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LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA e la musicoterapia(1) ANNO XI N.RO 10 del 01/10 /2015
Pag. 1. Pag. psicologica 2. L’invasione è servita 3. Migranti e profugh 5. Teatro romano 6. Premio Madonna del... 7. Dante e S.Antonio 8. Racconto 9. F.Pastore 10. Una donna nella storia 11. La Demografia 12. L’angolo del cuore 13. Il Vispotereso 14. Baby gang 16. Paremiologia 17. Pagina medica 18. I grandi pensatori 19. Una teoria di Giuffry 20. Pasolini 21. Le carni equine ricette 22. Vogliamo zero 24. Storia della musica 25. Politica e Nazione 26. Capitano Ultimo 27. Scarponi chiodati 28. Penelope 29. A pusteggia 30. Il Museo Diocesano 31. La canzone del piave 32. Regimen sanitatis sal. 34. Sulla valle del Sarno 35. Simona De Rosa 36.Redazioni e riferimenti
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Le politiche sociali Nel contesto degli interventi rivolti agli anziani, interventi delle politiche sociali e dei servizi, viene circoscritta un‟area caratterizzata da azioni con obiettivo primario di tipo ricreativo e socio-culturale-educativo, così come in attività educative può coesistere l‟aspetto sanitario di prevenzione, per esempio. Una caratteristica di quest‟area, che diviene il campo di osservazione del fenomeno educativo della vecchiaia, a mio avviso, è che ad essa vi collaborano, vi interagiscono diverse discipline, in parte complementari. Esse sono: l‟educazione degli adulti, la didattica con la sua riflessione su problematiche di tipo pratico, e l‟animazione, con le sue tecniche e metodologie. Il rapporto tra queste discipline, è di collaborazione e sostegno. Esse pur collocandosi su livelli diversi, si compenetrano e completano a vicenda, in una sequenza ciclica, simile al rapporto che intercorre tra la teoria e la pratica in generale. Bisogna dire che specialmente in questo campo le distinzioni e i confini netti sminuirebbero la capacità di riflessione di un argomento che in fin dei conti si riconduce alla ricchezza umana della vita in tutte le sue espressioni e in tutte le sue fasi. Essa comprende sia “progetti e attività rivolte agli anziani con il chiaro intento di favorire una vecchiaia non emarginata, inserita nella comunità di appartenenza, e che comprende anche strategie finalizzate ai non anziani”, da parte dei quali si vorrebbe ottenere una valutazione più realistica e meno negativa della vecchiaia; sia “comprende interventi tesi a orientare l‟educazione degli anziani verso la creatività”; sia ancora “interventi volti a preparare gli adulti ad affrontare il momento in cui si distaccheranno dal lavoro” . Nella dichiarazione di intenti questi interventi in linea generale si strutturano attorno al tempo libero degli anziani, impiegandolo in attività ludico-ricreative, oppure in attività che stimolino la crescita culturale e civile e lo sviluppo della socialità, o ancora che promuovano l‟impegno degli anziani verso attività socialmente utili di volontariato, o attività occupazionali in grado di valorizzare la professionalità acquisita in precedenza. La mia tesi non si colloca precisamente in un‟area di intervento, ma allo stesso tempo spazia sui contenuti di tutte, raggiunge in modo trasversale un po‟ tutti gli ambiti di riflessione e di intervento sulla vecchiaia e lo fa attraverso uno sguardo pedagogico ampio, che apre a domande sempre nuove, che invita a rivedere cliché mentali e comportamentali radicati nella nostra cultura. Alcune problematiche, che sono sentite in modo particolare dagli anziani, sono la solitudine, l‟isolamento sociale e gli altri problemi già individuati e che presentano delle caratteristiche particolari, su cui diviene importante soffermarsi anche per le conseguenze che esse hanno sulle comunità locali in termini di immagine e di rapporto con la vecchiaia nel suo complesso: la sessualità della persona anziana ed il significato della morte. (Continua) ____________ 1) F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELLA Vecchiaia, pag.12 e 13 - A.I.T.W. ed. SA.
2004 – Scaricabile in e-book su Google play, cod. GGKEY:K6C9CH8SW 3Q E
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Signori, l‟invasione e‟ servita! Da “LE OPINIONI ERETICHE” di M.Rallo Ci voleva l‟assalto alle frontiere dell‟altra Europa – quella ricca – per richiamare tutti ad un po‟ di sano realismo: l‟invasione dell‟Europa è cominciata.Soltanto cominciata, si badi bene, perché il capo del Pentagono (mica un americano qualunque!) ci ha paternamente avvertito: l‟emergenza immigrazione durerà almeno altri vent‟anni. Naturalmente, cosa resterebbe fra vent‟anni dell‟Europa se i suoi governi dovessero continuare a favorire l‟invasione, questo il generalone yankee non l‟ha detto. Certo, preoccupa che una dichiarazione del genere venga dal comandante di quell‟esercito che ha destabilizzato (direttamente o per interposto “esercito di liberazione”) l‟intero Medio Oriente e una bella fetta di Africa, abbattendo sistematicamente tutti i regimi che si opponevano al dilagare del fondamentalismo islamista; con ciò provocando – fra le altre cose – una marea di profughi che, dopo essersi abbattuta sui Paesi confinanti, comincia adesso a riversarsi in Europa. Poca cosa – comunque – a fronte di un miliardo di africani, la stragrande maggioranza dei quali non pensa ad altro che a trasferirsi qui da noi; non per sfuggire – come dicono i campioni d‟ingenuità – a guerre o persecuzioni, ma semplicemente per intercettare un po‟ di quel che resta (e ne resterà sempre meno) del mitico benessere europeo. E che questa incontenibile “voglia d‟Europa” si sia prodotta in Africa del tutto improvvisamente (più o meno in coincidenza con la nascita dell‟Unione Europea) è una cosa che lascia perplessi, fino a spingere qualche malizioso ad ipotizzare che dietro possa esserci lo zampino dei servizi segreti di qualche nazione “amica” dell‟Europa. Naturalmente, non appena in questi giorni la situazione ha assunto dimensioni allarmanti, si è sùbito messa in moto la macchina della propaganda immigrazionista: scomparsi – per fortuna – i luoghi comuni più idioti ( gli immigrati fanno i lavori che gli europei non vogliono più fare, gli -2-
immigrati lavorano per consentire ai nostri figli di percepire una pensione, e così via scherzando) adesso si punta tutto sulla commozione indotta: si pescano le istantanee più scioccanti, magari con protagonisti donne o bambini, e le si ripropongono ossessivamente, su ogni prima pagina di quotidiano e in ogni prima serata televisiva, cercando di associarle – nelle menti di lettori e spettatori – all‟argomento “immigrazione”. Il pubblico deve ricordare il bimbo siriano annegato o la neo-mamma nigeriana che ha partorito su una nave della Guardia Costiera; e non le colonne di profughi in marcia sulle autostrade, o i treni presi d‟assalto, o le recinzioni divelte, o nessun‟altra immagine che possa indurre paura, sconforto, preoccupazione. Intanto, è tutta una gara a sdrammatizzare, talora ricorrendo anche a notizie false e a statistiche truccate, per suffragare in qualche modo un clima di normalizzazione e di rassegnazione, per indurre la gente a credere che anche questa catastrofe sia “inevitabile”, che ad essa non ci si possa opporre, così come non ci si potrebbe opporre ai mutamenti climatici, alla globalizzazione economica, alla fine dello Stato sociale, a tutte le porcherie che i poteri forti vogliono imporre ai popoli del mondo intero.
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Nella gara al conformismo buonista c‟è posto per tutti: ministri-bambini e ragazzi della via Pal, monsignori sconosciuti che insultano i politici dissenzienti, sociologi della domenica e multiculturalisti d‟accatto. C‟è posto anche per qualche piccola furbata, come quella della cancelliera Merkel, che tenta di fare il minimo sforzo per ottenere il massimo beneficio propagandistico: ha aperto le porte a poche migliaia di profughi siriani, per aver poi modo di dire agli altri: la Germania ha fatto la sua parte, gli altri migranti accollateveli voi. Perché parlo di furbata? Perché i siriani – provenienti dal tragitto Grecia-Serbia-Ungheria-Austria – sono relativamente pochi, anche se hanno fatto molto rumore; perché i siriani sono tra i po-
chissimi a poter essere considerati profughi sul serio; perché i siriani (laici, cristiani e musulmani delle varie confessioni) sono stati tutti vaccinati contro il fondamentalismo islamista dagli orrori dell‟ISIS; perché la connotazione sociologica della loro emigrazione (in larga parte formata da famiglie in fuga e non da giovanotti in cerca d‟avventure) è tale da non far temere grossi problemi d‟or-dine pubblico.Dopo di che, il ragionamento della Kanzlerin è stato probabilmente questo: alla Germania ventimila siriani, agli altri il milione di africani in partenza dalla Libia; alla Germania i profughi au-tentici e senza grilli per la testa, agli altri i falsi rifugiati, i giovanotti che possono diventare pericolosi, e le aliquote inevitabili di delinquenti comuni e di terroristi attivi o potenziali. Così – potrebbe continuare il ragionamento di Angelona – il mio partito perderà certamente meno voti di quanti ne perderanno il ragazzotto italiano o il cavalier servente francese. E tutto, per di più, senza scontrarsi con i poteri forti che favoriscono l‟immigrazione verso l‟Europa,che aggrediscono la Siria, che teorizzano la distruzione degli attuali confini mediorientali e l‟espansione nell‟Africa nera di un islamismo dalle tinte forti. Non c‟è che dire: la cancelliera sa farsi i conti molto meglio della maggior parte dei suoi colleghi europei. Peccato, però, che anche i suoi conti siano sbagliati. E lo si vedrà nei prossimi mesi.
Michele Rallo
MIGRANTI, PROFUGHI E RIFUGIATI, IN QUESTA STRANA UNIONE MADE IN MASTRIT che fissa i parametri (rigorosi) per il riconosciMASTRIT mento dello status di rifugiato (o rifugiato politico).
Abbiamo sempre insistito sulla differenza tra rifugiati e migranti, anche quando nessuno sembrava farci caso e la parola d‟ordine era: accogliere chiunque fosse “in cerca di una vita migliore”. Adesso, di fronte all‟emergenza di quest‟estate, sembra che si incominci a fare qualche distinzione fra chi “ha diritto” e chi “non ha diritto” all‟accoglienza. Dimenticando, peraltro, che nessuno “ha diritto” ad entrare in uno Stato di cui non ha la cittadinanza. È lo Stato, ogni singolo Stato, ad avere il diritto di accogliere o di respingere chicchessia. Ciò posto, gli Stati della Unione Europea aderiscono ad una convenzione ONU
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Sintetizzando al massimo: rifugiato è colui che è costretto ad emigrare «per fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinione politica»; migrante, invece, è colui che volontariamente lascia lo Stato di appartenenza, per motivi economici o per qualsivoglia altra causa. Fin qui – e chiedo scusa per essere stato costretto a ripetermi – la distinzione di fondo, detestata – manco a dirlo – dai buonisti in servizio permanente effettivo.
Antropos in the world Stando così le cose (e, piaccia o non piaccia alla Boldrini, stanno proprio così), come fare per aggirare l‟ostacolo e costringere l‟Europa a non opporsi a questa invasione migratoria telecomandata? Semplice: ricorrendo ad una terza figura, che in maniera surrettizia si vuole sovrapporre e far coincidere con quella di rifugiato. Mi riferisco alla categoria del profugo, «termine generico – cito dal sito del Consiglio Italiano per i Rifugiati – che indica chi lascia il proprio paese a causa di eventi esterni (guerre, invasioni, rivolte, catastrofi naturali)». Ma, attenzione – e qui sta il punto – senza avere lo status giuridico di rifugiato, presupposto indispensabile per ottenere la “protezione” dello Stato ospitante. Perché questa fondamentale differenza? Semplice: perché il rifugiato politico è una figura individuale, è una singola persona che – se ricondotta nel proprio paese – rischia una ingiusta (si presume) punizione, se non anche la perdita della vita. I profughi, invece, sono una categoria plurima, sono un insieme di persone che fuggono da un pericolo generico ancorché grave. Il rifugiato è talora costretto a prolungare nel tempo la propria permanenza all‟estero, talché potrebbe integrarsi nello Stato ospitante e successivamente richiederne la cittadinanza. I profughi, al contrario, essendo solitamente in numero rilevante, possono ragionevolmente aspirare soltanto ad una ospitalità temporanea, per il periodo strettamente necessario al ritorno della normalità nel paese di origine: periodo che potrà durare anche alcuni anni, ma che dovrà necessariamente avere termine. Ecco perché – di solito e senza che qualcuno ne organizzi l‟esodo “spontaneo” – sono ospitati in campi di raccolta posti generalmente poco oltre la frontiera degli Stati confinanti. E veniamo ai profughi di cui si parla in questi giorni, quelli che arrivano dalla Turchia in Grecia, marciano attraverso Serbia, Ungheria ed Austria, per raggiungere infine la Germania. Sono profughi che riscuoto la generale simpatia, perché – direttamente o indirettamente – sono vittime della barbarie dell‟ISIS. Ma in che misura costoro possono essere considerati “profughi”? Perché – si faccia attenzione – non ci troviamo di fronte a gente che fugge dal proprio paese, ma a persone che hanno già trovato un asilo oltre le frontiere siriane, segnatamente in Turchia, in Libano e in Giordania. Dopo di che, in una fase successiva, hanno deciso di affrontare un viaggio per raggiungere una destinazione migliore, di solito nell‟accogliente Europa. Naturalmente, lascio ai giuristi decidere se il viaggio verso l‟Europa possa essere considerato la prosecuzione della fuga dalla Siria in fiamme, o non piuttosto una “migrazione economica” da un asilo all‟altro.
V‟è, poi, un altro aspetto che dovrebbe consigliare una valutazione più attenta del fenomeno, specie dal punto di vista della sicurezza collettiva. Secondo alcune voci, infatti, in Turchia si assisterebbe ad un traffico vastissimo di passaporti siriani falsi. Si parla di svariate decine di migliaia di pezzi. Provenienza? Chissà, forse i soliti “trafficanti di uomini”, o forse altri personaggi con altro genere d‟incombenze, turchi o stranieri che possano essere. Se la notizia dovesse essere confermata, è probabile che mezza Europa sia ormai piena di “migranti economici” afgani, pakistani, egiziani che hanno dichiarato di essere siriani. Ed è parimenti probabile che, tra i falsi siriani, ci siano anche molti soldati dell‟ISIS, mandati in Europa per preparare future azioni terroristiche. Intanto, assai misteriosamente, la cancelliera tedesca ha cambiato opinione, così di botto, sull‟immigrazione. Adesso, la stessa gentile signora che aveva fatto piangere la ragazzina palestinese che chiedeva soltanto di terminare il corso di studi in Germania, la stessa cancelliera del Quarto Reich – dicevo – è diventata improvvisamente buona, buonissima, dolce, zuccherosa, gelatinosa… gronda comprensione e solidarietà da tutti i pori, ed assicura che la Germania accoglierà centinaia di migliaia di profughi e che – attenzione a questo passaggio – «molti tra loro diventeranno cittadini tedeschi». Che dire? Mi pare una conversione che sa di miracoloso; come quando il premier greco Tsipras ha cambiato idea, dalla sera alla mattina, sulla politica di rigore che ha disastrato la Grecia. Cose che succedono in questa strana Unione made in Maastricht. Se poi allarghiamo lo sguardo fino agli orizzonti atlantici, ci accorgiamo che accadono cose ancor più strane. Come la sporca guerra d‟aggressione contro il regime siriano di Assad – condotta in sostanziale alleanza dall‟ISIS e da un esercito “democratico” finanziato dagli americani – guerra che è la causa diretta di tanti cataclismi geopolitici, ivi compresa l‟ondata di profughi che oggi preme alle porte dell‟Europa. È strana questa guerra? No, è una guerra in linea con tutti gli altri disastri provocati dagli americani in questi ultimi anni (Somalia, Iraq, Libia, eccetera). Ciò che è strano è che nessuno fra i capi di governo europei abbia sentito il bisogno di chiedere agli USA e alla NATO di seguire una politica meno contraria agli interessi dei nostri paesi. Misteri, misteri…
Michele Rallo Michele Rallo è stato segretario provinciale del Msi e Coordinatore provinciale di AN. È stato eletto la prima volta nel 1994 alla Camera dei deputati nel collegio di Trapani per il Polo del Buon Governo, aderendo al gruppo di Alleanza Nazionale ed è componente della Commissione Esteri.
