea di uomini a sostenere la parte della loro persona, e ognuno accettare e riconoscere sé stesso come autore di tut to ciò che colui che sostiene la parte della loro persona, farà o di cui egli sarà causa , in quelle cose che concernono la pace e la sicurezza comuni, e sottomettere in ciò ogni loro volontà alla vo lontà di lui , ed ogni loro giudizio al giudizio di lui.

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L‟Ufficio stampa della SFI.Salerno

Summum ius summa Iniura. Perfetta giustizia grande ingiustizia.

Γένοιο οἷος εἷ. Diventa ciò che sei.


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PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore

RICETTE BUDINO DI CERVELLA DI MAIALE

Ingredienti per 4-6  Cervella di maiale gr.400  Uova 2 e tuorli 2  Panna liquida gr. 250  Burro gr.50  Parmigiano grattugiato 1 pugno  Noce moscata, sale. Preparazione Lavare bene in acqua fredda la cervella, spellarla e rosolarla nel burro fino a quando avrà assunto un bel colore dorato. Passarla al setaccio e unire la panna, il parmigiano, le uova e i tuorli frullati, il sale e un poco di noce moscata grattugiata. Imburrare una forma da budino, cospargerla di pane grattugiato e versarvi il composto. Cuocere a bagnomaria per 1 ora circa. Sfornare e servire con piselli al prosciutto. CERVELLA DI MAIALE AL BURRO NERO Ingredienti per 6  Cervella di maiale gr. 600  Burro gr. 1000  Aceto ½ bicchiere  Vino bianco ½ bicchiere  Prezzemolo, pepe, sale

Preparazione Spellare il fegato, tritarlo con il lardo, aggiungere prezzemolo e aglio tritati, un pizzico di finocchio, i 2 tuorli, 1 manciata di pane grattugiato, 1 cucchiaio di brodo, spezie, pepe e sale. Amalgamare bene tutto. Tagliare, dopo averla lavata, la rete di maiale a quadrati di circa 10 cm di lato, sistemare in ogni quadrato 1 cucchiaio di ripieno, avvolgerli; prendere degli stecchini e su ogni stecchino infilare due involtini alternandoli con una foglia di salvia. Farli rosolare nel burro e servirli ben dorati. FEGATO DI MAIALE FRITTO Ingredienti per 6  Fegato di maiale gr. 600  Vino bianco secco 1 bicchiere  Farina, prezzemolo, sale. Preparazione Togliere al fegato la pelle, tagliarlo a fettine sottili, infarinarle e friggerle nel burro, rivoltandole dalle due parti. Salare e unire il vino e il prezzemolo tritato. Far restringere il fondo di cottura

Preparazione Pulire bene la cervella in acqua fredda corrente, togliendo poi la pelle; lessarla in acqua e aceto per 10 minuti. Scolarla e tenerla in caldo. A parte friggere il burro fino a farlo diventare scuro, ma non bruciato, aggiungere il vino bianco, un po‟ di prezzemolo tritato, sale e pepe. Far cuocere per pochi minuti, versare sulla cervella, sistemata nel piatto di portata, e servire.

 FEGATO DI MAIALE ALLA CAMPAGNOLA Ingredienti per 6

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Fegato di maiale gr. 600 Burro gr. 100 Lardo gr 30 Rete di maiale gr.100 Tuorli d‟uovo 2 Pane grattugiato Brodo Prezzemolo, aglio, finocchio, spezie, salvia, pepe, sale.

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CERVELLA ALLA MILANESE Ingredienti per 4 persone:  cervella di vitello, gr. 500di  1 uovo, farina q.b.,  PanE grattUGIATO q.b.,  Olio di semi di girasole,  1 pizzico di sale,  2 foglioline di salvia, Succo di un limone,  Prezzemolo tritato,  Un pizzico di pepe nero Lavare bene in acqua fredda la cervella, nettarla beb bene,tagliatela a fettine spesse circa 2 centimetri.Passate le fettine nella farina, immergetele nell'uovo sbattuto con un pizzico di sale e impanatele bene con il pangrattato. In un tegame, scaldate l‟olio con le foglioline di salvia e, quando sarà ben caldo, friggete le fettine di cervella, girando di tanto in tanto, per una cottura omogenea. Una volta cotte, ponetele per qualche minuto in un vassoio con carta assorbente, quindi disponetele sul piatto di portata, cospargendole con succo di limone, prezzemolo tritato ed un pizzico di pepe.


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LA RIPARTENZA CHE NON RIPARTE , di M. Rallo - continua da pagina 14 Ma la strategia renziana non si ferma qui. Un altro dei suoi pilastri è il gabellare ogni eventuale riverbero positivo della congiuntura internazionale come un benèfico effetto della propria azione di governo. Esempio-tipo: il fortissimo calo dei prezzi del petrolio, che – come universalmente riconosciuto – ha avuto un peso determinante nel miglioramento dei conti pubblici di tutti i Paesi europei. In ultimo, un pizzico di arroganza ostentata contro quanti, nell‟Unione Europea, non si rendono conto che il Parolaio della Tuscia ha un disperato bisogno di “flessibilità”, per pa rare i contraccolpi della sua spensierata gestio ne e scaricarli sui governi prossimi venturi. Ma nulla di allarmante, beninteso; perché, ad uno schioccar di dita della Cancelliera, il nostro è pronto a rientrare disciplinatamente nei

ranghi e a promettere di fare il bravo suddito europeo (e atlantico). Per il momento, si accontenta di fare la ruota in tv, ripetendo fino all‟ossessione che la situazione comincia a migliorare, che si colgono già i primi benèfici effetti del Job Act e delle altre illuminate “riforme”, che siamo finalmente al cospetto di una “ripartenza” dell‟economia italiana. Fin‟ora gli è andata bene: la grande stampa vicina ai “mercati” e le televisioni berlu sconiane hanno fatto finta di credergli, river sando il loro ottimismo sui crèduli lettori e tele spettatori. Ma il tempo passa, e la gente incomincia a chiedersi dove caspita sia questa benedetta “ri partenza”. Mi viene in mente la quartina dell‟ Araba Fenice: “Che ci sia, ognun lo dice. Dove sia, nessun lo sa.”

Premio nazionale di poesia religiosa - MATER DEI -

La rivista Antropos in the World e l‟Ente Parrocchia SS. Corpo di Cristo bandiscono il IV Premio Nazionale di poesia religiosa “ Mater dei”, riservato agli alunni delle scuole elementari, medie ed agli adulti. Il concorso prevede un 1° 2° e 3° premio per Gli alunni partecipanti ed un 1° 2° e 3° premio per gli adulti.Inoltre, saranno consegnati attestati di merito ai concorrenti che si sono maggiormente distinti. I premi consisteranno in coppe, medaglie, targhe, diplomi, libri e nella pubblicità sulla Rivista di lettere ed arti Antropos in the world. Si concorre con una lirica sulla Vergine Maria, non inferiore a 20 versi e non superiore a 40. In allegato al componimento, va una scheda con nome, cognome, indirizzo e numero di telefono,oltre al titolo dell‟elaborato. Per gli alunni, va aggiunto anche il nome della scuola frequentata, della classe ed eventuale e-mail. Il tutto va inviato alla Direzione Antropos in the world- via Posidonia,171/h – 84128 Salerno. Per l‟Agro nocerino-sarnese, può essere consegnato alla redazione di Pagani, presso il SS.Corpo di Cristo. Il termine ultimo per la presentazione delle liriche è fissato per il 30 aprile 2016. La cerimonia di premiazione avverrà nella Chiesa Madre della città di Pagani (Sa) presumibilmente nella terza decade di maggio. I vincitori saranno tempestivamente avvertiti tramite e-mail,o telefono,che avranno cura di indicare nella domanda di partecipazione al premio. La commissione, presieduta dal mariologo Renato Nicodemo, sarà resa nota alla cerimonia di premiazione. Eventuali chiarimenti possono essere richiesti ai numeri: 3771 711 064 – 3474 542177, o tramite le e-mail francopastore@fastwebnet.it – romapas39@gmail.com. - 22 -


