R&A n. 4 aprile 2010

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n°4 Aprile 2010 Anno XI

Free Service Edizioni - Falconara M. (AN) - Rivista Mensile di Informazione e Aggiornamento di Cultura Ambientale - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Ancona

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n° APRILE

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2010

Anno XI

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In copertina: Ciminiere che si stagliano sullo skyline dell’Estonia (foto: Curt Carnemark / World Bank)

n°4 Aprile 2010 anno XI

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CAMBIAMENTI CLIMATICI

Definita la strategia per le iniziative sui cambiamenti climatici per giungere a Cancún L’UE alla ricerca della leadership “perduta” Sarà difficile riproporla senza un obiettivo di riduzione del 30%

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Presentata a Rimini Fiera, durante Sapore 2010, la Ricerca “Dal Carrello della Spesa al Ristorante” Gli Italiani a tavola Più attenti alla qualità che al prezzo

10 Genova, 4-6 marzo 2010 Riconfermato il successo di Energethica Grande l’interesse anche per l’attività convegnistica e dimostrativa

12 A Cesena con AGROFER, il 5° Salone del risparmio energetico, agroenergie e bioedilizia La rassegna delle fonti rinnovabili, nella città romagnola dal 9 all’11 aprile 2010 La Mostra organizzata per avere informazioni, contatti con le imprese installatrici e per capire i vantaggi delle nuove energie


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Fiera di Roma, 13-14 aprile 2010 “Premio Impresa Ambiente” ed “Ecopolìs”: lo sguardo lungo della sostenibilità Ricco programma di Conferenze, Convegni e Workshop

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Resi noti da Eurostat i dati 2008 sui rifiuti urbani nell’UE Il 40% dei rifiuti urbani sono stati riciclati o compostati Ma ogni persona ne produce più di mezza tonnellata per persona

26 INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Convertito in legge il D.L. n. 194/2009 Dal “Milleproroghe” ulteriori insostenibili proroghe ambientali Ma quelle che si profilano all’orizzonte sono ancora più insostenibili

18 Si è svolto a Bruxelles il Consiglio Ambiente (15 marzo 2010) Molti gli argomenti trattati, ma numerosi i dissensi manifestati Positive le conclusioni su Biodiversità, “Europa 2020” e, in parte, Cambiamenti Climatici

Presentato un nuovo Studio “Plastics Paradox” Sfatati alcuni miti sui danni ambientali derivanti dall’uso della plastica

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QUALITÀ E AMBIENTE

Presentato il Rapporto di Legambiente, “Mal’Aria Industriale 2010” Aumenta l’inquinamento atmosferico da fonti industriali La mappa dei siti più inquinanti d’Italia e la ricetta per debellare la “Mal’Aria Industriale” di Silvia Barchiesi

22 Presentata al Parlamento europeo la Ricerca “Il Riciclo Ecoefficiente” Più sostegno al riciclaggio Il contributo del comparto alla tutela dell’ambiente e al risparmio energetico

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IL COMMENTO

Pubblicato il Decreto correttivo SISTRI: solo 30 giorni di proroga e nuovi obblighi Governo e Ministero sono riusciti a resistere (finora) all’attività di lobbying


Regione Toscana Diritti Valori Innovazione Sostenibilità

mostra-convegno internazionale

terrafutura buone pratiche di vita, di governo e d’impresa verso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso

abitare

28-30 maggio 2010

produrre

VII edizione ingresso libero

coltivare

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

agire

governare

Terra Futura 2010 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica per conto del sistema Banca Etica, Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente. In collaborazione con Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA e numerose altre realtà nazionali e internazionali. Relazioni istituzionali e Programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica via N.Tommaseo, 7 - 35131 Padova tel. +39 049 8771121 fax +39 049 8771199 email fondazione@bancaetica.org

Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. via Boscovich, 12 - 35136 Padova tel. +39 049 8726599 fax +39 049 8726568 email info@terrafutura.it

www.terrafutura.it


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MATERIALE IN INSERTO Decreto 15 febbraio 2010 (G.U. 27 febbraio 2010 n. 48) Modifiche e integrazioni al Decreto “SISTRI”

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SERVIZI AMBIENTALI

PolieCo - Ottimizzazione del ciclo dei rifiuti Regione Lazio e PolieCo firmano un accordo di programma Obiettivo: smaltimento e recupero dei fanghi derivanti dal lavaggio di teli agricoli in polietilene

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AMBIENTE E SALUTE

V Conferenza ministeriale su Ambiente e Salute (Parma, 10-12 Marzo 2010) Ridurre entro i prossimi 10 anni gli impatti dell’ambiente sulla salute Sottoscritta da 53 Paesi europei la “Dichiarazione di Parma”

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A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

Task force per un’Italia libera da OGM di Natalia Gusmerotti

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Non è più differibile affrontare la questione “Carbon” o “Green” la tassa su prodotti e consumi è la madre di tutti i business Stimolanti risultati emergono da una Ricerca pubblicata da Bankitalia

38 Pubblicato il 1° Rapporto ONU-DESA “Stato dei popoli indigeni del mondo” Evidenziata la loro vulnerabilità alle pressioni esterne

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€CO-FINANZIAMENTI

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I QUESITI DEL LETTORE

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AGENDA - Eventi e Fiere AMBIENTE MARCHE NEWS GREEN GOVERNANCE


CAMBIAMENTI CLIMATICI

Definita la strategia per le iniziative sui cambiamenti climatici per giungere a Cancún

L’UE ALLA RICERCA DELLA LEADERSHIP “PERDUTA” Sarà difficile riproporla senza un obiettivo di riduzione del 30% La Commissione europea ha presentato il 9 marzo 2010 la Comunicazione “International climate policy post-Copenhagen: Acting now to reinvigorate global action on climate change” con la quale si definisce una Strategia per mantenere l’impulso delle iniziative globali volte ad affrontare i cambiamenti climatici. La Comunicazione propone che l’UE cominci a mettere in atto in tempi brevi il testo approvato lo scorso dicembre a Copenaghen e soprattutto l’assistenza finanziaria “rapida” ai Paesi in via di sviluppo. Parallelamente l’UE dovrebbe continuare a insistere per concludere un accordo valido e giuridicamente vincolante che coinvolga tutti i Paesi in una vera azione per il clima. Per fare ciò, secondo la Commissione, sarà necessario inserire il testo di Copenaghen nei negoziati delle Nazioni Unite e affrontare i punti deboli del protocollo di Kyoto. Un’azione di coinvolgimento attivo dell’UE verso l’esterno sarà il fattore determinante per promuovere il sostegno ai negoziati ONU. Il Presidente della Commissione, José Manuel Barroso ha dichiarato che “La Commissione è decisa a mantenere l’impulso a favore dell’azione di lotta ai cambiamenti climatici in tutto il mondo. La comunicazione di oggi definisce una strategia chiara riguardante le fasi successive necessarie per dare nuovo vigore ai negoziati internazionali e coinvolgere i nostri partner in questo percorso. Intendo chiedere al prossimo Consiglio europeo di sostenere la strategia, anche sulla base di ulteriori consultazioni che la Commissaria Hedegaard avvierà, su mia richiesta, con i principali partner internazionali”. Connie Hedegaard, Commissaria incaricata dell’Azione per il Clima, si è così espressa: “I cambiamenti climatici potranno essere contenuti solo con l’intervento di tutti i principali emettitori. Naturalmente, nessuno più di me si augura di poter giungere a risultati conclusivi in Messico; tuttavia, i segnali che giungono da varie capitali dei prin-

cipali emettitori non rendono questo obiettivo molto probabile. A Copenhagen il mondo ha avuto un’opportunità unica e non l’abbiamo sfruttata nella sua interezza. Adesso dobbiamo garantire l’impulso necessario e fare del nostro meglio per ottenere dei risultati specifici e importanti a Cancún e per garantire il raggiungimento di un accordo sulla forma giuridica al più tardi in Sudafrica. Copenhagen ha rappresentato un passo avanti. E anche se il testo approvato in quella sede non corrisponde agli obiettivi ambiziosi che l’Europa si è fissata, il sostegno sempre maggiore che tale testo sta ricevendo in tutto il mondo offre all’UE la possibilità di ispirarsi ad esso e tradurlo in azione. L’esempio più convincente di leadership che ora l’Europa può dare è l’adozione di interventi concreti e decisi per trasformare l’UE nella regione più compatibile con il clima al mondo; ciò ci permetterà anche di rafforzare la sicurezza energetica, di stimolare una crescita economica più ecocompatibile e di creare nuova occupazione.” Secondo quanto riferito da EurActiv. com (10 marzo 2010 “EU comes up with exit strategy for climate talks”), il Capo della diplomazia climatica dell’UE avrebbe aggiunto che la Commissione UE dovrebbe presentare un’analisi di ciò per l’Europa si sarebbe dovuto fare per ridurre le emissioni del 30% al 2020, rispetto ai livelli del 1990. Un possibile ostacolo all’obiettivo del 30% è stata la divisione interna tra i suoi 27 Stati membri, con Polonia e Italia preoccupate per i costi di un tale cambiamento, ed altri Paesi, quali Svezia e Gran Bretagna desiderosi di affrontare la sfida. Quantunque l’offerta di un condizionato impegno del 30% fa parte della Strategia di negoziazione dell’UE per i colloqui internazionali, tuttavia l’Unione dovrebbe considerare anche le implicazioni positive che ne deriverebbero per la crescita economica. Il nuovo Piano strategico “Europa 2020”, presentato il 3 marzo 2010, tra l’altro, mira a rafforzare la sicurezza

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energetica, tagliando 60 miliardi di euro nel prossimo decennio per l’importazione di petrolio e gas, tanto che la Commissione ha aggiustato un po’ la formulazione e ora si parla di un impegno del 30% se le condizioni sono quelle giuste (“if the conditions are right”). Intervenendo, poi, sulla questione “Kyoto o non Kyoto”, la Hedegaard ha spiegato che l’Unione europea vuol vedere tutte le altre Nazioni sviluppate impegnarsi per un trattato vincolante, ma è pronta anche nel proseguire con il Protocollo di Kyoto dei quali obblighi sta rispondendo, anche se ci sono questione che abbisognano chiaramente di una riforma. In particolare, la Commissione avverte che le lacune dell’attuale architettura del Protocollo di Kyoto sta minando l’obiettivi di mantenere il riscaldamento globale entro i 2 °C, che è già a rischio a causa dei deboli impegni di riduzione dei Paesi sviluppati (cfr.: “Falliscono l’obiettivo di contenimento del riscaldamento entro i 2 °C”, in Regioni&Ambiente, n. 3 marzo 2010, pag. 6 e segg.) Vediamo ora sinteticamente i punti salienti della Comunicazione. Tabella di marcia per i negoziati La comunicazione propone una tabella di marcia per il processo negoziale che ripartirà ad aprile. Le linee politiche contenute nel testo approvato a Copenhagen (il cosiddetto “Copenhagen Accord”), che non sono state formalmente adottate come decisione ONU, dovranno essere integrate nei testi oggetto di negoziato in ambito ONU che conterranno la base del futuro accordo globale sul clima. L’UE è pronta a sottoscrivere un patto giuridicamente vincolante a livello mondiale nel corso della Conferenza ONU sul Clima di Cancún, in Messico, alla fine di quest’anno. La Commissione è tuttavia consapevole che le divergenze di vedute tra i Paesi potrebbero ritardare l’adozione di un accordo al 2011. L’UE è pronta, ma il resto del mondo potreb-


