Αὐλός

Page 1

Franco Pastore

Musica e canti nella Grecia antica

NTROPOS IN THE WORLD - SAGGI 1


2


Αὐλός Musica e canti nella Grecia antica di Franco Pastore

© 2017 Antropos in the world Salerno antroposintheworld@fastwebnet.it I edizione aprile 2017 Stampato presso cartolibreria CITROANTO (SA) Diffusione on line su Google play e Iussu.com ISBN GGKEY:ZWAHC78XB99 3


4


Franco Pastore, scrittore salernitano, autore di numerose pubblicazioni di teatro,poesia, prosa e saggistica. Membro onorario dell’Accademia delle Scienze di Roma, dell’Academia Gentium Pro Pace e dell’Accademia Tommaso Campanella, ha vinto numerosi premi in Italia e all’estero. Docente di lettere in pensione, è giornalista iscritto alla G.n. s. Press e Direttore responsabile della rivista on line “Antropos in the World”.

5


6


PREMESSA

Il teatro, per i Greci, non era come una semplice occasione di divertimento e di evasione dal quotidiano, ma celebrazione delle antiche storie del mito, patrimonio comune della cittadinanza, che lo spettatore greco conosceva, insieme a tutte le informazioni specifiche sullo spettacolo dedotte dal προαγȯν. L'evento teatrale aveva valenza di un'attività morale e religiosa, assimilabile ad un vero e proprio rito. Esso era, infatti, un rituale di grande rilevanza religiosa e sociale, considerato uno strumento di educazione nell'interesse della comunità, tant'è che da Pericle in poi è la tesoreria dello stato a rimborsare il prezzo del biglietto (circa due oboli al giorno). Agli spettacoli la popolazione partecipava in massa e probabilmente già nel V secolo a.C. erano ammessi anche donne, bambini e schiavi. Proprio per questo suo carattere collettivo, il teatro assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita politica e la cultura di Atene e della Grecia tutta. Aristotele a questo proposito, nella sua Poetica, formula il concetto di "catarsi" (kàtharsis, purificazione), secondo cui la tragedia pone di fronte agli uomini gli impulsi passionali e irrazionali, che si trovano, più o meno inconsciamente, nell'animo umano. In questo saggio, si pone l’accento sul coro e sulla poesia melodica, che tanto ebbe bisogno del supporto della musico, realizzata con strumenti come il flauto a due canne e la lira, che portarono alla concretizzazione del sistema diatonico. 7


I Capitolo Musica e mitologia La cultura ha rappresentato per quella occidentale un modello di classicità, per l'architettura, la scultura, la filosofia e la letteratura. Da essa sono pervenuti reperti e testi di incommensurabile valore storico. Per la musica, della quale sono rimasti solo pochi frammenti, spesso di difficile interpretazione, l’influsso è stato minore. L'elemento di continuità tra la civiltà musicale ellenica e quella dell'Occidente europeo è costituito principalmente dal sistema teorico greco, assorbito dai romani e da essi trasmesso al Medioevo cristiano. Il sistema diatonico, con le scale a sette suoni e gli intervalli di tono e di semitono, tuttora alla base della teoria del linguaggio musicale occidentale, è l'erede e l'epigono del sistema musicale greco. Altri aspetti comuni alla musica greca e ai canti della liturgia cristiana dei primi secoli dopo Cristo, furono il carattere rigorosamente monodico della musica e la sua stretta unione con le parole del testo. È possibile distinguere, in linea di massima, tre grandi periodi all'interno della storia della musica greca: 1. Periodo arcaico: dalle origini al VI secolo a.C. 2. Periodo classico: dal VI sec. al IV secolo a.C. Fu il periodo delle grandi città di Atene, Sparta e della grande fioritura dell'arte e del pensiero filosofico greco 3. Periodo ellenistico-romano: dal IV sec.fino al 146 a. C. (conquista romana) Periodo arcaico In questo periodo domina, nella Grecia Antica, una concezione della musica di tipo magico-incantatorio. Ricordiamo che, per gli antichi Greci, la magia era un estremo tentativo di con8


trollare le forze naturali che si manifestavano con violenza, all'uomo primitivo. Fu in questo periodo che nacquero i primi racconti mitologici in riferimento al potere psichico della musica. La forte presenza della componente sonora nella Grecia arcaica viene testimoniata dal fatto che quasi tutti i miti greci posseggono una dimensione sonora: per esempio, i miti relativi alla nascita degli strumenti, come quello della ninfa Siringa, innamorata di Pan, la quale, per sfuggire a quest'ultimo, venne trasformata in canna. Pan, per conservare questo legame con la ninfa, tagliò queste canne facendone il suddetto strumento musicale. Il tipico strumento associato alla civiltà greca fu l'aulos, uno strumento a fiato ad ancia, sacro al culto di Diòniso, dio del vino, dell'ebbrezza e dell'incantamento. Una striscia di cuoio girava intorno al capo dell'esecutore, aiutandolo a fermare, tra le labbra, le imboccature dell'aulos doppio, il diaulos, più diffuso dell'aulos semplice. L’aulòs era formato da un tubo di canna, di legno, oppure d'osso o avorio, con imboccatura a bulbo e relativa ancia. Spesso lo si vede raffigurato nella forma a due tubi divergenti, in qual caso viene detto διαυλός diaulòs, cioè doppio aulòs. Talora il termine greco aulòs viene erroneamente tradotto in italiano con flauto, nome generico degli aerofoni in cui il suono viene prodotto quando l'aria colpisce uno spigolo. In realtà l'aulòs è uno strumento ad ancia doppia, e appartiene quindi alla famiglia dell'oboe. Si ritiene fosse suonato con la tecnica della respirazione circo.lare. Nell'epoca classica, sui tubi venivano praticati sino a cinque fori; in età ellenistico-romana un numero maggiore. Il bocchino veniva inserito nei tubi. L'aulos poteva avere un'ancia semplice o doppia che, in mancanza del bocchino, poteva essere introdotta direttamente nel tubo.

9


10


11


Per suonare l'aulòs l'esecutore, αὐλητής (l’aulèta) indossava una fascia di cuoio, la φορβειά (phorbeià), che favoriva la tenuta d'aria. L'aulos, utilizzato nella rappresentazione delle tragedie e all'interno dei costumi e dei riti simposiaci, comastici e funerari della Grecia antica e dell'Etruria, aveva la caratteristica di creare un forte impatto emotivo: secondo Aristotele non deve essere usato in situazioni che hanno scopo educativo ma purificato-rio e, proprio per la capacità di suscitare forti emozioni, era spesso collegato ai culti di Dioniso. Era utilizzato anche in guerra: sulle triremi, per ritmare la cadenza dei remi, era previsto un apposito addetto, il τριηραυλής (triēraulḕs), che realizzava lo scopo servendosi del suono incalzante del suo strumento. Pindaro narra che la dea, dopo aver creato lo strumento, lo disprezzò e lo gettò via perché mentre suonava le si gonfiavano le guance, deformando la sua bellezza. Lo strumento venne poi raccolto dal satiro Marsia, il quale lo utilizzò per sfidare Apollo in una gara di abilità, che tuttavia perse finendo scorticato. Un altro strumento dell'antica Grecia fu la cetra, utilizzato, generalmente, per accompagnare i racconti delle leggende degli dei e degli eroi. La cetra, chiamata anche lira, era ritenuta sacra al culto di Apollo, dio della bellezza simboleggiava una diversa idea della musica, molto più razionale della musica associata al dio Diòniso. La lira consisteva in un cassa di risonanza dalle cui estremità salivano due bracci collegati ad un giogo. Tra la cassa e il giogo erano tese le corde: dapprima 4, poi 7 ed anche in numero maggiore. La lira veniva suonata pizzicando le corde con un plettro d'avorio e ve erano di quattro varietà: la forminx degli aedi, la pectis lidia, una piccola arpa, e la grande magadis, una grande arpa. L'επιγονιον era una specie di arpa con quaranta corde, utilizzata dagli antichi Greci. Essa è stata ricreata grazie alla collaborazione di decine di studiosi che lavorano al progetto europeo 12


Dante, che si occupa di creare reti informatiche per ricercatori e scienziati. Il gruppo non ha ricostruito lo strumento, ma il suo suono, utilizzando le antiche fonti storiche che descrivono lo strumento: testi lasciati dallo scrittore Ateneo, una descrizione di Vincenzo Galilei, liutaio e musicista del XVI secolo, padre di Galileo, immagini ritrovate su antichi vasi, che hanno restituito la forma dello strumento, la cassa armonica e l'attaccatura delle corde. Vi è un mito che mostra la superiorità che conquistò,per i greci, la poesia accompagnata dalla cetra. Si tratta del mito di Atena, dea della sapienza, la quale gettò via l'aulos perché la costrin-geva a contorcere il viso per suonare, scegliendo la cetra. Vi è, quindi, quest'idea della superiorità della musica razionale rispet-to a quella irrazionale. Vengono riconosciute entrambe le di-mensioni e associate, una ad Apollo*,e l'altra a Dioniso**.