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IL TEATRO ROMANO a cura di Andropos
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Negli ultimi decenni della repubblica, si assiste a una grande crescita di interesse verso il teatro, che ormai non coinvolge più solo gli strati popolari, ma anche le classi medie e alte, e l'élite intellettuale. Cicerone, appassionato frequentatore di teatri, ci documenta il sorgere di nuove e più fastose strutture, e l'evolvere del pubblico romano verso un più acuto senso critico, al punto di fischiare quegli attori che, nel recitare in versi, avessero sbagliato la metrica. Accanto alle commedie, lo spettatore latino comincia ad appassionarsi anche alle tragedie. Il genere tragico fu anch'esso ripreso dai modelli greci. Era detta fabula cothurnata (da cothurni, le calzature con alte zeppe degli attori greci) oppure palliata (da pallium, come per la commedia) se di ambientazione greca. Quando la tragedia trattava dei temi della Roma dell'epoca, con allusioni alle vicende politiche correnti, era detta praetexta (dalla toga praetexta, orlata di porpora, in uso per i magistrati). Ennio, Marco Pacuvio e Lucio Accio furono autori di tragedie, non pervenuteci. L'unica praetexta ("Octavia") giunta fino ai nostri giorni è un'opera falsamente attribuita a Lucio Anneo Seneca, composta poco dopo la morte dell'imperatore Nerone. Il massimo dei tragici latini si ritiene sia stato Accio, il quale, oltre a scrivere una quarantina di tragedie d'argomento greco, si avventurò nella composizione di due praetextae: Bruto e Decius, tratteggiando i caratteri di due eroi repubblicani romani. Seneca si distinse per lo spostamento del nodo tragico, dalla tradizionale contrapposizione tra l'umanità e le norme divine, alla passione autenticamente sgorgata dal cuore umano.
Lucio Anneo Seneca: OEDIPUS (fabula coturnata - circa 20 d.C.) Seneca, in latino Lucius Annaeus Seneca, anche noto come Seneca o Seneca il giovane (Corduba, 4 a.C. – Roma, 65), è stato un filosofo,drammaturgo e politico romano, esponente dello stoicismo. Seneca fu attivo in molti campi, compresa la vita pubblica, dove fu senatore e questore, dando un impulso riformatore.Condannato a morte da Caligola ma graziato, esiliato da Claudio che poi lo richiamò a Roma, divenne tutore e precettore del futuro imperatore Nerone, su incarico della madre Giulia Agrippina Augusta. Quando Nerone e Agrippina entrarono in conflitto, Seneca approvò l'esecuzione di quest'ultima come male minore. Dopo il cosiddetto "quinquennio di buon governo" (54-59), in cui Nerone governò saggiamente sotto la tutela di Seneca, l'ex allievo si trasformò progressivamente in un tiranno, e Seneca, forse implicato in una congiura contro di lui (nonostante si fosse ritirato a vita privata), cadde vittima della repressione, costretto al suicidio dall'imperatore.Seneca influenzò profondamente lo stoicismo romano di epoca successiva: suoi allievi furono Gaio Musonio Rufo (maestro di Epitteto) e Aruleno Rustico, nonno diQuinto Giunio Rustico, che fu uno dei maestri dell'imperatore filosofo Marco Aurelio. TRAMA DELLA COMMEDIA –
La peste imperversa nella città di Tebe.Il Re vede gli orrori della pestilenza e della carestia sulla città di Cadmo. Creonte, suo cognato, riferisce titubante gli ordini di Febo: occorre punire l'uccisore di Laio, perché a Tebe ritorni la salute. Edipo chiede chi sia stato indicato come assassino e Creonte precisa che, dopo uno spaventoso terremoto, la profetessa ha urlato con voce sovrumana: «Tu, ospite fuggiasco ... tu che sei colpevole della morte del re ... combatterai contro te stesso ... empio che ancora sei entrato incestuosamente nel grembo di tua madre.» Edipo è
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pronto a fare giustizia, in ritardo in quanto il crimine avvenne sotto l'incubo della Sfinge: ora, però, non ci sarà posto per il perdono, ma il bando e l'esilio. Alla domanda di Edipo dove sia stato commesso il delitto, Creonte risponde che Laio è stato aggredito a tradimento nella valle dell'Olmio, in aperta campagna. Si avvicina lentamente Tiresia, guidato dalla figlia Manto: Edipo gli intima di indicare il nome del colpevole interrogando Apollo. ll Coro depreca il destino degli uomini e la crudeltà del Fato, dalle cui catene non è possibile ai mortali, né agli dei, uscire. Edipo esce dalla reggia e avanza brancolando: afferma che ora il suo volto insanguinato è proprio quello che gli si addice. Il Coro indica l'arrivo di Giocasta, che è fuori di sé e quasi nell'impossibilità di esprimersi. La donna chiama «figlio» il Re e, di fronte alla sua volontà di nascondersi in una terra lontana, gli grida che la colpa è del Fato, che nessuno può essere colpevole del proprio destino. Giocasta strappa la spada ad Edipo e si trafigge il ventre, il «grembo fecondo che accolse lo sposo e il figlio!». Essa muore in un lago di sangue. SINOSSI – ispirata all'Edipo re di Sofocle in essa Seneca immagina di rappresentare con lo stesso imperatore protagonista la disperata ricerca dell‟io smarrito tentando un disperato recupero d‟umanità e di valori che il tempo presente, il primo sec. dopo la nascita di Cristo, aveva smarriti
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MARIA, MADRE DEL BUON CAMMINO PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA VIII EDIZIONE
PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA VIII EDIZIONE E‟ altresì gratuita la partecipazione alla Sezione Juniores del Premio. Il Bando completo del Premio è consultabile nella sezione “Note” della Pagina Facebook Premio di Poesia “Maria, Madre del Buon Cammino” – Trappitello Taormina. Tante sono le Liriche già giunte alla Segreteria del Concorso. Alla passata edizione del Premio hanno partecipato centinaia di Poeti provenienti da tutta Italia e da oltre confine. Per ulteriori informazioni: Tel. 349/4289961. poesia.m.buoncammino@katamail.com –
Edizione numero Otto per il Premio Internazionale di Poesia “Maria, Madre del Buon Cammino”, indetto dalla Parrocchia Sacro Cuo-re di Gesù – S. Venera di Trappitello/Taormina (ME), guidata dal Sac. Padre Tonino Tricomi, e organizzato da Massimo Manganaro e Gioacchino Aveni. Il Concorso, oggi annoverato tra le più serie competizioni letterarie di rilievo presenti in Italia, è articolato in 5 Sezioni: Adulti (oltre i 15 anni) – A) Poesia in Lingua Italiana a tema religioso, B) Poesia in Vernacolo Siciliano a tema religioso (con traduzione in Lingua Italiana), C) Poesia in Lingua Italiana a tema libero, D) Poesia in Vernacolo Siciliano a tema libero (con traduzione in Lingua Italiana); Juniores (fino ai 15 anni) – E) Poesia in Lingua Italiana a tema libero (religioso e no). I vincitori saranno proclamati nel corso della Cerimonia di Premiazione che si terrà nel 2016. E‟ possibile partecipare a più Sezioni, ma con una sola opera per Sezione, dichiarata di propria esclusiva creazione; gli autori si assumono pertanto la responsabilità e garantiscono l‟autenticità delle opere. Gli elaborati vanno inviati in sette copie, di cui sei anonime e una contenente l‟indicazione della Sezione a cui si partecipa, le generalità, l‟indirizzo, recapiti telefonici (fisso e mobile) ed eventuale email, pres-so Parrocchia Sacro Cuore di Gesù – S. Venera - Via Francavilla - 98039 Trappitello Taormina (ME), oppure consegnati presso l‟Ufficio Parrocchiale entro il termine di Sabato 30 Gennaio 2016. Si raccomanda di allegare breve curriculum. Gli Organizzatori del Premio si esimono da ogni responsabilità per eventuali smarrimenti o disguidi postali. Si consiglia di contattare l‟Organizzazione per accertarsi dell‟avvenuto recapito delle Liriche. Le opere inviate, qualora se ne abbiano i mezzi, per esigenze organizzative, vanno ritrasmesse in formato Word 97-2003 al seguente indirizzo e-mail: poesia.m.buoncammino@katamail.com. In caso di stampa di una antologia del Premio, non si garantisce la pubblicazione delle Poesie non pervenute tramite e-mail. Per la partecipazione al Premio è richie-sto, per spese di segreteria, un contributo complessivo di Euro 10.00 indipendentemente dal numero delle Sezioni alle quali si partecipa. Il contributo va inviato in contanti (si consiglia posta raccomandata). La partecipazione alla Sezione Adulti del Concorso è gratuita per gli studenti che partecipano tramite Scuola.
“Ladri di Statue” a Pagani Nella tarda mattinata del 22 Settembre, verso mezzogiorno, approfittando della chiesa vuota e aperta ai fedeli, qualcuno si è intrufolato in chiesa della Madonna Delle Grazie. Poi è salito sul muretto dove, un po‟ più su, c‟era la Vergine Maria con in braccio il Bambino Gesù. Nel Trafure quest‟ultimo, cade dalla testa del Bambino la corona d‟oro. Dei fedeli vedendo che il Bambino Gesù non c‟era più hanno subito chiamato i carabinieri della Tenenza di Pagani. Sul luogo erano presenti: i carabinieri ,il parroco della chiesa ed infine i militari che hanno indagato. La statua di Bambino Gesù è stata costruita nel 1600 ,oggi avrebbe un valore inestimabile. Nei pressi, alcuni negozi avevano le telecamere rivolte in direzione della chiesa, allora i carabinieri hanno chiesto se erano attivate, ma i negozianti hanno risposto che erano spente. A cosa servono le telecamere spente? Tuttora le indagini continuano. Gaetano Visconte
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Dante e S.Antonio di Padova Di Renato Nicodemo Dante,come attestano unanimemente i biografi, fu un‟anima eminentemente francescana. Stando tra i francescani di Ravenna vestì l‟abito terziario ed in esso morì. Il Buti riteneva che fosse stato novizio dell‟Ordine francescano e l‟insigne storico Cesare Balbo riferisce che fu annoverato in un elenco degli scrittori francescani e ritiene, come molti altri, che la corda che il poeta avea intorno cinta con la quale pensò di prender la lonza a la pelle dipinta sia la corda dei francescani, detti anche Cordiglieri. (1) E‟ noto poi che pur essendo morto il Poverello da una quarantina d‟anni (1226) dalla nascita del Poeta (1265) continuava la vita minorum, cioè la realtà francescana che con san Francesco aveva avuto inizio e che a Firenze era presente con la chiesa di Santa Croce dove insegnava a quel tempo, tra gli altri di notevole valore, Giovanni Olivi; chiesa francescana che Dante frequentò insieme a quella domenicana di Santa Maria Novella dove la personalità più eminente era il “ guelfo bianco” fra Remigio Girolami, dopo la morte di Beatrice (Con. II,XII,7). Molti commentatori lo hanno messo anche in relazione con lo Duns Scoto anche, se mai nominato nelle sue opere (2) Dante,inoltre, dovette visitare anche il convento antoniano di Padova in occasione della visita a Giotto, tra il 1304 il 1305, per ammirare gli affreschi della Cappella degli Scrovegni e conoscere i tratti salienti della sua vita. Eppure il Poeta, pur avendo dedicato a san Francesco il canto XI del Paradiso ed avendo nominato santa Chiara ed i francescani san Bonaventura, Illuminato da Rieti, Agostino d‟Assisi, ignora del tutto sant‟Antonio di Padova, che pure era stato già elevato agli onori degli altari dopo solo un anno dalla morte (1231) in considerazione della mole di miracoli attribuitigli. (3) Alcuni autori e soprattutto Mons. Giacomo Poletto, uno dei maggiori dantisti e titolare della Cattedra Dantesca presso l‟Università romana di Sant‟Apollinare, ed il suo allievo fra Stefano Ignudi (4) non sono del tutto d‟accordo con questa tesi rintracciando un ricordo – per quanto indiretto – nel canto XII del Paradiso, immediatamente successivo a quello in cui il domenicano san Tommaso esalta la spiritualità del Poverello,dove a parlare è il più grande devoto di tutti i tempi del Santo di Padova, e cioè san Bonaventura, l‟autore del famoso inno “ O
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lingua benedetta”.(5) Il Santo francescano tratteggia certamente la figura di san Domenico, “ ma a ben vedere, in più punti il discorso procede come se il “relatore” stesse tessendo l‟elogio di sant‟Antonio. Si pensi in particolare ai vv. 84-85, riferibili chiaramente anche al Taumaturgo: … per amore della verace manna – in picciol tempo gran dottor si féo. Ma anche ai versi ai quali si accenna all‟amore avvertito da san Domenico, fin dall‟infanzia, per la vita contemplativa, un amore che “assillerà” sempre anche Antonio: Spesse fiate fu tacito e desto – trovato in terra da la sua nutrice – come dicesse :”Io son venuto a questo” (vv. 76-78). Essi, inoltre, hanno individuato una forte analogia tra le scelte della vita di Dante e quelle del Poverello, come, ad esempio, la conversione dell‟uno che abbandona le ricchezze e dell‟altro che, dopo l‟immersione nelle faccende politiche fiorentine lo fanno scadere come poeta facendogli perdere la retta via che ritrovo “nel mezzo del cammin di[sua] vita.” (6) I due personaggi, pur in tempi diversi, erano concordi nella lotta contro gli usurai. Nella “Caorsa” dove il Poeta li colloca figurano solo padovani (città d‟elezione del Santo) e fiorentini (città natale di Dante). Non risponde al caso che alcuni storici localizzino proprio a Firenze il celebre miracolo dell‟usuraio, operato da sant‟Antonio. Confrontando poi i Sermones e la Divina Commedia il Poletto istituisce in parallelo di piena conformità tra loro anche nel profondo disprezzo per le ricchezze, e nello studio ardente nel proteggere i deboli dalle oppressioni dei potenti. (7) Questi autori si oppongono infine alla tesi dell‟antipatia, quella cioè che vuole la non menzione del Santo a causa dei sentimenti politici del Poeta, favorevole all‟Imperatore Federico II e quindi anche al suo emissario Ezzelino da Romano che santo Antonio rimproverò aspramente. Per non aver voluto concedere la grazia al cognato conte Rizzardo. (8) Ma sia il primo pur ammirato come sovrano colto e abile (If 13,75) col suo cancelliere Pier della Vigna (If 13,58-59) che il secondo collocati nell‟Inferno! (qua dentro è „l secondo Federico –If 10,119 – E quella fronte che ha il pel così nero è Ezzelino-If 12,109) .