be non esserlo e per questo si dovrà adottare un approccio graduale. Il testo di Copenhagen Il testo approvato a Copenhagen rappresenta un passo in avanti verso l’obiettivo che l’UE di arrivare ad un accordo sul clima di portata mondiale e giuridicamente vincolante che entri in vigore nel 2013, cioè al termine del primo periodo di impegno previsto dal Protocollo di Kyoto. Il testo accoglie l’obiettivo principale sostenuto dall’UE, ossia il mantenimento del surriscaldamento globale al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, per evitare le ripercussioni peggiori dei cambiamenti climatici. Finora i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, che producono oltre l’80% delle emissioni di gas serra a livello planetario hanno inserito i rispettivi obiettivi di emissione o azioni in materia nel testo di Copenaghen. Questo dato significa che la maggior parte dei paesi intende intensificare la lotta contro i cambiamenti climatici. Integrità ambientale I negoziati internazionali dovranno garantire che il futuro accordo globale sul clima abbia un ‘elevata integrità ambientale e serva realmente a mantenere

il riscaldamento al di sotto dei 2 °C. Il Protocollo di Kyoto rimane l’elemento attorno al quale ruota il processo ONU, ma è necessario affrontarne i problemi, in particolare il numero limitato di Paesi cui è destinato e i punti deboli più seri, che riguardano le norme per la contabilizzazione delle emissioni prodotte dalla silvicoltura e il trattamento dei diritti di emissione nazionali in eccesso riportati dal periodo 2008-2012. Se tali punti deboli permanessero si rischierebbe di annullare del tutto gli attuali impegni dei Paesi industrializzati ad abbattere le emissioni. La leadership dell’UE La Commissione ritiene che l ‘UE debba dare dimostrazione di leadership adottando azioni concrete, nell’ambito della sua Strategia “Europa 2020”, per trasformarsi nella regione mondiale più compatibile con il clima. L’UE si è impegnata a ridurre le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 e ad arrivare al 30% se altre economie importanti accetteranno di partecipare equamente allo sforzo globale di abbattimento. In vista del Consiglio europeo di giugno, la Commissione preparerà un’analisi delle strategie pratiche che potrebbero essere neces-

Una famiglia del Bangladesh in viaggio alla ricerca di un luogo più sicuro durante le inondazioni

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sarie per ottenere una riduzione delle emissioni del 30%; successivamente la Commissione provvederà a delineare un percorso di transizione che porti l’UE a diventare un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050. In linea con la Strategia “Europa 2020”, si tratta di proporre soluzioni intelligenti che favoriscano la lotta ai cambiamenti climatici, ma anche la sicurezza energetica e l’occupazione. Finanziamenti “rapidi” La Commissione propone che l’UE inizi a dare applicazione al testo di Copenaghen. Per tutelare la propria credibilità e rafforzare le capacità dei Paesi beneficiari di far fronte ai cambiamenti climatici, l’UE dovrebbe concretizzare in tempi rapidi l’impegno a stanziare 2,4 miliardi di euro nell’ambito dell’assistenza finanziaria “rapida” annua ai Paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2012. La Commissione è disposta a garantire il coordinamento dell’assistenza UE. Sviluppare ulteriormente i mercati del carbonio Nella Comunicazione si sottolinea che l’UE dovrebbe impegnarsi per portare avanti lo sviluppo del mercato internazionale del carbonio, elemento fondamentale per dare impulso agli investimenti a basse emissioni di carbonio e ridurre le emissioni planetarie in maniera economicamente efficace. Il mercato del carbonio può, inoltre, creare importanti flussi finanziari verso i Paesi in via di sviluppo. Intensificare le attività di coinvolgimento L’UE dovrà lavorare di più per creare fiducia sulla possibilità di giungere ad un patto globale ed esaminare quali decisioni specifiche orientate all’azione potranno essere adottate a Cancún. La Commissione avvierà queste iniziative di coinvolgimento e sensibilizzazione in stretto contatto con il Consiglio e con la Presidenza e intende incoraggiare e assistere il Parlamento europeo affinché coinvolga attivamente i parlamentari dei principali Paesi partner.


MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Presentata a Rimini Fiera, durante Sapore 2010, la Ricerca “Dal Carrello della Spesa al Ristorante”

GLI ITALIANI A TAVOLA

Più attenti alla qualità che al prezzo

Gli italiani, dunque, sembrerebbero mettere in pratica i consigli dei nutrizionisti che invitano a consumare carboidrati (primo piatto) a pranzo e a tenersi più leggeri a cena.

In occasione di “SAPORE 2010.Tasting Experience” (Rimini Fiera, 21-24 febbraio 2010), il polo espositivo dedicato all’Alimentazione, che quest’anno ha avuto connotazioni fortemente innovative, è stata presentata una Ricerca, promossa da Rimini Fiera e FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e condotta dal Centro Studi FIPE-Confcommercio, dal titolo “Dal Carrello della Spesa al Ristorante. Cambia il modo di guardare gli italiani a tavola”. Si tratta di una vera fotografia delle scelte alimentari degli italiani, sia all’interno delle pareti domestiche sia all’esterno, nelle varie tipologie offerte dal mercato per la ristorazione, condotta su un campione rappresentativo di popolazione maggiorenne, distribuito per area geografica, dimensioni del comune di residenza, sesso ed età.

Gli stili alimentari in casa Al di là di chi fa scelte diverse tra pranzo e cena, si evince che anche a livello generale vengono confermate delle differenze tra i due pasti principali: per il pranzo a casa si predilige “una” (44%) o “due” (46%) portate, che generalmente sono “primo” o “piatto unico” e “primo e secondo”, mentre a cena domina “una sola portata” (61,5%), che di solito è un “secondo” o un “piatto unico”. Dunque il pasto tra le mura domestiche è fortemente destrutturato. Chi sceglie il pasto completo di almeno tre portate a pranzo, vicino a primo piatto e secondo piatto, inserisce l’antipasto e a cena il dessert. Ma, quali sono gli “alimenti maggiormente consumati a casa propria?”. I “primi piatti”, la “frutta” e la “verdura/insalata”, vengono consumati “tutti i giorni o quasi” da circa i due terzi degli intervistati. I “formaggi”, come prodotto di pronto consumo, hanno un buon gradimento, mentre il “pesce” è consumato “tutti i giorni o quasi” da un numero modesto di intervistati (13,5%). La cucina casalinga si conferma, dunque, per essere piuttosto sbrigativa.

Dalla Ricerca emerge che il “pranzo” continua ad essere per gli italiani il pasto principale della giornata. Lo afferma tre quarti del campione intervistato (73,5%) ed è particolarmente vero per le donne (77,5%) e per gli ultra 55enni. Una percentuale marcatamente sopra la media per la “cena” è stata invece registrata tra i 25-34enni (41% contro il 26,5% medio) e tra i residenti al Centro-Italia (30,5%). Più di otto italiani su dieci (83,5%) “variano le proprie scelte alimentari” in funzione del pranzo o della cena e, approfondendo le differenze, si vede che si tratta prevalentemente di aspetti legati alla quantità di cibo più che alla varietà: il “primo piatto” viene consumato decisamente più a pranzo (70%) che non a cena (30%), con una differenza di 40 punti percentuali. Al secondo posto, con una marcata differenza (24 punti percentuali) tra pranzo e cena in favore di quest’ultima, è il “tenersi leggero”. Al terzo posto, con una differenza di 21 punti, la consumazione di un “pasto completo”, è preferito a pranzo piuttosto che a cena.

Piatti e alimenti più consumati: - i giovanissimi tendono a consumare preferibilmente i primi e scarseggiano a frutta; - sono più salutiste le altre categorie, con chi ha tra 25-34 anni che controlla il consumo dei primi piatti, forse per attenzione alla forma fisica, mentre dai 45 anni in su si potenzia il consumo di frutta e verdura.

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Tra i piatti e gli alimenti meno consumati: - le donne hanno un consumo limitato di salumi e vino; - antipasti e dessert sono fortemente controllati tra gli over 55 anni; - la categoria dei 45-54enni risulta essere quella più completa e “godereccia”, con consumi superiori alla media, anche tra i prodotti e alimenti generalmente “no”.

Tra i piatti e gli alimenti meno consumati: - Il “piatto unico” risulta particolarmente apprezzato dai giovani, probabilmente per velocità ed economicità; - I formaggi hanno tra i massimi estimatori gli over 64 anni e i residenti al Sud e Isole. Casa vs Ristorante = Semplicità vs Innovazione La casa è sinonimo di “semplicità”, “pasto veloce” e “piatto unico”. Il ristorante è saldamente associato, invece, a “innovazione/ scoperta”, ma anche a “abbondanza”, e “convivialità” Da notare che proprio i giovani associano, con valori superiori alla media, la “semplicità” alla casa e “l’innovazione e scoperta” al ristorante. Altri due aspetti interessanti che hanno visto uomini e donne dividersi sono il “relax” e la “quantità”: in entrambi i casi, i maschi registrano un’associazione con valori superiori alla media per la “casa”, mentre le donne per il “ristorante”.

Gli stili alimentari ai ristoranti Per gli italiani il ristorante si caratterizza come luogo di convivialità, per “festeggiare ricorrenze particolari” (44%) o per “stare in mezzo alla gente” (38,5%). Per le donne è anche l’occasione “per non dover cucinare” (23,5% contro il 19% medio), mentre per i maschi si registra un picco del 22,5% contro 18,5% per il ristorante come “luogo in cui mangiare bene”, forse a differenza di casa... Quasi i tre quarti del campione (71%) al ristorante “cercano i piatti che a casa non trovano/preparano”, con un interessante 80% tra le giovani generazioni per le quali probabilmente la memoria della cucina si è piuttosto indebolita.

Ingredienti di qualità meglio di nuovi sapori Gli italiani, pur tra forti cambiamenti, si confermano gourmet. Restano attenti alla “ricerca di ingredienti di qualità” (91,5%), ritengono il cibo un “piacere” (91%) e utile ad una buona salute (87,5%). Le donne intervistate hanno dimostrato maggior accordo proprio con il cibo come “piacere”, con la voglia di dedicare “tempo alla tavola” (84% contro il 78,5% medio), con il “cibo è salute” e con la “ricerca di nuovi sapori”. Non va trascurato, tuttavia, che per un intervistato su due, senza particolari differenze tra i sessi, il cibo è soltanto un “dovere di sopravvivenza”.

Antipasti e dessert i maggiori “sfizi” A pranzo prevalgono i pasti completi con almeno tre portate, tipici degli appuntamenti conviviali al ristorante (percentuali superiori alla media, in questo senso, sono state registrate tra gli intervistati residenti al Sud e Isole, ma anche tra i maschi). Quanto al tipo di portate consumate, balza subito all’occhio, rispetto al consumo domestico, l’impennata dell’antipasto: se infatti nelle due portate a casa aveva avuto citazioni trascurabili, qui si attesta al 43%, mentre nelle tre portate balza addirittura dal 15% di casa al 69,5% del ristorante. Quanto alla cena, pur nel quadro di un bisogno di maggior leggerezza (il menù a pacchetto scende al 17,5%, mentre la “portata unica” sale al 9%), la tendenza a consumare pasti completi risulta ancora prevalente. Anche in questa occasione si evidenzia l’impennata del consumo di antipasti e dessert, sia rispetto a casa che rispetto al pranzo al ristorante, con un contenimento, invece, del primo piatto a vantaggio del secondo, indipendentemente dal numero delle portate.