______________ * Apollo,,il Dio della poesia è il capo delle Muse, viene anche descritto come un provetto arciere in grado di infliggere, con la sua arma, terribili pestilenze ai popoli che lo contrariavano. In quanto protettore della città e del tempio di Delfi, Apollo è anche venerato come Dio oracolare, capace di svelare, tramite la sacerdotessa detta Pizia, il futuro agli esseri umani. Anche per questo, era adorato nell'antichità come uno degli Dèi più importanti del Dodekatheon.

**Secondo Detienne, Dioniso è il dio straniero per eccellenza, poiché proveniva dalla Tracia. Le ricerche più recenti, in effetti, hanno messo in rilievo l'esistenza di elementi comuni nel culto greco di Dioniso e nei culti della Tracia, con possibilità di rapporti reciproci, uniti forse a influssi dall'Asia Minore (già autori antichi, come Euripide, sostenevano l'origine frigia di Dioniso, che presenta forti affinità col dio Sabazio). Questa tesi ben si accorda al fatto che diversi elementi attestano l'antichità del culto di Dioniso in terra greca: in particolare la presenza del nome sulle tavolette micenee in lineare B, il carattere orgiastico dei culti della vegetazione della religione minoica, nonché la credenza, diffusa a Creta, che il toro rappresenti una forma di epifania divina.

13


Apollo,,il Dio della poesia è il capo delle Muse

14


Altri strumenti erano la siringa, o flauto di Pan, formata da 7 canne disposte una vicina all'altra e di altezza digradante, la salpinx, strumento simile alla tromba. Tra gli strumenti a percussione si ricordano i tamburi, i cimbali, gli attuali piatti, i sistri e i crotali. La notazione L'esistenza della notazione risale al IV secolo a.C. La scrittura musicale greca serviva solo ai musicisti professionisti per loro uso privato. Tra i pochi reperti sopravvissuti, abbiamo:  Dal primo stasimo della tragedia Oreste di Euripide,un frammento scritto su papiro; frammento facente parte della collezione dell'arciduca Rénier. Notazione vocale.  Sempre dall'Oreste di Euripide: frammento di un coro (480406 a.C.), Papyrus Wien G 2315. Notazione vocale.  Frammenti strumentali, sempre dall'Oreste di Euripide, nel Papyrus Berlin 6870. Notazione strumentale.  Due inni delfici, in onore di Apollo, uno in notazione vo-cale, l'altro in notazione strumentale, entrambi incisi su pie-tra; scoperti nelle rovine del tesoro degli ateniesi a Del-fi nel maggio del 1893 (Delphi inv. NR. 517,526,494,499)  Pianta di Tecmessa, Papyrus Berlin 6870. Notazione vocale  Tre inni di Mesomede di Creta, dedicati al Sole, a Nemesi e alla musa Calliope, pubblicati da Vincenzo Galilei alla fine del Cinquecento  Aenaoi Nefelai, da Aristofane. Museo di Monaco di Baviera (Aristophane 275/277)  Epitaffio di Sicilo, Seikilos figlio di Euterpe. Inciso su una colonnetta in pietra, scoperta in Asia minore e pubblicata dal Ramsay nel 1883. I segni musicali furono scoperti da Wessely nel 1881.Attualmente nel museo di Copenaghen ghen (Inv NR. 14897). Notazione vocale 15


 Prima ode Pitica, da Pindaro. Fonte: Biblioteca del monastero di S. Salvatore, Messina  Papyrus oxyrhynchus 2436 - Frammento di una monodia estratta forse dal Meleagos di Euripide  Homero Hymnus (Omero?) Fonte: Benedetto Marcello,  Estro poetico-harmonico (Venezia, 1724). Parte di canto greco del Modo Hippolidio sopra un inno d'Omero a Cerere.  Poema (Mor 1,11 f Migne 37,523) di Grigorios Nazianzenos - Fonte: Athanasius Kircher, Musurgia universalis (1650),  Schema Musicae Antiquae. Biblioteca del monastero di S. Salvatore, Messina  Papyrus Oslo A/B: Papiro di Oslo 1413, Testo tragico. Pubblicato da Amundsen e Winnington-Ingram in Symbolae Osloensen (1955). Notazione vocale

16


17


II Capitolo

I primi musici

La fine del periodo arcaico visse il primo musico di cui abbiamo notizie storiche, Terpandro, a cui fu riconosciuto il merito di aver raccolto, classificato e denominato le melodie in base alla loro origine geografica, nonché di aver organizzato le melodie in funzione dei testi poetici. Queste melodie vennero chiamate nomoi , perché il musico doveva utilizzarle in funzione del tipo di testo che metteva in musica. In questa fase fu decisiva, nell'ambito dell'esecuzione musicale del testo poetico, la funzione della memoria, considerata la madre delle muse, nonché madre delle arti in quanto aveva un ruolo fondamentale per la sopravvivenza e la trasmissione della cultura. A. Nella Grecia antica Nella Grecia antica, la musica era assolutamente inseparabile dalla poesia, soprattutto nel periodo più antico della sua storia. Sia nella poesia greca che in quella latina, la metrica era governata dalla successione, secondo schemi prefissati, di sillabe lunghe e brevi. Da questi schemi derivavano le alternanze fra tempi forti e deboli, cioè il ritmo. La ritmica greca s’estendeva all'area delle arti temporali, quindi la musica adottava gli stessi principi della poesia. Elemento fondamentale ed indivisibile della metrica greca, era il tempo primo, misura della sillaba breve. La breve, corrispondeva alla durata di una croma, mentre la lunga corrispondeva alla durata di due sillabe brevi, ossia di una semiminima. Il ritmo si produceva solo quando coesistevano due o più note o sillabe, cioè più brevi e lunghe, e si ordinavano in schemi ritmici chiamati piedi. Nella poesia, i piedi si raggruppavano in combinazioni varie a formare i versi, e i versi a formare le strofe. 18


B. Alla fine del periodo arcaico Verso la fine del periodo arcaico inizia a svilupparsi una lirica monodica, affidata ad una voce sola ed eseguita in contesti conviviali. In alcune città come Sparta, invece, dove si sviluppò un forte senso civile, dove si dava maggior importanza alla dimensione collettiva della vita sociale, nacque una produzione di musica corale, affidata ad eventi celebrativi pubblici, sia religiosi che laici. Forme della lirica corale furono: il peana in onore d’Apollo, il ditirambo* in onore di Dioniso, l'imeneo, canto di nozze, il threnos, canto funebre, il partenio, canto di fanciulle, gli inni in onore degli dei e degli uomini e gli epinici in onore dei vincitori dei giochi panellenici, ma di ciò ne parleremo più avanti. Nella lirica corale si realizza pienamente l'unione delle tre arti della Mousikè, perché alla poesia si aggiunge la danza, mentre il coro si muoveva coreograficamente durante l'esecuzione dei canti corali. Il ritmo di questi canti era lo stesso della poesia. Il coro greco cantava all'unisono, utilizzando il procedimento dell'eterofonia: veniva cantata un'unica melodia, ma ad altezze diverse. Massimi poeti e musicisti dei canti corali furono Stesicoro e Pindaro. __________________

• διθύραμβος è di origine sconosciuta, ma probabilmente ma pelasgica; compare per la

prima volta in Archiloco, che lo indica come quel "canto a Dioniso" che viene eseguito sotto l'ispirazione del vino. Inizialmente era intonato da un gruppo di persone dirette da un corifeo, o exarchōn. Si trattava di una composizione poetica corale, dove poesia, musica e danza erano fuse insieme. La danza collettiva, drammatica e rapida, era eseguita in circolo da danzatori incoronati da ghirlande; l'exarchōn che rappresentava lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnavano con lamentazioni e canti di giubilo.Il Ditirambo accompagnava anche i cortei (pompè) di cittadini mascherati che, in stato d'ebbrezza, inneggiavano a Dioniso, accompagnati dal suono di flauti e tamburi; un suono cupo, poco melodico, ma di profonda potenza, furente, che accompagnava alla perfezione il corteo barcollante di uomini mascherati. Alcune feste a Dioniso infatti presupponevano il totale mascheramento, con pelli di animali e grandi falli; le Menadi, seguaci dirette del Dio, portavano il Tirso, un bastone con in cima o un ricciolo di vite o una pesante pigna.Secondo Erodoto, fu trasformato in ge-nere letterario a Corinto verso la fine del VII secolo a.C. da Arione di Metimna (c. 625 - c. 585 a.C.), che lo dispose secondo un preciso schema, facendolo intonare da un coro. Tra VI e V secolo a.C. Simonide, Pindaro e Bacchilide divennero i principali poeti ditirambici. Laso di Ermione introdusse il ditirambo ad Atene,