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UN INUTILE IDIOTA Era un lunedì in Albis e fui lieto di festeggiare la “pasquetta” con gli amici; su una delle tante colline del nostro territorio, si adagiava un meraviglioso pianoro; la splendida giornata fu la felicità di tutti. Gli amanti dell‟arte venatoria poterono distrarsi nell‟illusione di stanare la selvaggina, i più giovani trovarono modo di dare qualche calcio al pallone; quando le buone donne ebbero preparato le leccornie, i superstiti delle feste pasquali, tutti, vuoi per l‟altitudine, vuoi che psicologicamente erano predisposti ad assaporare i tradizionali bocconcini del lunedì in Albis, mangiarono a sazietà e bevvero a dismisura e poi, disfatti per l‟eccessivo pieno di calorie, si sdraiarono sull‟erba e, dormendo, ebbero la possibilità di una comoda digestione. Dopo aver stirato le riposate membra, disegnarono l‟itinerario del ritorno. Per il rientro, un amico suggerì una via più breve,anche se il fondo stradale,a causa del frequente passaggio di mezzi cingolati, era in più parti sconnesso. Comunque, il gruppo degli amici accettò il suggerimento, e, al momento opportuno, prese la via del ritorno: lungo la strada, qualcuno non completamente convinto del nuovo percorso, tornò indietro e qualche altro si perse addirittura; avendo accettato il suggerimento, sia pure con titubanza, seguii l'amico.Non conoscendo il sentiero, procedevo a rilento, pensando di ritrovare in paese la restante parte della comitiva; ma, ahimè che vedo?: ai margini della strada, il mio Mentore con le mani levate al cielo, imprecando gridava: “Proprio ora mi doveva capitare..." Mentre mi avvicinavo raccolsi la dolorante imprecazione. D‟istinto capii che la situazione era critica, ma trovai il coraggio "… e che ti è capitato?" Stizzito l‟amico di rimando: “Non vedi che ho uno pneumatico in panne? E poi... l'ossessivo ritornello di quel tale che, come un rapace notturno, non ripete altro: ehi signore, ehi, signore...” Guardando meglio osservai che l'amico aveva già rimosso la ruota della sventura, perciò domandai: “Ma sei già a buon punto! Forse non hai la ruota di scorta? E l'altro, adirato più che mai rispose: “Altro che... solo che mi mancano i dadi -8-
dei bulloni, che avevo sistemato nella coppa e adagiati ai margini del ciglio della strada, e sono scivolati nella cunetta e forse sono stati portati via dalla corrente e non si sono più visti”.Non ebbi neppure il tempo di riflettere che sistematicamente la vocina: “Ehi, signore, ehi signore”. L'amico furibondo disse: “Lo senti? Lo senti? Ma cosa può dirmi un povero idiota?”. L'edificio, che a strapiombo si affacciava sulla stradina, aveva sul cornicione superiore una scritta: “Ospedale psichiatrico”. Dalle finestre, tutte munite di grate di ferro, sporgevano volti pallidi e sguardi inebetiti. In una delle finestre un solo volto con occhi vispi, non aggrappato all'inferriata, ma adagiato sul davanzale, era l'autore della vocina che continuava con flemma a ripetere: “Ehi, signore”. Assecondando la mia indole dissi: “Va bene, ascoltiamolo, può darsi che voglia dire qualcosa!”. Infatti, la vocina, avendo seguito l'andamento del discorso continuò: “Ehi, signori, vi faccio notare che se togliete un dado da ogni ruota, con tre bulloni per ogni ruota potrete superare l'emergenza e ritornare a casa”. Soddisfatto della soluzione, l'amico anziché ringraziare per il suggerimento esclamò:“Eh! Tante volte anche un idiota ti può suggerire un utile parere”. Il povero idiota senza scomporsi, con l'abituale flemma continuò: “Ehi, signore, lei ha perfettamente ragione: idiota sì, ma cretino no!” A volte, un utile idiota recupera dagli spaccati delle esperienze qualcosa che è latente nel nostro io; senza suggerire precetti, stimola il senso critico, analizza situazioni pregresse e sollecita prospettive future. SIVIGLIA Egidio
ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” - SALERNO
SEDE SOCIALE in Via Cantarella
Antropos in the world
L‟AUTORE DEL MESE:
IPPOLITO PASTINA Antropos
( I pa r t e )
Il Masaniello salernitano
Da “Ippolito Pastena”di Franco Pastore - ISBN IT\ICCU\MIL\0844104– – pag.3/6 Presso le Librerie universitarie di Padova, Pavia, Napoli, Modena e Roma
PREMESSA STORICA La tradizione umanistica e cristiana fu l'unico riferimento per le prime rivoluzioni a carattere nazionale che emersero, per la prima volta,tra Roma e Napoli, nell'irrazionalismo del barocco, nell'urbanistica popolare (quartieri spagnoli), nel misticismo religioso e nella speculazione politica e filosofica. Se nella campagna un forte ritorno all'assetto feudale ricondusse ai seminari e alle diocesi il controllo dell'arte e della cultura, Napoli fu la prima città in Italia in cui nacquero, seppur disorganizzate e ignorate dai governi, le prime forme letterarie di intolleranza al clima culturale che seguì la controriforma. Accetto, Marino e Basile furono i primi, nella letteratura italiana, a trasgredire i paradigmi poetici che prendevano come modello le opere tassiane, rifiutando lo studio dei classici come esempio d'armonia e stile e le teorie estetiche e linguistiche dei puristi, che nascevano con la riproposizione dottrinale del latino scolastico e liturgico. Sono gli anni in cui Pulcinella si impose nella commedia dell'arte napoletana, divenendo la più celebre maschera dell'inventiva popolare meridionale. Il cosentino Tommaso Cornelio, professore di matematica e medicina, portò a Napoli, nella seconda metà del XVII secolo, la filosofia e la matematica di Cartesio e del Galilei, nonché la fisica e l'etica atomistica di Gassendi, costituendo, in contrasto con la locale tradizione tomistica e galenica, la base delle future scuole del pensiero moderno partenopeo. Spinto da ragioni molto più prosaiche, sotto il vicereame del duca d'Arcòs Rodríguez Ponce de León, Masaniello, nel 164, fu a capo di una rivolta contro la pesante pressione fiscale spagnola. Egli riuscì ad ottenere dal viceré la costituzione di un governo popolare e, per sé, il titolo di Capitano generale del fedelissimo popolo, finché poi non fu ucciso dagli stessi rivoltosi. Prese il suo posto Gennaro Annese che con il sostegno di Enrico II di Guisa proclamò la -9-
Real Repubblica Napoletana. L‟esempio di Masaniello fu seguito in ogni angolo delle provincie: ogni città ed ogni borgo ebbe il suo Masaniello: Cristiano in Basilicata, Domenico Colessa (detto Pappone) in Terra di lavoro, Giuseppe Gervasi a Cosenza, il carrettiere Onofrio della Gatta a Capitanata, Paolo Rebecca a Bari, Sabato Pastore a Foggia, Paolo di Napoli a Sanseverino, Giovanni Guarnieri a Campagna ed Eboli, il settantenne Scarano a Nocera, Pietro di Blasio a Montoro, il Gargano nel Cilento e Ippolito Pàstina a Salerno. Franco Pastore
_______ Il disegno di Ippolito Pastina è del pittore Gaetano Rispoli, Recentemente scomparso, che ha lasciato un segno profondo nella cultuta c ampana e meridionale. Amico del sottoscritto, di Carlo Levi e Domenico Rea, aveva un ingegno poliedrico, che lo portava a spaziare dalla pittura, alla saggistica, ai racconti, all‟incisione ed alla grafica.
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LA DONNA NELLA STORIA - A cura di Andropos -
Elisabetta D‟orange
Elisabetta nacque da Federico V Elettore Palatino ed Elizabeth Stewart, il 26 dicembre 1618 . Suo padre fu Re di Boemia dal 1619 al 1620, quando perse il trono a causa della sconfitta alla Battaglia della Montagna Bianca combattuta nel corso della Guerra dei trent'anni. In seguito a questi eventi Elisabette trascorse la propria infanzia a Berlino, sotto le cure di Luisa Giuliana di Nassau, nonna paterna. Ella, figlia di Guglielmo I d'Orange, era una donna devota e diede ai pensieri della nipote un indirizzo improntato alla pietà religiosa. Quando Elisabetta ebbe otto o nove anni venne mandata con i fratelli e le sorelle presso Leida perché imparassero le lingue classiche e moderne, le arti e la letteratura ed ella mostrò in quell'occasione una certa inclinazione per gli studi filosofici. In seguito Elisabetta raggiunse i genitori a L'Aia dove vivevano circondati da una piccola corte selezionata composta da eruditi e nobili, in quel periodo si considerò l'idea di sposarla a Ladislao IV di Polonia, ma ella, che era aderente alla religione protestante, rifiutò di sposare un cattolico. Nel 1639 Elisabetta iniziò una corrispondenza con l'erudita tedesca Anna Maria van Schurman e poco dopo diede il via al proprio carteggio con Cartesio, le lettere che si scambiarono vennero conservate e in esse v'è scritto come Elisabetta gli avesse chiesto di divenire il proprio insegnante di filosofia e morale. Mano a mano che approfondisce la “conoscenza” della principessa, Descartes si rende conto che, diversamente dal suo ricercato «deserto», come il filosofo definisce i Paesi Bassi, Elisabetta è costretta ad una vita fatta di relazioni ed obblighi familiari. Questo dato, costringe il filosofo a dare consigli meno generici e più attenti alla situazione. In questo modo Descartes prova a spezzare il cerchio chiuso che stringe Elisabetta negli eventi che le accadono e nelle sue emotive reazione : «Le passioni che ammalano il suo corpo, che creano così altri fatti tristi, togliendole la “salute perfetta che è il fondamento di tutti gli altri beni”». Un circolo vizioso in cui le passioni tristi influenzano il giudizio dell‟intelletto (p. 113). Tuttavia, l‟autrice lo ribadisce con forza per sottolineare la peculiarità della „consulenza filoosofica‟, egli pone in connessione il male fisico della principessa e le passioni della sua anima da filosofo, senza mai penetrare nelle profondità della psiche della principessa. Nel 1644, Cartesio le dedicò la propria opera,
i Principia e cinque anni dopo accettò l'invito alla corte di Cristina di Svezia pur continuando a corrispondere con Elisabetta fino alla sua morte avvenuta nel 1650. In quello stesso periodo Elisabetta tornò a Heidelberg col fratello Carlo I Luigi del Palatinato, ma i problemi coniugali del fratello la indussero ad allontanarsi e durante la permenanenza presso una zia a Kessen conobbe il teologo Johannes Cocceiuscon cui intrecciò una corrispondenza, fu lui a introdurla agli studi della Bibbia e a lei dedicò il proprio commento al Cantico dei cantici. Nel 1667 Elisabetta divenne principessa-badessa dell'abbazia di Hereford distinguendosi per la lealtà con cui esercitò i propri doveri, per la sua modestia e filantropia e soprattutto per l'ospitalità che dava a tutti gli oppressi. Nel 1670 ella diede asilo ai seguaci di Jean de Labadiepoiché rimase impressionata dalla loro pietà religiosa, essi se ne andarono nel 1672 e quattro anni dopo Elisabetta aprì le porte ai seguaci del Quaccherismo Nel 1677 lo stesso William Penn arrivò insieme aRobert Barclay e i due rimasero suoi ospiti per tre giorni durante i quali tennero dei colloqui che impressionarono molto Elisabetta. L'amicizia che strinse con Penn durò fino alla morte di lei avvenuta nel 1680 ed egli ne celebrò la pietà, le virtù, il suo senso di giustizia ed umiltà nell'opera No cross, no crown del 1682. Elisabetta venne sepolta presso l'abbazia.
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Antropos in the world DA TRAPANI
SE I NOSTRI POLITICI SAPESSERO COS‟È LA DEMOGRAFIA La demografia, questa sconosciuta: mi verrebbe da dire, sentendo certa nostra sprovveduta “classe dirigente” pontificare sui più disparati argomenti senza porsi il problema delle cause e, soprattutto degli effetti, di eventi che potrebbero sembrare casuali, accidentali, isolati; ma che invece sono legati tra di loro da precisi rapporti di causa-ed-effetto, e le cui più spiacevoli (e previdibilissime) conseguenze potrebbero essere forse prevenute con un po‟ di sano realismo. Un ausilio importantissimo, essenziale per lo studio (e per la soluzione) di tanti fra i problemi che oggi assillano i popoli potrebbe certamente essere fornito dalla demografia. E non – a modesto parere del sottoscritto – come fattore a sé stante, come scienza da laboratorio; bensì come preziosa suggeritrice – mi si passi il termine – di possibili rimedi alle urgenze dell‟ora presente. La demografia – com‟è possibile apprendere da un qualunque dizionario – è la scienza che studia le dinamiche della popolazione del mondo (o di una sua parte) sia sotto l‟aspetto biologico che sotto l‟aspetto sociale. La demografia come scienza è nata in pratica con il positivismo (quindi appartiene teoricamente al bagaglio culturale di una sinistra illuminata); in Italia ha avuto il suo momento di maggior fortuna durante il periodo fascista (quindi è teoricamente transitata nel patrimonio della destra populista). Nel dopoguerra la demografia ha subìto un certo ostracismo, perché da taluni considerata “scienza fascista”. Nelle università fu declassata al rango di “materia complementare”, di quelle che “si davano” per alzare la media. Il suo insegnamento venne solitamente affidato – almeno in un primo tempo – a docenti che non avevano paura di apparire legati al “deprecato regime”; qui da noi – ricorderanno quelli della mia generazione – ad un siciliano illustre quale Alfredo Cucco, oculista di fama, già alto gerarca fascista e poi parlamentare del Movimento Sociale Italiano. Quali che siano gli antecedenti storici, comunque, oggi una buona ripassata ad un onesto manuale di demografia sarebbe utile a tanti; e senza neanche il timore di apparire “nostalgici”, giacché le dinamiche del popolamento sono oggi completamente diverse rispetto a quelle degli anni ‟20 e ‟30 del secolo scorso. Mi permetto di suggerirne la lettura, in uno con quella di alcuni dati statistici relativi alla popolazione del mondo, dei suoi continenti e delle sue nazioni, della nostra in particolare; dati da considerare non in termini astrat-
ti, ma alla luce della realtà politica, sociale, economica e antropologica di questo momento storico. La statistica, d‟altro canto, è stata da sempre una componente essenziale della demografia.Cominciamo, dunque, dal più inquietante dei dati statistici: nella prima metà dell‟Ottocento, quando il positivismo muoveva i suoi primi passi, tutti gli abitanti del mondo non raggiungevano il numero di un miliardo; gli europei erano circa 200 milioni, il 20% del totale. Centocinquant‟anni dopo, nel 1950, la popolazione mondiale era aumentata del 150% (toccava i 2 miliardi e mezzo) e l‟incremento della popolazione europea era più o meno in linea (550 milioni). Dopo poco più di mezzo secolo, nel 2011, gli abitanti del globo erano già più che raddoppiati (7 miliardi), mentre gli europei erano 700 milioni, il 10%. Nel 2050 – secondo le previsioni – la popolazione mondiale salirà a 10 miliardi, mentre quella europea scenderà a 600 milioni. Altro dato che ci interessa particolarmente: gli africani, che nell‟Ottocento erano la metà degli europei, sono oggi circa un miliardo, e nel 2050 saranno più o meno due miliardi. Crescita da capogiro, che va a braccetto con quella – numericamente maggiore ma percentualmente più bassa – degli asiatici: 600 milioni nell‟Ottocento, 4 miliardi oggi, saranno oltre 5 miliardi nel 2050. E, ancòra, mentre fino a poco tempo fa si riteneva che un vagheggiato “declino della fertilità” avrebbe stabilizzato la popolazione mondiale attorno ai 10 miliardi, oggi si prevede solo un “rallentamento”: nel 2100, secondo le ultime proiezioni dell‟ONU, gli abitanti del globo dovrebbero essere all‟incirca 11 miliardi e 200 milioni; africani e asiatici al galoppo, europei (al netto degli immigrati) sempre in calo. Ecco, questi numeri dovrebbero essere tenuti ben presente non soltanto da chi insiste ancòra sul “crescete e moltiplicatevi” in un mondo che ha sempre più fame e sete, ma anche da una classe dirigente europea (Merkel in testa e nanetti in fila per due) che teorizza una Europa “senza muri e senza barriere”, un po‟ come quel capofamiglia folle che progettava di togliere porte e finestre alla propria abitazione. Hanno una pallida idea, questi signori, di quale scenario da incubo possa prefigurarsi – da qui a 35 anni – con mezzo miliardo di europei assediati da 2 miliardi di africani e da una parte almeno dei 5 miliardi di asiatici? Già, perché i migranti africani e asiatici continueranno ad avere come unica meta l‟Europa, essendo l‟America irraggiungibile, protetta com‟è dall‟immensità degli oceani. (Continua a pag.14)
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Dante e S.Antonio di Padova – Continua da pag.7 Il motivi maggiore per cui il Poeta avrebbe taciuto il nome di Antonio è perché Dante risultava “signoreggiato dallo spirito di san Francesco” di cui il padovano fu degno seguace e in tutto conforme nell‟intento di affratellare gli uomini, secondo Dio, nella giustizia e nella carità. Si può anche concludere con quanto il D‟Ovidio scrisse nell‟osservare che Dante di sant‟Antonio Abate non parla se non per il suo porco:” Che se la fede cattolica non l‟obbligava punto a riconoscere per santi tutti quelli a cui la Chiesa concede la santità, che non è materia di domma, non è tuttavia verosimile ch‟egli volesse straniarsi in lungo e in largo dalla tradizione ecclesiastica. Si comprende bene che, come per il modo stesso onde discese l‟Inferno e salì il Purgatorio non poté aver visto tutti i dannati e le anime purganti, così nelle sfere celesti non poté fermare la sua attenzione che su alcuni beati solamente; oltreché avverte egli medesimo che per l‟abbondanza della materia neppur tutto quello che credeva aver visto riferisce, né può ritrarre tutti appieno”. RENATO NICODEMO NOTE (1) C.BALBO, Vita di Dante, Firenze 1853, p. 95. (2) Cf R.NICODEMO, Maria nella Divina Commedia-Aspetti del pensiero teologico di Dante Alighieri, FI. 2001, pp.20-21;
(3) D‟OVIDIO, Studi sulla Div. Commedia, 1901, pp. 372-3; (4) GIACOMO POLETTO, S. Antonio di Padova e Dante Alighieri, Padova 1896, STEFANO IGNUDI, Perché Dante non rammenta S. Antonio?, in Il Santo dei Miracoli, 1-1965. Cf. ANCHE G. FANCESCATO, Echi di san Francesco nell‟Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso di Dante, in Il Santo dei miracoli nn5,6,7/8 2009. (5) O lingua benedetta, - che hai tanto benedetto il Signore – e l‟hai fatto benedire da molti – ora si vede chiaramente – quanta grazia hai trovato presso Dio! (6) Vedi la “tenzone con Forese Donati” dalla quale il precedente spirito (e linguaggio) stilnovista è lontanissimo da attirargli un accorato rimprovero da parte dell‟amico Cavalcanti:”Io vegno il giorno a te infinite volte / e tròvote pensar troppo vilmente”. (7) A. PESCANTE, Perché Dante non ricorda sant‟Antonio nella Divina Commedia?, in Il Santo dei miracoli n 7/8 2015. (8) “ Quel despota arrogante e perfido, il crudele tiranno Ezzelino da Romano, nel principio della sua tirannide, aveva compiuto una enorme strage di uomini in Verona. Il padre intrepido, appena venne a sapere l'accaduto, s'arrischiò d'andar di persona da colui, che risiedeva in quella città. E lo apostrofò con queste parole: "O nemico di Dio, tiranno spietato, cane rabbioso, fino a quando continuerai a versare sangue innocente di cristiani? Ecco, ti pende sopra il capo la sentenza del Signore, terribile e durissima!". E molte altre espressioni veementi ed acerbe gli disse in faccia. Le guardie del corpo stavano sulle mosse, aspettando che Ezzelino, come al solito, desse l'ordine di trucidarlo. Ma avvenne ben altrimenti, per disposizione del Signore” (Benignitas 17,42-47).