Ma come vivono il ristorante gli italiani, oggi rispetto a ieri? Nove intervistati su dieci hanno dichiarato di essere “più attenti all’ambiente e alla cura del servizio”; otto su dieci guardano alla “qualità piuttosto che al prezzo”, e magari compensano ordinando meno piatti. Circa tre quarti cercano piatti che a casa di solito non cucinano. Conclusioni In sintesi gli aspetti che caratterizzano il vissuto degli italiani con il consumo alimentare sono: - la crisi non segna il ritorno del consumo alimentare tra le mura domestiche come si è erroneamente creduto in questi ultimi mesi; - in casa la crisi del modello alimentare italiano è sempre più evidente (prevale il piatto unico e si dedica sempre meno tempo alla cucina), mentre al ristorante gli italiani confermano la sensibilità ai piaceri della tavola (si comincia con l’antipasto e si chiude con il dessert seppure nel contesto di un pasto meno strutturato che in passato); - in casa il perimetro del consumo è caratterizzato da prodotti di “pronto consumo” (insalate, formaggi, frutta, ...); - al ristorante dal pesce, dalla verdura, dai salumi, dai dolci e, perfino, dal vino; - la casa diventa sempre di più luogo di semplicità e frugalità, il ristorante è vissuto, invece, come luogo di “innovazione e scoperta” ma anche di “convivialità” ed “abbondanza”; - al ristorante si va, tra l’altro, per mangiare le cose che in casa non si trovano o non si cucinano più.

Il pesce? meglio al ristorante Le maggiori differenze tra consumo domestico e consumo extra-domestico riguardano proprio i consumi di “pesce”, ma anche di “antipasti”, “salumi”, “dessert” e “vino”. Cala decisamente, rispetto a casa, il consumo di “frutta” a conferma del fatto che al ristorante il dessert, sia per ragioni psicologiche che economiche, è il vero antagonista della frutta. Tra i piatti e gli alimenti più consumati: - il pesce risulta particolarmente apprezzato dagli appartenenti alle fasce centrali di età e dagli intervistati del Centro e Sud Italia; meno dai giovani; - la fascia dei 45-54enni si conferma, anche al ristorante, quella più “aperta” e godereccia; - gli ultra 64 anni paiono, invece, limitare molto i consumi al ristorante, a parte le verdure, denotando attenzione alla propria salute; - le femmine non rinunciano al “dessert”.

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Genova, 4-6 marzo 2010

RICONFERMATO IL SUCCESSO DI ENERGETHICA

Grande l’interesse anche per l’attività convegnistica e dimostrativa

Si è conclusa il 6 marzo alla Fiera di Genova Energethica, V Salone dell’energia rinnovabile e sostenibile, organizzato da Emtrad srl, arricchito da Convegni e Aree dimostrative. Nonostante la difficile situazione economica, l’afflusso dei visitatori si rivela in linea con le cifre dello scorso anno. A detta degli oltre 350 espositori, il pubblico intervenuto risulta ancora più qualificato. C’è grande soddisfazione tra gli organizzatori della quinta edizione di Energethica che quest’anno ha avuto un occhio di riguardo per l’Italia e per le realtà d’eccellenza presenti nel nostro Paese. Eolico, fotovoltaico, biomasse, solare termico: i settori rappresentativi delle energie rinnovabili sono stati tutti presenti a Energethica 2010, come testimonia l’area della manifestazione dedicata alle aziende. Ma quest’anno la Fiera, rispetto agli anni passati, si è contraddistinta soprattutto per lo spazio offerto al made in Italy, pur non mancando una rappresentanza significativa di aziende straniere. Nella filiera della produzione di materiali eco-sostenibili si è segnalata Ferrania Solis, controllata dal Gruppo Messina, produttrice dal 1923 di pellicole e lastre radiografiche. Con l’avvento del digitale Ferrania ha attraversato inevitabilmente una profonda crisi, cui è seguita l’attuale crisi finanziaria. Ma proprio grazie al fotovoltaico è riuscita a sopravvivere, trasformando una crisi in una crescita. “Oggi - come ha sottolineato Luisa Tavella, Responsabile commerciale del gruppo - 19 mila metri quadri dell’area di

Ferrania sono destinati alla produzione di pannelli fotovoltaici in silicio cristallino nello stabilimento di Cairo Montenotte (Savona) e proprio grazie alle energie rinnovabili siamo riusciti a rimettere in moto la produzione, tornando a crescere”. Nella parte superiore dell’area fieristica hanno trovato collocazione le associazioni, le istituzioni, nonché la sezione dedicata al risparmio energetico ed all’efficienza. Ampio spazio è stato dedicato all’Isola della Toscana che, come ha spiegato Alessandro Schena, dell’Area di Ricerca del CNR Firenze, è un’area espositiva dedicata alle aziende, alle associazioni e alle istituzioni, con l’obiettivo di favorire il dialogo tra ricerca e industria. Merita segnalazione il Progetto Casa Italiana che, come ha spiegato l’architetto Giorgio Mallarino che l’ha realizzata “è un progetto che valorizza il lavoro e il marchio “Qualità Italia per l’abitare eco-sostenibile e che riunisce le ditte italiane innovative del settore”. In sostanza si tratta di un prototipo di casa dove le tecnologie sono improntate alle energie rinnovabili e l’impatto ambientale equivale a zero. Altro elemento che caratterizzante Casa Italiana è che tutte le aziende che hanno realizzato le tecnologie rappresentate in questo prototipo sono italiane: dal concentratore solare alla piastra d’irraggiamento per finire con il tetto fotovoltaico e con i pannelli isolanti, realizzati con lo scarto dei tappi di sughero. Il logo “Qualità Italia per l’abitare eco-sostenibile” è completamente gratuito, all’unica condizione che la produzione non venga delocalizzata.

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Infine, tra i tanti espositori, va registrata la presenza insolita di LCR Honda Moto GP il cui obiettivo per questa stagione motociclistica in corso è di arrivare a fine anno con un’attività complessiva del settore ad impatto zero. Per realizzare questo sogno eco-friendly sono state adottate tre motrici che utilizzano uno specifico sistema ibrido, il D-GID (dieselgas iniezione diretta). Grazie a questo sistema i risparmi

ecologici raggiunti sono rispettivamente del 20% in termini di CO2, del 30% in termini di idrocarburi e del 50% in termini di particolato. Laddove le emissioni sono inevitabili, come nel caso di un brand motociclistico, è stato studiato un sistema per compensarle attraverso la riforestazione di alcune aree nel mondo.

VIVERE… IN UNA CITTÀ SOSTENIBILE Nel corso della giornata conclusiva di Energethica si è svolto il Convegno “Vivere in una città sostenibile”, dedicato alla vita sostenibile dei privati, siano essi cittadini o aziende: “Dove abitare, quale stile di vita scegliere, come fruire energia”. Su questi temi si sono confrontati Stefano Dotta, Responsabile dell’Osservatorio Bioedilizia, Giampaolo Valentini, GdL Efficienza energetica dell’ENEA e Alessandro Cecchi Paone, in qualità di Presidente del Comitato scientifico di ANTER. Valentini si è soffermato sull’impatto pratico che ha avuto l’iniziativa delle detrazioni fiscali del 55% per coloro che intraprendono interventi di riqualificazione energetica del proprio immobile. Più di 600 mila persone le hanno già utilizzate e il sistema si è rivelato tra i più democratici. Cecchi Paone, dopo aver riflettuto sull’accezione della parola risparmio ed efficienza nella psicologia degli individui, ha raccontato invece del Parco Giochi Energie Rinnovabili, una piccola Disney in versione ecologica senza rischi di far passare il virtuosismo ambientale come un passatempo noioso. Al termine della prima parte del Convegno, a cui è seguita una sessione dedicata alle best practices dei Comuni virtuosi, è stato consegnato il secondo premio previsto dalla Manifestazione fieristica, ovvero il Premio Energetica al Fotovoltaico. Il vincitore è risultato l’architetto Raffaele Astorino, Dottorando di Ricerca a Reggio Calabria, con il progetto di riqualificazione energetico-ambientale del Liceo Artistico “Mattia Preti” di Reggio Calabria. Del progetto è stata particolarmente apprezzata l’integrazione di varie tecnologie al servizio di una riqualificazione dell’edificio, oltre alle considerazioni legate alle dinamiche passive dello stesso a servizio del risparmio energetico. In seguito, è intervenuto Alfonso Pecoraro Scanio che ha evidenziato l’importanza di mettere in rete le varie realtà che si occupano di energia sostenibile e permettere azioni di lobbying. È questo l’obiettivo che Univerde, da lui fondata, persegue e che trova riconferma nell’approccio di Energethica.

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A Cesena con AGROFER, il 5° Salone del risparmio energetico, agroenergie e bioedilizia

LA RASSEGNA DELLE FONTI RINNOVABILI, NELLA CITTÀ ROMAGNOLA DAL 9 ALL’11 APRILE 2010

La Mostra organizzata per avere informazioni, contatti con le imprese installatrici e per capire i vantaggi delle nuove energie

A Cesena da venerdì 9 a domenica 11 aprile 2010 si terrà AGROFER, Salone delle Agroenergie, Risparmio Energetico, Bioedilizia, la Rassegna dedicata alle fonti energetiche rinnovabili, organizzata da Cesena Fiera. AGROFER parte dall’esigenza di far conoscere al grande pubblico la sostanza delle problematiche energetiche, le soluzioni che possono essere adottate e, inoltre, vuol rendere consapevoli cittadini e amministratori che attraverso l’impegno di ognuno è possibile salvaguardare l’ambiente e vivere meglio. Con una particolare attenzione per il mondo agricolo e tutto quello che comporta. L’umanità in 150 anni circa ha consumato quasi il 50% del totale delle risorse energetiche sia fossili (petrolio, carbone, ecc.) che per il nucleare (anche l’uranio si esaurirà) e lo sviluppo dei popoli emergenti fanno pensare ad una accelerazione dell’impiego del rimanente (si parla del 2050 come limite), con il rischio di togliere il futuro a figli e nipoti. Per questo diventa vitale ed essenziale l’uso delle FER o Energie da Fonti Rinnovabili, che hanno nel sole il “grande motore”. Si consideri che la stessa energia eolica è determinata da masse d’aria a differente calore il cui movimento è aiutato dalla rotazione terrestre. Con le energie rinnovabili si riducono le emissioni di anidride carbonica, dannose per l’uomo e per l’ambiente. L’altra grande sfida viene dal risparmio energetico. E le

città ne sono il simbolo: occupano il 2% della superficie e consumano il 50% delle energie. È possibile attuare programmi edilizi consoni allo scopo, applicando tecniche risparmiose e bioedilizia, lampade di nuova generazione e led, areazione dei muri e altre strategie costruttive. Per questo, organismi mondiali e riunioni periodiche degli stati hanno chiesto di adottare misure consone, come quella ri-lanciata recentemente a Copenaghen e definita “20-20- 20”, cioè portare entro il 2020 la produzione di energie da fonti rinnovabili al 20% del totale, riducendo le emissioni di anidride del 20%. L’agricoltura e le aree rurali rappresentano un “giacimento” formidabile di fonti energetiche: i prodotti e sottoprodotti dell’attività agricola e forestale possono contribuire in modo significativo all’incremento della quota complessiva di energia prodotta da fonti rinnovabili. AGROFER torna quest’anno con novità rivolte agli operatori del settore e a tutti i cittadini interessati allo sviluppo sostenibile e al risparmio energetico, quindi ai tecnici dei Comuni ed a privati attenti ai temi ambientali. Inoltre, è rivolta a tutti gli operatori del settore agricolo ed energetico, della bioedilizia e della impiantistica. Per questi motivi AGROFER, da subito, è stata patrocinata, prima, dal Ministero dell’Ambiente e dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione

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Emilia-Romagna e Assessorato all’Agricoltura della Provincia di Forlì-Cesena e poi inserita nel contesto del “distretto delle agroenergie”, approvato anche dal tavolo verde delle tre province romagnole di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Oggi si parla di Green Economy, di cui AGROFER offrirà uno spaccato concreto e quasi esaustivo, ovvero di quel complesso di attività (e quindi di aziende) che operano per rendere possibile la diffusione delle FER. Per fare un esempio, la Germania, leader mondiale del fotovoltaico, ha oltre 1.100 imprese operanti nel settore, con un fatturato di oltre 25 miliardi di Euro (e 6 di export), con un incremento del +12% sull’anno precedente per 250 mila addetti (+16% sull’anno prima). Se l’Emilia-Romagna imboccasse decisamente la via delle FER (soprattutto Fotovoltaico) potrebbe creare in 5 anni qualcosa come 80mila nuovi posti di lavoro. AGROFER, oltre che ai cittadini adulti, si rivolge ai più giovani anche attraverso alcuni laboratori organizzati da gruppi di lavoro specializzati, come l’Associazione PAEA. Venerdì 9 Aprile ci sarà “Giocare con il sole”, rivolto a 40-45 alunni della Scuola Primaria (Elementari e Medie Inferiori), accompagnati da docenti, con realizzazioni di giochi solari (laboratorio pratico), a partire da materiali di recupero, collanti naturali, piccoli pannelli fotovoltaici e motorini. Tutte le creazioni verranno messe in movimento. Domenica 11 Aprile, nel pomeriggio, si potrà “Giocare con il Riciclo”, bambini dai 4 agli 11 anni, in visita coi genitori, saranno coinvolti in un laboratorio didattico di animazione e creativo per progettare e realizzare, con materiale di recupero, mezzi di trasporto, edifici e spazi (in particolare scuole e giardini), funzionanti esclusivamente ad energie rinnovabili. Cesena Fiera ha predisposto un calendario di Convegni che è diventato di notevole interesse anche con l’apporto di

varie aziende o gruppi che hanno voluto cogliere l’occasione per organizzare incontri e workshop. Venerdì 9 aprile (mattino): “Green Economy: quali opportunità-azioni per le qualifiche aziendali” (Sala Europa); “Minireti di teleriscaldamento a cippato” (Sala Verde); “Il fotovoltaico un vero investimento” (Sala Agricoltura); “La ventilazione comfort e la sua integrazione impiantistica: vantaggi in termini energetici ed ambientali” (Sala Agricoltura). Venerdì 9 aprile (pomeriggio): “La coltivazione di energia e il nuovo conto energia 2011” (Sala Europa); “Bioedilizia, quali le regole: come investire correttamente ed ottenere risparmi, non solo energetici” (Sala Verde); “Pianificazione e tecnologie per la diffusione delle rinnovabili: il caso della valorizzazione energetica dei reflui avicoli nella provincia di Forlì-Cesena” (Sala Agricoltura). Sabato 10 aprile (mattino): “Valorizzazione energetica di olio vegetale usato e residui agricoli” (Sala Europa); “Energie rinnovabili, risparmio energetico, recupero edilizio, educazione, informazione e pianificazione” (Sala Verde); “Solare termico e caldaia nuova generazione” (Sala Agricoltura). Sabato 10 aprile (pomeriggio): “Risparmio energetico e fonti rinnovabili in ambito rurale: Climatizzazione degli edifici in geotermia” (Sala Europa); “Le opportunità ed i vantaggi del fotovoltaico - (confronti fra le varie retribuzioni di impianti già realizzati e funzionanti)” (Sala Verde); “La microcogenerazione nuova energia” (Sala Agricoltura).

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Fiera di Roma, 13-14 aprile 2010

“PREMIO IMPRESA AMBIENTE” ED “ECOPOLÌS”: LO SGUARDO LUNGO DELLA SOSTENIBILITÀ Ricco programma di Conferenze, Convegni e Workshop

“Sostenibilità”: è senza dubbio la parola più usata degli ultimi anni, più usata e controversa, o quantomeno problematica e discussa, vista la mole di dibattito che è riuscita, nel tempo, a catalizzare attorno a sé. In un processo di sviluppo incessante, di emergenza energetica cronica, di costante abuso delle risorse naturali, di urbanizzazione continua - con una popolazione sempre meno rurale e sempre più “metropolitana” (si calcola che entro il 2030 oltre 5 miliardi di persone vivranno nelle città) - i governi nazionali e locali devono necessariamente affrontare il tema della salvaguardia dell’ambiente, e preventivare gli effetti potenziali che le decisioni di programmazione e di

intervento adottate oggi possono produrre domani. Pensare, progettare, sviluppare; guardare a lungo termine. Sembra essere questa la strada più opportuna. La più sensata. Tracciare nel tempo una prospettiva più ampia dell’uso degli spazi urbani e produttivi. Non più una visione a scadenza, ma una proiezione che vada oltre il tempo del vissuto, che si spinga aldilà della propria generazione. Semplicemente, che guardi al dopo. Una prevenzione che anticipi le esigenze. Molte realtà, pubbliche e private, sono già pronte a questo approccio, da tempo.

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Più che pronte, alcune sembrano essere inclini; naturalmente predisposte. E la loro visione a lungo termine scorge nelle potenzialità della “politica verde” una delle leve essenziali alla loro competitività. Il Premio Impresa Ambiente (PIA) è rivolto proprio a loro. Porta d’accesso all’European Business Awards for the Environment - promosso dalla Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea - è il più alto riconoscimento italiano per le imprese private e pubbliche che si siano distinte in un’ottica di sviluppo sostenibile, rispetto ambientale e responsabilità sociale. Sono 112 le aziende candidate per l’edizione 2010, per un totale di ben 130 progetti in concorso.


Nelle scorse edizioni, il Premio ha visto aziende eccellenti candidate con progetti e prodotti che hanno contribuito concretamente a migliorare l’impatto economico, sociale e ambientale in Italia. Dalla plastica solubile in acqua e biodegradabile ai giocattoli a base di amido di mais, dall’inchiostro con coloranti alimentari alla tegola solare che produce energia elettrica pulita, dal treno fotovoltaico alle mense a kmzero, il Premio ha portato alla ribalta progetti di grandi aziende, ma anche - e soprattutto - di piccoli imprenditori con un forte potenziale, guidati da una nuova filosofia del fare impresa. C’è, infatti, nel nostro Paese un grande fermento da parte di imprese anche molto piccole, che sempre più cercano di distinguersi sul mercato, offrendo soluzioni che fanno della sostenibilità la carta vincente. A questo proposito, i dati Eurispes (Rapporto Italia 2010) parlano chiaro: in Italia la Green Economy si attesta su un mercato da 10 miliardi di euro. I progetti in concorso, valutati da una giuria composta da esperti del settore ed esponenti del sistema produttivo e della ricerca, sono suddivisi in 4 diverse categorie: - miglior gestione; - miglior prodotto; - miglior processo; - migliore cooperazione internazionale. La stessa Commissione di giurati assegnerà, contestualmente ai quattro titoli, anche il “Premio Speciale Giovane Imprenditore per l’ambiente”, riconoscimento riservato a titolari o dirigenti

d’impresa under 40 (già in gara per una delle categorie in concorso), che si siano distinti per spiccate capacità imprenditoriali, innovazione ed attività di ricerca dedicate allo sviluppo ecosostenibile. La quarta edizione del PIA si svolge in partnership con Ecopolìs. Le imprese vincitrici del 2010 saranno infatti premiate il 14 aprile tra i padiglioni della Nuova Fiera di Roma, nel corso di una cerimonia inserita nel ricco calendario della seconda edizione di quella che è già una delle più importanti manifestazioni internazionali dedicate ai temi dell’ambiente urbano e della sostenibilità. Promossa da Camera di Commercio di Roma e Fiera Roma con il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di Unioncamere, e sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica, Ecopolìs è nata nel 2009 come momento di riflessione sull’ambiente urbano e di scoperta delle tecnologie, dei prodotti e dei processi di gestione delle città. Un Forum in cui istituzioni, operatori del settore, aziende e tecnici, possono incontrarsi e confrontarsi sulle tematiche più rilevanti della green economy, rappresentando la pluralità di esperienze di quanti quotidianamente operano per proporre soluzioni volte a soddisfare il crescente bisogno di fare impresa sostenibile. La sua duplice forma prevede una parte espositiva e una dedicata alle Conferen-

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ze, ai Convegni e ai Workshop. La prima, che ha cadenza biennale, ha il suo fulcro nella partecipazione delle aziende che espongono e presentano al pubblico i loro progetti. La seconda, che mantiene invece una cadenza annuale, è un importante momento di approfondimento sulle tematiche più delicate e discusse nell’ambito del settore della sostenibilità. Quest’anno, l’appuntamento è per il 13 e 14 aprile, presso la Fiera di Roma: un nutrito e dettagliato programma di convegni e conferenze traccerà le linee guida sulle tematiche sociali ed economiche legate alla transizione verso un’economia più sostenibile, vista non più solo come urgenza “etica”, ma anche motore di ripresa per il sistema economico. Durante la due giorni di questa seconda edizione si farà luce dunque su alcuni dei processi delle grandi trasformazioni che interessano le aree urbane, grazie all’intervento di relatori di calibro internazionale che tracceranno soluzioni integrate per rispondere alle esigenze di una città in continua evoluzione, dal punto di vista urbanistico, sociale, economico e culturale. Le main conferences dell’edizione 2010 si snoderanno attorno ai seguenti temi: “La città del futuro” svilupperà il tema del mutamento delle città e degli interventi necessari per ridisegnare i nuclei urbani, al fine di adeguarli ai nuovi standard di sostenibilità e sicurezza, affrontando anche il dibattito dell’armonia tra vecchi e nuovi contesti urbani; “Gente di città” affronterà invece il tema delle identità, della coesione e dell’armonia o disarmonia urbana e del tessuto connettivo che servizi e reti sociali danno alle aree urbane; “Una città che mangia” sarà infine un excursus sulle modalità di gestione dei flussi di approvvigionamento alimentare delle città, teso anche ad illustrare gli effetti che le scelte alimentari - private e pubbliche - hanno sulla qualità e sulla quantità dei processi di produzione, trasformazione e distribuzione di prodotti e filiere agroalimentari, e a individuare le possibili soluzioni finalizzate alla riduzione dell’impatto sull’ambiente e sulla vita di tutti i giorni.


INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Convertito in legge il D.L. n. 194/2009

DAL “MILLEPROROGHE” ULTERIORI INSOSTENIBILI PROROGHE AMBIENTALI Ma quelle che si profilano all’orizzonte sono ancora più insostenibili

Come avevamo previsto, purtroppo, il D. L. n. 194/2009 (l’ennesimo “Milleproroghe”) nel corso del suo iter parlamentare di conversione in Legge n. 25 del 26/02/2010, non si è arricchito solo di integrazioni che ne hanno modificato la sua funzione, ma ha introdotto ulteriori differimenti di termini in materia ambientale, oltre a quelli già previsti nel Decreto originario (cfr.: “Finanziaria 2010: l’Ambiente può attendere. Anche dal “Milleproroghe” differimenti per disposizioni ambientali”, in Regioni&Ambiente, nn. 1-2 gennaio-febbraio 2010, pag. 22 e segg.). Ci limitiamo, pertanto, a segnalare quelli che dal S. O. alla Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2010 risultano essersi aggiunti o modificati, rinviando all’articolo sopra citato le altre proroghe, già previste. Art. 8 comma 3 bis “All’articolo 281, comma 2, alinea, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le parole entro cinque anni sono sostituite dalle seguenti: entro sette anni”. Gli impianti e le attività già in esercizio al 29 aprile 2006, rientranti nel campo di applicazione del D. Lgs. 152/2006, ma non in quello del DPR 203/1988 (si tratta di autocarrozzerie, falegnamerie, panifici, rosticcerie, ristoranti), avranno tempo fino al 29 aprile 2013 per adeguarsi alle disposizioni in materia di tutela dell’aria. Con il D.L. 248/2007 era stata già data la proroga di due anni, oltre ai tre previsti dall’entrata in vigore del Decreto stesso. Pertanto, la presentazione delle nuove domande di autorizzazione, conseguenti all’adeguamento, dovrà essere effettuata entro il 29 ottobre 2012 ovvero sei mesi prima del termine ultimo per l’adeguamento. È un bel regalo, non c’è che dire.