19


C. Nel periodo classico Nel periodo classico, la prima grande novità fu la nascita della tragedia. Della tragedia abbiamo notizie dall'opera di Aristotele, nella quale si afferma che la tragedia nasce, nel Peloponneso, dal ditirambo. La disposizione circolare del coro greco e l'organizzazione dei testi dei ditirambi, anche dal punto di vista metrico, fu introdotta da Arione di Metimna. Successivamente, dal coro si distaccò un corifeo, o capo del coro, che raccontava le gesta sia del dio Dioniso che di altri dei. Il racconto del corifeo si alternava agli interventi del coro. Il salto verso la rappresentazione, avvenne con il passaggio dalla struttura lirica, quando il corifeo raccontava una storia all'uditorio, a quella drammatica, quando il corifeo diventa attore, impersonificando Dioniso o un altro dio. Secondo la tradizione, questa trasformazione fu operata da Tespi. Dal punto di vista musicale, nel periodo classico, il nomos viene sostituito gradualmente da scale. La differenza tra nomos e modo sta nel fatto che il nomos è una melodia prestabilita in una tonalità, mentre il modo consente di inventare nuove melodie pur intonando la stessa tonalità. I principali modi, dorico, frigio e lidio, vengono chiamati con i nomi dei nomoi corrispondenti, proprio perché le scale di quei nomoi sono le stesse dei modi. Com'è avvenuto di norma nella storia della musica, le innovazioni tecniche, cioè i sistemi musicali, precedono la loro teorizzazione. I Greci utilizzavano nella pratica i sistemi musicali. Un esempio significativo della musica greca è rappresentato dall'Epitaffio di Sicilio. Si tratta dell'unico brano completo arrivato fino a noi ed è costituito di una iscrizione funebre incisa su un monolito (stele) ritrovato a Tralles, cittadina oggi appartenente alla Turchia. 20


Il testo, cantato, risale al I o al II secolo dopo Cristo e vuole ricordare una persona defunta, Sicilo appunto, invitando a gioire senza afflizioni per le gioie della vita:

΄Ο σoν ζἑς, φαι voυ, μη δέν ὸλ ως sὺ λυ πoϋ· πρὸs ὄλιγον ἑ στὶτo ζῆν, τὸ τἑ λoς ὸ χρὸνoϛ άπai Τεἱ

Traduzione del testo: «Finché vivi, splendi, non affliggerti per nulla: la vita è breve e il Tempo esige il suo tributo. » Per ottenere una perfetta resa acustica, i teatri della Grecia e della Magna Grecia, venivano costruiti sulle colline, e, per l'amplificazione del suono, a forma di conchiglia. Esempi notevoli di teatri greci sono il Teatro di Dioniso, ad Atene, il Teatro greco di Siracusa, il Teatro di Epidauro. Il primo studioso di musica da un punto di vista teorico e tecnico, nonché il primo musicologo dell'antichità viene considerato Aristosseno di Taranto. I suoi studi individuarono alla base del sistema musicale greco, il tetracordo, una successione di quattro suoni discendenti compresi nell'ambito di un intervallo di quarta giusta. I suoi estremi erano fissi, quelli interni erano mobili. L'ampiezza degli intervalli di un tetracordo caratterizzava i 3 generi della musica greca: diatonico, cromatico, enarmonico. Il tetracordo di genere diatonico era costituito da 2 intervalli di tono ed uno di semitono. Il tetracordo di genere cromatico era costituito da un intervallo di terza minore e 2 intervalli di semitono. Il tetracordo di genere enarmonico era costituito da un intervallo di terza maggiore e 2 micro-intervalli di un quarto di tono. Nei tetracordi di genere diatonico la collocazione dell'unico semitono, distingueva i tre modi: dorico, frigio e lidio. Il tetracordo dorico aveva il semitono al grave ed era di origine greca. Il tetracordo frigio aveva il semitono al centro ed era di origine orientale, come il tetracordo lidio in cui il semitono stava all'acuto. I tetracordi erano, di solito, accoppiati a due a due; po21


tevano essere disgiunti o congiunti. L'unione di due tetracordi formava una harmonia. Lo Diazéusi era chiamato il punto di distacco fra due tetracordi disgiunti; il sinafè, il punto in cui si univano due tetracordi congiunti. Se nelle harmonìai si abbassava di un'ottava il tetracordo superiore, si ottenevano gli ipomodi (ipodorico, ipofrigio,ipolidio),congiunti.Se ad una harmonia disgiunta si aggiungeva un tetracordo congiunto all'acuto, un tetracordo congiunto al grave e sotto una nota (προσλαµ− βαν∫µενοσ), si otteneva il sistema sistema perfetto (τελειον), che abbracciava la estensione di due ottave. Il τελειον fu elaborato nel IV secolo a.C. Il primo grande mutamento, nell'epoca classica, è il passaggio dai nomoi* ai modi corrispondenti. Già in Sofocle i nomoi sono scomparsi.Con Euripide vi è la comparsa, accanto al genere diatonico, di due nuovi generi: cromatico ed enarmonico.In realtà quest'innovazione si deve a Timoteo di Mileto, protagonista della rivoluzione musicale del V secolo, accompagnata dalla costruzione della lira con non più di sette o undici corde, proprio per consentire l'uso delle alterazioni. Questi generi sono di derivazione orientale. L'introduzione delle alterazioni** apporta una sfumatura, una carica espressiva maggiore rispetto al genere diatonico. Questa è la ragione per cui Euripide utilizzò i generi enarmonico e cromatico. La sua tragedia aveva un'accentuazione espressiva delle passioni, esprimibile solo con i generi cromatico ed enarmonico. Altre novità nelle tragedie di Euripide. 22


I filosofi e gli intellettuali del tempo, dinanzi alla rivoluzione del V secolo, si divisero, come fu desumibile dalla riflessioni di Platone e Aristotele, entrambi filosofi del periodo classico. ______________

* I nomoi (νοµοι) nell'antica Grecia, erano delle melodie prestabilite per occasioni o affetti, base di un insegnamento musicale e collegati alla teoria dell'ethos. Temi melodici costruiti secondo un modo corrispondente ad un ethos o ad una situazione emo-tiva. La nascita dei nomoi, infatti, è legata alla nascita di un'educazione musicale e di un ideale pedagogico che assegna alla musica una funzione etica. Secondo la leggenda furono inventati da Terpandro nel VII sec. a.C. - Secondo Aristotele sono detti così perché prima della scrittura si cantavano le leggi (νόμος in greco significa "legge"). Per Platone i nomoi dovevano rappresentare, nel periodo antico, la tradizione più antica e più austera, cioè la musica concepita secondo una legge rigida, non ancora corrotta dai nuovi usi e costumi. ** Nella notazione musicale, un'alterazione o accidente è un simbolo che, anteposto ad una nota sul pentagramma o scritto nell'armatura di chiave, ne modifica l'altezza.