SEMPRE PIU ‟ (1)
L’ANGOLO DEL CUORE Il tempo t‟avviluppa sempre più, scemando lo spazio della vita. Prigioniera dei bisogni, la mente cessa i suoi voli, e l‟animo ... si distoglie dai sogni. E‟ allora che, con forza, scavi nel passato alla ricerca di fantasmi, che fanno squadra nel rinsaldare la memoria, nel ricondurre al tuo cuore il sorriso di tua madre.
H. δράση τοσ τρóνοσ
_________ Da lla silloge VOCI - © 2015 by Franco Pastore Una realizzazione A.I.T.W.
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DA TRAPANI
Il Vispotereso e le riforme che inguaiano l‟Italia Estate fortunata, questa, per il Vispo Tereso. I numeri, per la prima volta, sembrano sorridergli. Ma è un sorriso sdentato, grifagno, come quello della strega delle favole. Perché? Perché l‟aumento del PIL non è dovuto ad un miglioramento oggettivo della nostra situazione economica, ma quasi esclusivamente a fattori esterni; primo fra tutti, la discesa a picco del prezzo del petrolio, usata come un‟arma impropria dagli USA e dai loro alleati arabi per mettere in crisi l‟economia russa. Ma dove la “statistica amica” da semplice arte si è sublimata in vero e proprio capolavoro, è stato nel campo dell‟occupazione. In verità, c‟era stato un piccolo incidente iniziale, quando il ministro del lavoro Poletti – un altro dei Ragazzi della Via Pal – aveva fornito numeri doppi rispetto a quelli dell‟ISTAT. Ma, rimediato in qualche modo a questa figuraccia, il Piccolo Imbonitore Fiorentino ha ripreso con nuova lena a sciorinare numeri su numeri, affermando che il novero dei “posti fissi” cresceva, anzi galoppava, e ciò per merito delle “riforme”, in primis del Job Act. In realtà, le cose non stanno proprio così. C‟è un vizio d‟origine, concepito in strettissima coincidenza con il varo del Job Act; un vizio che avrebbe permesso di ottenere dati iniziali fortemente positivi, tali da consentire al Vispo Tereso di poter dire che l‟occupazione era aumentata. E se poi – diciamo fra circa tre anni – i numeri cominceranno improvvisamente a decrescere, se tanti giovani che oggi credono di essersi “sistemati” si ritroveranno improvvisamente in mezzo a una strada, magari con una famiglia sulle spalle e con un mutuo da pagare, pazienza; si vedrà cos‟altro inventare. Qual‟era questo meccanismo, che non poteva non produrre un aumento temporaneo dell‟occupazione? Lo ha spiegato Fassina, accreditato economista di una sinistra ancòra pensante, ed assai più modestamente il sottoscritto lo ha segnalato ai lettori di “Social”. Ecco cosa scrivevo il 27 febbraio scorso: «… anche questo trucchetto – come quello degli 80 euro – è stato studiato con grande maestrìa, e funzionerà, anche se soltanto nel breve periodo.Il perché ce lo spiega Stefano Fassina, il guru della sinistra PD: “Il previsto aumento dei contratti a tempo indeterminato ci sarà non grazie alla cancellazione dell'articolo 18, bensì per effetto del taglio dei contributi per tre anni per i neoassunti nel 2015. Una misura che costa tantissimo e che, date le condizioni della nostra finanza pubblica, non sarà ripetibile”.» Fin qui la citazione di Fassina. «Nel 2015 – continuavo io – l‟occupazione aumenterà. Non certo perché il Job Act sarà riuscito ad “attrarre investimenti”; ma,molto più semplicemente, perché il temporaneo abbattimento dei contributi, spingerà le imprese ad assumere. Non solo. Ma, se la congiuntura internazionale
continuerà ad essere favorevole (per esempio, se il prezzo del petrolio continuerà a scendere per mettere in difficoltà Putin) ci potremmo addirittura trovare di fonte ad un aumento del PIL, che il Pifferaio dell‟Arno potrà spacciare per un effetto delle sue miracolose “riforme”.» Che importa? – potrà obiettare qualcuno – con o senza il Job Act, con o senza l‟articolo 18, l‟importante è che i “posti fissi” aumentino. Ma, purtroppo, non è così. Di posti fissi, nel settore privato, non ce n‟è praticamente più, almeno per i nuovi assunti. E ciò per effetto dell‟abolizione dell‟articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che tutelava i dipendenti delle aziende medie e grandi contro i licenziamenti ingiusti. Adesso, in forza delle “riforme” renziane, le aziende possono licenziare ingiustamente chiunque, con l‟unico disturbo (se il lavoratore ha maturato le “tutele crescenti” che iniziano in misura ridotta solo dopo tre anni di lavoro) con l‟unico disturbo – dicevo – di elargire un modesto indennizzo, una mancetta che potrà consentire al lavoratore licenziato di tirare avanti ancòra per un paio di mesi. Quindi, al di là degli squilli di tromba della propaganda di regime e del lecchinaggio di complemento, nessuno dei contratti “trasformati” da tempo determinato a tempo indeterminato avrà dato luogo ad un solo posto di lavoro “fisso”, ma soltanto ad uno sgravio triennale dei contributi a carico delle imprese. Dopo di che, naturalmente, quel che le imprese non avranno pagato lo dovremo pagare noi tutti, attraverso la fiscalità generale; esattamente come noi tutti abbiamo dovuto e dobbiamo tutt‟ora “compensare” i famosi 80 euro mensili scontati in busta-paga a 10 milioni di lavoratori dipendenti. E quello che non pagheremo con l‟IRPEF, lo pagheremo con l‟aumento delle imposte locali, o con i maggiori esborsi per ovviare alla riduzio-ne della “spesa pubblica improduttiva” (scuola, sanità, trasporti e quant‟altro). Intanto, il Pifferaio dell‟Arno spinge sull‟acceleratore anche di altre “riforme”, come la sostanziale cancellazione di uno dei due rami del Parlamento, il Senato. Un‟altra “riforma”, l‟Italicum, provvederà a snaturare il ramo superstite – la Camera dei Deputati – assicurando una maggioranza bulgara al partito (al partito, non alla coalizione) che avrà ottenuto anche soltanto una striminzita prevalenza sul secondo classificato. Malumori nei settori meno amerikani del PD, ma alla fine anche queste riforme cafone (e liberticide) troveranno in qualche modo i numeri per passare. Accetto scommesse. Intanto, l‟agenzia di valutazione finanziaria Moody‟s – la più importante tra le società private che danno le pagelle agli Stati un tempo sovrani – è entrata a gamba tesa nel dibattito politico italiano, prendendo apertamente posizione in favore delle riforme, dell‟Italicum e della virtuale cancellazione del Senato. Quando si dice le coincidenze… M. RALLO
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SE I NOSTRI POLITICI SAPESSERO... - continua da pag 11 Passiamo ad altro. Qualcuno si è chiesto il perché dell‟impennata delle nascite nei Paesi cosiddetti “sottosviluppati”? Due i motivi: la fine delle politiche di controllo delle nascite nei paesi poveri (avversate da quasi tutte le confessioni religiose, in primis dalla cattolica) ed il progresso medico (che ha prodotto una drastica diminuzione di aborti e morti neonatali). E perché questi medesimi meccanismi non hanno inciso anche sulla fertilità europea? Semplice: perché la popolazione europea – più evoluta rispetto ad altre realtà – ha programmato la propria prole in termini compatibili con le con-dizioni economiche generali. E oggi – come è evidente – il numero massimo di figli che una coppia “normale” può permettersi è di 2. Dal che deriva ciò che la statistica indica come “crescita zero”. E – si tenga presente – per “normale” intendo qualunque nucleo familiare che non sia in condizione di povertà o di abnorme agiatezza. Perché ciò? Perché la società odierna “impone” dei “lussi” di cui si potrebbe benissimo fare a meno (due o tre autovetture per famiglia, un televisore in ogni stanza, un telefonino, possibilmente di ultima generazione, per ogni membro del nucleo familiare, le ferie al mare, la discoteca al sabato, il ristorante alla domenica, eccetera). E, mentre è possibile che una famiglia faccia o sia costretta a fare i “sacrifici” che le consentano di far quadrare il bilancio, l‟economia generale non può agire allo stesso modo: due o tre auto per famiglia sono necessarie per tenere a galla l‟industria dell‟auto; e tutti gli altri “lussi” individuali o familiari servono per alimentare le altre industrie, il commercio, il turismo, i servizi. Il progresso (tecnologico, economico, sociale, culturale) ha generato quella che si suol definire “società dei consumi”; e tale società, avendo ovviamente bisogno dei “consumatori” per poter sopravvivere, ha modificato le abitudini del pubblico, suggerendo e, anzi, quasi imponendo nuove esigenze: auto, elettrodomestici, divertimenti, eccetera. Esigenze che inevitabilmente drenano quelle risorse familiari che, in un diverso contesto sociale, sarebbero probabilmente dedicate ad accogliere e ad allevare nuova prole. Quanto sopra va necessariamente tenuto presente nell‟elaborazione di una strategia per contenere il disastro che le statistiche demografiche preannunziano per l‟immediato futuro. È possibile quella che taluno chiama “decrescita felice”? è possibile il ritorno ad una società protoindustriale, con poche auto, senza tv né internet e, tutt‟al più, con un telefono “fisso” nelle abitazioni meno modeste?
Se tutto ciò non è ipotizzabile, allora la Politica europea deve necessariamente porsi un obiettivo irrinunciabile: il miglioramento, un forte miglioramento delle condizioni economiche della popolazione, perché solamente un maggiore benessere e, soprattutto, la certezza di un futuro ragionevolmente sereno potranno indurre gli europei a fare più figli, in modo da poter meglio fronteggiare gli squilibri demografici che si prospettano. I lettori avranno notato che, citando la Politica, ho usato la “P” maiuscola. A ragion veduta. In un periodo di calma piatta, i popoli possono forse permettersi il lusso di politici con la p minuscola, di politicanti in cerca di affari e di affaristi travestiti da politicanti. Nei momenti drammatici come quello che viviamo oggi, nei momenti cruciali, è necessario che la Politica torni ad essere grande, torni ad avere grinta, volontà e genio creativo. Per esempio, via le riforme buone per un còmpito della prima classe di ragioneria, come quella che vuol mandare i nostri figli in pensione con 400 euro al mese; e largo a chi è in grado, per esempio, di pensare ad uno Stato che paghi le pensioni con denaro suo, creato da una banca di Stato, e non preso a prestito dalle banche d‟affari e dai “mercati”. Cosa non facile, perché le banche d‟affari ed i mercati difficilmente rinunceranno a servirsi di tanti politici con la “p” minuscola, del tipo di quelli che – magari – non sanno nemmeno che cosa sia la demografia. M.Rallo
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Vorrei che vossia mi dicesse cos‟è la demografia!
Demo...ccchéeee? Nun lu sàccio ... politico sono!!!
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BABY GANG E BULLI DI RINCALZO Bullismo, violenza, baby gang, il solito corollario di stupore per i fatti accaduti in città, oppure per quel ragazzo suicidatosi perché umiliato con intenzionalità, con persistenza, con un‟assimetria vergognosa. In questi ultimi tempi, si verificano fatti delinquenziali compiuti da adolescenti e giovani adulti, non piu‟ e non solo di bassa estrazione sociale, ma provenienti da famiglie borghesi e benestanti. Da noi, per ora, bullismo non è sinonimo di devianza-criminalità, il nostro è un bullismo del benessere, è abuso dell‟agio, persino chi non ha niente, possiede qualcosa al fondo delle tasche, non è disagio che picchia contro al mancato raggiungimento di un traguardo economico, è disagio relazionale, paura della vita, non della morte, è incapacità e rigetto della scelta. Quando poi l‟irreparabile accade, l‟illusione da parte del nucleo famigliare, di essere perbene, perché si è raggiunto un benessere economico, crolla insieme alla convinzione che ciò non può comportare alcun tipo di rinculo. Eppure è in questo modo di vivere “ sempre in piedi “ che nasce l‟iconografia del nuovo disagio, in un imperativo che contempla e avvolge come linguaggio contemporaneo, che sovverte i lignaggi, le religioni e le politiche, quel linguaggio che mette a soqquadro e drammaticamente inverte il concetto di “ essere con l‟avere “. Quale famiglia resiste ai conflitti se gli stili educativi corrono sull‟atomizzazione dell‟ascolto, in rifugi costruiti a misura che deresponsabilizzano, così facendo è ben più stimolante non subordinare mai le passioni alle regole, a tal punto da trovarsi disarmati e arresi gia in partenza. Ci preoccupano i bulli, bene intruppati in baby gang nel vicolo cieco, invochiamo la frusta, ma l‟avviso che ne dovrebbe derivare sta nel non incappare nelle superficialità che potremmo pagare a caro prezzo, c‟è la necessarietà di attuare piani economici e politiche sociali che vedano coinvolti non solamente i ragazzi, ma anche gli altri, in quel famoso sostegno alla genitorialità troppe volte dimenticato a metà del guado. Le responsabilità penali sono sempre individuali, come le vite a perdere di tanti ragazzi, ma forse le armi usate nelle loro contese, sono quelle che i grandi lasciano senza protezione all‟intorno, sono le armi delle parole, quelle parole che teatralmente condannano la violenza, per poi esortare i propri figli a non credere a nessuno, neppure alle tante storie anonime, drammatiche,devastanti, scritte e cancellate nella frazione di uno sparo. I bulli si moltiplicano nelle classi come nelle strade, le droghe sono intese come prodotti di uso comune, le regole un optional. Gli adolescenti si difendono attaccando, la famiglia alla finestra ad aspettare, la scuola ricompone la trama trascinando i piedi come un vecchio che ne ha viste troppe per rimanere almeno
un po‟ indignato. Forse occorre chiedersi se l‟autorevole assente in questo protrarsi di contraddizioni e accuse incrociate, sul disagio e la devianza dei più giovani, non sia il fantasma della comunicazione, quella che sottoscrive la soglia di attenzione necessaria affinchè la volontà ad ascoltare e discutere si propaghi nel rispetto dei ruoli e delle competenze, e non scompaia furtivamente alle prime stanchezze dovute ai fallimenti. Nel branco che colpisce, il bullo vince e impara a non fare prigionieri, la violenza è lo strumento di riordino delle idee piegate di lato, una sorta di potere rincorso per arginare chi deride, peggio, opprime con l‟indifferenza. Ragazzi difficili ai quali consegnamo l‟idolatria dell‟immagine,grimaldello per ogni difficoltà che si presenti a sbarrare il passo. Duri di cartone crescono intorno, nonostante i nostri sforzi, i consigli per gli “ acquisti “, pugni nello stomaco al più debole, violenza sulla ragazzina meno arrendevole, disvalori del libero mercato, la vita è interpretata come uno scherzo, perché non c‟è nulla di buono da aspettarsi dalle proprie capacità. Cosa dire a un bullo arrabbiato, a un ragazzo impreparato, quando sostiene che occorre pestare duro per ottenere le cose, per non essere superati, che la droga è una specie di orgasmo. Forse siete troppo giovani per comprendere bene che la regina delle bugie è proprio la violenza, esattamente come la droga, che ti fa intendere la libertà come una prostituta da inseguire e pagare per avere una prestazione, un piacere dal valore di un‟illusione già morta, un piacere come dici tu, scomparso prima ancora di averlo raggiunto. Bullismo che si rigenera, normalità della droga, infantilismo adulto, sono cronaca quotidiana di eventi drammatici, come se ogni tragedia e ingiustizia fosse disadorna della più misera motivazione, anche quando la realtà ci mette con le spalle al muro. La violenza è compagna di viaggio di molta parte di umanità, in questo caso c‟è il gesto di crudeltà fine a se stesso, la ricerca di prevaricazione, il dominio sull‟altro, poco importa se ottenuto arrecando dolore al più debole, fragile, indifeso. Il branco usa tecniche ben collaudate, la bugia, l‟inganno, il tradimento, esprime una caratura professionale consona alla sua età, per soggiogare, mettere sotto, rendere schiavizzata del proprio potere la vittima designata. La baby gang immobilizza il ragazzino, lo colpisce, gli urina addosso, tra scaracchi e risate sguaiate, poi è gia ora di ritornare a casa, ognuno con il proprio balzello ben calato nelle tasche vuote, e ciascuno conoscerà altre ferite, mentre il dolore del ricordo scaverà nelle carni un solco indelebile. Nella necessità di denudare di ogni giustificazione la violenza, c‟è la chiave di accesso per ridefinire il problema di un disagio che riguarda tutti, non occorre trasformare il presente in una sorta di rivoluzione per veterani (Continua a pag. 20)
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PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA 1. Chi troppe s‟acala, „o cule se vede. 2. E chiacchiere fann‟e chièrchie, „e maccarùne regnene a panza. 3. „O napulitàne è bbuòne ma nunn‟è fesse Esplicatio: Chi troppo si umilia, m ostra di non aver carattere. Le parole non hanno sostanza e non placano i mersi della fame. Essere buoni non significa essere sciocchi. Riflessio: Sono proverbi antichissimi, che ritrovia-
Implicanze semantiche:
Culo: dall‟accusativo lat. Culu-m Preta: pietra, dall‟acc. lat. petra-m Maccarone: da macco polenta di Fave – per altri da macare, impasta- Sirica Dora re – per chi scrive, dal greco makarios, banchetto funebre. Antropologia: Il seme dei proverbi è chiaramente espresso in latino: - Facta non verba.
mo anche nel mondo greco e latino. Fraseologia: L‟angiulille ca tene e ccòrne - A famme - Haud facile astutus fallit astutum. - Omnis homo mendax.n‟accetta discorsi- Tre vote buone è o fesse.