Art. 8 comma 4 bis “All’articolo 4, comma 1 bis del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le parole: 1° gennaio 2009 sono sostituite dalle seguenti: 1° gennaio 2011”. Avevamo dato sul numero di gennaiofebbraio notizia che, finalmente, dal 1° gennaio 2010 per i Comuni sarebbe scattato l’obbligo di inserire nei propri Regolamenti Edilizi che il permesso di costruire nuovi edifici è vincolato all’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (almeno un 1kW per unità abitativa e di 5kW per i fabbricati industriali di estensione non inferiore a 100 m2) che subito è scattata una nuova proroga al 1° gennaio 2011. Forse è il caso di rammentare che una Legge, emanata quasi vent’anni fa, prevedeva che “negli edifici di proprietà pubblica o adibiti ad uso pubblico è fatto obbligo di soddisfare il fabbisogno energetico degli stessi favorendo il ricorso a fonti rinnovabili di energia, salvo impedimenti di natura tecnica od economica” (comma 7, Art. 26, Legge n. 10/1991). Ma non furono mai emanati i previsti decreti attuativi e se ne tornò a parlare con il D. Lgs. 192/2005 di attuazione della Direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico in edilizia che estendeva l’obbligo anche agli edifici privati. La norma era stata, poi, inserita nella Finanziaria 2008, prevedendone l’obbligo dal 1° gennaio 2009 che il “Milleproroghe 2009” aveva fatto slittare al 1° gennaio 2010. A nulla è valsa la lettera rivolta dal Comitato di Indirizzo di 16 Associazioni Ambientaliste e del settore delle Rinnovabili contrarie all’ulteriore rinvio, già votato al Senato, che chiedevano ai Deputati di ripristinare il termine

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del 1° gennaio 2010. Comunque, l’obbligo è già vigente nei Comuni che nel frattempo abbiano adeguato i propri Regolamenti edilizi, ma sono una netta, seppur encomiabile, minoranza, come risulta dal Rapporto ON-RE promosso da CREME e Legambiente (cfr.: “Il ruolo degli Enti Locali nella riduzione delle emissioni”, in Regioni&Ambiente nn. 1-2 gennaiofebbraio 2010, pagg. 2829). Art. 8 comma 4 ter “Il termine previsto dall’articolo 2, comma 7, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile 2008, è prorogato al 30 giugno 2010.” Anche per tale disposizione, relativa alle cosiddette “ecopiazzole”, sul numero di gennaio-febbraio avevamo dato notizia che dopo l’allungamento dei termini di oltre un anno (a seguito di un vizio di forma), i Centri di raccolta dei rifiuti urbani differenziati dal 18 gennaio 2010 sarebbero stati gestiti con le nuove regole previste dal Decreto Ministeriale. Puntuale è arrivato un ulteriore differimento che sposta al 30 giugno 2010 l’avvio del sistema, anche se avevamo già sollevato dubbi che entro quella data tutti i Comuni sarebbero stati in regola. Articolo 5 ter “All’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al comma 239, le parole: entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge sono sostituite dalle seguenti: entro la data del 30 giugno 2010”. Viene prorogato di cinque mesi il termine previsto dalla Finanziaria 2010 entro il quale individuare gli interventi di immediata realizzabilità per


la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole fino all’importo complessivo di 300 milioni di euro, con la relativa ripartizione degli importi tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle misure e con le modalità previste dal D.L. 137/2008 convertito in L. 169/2008 recante “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università”. Non crediamo che debba essere sottolineato quanto sia necessario far partire al più presto le relative procedure, stante i dati allarmanti sulla sicurezza degli edifici scolastici. Che dire, poi, della licenza di continuare a degradare i palazzi delle nostre città, attraverso affissioni e pubblicità abusive di contenuto politico, inserita di fatto nel comma 8 octies dell’articolo 2: “All’articolo 42 bis, comma 2, penultimo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, le parole: 31 marzo 2009 sono sostituite dalle seguenti: 31 maggio 2010”. Si tratta delle violazioni ripetute e continuate delle norme in materia di affissioni e pubblicità, soprattutto di manifesti politici ovvero di striscioni o mezzi similari, commesse tra il 1° gennaio 2005 e il 31 marzo 2009 che potevano essere sanate con un’ammenda di 1.000 euro per ogni comune in cui era stato commesso l’attacchinaggio selvaggio. La scadenza della prevista sanatoria, è stata spostata ora in modo anomalo al 31 maggio 2010 sembra essere stata dettata dalla volontà di ricomprendervi anche le violazioni che saranno commesse nel corso della campagna elettorale di primavera, con buona pace della qualità della vita urbana che tanto diffusamente e in modo bipartisan viene invocata ad ogni campagna elettorale. Meno male che non ha trovato accoglimento la richiesta di un ennesimo condono edilizio per evitare l’abbattimento delle case abusive in Campania, che avveniva in quei giorni. Ma c’è da aspettarsi che altre nefaste disposizioni interverranno in termini di tutela ambientale, come lascia intravedere l’ipotesi circolata di una proroga al 31 dicembre 2010 dell’entrata in vigore dell’Autorizzazione paesaggi-

stica prevista dall’Art. 146 del D. Lgs. n. 42/2004, meglio conosciuto come Codice dei Beni Ambientali e del Paesaggio, che assegna alle Regioni la competenza, dopo l’acquisizione del parere vincolante della Soprintendenza (in vigore dal 1° gennaio 2010). Se la proroga non ha trovato riscontro per i tempi ristretti imposti dalla conversione in legge del decreto, l’invito allegato al parere favorevole sul D.D.L. del Governo per le proroghe dei termini previsti da disposizioni legislative, espresso il 18 febbraio dalla Commissione Ambiente della Camera, di valutare l’opportunità di inserire la summenzionata proroga “al fine di consentire una complessiva modifica del medesimo articolo 146 diretta a restituire agli enti locali le competenze in materia di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”, non lascia dubbi circa l’intento del legislatore di modificare quella parte del Codice che è appena entrata in vigore. C’è poi la proposta di legge presentata il 17 febbraio al Senato che mira a far slittare i termini del 10 dicembre 2004 per la presentazione delle domande sul condono edilizio di cui al D. L. 269/2003, per riaprirli al 31 dicembre 2010 con al contestuale soppressione delle parole “dei beni ambientali e paesistici” e, quindi, con la possibilità di sanare abusi commessi in aree vincolate. Ma quanto accaduto in Val d’Orcia non è servito ad alcunché? Viceversa, accogliamo con favore, perché riteniamo che costituisca disposizione di tutela ambientale e, soprattutto, di salvaguardia della biodiversità, la proroga introdotta dall’articolo 2 comma 4 bis: “Al fine di assicurare le agevolazioni per la piccola proprietà contadina, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2010, gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, posti in essere a favore di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, nonché le operazioni fondiarie operate attraverso l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), sono soggetti alle imposte di registro

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ed ipotecaria nella misura fissa ed all’imposta catastale nella misura dell’1 per cento. Gli onorari dei notai per gli atti suindicati sono ridotti alla metà. I predetti soggetti decadono dalle agevolazioni se, prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente. Sono fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 11, commi 2 e 3, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, nonché all’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni. All’onere derivante dall’attuazione del presente comma, pari a 40 milioni di euro per l’anno 2010, si provvede mediante utilizzo delle residue disponibilità del fondo per lo sviluppo della meccanizzazione in agricoltura, di cui all’articolo 12 della legge 27 ottobre 1966, n. 910, che a tale fine sono versate all’entrata del bilancio dello Stato”. La Legge 203/2008 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2009 le agevolazioni fiscali introdotte nel 1954 a favore della piccola proprietà contadina. Ora la disposizione del “Milleproroghe”, con una dotazione di 40 milioni di euro, estende le agevolazioni fiscali previste (imposte di registro ed ipotecaria nella misura fissa di 168 euro ciascuna ed imposta catastale nella misura proporzionale dell’1%) dalla data di entrata in vigore della Legge fino al 31 dicembre 2010, esclusivamente ai soggetti che dimostrino di svolgere attività agricole secondo i requisiti di professionalità previsti dalla normativa di riferimento e di avere attiva una posizione previdenziale ed assistenziale. Anche se non espressamente citati, pensiamo che continuino ad essere rispettati gli altri vincoli prevista dalla normativa (divieto di alienazione per 5 anni dalla data di acquisto e non aver ceduto nel biennio precedente fondi la cui superficie complessiva sia superiore ad un ettaro).


Si è svolto a Bruxelles il Consiglio Ambiente (15 marzo 2010)

MOLTI GLI ARGOMENTI TRATTATI, MA NUMEROSI I DISSENSI MANIFESTATI Positive le conclusioni su Biodiversità, “Europa 2020” e, in parte, Cambiamenti Climatici Il 15 marzo si è svolto a Bruxelles il primo Consiglio dei Ministri dell’Ambiente europei, a Presidenza spagnola (il Ministro dell’Ambiente e dell’Ambiente Rurale e Marino Elena Espinosa Mangana). A rappresentare la Commissione UE erano presenti il neo-Commissario per l’Ambiente Janez Potočnik e la neoCommissaria per l’Azione sul Clima Connie Hedegaard; mentre per l’Italia c’era il Ministro per l’Ambiente e la Tutela del Territorio e del Mare, Stefania Prestigiacomo. Sono stati numerosi i temi affrontati, tra cui la Convenzione per l’inquinamento atmosferico transfrontaliero, il ruolo da assegnare alle biotecnologie alimentari, la Convenzione con Norvegia e Far Oer sulle quote per la pesca 2010, ma soprattutto erano attese le conclusioni su alcuni punti: - Protezione dei Suoli; - Biodiversità; - Strategia “Europa 2020”; - Cambiamenti Climatici; - Emissioni di CO2 nei veicoli Commerciali leggeri. In merito al primo tema si trattava di trovare una soluzione condivisa sul testo della “Soil Framework Directive” Direttiva quadro sul suolo presentata in Consiglio in più occasioni, a partire dal 2006, senza che si fosse trovata una soluzione in grado di rimuovere le posizioni ostative di una minoranza di Paesi membri (Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Austria, Malta), ma dal forte peso politico, che dichiarano di essere contrari ad una legislazione in proposito, sulla base del principio di sussidiarietà e per i costi eccessivi che ne deriverebbero. Per premere, la Commissione UE aveva pubblicato il 12 marzo 2010 un nuovo rapporto “Biodiversità del suolo: funzioni, minacce e strumenti per i responsabili politici”, in cui si sostiene che la cattiva gestione della biodiversità del suolo potrebbe peggiorare il cambiamento climatico, mettere a repentaglio