23


III Capitolo La dottrina dell'ethos e l'educazione A Pitagora si attribuisce l'affermazione della relazione tra la musica e l'animo umano, concetto ripreso e sviluppato da tutta la filosofia greca dei secoli seguenti e che assunse i caratteri della dottrina dell'ethos. Tale dottrina indicò le relazioni esistenti tra alcuni aspetti del linguaggio musicale e determinati stati d'animo. Le differenti potenzialità emotive della musica riguardavano principalmente le armonie, cioè le melodie, ma potevano anche riferirsi ai ritmi e agli strumenti. Ogni tipo di musica riproduce un certo stato d'animo; questa imitazione avviene in vari modi: per esempio, il modo dorico veniva considerato capace di produrre un ethos positivo e pacato, mentre il modo frigio era legato ad un ethos soggettivo e passionale. Ogni modo doveva produrre un ben determinato effetto sull'animo, positivo o negativo che fosse; inoltre, ogni modo, non imiterebbe soltanto uno stato d'animo, ma anche i costumi del paese da cui trae origine, e persino il tipo di regime politico, democratico, oligarchico o tirannico.L'insieme delle dottrine, anche diverse, presenti nella scuola pitagorica trova una sistemazione ed una certa coerenza nella filosofia di Platone. Platone raccoglie una precisa eredità di pensiero che consiste nel ritenere che il cosmo sia organizzato da rapporti numerici gli stessi dell'armonia musicale, la cosiddetta armonia delle sfere (armonia pitagorica). Nel dialogo di Platone, La Repubblica, la posizione del filosofo, nei confronti della musica, è estremamente complessa: da un lato c'è una condanna filosofica dell'arte in generale, perché tutta l'arte è imitazione della realtà e la realtà, a sua volta, è il riflesso del mondo delle idee. L'arte, quindi, essendo imitazione di un'imitazione, è lontana di due gradi dalla verità; dall'altro c'è l'armonia delle sfere, quella di origine pitago24


rica, che è riflesso della perfezione del cosmo, ma che non è udibile dall'uomo. Dunque, la musica in quanto fonte di piacere, sotto il profilo pratico, è oggetto di condanna o, più raramente, può essere accettata, ma con cautela e con molte riserve. Va aggiunto che la musica può anche essere una scienza, e, in quanto tale, oggetto non più dei sensi, ma della ragione. La musica, allora, può avvicinarsi alla filosofia sino ad identificarsi con essa, come la più alta forma di σοϕία (sapienza). Si ritrova in molti dialoghi di Platone l'identificazione del comporre musica con il filosofare. Ad esempio, nel mito delle cicale nel Fedro*, appare chiara la posizione privilegiata della musica rispetto alle altre Muse, privilegio che la rende simile alla filosofia, nel senso che filosofare significa "rendere onore alla musica". In questo mito la musica appare come un dono divino di cui l'uomo può appropriarsi, ma solo ad un certo livello, cioè quando raggiunge la sophia. Nell'educazione, Platone proponeva la ginnastica e la musica, nel significato di canto e di suono della lira, per l'anima. Il filosofo, inoltre, si trovava di fronte alle profonde innovazioni della pratica musicale del suo tempo, innovazioni che nel loro insieme rappresentavano la rivoluzione musicale del V secolo. ________________________ * Si racconta, in questo mito, che un tempo le cicale altro non erano che esseri umani appassionati a tal punto della musica da dimenticare perfino di nutrirsi, disposti finanche a morire pur di continuare a cantare. Per ricompensare l'amore di questi uomini verso la musica, le Muse decisero di trasformarli in cicale, degli animali che potessero trascorrere l'intera loro breve esistenza cantando. Dopo la morte questi insetti avrebbero poi avuto il compito di riferire alle Muse quali uomini sulla Terra le onoravano e quali no. Ad Urania e Calliope le cicale riferiscono che alcuni uomini passano la loro vita terrena filosofando. In tal mondo dunque essi praticano la forma più nobile ed elevata dell'arte musicale (unica arte alla quale Platone attribuisce un giudizio positivo in quanto non è "imitazione dell'imitazione"). Queste due Muse infatti "sopra tutte le altre Muse presiedono alle cose celesti ed occupandosi dei discorsi divini ed umani, sanno il canto più soave" (Fedro, 259)

25


A Pitagora s’attribuisce il concetto della relazione tra musica ed animo

26


Di fronte ad essa il filosofo manifesta la sua più profonda avversione e ostilità, ancorandosi alla più antica e salda tradizione musicale e poetica. Questa posizione conservatrice non ha origine solamente in un suo atteggiamento negativo di fronte ai musicisti e alla nuova musica del suo tempo, ma trova una spiegazione anche nella sua filosofia della musica. Aristotele, invece, ebbe una visione più aperta della musica e dell'innovazione che ne seguì. Diede una giustificazione antropologica dell'arte, disciplina essenziale all'uomo, che la giustificava, anche se negativa. Aristotele riprende il concetto pitagorico di catarsi, ma lo modifica, osservando che il meccanismo della purificazione avviene attraverso una liberazione delle passioni imitate dal musicista: perciò, secondo il suo pensiero, non vi sono armonie o musiche dannose in assoluto dal punto di vista etico. La musica è una medicina per l'animo, proprio perché è in grado di imitare tutte le passioni o emozioni che ci tormentano e di cui siamo affetti e dalle quali vogliamo purificarci. Tale liberazione avviene proprio potendo osservare la loro imitazione attraverso l'arte. Aristotele sottolinea come Platone confonda la realtà con l'imitazione della realtà. Egli afferma: Platone confonde colui che zoppica con colui che imita uno zoppo. Queste sono due cose diverse, perché l'imitazione della realtà che avviene nell'arte non è la realtà in sé, ma ha una funzione catartica perché, dopo aver provocato 27


nello spettatore una immedesimazione di sentimenti, alla fine lo libera da questi stessi sentimenti, quindi produce una sorta di liberazione omeopatica, in quanto rafforza un sintomo per poi scaricarlo*. La musica ha come fine il piacere, e come tale rappresenta un ozio, cioè qualcosa che si oppone al lavoro e all'attività. In quanto occupazione per i momenti di ozio, la musica veniva considerata da Aristotele come una disciplina "nobile e liberale". La musica è un'imitazione della realtà che suscita sentimenti, perciò è educativa in quanto l'artista può scegliere più opportunamente la verità da imitare per influire così sull'a-nimo umano. ___________________

* Per Socrate la catarsi è il risultato del dialogo, quello condotto, come scrive Platone, secondo le regole dell'arte della «nobile sofistica» che con uno stringente susseguirsi di brevi domande e risposte porta alla purificazione, alla liberazione da quelle croste dell'ignoranza presuntuosa che crede di possedere saperi definitivi. Platone intende per "catarsi" un processo conoscitivo attraverso il quale ci si libererebbe dalle impurità dello spirito memori dello stato di purezza originaria, quello del mondo delle idee dove domina il Bene. Più precisamente nel Fedone, Platone utilizza questo termine per indicare in che senso vada inteso l'imparare a morire del filosofo che con la liberazione dell'anima dalle passioni più materiali, miranti a soddisfare egoisticamente il proprio io, possa aprirsi alla prospettiva della phronesis (saggezza) . Il momento catartico inizia con la periagoge (conversione), con il liberarsi cioè, dalle catene che permette al prigioniero di rivolgere lo sguardo oltre il senso comune e poi di uscire dalla caverna. In questo modo il termine assume una funzione centrale nella filosofia di Platone e nel processo di cura di sé in quanto si riferisce alla purificazione non tanto dal corpo, ma dagli eccessi del corpo e da ciò che impedisce la vita secon-do aretè (virtù), una purificazione che porta al risveglio dal modo di vivere letargico.

28


IV Capitolo I canti della Grecia antica Come abbiamo già accennato nel primo capitolo le forme di espressioni musicali nell’antica Grecia furono: 1. Il CORO Erano i coreuti che sostenevano le parti cantate e danzate. Il coro è collegato all’ origine stessa della tragedia, poiché da esso si staccò l’attore, prima probabilmente recitando passi narrativi, poi dialogando con il corifeo. L’ importanza del coro nell’ azione drammatica era all’ inizio pari a quella dello attore. Composto da 12 coreuti in Eschilo e da 15 in Sofocle, interveniva nei parodi, in tre stasimi e nell’ esodo, con parti composte in versi lirici, articolate in strofe, antistrofe ed esodo. Fondamentale è la presenza del coro anche nella commedia antica: in Aristofane il coro, che spesso rappresenta animali ( vespe, uccelli, rane ) , partecipa vivacemente all’ azione e si rivolge diretta-mente al pubblico, mentre nelle ultime commedie è ridotto ad inter-mezzo musicale. Il coro è un elemento fondamentale del teatro dell'antica Grecia. L'esibizione del coro costituisce, fino alla nascita della tragedia, l'avvenimento principale delle dionisie, le festività annuali in onore del dio Dioniso. I coreuti, originariamente dodici in seguito portati a quindici da Sofocle, eseguivano passi di danza cantando o recitando ditirambi, prima frutto di un'improvvisazione poi, nel VI secolo a.C. organizzati in una forma narrativa. Essi erano guidati dal corifeo, che spesso si esibiva autonomamente, ribadendo o ampliando quanto detto dai coreuti. La forma tragica nasce dall'esigenza di strutturare l'esibizione del coro in forma dialogica, fornendo al corifeo un interlocutore 29


(l'hypokrités), l'attore. Secondo la prassi teatrale greca, il coro entrava dalle parodoi, i corridoi posti tra la cavea ed il palco, per restare nell'orchestra per tutta la durata della rappresentazione. Qui, come un unico personaggio rappresentante la collettività, riassumeva e commentava la vicenda o tra sé e sé, o interloquendo con l'attore. Nel teatro del periodo ellenistico il coro perse di importanza, ed infatti lo spazio dedicato all'orchestra diminuì. Il passaggio dal dialogo con l'attore al commento autonomo era segnato da alcuni movimenti codificati: la strofe, ovvero il movimento dal palco all'altare di Dioniso al centro dell'orchestra, la sistrofe, il movimento attorno all'altare stesso e l'antistrofe, il movimento dall'altare al palco. Rappresentando la comune cittadinanza, il coro indossava abiti quotidiani e maschere non troppo vistose, tranne nei casi in cui doveva rappresentare esseri mitologici (ad esempio i satiri) o uomini appartenenti a popoli stranieri. Ai tempi delle prime tragedie di Eschilo c'era un solo attore, ed il coro era ancora l'elemento più significativo della rappresentazione. In seguito, nel corso di pochi decenni, si aggiunsero prima un secondo attore, e poi un terzo. L'aumento del numero di attori disponibili diminuì a poco a poco l'importanza del coro e lo spazio dedicatovi dalla drammaturgia, fino a che nel periodo ellenistico, con la commedia nuova, esso non venne più inserito nel testo drammatico.