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UN‟EDICOLA PARTICOLARE DI RENATO NICODEMO Si sono avute iniziative anche nella nostra Regione e nella nostra Provincia; si vedano in proposito, tra le pubblicazioni riportate in nota, la ricerca documentata della Costa, sulle edicole sacre di Napoli, il testo del Prof. Franco Salerno sulle edicole della Immacolata a Sarno, per il taglio antropologico del saggio; quello del Natella, noto studioso d'Arte della Campania; la pubblicazione di Pinto sulle Iconografie Ceramiche Vietresi; Romito sui pannelli ceramici del Salernitano; ed in ultimo, last but not least, la ricerca degli alunni della Scuola Media "De Amicis" di Polla, per la completezza, il rigore scientifico e la ricchezza di riferimenti storici, biblici, teologici, litur-gici; Stanno, purtroppo, scomparendo quelle lungo le strade per lavori di ampliamento o per la creazione di rotatorie. Altre stragi di queste testimonianze di arte sacra minore si sono avute in seguito a terremoti, come quello dell' 80 in Campania. Ma vi è un'edicola che, per quanto ne sappiamo, è del tutto particolare per due ordini di motivi. Il primo è quello di essere ... triplice. Eccone la storia: Sulla facciata di un antico palazzo in via De Pascale a S. Marzano sul Sarno, , all'altezza di 10/15 metri vi era un edicola della Madonna di Materdomini di Nocera Superiore composta da mattonelle di maiolica (foto l). Il palazzo fu venduto ed il nuovo proprietario, il Sig. Giuseppe Schiavone, lo abbatté nel 2003 per ricostruirlo ex novo e l'edicola dovette essere rimossa. La stampa locale riportò la preoccupazione della popolazione per le sorti dell'edicola, mostrando quanto fosse venerata dal popolo da sempre. Ma quale non fu la meraviglia quando, rimosse le mattonelle, comparve un primo affresco della stessa Madonna (foto n. 2). E la meraviglia si trasformò in vero stupore quando rimosso l'affresco ne comparve un secondo affresco. (foto n.3) Considerando che il pannello ceramico porta la data del 1869 e che tutte e tre le immagini I sia della Madonna che del Bambino/si presentano coronate e che l'icona del Santuario di Materdomini fu coro-nata nel 1759, come leggiamo nella storia del San-tuario (4) non possiamo che datare i due affreschi tra le suddette date. In mancanza di qualsiasi testimonianza non possiamo che ipotizzare che il proprietario dell'immobile, devoto della Madonna di Materdomini, come molti in tutto l'Agro Nocerino-sarnese, fece costruire, ad una certa altezza, un'apposita edicola. Risultata questa poco somigliante alle prime immaginette della Vergine che i fran-cescani, giunti nel 1829, diffusero in quell'anno per promuovere maggiormente la devozione mariana e riqualificare il Santuario, si pensò di servirsi di un artista più bravo e rifare l'affresco. Diffusosi poi la tradizione dei pannelli ceramici tra l'Ottocento e il primo trentennio del secolo XX il devoto pensò di far coprire l'affresco con un'imma-gine composta da 18 mattonelle cerami-che (20x20) e da una cornice di mezze mattonelle (20xlO). Il pannello è stato collocato in un tempietto di marmo all'inizio della via De Pascale, all'incrocio con la strada che porta a Nocera, dando così significato anche al titolo di Madonna del Viandante. (5)

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L'altro motivo che rende questa edicola unica è la particolare devozione che ha riscosso fino a far sorgere addirittura un'apposita associazione detta " 'A Marunnella" dal nome popolare dell'edicola. Fatto restaurare, il primo affresco è stato posto in un solido supporto di legno e conservato presso la locale filiale della Banca di Credito Cooperativo di Scafati-Cetara. Alla sacra immagine viene poi dedicata un'apposita festa nella prima domenica dopo il 31 maggio, Festa della Visitazione alla quale partecipa numeroso il popolo marzanese al quale si uniscono molti devoti provenienti dai paesi limitrofi. Il secondo affresco, anch' esso restaurato, è conservato gelosamente dal proprietario nella propria abitazione in attesa di trovare una idonea collocazione aperta al pubblico. Quanto sia attiva questa associazione nella persona del suo Presidente, il Dott. Alfonso Panico, è sufficiente vedere il programma di quest'anno. (foto 4) Non possiamo qui trascurare che il Monastero di Materdomini era tenuto in grande considerazione da Guidone Filangieri, possessore del casale di S. Marzano, se nel 1234 con due atti distinti lo esonerava da pagamento del terratico dovuto per il possesso di beni in quel casale e per da donazione nello stesso casale di uno stabile in località Porto. (6) In conclusione, L'Associazione dopo aver fatto restaurare gli affreschi vuole restaurare ed arricchire l'immagine di Maria che ogni cristiano deve portare dentro di sé e restaurare nel cuore il culti verso di lei. Ci si muove quindi nel fiIone di quella ripresa mariana che prende le mosse dal 1974 con la Marialis cultus di Paolo VI e che ha trovato un impulso definitivo nell'autorevole magistero mariano di Giovanni Paolo II, secondo i principi e gli orientamenti del Direttorio su pietà popolare e liturgia della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Filone mariano particolarmente sentito in tutto l'Agro Nocerino-sarnese che fin dai primordi del cristianesimo (7), per i suoi numerosi santuari e le sue numerose feste mariane (8) è "terra di Maria". Renato Nicodemo NOTE (1) Cf AA.VV., ‘A Maronna t'accupagna. Padre Rocco e le mille edicole votive di

Napoli per grazia ricevuta, Napoli 2002; (2) Ricordiamo anche LE CROCI, in genere di grandi dimensioni, erette a simbolo della Cristianità e a protezione di zone di montagna, vallate o, se di misura inferiore, per ricordare un tragico avvenimento.. (3) Amato (a cura di), Imago Mariae. Tesori d'Arte della Civiltà Cristiana, Roma 1988. Costa, Le edicole sacre di Napoli, Roma 1998; Cuman,Fabbian, l capitèi di Venezia, Ed. Helvetia 1987-88. Dell'Utri, Le edicole votive di Caltanissetta, Caltanissetta 1986. Evangelista, Piccoli santuari agli angoli delle strade, in Historia dic. 1988. Natella, Edicole sacre in case campane, in Lares, XXXV 1969. Pane, Napoli imprevista, Torino 1949. Pinto, Iconografie Ceramiche Vietresi, Salerno 1986. Romito, Per il recupero di un patrimonio minore - Un itinerario nella devozione popolare del Salernitano - Salerno 2003; (4) Il Santuario di Materdomini, Salerno 1990; (5) Vedi P. E. Cerruti, La Madonna di Materdomini e S. Marzano in Eco di Materdomini n. 4 2006. (6) S. SILVESTRI, Dal fundo Marciano a san Marzano sul Sarno, Angri 2006; p.180. (7) Lo storico Procopio narra che la fine dei Goti fu dovuta all'intervento di Maria nella battaglia di Sarno del 553 (Di Domenico, Un Santuario millenario - S. Maria della Foce, Sarno 1971; (8) Ricordiamo i Santuari di Materdomini a Nocera S.; S. Maria di Loreto a Roccapiemonte; S. Maria di castello a Castel S. Giorgio; Madonna delle Galline a Pagani; Madonna dei Bagni a Scafati; Madonna delle Tre Corone e della Foce a Sarno; S. Maria dei Miracoli a Montalbino a Nocera Inf.