la produzione agricola e compromettere la qualità delle acque sotterranee. Il Commissario Janez Potočnik ha dichiarato, se la “sussidiarietà” non è una scusa per non agire, di rendersi disponibile a trovare altre soluzioni, purché non venga compromesso il valore ambientale della Direttiva. Di fronte alle osservazioni di alcuni delegati circa il fatto che il suolo è stabile e non già dinamico come l’aria e l’acqua, ha ribadito di “aver difficoltà a ritenere che il problema della difesa del suolo non abbia un effetto transfrontaliero. Il suolo ha una grande influenza sui cambiamenti climatici e la biodiversità, che hanno, entrambi, carattere transfrontaliero, e l’inquinamento di aria ed acque sono anche il risultato di una cattiva gestione del suolo”. Rispondendo poi alle critiche relative ai costi potenzialmente elevati di attuazione della Direttiva, il Commissario Potočnik ha deplorato che si colgano solo i costi dell’azione, ma “i costi dell’inazione sono molto più alti”. Una valutazione dell’impatto di una cattiva gestione del suolo in Europa effettuata dalla Commissione, ha indicato Potočnik, costa 38 miliardi di euro all’anno. C’è da tener presente, inoltre, che in base alla Relazione pubblicata qualche giorno prima dall’Esecutivo UE, dal titolo “Soil biodiversity: functions, threats and tools for policy makers”, una cattiva gestione del suolo, compromettendo la biodiversità, provoca un peggioramento del clima, mette a repentaglio la produzione agricola ed espone a rischi la qualità delle acque sotterranee. Staremo a vedere come andrà a finire questo dissidio, tenendo presente che il Parlamento UE si è decisamente schierato su posizioni ancora più vincolanti sulla protezione del suolo che non l’originaria formulazione della proposta di Direttiva della Commissione (cfr: “Suolo bene comune dell’umanità” in Regioni&Ambiente, n. 12 - dicembre 2007, pag. 32 e segg.).

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Sulla biodiversità, il Consiglio era chiamato ad esprimersi su una visione a medio e lungo termine per arrestare la perdita di biodiversità, atteso il fallimento degli obiettivi fissati al 2010. In gennaio la Commissione EU aveva adottato una Comunicazione che presentava 4 opzioni per una Strategia europea di tutela della diversità biologica per il 2020 e definire una visione per la protezione delle specie al 2050: - ridurre il tasso di perdita della biodiversità e dei servizi ecosistemici in Europa al 2020; - arrestare la perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici in Europa al 2020; - arrestare la perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici in Europa al 2020 e ricostituirli per quanto possibile; - arrestare la perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici in Europa al 2020, ricostituirli per quanto possibile e rafforzare il contributo dell’UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale. Bisogna osservare che il Consiglio ha adottato nelle sue conclusioni l’opzione più ambiziosa (la quarta), riconoscendo, peraltro, che i cambiamenti climatici sono tra gli elementi di pressione più forti e che potrebbero incidere sull’estinzione di specie naturali. Richiamando lo Studio intermedio (2008) e la Relazione per i decisori politici (2009) di “The Economics of Ecosystems and Biodiversity” - TEBB (cfr: “Gli investimenti in biodiversità offrono rendimenti potenzialmente assai elevati”, in Regioni&Ambiente, n. 10 - ottobre 2009, pag. 75 e segg.) dove si indica in 50 miliardi di euro all’anno i costi per la perdita dei servizi ecosistemici e l’insostenibilità dei costi se dovesse perdurare l’inerzia, i Ministri hanno sottolineato la necessità di intensificare gli sforzi per integrare la biodiversità in tutte le altre politiche per trasformare l’attuale debolezza dei sistemi economici in opportunità e per promuovere lo sviluppo sostenibile e


l’occupazione, tenendo conto in particolare della situazione dei Paesi in via di sviluppo. Inoltre, si è riconosciuto che le politiche a protezione della biodiversità e le strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti del clima sono inestricabilmente legate. A proposito di “Europa 2020”, la Strategia lanciata dalla Commissione UE il 3 marzo 2010 per uscire dalla crisi e preparare l’economia europea per il prossimo decennio, i Ministri erano invitati ad esprimersi in merito al contributo e al ruolo che le politiche ambientali possono assumere per accelerare le riforme necessarie per un’economia efficiente e sostenibile a basse emissioni di carbonio e ridotto consumo di risorse. Secondo quanto riportato nelle conclusioni della Presidenza, il Consiglio ha

preso atto della proposta della Commissione per una nuova Strategia UE per la crescita e l’occupazione, in particolare sul fatto che la sostenibilità è una delle sue priorità e gli attuali obiettivi sul clima sono tra queste. Diverse delegazioni hanno chiesto il rafforzamento della dimensione ambientale della strategia proposta. Molte altre hanno evidenziato le opportunità di occupazione e di crescita equilibrata e sostenibile, che deriverà dalle politiche volte a tutelare l’ambiente, sia quelle sui cambiamenti climatici, che per la tutela della biodiversità, per un efficiente uso delle risorse naturali, ecc. I Ministri hanno sostenuto che la politica ambientale è parte della soluzione per affrontare la crisi attuale. L’efficienza delle risorse e il consumo sostenibile, sono fondamentali per conseguire non solo gli obiettivi per il clima dell’UE, ma

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anche per la sicurezza energetica e la competitività. Integrare le preoccupazioni ambientali nelle altre politiche settoriali è stato considerato il modo migliore per raggiungere gli obiettivi in termini di costi-efficacia. Gli strumenti di mercato sono stati considerati come uno strumento di grande potenziale per rafforzare i benefici tra le politiche economiche e ambientali. È stata sottolineata, inoltre, l’importanza di assicurare la complementarità con la strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile, nonché con gli strumenti finanziari per la politica di coesione e regionale. Le delegazioni si sono trovate d’accordo che la governance della futura strategia dovrebbe tenere pienamente conto del contributo della politica ambientale alla creazione di un’economia verde e innovativa, per cui hanno chiesto che il Consiglio


Ambiente deve essere continuamente coinvolto nello sviluppo e nell’attuazione della Strategia “Europa 2020”. In merito ai Cambiamenti Climatici, oltre a prendere in esame gli esiti della Conferenza ONU sul Clima a Copenhagen, si doveva valutare la proposta della Commissione UE per una Strategia globale di rilancio dei colloqui sul clima (Climate Talks), anche per evitare un altro flop (cfr: “L’UE alla ricerca della leadership perduta”, a pag 6 di questo stesso numero). I presupposti non incoraggiavano all’ottimismo, visto che su una questione fondamentale, quale quella di continuare o meno nella proposta di ridurre unilateralmente le emissioni del 30% entro il 2020 non c’era condivisione. Si sono dichiarati contrari, soprattutto, tutti i Paesi dell’Est, Italia e Finlandia. Un altro gruppo (Gran Bretagna, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia) avevano dichiarato come sia determinante passare al 30% se l’Unione europea vuole recuperare una leadership mondiale. Francia e Germania sembrano essersi posizionate in modo interlocutorio (wait and see), giudicando l’obiettivo credibile, ma bisogna evitare che le imprese europee finiscano in una posizione di svantaggio competitivo. Anche la proposta del Presidente francese Nicolas Sarkozy di introdurre una carbon tax sulle importazioni dai Paesi in cui la regolamentazione delle emissioni di carbonio non sono così severe come in Europa, era stata respinta dalla maggior parte dei Paesi membri come misura protezionistica che avrebbe potuto generare una reazione controproducente. Se poi è vero che il rallentamento dell’economia mondiale ha ridotto la produzione europea, e di conseguenza le sue emissioni, rendendo meno oneroso un impegno superiore al 20%, si sono creati 10 miliardi di tonnellate di crediti ad emettere non utilizzati, secondo quanto riportata dalla Commissione UE nel suo documento strategico

del 9 marzo, che rende difficile la proposizione di più ambiziosi obiettivi. Sono soprattutto Polonia ed altri Paesi membri dell’est, la cui ristrutturazione economica ha portato ad un calo significativo delle loro emissioni, con conseguente accumulo di grandi eccedenze di crediti che cercano di salvaguardare. In questa situazione era difficile che aspettarsi posizioni che non tenessero conto di queste considerazioni. Comunque, nelle sue conclusioni sui Cambiamenti Climatici il Consiglio ha analizzato gli esiti della Conferenza delle Parti dell’UNFCCC dello scorso dicembre, sottolineando le opportunità di attuazione immediata dell’Accordo politico raggiunto a Copenaghen, e la necessità di integrare quest’ultimo nei testi in corso di negoziazione in ambito UNFCCC. È stato richiesto alla Commissione Europea di presentare uno studio di comparabilità degli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati e delle azioni nazionali di mitigazione dei Paesi in via di sviluppo (PVS), dichiarati nell’Accordo politico raggiunto a Copenhagen e del quale è stata chiesta l’attuazione immediata e la sua integrazione nei testi in corso di negoziazione in ambito UNFCCC (il primo incontro avverrà a Bonn nel mese di aprile). Inoltre, entro il prossimo giugno, la Commissione è invitata a fornire una valutazione d’impatto dell’offerta condizionale dell’UE di aumentare i tagli alle emissioni fino al 30%. Il Consiglio ha riaffermato, anche, l’impegno a contribuire con 2.4 milioni di Euro all’anno nel periodo 2010-2012 per affrontare i cambiamenti climatici nei PVS. Gli Stati Membri sono pronti a fornire un aggiornamento preliminare sulla situazione dei finanziamenti in occasione della sessione negoziale UNFCCC in programma a Bonn (31 maggio - 11 giugno 2010) e a presentare un rapporto sull’implementazione di tale impegno

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alla Conferenza delle Parti in Messico a fine 2010, con l’intesa di procedere in questo modo ogni anno. Questi impegni sono stati confermati il giorno dopo dall’ECOFIN (il Consiglio UE dei Ministri dell’Economia e delle Finanze) le cui conclusioni “ricordando che i Paesi sviluppati si sono impegnati a fornire risorse per circa 30 miliardi di dollari, con una ripartizione equilibrata tra adattamento e mitigazione, inclusi i REED-plus e gli investimenti attraverso le istituzioni internazionali, in particolare a favore dei Paesi più vulnerabili e meno sviluppati”, hanno ribadito “l’impegno dell’Unione europea e dei suoi Stati membri a contribuire con 2,4 miliardi di euro all’anno per il periodo 2010-2012 e invita le altre Parti ad annunciare il loro contributo per un veloce avvio...”. I Ministri Ambiente hanno, poi, ribadito il loro pieno supporto al lavoro dell’IPCC, nonostante un numero limitato di inesattezze riportate, e “sono convinti che l’IPCC offra il processo di valutazione dell’attuale scienza dei cambiamenti climatici più autorevole e completo”, accogliendo con favore l’iniziativa di revisione indipendente delle procedure interne all’istituzione per il suo futuro lavoro (cfr: “Climategate, ghiacciai himalayani e... Olanda sott’acqua”, in Regioni&Ambiente, n. 3 marzo 2010, pag. 9 e segg.). All’ultimo punto tra gli argomenti in agenda più importanti che abbiamo segnalato, è stata discussa la proposta di Regolamento della Commissione UE di limitare le emissioni di CO2 nei nuovi veicoli commerciali leggeri (furgoni). La Commissione UE propone di ridurre le emissioni di CO2 dei nuovi furgoni gradualmente a 175g/km di CO2 per il 75% delle flotte entro il 2014 e al 2016 per il restante, fino a raggiungere i 135g/Km entro il 2020, fatta salva la conferma della sua fattibilità nel 2013. Insieme ai limiti sulle emissioni per le nuove auto adottati l’anno scorso, la


Commissione ritiene che la proposta di limitazione per i furgoni sia un tassello importante delle iniziative intraprese per la decarbonizzazione del settore dei trasporti prevista dalla strategia “Europa 2020”. La Presidenza spagnola aveva sostanzialmente ridotto il problema a due questioni: - se l’obiettivo al 2020 fosse adeguato; - se i meccanismi di flessibilità e le sanzioni previsti nella proposta fossero adeguati ad assicurare un bilanciamento tra la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e la fattibilità degli obiettivi previsti dal Regolamento. In merito, la relazione della Presidenza afferma che c’è stato un ampio sostegno sull’obiettivo a lungo termine, mentre le posizioni si sono diversificate su tempi di riduzione e sulle sanzioni a carico delle case automobilistiche inadempienti che sarebbero, a giudizio di alcune delegazioni, troppo elevate.