30


I coreuti sostenevano le parti cantate e danzate

31


2. Il DITIRAMBO Era, come abbiamo già detto, il canto corale in onore di Dioniso. Veniva intonato da un coro che al suono di un flauto danzava in cerchio. Di struttura drammatica, fu l'origine della Tragedia. La non ben chiara etimologia della parola ebbe da parte degli antichi spiegazioni abbastanza curiose alludenti al doppio parto di Dioniso, il parto immaturo della madre Semele e il maturo di Zeus; poiché in origine il dirambo fu il canto corale dionisiaco per eccellenza. Tra le spiegazioni moderne la più probabile è quella proposta dal Wilamowitz, secondo cui la parola significa "un divino canto trionfale". La patria del ditirambo è tutt'altro che sicura. Nell'età classica lo vediamo fiorire a Corinto, a Sicione, a Tebe, a Nasso, ad Atene: in quasi tutti pertanto i principali centri ove si svolse la poesia greca. Le prime fra le località nominate si disputavano la gloria di averlo veduto nascere, e uno degli scolî pindarici racconta che il grande poeta tebano avrebbe a volta a volta, secondo la città della quale era ospite, sostenuto i diritti di tutte. Ma, qualunque sia stato il paese della Grecia che per primo abbia fatto eseguire ditirambi, sembra che la vera origine di quel canto corale sia da ricercare fuori della Grecia, o nella Tracia, che tanto contribuì alla diffusione del culto di Dioniso, o nella Frigia, a cui richiama l'indole appassionata del ditirambo e più di un particolare nella esecuzione di esso, come l'uso del flauto e dei toni frigio e ipofrigio. La prima menzione del ditirambo è in Archiloco: la tradizione ne attribuiva l'invenzione ad Arione, il quale gli avrà semplicemente dato, posto ch'egli non sia una figura del tutto mitica, politura letteraria. La materia del ditirambo venne da principio fornita, come dicevamo, dalle drammatiche vicende della vita di Dioniso. Ma ben presto vi introdussero altri soggetti a Dioniso del tutto estranei: Simonide compose un ditirambo dal titolo Eu32


ropa e un altro dal titolo Memnone; con Simonide dunque l'alterazione è già avvenuta. E all'epoca in cui la tragedia nasce dal ditirambo (col distaccarsi del corifeo dalla massa e col dialogizzare di lui col coro: cfr. il Teseo di Bacchilide) i conservatori possono dire con ragione che in esso non v'è più nulla che si riferisca a Dioniso. I ditirambi si eseguirono con solennità press'a poco pari a quella delle rappresentazioni drammatiche. Nell'Attica sí eseguivano alle Grandi Dionisie, alle Dionisie rurali, alle Panatenee, alle Targelie, alle Lenee. In antico al vincitore si donava un bue, al secondo un'anfora, al terzo un capro; dal sec. V in poi il premio fu abitualmente un tripode. Come per le tragedie così pel ditirambo fu in uso il sistema delle coregie (v.): il corego oltre a sostenere le spese della rappresentazione, doveva raccogliere il coro e farlo istruire. Il coro fu dapprima composto di cittadini, ma col tempo la parte musicale venne a prevalere sulla poetica, e perciò si richiese nei coristi un'abilità tecnica assai maggiore, e allora (sec. IV) si ricorse a professionisti, cantanti, sonatori di flauto, danzatori; tanto che il nome del flautista fu, in questa epoca, posto innanzi a quello del poeta. Il coro del ditirambo si disponeva in forma circolare, non rettangolare come il drammatico, onde ebbe l'appellativo di ciclico. Poteva essere composto di uomini o di fanciulli. Talora lo troviamo denominato anche tragico, il che è da intendere con riferimento ai satiri (coreuti coperti di pelli di capro) che in origine composero il coro ditirambico, il quale si modificò in seguito, quando gli argomenti del ditirambo divennero estranei al culto di Dioniso, secondo l'opportunità. Il numero dei coreuti fu da principio di cinquanta e probabilmente durò inalterato sino al 300 a. C. circa; in seguito venne considerevolmente ridotto. La danza ditirambica, di carattere tumultuoso, ebbe il nome di tirbasia: l'accompagnamento musicale, fatto prima con la cetra, fu ben presto eseguito dal flauto, e quando poi la istrumen33


tazione raggiunse maggiore complessità, dal flauto e dalla cetra riuniti. I metri usati furono da principio anche il tetrametro trocaico e forse l'esametro, ma, specialmente in seguito, quelli più adatti a esprimere violenta commozione, e quindi in particolar modo i dattilo-epitriti e i metri cretici e bacchiaci. Le soluzioni furono nel ditirambo più abbondanti che in ogni altra specie di carmi. Il ditirambo amò per eccellenza parole composte assai arditamente e talora addirittura in modo stravagante. La disposizione dei versi sembra essere stata sino a Melanippide di preferenza quella in triadi: Melanippide abbandonò ogni sorta di raggruppamento. Un'altra modificazione nel ditirambo fu dovuta a Filosseno di Citera (435-380). 3. L’ENCOMIO

Dal greco enkomion, era un canto celebrativo per uomini insigni, per vincitori di gare e in particolare per l'ospite patrono. Veniva eseguito ai banchetti o nelle processioni e avevano anche temi mitologici. Fra i maggiori autori: Bacchilide, Pindaro, Simonide e Gorgia. Fu chiamato encomio anche il canto a solo, le cui singole parti venivano cantate a turno dai singoli convitati; in tale forma, gli encomi ebbero più tardi il nome di scolii: celebre quello ricordato da Aristotele (Rhetorica, 1, 9), composto in lode di Armodio e Aristogitone. Con il sorgere della prosa d'arte, l'encomio fu assunto nell'ambito dell'oratoria epidittica: il primo esempio dell'encomio oratorio in prosa fu fornito da Gorgia di Leontini, autore di encomi scherzosi su Elena e su Achille e di impegnati, come quello per gli Elei. Il modello dell'encomio in prosa fu poi perfezionato da Isocrate con l'Encomio funebre di Evagora e da Senofonte con il suo Agesilao. Le norme dell'encomio prosastico furono rigidamente codificate da Ermogene di Tarso (sec. II) e da Menandro (sec. III), avviando così la trasformazione dell'encomio in elogio: celebri, in particolare, gli enco34


mi composti a scopo parodistico, dall'Encomio della mosca di di Luciano, all'Encomio della capigliatura di Dione di Prusa o all'Encomio della calvizie di Sinesio. 4. L’EPICÈDIO In greco antico ἐπικήδειον μέλος (epikédion mélos) , fu celebrato Particolarmente da Simonide. È un tipo di componimento poetico scritto in morte di qualcuno, tipico della letteratura latina. Il termine fu introdotto dal poeta latino Stazio ma il genere poetico è molto più antico e deriva direttamente dalle nenie e dalle lodi funebri. In origine designava solo il canto in presenza della salma, poi passò ad assumere il significato più generico di poesia in onore di un morto. Si sviluppò in forme letterarie presso i greci e venne modulato liricamente al suono del flauto. Per un lungo periodo si espresse attraverso una forma corale finché in età alessandrina diede origine ai soli versi, principalmente elegiaci, non più accompagnati dalla mu-sica, dalla danza e dal canto. L'epicedio differisce dalla consolatio perché ha lo scopo di piangere il morto, mentre la consolatio vuol esser di sollievo ai vivi. Inoltre, esso si distingue, seppur talvolta confondendosi con esso, dal treno, canto corale funebre, che però non richiedeva la presenza del cadavere. Epicedi si trovano tra le opere di Catullo, Stazio, Ovidio, Orazio, Properzio, Ausonio, Virgilio], Marziale. Altri esempi sono la Consolatio ad Liviam, che in alcuni manoscritti è chiamata Epicedion de morte Drusi, e l'Elegia in Maecenatem, di autori ignoti. EPINICIO