Progetto Famiglia Network Filiale Angri CENTRO SERVIZI ANGRI via badia n.6 - Per Privati - Assistenza socio sanitaria alla persona H 24. Ass.nza anziani.. Fax 081/946895 - Cel. 335/8065955 - Cel. 334/7317790 - angri@progettofamiglianetwork.it
Finalmente anche nell’Agro Nocerino- Sarnese si ha la possibilità di accedere ad assistenze specializzate, per gli anziani, per i disabili, per tutti i tipi di malattie e per tutte le problematiche: specialisti nelle cure mediche e nel sostegno degli ammalati, son pronti a raggiungere ogni luogo ed ogni abitazione per portare, a chi ne ha bisogno, i benefici della loro competenza. Un grazie a coloro che si sono adoperati nella realizzazione del progetto. Da settembre, l’iniziativa sarà seguita molto dalla direzione di ANTROPOS IN THE WORLD che darà tutte le informazioni che i lettori della rivista vorranno ottenere.
COOPERATIVA SOCIALE « SAN PIO » VIA SATRIANO 12 - ANGRI ( SA ) – tel. 335 806 5955 – 334 731 7790
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LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos
LE MALATTIE DELL‟AUTUNNO
Quali sono le 7 malattie autunnali più diffuse? Vediamole insieme in modo da avere una idea di come tentare di prevenirle o eventualmente trattarle una volta che si è rimasti contagiati. 1. Virus ed influenza - Le prime patologie che l‟autunno porta con sé sono le infezioni parainfluenzali e la classica influenza stagionale, più o meno grave a seconda del ceppo di appartenenza. Bisogna fare attenzione ad eventuali complicazione. Per prevenire il contagio bisogna evitare luoghi troppo affollati, lavarsi le mani con frequenza e consumare cibi che possano rafforzare il sistema immunitario. 2. Tonsillite - La tonsillite è strettamente legata a diversi patogeni che si trovano nell‟aria e che respirando si depositano sulle tonsille. In alcuni casi si può arrivare alla suppurazione delle stesse con lo sviluppo di una patologia conseguente chiamata angina tonsillare. 3. Cistite - Si tratta di una malattia delle vie urinarie che colpisce con più facilità le donne ed è di solito legato al freddo ed al cambio tardivo del guardaroba magari dettato da impegni o da stress. Per prevenire la comparsa di cistiti è consigliato curare l‟igiene intima, evitare eccessiva attività fisica e coprirsi bene. 4. Candida - La candida è una infezione fungina che può colpire il cavo orale ma che più comunemente colpisce le pareti intime. Una efficace prevenzione è legata alla forza del sistema immunitario: è necessario consumare molta frutta e verdure ricca di vitamine. 5. Laringite o mal di gola - Al pari della tonsillite questa è una infezione tra le più comuni quando si parla di malattie autunnali. Difese immunitarie in buono stato di solito bastano a proteggere le persone dal contagio.
6. Dermatiti - Una certa predisposizione e una cattiva gestione del cambio delle temperature possono portare ad una maggiore comparsa di dermatiti in autunno, specialmente nelle parti che rimangono scoperte ai venti ed al cambio del clima: fate in modo di mantenere sempre la pelle idratata ed al caldo. 7.. Pielonefrite - Si tratta di una malattia dei reni spesso favorita dal cambio di temperatura e da un prolungato contatto con superfici fredde, come ad esempio quando si lavora in ufficio ed il riscaldamento non è adeguato. E‟ bene curare subito la pielonefrite onde evitare diventi cronica.
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( II PARTE )
In caso di virus, la trasmissione da persona a persona si può verificare per via aerea, attraverso le gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce, ma anche attraverso il contatto con mani contaminate dalle secrezioni respiratorie. E‟ quindi consigliato: Lavaggio delle mani con acqua e sapone (in assenza di acqua, uso di gel alcolici) Buona igiene respiratoria (coprire bocca e naso quando si starnutisce o tossisce, usare sempre i fazzoletti) Isolamento, a casa, delle persone con malattie respiratorie febbrili specie in fase iniziale Uso di mascherine da parte delle persone con sintomatologia influenzale quando si trovano in ambienti sanitari (ospedali) La prevenzione delle malattie respiratorie, soprattutto nel bambino, si basa sul normale passaggio dell‟aria attraverso il naso, che consente di far giungere ai polmoni un‟aria perfettamente adeguata alla respirazione. In questo modo l‟aria che giunge ai polmoni è ben preparata alla respirazione, non irrita e non predispone i bronchi e i polmoni alle malattie. Importanti sono anche le abitudini di vita. E‟ buona norma ridurre al minimo l‟esposizione all‟aria condizionata ed al riscaldamento eccessivo. In presenza di un‟aria troppo secca (condizionatore, camino, stufa a legna) è bene provvedere a un‟adeguata umidificazione dell‟ambiente. L‟influenza non si sconfigge con alcun farmaco, si può prevenire con buona efficacia mediante la vaccinazione o stimolando al meglio le nostre difese immunitarie, ma non c‟è farmaco che la sconfigga. Una volta che il VIRUS è in azione, la malattia è autolimitante, la carica virale si esaurisce da sola dopo qualche giorno e possiamo solamente aiutarci con l‟utilizzo di farmaci sintomatici come gli antiinfiammatori. Essendo l‟influenza causata da VIRUS non è utile l‟assunzione di antibiotici al di fuori di casi complicati con sovrainfezioni batteriche per cui è assolutamente necessario il consulto con il Medico Curante.
BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO
Direzione e Redazione - via Margotta,18 tel. 089.797917
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I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos
Ἡράκλειτος της Ευέσοσ (IV) C'è un equilibrio: Eraclito non intendeva assolutamente parlare di conflagrazioni: si tratta di interpretazioni errate da parte degli stoici. Uno dei frammenti senz'altro più famosi di Eraclito è quello che dice : "negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " : troppo spesso è stato interpretato come il manifesto della "filosofia del divenire",del ("tutto scorre"), come se Eraclito ci stesse suggerendo che non possiamo mai bagnarci due volte nelle stesse acque di un fiume, giacchè esse si rinnovano incessantemente. In realtà l‟indirizzo dell‟incessante divenire che regola la realtà sarà intrapreso, più che da Eraclito (nel quale pure non è assente), dal suo discepolo Cratilo (futuro maestro di Platone): egli estremizzerà le posizioni di Eraclito e diventerà il filosofo del "tutto scorre": a suo avviso è addirittura impossibile dare i nomi alle cose perchè esse cambiano di continuo (noi chiamiamo Po un fiume ma non è corretto, perchè le acque si rinnovano in continuazione e il fiume non è mai lo stesso); si fissa artificialmente una cosa che non è fissabile perchè in continua mutazione. Cratilo con il "panta rei" arriva a dimostrazioni sofistiche:è impossibile conoscere qualcosa che cambia sempre. Quindi in teoria, dal momento che non si possono attribuire nomi, bisognerebbe limitarsi ad indicare le cose col dito, senza chiamarle per nome. In realtà Eraclito, con il frammento del fiume, sta argomentando in favore della coincidenza degli opposti, mettendo in luce come quando ci immergiamo in un fiume siamo in esso e al contempo non siamo in esso (poiché nel fiume le acque cambiano di continuo). Circa l'identità degli opposti, egli dice anche che "il mare è l'acqua più pura e impura, per i pesci potabile e salutare, per gli uomini imbevibile e letale" : in questo frammento si può anche scorgere il famoso relativismo assoluto di Protagora, ad avviso del quale il miele c'è chi lo sente dolce e chi lo sente amaro, ma non si può effettivamente dire se esso sia amaro o dolce: dipende da come ciascuno lo sente. - 18 -
Durissima è la critica condotta da Eraclito contro i sapienti del suo tempo (Pitagora, Ecateo, Esiodo, Omero, tutta "gente dalla doppia testa"), accusati di polumachia, il "sapere molte cose ": la vera conoscenza dev‟essere quella dell‟unico logos. Aristotele, lo definisce «l'oscuro»; persinono Socrate ebbe problemi a comprendere gli aforismi dell'«oscuro», sostenendo che erano profondi quanto le profondità raggiunte dai tuffatori di Delo. Eraclito morì dove era nato, ad Efeso, nel 475 a.C. n. A quanto posto da Diogene Laerzio vi furono moltissimi che diedero interpretazioni del suo libro tra i quali: Antistene, Eraclide Pontico, Cleante, Sfero lo Stoico,Pausania detto l'Eraclitista,Nicomede, Dionisio, Diodoto che negò che il testo trattasse della natura ma riguardasse la politica, Ieronimo e Scitino. Eraclito manifesta un atteggiamento filosofico che potremmo definire "iniziatico",ritenendo infatti di non poter essere compreso dalla moltitudine. A conferma di ciò disse: « εἷς ἐμοὶ μύριοι, ἐὰν ἄριστος ἦι = Se è il mimigliore, uno per me vale diecimila »
ACCADEMIA DEGLI AGIATI Unimont, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra intitolato ad Ardito Desio è lieta di presentare la mostra “K2 – Immagini dal Karakorum” e di offrire per l‟occasione al pubblico le immagini d‟epoca dell‟Archivio di Ardito Desio, fondo particolarmente ricco di documentazione iconografica e storico-scientifica. L‟inaugurazione della mostra è prevista per venerdì 10 ottobre, ore 10.30 presso l‟Aula Magna dell‟Università di Milano. Maurizio Gentilini (Dipartimento Scienze umane e sociali) presenterà le immagini. La mostra, dedicata alle esplorazioni italiane in Karakorum, a seguito del recente anniversario (2014) della conquista della vetta del K2, propone un‟interessante testimonianza dell‟esperienza italiana.
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LA “TEORIA GIUFFRIDIANA DEL BIEQUILIBRIO”, INERENTE AI CONCETTI DI “BISPAZIO” E “BITEMPO” - ”BISPAZIO” E “BITEMPO” RENDEREBBERO CONCRETE LE NOZIONI TEORICHE: DI EQUILIBRIO E DI GIUSTIZIA TERRENA.
L‟Universo è dominato da un concetto: il concetto di EQUILIBRIO. Ma allora perché LE 3 DIMENSIONI GEOMETRICHE (x, y, z) IMPIETOSE TORREGGIANO SULL‟ ”UNICO” TEMPO? Possibile che la “gara” la vinca lo spazio, che esso prevalga 3-1 sul tempo? E‟ QUESTA UNA EVIDENTE INCONGRUENZA,NON SI INTEGRA, NON PUO‟ INTEGRARSI IN UN DISCORSO INERENTE ALL‟ EQUILIBRIO, AD UNA CONDIZIONE DI STABILITA‟. Dunque, è possibile una coesistenza tra: IPOSPAZIO, uno spazio a due dimensioni; noi “formiche”, prive della (illusoria) terza dimensione, ci muoviamo in tale “ambiente bispaziale”, l‟IPOSPAZIO; ed IPERTEMPO, un “bitempo”, un tempo avente anch‟esso due “dimensioni”; una è quella classica alla quale siamo abituati, che ci fa invecchiare e rimpiangere il leopardiano “caro tempo giovanil”,l‟altra dimensione temporale è uno stadio onirico. Noi siamo esseri bidimensionali, come le formiche; in condizioni “normali”, nel corso delle nostre abituali attività, il trascorrere del tempo ordinario ci incatena alla esistenza. Di notte invece siamo privi di vincoli, assolutamente liberi, la libertà è insita nel sogno: noi creature a 2 dimensioni , durante la fase REM del sonno, nella quale si verificano diverse alterazioni fisiologiche, avvertiamo l‟insorgere di un tempo interiore, un “diverso tempo”, che chiamo “tempo Z”, Tz. Il “tempo Z” è dunque una dimensione anch‟essa “temporale” (si misura in Zsecondi attraverso un OROLOGIO TRIANGOLARE, nel quale le unità di tempo sono sostituite da figure conformate a Z), tale “stadio temporale Z” si manifesta ripeto,esclusivamente nella fase REM , CON L‟ATTIVITA‟ ONIRICA, LE IMMAGINI, con il coinvolgimento del sogno nei suoi aspetti di visioni, abbagli, chimere, orrori, incubi. In sintesi, la “Teoria Giuffridiana del biequilibrio”: è un modello che pone in un rapporto costante lo spazio ed il tempo, senza alcun predominio o subordinazione dell‟uno ri-spetto all‟altro. D‟altronde, ogni acquisto implica una perdita, una estensione della idea di tempo necessariamente implica la riduzione della idea di spazio:il„principio dei vasi comunicanti‟ (inerente all‟equilivello raggiunto da una generica sostanza liquida versata in un sistema recipienti collegati, ma la Fisica è permeata di idee d‟equità e stabilità) perché non dovrebbe valere anche per lo spazio ed il tempo? L‟ipotetico Paradiso si regge sulle spalle del Mondo, e viceversa, una continua interazione tra essi in un legame inscindibile ed eterno, il pareggio spazio-
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tempo; ogni “ente energetico” (l‟Homo sapiens, l‟Homo videns del professor Giovanni Sartori ovvero i “Video Homini” di Giuffrida Farina, caratterizzanti la nostra epoca e che descriveranno quella futura, la materia, i vari Regni …) presenta una ben definita bi-disposizione, un posizionamento bi-spaziale, in un bi-tempo descritto dal tempo “classico,T” e dal “tempo Z,Tz” ; in esso “tempo Z” si verifica una mutazione coinvolgente livelli energetici sottili dell‟Essere divenendo noi Entità difformi, a cominciare dal nome). Differiscono, tali idee: dallo spazio-tempo inglobati in un‟unica Essenza, in quanto ciascun elemento del bi-spazio/-bitempo gode d‟una sua autonomia; e dalle diverse versioni della “Teoria delle stringhe” (stringa equivale a sequenza: di circuiti, di caratteri informatici, di dimensioni) : 1) la superstringa, caratterizzante un mondo a 10 dimensioni;2) la stringa bosonica ovvero un iperspazio a 26 dimensioni; 3) la M Teoria, in tale versione, lo spaziotempo nel quale le stringhe evolvono, è un “ambiente” ad 11 dimensioni. IL „BISPAZIO‟ , NEL QUALE NOI „ESSERI PIANI‟ , SENZA QUOTA Z, CI MUOVIAMO.
Una forza misteriosa, un ente energetico non percepito dalla nostra vista agisce su di noi, è applicato sul nostro capo e, metaforicamente, “ci comprime”; il nostro vivere è avvolto e coinvolto in uno stadio esistenziale ignoto, una dimensione invisibile: noi “formiche”, in realtà, ci muoviamo in un mondo bidimensionale,la terza dimensione è inesistente, è illusoria; come, a titolo di esempio, l‟apparente deformazione subita da due cucchiai in un bicchiere colmo d‟acqua, a causa del feno meno della „RIFRAZIONE DELLA LUCE” ossia la deviazione subita dai raggi luminosi quando passano da un mezzo trasparente ad un altro, per es. aria ed acqua.
Antropos in the world IL „BITEMPO‟: “TEMPO NORMALE, T” , e “TEMPO Z, Tz” CHE EQUILIBRA L‟ASSENZA DI QUOTA Z.
OROLOGIO TRIANGOLARE CHE MISURA IL “TEMPO Z” (Tz si quantizza in Zsecondi)
GIUFFRY FARINA
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L‟amico, dott. Giuffrida Farina, sta elaborando la sua teoria anche in equazioni matematiche e di formule della Fisica, sviluppando queste sue geniali intui-zioni; il lavoro scientifico verrà sottoposto alla Comunità Scientifica, per una eventuale pubblicazione su Riviste accreditate. Dal prossimo numero si dirà altro sul me desimo argomento. N.d.D.