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STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore

MUSICA LEGGERA-NUOVE TENDENZE IV PARTE – L‟HEAVY METAL

Anche il primo hard rock era caratterizzato da una notevole dose di tecnica, più o meno sviluppata. Tutti i membri di gruppi hard rock riscontravano un'ottima conoscenza della tecnica, che sfociava in assoli soprattutto di chitarra e a volte anche di altri strumenti come basso, batteria e tastiera.Queste caratteristiche vennero tramandate anche nell'hard & heavy; Nacque il termine hard & heavy per definire i gruppi etichettabili in entrambi i generi, e che quindi riscontravano influenze da entrambi. Può essere quindi interpretato come un termine per includere l'intero movimento, probabilmente diviso solo dal relativo nome dei due stili, che tuttavia rimangono spesso uniti. Nonostante ciò,la maggior parte dei mass media segue l'ipotesi appena accennata,come possono confermare diversi elementi. Ad esempio, in molti siti internet dedicati, alcuni gruppi spesso definiti hard rock, vengono definiti anche heavy metal. Nelle enciclopedie dedicate al genere, sono presenti, non a caso, gruppi definiti hard rock, ma in quel caso, sono indicati come heavy metal. In tutte le raccolte dedicate all'heavy metal in senso generico, si trovano gruppi in buona parte definiti anche hard rock, ma classificabili come heavy metal. I festival dedicati all'heavy metal, soprattutto negli anni ottanta, proponevano gruppi definiti anche come hard rock. Nelle riviste dedicate all'heavy metal, sono spesso citati, intervistati, e definiti heavy metal anche gruppi hard rock. Queste classificazioni sono definizioni attribuite da esperti del settore. Si può supporre che solo l'opinione comune più diffusa, si opponga erroneamente all'idea di comprendere una parte dell'hard rock e dell'heavy metal in un unico genere/entità, poiché i fatti hanno dimostrato che è sempre stato il contrario fin dai lontani anni settanta. Non è quindi un caso, o un errore, definire l'hard & heavy come heavy metal. Tutti questi elementi portano alla conclusione che in qualche modo i due generi, più che imparentati, siano considerati in molti casi un'unica entità, un unico movimento le cui uniche divisioni si ritrovano unicamente nella loro classificazione, che, essendo a volte diversa, da l'immagine di due correnti separate, al contrario di come sono realmente. La storia dell'heavy metal alla fine degli anni settanta è tuttora molto dibattuta tra gli storici della musica. Mentre band come i Blue Öyster Cult raggiunsero in quel periodo un moderato successo, altri gruppi concentrano invece l'attenzione sull'arrivo di influenze classiche, presenti nel lavoro di Eddie Van Halen, Randy Rhoads, o di Uli Jon Roth, pionieri del heavy metal di stampo virtuosistico e neoclassico; anche perché la storia dell'heavy metal successivamente verrà sviluppata anche in questo senso.

. Altri ancora sottolineano le influenze reciproche che, verso la fine degli anni settanta, si scambiarono l'heavy metal e il punk rock, culminando nella famosa New Wave of British Heavy Metal dei primi anni ottanta, guidata da band come i già citati Saxon o gli Iron Maiden. In realtà va detto che l'influenza del punk rock sul nascente heavy metal non deve essere interpretata in modo diretto: quello che accomunava le band di entrambi i generi era la povertà di mezzi (riflessa dalla produzione "grezza e sporca" di molte delle band) e lo spirito fai-da-te che portava alla nascita di etichette indipendenti e fanzine (un modus operandi proprio del movimento punk), in modo da alimentare la scena al di fuori della stampa e dei media "ufficiali". Si ipotizzò inoltre che la NWOBHM, connotando uno stile generalmente più aggressivo, duro e diretto, si ispirò proprio al punk rock per queste caratteristiche che lo distinguevano dall'ondata di heavy metal precedente. Anche l'abbigliamento punk influenzò in parte l'heavy metal (anche se vi è dibattito su questo, dato che era già usato dai Judas Priest a metà anni settanta), che ereditò l'uso di borchie e indumenti di pelle. Successivamente, negli anni ottanta, si può dire che l'hardcore punk abbia influito notevolmente sullo sviluppo dell'evoluzione dell'heavy metal e, in particolar modo sul metal estremo. L'hardcore punk infatti fu fonte di ispirazione soprattutto per le band thrash metal che ne presero alcune caratteristiche unendole all'heavy metal fortemente ispirato alla NWO-BHM. Lo stesso Cliff Burton dei Metallica (un gruppo che si collocò al vertice della nascente scena thrash metal) dichiarava di essere stato influenzato dal punk, specialmente da gruppi come i Misfits; così come altri componenti della stessa band. Da notare come i loro gruppi preferiti Venom e Motorhead avessero più di un legame col punk (Conrad Lant dei Venom suonava in un gruppo punk e Lemmy Kilmisterfrequentava regolarmente la scena punk e tentò anche di insegnare a suonare il basso a Sid Vicious). (Continua

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Antropos in the world POLITICA E NAZIONE – OVVERO IL PENSIERO DELLA GENTE COMUNE

I PERICOLI DELVIRUS ZIKA

Il Virus Zika è un nome che stiamo imparando a conoscere per gli allarmi lanciati negli Stati Uniti che sono alle prese con il virus, trasmesso dalle zanzare Aedes, che si sta diffondendo negli ultimi mesi soprattutto nelle zone del centro-sud America. Il virus si chiama Zika, dal nome della foresta in Uganda dove è stato trovato per la prima volta in una scimmia nel 1974, ed è diventato in pochi mesi l'angoscia delle donne incinte del Brasile. È un virus della stessa famiglia della febbre gialla e del dengue, trasportato dallo stesso tipo di zanzara, ma poco studiato perché considerato benigno nell'uomo. Soltanto una persona su 5 di quelle che ne vengono infettate si ammala: febbre, dolori alle articolazioni, occhi arrossati e talvolta un esantema cutaneo che passano in pochi giorni senza conseguenze. Il virus Zika si diffonde sempre di più. La preoccupazione più grande è per le donne incinte. Non tanto per loro, quanto per i bambini che portano in grembo. In Brasile, infatti, al virus sono stati collegati alcuni casi di malformazioni nei bambini, come la nascita con la testa piccola o con un cervello sottosviluppato. Il Cdc, Centers for Disease Control and Prevention, ha invitato le donne a non recarsi in posti in cui il virus è attivo. Alcuni paesi latino-americani hanno addirittura consigliato di non rimanere incinta per i prossimi due anni. Anche in Italia è arrivato il virus Zika attraverso quattro viaggiatori che rientravano dal Brasile. Tre di essi sono stati curati allo Spallanzani di Roma ed uno a Firenze. Il Dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto Superiore della Sanità ha tranquillizzato gli italiani precisando che l‟Italia è preparata ad eventuali casi di Zika virus anche se è necessario essere sempre sull'allerta perchè vi è la globalizzazione dei vettori. Ad ogni modo, il Centro Europeo di Controllo delle Malattie ha emanato una nota nella quale si sconsigliano le donne incinte dal fare viaggi nelle zone colpite come l'America latina. Oggi quindi è indispensabile sapere tutto sul virus Zika: la diffusione, i rischi, la prevenzione. La febbre di Zika è una malattia virale veicolata da una zanzara del genere Aedes. I sintomi sono simili a quelli di altre malattie trasmesse da zanzare Aedes, anche se più lievi: febbre, dolori articolari e muscolari, eruzioni cutanee, congiuntivite. Un‟infezione da virus Zika potrebbe addirittura non dare sintomi o essere scambiata per una normale influenza. Dopo una puntura di zanzara infetta, i sintomi compaiono solitamente dopo un periodo di incubazione dai 3 ai 12 giorni e possono durare da 2 a 7 giorni; la malattia raramente richiede il ricovero ospedaliero. Il virus Zika è in grado di diffondersi in aree dove sono presenti zanzare Aedes. Non esiste alcun vaccino contro il Zika, per il quale l'unica forma di protezione è evitare la puntura della zanzara che trasmette la malattia. In Italia l'insetto che veicola il virus non c'è, ma non è chiaro se anche la zanzara tigre rappresenti un possibile peri-