Canto corale in onore dei vincitori. Era recitato da cori celebrativi e accoglieva i vincitori dei giochi di ritorno dagli agoni. La tradizione considera Simonide (556-468) l'inventore dell'epinicio, genere utilizzato anche da Bacchilide e Pindaro. 35


Il più lungo epinicio sopravvissuto nel tempo è la IV Pitica di Pindaro, dedicata a Arcisilao re di Cirene. Di Pindaro sono giunte sino a noi ben 44 componimenti, suddivisi in 14 Olimpiche*, 12 Pitiche**, 11 Nemee*** e 7 Istmiche****. In epoche più recenti, dopo la riscoperta del genere, avvenuta nel Rinascimento italiano, si sono prodotte varie imitazioni, tra le quali spiccarono quelle di Pierre de Ronsard (1524-1585), contenute nei 5 libri di Odi pindariche, di Chiabrera (15521638), di Alessandro Guidi (1650.1712). L'epinicio era composto secondo uno schema classico tripartito: a) descriveva l'atleta, narrava della sua vita e di quella degli an-tenati, b) seguiva una parte erudita infarcita di allusioni mitologiche, con le quali l'autore mostrava la propria inventiva ed abilità stilistica, c) una parte moralistica, ricca di massime e precetti etici. Era distribuito in triadi di strofe, antistrofe ed epodo. Φιλóφρον ΄Ησψξíα, ∆íκαϛ ῶ µεγιστóπολι τύγατερ, βολᾶν τε καì πολέµϖν έχοισα κλαῗδαϛ ύπερτάταϛ 5 Πυτιóνικον τιµάν Αριστοµένει δέκευ. τὺ γὰρ τὸ µαλτακὸν ἕρξαι τε καì πατεìν οµῶϛ ἐπιστασαι καιρῷ σὺν ἀρτεκεῖ ∗∗∗∗∗ ________________ * Le Olimpiche - componimenti furono scritti per i vincitori dei giochi in onore di Zeus ** Le Pitiche - odi dedicate ai giochi di Apollo ***Le Nemee - scritte per le feste Nemee, che si tenevano presso il santuario di Zeus, che, ombreggiato da un bosco di cipressi, si ergeva nella valletta traversata dal torrente Nemea, presso la città omonima, che ebbe vita politicamente autonoma fino alla metà del sec. V. Il modo della celebrazione era simile a quello delle altre feste panelleniche. ****Le Istmiche -7 istmiche, tutte scritte in dorico letterario e con uno schema metrico di inimitabile raffinatezza; ***** Dalla Pitica VIII vv. dedicata al giovane lottatore Aristomene, vincitore nel 446 a.C.Apre l'inno un'invocazione alla Tranquillità personificata che regna in tempo di pace e che, in quanto figlia della Giustizia, sa opportsi alla tracotanza ed alla sedizione.

36


3.

L’EPITALAMIO

Έπιϑαλάμιος λόγος. - Significa propriamente serenata presso la stanza nuziale (ϑάλαμος). Serenata che gli antichi Greci cantavano presso la stanza nuziale la sera delle nozze o la mattina dopo. I primi e. letterari si trovano in Saffo; in età ellenistica ne composero Callimaco, Eratostene, Partenio, ma l’unico e. greco giunto intero è l’idillio 18 di Teocrito per le nozze di Menelao ed Elena. Nella letteratura latina esempi di e. sono i carmi 61 e 62 di Catullo, in cui il poeta segue la tradizione romana dei fescen-nini nuziali (il carme 64 per le nozze di Peleo e Tetide è piut-tosto un epillio). Altri cultori di e. furono, nel cenacolo dei poe-tae novi, Calvo e Timida; in più ampia costruzione Stazio; al 4° sec. risalgono il Centone nuziale di Ausonio e gli e di Claudiano e di Paolino di Nola. Già presso a Menelao dal biondo crine Dodici Verginelle un verde aventi Giacinto in su le chiome, alto decoro Del suol di Sparta, e in lor Città le prime, 5Formaro avanti al nuovamente pinto Talamo un coro; indi co’ piè concordi Battendo il suol, fean d’Imeneo4 la casa Tutta sonar con l’uniforme canto, Poichè ’l giovane Atrida5 in letto accolse 10Di Tindaro la figlia, Elena amata, Seco tra’ lacci d’Imeneo congiunta. Dunque, dicean, tu caro Sposo, al primo Calar de l’ombre isti a cercar le piume? Che? Forse la stanchezza, il sonno, il vino Rese t’avean le tue ginocchia gravi? […]*

*L'Epitalamio d'Elena - Idillio

di Teocrito Siracusano, figlio di Prassagora, e di Filline, come abbiamo da un suo epigramma, fu certamente Italiano da Siracusa, sebbene alcuni lo chiamin di Coo, forse per esser lungamente vissuto in quell'Isola.

37


L’ESODO Ἔξοδος, l’ultimo canto del coro, che accompagna la sua uscita dalla orchestra. È la parte conclusiva della tragedia, che finisce con l'uscita di scena del coro. Spesso, soprattutto in Euripide, nell'e-sodo si fa uso del deus ex machina, ovvero un personaggio divino che viene calato sulla scena mediante una macchina teatrale per risolvere la situazione quando l'azione è tale che i personaggi non hanno più vie d'uscita. 4.

L’IMENEO Ὑμέναιος è un componimento poetico greco, che veniva eseguito durante il corteo nuziale che accompagnava la sposa nella nuova casa. Trapiantato nel mondo romano, l'imeneo perse il suo carat-tere per così dire "pratico" e la sua funzione sociale, e divenne del tutto un componimento esclusivamente letterario. Tale è, ad esempio il carme LXI di Catullo. 5.

Ἴψοι δὴ τὸ μέλαθρον· ὐμήναον· ἀέρρετε τέκτονες ἄνδρες· ὐμήναον. Γάμβρος ἔρχεται ἴσος Ἄρευι, ὐ μήναον, ἄνδρος μεγάλω πόλυ μέσδων, ὐμήναον. «In alto, l’architrave / imeneo! /sollevate, o carpentieri / imeneo! / Arriva uno sposo pari ad Ares / imeneo! /molto più grande di un uomo grande / imeneo! »

38


Ma se infine vieni, spoglia / dei tuoi fiori nuziali, nell’ora / in cui tutto il mondo si disfiora / e lo sguardo di cenere si copre

39


6.

L’INNO

Ὓμνος* componimento di carattere religioso dedicato alla divinità e alla sua glorificazione. Assunse dignità letteraria tra l’VIII e il VI secolo a.C. con gli Inni omerici e venne in seguito sviluppato e variato metricamente da alcuni come Pindaro, Bacchilide e Alceo. La tradizione occidentale si può far risalire agli Inni omerici, una raccolta di inni greci, i primi dei quali composti attorno al settimo secolo a.C., in lode delle divinità della Grecia antica. Del terzo secolo a.C. vi è una raccolta di sei inni letterari del poeta alessandrino Callimaco. In epoca arcaica il termine "ὕμνος" significava semplicemente "canto", riferendosi ai canti simposiali, quelli processionali, ed ai poemi trenodici ed epici. Nell'antichità esistevano due accezioni diverse di "ὕμνος": la accezione più antica, che sopravvisse per molti secoli fino all'epoca imperiale, era quella generica di "poema cantato"; l'accezione platonica, che arrivò anch'essa fino all'età tardo-antica, era quella specifica di "canto in lode degli dei". L’Etymologicum Gudianum** lo definisce "un λόγος (discorso), che celebra una divinità combinando εὐχή e ἔπαινος (preghiera e lode)”; Dionisio, parla di "un poema (ποιήμα) che contiene lodi degli dèi e degli eroi, assieme alla εὐχαριστία (gratitudine)". La differenza consiste nel fatto che la seconda trattasi di una forma poetica, che può lodare anche gli eroi e che esprime la gratitudine del devoto. ________________________________________________

* Inni religiosi si trovano in molte culture dell'antichità, tra cui l’Inno al Sole, attribuito al faraone Akhenaton nel contesto dell'antica religione egiziana; i Veda della civiltà religiosa vedica e i Salmi della religione ebraica. ** Etymologicum magnum (Ἐτυμολογικὸν Μέγα) La più importante tra le compilazioni bizantine di lessici etimologici; deriva dai lessici di Diogeniano, di Esichio d’Alessandria e da quello etimologico di Orione. Databile intorno all’inizio del 12° sec. ma secondo altri all’inizio del 10° sec., certo dopo Fozio, di cui è sfruttata la Biblioteca, e prima di Eustazio, che lo cita, non è da confondere con un precedente Etymologicum, detto ge-nuinum, del 10° sec., e con l’Etymologicum Gudianum (della seconda metà dell’11° sec.).

