Stracassone

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Franco Pastore

A.I.T.W. editrice

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di Franco Pastore Presentatio

Raffaele Grimaldi

Postfatio

G. Farina Copertina

Paolo Liguori

A.I.T.W. editrice

© dicembre 2016 By Franco Pastore

Ebook Cod. GGKEY:XA5BZAQSHYY

Pubblicazione cartacea - Dicembre 2016

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Tipologie di vita in veste satirica. Ogni riferimento a cose e persone esistenti è puramente casuale.

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PREFATIO Dall’espressione satura lanx, ovvero “piatto pieno di primizie” destinate agli dei, riferita alla varietà dei motivi contenutistici, delle forme metriche e stilistiche, deriva il termine di satira. Il grammatico Diomede fa riferimento alle diverse espressioni che fanno uso del termine satur: dallaa lanx satura, “il piatto ripieno”, che veniva offerto a Cerere, alla lex satura, che indicava invece un provvedimento legislativo, con su materie diverse. Il primo esempio di Satira comparve a Roma quando, a detta di Tito Livio, per cercare di placare una pestilenza che affliggeva la città, si diede uno spettacolo nel quale dei giocolieri, provenienti dall’Etruria, si esibivano accompagnati 1 da musici e versi poetici. Tito Livio ne parla nella ”Ab Urbe Condita“ , mettendo in evidenza lo scambio di battute audaci tra giovani e il carattere irriverente che portò poi al divieto di rappresentarla. L’avvento della satura, propiziato dai danzatori etruschi, segnò a Roma l’inizio di un teatro non improvvisato. che favorì il formarsi di una scuola di attori, ma anche di musicisti. Tito Livio riporta di spettacoli «ricchi di melodie», e di autori, che talvolta ricorrevana anche a testi parzialmente scritti. Così la satira era il singolo componimento, più o meno breve, ben diverso dal poema satirico, dal tono e intento satirici che possono riscontrarsi in qualsiasi componimento letterario, soprattutto, com’è ovvio, nella commedia, nella poesia giocosa e così via. Ancora prima della satira romana, intenti satirici si possono ravvisare nei silli e nelle diatribe dei Greci, senza parlare dei motivi satirici sparsi in tante opere della letteratura greca,sino a Luciano, nel quale confluisce tutta la tradizione satirica greca. I primi componimenti, che a Roma ebbero nome di satura (da Ennio, a Varrone) trassero la loro denominazione dalla varietà dei loro metri (per analogia con la lanx saturaì; le Menippee di Varrone erano addirittura miste di versi e prosa). Il creatore della satira propriamente detta fu Lucilio; lo seguirono, ciascuno a suo modo, Orazio, Persio e Giovenale, di qui l’affermazione di Quintiliano: satura tota nostra est. Persio, Giovenale e soprattutto Orazio furono i modelli tenuti presenti dai satirici di tutti i tempi, ad essi va aggiunto Marziale per la forma rapida e brillante dell’epigramma. Seneca, con l’Apokolokyntosis e Petronio, con il Satyricon, costituiscono gli antesignani del saggio e del romanzo satirico moderni. ______________

1) T.Livio, Ab urbe condita, Libro VII, paragrafo 2,

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“Stracassone”, con molta modestia, ben lontani dalle finalità dei fescennini,2 vuol essere un insieme di “istanze” satiriche, che evidenziano tipologie ed atteggiamenti riferiti al nostra attualità storica. L’operetta si ricongiunge idealmente alla satira iniziale, quella famosa lanx satura che conteneva quella varietà di stili e contenuti, che venivano lanciati contro la sorte avversa, o nei momenti di tripudio conviviale, per una buona annata.

L’autore

__________ 2) Il fescennino, manifestazione tipica del mondo agreste, era un vivace scambio di battute licenziose, in rozzi e improvvisati versi, che i gruppi di contadini si scambiavano nel corso delle cerimonie dopo il raccolto o delle feste dei Liberalia, in onore del dio della fecondità. Il termine sembra derivare dalla cittadina falisca di Fescennium, nell'Etruria meridionale. Il fescennino è un embrione di rappresentazione drammatica, sia per la sua forma di dialogo, sia perché i contadini indossavano maschere grottesche, le personae, fatte di corteccia d'albero. Penetrati in città, durante le feste nuziali, i versi fescennini furono oggetto di una legge delle XII Tavole,e furono vietati perché spesso diffamatori.

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PRESENTATIO I personaggi di “ Stracassone”, di Franco Pastore, sono quelli del palcoscenico della vita. Qualcuno potrebbe dire che non sono protagonisti, ebbene, queste semplici comparse recitano battute, spesso dal pregio di essere autentiche, capacissime di lasciare un segno in un futuro, anche soltanto prossimo. “Fafele Scassatazze” garantisce una costante presenza nella piazza della vita dove, a vicende vissute, si alternano i drammi consapevoli della vecchiaia. Aniello, un vecchietto un po‟ banale, con sua grande meraviglia, racconta “d‟una donna un po‟ biondazza”, che rifiuta la sua casa e la pensione. Il vecchio avvocato, non si lagna, non racconta di momenti eroici ma soltanto semplici quotidianità. Un maldicente vecchietto coglie, con una maledizione mortale, un cane imprudente, che ai suoi piedi ha scaricato i propri bisogni corporali. Tanti i personaggi raccoglie “Stracassone”, tutti partecipi di un‟umanità diffusa: l’ignorante che parla a vanvera, il “femmenaro” che vanta mature conquiste, il fesso che parla, parla sempre, anche di quello che non sa, gli strani vicini ed i particolari condomini. E‟ un teatro in cui, i temi di un‟amara realtà divengono argomenti di vera riflessione. Sul palcoscenico, non mancano gagliarde signore che, non più giovani, dimostrano cura amorevole per uomini, non più in salute, trascorrendo con loro gli ultimi anni di una vita, che non è stata per nulla generosa. Sono attori della realtà quotidiana, che rifugge dalla finzione scenica. Commedia, farsa, dramma sono sempre presenti, alternandosi in ciascuno di loro a seconda delle rispettive vicende umane. Vi sarebbe tant‟altro da dire, ma è opportuno che il lettore scopra da sé il mondo di “Stracassone”, così com‟è: ricco, vario e squisitamente satirico. Raffaele Grimaldi