BABY GANNG E BULLI DI RINCALZO (Continuazione da pag.15) della morale e dell‟etica, forse occorre solamente consegnare ai giovani buoni esempi, autorevoli perché credibili, smettendola di banalizzare le proprie mancanze, rifiutando di arrenderci all‟avanzare di una vita troppo spesso travestita da fannullona, forse in questo modo saremo più vicini alla nostra libertà e alla nostra capacità di riscattarci. Minori a rischio tra trasgressione e devianza, nel mondo degli adulti che perde contatto con la pazienza della speranza, non scommette più sul potenziale dei propri figli, non ne supporta più la crescita, come a voler sottolineare che non tutte le persone sono preziose. Forse occorrerebbe imitare lo stile educativo di don Enzo Boschetti della Comunità Casa del Giovane di Pavia, il quale come un buon padre, pone domande ai suoi giovani ospiti, piuttosto che impartire ordini disimpegnanti, ciò per apprendere il valore di una strategia che parta dal rispetto per se stessi, per giungere alla considerazione e alla fiducia dell‟altro. Ai giovani di oggi bisogna credere, e non soltanto per puro interesse collettivo, ma perchè se ci si sente accettati, coinvolti a dare il meglio di sè, non si ha necessità di attirare l‟attenzione con gesti eclatanti, destinati alla follia più lucida. Ho avuto modo di ascoltare tante voci sottolineare che si parla “troppo” di bullismo, che forse non è vero che sia un fenomeno esteso, un atteggiamento aggressivo che da statistica è diventato dato esponenziale. Ho sentito adulti, padri, madri, affermare che forse non è intelligente discutere di vittime e carnefici nelle scuole, negli oratori, nelle strade, perché da noi non accade, da noi non ci sono bulli, da noi non c‟è disprezzo delle regole, da noi è ben compreso e condiviso il valore del rispetto per le persone e per le cose. “La mia scuola è esente da questi problemi, la mia famiglia è pulita, noi non facciamo uso di droga, né
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abbiamo prossimità con la violenza”, eppure tutto questo accade e pervade, dentro un paese piagato dall‟ingiustizia, dalla prepotenza, dalla arroganza, per questo incapace di valorizzare ciò che è bene, incapace di farlo con il tono autorevole che gli compete. Però non ho sentito parlare di quegli adolescenti che invece dietro l‟angolo fumano e calano giù, girano con il serramanico, sballano e menano, fuori dalle regole che invece sono tutela e garanzia per non soccombere ai singhiozzi che verranno. Branco, baby gang, teppisti e bulli, molte le declinazioni, come le giustificazioni travestite da attenuanti, è violenza che scardina la libertà di crescere insieme, che nega il diritto di vivere nel rispetto dell‟altro, che disperde il dovere di resistere fino in fondo, per essere degni di vivere con lo sguardo in alto, con il domani ben cucito sulla pelle. Abitare la cattedra del colpevole, senza facili assoluzioni, è importante per rivedere il proprio passato, ritornare a ciò che è stato, rielaborando ogni trascorso, ancor di più è necessario farlo ora, per esser di aiuto davvero ai più giovani, ponendo termine a questo suicidio collettivo, quanto meno per non essere ancora una volta se non complici, corresponsabili nel silenzio. Vincenzo Andraous
L’Arabia Saudita sta per decapitare un ragazzo di 21 anni, per poi crocifiggerlo e esporre il suo corpo in piazza. La stessa Arabia Saudita a cui hanno appena affidato il coordinamento della commissione ONU sui diritti umani! Una follia! Ali Mohammed al-Nimr è stato arrestato a 17 anni per aver preso parte a una manifestazione contro il governo. La reazione è stata durissima, l’hanno torturato e condannato.
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PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore
ricette LA PASTICCIATA Ingredienti (per 4)
Polpa di cavallo 1 kg Cipolle di qualità dolce 2 kg Burro 50 gr Olio 6 cucchiaiate Pelati 1 scatola Pepe, sale, alloro (se piace), vino rosso
Preparazione Tagliare la polpa di cavallo a pezzi, come si fa per lo spezzatino, affettare sottili le cipolle, tenerle un po‟ nell‟acqua fresca, scolarle, asciugarle su un panno e metterle nella casseruola con il burro e l‟olio, facendole cuocere piano fino a che siano diventate dorate. Aggiungere alle cipol- le i pelati col sale e col pepe appena macinato e lasciar cuocere lentamente, fino a che l‟intingolo si sia sufficientemente ristretto. A questo punto, mettere nella casseruola la carne e, se piace, una foglia di alloro. Versare nella casseruola anche del vino rosso di buona qualità, tanto quanto ne occorre per coprire completamente la carne. Mettere il coperchio e lasciare cuocere a fiamma bassa per non meno di tre ore. Le cipolle, alla fine della cottura, devono essere completamente disfatte. Se così non fosse si può passare la salsa al setaccio, versandola poi sulla carne tenuta in caldo. STUFATO D‟ASINO Ingredienti (per 4)
Garretto o muscolo di carne d‟asino 1 kg Burro 50 gr Olio 3 cucchiaiate ½ cipolla Aglio 1 spicchio Vino bianco secco 1 bicchiere Salsa di pomodoro 2 cucchiai Brodo ¼ di litro Sale, pepe,farina bianca
Preparazione Tagliare la carne a pezzi regolari, infarinarla leggermente e farla rosolare in 50 grammi di burro,. - 21 -
cui aggiungere tre cucchiai di olio. Aggiungere alla carne un trito di cipolla e due spicchi d‟aglio pestati. Versarvi sopra un bicchiere di vino bianco secco e, quando sarà evaporato, salare, pepare e unire due cucchiai di salsa di pomodoro sciolta in acqua. Mescolare, coprire la casseruola e fare cuocere per due ore lentamente, mescolando e aggiungendo via via brodo (o acqua calda) quanto ne occorre perché il sugo non si asciughi troppo. BOCCONCINI DI CAVALLO ALLA CACCIATORA Ingredienti (per 4) Carne di cavallo tagliata a pezzetti 600 gr Polpa di pomodoro 300 gr Burro 70 gr Un pezzetto cipolla, ½ carota, ½ costa di sedano, salvia, rosmarino, poca farina Brodo ½ bicchiere Poco vini, sale, pepe
Preparazione Infarinare i pezzi di carne; far soffriggere il burro in una casseruola, unire la carne e farla rosolare da tutte le parti mescolando bene. Tritare la cipolla, la carota, il sedano, la salvia e il rosmarino, unire il trito alla carne e lasciarlo imbiondire per qualche minuto mescolando di tanto in tanto. Aggiungere la polpa di pomodoro passata al setaccio, bagnare con il brodo e qualche cucchiaio di vino bianco e condire con sale e pepe. Far prendere l‟ebollizione, abbassare il fuoco e proseguire la cottura per un‟ora e mezza circa. Versare la preparazione su un piatto di servizio e gustarla calda.
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VOGLIAMO ZERO A PAGANI Una magnica serata all‟insegna dell‟arte, voluta da Don Flaviano Calenda
Il M0 Matteo Franza con la presentatrice
Il Sindaco Bottone ed il Sindaco Annunziata
Carmen Buscè
Il bravo Maestro Franza con la responsabie prov, Unicef
Gaia Petrelli – bella e molto applaudita
Maestro Mario Alfano ed il suo gruppo
Il momento della favola con Nicola Napoli
Anna Rita del Piano, cantante ed attrice
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Il tenore Vincenzo Acanfora
La dirigente Ezilda Pepe
La splendida cantante Simona De Rosa
Carmine Pagano
Sasà Piedepalumbo
Don Flaviano Calenda con Franco Pastore
Ecco alcune immagini della magnifica kermesse “VOGLIAMOZERO”, voluta da don Flaviano Calenda, a favore della campagna UNICEF contro la mortalità infantile nel mondo. Per lo spettacolo di beneficenza, una cornice d‟eccezione: IL CARMINELLO AD ARCO della Città di Pagani, già da tempo proiettata nella cultura e nell‟arte ed in tal senso, fiore all‟occhiello dell‟agro sarnese-nocerino. Ovviamente, il merito e di persone come il Calenda, per nulla perdute nei meandri della politica corrotta, o scalfite dall‟azione dei vili diffamatori, nemici di sé e del mondo. I Fatti appaiono chiari e lampanti, senza alcun bisogno di devianti filmati fasulli: la Caritas, che provvede a centinaia di famiglie bisognose, la Mensa di Tommaso, con i suoi tremilacinquecento pasti al mese, l‟azione indefessa e costante di una equipe di persone che incoraggiano e
sostengono le iniziative del validissimo don Flaviano ed infine, un Carminello riportato all‟antica funzione di sostegno al bisogno ed alla miseria. Lo spettacolo? Una esplosione di professionalità artistiche, egregiamente accompagnate da un‟orchestra notevole, diretta dall‟ottimo Maestro Matteo Franza. Gli artisti? Tutti bravi, dalla delicata Gaia Petrelli, all‟impareggiabile Sasà, dal potente Vincenzo Acanfora, al Maestro Alfano ed alla esplosiva Simona De Rosa, regina del canto e della scena, che ha incantato tutti con l‟esecuzione di “New York, New York”, noto campo di battaglia della grande Liza Minnelli. Franco Pastore
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STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore
MUSICA LEGGERA-NUOVE TENDENZE Come si è detto la musica leggera è un tipo di musica che deve essere accessibile e fruibile da tutti seguendo quindi una logica di mercato in contrasto con la cosiddetta musica alternativa o underground. Quest'ultima si contrappone alla musica leggera per ragioni diverse: per una ricerca musicale sia in campo stilistico che sonoro (distogliendosi dalla logica secondo cui grandi investimenti devono portare a guadagni sicuri); per la modalità commerciale con cui si accosta ai suoi fruitori, privilegiando in sostanza il passaparola che si può avere tra gli appassionati del genere, in opposizione al bombardamento pubblicitario, questo spesso è dovuto al fatto che le possibilità finanziarie della musica underground sono notevolmente inferiori a quelle della musica pop, essendo quest'ultima preferita dalle cosiddette majors (ed oggi anche da molte etichette discografiche indipendenti) per la motivazione sopracitata; infine per i suoi contenuti impegnati o comunque legati ad una sensibilità inconsueta; quest'ultima caratteristica, la si può ritrovare, però, anche in alcuni frangenti della musica leg-gera ma è generalmente abbastanza rara. Nonostante la mancanza di originalità, la musica mainstream ha comunque il grande pregio di portare buona parte dell'underground al grande pubblico, influenzando e trasmettendo così in modo più ampio la cultura popolare, trasformando l'idea musicale in qualcosa di più assimilabile da tutti. In questo modo, però, i riferimenti forniti dalle sotto-culture musicali (heavy metal, punk rock, hip hop, musica elettronica,psichedelia rd altro) subiscono, in casi estremi ma sempre più frequenti, un'omogeneizzazione, vengono cioè superficializzati e spesso stereotipati per essere così più facilmente assimilabili, si precisa infatti che quasi ogni genere esistente è stato tradotto nei codici del mainstream ed è perciò divenuto, in un dato periodo storico, sinonimo di pop (da qui ad esempio nascono i sottogeneri commerciali degli stili già citati come: pop metal, pop punk, pop rap, electro pop, pop psichedelico). Questa logica è rappresentativa del fatto che il fulcro del mainstream è arrivare immediatamente al fruitore disattento piuttosto che incidere con il messaggio dell'artista. Vi è da aggiungere tuttavia che spesso accade anche l'esatto contrario, ovvero che un'idea musi-
cale scaturita dal mondo mainstream, e quindi pop, dia origine ad un genere musicale underground, anche perché oggi capita spessissimo che i produttori mainstream che lavorano per i grandi artisti pop portino avanti altri progetti in mercati di nicchia. Negli anni Ottanta i cantautori italiani adottano uno stile più internazionale e attirano così l'attenzione del pubblico europeo. Numerosi sono gli interpreti di questa nuova tendenza: Gianna Nannini, Ligabue, Eros Ramazzotti, Vasco Rossi, Laura Pausini, Zucchero, Jovanotti. Negli anni Novanta si impongono grandi cantanti come Giorgia e Andrea Bocelli, che si concentrano più sull’aspetto canoro della musica leggera. Alcuni gruppi musicali emersi ai giorni nostri esplorano nuove strade, rielaborando generi musicali diversi come il rock, il folk e il rap, la cui influenza è sempre determinante nella creazione di stili originali e nuovi. Nel nuovo millennio la nascita dei talent show dà il via alla diffusione sempre più ampia di "concorsi musicali" di livello internazionale che vengono trasmessi in televisione, allo scopo di permettere a giovani e meno giovani di esibirsi di fronte ad un grande pubblico e di far conoscere al mondo la propria voce e la propria abilità, non soltanto come cantanti ma spesso anche come cantautori. È il caso di artisti come Marco Mengoni, Noemi, Emma Marrone e Alessandra Amoroso. E.PASTORE
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IL NUOVO LIBR0 DI
RENATO NICODEMO: ----
L‟AVE MARIA STORIA E COMMENTO -----
Antropos in the world POLITICA E NAZIONE – OVVERO IL PENSIERO DELLA GENTE COMUNE
COSE SINISTRE DELLA SINISTRA
Molto spesso si sentono esponenti della sinistra e, negli ultimi tempi, lo stesso Presidente del Consiglio, dire: Facciamo cose di sinistra. Gli italiani a sentire questa frase restano sconcertati. Fare cose di sinistra significa forse attaccare i risparmi. le pensioni, il TFR, i sindacati, portare il debito pubblico alle stelle, la disoccupazione ai massimi storici ? Ma cerchiamo di capire al di là delle parole! Con il termine “fare cose di sinistra” si vorrebbe veicolare il pensiero comune verso i grandi patrimoni, invece, di fatto, ad essere colpiti sono le classi meno abbienti, che stanno sopportando un proprio e vero salasso, mentre i ricchi, gli evasori, i corruttori ed i mafiosi non vengono neppure sfiorati. Con l‟avvento di uomini come Monti e Renzi (non eletti dal popolo ma voluti dai poteri forti) sono stati attaccati in primis i risparmi e le pensioni, acquisite con mille sacrifici da persone oneste, che pagano le tasse e cercano di risparmiare qualcosa, con forti privazioni. Un atteggiamento miope di questa sinistra, purtroppo, che pur di fare cassa subito, non si fa scrupolo a creare povertà e disoccupazione. Ma andiamo con ordine. I conservatori avversano progetti utopistici e i mutamenti troppo radicali. Credono nella libertà individuale e nel libero mercato, sono severi in tema di ordine e legalità e nutrono un particolare rispetto per la tradizione, la famiglia e la religione. I progressisti hanno l‟obiettivo di riorganizzare il cambiamento della società, orientandola distribuendo la ricchezza in modo equo del paese. Quindi, per capirci meglio, la sinistra dovrebbe tendere a chiudere la forbice di chi guadagna di più e avvantaggiare chi guadagna di meno. Dunque la vera prova di un governo di sinistra dovrebbe essere una diversa ridistribuzione sociale della ricchezza. Ma quale messaggio di moralità e di cambiamento hanno trasmesso agli italiani i vari governi e lo stesso Renzi che continua a dire : “noi facciamo cose di sinistra” ? Negli ultimi anni sembra che la sinistra al governo abbia esaurito la forza e la volontà di proporre cambiamenti sociali e si sia ritirata su posizioni “conservatrici”, per paura di rischiare e per mancanza di idee efficaci, per un futuro diverso. In un totale smarrimento di obiettivi , ha trascurato i suoi compiti ed ha esaurito la voglia del cambiamento più che per calcolo, per inettitudine ed opportunismo, in un‟Italia dove pochi hanno troppo e troppi hanno poco.
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Alla fine gli italiani si sono trovati a vivere in un paese dove le persone che non votano, non lavorano, governate da persone che non abbiamo eletto . Il tutto è iniziato con un vergognoso tradimento che ha portato l‟Italia si è trovata a fronteggiare una crisi, aggravata da osceni accordi internazionali. E Renzi continua a ripetere che il suo governo fa cose di sinistra, dimenticando che, alla prova dei fatti: a) Sono stati impoverito la parte più debole del popolo: i pensionati. b) Sono stati attaccati i risparmi; c) È stato attaccato il TFR; d) È stata Ignorata la sentenza della Corte Costituzionale, che ordinava la restituzione dei soldi ai pensionati; e) È stato presentato alla Regione Campania un pregiudicato già condannato, ignorando la legge Severino; f) È stato difeso in tutti i modi il compromesso sindaco di Roma, mentre altre amministrazioni (rigorosamente di centrodestra ), per molto meno, sono state sciolte; g) È stata portata la disoccupazione ai massimi storici; h) È stato portato il debito pubblico a livelli mai visti; i) Sono state abbassate di fatto le tutele per i lavoratori; j) Sono state aiutate le banche con i soldi degli italiani; k) Sono state portate le tasse ai massimi storici e mondiali, e tanto altro. l) Oggi con questa politica scellerata c‟è ca-renza di lavoro e la mancanza di prospettive per le nuove generazioni. La sinistra di oggi non è altro che un calde-rone di anime vuote, lontana anni luce dalle prospettive degli italiani. Dal punto di vista etico e morale, poi, rappresenta il peggio della cultura moderna ed ha raggiunto il massimo livello con Renzi, che sta attentando ai principi della costituzione e dello stato di diritto, senza curarsi dei precari, esodati, disoccupati e delle famiglie più povere.