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colo. In questo caso si potrebbero avere dei piccoli cluster anche da noi, come già successo per il virus Chikungunya o per il dengue in Francia. Purtroppo il virus Zika sembra non volersi arrestare e all'orizzonte, se non si agisce in fretta, si profila una pandemia in grado di estendersi per tutto il globo. Se il Paese più colpito continua ad essere il Brasile, dove sono aumentati a dismisura i casi di microcefalia infantile presumibilmente legati proprio alla puntura di zanzara sulle donne in gravidanza, anche gli Stati Uniti e la Russia hanno lanciato appelli per trovare presto un vaccino e forme di prevenzione che non mettano a rischio la vita delle popolazioni. Per evitare il diffondersi del virus che infetterebbe il cervello in fase di sviluppo (molti dei neonati nati con microcefalia muoiono dopo la nascita, molti di più rimangono con danni permanenti) vi riproponiamo, in attesa di un vaccino a cui stanno già lavorando intensamente da alcuni mesi i laboratori dell'Nih degli Stati Uniti , le linee guida approvate dal Ministero del Salute per difendersi dalla zanzara tigre: 1. Verificare che le grondaie siano pulite e non ostruite 2. Coprire le cisterne e tutti i contenitori dove si raccoglie l‟acqua piovana con coperchi ermetici, teli o zanzariere ben tese 3. Trattare regolarmente i tombini e le zone di scolo e ristagno con prodotti larvicidi 4. Eliminare i sottovasi e, ove non sia possibile, evitare il ristagno d‟acqua al loro interno 5. Non lasciare che l‟acqua ristagni sui teli utilizzati per coprire cumuli di materiali e legna 6. Non lasciare gli annaffiatoi e i secchi con l‟apertura rivolta verso l‟alto 7. Non lasciare le piscine gonfiabili e altri giochi pieni d‟acqua per più giorni 8. Non accumulare copertoni e altri contenitori che possono raccogliere anche piccole quantità d‟acqua stagnante 9. Tenere pulite fontane e vasche ornamentali, eventualmente introducendo pesci rossi che sono predatori delle larve di Zanzara Tigre Mario Bottiglieri


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Guerra e denari, tutto pronto per la prossima campagna di Libia Forse, qualcuno fra i miei lettori più attenti ri corderà la conclusione sibillina di un vecchio articolo. Si era nell‟ottobre dell‟anno scorso, e il pezzo era dedicato alla mastodontica esercitazione NATO “Trident Juncture”. In chiusura, dopo aver dato notizia dell‟assunzione in Goldman Sachs dell‟ex Segretario generale della NATO, terminavo: «Quali i punti di contatto – si chiederanno i lettori – tra la sfera militare e quella finanziaria? Ci sono, ci sono questi punti di contatto. E ne avremo conferma fra qualche mese, probabilmente in Libia.» Qualche mese è passato, ed è giunta quella c he a me pare proprio una conferma. Malgrado le grandi attese della vigilia, il caos seguìto all‟assassinio di Gheddafi ha favorito gli alleati mediorientali degli americani (sauditi,quatarini,turchi, eccetera), ma ha lasciato in sospeso qualche affaruccio delle grandi banche di Wall Street.In particolare,la Goldman Sachs – to‟ chi si rivede! – sembra che si agiti parecchio, soprattutto nelle ultime settimane, da quando appaiono in discesa le quotazioni di Ilary Clinton nella corsa alla Casa Bianca. Del rapporto fra la Clinton e la massima banca d‟affari del pianeta – per inciso – parlerò in una prossima occasione. Tornando alle vicende libiche,comunque, la banca di Manhattan – lo ricordava Manlio Dinucci sul “Manifesto” – ha già avuto da queste il suo bel guadagno, impadronendosi di 1,3 miliardi di dollari di fondi statali che le erano stati affidati dal bieco re gime, adducendo perdite la cui autenticità sarebbe utile poter verificare. Adesso, sembra che il presti gioso istituto finanziario sia particolarmente inquieto per i futuri equilibri interni alla Central Bank of Libya, cui – una volta ripristinato un minimo di normalità – dovrebbe spettare il còmpito di gestire il fiume di denaro delle rendite petrolifere e di indirizzare gli investimenti miliardari dei “fondi sovrani” libici. E ad essere inquieta non è soltanto la Goldman Sachs,ma l‟intero apparato statale, finanziario e mili tar-industriale della nostra “grande alleata”.Il còmpito che Qualcuno aveva pensato per l‟ISIS era quello di distruggere Siria e Iraq (e poi Libano e forse Giordania), per ridisegnare i confini del Me dio Oriente secondo i desiderata dei nuovi imperia lismi regionali.L‟intervento della Russia in Siria ha però sparigliato le carte, obbligando anche gli ame ricani a fare qualcosa di concreto in Iraq.Ecco, dunque, che il simil-Stato jihadista ha cominciato a spostare uomini e mezzi in Libia; nella previsione di essere costretto a cercare riparo dalle parti di Tripoli. Ed anche questo è un fatto (assolutamente non previsto) che obbliga gli americani a dare un segno di vita, pena la fine di quel loro strumento

coloniale che è l‟Alleanza Atlatica. Come giustifi care agli occhi degli alleati – infatti – la guerra della NATO nel 2011 contro un Gheddafi che non minac ciava nessuno, mentre la Libia di oggi potrebbe di ventare sede di un Califfato che vuol far la guerra all‟Italia?

Ecco che – in tali frangenti – potrebbe tornare utile un alto papavero NATO in Goldman Sachs, soprattutto trattandosi di un personaggio come l‟ex Se gretario generale Anders Fogh Rasmussen. Già pri mo ministro di Danimarca, il tale è noto per essere totalmente appiattito sulle posizioni americane; al punto da essere anche fautore del TTIP, il trattato di “libero scambio” – in itinere – con cui gli USA tentano di colonizzare definitivamente l‟economia euro pea. In campo militare, invece, l‟ardimentoso perso naggio si è illustrato in due manovre parimenti ne faste per gli interessi europei: le misure bellicose e provocatorie contro la Russia per la questione ucrai na e – guarda un po‟! – l‟aggressione alla Libia di Gheddafi. Ecco che, in vista di una nuova campagna tripolina, il passaggio di Rasmussen dalla NATO a Goldman Sachs potrebbe rivelarsi utile. Anche per tenere al loro posto gli italiani, nel caso che quel mattacchione di Renzi si montasse la testa per il fat to di essere stato incaricato di “guidare” la spedi zione punitiva sulle coste della Sirte. In fondo, la guerra del 2011 è stata fatta anche per privare l‟Italia del suo rapporto privilegiato con la Libia. Ora, la nuova guerra non avrà certo il còm pito di riportare indietro le lancette dell‟orologio. Il Vispo Tereso è avvisato: non avrà un nuovo Rais cui baciare la mano, come così bene sapeva fare un suo predecessore. Al nuovo Presidente del Consiglio ita liano – più modestamente – spetterà soltanto di mettersi un pennacchio in testa e di giocare ai soldatini. Per le cose serie, c‟è già chi ci pensa.

Michele Rallo __________ Da “Le Opinioni eretiche”

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LA FAVOL A DEL MESE

IL PAPERO SCIOCCO Di FRANCO PASTORE Con pubblicazione in ebook, in filmato e stampa, con cod. IT\ICCU\MO1\0038517 Disegni del dott. Paolo Liguori

Un papero vecchiotto e spelacchiato incominciò a pensare alla sua vita inutile , senza più affetti e, camminando tristemente per la via, diceva a se stesso questa litania: - Povero me! Son solo e senza affetti, pure i paperi sciocchi mi fan dispetti, avessi avuto almeno una bella paperotta, con la quale dividere granone e frutta cotta -. E parlottando giunse fino al fiume, dove all‟istante decise di annegar la piume. Prese una palla dimenticata da un bambino e con la corda la lega al collicino. Un grande tuffo e patapuff nell‟acqua, pensando di annegare in un momento, ma … la palla non lo portò a fondo e galleggiò saltellando in tondo. Fallito il tentativo di morire, prima s‟asciugò le piume al sole e poi trotterellando in sintonia, si mise alla ricerca di una adeguata compagnia. Camminando più avanti in una contrada, incontra una papera sciancata ed un pulcino mezzo rimbambito, tutto sporco e pieno di prurito. - Sentite cari! - Disse l‟animale, - vado lontano a cercar la sorte. Tu miserella mi sarai compagna e tu che sei piccino, farai da segretario o mio pulcino! E s‟avviò l‟allegra compagnia, cantando a squarciagola per la via: Batti il passo Fino a due Lì nei campi C‟è un bue, una capra, tre galline, e una vecchia contadina. Batti il passo fino a tre, io sono come un re voi sareste la mia corte poche piume e gambe storte.