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POSTFATIO Un andante ritmico e fluttuante, note musicali che evolvono e si dissolvono nello sgretolarsi di eventi ed accadimenti certamente coinvolgenti il proprio percorso esistenziale ma che, alla stregua di raggi luminosi impattanti su uno specchio concavo, trovano infine il comune punto focale d‟incontro; eppure, volendo „distendere‟ il discorso in prospettive più estese: Chi non potrebbe non riconoscersi nei personaggi di “Fracassone”? Qualcuno potrebbe sentirsi estraneo ed „incoinvolto‟ in un caleidoscopio di tale e tanta ampiezza e varietà cromatica? Proviamo a spezzare l‟incantesimo dei versi, sollevando il velo del sar-casmo, della parodia in essi pregnante ed analizzando quali (più che „quante‟) curiose tipologie di umanità emergano torreggianti dalle „tortuosità e mostruosità‟ odierne, che sono rappresentate e cogliamo dai versi; intanto sicuramente lungo spigolosi ed irti sentieri si incammina il Nostro, ma per l‟appunto perché è lungo di essi, che noi tutti evolviamo e ci destreggiamo; percorrendoli, il poeta candidamente sembra dire con aria disinvolta e pensosa nel contempo: Amici, per davvero esiste qualcuno che non abbia mai bestemmiato l‟esistenza e l‟atto della nascita? Vi è taluno il quale, neppure una volta non sia stato coinvolto dal pensiero: Ma qualcuno mi ha chiesto il permesso di venire al mondo? Franco Pastore ama l‟esistenza, detesta le impervie passeggere elucubrazioni e converte questo temporaneo di angosciosa solitudine in „fantasie di vita‟, edifica sogni attraverso „historie‟, che fluiscono e si snodano in combinazioni ardite, sottili, allusive; evidenzio, quale modello, il simpatico “inculprendente” verso il quale, magicamente, il poeta ci coinvolge provocando la risposta autoprotettiva, in coro, di noi lettori: ‟Sono tutte calunnie!‟; autodifesa che, capovolgendo il discorso a titolo di esempio, manifestano tutti gli assassini di mogli, di compagne, di conviventi: gli odierni femminicidi, tragica, sconquassante odierna dilagante sequenza di violenze e delitti perpetrati contro la Donna; che egli ama e rispetta, tema facilmente rinvenibile nei suoi componimenti. Ritornando ai toni leggeri, densi di varietà di tipologie umane pregnanti nei versi, non mancano sonorità da zone retrostanti evocanti il dantesco deretano che strombetta, e poi „azzardi‟, dunque all‟apparenza „forti‟ eppure contenenti riflessioni profonde, tipologie spazianti da co-

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lui che “strafotte come il vento” (oddio, persino Casanova impallidirebbe!), all‟altro al quale, di converso, “gli s’ammoscia pure l’osso” (sic!). Anche l‟olfatto è perentoriamente coinvolto: „olezzanti‟ odori di baccalà ed „odorini di pisciazza‟ che impetuosi imperversano „scorrendo il fluido‟ in taluni versi, e non manca quello che scruta sornione, trovano spazio persino lo scurrile e financo „il vomitante‟:a proposito del quale, è qui esplicato un vomitare allegorico. Pastore intende disegnare il riflesso della disperazione, che oggi forse attanaglia tutti noi, lo inquadra, col suo obiettivo poetico, similmente all‟agire della prostituta, che si scompone per lasciar impazzire il cliente, una sorta di vittima sacrificale sull‟altare dell‟assurdità della esistenza. Fuor di metafora, i momenti di „realtà penetrativa‟ esprimono e configurano la penetrazione nell‟Isola ideale parallela alla,‟penisola‟ del nostro quotidiano, che defluisce ed ineluttabilmente confluirà nell‟infinito: un flusso termico attivato in un forno programmato, che non si spegne da solo, è la vita stessa che si incarica di spegnerlo. Dunque, sembra comunicarci il poeta: e se fosse tutto predestinato? A ben indagare, „dentro‟ e sue liriche si scorgono una fotocamera e telecamera antropomorfizzate; sornione fermano l‟istante e lo fanno defluire, inquadranti paesaggi, l‟ambiente, ed infine un gruppetto di „tifoseria da stadio‟:tifosi „filo propria squadra del cuore‟, una compagine che getta il cuore oltre l‟ostacolo e gioca,a rendimento alternato,esibendosi nello stadio della vita.

Giuffrida Farina

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PROLOGO Stracassone vive a Napoli, col cane e una megéra un figlio fesso e strabico, che urla mane e sera. La casa sua vecchiotta in zona Mergellina, se non scorgesse il mare sarebbe una rovina. La moglie scelta a lungo, per vezzo e per tenzone, è un’ignorante atavica, regina del polpettone. Dal portamento quacquero, e il viso da bronzetta è una lagna ritmica dal nome di Giulietta. Il cane poi è femmina, una pelosa nera, che salta e piscia rapida, dietro la cristalliera. Se poi le gridi: - Corri, vieni da me Agrippina!sorride e te la sventola la coda da mappina. Aniello è un tipo svizzero, stranuccio e provolone, è proprio il figlio giusto d’un padre stracassone. a tredici anni fulgido in terza elementare la quinta a diciott’anni poteva poi vantare. Ora che ne ha trenta s’è scritto all’Ateneo fra dieci o quindici anni avrà la laurea da babbeo. La fidanzata Trepida lo segue da vicino, lo tiene con gli zuccheri e coi baci al pecorino. Amico di famiglia un prete, don Romeo, un tipo fantomatico, grintoso e cicisbeo. Pietoso verso i poveri, meschini d’ogni terra, risolve con il piffero le fasi d’ogni guerra.

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DE MORTE APPARENTE La famiglia va benino senza passi stravaganti pensioni modestine e una vita senza vanti con il brodo di carote tre bistecche si sparute non importa mangia e via basta solo la salute. Ma un bel giorno, era di agosto, la Giulietta mi si strozza con un osso dell’arrosto. Stracassone addolorato, cade a terra come un pero mentre regge la sua bara nella sala al cimitero Un rumore sordo in vero si diffonde nel trambusto e la cassa cade e s’apre di Giulietta appare il busto, a quell’urto a mezzo agosto schizza l’osso dell’arrosto e Giulietta torna in vita, tutta rossa e inviperita. - Disgraziati, senza cuore, mi volevate sotterrare!-O mio amore, mia regina, or sei viva Giuliettina!- Mi sornioni, sposo mio? Piglia in giro il tuo gioiello! -Ti volevi risposare, diventato vedovello?-Non è vero, te lo giuro! ero morto di dolore, solo tu o mia sposina se la gioia del mio cuore!-Non ci credo, ma l’accetto, ora ho voglia sol d’andare io credo che tra i morti non è sano filosofare-. Poi rifecero la pace, con gran gioia degli amici, riuniti tutti a pranzo, con fusilli e con alici poi, con brindisi e risate, terminarono la storia, che, a notte, per la cronaca, si concluse in dolce gloria.

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DE PESCE A ‘NCINU Stracassone ha una vicina che si chiama Sgarbatella, una bruna gnòrantella con il naso a patanella non trovando, nel paese, uno straccio di marito, se lo prese tibentano, un garzone d’areoplano. Non avvezzo al volo in aria per mancanza di coraggio s’occupava, in magazzino di carote e di formaggio. Preferiva il meschinello il lavoro in terra ferma, diventando in breve tempo una zoccola di caserma. Arrivato dal paesello senza dote, né fringuello, disse: - Amore, se m’accetti ti farò da scaldaletto, a parole solamente ti darò l’amore ardente, mi ritrovo, me tapino, un vermetto fatto a uncino. Sol più tardi lui e la strega adottarono una negra, tutta mosse e sorrisetti, molto attratta dai maschietti pure or ch’è fidanzata se la fa la passeggiata e il citrullo, che l’adora,dice ch’è la sua aurora. Mondo strano, di follie, tutto corre per le vie, pure un racchio maresciallo, borioso e pappagallo, parla come fosse il meglio, il geniaccio, sua altezza, il signore incontrastato dello sgorbio e la schifezza. Ora, coltiva pomodori, nella terra d’altra gente, e l’innaffia di sovente con la pompa e con la secchia è famoso il produttore tra gli amici e tra la gente, l’anno fatto cavaliere, cavaliere della recchia.