Mario Bottiglieri
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IL CAPITANO ULTIMO (II) Rinviato a giudizio su richiesta del sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia, De Caprio fu poi prosciolto dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra. L'indagine era stata avviata dalla procura per accertare gli eventi che avevano portato alla ritardata perquisizione del covo di Salvatore Riina. Infatti, dopo l'arresto del boss, i carabinieri della territoriale di Palermo erano pronti a perquisire l'edificio, ma Ultimo ed il ROS, ritenendo di poter proseguire l’indagine in corso ed individuare le attività criminali dei fiancheggiatori del boss arrestato per disarticolare completamente l'organizzazione, chiesero la sospensione della procedura per "esigenze investigative", che fu concessa dalla procura - stando a quanto afferma l'allora procuratore Caselli - «in tanto in quanto fosse garantito il controllo e l'osservazione dell'obiettivo». Diciotto giorni dopo si scoprì che quell'osservazione era stata sospesa prematuramente dai carabinieri, all'insaputa della procura e senza che fosse stata effettuata alcuna perquisizione. Nel frattempo il covo era stato ormai abbandonato dalla famiglia di Riina e completamente ripulito da uomini di cosa nostra che ritinteggiarono persino le pareti. De Caprio e Mori sostennero che c'era stato un equivoco nella comunicazione con la procura poiché non avevano aspreso l'intenzione di sorvegliare il covo in modo continuativo. Peraltro, come riportato nelle motivazioni della sentenza del processo, era ben chiaro dall'inizio sia ai carabinieri sia alla procura che, decidendo di non procedere alla perquisizione, si assumeva un rischio, un rischio investigativo motivato dal raggiungimento di un obiettivo superiore. Lo stesso Tribunale di Palermo sentenzia: « Questa opzione investigativa (la ritardata perquisizione, ndr) comportava evidentemente un rischio che l'Autorità Giudiziaria scelse di correre, condividendo le valutazioni espresse dagli organi di polizia giudiziaria, direttamente operativi sul campo, sulla rilevante possibilità di ottenere maggiori risultati omettendo di eseguire la perquisizione. Nella decisione di rinviarla appare, difatti, logicamente, insita l'accettazione del pericolo della dispersione di materiale investigativo eventualmente presente nell'abitazione, che
non era stata ancora indiviguata dalle forze dell' ordine, dal momento che nulla avrebbe potuto impedire a “ Ninetta” Bagarella ( moglie di Riina, ndr), che vi dimorava, o ai Sansone, che dimoravano in altre ville dello stesso comprensorio,di distrugstruggere od occultare la documentazione eventualmente conservata dal Riina - cosa che in ipotesi avrebbero potuto fare anche nello stesso pomeriggio del 15 gennaio, dopo la diffusione della notizia dell'arresto in conferenza stampa, quando cioè il servizio di osservazione era ancora attivo - od anche a terzi che, se sconosciuti alle forze dell'ordine, avrebbero potuto recarsi al complesso ed asportarla senza destare sospetti. L'osservazione visiva del complesso, in quanto inerente al solo cancello di ingresso dell'intero comprensorio, certamente non poteva essere diretta ad impedire tali esiti, prestandosi solo ad individuare eventuali latitanti che vi avessero fatto accesso ed a filmare l'allontanamento della Bagarella, che non era comunque indagata, e le frequentazioni del sito.» I carabinieri definirono la sospensione dell'osservazione una «iniziativa autonoma della quale la Procura non era stata informata». Secondo i sostenitori dell'accusa di favoreggiamento sarebbero esistiti elementi indiziari per ritenere che i capi del ROS avessero mentito alla procura facendole credere che il covo sarebbe stato sorvegliato in modo continuativo. De Caprio ha sostenuto in sua difesa: « Io non specificai se l'attività di osservazione sul complesso di via Bernini sarebbe o meno proseguita nei giorni successivi... Io non volevo fare sorveglianza... Quella lì era la casa di Riina. Per me, forse ho sbagliato le valutazioni, rimane la casa, l'abitazione del sangue di Riina, non la base logistica della latitanza di Riina. Per me non aveva valore investigativo come non lo ha oggi l'abitazione di Provenzano a Corleone dove ha la moglie e i figli » Secondo la testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia, un gruppo di affiliati alla mafia entrò indisturbato portando in salvo i parenti del boss, svuotando la cassaforte e verniciando le pareti per cancellare le impronte. (Continua)
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GLI SCARPONI CHIODATI DELLE IDEOLOGIE Stavo ripensando ad alcuni accadimenti che si sono verificati in giro per questa italietta, "relazioni e passioni" sottoscritte con parole pesanti, un pò di spintoni e qualche schiaffo, dalle periferie claudicanti alle aule custodi del diritto di ognuno e di ciascuno. Una sorta di violenza che frantuma le idee, la comprensione per una linea di demarcazione che tutela il genere umano, lo spazio interiore per non rimanere imbrogliati nelle ingiustizie mascherate di equilibrismi dialettici e azioni prive di identità. Violenza che non fa servizio, una reazione di comodo vestita di furbizia con il passamontagna calato fin giù alla gola, contro chiunque la pensa altrimenti, è una piccola guerra annunciata, per ora circoscritta e scomposta, a cui però bisogna non darla vinta in nome del diritto di ognuno a manifestare il proprio dissenso e spesso malessere. Quando accade qualcosa di profondamente sbagliato per una intera società, nel tentare di dare in fretta soluzioni, si corre il rischio di perdere contatto con la realtà circostante, dove si nasconde il baro dalle carte truccate, cultore delle parole avvolte al filo spinato, dove il contatto relazionale è sostituito dal peggiore presente, ma soprattutto dal futuro derubricato, se non rapinato. Qual è la domanda che interviene quando accade una violenza disorganizzata a puntino, somiglia più a una lacerazione inferta chirurgicamente, una ferita che scava dentro una società composta di persone, uomini, donne e bambini che non hanno voglia di vestire i panni sdruciti della storia che non avverrà oggi, ma accadrà certamente domani. Violenza che non sottrae sofferenza, invasiva e pervasiva nella sua spietatezza, giocata in una sola mossa che logora, annienta le intuizioni, occupa il posto lasciato sguarnito, nei contorcimenti, nelle torsioni, nelle sviste che ci sono state, che ancora si protraggono. Non è disattenzione o innocua furbata, la violenza è sistema sconclusionato, ma ben mimetizzato per generare lo scopo alla bisogna, ai più apparirà un binario sgangherato, invece acquisisce potenza comunicazionale, trasferisce sul terreno della vittima designata lo scardinamento delle libertà e della Costituzione. Il tradimento sta nel dialogo che spesso deraglia, inebetito di promesse e bugie raccontate male, privando del rispetto dovuto le differenze che invece non dovrebbero afferrare mai coltelli nè bastoni. Forse è qualcosa d‟altro a spingere alle spalle, a indurre all‟impatto frontale, si tratta della negazione di un presente concreto, dove la politica che è salvavita, se non fa bene il suo mestiere, sforna vitti-
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me predestinate, dettami infarciti di assoluti destinati a dissolversi alla prima difficoltà. Alla violenza, da qualunque parte provenga, è necessario frapporsi e dire no, affinché questa pratica basata sull‟abbrutimento non risulti il propulsore di quella insonnia ipnotica ( politica ) : l‟indifferenza, con cui è possibile tirarsi indietro dalle responsabilità, dagli impegni di tutti i giorni, dalle fatiche, ma così facendo non avremo consapevolezza dei mostri che abbiamo creato all‟intorno, e come sempre con una scrollata di spalle ne rifiuteremo la pericolosa eredità. Vincenzo Andraous
Salvare una foresta di 500 anni, in cui vivono specie in via d‟estinzione, oppure raderla al suolo per farci una pista per le Olimpiadi di sci? Sembrerebbe scontato. Invece in questo momento gli organizzatori delle prossime Olimpiadi, in Corea del Sud, stanno davvero sradicando alberi secolari per mettere su una pista da sci. Una decisione assurda ma soprattutto irreversibile. L’ennesimo grande evento sportivo che rischia di diventare devastante per l’ambiente. Ma possiamo ancora fermarli. Il Comitato Olimpico Internazionale aveva promesso che queste sarebbero finalmente state le “Olimpiadi verdi”, gestite in modo sostenibile.Invece, di fronte a questo scandalo fanno finta di niente e nessun giornale ne parla: facciamogli rispettare le loro stesse parole con un grande appello internazionale da tutti i Paesi che parteciperanno ai Giochi. L’appello di Avaaz
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UNA DONNA NELLA LETTERATURA
Πηνελόπη ( Penelope) Figlia di Icario e di Policaste , moglie di Ulisse, madre di Telemaco, Poliporte e Arcesilao. Discendeva da parte di padre dal grande eroe Perseo (Icario era suo nipote) ed era cugina di Elena. Il nome si riferisce ad un episodio della sua infanzia: quando nacque fu gettata in mare per ordine del padre e fu salvata da alcune anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la spiaggia più vicina. Dopo questo evento, i genitori la ripresero con loro e le diedero il nome di Penelope (appunto "anatra"). Tuttavia per alcuni il nome è connesso all'inganno della tela (in greco ὴ, tela). Attese per vent'anni il ritorno di Ulisse, partito per la guerra a Troia, crescendo da sola il piccolo Telemaco e evitando di scegliere uno tra i proci, nobili pretendenti alla sua mano, anche grazie al famoso stratagemma della tela: di giorno tesseva il sudario per Laerte, padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito il momento della scelta. L'astuzia di Penelope, tuttavia, durò "solo" per poco, meno di quattro anni a causa di un'ancella traditrice che riferì ai proci l'inganno della regina.
Alla fine, Ulisse tornò, uccise i proci e si ricongiunse con la moglie. Penelope è il simbolo per antonomasia della fedeltà coniugale femminile.Ma mettiamoci nei panni della poveretta: da venti anni aspetta lo splendido sposo, dedica ogni istante della sua vita a quest’attesa, prega con dedizione gli dei affinché glielo riportino a casa sano e salvo ora, trovandosi di fronte ad uno straccione (Ulisse, infatti, per volontà di Atena indossa i pan-
ni di un mendicante), brutto, vecchio oltre che lacero, dovrebbe buttargli le braccia al collo così, seduta stante? Concediamole almeno un momento di riflessione! In questo Penelope si rivela saggia forse più di un uomo e Ulisse stesso ne è colpito, tanto da esortare il figlio a darle tempo, a lasciare che la moglie metta alla prova il marito. La prova non è quella che potete pensare. L’eroe, comunque, è rassegnato: di prove a letto non se ne parla proprio! Nonostante il bagno fattogli da Euri-
clea, l’intervento di Atena che, alquanto sollecita, lo rende più bello per convincere la sposa, la ferrea Penelope non si piega ancora al suo fascino. Un po’ spazientito, Ulisse le dice: Sciagurata, gli dei che abitano le case dell’Olimpo ti forgiarono un cuore duro, più di ogni debole donna: certo un’altra donna non starebbe così irremovibile in cuore, lontana dal marito, che dopo aver molto sofferto,giungesse dopo vent’anni alla sua terra patria. Ma suvvia, nutrice, preparami il letto, perché, anche da solo, mi riposi: costei ha un cuore fatto di ferro. (XXIII, vv. 166-172). Solo quando Penelope comprende che quello è il suo sposo, grazie alla conoscenza del segreto del letto, rintagliato da Ulisse in un albero, che ancora ha le sue radici nella terra, si lascia andare e concede al marito le gioie coniugali. Una figura notevole, dunque, quella di Pelelope, tanto che Persino Agamennone, durante l’incontro con Odisseo nell’Oltretomba, ne riconoscerà i meriti, con parole piene di ammirazione: è molto saggia e nutre pensieri sapienti la figlia di Icario, Penelope. (XI, vv.445-446)
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IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO
„A PUSTEGGIA
napoletani. Anche Giovanni Boccaccio, che tra il 1327 e il 1339 soggiornò a Napoli, notò che vi fossero tali posteggiatori, quel Boccaccio, perspicace e attento, che penetrò nella psicologia del nostro popolo. E qui ebbe il suo bel tuffo al cuore in S.Lorenzo. A proposito di Napoli, il grande scrittore parlava “d‟infiniti stromenti, d‟amorose canzoni”. Nel 1569 i posteggiatori costituirono nella chiesa di S. Nicola alla Carità una corporazione, una specie di sindacato, che garantiva giusti compensi, l‟assistenza malattie e una degna sepoltura. Nel „600 vi erano a Napoli, secondo la conta del Marchese di Crispano, ben 112 taverne. Tra i cantanti più noti vi era Pezzillo „e Junno „o cecato. Nel „700 spiccavano come luoghi di posteggia le “pagliarelle dello Sciummetiello” e la Taverna delle Carcioffole al Ponte della Maddalena dove si leggeva la famosa quartina:“Magnammo, amice mieje e po‟ vevimmo nzino a che nce sta ll‟uoglio a la lucerna;chi sa se all‟autro munno nce vedimmo;chi sa se all‟autro munno nc‟è taverna”. Nel mondo antico e, segnatamente, in quello classico dominava la musica rituale o religiosa. L‟unica alternativa era, dunque, la cosiddetta “musica da tavola”.Diversi musicisti destinati a lasciare traccia della loro arte, ove non riuscivano ad occupare un posto di “maestro di cappella”, si mettevano al servizio di nobili e, per una minima ricompensa, diventavano “musicisti domestici”. Anche Mozart seguì questa trafila, ma nel 1781 egli, dimettendosi da “musicista domestico”, mentre a Salisburgo era al servizio dell‟Arcivescovo Colloredo, automaticamente inaugurava una nuova stagione, quella dei “musicisti professionisti”. All‟epoca, già da tempo a Napoli, come abbiamo prima rilevato, dilagavano i nostri posteggiatori che non erano al servizio di nessuno e che venivano liberamente ricompensati dai fruitori della loro musica. Infatti, i posteggiatori, dopo la loro esibizione, “andavano per la chetta”, cioè giravano fra gli avventori con il famoso “piattino”. L‟offerta non era intesa come un‟elemosina, ma come un riconoscimento, anche se fatto di spiccioli, all‟arte. Meglio la libertà che essere sottoposti allo stipendiuccio di un padrone. I posteggiatori napoletani, inoltre, davano la possibilità a tutti, non solo ai patrizi, di usufruire delle loro prestazioni. Prima di citare i nomi dei più celebri posteggiatori napoletani, mi piace ricordare che essi usavano un gergo tutto proprio, la cosiddetta “parlesia”, incomprensibile anche agli stessi napoletani.
“!La parola posteggia deriva, naturalmente, da “puosto” che è il luogo occupato da chi svolge un‟attività che è rivolta al pubblico. I venditori ambulanti, ad esempio, occupano un posto fisso sulla pubblica via per cui è facile parlare di “ „o puosto d‟ „o verdummaro” o di altri venditori. Oggi non è facile trovare un gruppo di quattro o cinque persone che suonano ed uno di loro canta, così come nella tradizione dei posteggiatori. Oggi, in genere, la posteggia è costituita da una sola persona che suona, di norma, la chitarra o il mandolino e, nel contempo, canta. A volte i posteggiatori sono due. Qual è il luogo preferito dai posteggiatori? Naturalmente, i ristoranti o i caffè.” Ma quali origini ha la posteggia napoletana? Si perde nella notte dei tempi. Si pensi che nel Museo di Taranto si conserva una coppa del VI secolo avanti Cristo che ha una decorazione raffigurante un convito e dei giovani che allietano il banchetto suonando la lira. Così come un‟altra coppa proveniente da Vulci – questa del V secolo avanti Cristo – raffigura accanto ad un giovane che regge un piatto, un ragazzo (o ragazza) che suona il flauto Queste coppe, dunque, appartengono alla civiltà greca.Anche nell‟antica Roma - e questo lo sappiamo bene perché riportato in una moltitudine di testimonianze scritte o in film di ambientazione romana - i patrizi, sdraiati sui triclini, mentre banchettavano, ascoltavano la lira. Ma già ancor prima dei Greci e dei Romani si era soliti ascoltare la musica durante i conviti, così come presso gli Egizi. Un documento scritto che specificatamente si riferisce ai posteggiatori è l‟ “assisa”, o ordinanza, del1221 di Federico II di Svevia contro i suonatori ambulanti che, di notte, esibendosi nelle taverne, disturbavano il sonno dei - 29 -
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IL MUSEO DIOCESANO SALERNITANO LE COLLEZIONI D‟ARTE Dal Medioevo al Rinascimento
Ignoto (1420‒30), Annunciazione, dipinto murale.