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Sentendo cantare così forte, tutti gli animali accorsero e vedendoli, incominciarono a ridere a crepapelle. Un merlo che stava sul ramo di un albero, beccando gustosamente un fico, gridò: - Canta pure ,o grande allocco tu sei re, ma degli sciocchi, d‟una papera sciancata ed un pulcino malandato -. A questo punto, i tre smisero di cantare e si allontanarono in fretta tra gli scherni di tutti gli animali. Cammina, cammina, giunsero in un bel paesino, dove tutti erano floridi e ben vestiti. Il sindaco un aquilotto distinto ed istruito, vedendoli arrivare così malandati ne ebbe pena e cercò di aiutarli. Il sindaco un aquilotto distinto ed istruito, vedendoli arrivare così malandati ne ebbe pena e cercò di aiutarli. Li fece ripulire e vestire decentemente e li sfamò con cibi squisiti ed abbondanti. Dopo qualche giorno di buona vita, il papero decise di conquistare tutto il paese e con sciocca furbizia e la parola facile iniziò a millantarsi di questa e quell‟impresa,di qualche dottorato e che avrebbe fatto la fortuna di chiunque a lui si fisse legato. Ma dopo numerosi tentativi di produrre miracoli e ricchezze, furono note a tutti le sue prodezze sciocche e le assurde pretese di essere un capitano di mille imprese. Invece di scusarsi e vivere tranquillo, incominciò a sparlare della gente, che era stato offeso dall’aquilotto e che si sarebbe vendicato immantinente. Allora la comunità comprese che era un papero sciocco ed ingrato e tutti lo allontanarono. Cosi, il papero ritornò nuovamente sulla via , a cantare la sua triste litania: - Povero me! Son solo e senza affetti, pure i paperi sciocchi mi fan dei dispetti avessi avuto almeno una bella paperotta con la quale dividere granone e frutta cotta. Cammino per la via in brutta compagnia una bestia malandata e un pulcino sventurato - . A questo punto, anche la papera sciancata lo abbandonò, mentre il pulcino rimbambito gli fece uno sberleffo e scappò via, lasciandolo solo solo per la via: -Addio, mio caro, sarò pure sventurato, ma non sono né sciocco, né un ingrato. Stretta la foglia, larga è la grata, pure questa favola è terminata.


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DA ALTRI GIORNALI

Un avamposto a Venezia

Il carteggio fra Girolamo Tartarotti e Tommaso Giuseppe Farsetti (1741-1758) Verona, Edizioni QuiEdit, 2015 (Cres, Edizioni e strumenti, 10) Il libro è stato presentato Giovedì 18 febbraio 2016 nel Palazzo della Fondazione CARITRO, Piazza in Rosmini di Rovereto.

Il volume riproduce lo scambio epistolare fra Girolamo Tartarotti e il patrizio veneto Tommaso Giuseppe Farsetti,costituito da 127 lettere scambiate in un arco di tempo lungo quasi trenta anni.Quando si conobbero, il ventenne Farsetti trovò nel più maturo Tartarotti, già apprezzato professionalmente –era a Venezia assunto dal futuro doge Marco Foscarini, che affiancava nelle ricerche sulla letteratura veneziana –, una persona con cui condividere interessi e di cui valersi, tornato in patria,per soddisfare una tenace passione bibliofila.Del Farsetti ci sono giunte 76 lettere,tutte autografe eccetto una, gran parte delle quali conservate in un codice miscellaneo della Biblioteca Civica di Rovereto. Il medesimo codice ospita di seguito 51 responsive del Tartarotti, trascritte da un anonimo senza alcuna indicazione relativa agli originali.Grazie ad esse il letterato roveretano si manteneva informato sugli amici comuni e sulle novità letterarie e reperiva libri utili per i suoi studi, ma soprattutto monitorava la pubblicazione delle proprie opere, molte delle quali uscirono appunto dai torchi della Dominante, dove invano cercava di ristabilirsi.

E‟ intervenuto Gian Paolo Romagnani della Università degli Studi Verona e Accademia degli Agiati, mentre ha coordinato l‟incontro Stefano Ferrari, Vice-presidente dell'Accademia degli Agiati.

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UNA LIRICA A CASO

FOGLIE MORTE Νεκρά φύλλα

Un flebile sussurro di foglie riporta alle soglie del tempo; nel fango del fosso, più lenta, gracida, rauca, la rana. Ritorna un ricordo che duole, difficile riprendere un sogno, se pur le parole, come foglie morte, cadono dal cuore. L‟amore? Si, forse l‟ho conosciuto, ma è, ora, lontano, come un ospite atteso e subito andato via, come la vita, come la vita mia. [Da Cronos, di Franco Pastore-

.I.T.W. Edizioni SA.]

cod. GGKEY:BECCLSTGQT0 E


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IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO

„A POSTEGGIA

Nel „700 spiccavano come luoghi di posteggia le “pagliarelle dello Sciummetiello” e la Taverna delle Carcioffole al Ponte della Maddalena dove si leggeva la famosa quartina:

“Magnammo, amice mieje e po‟ vevimmo nzino a che nce sta ll‟uoglio a la lucerna; chi sa se all‟autro munno nce vedimmo; chi sa se all‟autro munno nc‟è taverna”. Nel mondo antico e, segnatamente, in quello classico dominava la musica rituale o religiosa. L‟unica alternativa era, dunque, la cosiddetta “musica da tavola”. Diversi musicisti destinati a lasciare traccia della loro arte, ove non riuscivano ad occupare un posto di “maestro di cappella”, si mettevano al servizio di nobili e, per una minima ricompensa, diventavano “musicisti domestici”. Anche Mozart seguì questa trafila, ma nel 1781 egli, dimettendosi da “musicista domestico”, mentre a Salisburgo era al servizio dell‟Arcivescovo Colloredo,automaticamente inaugurava una nuova stagione, quella dei “musicisti professionisti”. All‟epoca, già da tempo a Napoli, come abbiamo prima rilevato, dilagavano i nostri posteggiatori che non erano al servizio di nessuno e che venivano liberamente ricompensati dai fruitori della loro musica. Infatti, i posteggiatori, dopo la loro esibizione, “andavano per la chetta”, cioè giravano fra gli avventori con il famoso “piattino”. L‟offerta non era intesa come un‟elemosina, ma come un riconoscimento, anche se fatto di spiccioli, all‟arte. Meglio la libertà che essere sottoposti allo stipendiuccio di un padrone. I posteggiatori napoletani, inoltre, davano la possibilità a tutti, non solo ai patrizi, di usufruire delle loro prestazioni. Prima di citare i nomi dei più celebri posteggiatori napoletani, mi piace ricordare che essi usavano un gergo tutto proprio, la cosiddetta “parlesia”, incomprensibile anche agli stessi napoletani. Ad esempio, il pane era chiamato “illurto”, l‟avaro “schiancianese”, il pollo “pizzicanterra”, la chitarra “allagosa” o “ „a cummara”, il mandolino “peretta”, il violino “tagliere”, i soldi “ „e bane”, il vino “chiarenza”, i seni femminili “ „e tennose”. Ma veniamo ora ai nomi più conosciuti di posteggiatori napoletani. Il nome più celebre è quello di Enrico Caruso che sarebbe diventato il tenore più famoso al mondo.