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DE AGRIPPINA Quando la prese, non avea dimora ‘sta cagna scura scura, che ora tiene ancora. E’ corta, corta, un poco grassottella, con nella faccia gli occhi alquanto da monella. Ti guarda fisso, con la testa un po’ inclinata e sempre pronta, languida, a farti una leccata. Un po’ gelosa, audace ed invadente t’afferra con le unghie malamente. Sottile è la vocina, flebile e delicata, ma ti distrugge rapida, se fa una loffata. Se t’ama chiude gli occhi, fa il viso da pulcino, poi la trovi a sera, che dorme sul cuscino. Se sente un rumore o una lieve botta a lei sembrano fuochi sparati a Piedigrotta: a testa bassa bassa e la coda dispiegata ti scappa via lontano, come un’anima dannata. E’ sempre attenta a quello che ti tocca, t’annusa e ti protegge coi denti della bocca, ma se dall’uscio arriva anche un sol fruscìo è peggio d’una sirena, quanto è vero Iddio!

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“non trovando, nel paese, uno straccio di marito, se lo prese cilentano, un garzone d’areoplano.�

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DE CONDOMINIO In via De Filippelli, dove la strada sale, il condominio del Nostro, proprio particolare, è fatto di condomini strani e spettacolari: al piano terra Bombola, grassona e sì baldracca che mette tutto a frutto: la casa e la sua spàcca. Poi segue una famiglia vetusta e handicappata una signora sprucida e un maschio ritardato. più su, c’è poi un pazzoide vecchiotto e un po’ pelato che grida a cose varie, s’incazza e sputa in aria. Al terzo, un chiérico col cranio smerigliato con un parente strabico, ricchione patentato. Poi segue un rigattiere, Domenico Stizzullo, un fessacchiotto strabico con una moglie frulla. Al quarto una gran fica, sfuggente e presuntuosa sembra che solo lei ce l’abbia quella cosa. Cammina naso in aria, come una principessa, ove lavora, in centro, la chiamano scontéssa. Chiude alla fin Porcello, un tipo alquanto strano, nemico di se stesso, dialoga con l’ano. Bestemmia con la moglie, in casa e in ascensore, in casa vive solo, malato e con lo scolo.

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DE ROMEO Ecco, con passo rapido, che arriva il buon Romeo, amico della squicquera e ingenuo cicisbeo. L’odore della passera lo prende e lo stravolge, rimuore mille volte, poi, alla fin risorge. Gli basta un solo infilo, per validar contatto, con penna naturale ti scrive il suo contratto. Basta saperlo prendere, il sesso è una ricchezza, una leccata morbida e una debole carezza. Un solo bacio languido è ritenuto nobile, che ti procura rapido un ricco soprammobile. Quel che ti dona in seguito a un’ora poi d’amore, ricchezze consistenti che ti riscaldano il cuore. Una notte di baci e ore di follie è come un’ipnosi, un filtro di magia, che svuota il portafogli, [con gesti di poesia. Ma quel che accade in seguito, entrando in un rapporto non basta un sol poema di un artista accorto. Son fiori e sono razzi, migliaia d’euro a mazzi, vestiti e poi gioielli, con benefici belli a tutti li congiunti, compresa Luisella, sorella della gnocca; seguono la mammina e infine il grande servo: [il bel papino cervo. Se termina la giostra, tutto rimane intatto,

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come s’il sol ricordo valesse da contratto: “Tu che la desti a me or vivi da regina, ti fotti i soldi miei ed io vado in rovina; non devi angustiarti, ma solo pazientare: una telefonata ed io continuo a dare�.

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DE MALEDITIONE Fu l’altro giorno, a sera, stavamo nella piazza e ‘o cane mie friéve, ca ‘nce prudéve a mazza. Seduto alla panchina, un amico che parlava, Al cane ce diciétte: - Guagliò, mo’ jàmme, aspetta!E mentre si parlava, tra una parola e ‘n’ata, il cane mio, esausto, fece una urinata. L’emissione sciàcquera fu alquanto puzzulente, proprio vicìno ai piédi d’un chiàvico fetènte. - Ma sei proprio un grullo!, Gli dissi tosto tosto, apposta ‘a jiùte a scègliere i piedi di Murmurùllo?Fu allora che l’infame, con voce disgustata: -‘Aja murì è sùbbete, tra na iùrnata e n’àta!Il cane mio è morto, mannaggia San Grippàno, ma pure Murmurùllo deve finì... a Brignano. Giunto colà cadavere e steso nella tomba, innaffierò il suo marmo, col piscio di sta’ pompa.

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“Fu allora che l’infame, con voce disgustata: -‘Aja murì è sùbbete, tra na iùrnata e n’àta!-“

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DE CECCHINA Una signora sopraffina è le piccola Cecchina, Vedovella, ma non troppo, se la spassa con il Locco. va a passeggio fino a sera, col vestito primavera; corre in piazza, mangia pizze, va ballando con le zizze. Il Locchetto, suo figliolo , parla al vento e poi da solo, strilla come un gallinaccio, ma più simile a un pagliaccio. Col capello ammartenato, ora biondo, ora ammerdato, va girando per le vie recitando litanie, poi s’arrabbia, gira in tondo: pria saltella poi sputa al mondo. La Cecchina ama il mare, sempre al lido va a pranzare, pacche al vento e cappellino, sulle labbra un sorrisino di goduria impertinente e scoreggia tra la gente. Elegante, a modo suo, tutta quanta aggiustatina, se ti prende l’ascensore, lo profuma al cavolfiore, se poi scende là per là, lo profuma al baccalà. Locco, poi, è il suo gioiello, un po’ tocco un po’ fringuello, a guardarlo ti rincresce senza acume e senza pesce, guarda come una beccaccia e saluta a mezza faccia. Nella casa e per la via, mille gesti e litanie, sempre insieme mamma e figlio, come papera e coniglio.

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DE TANIELLO È amico, ma non troppo, un vecchietto un po’ banale, che ritrovi lì in panchina in incontri occasionali. Ti racconta della moglie, già da tempo deceduta, di problemi e fatti suoi, come fossero dei tuoi. Prima era un rompi balle, dispettoso e sparapalle, ora invece ch’è più vecchio, ciarla meno dentr’al secchio, ma racconta cose strane , son vere o son panzane? L’altra sera, nella piazza, proprio prima d’andar via raccontava d’una pazza, ne parlava a chicchessia: Una donna un po’ biondazza, una bella puttanazza, ancor giovane e carina, pur essendo una mappina, gli curava un po’ la casa, come faceva la sua sposa. Per non vivere da solo, pur rischiando corna e dolo, le propone una unione, previo casa e la pensione. - Se accetti, disse a quella, non farai la puttanella, ma vivrai in questa casa, senza più vender la “cosa”Ride Aniello a raccontare, ma vorrebbe sprofondare: la trentenne, la gran figa, non accetta la sua spiga e ripete filo e costa tutta quanta la risposta: - Tu sei pazzo, signor mio, faccio quel che vuole Iddio, me l’ha data questa “cazza” e ne godo come pazza! Giusto o no,non ti riguarda è la mia questa bernarda. La tua casa e la pensione non ripagano il moscione che, con due palle stanche, lì ti pende dalla gambe...-

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-Hai ragione, le rispose, sono un vecchio, cara Rosy era un sogno, una follia, una briciola di poesia... va tranquilla, va lontano, resto qua con “ciccio” in mano-. Detto questo, il buon Aniello, proprio come un baccalà, gira i tacchi e a testa bassa, verso casa se ne va.