L‟affresco illustra l‟evento evangelico relativo all‟Annunciazione con lo Spirito Santo ed il donatore, la cui età ed il cui stato sociale sono definibili con certezza. Del dipinto originale si conserva la parte centrale raffigurante l‟Arcangelo Gabriele che annuncia a Maria, assorta a leggere, la futura nascita di Cristo. Le parole pronunciate dall‟Arcangelo appaiono sulle pagine di un libro; il leggio è sorretto da una torre che simboleggia la castità mariana. Frammenti superstiti rimandano alla “presenza” di Dio evocata dallo Spirito Santo, che è rappresentato dalla colomba irradiata di luce divina. Va condivisa la datazione al terzo decennio del Quattrocento, ed al momento di sintesi di passaggio tra gli influssi senesi, i ricordi provenzali e la forte impronta catalana. Nel successivo dipinto dedicato alla Madonna con Bambino (fig. 14), proveniente dalla chiesa del Monastero di S. Michele e concepito, in origine, con la funzione di anta, le figure della Madonna e del Bambino hanno i volti ravvicinati in una tenera posa che suggella l‟umanità del loro Giovanni da Gaeta Mad. Con Bambino. legame.
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Le scelte compositive dell‟artista denunciano precisi riferimenti di gusto tesi alla realizzazione di un‟icona stilizzata e fantastica. L‟autore utilizza gamme cromatiche fredde ed allunga il busto della Madonna, dagli algidi occhi e dai capelli acconciati in lunghe serpentine, avvolgendo le ginocchia in un manto inciso da profonde pieghe. Il dipinto è attribuito a Giovanni da Gaeta, artista formatosi nel cantiere attivo nella chiesa napoletana di San Giovanni a Carbonara, a stretto contatto con esponenti del tardogotico e che realizza un‟Incoronazione della Vergine nel convento di San Francesco a Maiori1. Di alta qualità le opere che documentano il passaggio dal gusto tardogotico al primo rinascimento, le quali rivelano le relazioni culturali di Salerno con la cultura pittorica adriatica e del Nord. Si distaccano, per forza dell‟immagine e struttura compositiva, l‟Incoronazione della Vergine, dell‟anonimo Maestro dell‟incoronazione di Eboli, e il polittico della Madonna con Bambino fra i Santi Giovanni Battista, Francesco d‟Assisi, Bernardino da Siena e Sebastiano, opera firmata dal salernitano Vincenza de Rogata, databile alla fine del Quattrocento. Paolo Liguori
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Cfr. G. KALBY, Su Giovanni da Gaeta e Cristoforo Sacco, in «Napoli Nobilissima», 7, 1968, pp. 116‒121; G. ALPARONE, Un‟Incoronazione della Vergine scoperta nella chiesa di San Francesco a Minturno, in «Cenacolo serafico», 5, 1970, pp. 1‒3; M.A. PAVONE, La circolazione dell‟iconografia bernardiniana in ambito meridionale nella seconda metà del „400, in Atti del Simposio internazionale Cateriniano‒Bernardiniano (Siena, 17‒20 aprile 1980), a cura di D. Maffei, P. Nardi, Siena 1982, pp. 741‒752, in part. p. 746; G. ALAPARONE, Presenza di Giovanni da Gaeta a Ripacandida, in «Arte cristiana», 80, 1992, pp. 151‒152. Più di recente cfr. L. BUTTÀ, Un‟opera inedita di Giovanni da Gaeta a Maiorca, in «Paragone», 3 Ser., 62, 2005, pp. 40‒46; S. DE MIERI, Per la pittura del Quattrocento in Costiera Sorrentina. Opere di Giovanni da Gaeta e della sua cerchia, in Piano di Sorrento. Una storia di terra e di mare, a cura di C. Pepe, F. Senatore, Roma 2012, pp. 129‒145; S. PETROCCHI, Giovanni da Gaeta nel Lazio, in La pittura del Quattrocento nei feudi Caetani, a cura di A. Cavallaro, S. Petrocchi, Roma 2013, pp. 189‒227.
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O SURDATO „NNAMMURATO E LA CANZONE DEL PIAVE: Due canzoni napoletane ispirate alla Prima Guerra Mondiale. Quest‟anno in Italia, come in tanti altri paesi belligeranti e non belligeranti –si è ricordata la prima guerra mondiale o Grande guerra, nell‟anniversario dei settant‟anni dell‟entrata in guerra del nostro esercito (un anno dopo l‟inizio effettivo della guerra). La prima guerra mondiale fu un conflitto terrificante che lasciò sui vari campi di battaglia circa dieci milioni di soldati e una moltitudine di feriti. Tutte le guerre sono stupide, ripetitive, logoranti e sempre più distruttive. All‟inizio di ogni conflitto si afferma sempre che sarà una guerra-lampo e la storia insegna che di quasi tutti i conflitti si sa l‟inizio ma non si sa mai quando vi sarà la fine. Armi sempre più sofisticate per poter uccidere il maggior numero di nemici e procurare il maggior danno possibile ai civili e alle infrastrutture, ai monumenti e alle città. Gli autori delle canzoni napoletane, sempre attenti a tutti gli avvenimenti storici, di costume, di moda ecc, figuriamoci se si lasciavano sfuggire l‟occasione per regalarci ancora una volta una seconda prestigiosa canzone, che, meritatamente, è considerata una delle canzoni più significative, suggestive, coinvolgenti e appassionate del nutrito repertorio napoletano. Un grande e indiscusso capolavoro, una pietra miliare nel campo della canzone partenopea. E, dopo aver trattato nell‟ultimo numero della rivista della canzone “‟O surdato „nnammurato”, eccoci a parlare di questa seconda canzone “leggendaria” e patriottica ispirata alla Prima Guerra mondiale. Nella notte del 23 Giugno 1918, poche ore dopo la conclusione della battaglia del Piave ( o del solstizio) con la quale l‟esercito italiano si riscattò dalla disastrosa battaglia di Caporetto, avviandosi così alla vittoriosa conclusione del conflitto, l‟autore (della musica e dei versi) E.A.Mario – pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta- scrisse di getto questa eccezionale musica, che, come vedremo, si affermò come marcetta, come canzone, come marcia reale e come inno nazionale. La canzone, com‟era giusto che fosse, si diffuse innanzitutto fra le truppe al fronte e si capì subito che era destinata ad un grande successo. Non solo, la canzone ebbe anche un grande effetto sui militari risollevando così il morale dei nostri combattenti negli ultimi mesi del conflitto. Ancora, il generale Armando Diaz sentì il bisogno di far pervenire all‟autore della canzone un telegramma per fargli
sapere che la sua canzone era servita a dare a ai nostri soldati e ad aiutare lo sforzo bellico "più di un generale". Nella canzone traspare la riscossa dalla sconfitta di Caporetto e la soddisfazione della vittoria ormai vicina. La canzone, inoltre, svolse anche un altro ruolo: far dimenticare, subito dopo la guerra, gli orrori, i lutti e le disgrazie ormai alle spalle e l‟Italia, come popolo vincitore, con questa canzone volle idealizzare e ingigantire lo sforzo straordinario delle nostre truppe contro il temibile nemico. Ma chi era l‟autore-maestro E.A.Mario o Ermete Giovanni Gaeta? Quando scrisse “La leggenda del Piave aveva già scritto “Santa Lucia luntana” sull‟emigrazione, altra celebre canzone. Era di origini molto modeste, ma aveva la passione per la cultura (in tutti i suoi aspetti) e si formò da autodidatta. L‟incontro con la musica (che aveva nel sangue e nel cuore) avvenne in modo assolutamente casuale: si narra che un mandolinista dimenticò il suo strumento nel locale dove il padre esercitava l‟attività di barbiere; così cominciò a strimpellare e riuscì ad imparare a mettere in musica tutto quello che la sua innata ispirazione gli suggeriva. E. A. Mario, proveniente dal Salernitano, era nato il 5 Maggio 1884 a Napoli ove morì il 24 Giugno 1961. Fu un accanito lettore e, per questa sua passione si formò una grande cultura. Scrisse sia opere in dialetto napoletano che in lingua italiana. Si iscrisse all‟Istituto nautico, ma non completò gli studi. Successivamente divenne impiegato postale. Il nostro maestro aveva ben altre aspirazioni. Si cimentò, con successo, anche nel giornalismo. Scrisse molte opere, poesie e circa 2000 canzoni (in genere parole e musica). Alle Poste non fu un impiegato modello e per questo fu licenziato. Ma quando i suoi superiori si accorsero che l‟impiegato Giovanni Gaeta era il grande E.A. Mario si affrettarono a richiamarlo in servizio. Ed ebbe grandi riconoscimenti. Dopo la fine della seconda guerra mondiale “La canzone del Piave” fu adottata provvisoriamente come inno nazionale al posto della “Marcia reale”. Nel 2008 Umberto Bossi ha richiesto nuovamente di far diventare “La canzone del Piave” inno nazionale dell‟Italia.Il testo di questa canzone è un‟esaltazione eccezionale e colta dei fatti di guerra cui fa riferimento. Il fiume Piave, nel racconto, partecipa all‟azione bellica, facendo un tifo sfegatato per l‟esercito italiano, passando da un atteggiamento prudente, al passaggio dei primi fanti, a un atteggiamento coinvolgente con l‟arma delle sue… onde tripudianti.
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Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput LII-LIII
DE VIPPA ET DIAETA Bis duo vippa facit, mundat dentes dat aculum visum : quod minus est, implet : minuit, Quod abundat. Omnibus assuetam jubeo servare dietam ; approbo sic esse, ni sit mutare necesse : est Y procas testis, quoniam sequitur mala pestis. Fortior est meta Medicinae certa diaeta. Quam si non curas fatue regis et male curas.
Dalla zuppa hai quattro effetti:gli occhi aguzzi ed i denti netti. Al mancante essa provvede, leva tosto quel ch‟eccede. Or la dieta serba intatto, cui ti sei già assuefatto: segui sempre il primo e il dopo. L‟altra via gran male appresta. Anche Ippocrate lo attesta. Se nol fai, tu ti curi malamente e fai opra da demente.
LEVIORA
LA DEA GIUSTIZIA Diva fulgente, d‟ogni colpa incolume, maestosa, altera ed incontaminata, passa nel mondo la giustizia umana… Ed è una gran puttana!… Cinta d‟allori, nel suo tempio assisa, dove per tutti si proclama uguale,… per la bontà dei sacerdoti suoi, la freghi come vuoi!… Talor la spada col suo pugno abbassa, le bilance depone impunemente tra i ceppi di mille leggi oppressa, decide con la ...essa… Ingenuo ahimè chi per le vie legali spera il trionfo delle sue ragioni! Fidente aspetterà, tranquillo e muto, e resterà fottuto. Menzogna è delle leggi la tutela, follia la fede alle virtù d‟Astrea! Della giustizia il sacro ministerio, può dirsi, certamente, un futtisterio… Io pur non cesserò, con la mia toga, di millantare giudici, processi, le leggi austere, le sentenze dotte, e il razzo che li fotte… Ma se talun il mio diritto offende, farò giustizia con mie proprie mani e l‟offensor, o delinquente o pazzo, mi “c....” il razzo!
Gennaro Marciano ( Avvocato) - 32 -
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LA CANZONE DEL PIAVE - continua da pagina 31 Il Piave mormora e ordina:” Non passa lo straniero” E poi il rigonfiar delle sue onde, quasi a farci comprendere la partecipazione diretta all‟azione. Ogni commento è lasciato al lettore. al quale raccomando sempre di connettersi a You Tube e di ascoltare la grande e inimitabile leggenda del Piave interpretata da più cantanti. Buon ascolto! LA LEGGENDA DEL PIAVE – Il testo
Indietreggiò il nemico Fino a Trieste, fino a Trento… E la vittoria sciolse le ali al vento! Fu sacro il patto antico Tra le schiere, furon visti Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti… Infranse, alfin, l‟italico valore Le forche e l‟armi dell‟impiccatore. Sicure l‟Alpi…Libere le sponde E tacque il Piave: si placaron l‟onde… Sul patrio suol, vinti i torvi Imperi, la pace non trovò né oppressi, né stranieri Vincenzo Soriente
Il Piave mormorava, calmo e placido, al passaggio dei primi fanti, il ventiquattro maggio; l‟esercito marciava per raggiungere la frontiera per far contro il nemico una barriera...
DALLA REDAZIONE DI BERGAMO
Muti passaron quella notte i fanti: tacere bisognava e andare avanti!
BergamoScienza, XIII Edizione, 2-18 ottobre 2015
S‟udiva intanto dalle amate sponde, sommesso e lieve il tripudiar dell‟onde. Era un presagio dolce e lusinghiero, Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”
La Rassegna BergamoScienza, XIII Edizione, torna in Città dal 2 al 18 ottobre con un ricco programma di divulgazione scientifica per giovani e adulti, studenti e bambini, con un vastissimo repertorio di convegni e laboratori, consultabili sul sito di BergamoScienza 2015. 17 giorni di mostre, conferenze, attività laboratoriali, spettacoli ed incontri con Premi Nobel e scienziati di fama mondiale, assolutamente gratuiti (obbligatoria la prenotazione on line), per un totale di 180 eventi, sui temi dell‟ambiente e della salute, spaziando dalle neuroscienze alla genetica, dalla progettazione e design alla meccanica quantistica, alla fisica e alla matematica, dall‟arte alla tecnologia, alla linguistica, alla biodiversità, all‟immunologia. Fra i relatori d‟eccezione, si prevede quest‟anno la partecipazione di Peter Doherty, Premio Nobel per la Medicina nel 1996, per aver scoperto la natura delle difese immunitarie cellulari. Lo scorso anno la Rassegna ha superato le 150.000 presenze e anche per quest‟anno si prevedono numeri altissimi di visitatori. Molte le scuole coinvolte della Città e della Provincia, con la collaborazione di docenti e studenti come organizzatori e guide di esperienze laboratoriali, aperte a visitatori di tutte le età. Un invito caloroso a partecipare è rivolto a tutti i lettori, che potranno abbinare le conferenze/laboratori di BergamoScienza alla visita ad Expò, che chiuderà i battenti a fine ottobre. Maria Imparato
Ma in una notte trista Si parlò di fosco evento, e il Piave udiva l‟ira e lo sgomento… Ahi, quanta gente ha vista Venir giù, lasciare il tetto, poiché il nemico irruppe a Caporetto! Profughi ovunque! Dai lontani monti Venivan a gremir tutti i suoi ponti! S‟udiva allor, dalle violate sponde Sommesso e triste il mormorio de l‟onde: come un singhiozzo, in quell‟autunno nero. Il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!” E ritornò il nemico Per l‟orgoglio e per la fame Volea sfogare tutte le sue brame… Vedeva il piano aprico Di lassù: voleva ancora Sfamarsi e tripudiar come allora… “No!”, disse il Piave.”No!” dissero i fanti “mai più il nemico faccia un passo avanti”. Si vide il Piave rigonfiar le sponde E come i fanti combatteron l‟onde… Rosso di sangue del nemico altero, il Piave comandò: “Indietro và, straniero!”
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DALLA REDAZIONE DI SARNO
SULLA VALLE DEL SARNO (II) L’inquinamento ambientale è causato dallo scarico di sostanze tossiche illegali, in particolare si registrano alte concentrazioni di policlorobifenili. La fascia più a rischio: donne incinte e bambini. Su 284 casi di malformazioni esaminati, la più alta prevalenza (53,8%) è stata registrata tra le donne che vivono in provincia di Salerno. Una percentuale inferiore è stata riscontrata per gli abitanti della provincia di Napoli (24,8%) e di Avellino (12.4%). marzo 2012, è stato approvato un Protocollo di Intesa tra la Regione Campania, ARCADIS (Agenzia Regionale Campana Difesa Suolo) e l’Autorità di Bacino Regionale del fiume Sarno, per l’avvio delle procedure attuative del “Grande Progetto del fiume Sarno”. Il programma prevede: La riqualificazione idraulica e ambientale del basso corso del fiume Sarno attraverso la realizzazione della seconda foce, un sistema di vasche di laminazione e aree di espansione controllata per il trattenimento a monte dei volumi di piena, un’attività di monitoraggio e di Protezione Civile, quindi con il
Una relazione ARPAC del 2012 sul monitoraggio delle acque superficiali del fiume Sarno, presentata lo scorso maggio alla XII Commissione del Senato, conferma una situazione non particolarmente rassicurante: alte concentra zioni di cromo (84.4 mg/Kg s.s.) per la presenza di concerie e le intense attività agricole sono responsabili delle più alte concentrazioni di rame presenti nei fertilizzanti e nei pesticidi. prevalente scopo di mitigazione del rischio Nei sedimenti si ritrovano elevati quantitativi idrogeologico e non un mero risanamento di metalli quali cadmio (0.36 mg/Kg s.s.), nichel ambientale del fiume. (16.6 mg/Kg s.s.), mercurio (0.28 mg/Kg s.s.) e ERRICO ELIANI piombo (58.2 mg/Kg s.s.). La bonifica del fiume Sarno è partita nel 1973, con il progetto speciale di risanamento dell’intero Golfo di Napoli. Ma, dopo più di quaranta Ἦθος, ἀνθρώπῳ δαίμων. anni, la situazione non è cambiata. Attraverso il ēthos anthrōpō daimōn Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), la Commissione europea ha approvato un investiIl carattere è il destino dell'uomo (Eraclito) mento di oltre 150 milioni di euro per il ripriFaber est quisque fortunae suae (Sallustio) stino del bacino del torrente. E, con la Delibera della Giunta Regionale n. 119 del 20 - 34 -
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