40


7. L’IPORCHEMA Ὑπόϱχημα, forma della poesia melica greca () consistente in un canto corale accompagnato dalla danza, connesso con il culto di Apollo; ebbe poi carattere vivace con danze mimiche e celebrò divinità o uomini insigni. L’iporchema era accompagnato sia dalla cetra sia dal flauto. Il metro proprio era il cretico ed i Poeti che raggiunsero la fama furono Simonide e Bacchilide. L'iporchema fu per eccellenza il canto corale accompagnato dalla danza (ὀρχέομαι "danzo"). Ebbe origine cretese: primo a comporre iporchemi sarebbe stato il cretese Taleta, l'autore della seconda catastasi musicale in Sparta, e subito dopo di lui avrebbero coltivato quella forma due poeti della sua scuola, Senodamo di Citera e Senocrito di Locri Epizefiria. In origine l'iporchema andò congiunto col culto d'Apollo. Più tardi anche l'indole di esso, come quella delle altre forme di melica corale, si andò alterando. Ai tempi di Pratina troviamo il primo grado dell'inquinazione: il più cospicuo avanzo che di lui possediamo è un iporchema che celebrava Atena di Itome in Beozia. E Pindaro ci mostra l'umanizzazione di questa specie melica, esaltando in un frammento Gerone di Siracusa. Non sempre agevole agli stessi critici antichi riuscì la distinzione fra peana e iporchema: cosa del resto non difficile a comprendersi, ove si consideri che, almeno nei primi tempi, entrambe le specie esaltavano la stessa divinità, Apollo. In generale tuttavia la danza che accompagnava il peana era assai più solenne dell'altra. La danza iporchematica era spesso mimetica; non sempre era eseguita da tutti i componenti del coro. Il coro dell'iporchema poteva constare tanto di uomini quanto di fanciulli o di fanciulle o d'individui d'ambo i sessi. L'accompagnamento musicale venne fatto dapprima con la cetra, più tardi col flauto e anche con entrambi gli strumenti. Il metro preferito fu il cretico insieme con le forme peoniche: Pindaro fece uso dei logaedi: i solenni dattilo-epitriti non s'incontrano nell'iporche41


ma, ed è naturale. La divisione in triadi, anche se non del tutto esclusa, non vi si usò abitualmente. Con lo svolgersi del dramma sembra che l'iporchema abbia cessato di esistere a sé: l'ultimo poeta di cui sappiamo che componesse iporchemi è Bacchilide. Nel dramma satiresco l'iporchema fu più frequente che non nella tragedia e nella commedia. Gran pregio ebbero presso gli antichi gl'iporchemi di Simonide e di Bacchilide. 8.

LA PARODO

‘H Πάροδος, la parodo è il primo canto che il coro esegue nel corso della tragedia, quando entra in scena attraverso dei corridoi laterali, chiamati πάροδοι (pàrodoi). In tutte le tragedie di Eschilo e in buona parte di quelle di Sofocle è un canto che ha forma compiuta, e il rapporto dialogico tra corifeo e attori ha inizio nel primo episodio, dopo, cioè, la conclusione del canto; nelle ultime opere di Sofocle e in quelle di Euripide la parodo assume una nuova forma, in quanto il coro instaura un dialogo con un personaggio sin dal primo intervento: l'estremizzazione di questo tipo di parodo si ha nella variante detta commatica, nella quale il coro dialoga con l'attore che risponde in versi lirici, instaurando un vero e proprio dialogo lirico κομμός, (kommòs).

42


9. Il PARTEMIO

Παρϑένειος, il termine deriva dal greco parthéneios, verginale, da parthénos, vergine (epiteto di Atena). Nell'antica lirica corale greca, era il carme in onore di una divinità, cantato da un coro di vergini. Se ne possiede un unico, bellissimo esempio, un frammento di circa 100 versi di uno dei più antichi poeti greci, del sec. VII a. C., Alcmane: [...] ἐγὼν δ' ἀείδω Ἀγιδῶς τὸ φῶς· ὁρῶ ὥτ' ἄλιον, ὅνπερ ἇμιν Ἀγιδὼ μαρτύρεται φαίνην· ἐμὲ δ' οὔτ' ἐπαινῆν οὔτε μωμήσθαι νιν ἁ κλεννὰ χοραγὸς οὐδ' ἁμῶς ἐῇ· δοκεῖ γὰρ ἤμεν αὔτα ἐκπρεπὴς τὼς ὥπερ αἴ τις ἐν βοτοῖς στάσειεν ἵππον παγὸν ἀεθλοφόρον καναχάποδα τῶν ὑποπετριδίων ὀνείρων. [...]

« Io canto la luce di Agido. Ecco, la vedo come il sole, lo stesso che Agido fa risplendere a noi. Non posso io lodarla né parlarne male: la corega illustre non lo permette. Proprio ella mi sembra spiccare sopra le altre, come quando si mette alla pastura una giumenta forte, che con gli zoccoli sonanti supera il traguardo come alato sogno.

10. Il PEANA Παιάν, riparatore, epiteto di Apollo, canto lirico religioso dell’anti-

ca letteratura greca, di tradizione micenea, originariamente riservato al culto di Apollo e della sorella Artemide, poi esteso ad altri dèi olimpici e più tardi, attenuatosi il carattere cultuale, anche a personaggi illustri: composto, nelle forme più antiche, in metro peonico, era cantato da un coro, generalmente di uomini, e accompagnato dal suono della lira; più genericamente, canto di guerra e di vittoria: i peana di Pindaro; tutto Cantando il dì 43


la gioventude argiva, E un allegro p. alto intonando, Laudi a Febo dicean ... (V. Monti); dagli eroi seduti dietro il monte Giunse più forte il canto del peana (Pascoli). Nel 480 a.C., Sofocle, adolescente, fu scelto per guidare il coro dei giovani che intonarono il peana per la vittoria degli Ateniesi a Salamina. Sappiamo di peani di Stesicoro (Ateneo, VI, 250 B), ma nei frammenti giunti a noi non ve ne è sicura traccia. Di Pindaro gli antichi possedevano un intero libro di peani; fortunate scoperte di papiri ci hanno restituito ampî frammenti di questi suoi canti lirici. Essi furono composti per il culto di Apollo, dietro commissione di varie città, Tebe, Abdera, Ceo, Delfo, ecc. Non differiscono molto, per il carattere della poesia, dagli epinici, e anche in essi la parte più brillante è il mito. Nella letteratura latina il carme 34 di Catullo, bellissimo, in lode di Diana, quello simile di Orazio e lo stesso Carmen Saeculare oraziano offrono ottimi esempî del come i maggiori poeti latini abbiano saputo adattare al carattere dell'arte latina questo genere della lirica greca.

11. LA PROSODIA (o canto prosodico) Canto rituale (prosodio) in versi delle processioni religiose, particolarmente quelle in onore di Apollo e di Artemide. La forma più comune è di otto sillabe. 12. LO SCOLIO Gli antichi Greci chiamarono così una forma della poesia melica, il canto conviviale (corale o monodico) con accompagnamento della lira, che i convitati si passavano tra loro con continui mutamenti di direzione (da cui, secondo alcuni, l’etimo dal gr. σκολιός «tortuoso, obliquo»). Tradizionalmente, l’inventore è considerato Terpandro, ma ne composero quasi tutti i poeti, da Alceo a Pindaro. Ne derivarono delle raccolte, una delle quali ci è stata conservata da Ateneo. 44