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DE POLPETTA CAROTAE(1) ‘A purpetta ‘e pastenàche2, una ricetta assai lontana, piace a femmene, a ‘mbriàchi, cchiù da carne e de’ [patàne. E’ lo stemma d’un paese, un emblema, ‘na bandiera, che ti riempie ‘na zuppiéra e te fàce ‘nzuccarà. Fu miseria o intuizione a portarla fra la gente, per poi farne un baldacchino in onor di S. Valentino? Costa poco ed è squisita, una vera leccornìa, quando è calda è saporìta, pure fredda è una malìa. Uova, pepe, parmigiano, sale e scaglie di romano, friggi, poi, tutto a puntino solo dopo il pretusìno. Si è vero, sacripante! Piace proprio a tutti quanti! Nelle case, cosa rara, siamo tutti pastenacàri.

_____________ 1) La polpetta di carote è una usanza di San Valentino Torio, il noto paese dell’Agro nocerino-sarnese. Una usanza antica, che, nel giorno di festa in onore del santo Patrono, tutte le famiglie celebravano, mettendo in tavola grosse zuppi eredi polpette,offerte anche ad amici e parenti, Di qui, l’epiteto di “pastenacari” attribuito ai Sanvalentinesi. 2) Pastenache, dal latino “pastinacam”, da cui pastinaca, carota.

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DE CURSU IN ASCENSORE La signora Giuseppina nell’entrare in ascensore, la bloccò sòra Cecchina: -Devo andare dal dottore!-Prego entrate in cortesia,scenderemo in compagnia!Come fu la porta chiusa, venne fuori un gran fetore: un odore di schifezza, di pisciàzza e di monnézza mista a broccoli di rapa, cavolfiori e pesce spada. La signora, l’ospitante, ebbe un moto di ribrezzo e gridava:- Mamma mia,ma che puzza, ma che lezzo!Spinta poi da quell’odore, vomitò nell’ascensore. Finalmente, al piano terra ebbe fine quella guerra: Sora Tina:- Mi dispiace, state male in modo truce, vado via, ora, in fretta o ‘sto vomito m’infetta!La signora Giuseppina prende allor la palla al balzo: - Taci, o sozza luridona! La tua puzza non perdona, essa uccide là per là, come l’odore di baccalà... prima, vola l’alitosi come un lezzo fraudolente, poi continua quella “cosa”, che impazza malamente, come fogna tra le gambe, la tua gnocca, Sacripante!Sora Tina, mortificata, scappa via nella contrada il suo lezzo impertinente si disperse fra la gente.

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VOLEVO VOTARE DI SI Chi vuole mannà a casa sti magnacci, gente che fotte e non combina niente, e chi vuole ridurre tante spese, che portano miserie mese mese, avrebbe votato si, senza pensarci, se fosse stato lucido e palese. Ma ci hanno messo pure li mortacci, della politichese più bacata, si so schierate le parti a catenaccio, confonnènno tutto in una cagata. L’avevano piazzata per benino: -L’offerta è questa, mettetevi a puntino!Era un ricatto, prendere o lasciare, trattànno tutti come pulcinella: - A voi la scelta, a noi la mappatella! Ma che rottura sti poteri forti: or l’ebetino, prima i culi storti, senza pensare al popolo sovrano, che ci ha rimesso tutto, pure l’ano. Allora ha vinto il “No”, quello cortese, come per dire:- Andate a quel paese! –(1) Ed io non ho votato poffarbacco! Era malato e chiuso dentro il sacco. 1)Referendum del 4.12.1016

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“-Hai ragione, le rispose, sono un vecchio, cara Rosy era un sogno, una follia, una briciola di poesia... vai tranquilla, va lontano, resto qua col coso in mano-.�

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DE FAFÈLE SCASSATAZZE Don Rafèle Scassatazze è un amico della piazza, puntuale tutt’e sere: stàte, viérne e primmavera. L’altro giorno, martedì, venne all’ora prefissata e poggiando sul bastone siede accanto all’avvocato. Arrivai in quel momento, e guardandolo com’era, -Don Rafé, gli dissi alquanto, vedo in voi ‘na bella cèra-. - Ma d’avvero?- mi rispose-Tutto ciò non mi sorprende, ho provato una gran cosa, che ancòr tutto mi prende -. - E toglieteci quest’ansia! - chiede allora l’avvocato, - Ascoltiamo attentamente se l’evento è raccontato- E va bene, se volete, or vi narro l’avventura, forse non ci credete, ma di ciò chi se ne cura?- Fu domenica il fattaccio, se ci penso ancor m’impaccio, incontrai un vecchia amica, insegnante e grande figa, che mi disse:- Vieni a casa, che ti faccio quella cosa, al sapore di cioccolato o di miele stagionato -. - E allora?- Incuriosito, gli rincalza l’avvocato... - E allora così fece, con baldanza ed artifizio, con il miele e il cioccolato si risolse quello sfizio -. - Sacripante, ma che dite, sono cose mai sentite! Don Fafèle Scassatazze voi ciarlate dentro al mazzo!- Non son ciarle, o farisei, sono solo casi miei!-

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DE GRIMALDELLO Il mio amico Grimaldello è un tipo pazziarièllo, cerca sempre Fafiluccio, come Sancio cerca ciuccio. Lento, calmo e un po’ cicciotto ride come un panzarotto, non s’incazza ed è paziente, pur se ha un inculprendente. Ride parco, non schiamazza e già dorme con la mazza, sale, scende, va al mercato, compra lì al supermercato. L’occhio è fermo, di cultura, vive in sogno l’avventura. Quando parla, non da solo, spara massime a fagiolo. Di nessuno parla male, mai d’alcuno se ne cala, tra le donne non troneggia, ne giammai al sol scoreggia. Il mio amico Grimaldello mai l’ho visto con l’ombrello, pur se vivo e pur se dotto, ei non è certo un bigotto, e dall’alto dei cennt’anni, mai si lagna de’ suoi affanni, va a passeggio senza doglie con Fafèle e la sua còglia.

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DE FEMMENARO Un personaggio tipico, Gennaro Papuzziello, è un pappafico mitico, dottore del pisello. Scorazza come un missile per logge e per mercati, è amante delle femmine vissute e stagionate. A Portofino, impavido, da solo o con amici tra le piscine lucide, lui corre con la bici. A pranzo, senza remore, strafoca a più non posso di poi, nella sua camera si fa succhiare l’osso. Donnette ancora illuse, d’essere toste e fiere, per quel bronzetto moscio tolgono la dentiera. Di poi il posto magico aggiusta l’avventura, e per gli amici mitica diviene la lordura. In fondo, poi, per vivere ognuno s’improvvisa, nasconde le miserie, e il pianto nel sorriso. In tutti noi ci vive un po’ del Papuzziéllo il pappafico tipico, dottore del pisello. Ed anche chi arranca, ricorre all’illusione, con il pensiero corre proprio come un fregnone. Racconta d’avventure, di magici momenti e anche senza il piffero strafotte come il vento.