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(II parte)

All‟età di diciassette anni Caruso cantava nei caffè e nelle trattorie. Insieme al suo amico Adolfo Narciso, nel 1891 si esibiva ai “Bagni Risorgimento” in Via Caracciolo, dove fu ascoltato dal baritono Missiano che, avendone compreso la bravura, lo affidò almaestro Guglielmo Vergine perché gli desse lezioni di canto. E questo gli fu utile. Sappiamo poi il resto! Tra i posteggiatori napoletani celebre fu Giuseppe Di Francesco, meglio conosciuto con il soprannome di “ „o zingariello”. Dovete pensare che nel 1879, trovandosi a Napoli Richard Wagner e ascoltando la voce di „o zingariello, ne rimase colpito per l‟espressività della voce, tanto addirittura di proporgli di seguirlo. „O zingariello ne fu lusingato e con Wagner si portò a Bayreut. Lì, nel salotto musicale del grande Maestro era applauditissimo. Vi rimase quattro anni, ma poi fu costretto a tornare a Napoli, scacciato dallo stesso Wagner. Sapete perché? Perché sistematicamente gli metteva incinte tutte le cameriere ... Ma lui diceva, invece: “M‟ero sfasteriato „e fa‟ „o soprammobile”. Solo in seguito confessò la verità. A lui Di Giacomo dedicò una canzone “Ll‟ortenzie” musicata da Costa. Libero Bovio scrisse per lui “Zingariello” con musica di Frustaci: Zingariello / cantatore „e Pusilleco senza voce sapive cantà; cielo e mare / quanno „a notte era doce cu n‟accordo „e chitarra /facive scetà! Tra i posteggiatori napoletani da ricordare fu Pasquale Jovino detto “Pascale „o piattaro”, detto così perché in gioventù era stato decoratore di piatti. Nato nel 1865, ebbe momenti di vera gloria. Aveva studiato con Caruso presso il Maestro Vergine. Lo prese a benvolere nientemeno che il filosofo Giovanni Bovio che gli pagò gli studi di canto e musica. Nei ristoranti di Posillipo divenne famoso. Per brevità di tempo, dirò i nomi delle principali città in cui si esibì: Berlino, New York, Pietroburgo dove, addirittura, mentre cantava nei ristoranti, fu chiamato a Corte dallo Zar Nicola II il quale si divertì un mondo nell‟ascoltare la canzone “ „A risa” di Cantalamessa. Ebbe modo di essere apprezzato da Francesco Giuseppe, Gustavo di Svezia che gli chiese un bis ed Umberto I. Al Quirinale la Regina Margherita, per il troppo ridere nell‟ ascoltare “ „A risa”, rischiò di cadere dalla poltrona. Tale canzone, per fortuna, è stata salvata da un disco della Phono Electra. Gennaro Olandese, detto “Gennarino „o „nfermiere”, tenne banco nella Birreria dell‟Incoronata fin dal 1883, mentre nella Birreria Strasburgo troviamo Luigi Calienno, “ „o tenorino”, che aveva studiato con Vincenzo Valente.Cantava in modo ineguagliabile “Era de maggio”. Da ricordare i Liberti, padre e tre figli. Raffaele, detto “ „o gattone”, era il più bravo e suonava il violino. Intorno al 1888 si aggiunse ai Liberti Vincenzo Righelli, detto “Coppola rossa”, rinomato per l‟interpretazione di “Mariuccia”. Pietro Mazzone, detto “ „o romano” nato nel 1864 e morto nel 1934, fu il primo tra i posteggiatori napoletani ad entrare in sala d‟incisione. (Continua)

Giulio Mendozza


Antropos in the world

IL MUSEO DIOCESANO SALERNITANO LE COLLEZIONI D’ARTE Dal Medioevo al Rinascimento (Vparte)

Andrea Sabatini (Salerno 1489 ca.‒Gaeta 1530), Pietà, olio su tavola, Salerno, Museo Diocesano, secondo decennio del XVI secolo Andrea Sabatini (Salerno 1489 ca.‒Gaeta 1530), Madonna di Costantinopoli, tempera su tavola, secondo decennio del XVI secolo

Sala V Nel dipinto Andrea da Salerno, considerato a ragione il maggior interprete della cultura raffaellesca in Italia meridionale, coniuga le morbidezze tipiche della sua pittura composta con slanci più dinamici ed estrosi da ricondurre ad una temporanea adesione alla maniera degli spagnoli Alonso Berreguete e Pedro Machuca. Nella Pietà (fig. 21), proveniente dalla Cattedrale di Salerno, la possente figura del Cristo deposto occupa trasversalmente quasi la metà del dipinto, mentre l‟ampio gesto delle braccia della Vergine raccorda lo spazio restante, in cui prendono posto ai lati le figure accoppiate dei Santi. Fra queste, sull‟estrema sinistra è raffigurato San Giovanni Battista che,nonostante non avesse presenziato al tragico evento, in quanto all‟epoca già morto, appare nella scena poiché la tavola del Sabatini era stata destinata alla cappella intitolata e dedicata proprio al Battista all‟interno della Cattedrale salernitana.

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Malgrado alcune debolezze nella resa anatomica del Cristo l‟opera è collocabile in uno dei momenti più intensamente raffaelleschi del nostro artista, in cui si ravvisano richiami molto puntuali agli affreschi delle stante dell‟appartamento di Giulio II in vaticano, eseguiti dall‟ urbinate tra il 1509 e 1517. La tavola con l‟Adorazione dei Magi (fig. 22), caratterizzata dal motivo della lunetta superiore raffigurante Sant‟Elena, era collocata nella cappella de Vicaris della cattedrale di Salerno, inserita in una straordinaria cona marmorea decorata con scene della Passione, in cui è ancora possibile ammirare la copia, eseguita da Gioacchino Vitelli nel 1814. L‟originale, rimosso in epoca imprecisata, è stato custodito a lungo nei depositi del museo di Capodimonte e soltanto di recente concesso in prestito al Museo salernitano. Il dipinto suscitò tale apprezzamento che i d‟Afflitto, nel 1523, richiesero ad anonimi maestri di realizzarne uno simile da destinare alla loro cappella nel duomo di Amalfi.

Paolo Liguori UNICUIQUE SUUM A ciascuno il suo


Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI BERGAMO

NONNE E NUOVE TECNOLOGIE Nuove dinamiche relazionali tra giovani e anziani passano oggi attraverso il web, quando le nonne diventano allieve e i nipoti salgono in cattedra. Condividere le competenze digitali avvicina le generazioni e apre nuove e inedite prospettive di dialogo fra “nonni” e “nipoti”. Lo hanno sperimentato con successo i 44 studenti del triennio del Liceo Scientifico “Natta” di Bergamo ( a indirizzo Scienze Applicate), preparati con successo dalla docente di informatica Maria Notarangelo, che si sono trasformati in brillanti docenti per 80 “nonne 2.0”, pronte a tutto, pur di avvicinarsi alle nuove tecnologie. Il primo dei sei corsi base di computer previsti per over 60, a partire da martedì 2 febbraio 2016, per un ciclo di sei lezioni di due ore ciascuna (corsi totalmente gratuiti), è stato promosso dal Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo su progetto di Adriana Zavattaro, 82 anni magnificamente portati. “ Ho presentato il progetto in Commissione – ha dichiarato la Zavattaro, consigliera comunale e referente dell‟Associazione Auser Città di Bergamo – perché ho sempre pensato che i nuovi nonni debbano oggi proiettarsi in avanti per poter comunicare con i loro nipoti e per diventare autonomi nella gestione delle nuove tecnologie”. Ma perché proprio l‟Istituto “Natta” di Bergamo? Tutto è nato dall‟incontro casuale fra la Zavattaro e il prof. Cortesi, docente di religione e vicepreside dell‟Istituto “Natta”, che, venuto a conoscenza del progetto, ha subito pensato di mettere a disposizione delle “nonne” i laboratori di Informatica della propria scuola. L‟iniziativa è stata accolta con entusiasmo dagli studenti, che hanno deciso di offrire gratuitamente e volontariamente il proprio tempo libero e le proprie competenze informatiche alle anziane signore, azzerando di colpo la barriera generazionale. “Una valanga di iscrizioni al corso over 60 è stata l‟immediata risposta al Progetto – ha dichiarato la Presidente del Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo, Emilia Magni -. Un successo che ci ha travolto e riempito di orgoglio, dimostrando l‟importanza e l‟urgenza di colmare questo gap generazionale sull‟uso delle nuove tecnologie”. E così delle oltre150 domande di partecipazione ai corsi di alfabetizzazione digitale, organizzati dal Comune di Bergamo in collaborazione con l‟Istituto “Natta”, sono state accolte per ragioni logistiche ed organizzative solo 80 richieste.Agli studenti-tutor il Comune di Bergamo riconoscerà i crediti formativi. Il Progetto si presenta come un‟occasione straordi-