Da quanto affermato su EuropeanVoice. com a firma di Jennifer Rankin risulterebbe che a contrastare l’obiettivo intermedio di riduzione del 13% delle emissioni di furgoni entro il 2016 rispetto alle emissioni del 2007 (pari a 203g/ Km) sono stati quattro Paesi: Germania, Italia, Polonia e Regno Unito che hanno chiesto un rinvio alla proposta. A guidare le critiche sarebbe stata l’Italia che avrebbe sostenuto che le limitate probabilità di miglioramento per ridurre le emissioni dei veicoli commerciali da parte delle case automobilistiche avrebbero bisogno di altri 3-4 anni per raggiungere l’obiettivo, tanto che secondo Friends of Europe “l’Italia avrebbe ribadito la sua opposizione all’obiettivo del 2020”. Intervenendo nel dibattito, il Commissario per la Lotta ai Cambiamenti climatici, Connie Hedegaard, avrebbe ribadito che l’obiettivo al 2014 è fattibile e che il progresso è stato finora molto scarso e che l’industria automobilisti-

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ca non fa alcuno sforzo per ridurre le emissioni se non le viene imposto. Osservando, poi, che il dibattito sui furgoni sta assomigliando a quello verificatosi nel 2008 per le auto, ha dichiarato di non esser stata sorpresa dagli inviti ad allungare i tempi. Ha poi aggiunto che la Commissione UE valuterà quanto scaturito dal dibattito, ma ha ammonito che “quanto più ritardo l’Unione europea accumulerà in questo settore tante più accelerazioni dovrà imprimere su altri per poter raggiungere gli obiettivi prefissati... dobbiamo essere realistici, ma non troppo esitanti”. Ci pare di poter concludere che siano ancora molti di più gli aspetti su cui sussiste diversità di opinioni rispetto a quelli che mostrano concordia. Non è un buon segnale per un’Europa che voglia riproporre la leadership, se gli altri interlocutori sanno che al di là delle posizioni ufficiali ci si esprime a più voci.


Presentata al Parlamento europeo la Ricerca “Il Riciclo Ecoefficiente”

PIÙ SOSTEGNO AL RICICLAGGIO Il contributo del comparto alla tutela dell’ambiente e al risparmio energetico Il 1° marzo 2010, l’industria italiana del riciclo, riunita nel Gruppo di Lavoro “Recupero e Riciclo” del Kyoto Club, ha presentato al Parlamento Europeo (Palazzo “Altiero Spinelli”), la Ricerca “Il Riciclo Ecoefficiente. Performance e scenari economici, ambientali ed energetici”, curata dall’Istituto di ricerche Ambiente Italia e promossa da CiAl (Consorzio imballaggi in Alluminio), COBAT (Consorzio Nazionale Batterie Esauste), Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli imballaggi a base Cellulosica), COOU (Consorzio Obbligatorio Oli Usati), CNA (Consorzio Nazionale per il Riciclo e il Recupero degli imballaggi in Acciaio), COREPLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero dei Rifiuti di imballaggi in Plastica, Federambiente (Federazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale), FISE-UNIRE (Unione Nazionale Imprese di Recupero) e MP AMBIENTE spa, ossia un insieme di soggetti che, seppure a diverso titolo e con diversi campi di interesse, possono essere considerati tra i principali “portatori di interesse”, nonché artefici dello sviluppo del riciclo in Italia nell’ultimo quindicennio. Lo Studio era stato già presentato a Dicembre 2009 al Ministero dello Sviluppo Economico (MSE), ma il notevole interesse per i risultati che ne erano scaturiti sia in chiave economica che sotto il profilo energetico e ambientale, ha costituito una buona opportunità per chiedere all’Unione Europea più sostegno per l’intero comparto del riciclo, dopo un 2009 che ha messo in evidenza le sofferenze del settore. I lavori sono stati aperti da Carlo Montalbetti, coordinatore del gruppo “Recupero e Riciclo”, nonché Direttore generale Comieco, che ha introdotto le tematiche, i possibili interventi e le misure adottabili a livello europeo per sostenere ed incentivare il sistema industriale, italiano ed europeo, del riciclo e del recupero che contribuisce in maniera sostanziale all’esigenza dello sviluppo economico, alla tutela

dell’ambiente ed è in piena sintonia con gli obiettivi previsti dalla Comunità europea. “È necessario che le istituzioni comunitarie diano il giusto sostegno a un comparto industriale che fa bene all’ambiente e contribuisce allo sviluppo del Paese - ha affermato Montalbetti Un sostegno che potrebbe concretizzarsi innanzitutto nella riduzione dell’imposta sui prodotti riciclati. Altre significative misure potrebbero essere rappresentate, in materia di appalti pubblici, dalla promozione di criteri ambientali e obiettivi di rendimento e da incentivi all’eco-innovazione”. A seguire, i risultati della Ricerca sono stati illustrati dal suo curatore Duccio Bianchi, Direttore di Ambiente Italia, che ha sottolineato, peraltro, come “Ottimizzando il sistema di gestione e le problematiche logistiche, il riciclo garantisce numerosi benefici, soprattutto in termini di riduzione dei consumi di energia primaria, di emissioni di carbonio e di gas serra e favorisce lo sviluppo di fonti energetiche alternative, senza contare il notevole beneficio collettivo

fonte: elaborazione Ambiente Italia.

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in termini di qualità della vita”. Nello specifico, la Ricerca mette in evidenza che l’industria del riciclo è una vera e propria “industria nell’industria” e che in Italia nel 2007 è cresciuta a un ritmo pari al 17,2%, in netta controtendenza rispetto agli altri comparti: Tra il 2000 e il 2005 ha visto aumentare le imprese del 13% (sono circa 2.500 in totale) e gli occupati del 47% (al 2005 erano circa 13.000). Le attività di recupero e riciclo costituiscono oggi una risorsa fondamentale del sistema industriale, a livello italiano e internazionale. Negli ultimi anni si è assistito a un vero e proprio “boom” della commercializzazione delle “materie prime secondarie” e, grazie agli effetti della globalizzazione dei mercati, alla nascita di un flusso di esportazione di queste ultime verso i paesi emergenti (Cina e India fra tutti). La vitalità e le potenzialità del settore per l’economia italiana (ma anche per la qualità dell’ambiente) sono confermate


dalle performance produttive: nel corso del 2007 sono state avviate a recupero e riciclo circa 52 milioni di tonnellate di rifiuti (una cifra pari al doppio della quantità di rifiuti urbani prodotti nel nostro Paese ogni anno), con evidenti vantaggi per l’ambiente derivanti dalla riduzione dell’uso di risorse (rinnovabili e non rinnovabili), dalla riduzione dei consumi energetici e idrici, e dalla riduzione delle emissioni atmosferiche legate direttamente o indirettamente ai cicli produttivi. Basti pensare che per la produzione di acciaio, alluminio, piombo e carta, oltre il 50% degli input produttivi è costituito da scarti o rifiuti avviati a riciclo, mentre per alcuni tipi di vetro si può raggiungere anche il 95%. Il traguardo da porsi per un ulteriore scatto in avanti di questo comparto, ed è forse questa la tesi più significativa sottesa alla Ricerca, è, quindi, come possa essere valorizzato il contributo dell’industria del riciclo al raggiungimento degli obiettivi posti all’Italia di riduzione delle emissioni climalteranti, il fatidico “20-20-20” dell’Unione Europea, dal momento che “la filiera di recupero e riciclo permette già oggi un minor consumo di energia per 15 milioni di TEP (tonnellata equivalente di petrolio), minori emissioni di CO2 per un totale di 55 milioni di tonnellate equivalenti”. Una situazione molto interessante per chi ha a cuore il rispetto dei parametri

Riduzione unitaria consumi energetici (mj/tprodotto). Elaborazione Ambiente Italia su varie fonti.

di Kyoto, quindi, resa ancor più significativa dalla proiezione al 2020 fatta nello studio, in cui si prevede un ulteriore sviluppo dell’industria del riciclo e dei suoi volumi, con una crescita del 15% rispetto ai livelli attuali, che permetterebbe di raggiungere un doppio risultato: ridurre i consumi energetici di 5 ulteriori milioni di tep, (tonnellate equivalenti di petrolio), pari al 32% dell’obiettivo nazionale di efficienza energetica al 2020, e ridurre le emissioni di CO2 di oltre 17 milioni di tonnellate, pari al 18% dell’obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni, sempre al 2020.

Riduzione unitaria emissioni climalteranti (kg CO2/tprodotto). Elaborazione Ambiente Italia su varie fonti.

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I dati scaturiti dalla Ricerca sono stati dibattuti, poi, nel Forum “Il contributo dell’industria per una società europea del riciclaggio”, moderato da Sergio Andreis, Direttore di Kyoto Club, al quale hanno partecipato gli Europarlamentari Vittorio Prodi e Salvatore Tatarella, membri della Commissione Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare del Parlamento EU, Cesare Spreafico, Presidente di EPRO (European Association of Plastics Recycling and Recovery Organisations), Jakub Wejchert, della DG Ambiente - Produzione e Consumo Sostenibili della Commissione UE. Presenti in sala, fra gli altri, anche rappresentanti di Organizzazioni europee delle industrie cartarie, dell’alluminio e della plastica (CEPI, FEFCO, EAA, EuPC) e un rappresentante della DG Industria della Commissione UE. Il notevole interesse per i risultati della Ricerca può sicuramente condurre ad una fattiva collaborazione del Gruppo di Lavoro del Kyoto Club con i rappresentanti delle Direzioni generali Ambiente e Industria e con i Parlamentari europei, soprattutto per quanto riguarda l’aggiornamento della ricerca stessa e della sua condivisione con gli stakeholders europei.