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DE VINDICTA ANI Un anno bisestile, il ventisette aprile, i sensi se la presero con l‘ano in compagnia: -Tu puzzi! – disse il naso, con aria disgustata, - Scarichi solo cacca, putrida e svergognata-E mentre miriamo il mare, aggiunsero i due occhi, tutte le cose belle e la luce delle stelle, chiuso nelle mutande tu vedi solo il niente, e contro ogni legge, giochi con le scoregge-. - Tu non conosci il fascino di prelibati cibi, la morbidezza plastica e il gusto poi dei fichi, vedi cadere al massimo più giù, in fondo al vaso, quel luridume putrido, che ti diceva il naso-Il gusto ha detto bene, non vali proprio niente, ed io, l’udito, ripeto, conosci solo i peti! Ignori i suoni belli, la musica ed i gorgheggi, i respiri della natura e il canto degli uccelli-. A questo punto l’ano, s’incazza come un pazzo, e, scoreggiando, urla: - Ora mi chiudo a razzo!La pancia di soppiatto si gonfia a più non posso, la vista allor s’appanna, s’ammoscia pure l’osso. Il naso, rosso rosso, si chiude sulla bocca, il cibo più non entra, lo stomaco si tocca. La testa allor s’annebbia e un tragico ronzio

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compare nelle orecchie, come rumor di secchia. Le forze vèngon meno, il corpo intero vacilla i sensi, spaventati dai mali e dalla fola, cedono l’ultima forza alla morente gola, che urla un po’ strozzata d’essere perdonati: -Perdonaci fratello questa follia verbale, l’unica forza vera è solo quella anale. Sei tu quello che vale, che regola la vita: senza di te, si fotte il gusto, con l’udito! Il sole, il mare, l’aria, la luce delle stelle, solo s’il cul respira, diventano più belle-. Lieto della vittoria s’apre di nuovo l’ano e scoreggiando all’aria, ripone il corpo sano. Fu da quel giorno, in vero, che in casa e per la via nomarono il deretano: l’eccelso, Sua Signoria. Ancora oggi, il nobile, col suo vociòn troneggia e senza tasse o dazio, il culo al sol scoreggia.

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DE LOGORREA STULTORUM L'intelligente, partecipa garbato e parla solo se viene interpellato, Il saggio, senza prevaricàr nessuno, parla e disserta al momento opportuno. Per entrambi il dissertare è arte e usano parole scelte a misura; a discorrere con armonia si parte, scartando maldicenza e vil freddura. E’ all’ignorante mitico che corre la favella, tra le parole a fiumi si gira e s’arrovella, ti spara a zero e parla sempre a vanvera, con una voce loffa e alquanto tanghera. Presuntuoso e stronzo nel contempo, disserta d’ogni cosa senza nesso, la logica rifugge come il vento e s’avvicina praticamente al fesso. Il fesso, quello poi, non lo ferma nessuno, parla a mitraglia come il dio Nettuno e tanto dice ch’il labbro si vavùglia, caccia la bava ed alla fin farfuglia. Gesticola, fa smorfie, ti alza voce e tono, non ama mai confronti, non sputa, né condona. Son tanti che ne incontri in piazza e per la via, che alla fin ti svincoli o fai una pazzia.

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“Perdona o mia signora d’aver cangiato il nero, lo indosso solamente se primi son gli eventi,...-“

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DE DIVERSITATE FEMINAE La donna è un animale assai diverso dall’uomo, che ora l’ama, ora l’avversa. Segue l’istinto in ogni situazione, alla ricerca costante d’emozione. Non soffre freddo ed ama l’aria aperta, come se avesse addosso una coperta. Un fuoco intimo la tiene in movimento, fornendole energia a piacimento. Se la forza dell’uomo è nei marroni, la donna ti possiede due cervelli: uno sta in testa sotto i suoi occhioni e l’altro, pulsa e vive in fornacella. I suoi pensieri e i sogni, mane e sera, li custodisce e li attiva la vrisèra, detta d’alcuni impropriamente gnocca, da altri, fornacella oppure cocca. Spesso, il pensiero femmineo è vaginale e la logica ha gli umori del canale, ma l’uomo, che non le è da meno, ragiona col pisello a tempo pieno.

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DE COSTUMANZE NOBILIUM Un nobile distinto, un pari d’Inghilterra, sposa una nobildonna ricchissima di terra. Bellissimi i due sposi arrivano al castello e insieme si preparano dei sensi al bel duello. Sdraiata la bellissima nel ricco baldacchino aspetta seducente il brando e lo sposino. maliziosa e languida canticchia una canzone, spalanca gli occhi lucidi, già vive la tenzone. Giunge alla fin il pari tutto grintoso e fiero, tutto lisciato e lucido, in una vestaglia nera. -Confesso o mio consorte, gli dice la sposina, non è la prima volta che offro la rosina-. Il nobile distinto, il titolato inglese, sospira e torna indietro, con un inchin cortese. Ritorna in breve tempo, men lucido e più bigio, aveva una vestaglia tutta cucita in grigio. -Perdona, o mia signora, d’aver cangiato il nero, lo indosso solamente se primi son gli eventi, se invece si ripetono per la seconda volta, il grigio è di prammatica, lo vuol l’usanza colta-.

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“Quante badanti sono nella piazza / fin dal mattino, quando sole impazza, portano i vecchi, andati e col bastone, / sono gentili, paga la pensione.�

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DE SENECTUDINE Quante badanti sono nella piazza fin dal mattino, quando sole impazza, portano i vecchi, andati e col bastone, sono gentili, paga la pensione. Quelle più belle se la tirano un pochino, i più arzilli le guardano in panchina, ma i vecchi stanchi con la faccia smorta, fissano a terra ed han la vista corta. Ci son badanti un poco più furbette, che fissano la piazza circospette: in fondo dovranno pur sostituire chi in ogni momento può morire. Sono badanti russe, altre polacche, son piene di salute e vere stacche. Le donne italiane hanno da fare un tempo eran regine del focolare. Eppure una c’è, ‘a moglie ‘e Gennarino, che cura suo marito, mezzo andato, lo tiene al sole quasi ogni mattina, lo fa sentire un uomo, ch’è amato. Guardarla ti fa bene al cuore: ancora c’è chi riesce a dare amore.

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DE TERRA ANTICA Povera terra, povera terra antica , nemmeno la natura t’ è più amica: tu stai cadendo giù con le tue chiese, coi monumenti delle vetuste imprese. Si sgretolano i resti delle tue radici, d’una cultura, che non ha più amici. Fosti grandiosa, fin dai Cananei, da quando i Greci cantarono agli dei. Ora che sei veicolata nel globale, né la tua storia, né la tua lingua vale. E l’ignoranza ovunque signoreggia, la scuola è abortita per la via, solo il potere di pochi si destreggia, i vecchi stanno zitti in agonia. Poveri figli, che non hanno guida, dopo la scuola, una gioventù impazzita. Sarà il lavoro a richiamarli altrove, in una nuova patria, o chissà dove! Questo succede al carrettiere fesso, che lancia il buon cavallo giù in discesa la bestia s’ingarbuglia a pesce lesso e la carretta vuota rimane appesa.

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DE HIĒME IN PIAZZA Quando cala il freddo in piazza, movida muore e l’inverno impazza. Rimangono solo i figli di Santàna, un eufemismo, per figli di bottàna. Ti sparano “piselli” micidiali, sulle panchine, alla luce dei fanali. Altri giocano a lotta o coi palloni e di chi passa rischiano i marroni. Aumenta la “zuzzìmma” tra le aiuole ed ogni cane espelle ciò che vuole. Ovunque sputacchiate e cartuscèlle, bottiglie vuote ed ignote mappatelle. Solo di festa, se spunta un po’ di sole, qualche vecchiètto passa e se ne duole. Sol qualche donna appare qua e là, bene ammantata, profumata al baccalà. A prima sera la solita signora, che cerca un euro nella sua follia, un’altra, invece, che nell’intimo lavora, aspetta l’occasione a darla via. Tant’altre, che han l’appuntamento, lasciano i loro figli nella piazza e corrono via, lestamente, pensando al gran piacere della mazza.