naria di arricchimento sul piano relazionale per la costruzione di un dialogo autentico tra le generazioni, ma anche come una vera opportunità per i giovani di avvicinarsi come tutor a persone che per età sono vicine ai loro nonni, attraverso momenti di profonda condivisione, di incontro e di apprendimento. Altro progetto “Nonni e Nipoti” è quello del “Turismo Intergenerazionale”, che si inserisce nel quadro delle ricerche e sperimentazioni promosse dal Laboratorio Incontri Generazionali dell‟Università degli Studi di Milano dall‟anno 2000, in sinergia con Enti pubblici e Scuole Superiori, coordinate dallo staff del Laboratorio Incontri Generazionali. Alla vacanza sono invitati adulti over 60 (10-12 persone) e ragazzi delle scuole superiori ( 10-12 persone). Dall‟estate 2000, si realizzano settimane di vacanze intergenerazionali in Val di Non ( dal 2000 al 2014), a Viterbo ( dal 2002 al 2014), a Sfruz ( Trento ). La vacanza permette, nell‟ambito della ricerca-sperimentazione del Laboratorio Incontri Generazionali, il conseguimento dei seguenti obiettivi: 1. la costruzione di buone relazioni tra le generazioni, attraverso momenti di condivisione e di incontro: gite, laboratori multimediali, feste, rappresentazioni teatrali, cineforum; 2. l‟apprendimento degli strumenti multimediali attraverso l‟attivazione di laboratori informatici, nei quali la coppia „nonno-nipote‟ si misura e si conftonta; 3. l‟educazione ambientale ed alimentare, attraverso gite ed escursioni che consentono di scoprire la ricchezza del patrimonio naturale, storico, religioso e culturale delle aree geografiche interessate. L‟esperienza, che suscita ampio consenso da molti anni, attiva nuove dinamiche relazionali tra giovani e anziani,arricchisce i giovani di culture consolidate nel territorio di appartenenza e apre agli anziani nuove modalità di rapporto con le nuove generazioni, anche attraverso l‟uso consapevole delle nuove tecnologie. Maria Imparato

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Antropos in the world

Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput LVII -

DE MALVA ET MENTA Dixerun malva veteres, quia molliat alvum. Malvae radices rasae Dedere faces: vulvae moverunt et Fluxumsaepe dederunt. Mentutur menthe, si sit depellere lenta lumbricos stomachi vermesque nocivos.

Malva detta al tempo prisco perché il ventre rammollisco. Le mie radiche han potere di riscioglir feci intere. Medicina fia bugiarda se la menta ti ritarda A scacciarLombrichi e vermi da ventrigli e grembi infermi.

LEVIORA

UN PO’DI STORIA VERA Nel Medioevo, la vita media degli uomini era di 40- 45 anni e l'assistenza socio-sanitaria inesistente. Quando un uomo moriva, per certificarne la morte,veniva chiamato il "medico condotto", il quale per verificare l'effettivo decesso, usava infliggere dolore al deceduto; il modo più comune utilizzato in quel tempo era un potente morso inflitto alle dita dei piedi (quasi sempre l'alluce). Nel dialetto del popolino, il "medico" assunse così il soprannome di "beccamorto". Questa pratica diede origine a un vero e proprio mestiere. La tradizione prevedeva che tale mestiere fosse tramandato dal padre al primo figlio maschio ma, verso la fine del medioevo, accadde qualcosa che cambiò il futuro dei beccamorti. Uno dei beccamorti più famosi non riuscì a concepire un figlio maschio,la moglie partorì quattro figlie femmine. Il beccamorto, per evitare la estinzione del mestiere, chiese alla chiesa una dispensa per poter tramandare la professione alla sua figlia femmina, la quale dopo, aver ricevuto la benedizione, iniziò il suo lavoro di beccamorto. Il caso volle che il suo primo morto fu un uomo al quale un carro aveva tranciato entrambe le gambe; la ragazza era indecisa su dove infliggere il morso, alla fine prese una decisione e ... nacquero le moderne "pompe funebri".

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NUNZIATINA

Antropos in the world

© Franco Pastore 1982 - Terza edizione marzo 2014 - Cod ISBN 9788868143053 Trama ed dialoghi di questa storia romanzata sono presenti nel dramma in due atti, dello stesso autore, TERRA AMARA.

Prefactio del dott. Natale Ammaturo, Sociologo, Professore ordinario presso Ateneo Salernitano Franco Pastore

Romanzo breve

A.I.T.W. Edizioni

“… L‟autore nella narrazione ha riscoperto l‟ira del sud, quell‟ira che difficilmente si fa azione: è l‟ira soffocata che diventa rassegnazione, impotenza, preghiera. E tutto concorre al mantenimento dei rapporti sociali consolidati: li istituzioni difendono i privilegi e non consentono spazi a mutamenti, nel sostanziale miglioramento della condizione umana della povera gente del Sud, sottoproletariato, cje è costretta a cedere una parte della propria giornata lavorativa, già malpagata, al caporale, figura questa parassitaria, che fa da tramite e da mediatore tra il potere costituito, i grossi latifondisti e la povera gente. Forse, la sfiducia nello stato e nelle istituzioni della gente del Sud nasce dai maltrattamenti storici, dalla soggezione e dalla educazione all‟obbedienza ed alla sudditanza. L‟arroganza del potere allunga le sue mani vio-lente anche sull‟unica ricchezza posseduta: l‟intimità e la purezza della povera gente del sud. Ma Nunziatina sceglie il suicidio per la violenza subita; il dolore della propria miseria e la consapevolezza di nessuna giustizia per la propria condizione sociale hanno il sopravvento sulla religiosità e sul potere consolatore della provvidenza.

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La morte è l‟estremo rimedio ed è solo con essa che si possono risvegliare sentimenti sopiti, rancori atavici ed il senso della giustizia storica. […] Come è lontano lo Stato, il potere costituito, garante della propria libertà! Lo Stato ricompare dopo l‟uccisione del caporale, arrestando e condannando i giovani vendicatori. […] L‟autore si riallaccia alla tradizione naturalistica di stampo francese nella forma e nei contenuti, senza mai discostarsi dalla coerenza e dalla fedeltà ai fatti ed i personaggi appaiono in tutta la loro pienezza di sentimenti e sofferenze: l‟umanità è presente. […] Natale Ammaturo

OMAGGIO ALLA “PURPETTA „E PASTENACHE” (Semantica: dall’accusativo latino pastinaca-m)

„A purpetta „e pastenàche, „na ricetta assai luntana, piace a femmene, a mbriàche, cchiù da carne e de‟ patàne. E‟ lo stemma d‟un paese, un emblema, „na bandiera, ca te regne „na zuppiéra e te face „nzuccarà. Fu miseria o intuizione a portarla fra la gente, per poi farne un baldacchino in onor di San Valentino? Costa poco ed è squisita, una vera leccornìa, quando è calda è sapurìta, pure fredda è „na malìa. Uova, pepe, parmigiano, sale e scaglie di romano, friggi, poi, tutto a puntino solo dopo il pretusìno. Si è vero, sacripante! Piace proprio a tutti quanti! Nelle case, cosa rara, siamo tutti pastenacàri. F. Pastore


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DALLA REDAZIONE DI SARNO

COME SI FA A DIMENTICARE?

A quasi vent'anni distanza arrivano i fondi "a totale indennizzo della responsabilità civile a carico dello Stato e del Comune". Nel maggio del 1998 sotto un fiume di fango morirono 160 persone e tra esse, il preside Gaetano Milone.