13. LO STASIMO

Dal greco στάσιμον, sottinteso μέλος , significava “canto a piè fermo”.Rappresentava il momento della tragedia greca antica in cui, ad azione sospesa, entrava in scena il coro per, illustrare, commentare ed analizzare la situazione che si stava sviluppando sulla scena. La sua funzione è quella di intervallo tra un episodio e l'altro. Formalmente è composto da strofe liriche e dall'impiego del dialetto ionico. Era cantato con l’accompagnamento della lira e del doppio flauto. Composto in metri vari, aveva tono ed espressioni lirici. In principio gli stasimi furono legati all’azione drammatica, poi con Euripide cominciarono a distaccarsene sino a divenire, con Agatone, veri e propri intermezzi (ἐμβόλιμα). Segue un parte del primo stasimo dell’Antigone di Sofocle: Πολλα τα_δεινα κουδεν ανθρω που δεινο / τερον πε/λει [...] (vv.330-340) Molte meraviglie vi sono al mondo, nessuna meraviglia è pari all'uomo. Quando il vento del Sud soffia in tempesta, varca il mare bianco di schiuma e penetra fra i gorghi ribollenti; anno dopo anno rivolge, con l'aratro trainato dai cavalli, la più grande fra le divinità, la Terra infaticabile, immortale

45


14. IL TRENO

Τρῆνος, canto funebre degli antichi Greci, anche detto trenodia. Il primo esempio è nell’Iliade (XXIV, 720-774) con le lalamentazioni per la morte di Ettore che presentano gli antichi caratteri dei t.: il coro delle donne e gli a solo delle parenti. Famosi furono i trenos di Simonide* e di Pindaro**. ____________

* Σιμωνίδης, Simōnídēs; nacque nel piccolo centro di Iuli, sull'isola di Ceo, nelle Cicladi. Dopo essersi distinto come poeta nella sua terra natale, fu chiamato ad Atene dal tiranno Ipparco, figlio di Pi-sistrato, facendosi promotore di una politica di "mecenatismosmo”, aveva infatti favorito la riunione attorno a sé di numerosi artisti. Nella città dell'Attica Simonide si trattenne fino al 514 a.C.: dopo l'assassinio di Ipparco da parte dei tirannicidi Armodio ed Aristo tone, iniziò a girovagare spostandosi da una località all'altra della Grecia. Giunse così in Tessaglia, presso la corte degli Scopadi e degli Alevadi, e fece poi ritorno ad Atene nel periodo delle guerre persiane (490-479 a.C.). Dopo la fine del conflitto, Simonide si spostò in Sicilia, dove la permanenza di governi tirannici favoriva la pratica del mecenatismo e "offriva una dimora adatta alla perso-nalità"[2] del poeta lirico. Qui operò presso la corte di Gerone I di Siracusa e di Terone di Agrigento. Morì in età molto avanzata nel 468 a.C. ad Agrigento, dove fu pure sepolto, almeno a quanto ci tramanda Callimaco.

** Πίνδαρος, Pindărus). - Fu dagli antichi comunemente giudicato come il maggiore dei

lirici greci; il primo nel canone dei "nove lirici" composto dai grammatici alessandrini. La tradizione lo ha poi anche favorito di conseguenza, conservando buona parte dell'opera sua. Infatti (a prescindere dal suo coetaneo Bacchilide, cui hanno eccezionalmente giovato le scoperte papirologiche), egli è l'unico tra i lirici greci di cui si possegga, oltre a molti frammenti, un considerevole numero di composizioni intere, cioè i quattro libri di Epinici, divisi a seconda della destinazione alle diverse feste panelleniche, Olimpiche, Pitiche, Istmiche, Nemee.

46


Bibliografia: Giovanni Comotti, La musica nella cultura greca e romana, Torino, EDT, 1991 A. Sommariva, La lirica pindareggiante in Italia da Orazio a Chiabrera, Genova 1904 A. M. Dale, Lyric Metees of Greek Drama, Cambridge, 1948; M. Untersteiner, Le origini della tragedia del tragico, Torino, 1955; C. M. Bowra, Greek Lyric Poetry, Oxford, 1961; H. Patzer, Die Anfänge der griechischen Tragödie, Wiesbaden, 1962; G. A. Livraga, Il teatro misterico in Grecia. La tragedia, Pisa, 1988. G.Mastromarco, Storia del teatro greco, Le Monnier, 2008 Enciclopedia Treccani A. Taccone, Melica Greca, Torino 1904, p. 29 segg.; H. W. Smyth, Greek Melic Poets, 2ª ed., Londra 1906, p. Ixix segg.; H. Walther, Commentatio de Graecorum hyporchematis, Bochum 1874.

47


ALTRI SAGGI: Filosofia aristotelica, schiavitu ed oikonomia, 2a ed., A.I.T.W. Edizioni,Salerno, 2014 Heracles in Magna Grecia, iconografia ragionata Il Cancelleri. Tommaso Guardati, A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2014 Il coraggio della verita, libro inchiesta sulla tragedia di Ustica, A.I.T.W.Edizioni, 2012 Il Vangelo di Matteo, estetica morale, con prefazione di Domenico Rea, De Luca Edizioni, Amalfi, 1979 La formazione al servizio sociale, Salerno, 2015 La signora della morte (Mutter der toten), radiodramma, Edizioni Palladio, Salerno, 1980 (“La Nuova Frontiera”, 30/7/1981) Le problematiche dell’adolescenza - I comportamenti a rischio, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2013 Le problematiche dell’adolescenza - Verso la formazione del se, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2013 Le problematiche dell’infanzia maltrattata Le problematiche della vecchiaia e la musicoterapia, e-book su Google Play, gennaio 2015 Linee di progettazione dei servizi sociali Lucia Apicella, la madre di tutti i caduti, A.I.T.W. Edizioni, Salerno,2014 Catullo a Napoli, carmi tradotti in napoletano, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2015 ‘O viaggio pe’ brinnese, contaminatio in napoletano della 1,6 Satira di Orazio Flacco, A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2013 Aisopos, le favole greche di Esopo in versi napoletani, A.I.T.W. Edizioni, 2011 En la bruma del sol, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2015 Faedrus, le favole latine di Faedrus in versi napoletani, A.I.T.W. Edizioni, 2011 La morte di Cesare, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2015 48


Las hojas muertas, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2015 Machado in napoletano, A.I.T.W. Edizioni, Salerno, 2015 Me ne jeve pe’ caso, contaminatio in napoletano della 1,9 Satira di Orazio Flacco, A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2013 Ventris Priapi Crepitus Nox Strigarum, contaminatio in napoletano della VIII satira di Quintus Horatius Flaccus, A.I. T..W. Edizioni, Salerno 2017.

49


Sitografia www.ulisseonline.it www.unicosettimanale.it www.cancelloedarnonenews.com www.dentrosalerno.it www.literary.it/ali/dati/autori/pastore_franco.html www.cilentonotizie.it www.dentrosalerno.it www.youcanprint.it/autori/7222/franco-pastore.htm www.ilportoritrovato.net/html/francopastore1a.html www.mondadoristore.it/Oltre-le-stelle-Franco-Pastore/eai978889113420/ reeweblog.tk/post.php?209=69675 www.comune.quartodaltino.ve.it/servizi/notizie/notizie_fase02.aspx?ID=80 80 2339988/ www.andropos.eu www.andropos.it www.partecipiamo.it/Poesie/franco/pastore.htm www.andropos.it – www.andropos.eu www.abruzzonews.eu› Pescara https://it.linkedin.com/in/franco-pastore-8951b428 https://www.youtube.com/user/MrFrancopastore http://it.paperblog.com/intervista-a-franco-pastore-a-cura-di-lorenzospuriohttp:// book.google.it https://play.google.com/store/books/author?id=Franco+Pastore http://www.literary.it/ali/dati/autori/pastore_franco.html http://ebookcompanion.net/salerno-dal-concord/ http://swiftbooks.biz/get/saghe-dei-re http://parkerbooks.biz/park/una-vita-per-il-teatro-e-la-poesia/ http://www.studiamo.it/pages/author/franco-pastore/ https://play.google.com/store/people/details?id=10507038692040365483 9&hl=it http://www.alidicarta.it/sezioneautori.asp?p=4 andropou.blogspot.com/2013/02/franco-pastore-commediografo-e.html https://twitter.com/francopastore2

50


Indice AULOS (Musica e canti dell’antica Grecia) 5 7 8 20 26 32

L’Autore Premessa Primo capitolo: Musica e musicologia Secondo capitolo: I primi musici Terzo capitolo: la dottrina dell’ethos e l’educazione Quarto capitolo: I canti dell’antica Grecia: - il coro - il ditirambo - l’encomio - l’epicedio - l’epitalamio - l’esodo - imeneo - l’inno - L’iporchema - la parodo - il partemio - Il canto prosodico - lo scolio - lo stasimo - il treno

51


Š 2017 Antropos in the world Salerno antroposintheworld@fastwebnet.it I edizione aprile 2017 Stampato presso cartolibreria CITROANTO (SA) Diffusione on line su Google play e Iussu.com ISBN GGKEY:ZWAHC78XB99

52


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.