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DE MERCATO IN PIAZZA GLORIOSI Oggi la piazza è area di mercato: trenta banchetti di poveri tapini vendono scarpe, canteri e palini. Povera gente, insieme a quattro stracci, ti vende pure l’anima de li mortacci e intorno a loro s’affollano i meschini, comprando roba usata e pedalini. In prima fila, dal lato della strada, ti vendono di tutto, pure il pisello, al centro invece c’è gente di contrada, che t’offre libri e manici d’ombrello. L’arte compare in mezzo, sulla tela: mari agitati, scogli e qualche vela. I prezzi sono bassi, alla portata dalle mappine, alla tela colorata. Non mancano cimeli del passato, con dischi, radio e giornali vecchi, vecchi strumenti, tecnologia andata: ferri a carbone, tazze e qualche secchio. Soffre il rione per questa fregatura, che toglie la piazzetta ai ragazzini e le panchine ai vecchi, poverini per delle offerte di bassa mercatura.

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“La stitichezza, infine, è dimostrata:/ delle promesse non ne fanno niente / l’umanità se la son giocata / e dalle labbra caccian solo vento.”

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DE POLITICHESE Se vi fu mai della creazione un progetto, fu fatto a parte quello dei politici; posso gridarlo senza alcun sospetto: sono ipocriti, lecchini e alquanto stitici. La dote principale è l’ipocrisia: sorridono e promettono facilmente, e l’arma essenziale è la bugia mentono al mondo, spudoratamente. Il lecchinaggio, poi, è basilare, se vogliono ottener larghi consensi, basta incensar chi è stimato assai, promettendo, a parole, agi e compensi. La stitichezza, infine, è dimostrata: delle promesse non ne fanno niente, l’umanità se la son giocata e dalle labbra caccian solo vento. Solo gli sciocchi hanno fede ancora, o chi fa parte di quella scuderia e deve tosto ubbidir al suo padrone, come un vermetto, o come un coglione.

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DE BAR DES AMIS Gente che viene, gente che va, facce simpatiche o al baccalà. C’è chi saluta e chi tira avanti, arriva al banco con passi stanchi. - Prego un caffè! - Voglio un vegano!Chi sulla sedia rilassa l’ano. Una simpatica è dietro al banco, mentr’ il collega le guarda l’anca. Quanta pazienza con i clienti: alcuni allegri, molti son spenti. Poi, altre volte, entrano in venti, parlano in coro, come dementi. E’ proprio strano il nostro mondo: entra una pupa col mappamondo, si guarda intorno se dà disio, sembra che dica:- Ce l’ho solo io-. Mentre la tele suona e va avanti, entrano de’coglioni e sono in tanti. Ecco che sta arrivando il mio caffè, lo bevo subito, altro che del the.

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“E’ proprio strano il nostro mondo:/ entra una pupa col mappamondo, si guarda intorno se dà disio, / sembra che dica:- Ce l’ho solo io-“.

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DE MORTE STRACASSONI (L’addio a Giulietta) Giul. :- Stracassone sei sudato, sei più brutto da malato, se tu muori so’ stracàlli, non ho soldi pei cavalli, col cappello nero e guanti, sol la bara al camposanto, se invece me li dai, messa e musica le avrai. Hai la febbre? La bronchite? Vedi questa è polmonite! Hai pensato solo ai libri, al giornale, al tuo gioiello, ora, stracassone mio bello, fai la morte del fringuello. Qui, in casa stracassone, sono io con i calzoni: vado a spesa, mai son moscia, porto i cani a far la piscia, lavo e scopo, ma non troppo, per l’artrite ho lo sciroppo, quanta forza, sant’Aniello, sembra ch’io abbia il pisello! Tutto quel che mi hai donato non m’ha affatto ripagata, io volevo passeggiare ed il tango poi ballare, con la samba e la mazurca, che t’allena gambe e surca. Ora invece ballo il liscio e lo ballo in casa mia, se starnuto lì mi spìscio, sempre la stessa litania, come andare in altalena, ne valeva poi la pena? Strac.:- Ora è d’uopo, l’ho capito, che io cessi da marito, me ne vado e so’ giocondo, mi riposo all’altro mondo: c’è la pace che m’apetta, ciao e addio o mia Giulietta!-

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CONGEDO La satira lo so è cosa antica, oggi si usa solo maldicenza, la sola verità, qual vil nemica, in ogni dove oggi è in decadenza. Ora ch’è morto Stracassone, fermiamolo qui l’esperimento; cessiamo all’istante ogni azione, nell’attesa d’un segno di commento. La satira si spegne lentamente, senza fastidio, senza far rumore la gente riprende allegramente a nutrirsi del solito fragore. Solo singhiozzi s’odono a trombetta in una vecchia casa senza amore, sono lamenti e lacrime di Giulietta. che, in fondo in fondo, possedeva un cuore. Scappa la vita in una corsa assurda e noi andiam con lei, come dei pazzi, alle cose belle l’anima è sorda ed il meglio ce lo perdiam tra i sassi. Un mondo è tramontato e la cultura s’è stemperata e va contro natura. Rimane la scienza del pisello: quel che mi piace, voglio solo quello!

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Chi se ne frega se non c’è lavoro, se il corrotto ride e va in canotto, se la famiglia è andata a quel paese, se pure il prete ha sette gnòcche al mese, l’importante è vivere in campana: la pensione dei vecchi e una bottana.

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L’autore Franco Pastore nasce a San Valentino Torio, frequenta le medie ed il ginnasio ed il Liceo nella vicina Sarno, il paese dei nonni materni, e completa gli studi presso l’Ateneo salernitano. Successivamente, per consiglio paterno, aggiunge al suo iter formativo gli studi magistrali e di poi sociologici, presso l’Istituto superiore di Sociologia di Napoli. Fin da giovanissimo, inizia a scrivere racconti, poesie ed articoli su periodici e giornali locali. Dopo il servizio di leva, nella città militare della Cecchignola ed il lungo soggiorno romano, caratterizzato da importanti contatti e sod-disfazioni letterarie, come il premio “Santa Barbara”,consegnatogli nella piazza d’armi della Scuola Genio Pionieri, si trasferisce con la famiglia a Salerno. Qui, nel 1972, inizia a collaborare con lo scrittore Arnaldo Di Matteo, scrivendo sul periodico “Verso il 2000” e partecipando attivamente alla realizzazione del “ Premio Verso il 2000”, una preziosa kermesse, che, come per magia, vedeva riuniti, nel salone dei marmi del Palazzo città, illustri rappresentanti della cultura locale e nazionale, oltre alla stampa ufficiale. Di prammatica, la collaborazione dell’Università di Salerno e dell’Ufficio del Sindaco, Alfonso Menna, rendevano la manifestazione il fatto più importante e significativo dell’anno. Non mancava l’accurato resoconto della manifestazione su quotidiani e gazzette, che ne amplificavano gli echi e premiavano gli sforzi del Di Matteo, una magnifica persona, che aveva fatto di ciò il suo scopo di vita. Nel 1973, entra a far parte della equipe del Varo, la galleria d’arte di Vito Giocoli, sostenuta dal giornalista napoletano Saverio Natale, che lo veicola verso la critica d’arte. Intanto diviene un punto di riferimento nella famiglia di “Verso il 2000”, collaborando con il Prof. Zazo dell’Ateneo napoletano, il preside Marino Serini, il pittore Luigi Grieco, Achille Cardasco, Nicola Napolitano, Renato Ungaro, Luigi Fiorentino ed altre personalità della cultura,come Carmine Manzi, Franco Angrisano, Domenico Rea e Gaetano Rispoli. Fu appunto Rispoli a presentarlo a Carlo Levi, a Roma, nel dicembre del 1971. Rea, Rispoli ed Angrisano, diventeranno suoi amici inseparabili, che lo seguiranno,in tappe sempre più rilevanti, fino alla loro scomparsa. Angrisano proporrà, ad alcune sedi regionali della RAI, il radiodram-ma su Mamma Lucia “ La signora della morte”, mentre Rispoli illustrerà numerose pubblicazioni di teatro e poesia. Alla fine degli anni settanta, gli viene consegnata la nomina di membro honoris causa dell’Accademia Internazionale Tommaso Campanella e sarà Domenico Rea, presso la Camera di Commercio di Salerno, a presentare alla stampa il libro di estetica morale Il Vangelo di Matteo (Roma - n. 136 del 12/6/1980), che il Pastore scriveva, nel 1979 (Il Giorno - 23 marzo 1980), con Liana Annarumma. Le belle tavole grafiche, di corredo al testo, erano di un altro caro amico, il pittore Luigi Grieco, collaborato da Alfio Scandurra. L’opera fu molto apprezzata in Vaticano, dal papa Paolo II ed è ancora oggi custodita da numerose Biblioteche universitarie e nazionali.