E‟ il cinque maggio del 1998, A Sarno è l‟apocalisse: Dopo settantadue ore di pioggia lenta ed incessante la montagna inizia a franare. Nel suo percorso la colata aumentava di volume, per un totale stimato di qualche milione di metri cubi, trovando abitazioni e strade asfaltate che non fanno altro che aumentare la velocità, fino ad una velocità media stimata tra i cinquanta e i sessanta chilometri orari. Il parroco del Duomo di Episcopio chiama i Vigili urbani intimorito per la troppa acqua che scende dal Monte Pizzo d'Alvano ma questi gli rispondono di non preoccuparsi. Intanto da Bracigliano arriva alla Prefettura di Salerno la prima comunicazione del disastro in corso. dopo un forte boato, una frana precipita a valle invadendo, nel Comune di Sarno, le località Curti e Viale Margherita travolgendo diverse abitazioni. Si segnalano le prime vittime; arrivano notizie di una frana anche a Siano. Avvisati del disastro in atto, i primi nuclei di volontari (la Colonna del Vesuvio composta da 12 associazioni locali e i Vigili del Fuoco in congedo) raggiungono l‟area della frana. quattro ore di terrore, boati, frane, morti. Alle 20.00 la frana travolge S.Vito ed Episcopio, frazioni di Sarno. A Quindici intanto la tragedia è compiuta, mentre i soccorsi continuano a tardare e ci si affida alla disperazione ed al coraggio dei volontari.

Crolla l‟Ospedale Villa Malta di Sarno, medici ed infermieri vengono travolti dall‟ultima frana staccatasi dal monte Saro. Mancano i soccorsi. Il primo elicottero sorvola Quindici all‟una e poi si dirige sull‟altro versante della montagna, verso Sarno. In servizio ci sarebbero altri cinque elicotteri, ma non sono abilitati a volare di notte e sorvoleranno la zona solo alle 6.00 del mattino. A quasi vent'anni dalla frana e dal fiume di fango che investirono Sarno nel maggio del 1998 e che costò la vita a 160 persone arriva un risarcimento ai familiari delle vittime dell'alluvione "a totale indennizzo della responsabilità civile a carico dello Stato e del Comune di Sarno". Lo prevede un emendamento alla Legge di stabilità approvato dalla commissione bilancio della Camera. Sarà il sindaco di Sarno, d'intesa con il capo del dipartimento della Protezione civile, a individuare i familiari delle vittime e a stabilire la somma spettante "nel limite di centomila euro per ciascuna delle vittime" e la quota di rimborso delle eventuali spese legali sostenute e documentate. La spesa complessiva ammonta a 17 milioni di euro nel biennio: 7,5 milioni per ciascuno degli anni 2016-2017 al capo dipartimento della protezione civile per provvedere alle elargizioni. Al comune di sarno andrà invece un trasferimento straordinario di un milione di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, a compensazione di quanto erogato ai familiari delle vittime a seguito di sentenze riguardanti la responsabilità civile dello Stato e del Comune stesso.

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Due sconcertanti immagini del disastro.


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UNA DONNA NELLA LETTERATURA a cura di Andropos

Πηνελόπεια - Penelope -

I personaggi del mito in genere ci appaiono come archetipi umani psicologicamente ben definiti, tanto da rappresentare una certa qualità, sulla quale lavora indefessamente la creatività, l‟impegno ideologico i e la fantasia degli autori. Ma proviamo a travalicare la logica comune. Perché nel canto XVIII la regina, dopo anni di ripulse e proprio quando si infittiscono, sotto i suoi occhi, i segnali di un possibile ritorno di Odisseo, decide d‟apparire tra i pretendenti in tutta la sua bellezza e chiede loro ricchi doni nuziali? Dopo l‟efferata scena dell‟uccicione dei pretendenti, perché Penelope, nel canto XXIII, è così fredda verso colui che l‟ha liberata dai Proci, e con cui era stata ben più amabile nel canto XIX? Se Penelope non ha riconosciuto il marito e vede in lui solo il mendicante, perché insiste a farlo partecipare alla gara con l‟arco,una gara da cui dipende il suo futuro? Che significato ha poi l‟intervento d‟Atena, finalizzato a determinare le azioni di Penelope, senza poi che ella se ne renda conto (IV 795ss.; XVIII 158ss.; XXI 1ss.)? E che dire della storia dell‟inganno della tela, ripetuta tre volte nel poema, ma in apparenza, senza precisa funzione strutturale (Od. II 93ss., XIX 138ss., XXIV 128ss.)? Comunque, la situazione tutta è abnorme: attendere un marito per venti anni, una efferata solitudine, resa ancora più dura dalla presenza e le lusinghe di un esercito di uomini che alludono, propongono, insinuano e danno forti segnali, non sempre garbati, della loro mascolinità. Ma chi era Penelope? figlia di Icario e di Policaste, moglie di Ulisse, madre di Telemaco, Poliporte e Arcesilao, discendeva da parte di padre dal grande eroe Perseo (Icario era suo nipote) ed era cugina di Elena. Prende il nome da un mito riguardante la sua infanzia: quando nacque fu gettata in mare per ordine del padre e fu salvata da alcune anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la spiaggia più vicina. Dopo questo evento,i genitori la ripresero con loro e le diedero il nome di Penelope (da phnἐlo, anatra), nome che si concilia perfettamente, tra l‟altro, all'evento della tela che la vide protagonista nell'Odissea (pὴnh,h, tela), uno stratagemma, creato da Penelope, che per non addivenire a nuove nozze e permettere bcosì al marito di raggiungerla, nel suo travagliato ritorno da Troia. La tela doveva essere il sudario d el suocero Laerte. Per gudagnar tempo, di notte disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Tutt'oggi si cita la tela di Penelope in riverimento ad un lavoro che non avrà mai fine. Attese per vent'anni il ritorno di Ulisse, partito per la guerra a Troia, crescendo da sola il piccolo Telemaco e evitando di scegliere uno tra i proci, nobili pretendenti alla sua mano, anche grazie al famoso stratagemma della tela. Avendo promesso ai proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito

il momento della scelta. L'astuzia di Penelope, tuttavia, durò "solo" per poco meno di quattro anni a causa di una ancella traditrice che riferì ai proci l'inganno della regina. Ma Ulisse tornò, uccise i proci e si ricongiunse con la moglie, che finalmente potè appaarsi di lui, dopo ben dieci anni di astinenza disturbata. Ulisse, d'altronde, non fu da meno e, dopo il riserbo iniziale, condito di quel mistero voluto, per prudenza, dalla dea Atena, si lasciò andare e fu all‟altezza della situazione, perché mise incinta la moglie ber ben due volte ancora, dando al giovane Telemaco due fratellini: Poliporte e Arcesilao. Πηνελόπεια è il nome greco, che diventa in altr autori Πηνελόπη, da cui, in dorico diventa Πανελόπα. Qui di seguito, i versi del XXIII libro dell‟eneide: Euricléa corre a destar Penelope, e a farle sapere, che Ulisse è giunto, ed ha uccisi i Proci. “La buona vecchia gongolando ascese Nelle stanze superne, alla padrona Per nunzïar, ch‟era il marito in casa. Non le tremavan più gl‟invigoriti Ginocchi sotto; ed ella a salti giva. Quindi le stette sovra il capo, e, Sorgi, Disse, Penelopéa, figlia diletta, Se il desio rimirar de‟ giorni tutti Vuoi co‟ propri occhi. Ulisse venne, Ulisse Nel suo palagio entrò dopo anni tanti, E i Proci temerarj, onde turbata La casa t‟era, consumati i beni, Molestato il figliuol, ruppe, e disperse.” ............................................ Giubbilò allor Penelope, e, di letto Sbalzata, al seno s‟accostò la vecchia, Lasciando ir giù le lagrime dagli occhi, E con parole alate, Ah! non volermi, Balia cara, deludere, rispose.

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ἄνδρα μοι ἔννεπε, μοῦζα, πολύηροπον, ὃς μάλα πολλὰ πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πηολίεθρον ἔπερζεν· Narrami, o musa, dell’uomo di multiforme ingegno, che tanto errò, dopo che distrusse la sacra rocca di Troia


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