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Nel novembre del 1982, riceve la nomina di Accademico della Accademia delle Scienze di Roma, per meriti letterari. Intanto, Franco Angrisano lo presentava ad Eduardo De Filippo, nel periodo in cui l’attore recitava nella sua compagnia. Fu allora che in Franco Pastore si rafforzò l’amore per il teatro. Frattanto, grazie al Grieco, conosceva Lucia Apicella di Cava (Mamma Lucia), per la quale pubblicava su Verso il 2000 una serie di racconti, raccolti poi nel libro “Mamma Lucia ed altre novelle” (L’Eco della stampa - gennaio 1980 / Il Faro del 13/2/ 1980), con le illustrazioni del Grieco. Seguiva, sempre sull’eroina cavese,“Mutter der To-ten”, un radiodramma, pubblicato dalla Palladio, che Angrisano drammatizzò nel salone dei marmi del Comune di Salerno (la Voce del Sud - 12/7/1980 - Roma 11 giugno 1980 52 n.135), il giorno in cui Mamma Lucia fu Premiata con medaglia d’oro del Presidente della Repubblica nel luglio del 1980 (Il Secolo d'Italia - Anno XXIX – dell'11/07/1980). Per gli ultimi impegni letterari, il trenta aprile di quell’anno riceve la nomina di academicum della “Gentium Pro Pace”. Dopo il suo primo romanzo “L’ira del Sud” (verso il 2000 - anno XXIII - n.82 del 1983, con nota autografa di Nilde Iotti) scrisse per Franco Angrisano “La moglie dell’oste”, ispirata alla XII novella de Il Novellino, di Masuccio Salernitano; seguì “Terra amara”, sul pro-blema del caporalato nel sud. Negli anni novanta, viene trasferito al Liceo di Piaggine. Fu in quegli anni che scrisse “All’ombra del Cervati” una raccolta di liriche e “Fabellae”, un testo di drammatizzazione per la scuola elementare. Sono gli anni in cui si accosta all’informatica, è docente di sociologia e psicologia di gruppo nell’Ospedale Tortora di Pagani. Inizia un dialogo stretto con il teatro, grazie alla disponibilità dell’auditorium del Centro Sociale paganese ed all’incontro con la compagnia teatrale “02”, diretta da Enzo Fabbricatore. Nascono così le commedie: Un giorno come un altro”, “Un maledetto amore”, “Una strana Famiglia” ( Le Figaro Education, samedi 4 juin 2005). Tra il 1995 ed il 2000, è direttore di Corsi di alfabetizzazione infor-matica per il M.I. e tiene, al Centro sociale di Pagani, Corsi di Pedagogia speciale (metodi: Decroly e Froebel) e super un concorso per l’Ateneo salernitano. Alla fine degli anni novanta, rinuncia all’Università e si abilita per l'insegnamento delle lettere negli istituti superiori e, nel 2000, il commediografo passa dalla pedagogia (didattica e metodologia), all’insegnamento d’italiano e storia nell’Istituto “G. Fortunato” di Angri. Nello stesso anno, ritorna nella sua Salerno, in via Posidonia. Oramai ha perso tutti gli amici di un tempo. Intensifica il suo interesse per il teatro, entra in rapporto con alcune compagnie salernitane e conosce Gaetano Stella e Matteo Salsano della compagnia di Luca De Filippo. Con questi ultimi, ripropone “La moglie dell’oste” che viene rappresentata nel 2006, al teatro dei Barbuti, nel Centro storico. Il successo dell’opera lo spinge a scrivere altre tre commedie, ispirate al Novellino del del Masuccio: Le brache di San Griffone ,“Un vescovo una monaca ed una badessa” e “Lo papa a Roma”. Oramai l’insegnamento non lo interessa più e dà le dimissioni, nel settembre del 2005, chiu-

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dendo innanzi tempo il suo impegno con la scuola, per dedicarsi completamente al Teatro. E’ tempo di nuove amicizie. Conosce la sindonologa Emanuela Marinelli e Rocco Risolia, Presidente dell’Associazione lucana a Salerno. Partecipa a tavole rotonde televisive, dove ha modo di parlare delle commedie e dei suoi drammi. Riallaccia i rapporti con Giuffrida Farina e massimamente con l’amico fraterno Gaetano Rispoli, che gli elabora i disegni per “Il profumo di Ermione” ed “Oltre le stelle”. Come European journalist (GNS Press Association), fonda, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Salerno, la rivista virtuale di lettere ed arti “ Antropos in the world”, alla quale collaborano l’on. Michele Rallo da Trapani, Anna Burdua da Erice, Maria imparato da Bergamo e Gaetano Rispoli, l’ultimo maestro di pittura, amico di Carlo levi e di Domenico Rea. Intanto, inizia il ciclo de’ “I Signori della guerra”, ovvero “La Saga dei Longobardi”, un insieme di cinque drammi storici, sulla Salerno longobarda e normanna, che completa il 29 gennaio del 2011. Dopo la pubblicazione delle raccolte di racconti “Il gusto della vita” (ed. Palladio) e di “Ciomma” (edito dalla Ed. Antitesi di Roma), va in scena, a Pagani, il primo dei drammi storici “L’Adelchi”, replicato il 25 febbraio 2011 al Diana di Nocera Inf., con il patrocinio della Provincia di Salerno (Dentro Salerno, 25 febbr. 2011). Nel 2013, con lo staff della rivista, realizza la prima edizione del Concorso nazionale di poesia religiosa “Mater Dei”, alla quale seguiranno la seconda e la terza edizione, che avranno la loro conclusione nella magnifica chiesa Madre di Pagani, il SS. Corpo di Cristo, con grande partecipazione di popolo. Dunque, nelle sue opere, traviamo profonde tracce delle sue radici: le figure ed i personaggi delle sue commedie e dei racconti ci riportano all’agro nocerino-sarnese, ricco di caratteristiche peculiari, artisticamente incastonati in situazioni socio antropologiche sui generis. E’ il caso di “Peppe Tracchia”, così come di “Ciomma” o “Luciano Valosta”, per non citare altre figure, prese dai campi o dalle fabbriche di pomodori. Nemmeno l’agro si dimentica di lui, con la consegna dell’ Award dell’ Agro, per la letteratura (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) e la pubblicazione di “Oltre le stelle”, presentata al palazzo formosa, il 12 febbraio del 2014 (Dentro Salerno, 13.02.2014). Nel settembre del 2014, ha bisogno di una pausa e rallenta le fatiche letterarie, ritornando alla scuola come preside (coordinatore didattico) di un istituto superiore parificato, ma continua a dirigere “Antropos in the world”, la rivista letteraria da lui fondata nel 2004, con il patrocinio del Comuni di Salerno, Pagani, San Valentino Torio, nonché della Provincia di Avellino. Fin dagli inizi del suo percorso artistico, Pastore, pur avendo acquisito una formazione classica (Euripide, i lirici greci, Aristofane e la commedia antica, Omero, Esopo e Fedro), si trova ad essere rivolto verso il presente del nostro tempo. La sua narrativa si può ritenere, in alcune sfumature, neorealista, con testimonianze forti sulle difficoltà di una Italia degli anni della ricostruzione.

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Così, nel teatro, nel mentre delinea il dramma di antiche dominazioni, passa alla commedia di denuncia ed alla farsa. Dal settembre 2014 al 30 dicembre 2015 è preside-coordinatore presso l’istituto San Giuseppe, in Pagani, trasmettendo ai giovani docenti la sua lunga esperienza di professore e di pedagogista. In questo ambiente riprende il contatto con i giovani, lasciandosi andare in ripetute lezioni di storia e di italianistica. Il 23 settembre 2015, l’amico Giuffrida Farina consegnava alla Biblioteca Provinciale di Salerno, l’intera produzione letteraria dell’autore. La dott.ssa Wilma Leone prendeva in consegna 94 volumi, affinché figurassero nel “fondo librario” salernitano. Il 25 settembre 2015, partecipa,a Pagani, alla manifestazione UNICEF “ Vogliamo zero”, ove sottolinea l’importanza della solidarietà, che definisce « ... il cemento che tiene insieme i pezzi del nostro vecchio mondo». Nell’ottobre dello stesso anno, perde un nuovo amico, lo scrittore Nello Tortora, direttore del giornale satirico Brontolo, nonché presidente della nota Associazione “La Scaletta”. Intanto, Rocco Rosolìa lo inviata presso l’Associazione Lucana, per una commemorazione di un grande già da tempo scomparso: l’amico Franco Angrisano, al quale dedicano la serata del 16. Il 16 maggio del 2016, al castello Miramare viene premiato dal prof. Piscopo dell’Ateneo salernitano, pel il libro di liriche “Oltre le stelle”ed il folto pubblico del premio internazionale “Tulliola” lo applaude. Il 29 maggio dello stesso anno, il Comune di Salerno, al Mirò, festeggia i suoi cinquant’anni di attività letteraria, in occasione della pubblicazione del libro di liriche “Cronos”. Oltre al Sindaco ed all’assessore alla cultura, sono presenti tutti i suoi più cari amici, la stampa e la televisione. La manifestazione, allietata dalla presenza dell’artista George Mustang, si snoda magicamente tra musica e poesia. Il Sindaco Vincenzo Napolitano legge una lirica, dalla quale argomenta i meriti del Nostro, in continuità con quanto era stato già detto dallo scrittore e critico prof. Crescibene e dal saggista dott. Alberto Mirabella.

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Altre opere 

CALIMERO E LE SETTE NANE- A.I.T.W. Edizioni – Sa. gen. 2014 - ISBN: 9788891133052

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IL PRINCIPE FIORITO, UNA STORIA ALL’INCONTRARIO - A.I.T.W. Edizioni – Salerno, nov. 2014 PINOCCHIO IN TRIBUNALE ; La civetta, la cicala e la formica ; Una gara della stupidità; La capretta Genoveffa : quattro drammatizzazioni per le scuole elementari - Paes, 1987 ( Cava de’Tirreni, Palumbo & Esposito) Monografia Testo a stampa - SBN IT\ICCU\CFI\0105947 FRACCASSONE, Fantasie di vita – A.I.T.W. Ed. – Ebook GGKEY:XA5B-ZAQS-HYY LA MORTE DI CESARE, A.I.T.W. ediz.ni - Salerno, febbraio 2015 ME NE JEVE PE’ CASO, contaminatio in napoletano della 1,9 satira di P.Orazio Flacco - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013 IT\ICCU\ NAP\0595558 ‘O VIAGGIO PE’ BRINNESE contaminatio in napol. 1,6 della satira di Orazio Flacco - A.I.T.W. Ediz. - Sa 2013 Cod. IT\ICCU\RML\0361796 LA MARGHERITA SCIOCCA - S.W. anno 2004 – filmato IL PAPERO INGRATO - S.W. anno 2006 – filmato ORFEO GATTO MARAMEO - S.W. anno 2006 – filmato IL VERME ED IL CALABRONE – S.W. anno 206 – filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA LEPRE E LA TARTARUGA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato IL BRUCO ED IL CALABRONE - Sul Web anno 2006 /7– filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA GALLINA SCIOCCA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato CANIS PARTURIENS – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano CAMELUS QUI PETEBAT CORNUA – filmato 2005/6 – in napoletano PISCATOR QUI AQUAM PERCUTEBAT – filmato2005/6 – in napoletano VOLPES ET CORVUS – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano VULPES LEO ET SIMIO – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano RANAE AD SOLEM – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano RANAE PETUNT REGEM – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano FRATER ET SOROR – filmato 2005/6– Riduz. in napoletano Aisopos et Phaedrus : le favole in napoletano / Franco Pastore [ S.l. ] : Edizioni Andropos in the world, stampa 2015 Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\RMS\2730975] isopos : le favole in napoletano / di Franco Pastore ; illustrazioni di P. Liguori [Salerno] : Andropos in the world, 2011 Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\NAP\0568683]

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Phaedrus : le favole in napoletano / di Franco Pastore ; illustrazioni di Paolo Liguori -Salerno : Andropos in the world, 2012 Monografia - Testo a stampa [IT\ICCU\NAP\0568756]

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INDICE Premessa ...............................................................pag.7 Presentazio ...........................................................pag.9 Prologo ................................................................pag.11 De morte apparente .......................................pag.12 De pesce a’ncinu ..................................................pag.13 De Agrippina .........................................................pag.14 De condominio .....................................................pag.17 De Romeo ...............................................................pag.18 De maledizione.....................................................pag.20 De Cecchina ...........................................................pag.23 De Aniello................................................................pag.24 De polpetta carotae .........................................pag.27 De cursu in ascensore .......................................pag.29 Volevo votare di si ............................................pag.30 De Fafèle scassa tazze .......................................pag.31 De Grimaldello .....................................................pag.34 De femmenaro ......................................................pag.35 De vindicta ani ......................................................pag.36 De logorrea stultorum .......................................pag.38 De diversitate feminae ...................................pag.41 De costumanze nobilium ................................pag.42 De senectudine ...................................................pag.45 De terra antica ..................................................pag.46 De hième in piazza ............................................pag.47 De mercato in piazza ........................................pag.48 De politichese ......................................................pag.51

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De bar des Amis ............................................pag.52 La morte di Stracassone ..........................pag.55 Commiato .......................................................pag.56 L’autore ...........................................................pag.59 Altre opere .....................................................pag.63

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A.I.T.W. edizioni pubblicazione in ebook - settembre 2016 © By Franco Pastore Cod. GGKEY:XA5BZAQSHYY Pubblicazione cartacea - Dicembre 2016

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