Resi noti da Eurostat i dati 2008 sui rifiuti urbani nell’UE

IL 40% DEI RIFIUTI URBANI SONO STATI RICICLATI O COMPOSTATI Ma ogni persona ne produce più di mezza tonnellata per persona L’Ufficio Statistico dell’Unione europea (Eurostat) ha pubblicato il 19 marzo i dati relativi alla produzione e smaltimento dei rifiuti urbani nell’Europa a 27, da cui risulta che nel 2008 ogni persona ne ha prodotti mediamente 524 kg, quantità che è rimasta pressoché invariata rispetto al 2007 (525 kg). Notevole è, però, la differenza tra i singoli Paesi: Danimarca (802), Cipro (770) e Irlanda (703) sono quelli che ne producono di più, mentre i valori più bassi si sono registrati nella Repubblica Ceca (306), Polonia (320) e Slovacchia (328). L’Italia, con 561 kg di rifiuti urbani prodotti, si colloca sopra la media europea. L’Eurostat sottolinea che costituiscono rifiuti urbani quelli prodotti essenzialmente dalle famiglie, ma possono comprendere anche i rifiuti assimilabili delle piccole imprese e degli enti pubblici e raccolti dai Comuni, variando perciò da Comune a Comune e da un Paese all’altro, a seconda del sistema locale di gestione dei rifiuti. Per le zone non coperte da un sistema di raccolta dei rifiuti urbani la quantità di rifiuti prodotti, precisa sempre Eurostat, è stimato. I rifiuti prodotti dal settore agricolo e da quello industriale non sono inclusi. Assai diversi sono pure i sistemi di smaltimento che vedono i 27 Paesi membri impegnati in un mix di discariche, inceneritori e impianti di riciclaggio e compostaggio. Nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani, sommando riciclaggio (qualsiasi operazione di recupero attraverso il qualei materiali dei rifiuti sono ritrattati per ottenere prodotti, materie prime secondarie o sostanze da utilizzare per le finalità originarie o per altri scopi) e compostaggio (trattamento dei materiali biodegradabili), si segnalano Paesi europei tra i più virtuosi: Austria con il 69% (29% + 40%); Germania con il 65% (48% + 17%); Belgio con il 60% (35% + 25%). Di contro, tutti i Paesi dell’est confe-

riscono quasi tutti i loro rifiuti nelle discariche (definite come depositi di rifiuti sul o nel suolo, comprese le discariche approntate a deposito temporaneo da oltre un anno): Bulgaria (100%), Romania (99%), Lituania (96%). L’Italia presenta un tasso di riciclaggio (11%) inferiore alla media europea (23%), mentre risulta doppio della media europea (17%) il valore dei rifiuti compostati (34%).

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In Europa si utilizza l’incenerimento (inteso come trattamento termico in impianto) per il 20% dei rifiuti urbani, con Danimarca (54%), Svezia (49%), Paesi Bassi (39%) su tutti. L’Italia incenerisce solo l’11% dei rifiuti urbani. In linea di principio, precisa Eurostat, i dati sui rifiuti urbani trattati si riferiscono soltanto ai rifiuti trattati all’interno dello Stato membro, senza tener conto dei rifiuti esportati per essere trattati.


Inoltre si deve anche sottolineare che le capacità di riciclaggio può risultare limitata dalle piccole dimensioni di un Paese: il Lussemburgo, peraltro è l’unico caso in cui i tassi di riciclaggio sono comprensivi delle esportazioni. Non c’è dubbio che i rifiuti da imballaggio e frazione organica “pesano” notevolmente in termini di rifiuti da raccolta differenziata. Da un recente Studio sui costi della raccolta differenziata, svolta da Bain&Company per conto di Federambiente, risulta che sono pari a circa l’85% dei rifiuti raccolti, con un costo medio di 123 euro a tonnellata per gli

imballaggi, e di 105 euro a tonnellata per l’organico. Se questi costi sono riferiti all’Italia, non molto diversi dovrebbero essere negli altri Paesi europei dell’area occidentale, visto che il Sindaco di Mouscron (città belga di 52.000 abitanti) sta facendo distribuire per la terza volta ai suoi concittadini una coppia di galline ovaiolo a famiglia, purché non venga conferito organico nei bidoni della spazzatura, con l’impegno di trattenere le galline senza mangiarle per due anni, di non cederle ad altri,e permettere lo svolgimento di controlli. “L’adozione delle galline ha un doppio vantaggio per i cittadini - ha

affermato Christophe Denève, Capo Dipartimento Ambiente della città - La riduzione della spazzatura, passata dopo l’introduzione delle galline da 250Kg a 225Kg a persona, e di poter usufruire di uova fresche”. Chiaramente l’iniziativa sa anche di provocazione, ma lo stesso Denève ha aggiunto che “Dopo la distribuzione delle galline, la maggior parte dei cittadini di Mouscron è più consapevole dell’impatto ambientale dei propri comportamenti di consumo e della necessità di modificarli”. Chi non possiede orti e giardini ha in dotazione un composter da sistemare su terrazzi e balconi.

DATI SUI RIFIUTI URBANI NELL’UE (2008) (fonte: Eurostat) I rifiuti urbani trattati, %

Rifiuti urbani generati Kg a persona

Discarica

Inceneriti

Riciclati

Compostati

EU27

524

40

20

23

17

Belgio

493

5

36

35

25

Bulgaria

467

100

0

0

0

Repubblica Ceca

306

83

13

2

2

Danimarca

802

4

54

24

18

Germania

581

1

35

48

17

Estonia

515

75

0

18

8

Irlanda

733

62

3

32

3

Grecia

453

77

0

21

2

Spagna

575

57

9

14

20

Francia

543

36

32

18

15

Italia

561

44

11

11

34

Cipro

770

87

0

13

0

Lettonia

331

93

0

6

1

Lituania

407

96

0

3

1

Lussemburgo

701

19

36

25

20

Ungheria

453

74

9

15

2

Malta

696

97

0

3

0

Paesi Bassi

622

1

39

32

27

Austria

601

3

27

29

40

Polonia

320

87

1

9

4

Portogallo

477

65

19

9

8

Romania

382

99

0

1

0

Slovenia

459

66

1

31

2

Slovacchia

328

83

10

3

5

Finlandia

522

50

17

25

8

Svezia

515

3

49

35

13

Regno Unito

565

55

10

23

12

25


Presentato un nuovo Studio

“PLASTICS PARADOX”

Sfatati alcuni miti sui danni ambientali derivanti dall’uso della plastica

PlasticsEurope aveva già presentato in anteprima a Copenhagen, nell’ambito degli eventi collaterali alla Conferenza COP15 sui Cambiamenti Climatici, dedicati all’Industry’s Business Day, i risultati del nuovo Studio relativo all’impatto ambientale della plastica e delle sue applicazioni. Condotto dalla Denkstatt, Società austriaca indipendente di consulenza per lo sviluppo sostenibile, lo studio “L’impatto delle materie plastiche sul consumo energetico e sulle emissioni di gas serra in Europa nel corso del loro ciclo di vita” (The Impact of Plastics on Life Cycle Energy Consumption and GHG emissions in Europe), sfata alcuni stereotipi negativi che si sono formulati in questi anni sui danni ambientali di cui le materie plastiche sarebbe responsabili, ad iniziare dal bilancio del carbonio. La Ricerca evidenzia, infatti, che il settore incide solo per l’1,3% dell’impronta europea del carbonio, mentre l’abbigliamento ne rappresenta il 9%, il comparto alimentare il 13% e le attività ricreative e di svago il 18%. Nel “carbon balance” le materie plastiche, durante il loro uso e successivo recupero, consentono un risparmio di CO2 fino a 5-9 volte rispetto alla quantità emessa durante la loro produzione, peraltro destinato ad aumentare fino a 9-15 volte entro il 2020, a seguito di progressi nella produzione e di incrementi nell’efficienza energetica dei prodotti in plastica. “Ciò che emerge chiaramente dallo studio è il paradosso della plastica: più si utilizza, più si risparmia - ha commentato Wilfred Haensel, Direttore esecutivo di PlasticsEurope - Un consumo sostenibile svolge un ruolo chiave sulle emissioni di CO2; abbiamo bisogno di poter contare su un materiale che ci faccia risparmiare una quantità di greggio pari a quello trasportato ogni anno da 194 petroliere”. “Per questo motivo - ha concluso Haensel - c’è necessità di far conoscere ai consumatori, politici e uomini d’affari del ruolo che le materie plastiche possono svolgere nel raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni”.

dell’Unione europea a 15 o il 15% dell’obiettivo dell’UE di ridurre le emissioni di 780 milioni di tonnellate entro il 2020; - l’assenza delle plastiche dalla gamma dei materiali utilizzati comprometterebbe effettivamente la possibilità dell’UE di rispettare gli obiettivi di Kyoto di riduzione dei gas serra. 3. I risparmi energetici derivanti dall’uso di materie plastiche: - le efficienze energetiche contribuiscono fortemente alla riduzione delle emissioni; - 2.300 milioni di GJ di energia consumata in meno all’anno; - 50 milioni di tonnellate di petrolio greggio consumate all’anno. Le materie plastiche, inoltre: - svolgono un ruolo determinante nella produzione di energia rinnovabile; - costituiscono un volano per le nuove tecnologie che riducono in modo significativo l’uso delle risorse (ad esempio, la dematerializzazione in schede di memoria o nei lettori MP3); - offrono enormi vantaggi in termini di isolamento termico, di confezionamento degli alimenti o di produzione di energia rinnovabile.

Ecco in sintesi le conclusioni principali a cui giunge lo studio della Denkstatt: 1. La sostituzione delle materie plastiche con altri materiali tradizionali, qualora fosse possibile: - farebbe aumentare la loro massa di 3,7 volte, con ripercussioni nella gestione dei rifiuti; - si incrementerebbero del 50% le emissioni di gas serra, equivalente a 120 milioni di tonnellate in più all’anno; - aumenterebbe del 46% il consumo di energia, pari a 2.300Tera Joule (1 Tera=1012). 2. Le riduzioni delle emissioni di gas ad effetto serra derivanti dall’uso di materie plastiche: - fa risparmiare emissioni di CO2 pari a quelle prodotte dall’intero Belgio; - copre il 38% degli originari obiettivi del protocollo di Kyoto

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QUALITÀ E AMBIENTE

Presentato il Rapporto di Legambiente, “Mal’Aria Industriale 2010”

AUMENTA L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO DA FONTI INDUSTRIALI

La mappa dei siti più inquinanti d’Italia e la ricetta per debellare la “Mal’Aria Industriale” di Silvia Barchiesi

Se l’industria italiana “soffre” per colpa della crisi, l’aria che respiriamo “soffre” ancora di più e sempre di più. Traffico e smog fanno, di certo, la loro parte, ma non sono l’unica causa dell’inquinamento atmosferico. Ad avvelenare l’aria che respiriamo è, piuttosto, l’industria italiana, fonte principale di microinquinanti scaricati in atmosfera. Da qui, infatti, proviene il 60% del cadmio totale, il 70% delle diossine, il 74% del mercurio, l’83% del piombo, l’86% dei Policlorobifenili (PCB), l’89% del cromo e il 98% dell’arsenico. Non solo l’industria italiana si conferma “fabbrica di Mal’Aria”, ma si rivela anche enormemente e dannatamente “produttiva”: dal 2006 al 2007, infatti, sono cresciuti del 15% gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), del 6% le diossine e i furani, a del 5% cadmio e del 3% il cromo.

A puntare il dito contro l’industria, “fabbrica di Mal’Aria”, è il Rapporto di Legambiente “Mal’Aria Industriale 2010”, il libro bianco sull’inquinamento atmosferico delle attività produttive in Italia, che snocciola dati e numeri allarmanti per l’aria che respiriamo, spesso ignorati e sottaciuti. Così, mentre ci preoccupiamo degli sforamenti registrati dalle centraline per via dello smog, cementifici, acciaierie, raffinerie, inceneritori, gassificatori e centrali a carbone, industurbati, continuano a scaricare nell’aria un cocktail di veleni ben più pericoloso di quello prodotto dal traffico. Basta scorrere i numeri “neri”contenuti nel Rapporto di Legambiente per rendersi conto della gravità del fenomeno. Quelli riportati nella “lista nera” dei macroinquinanti parlano chiaro. Dall’industria italiana, infatti, proviene: - il 26% del PM10 a livello nazionale (il trasporto su strada incide sul totale per il 22%);

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- il 79% degli ossidi di zolfo (SOX), ormai insignificanti nel settore dei trasporti grazie alle specifiche sempre più stringenti sulle concentrazioni di zolfo nei carburanti; - il 23% degli ossidi di azoto (NOX), precursore della produzione del PM10 secondario e dell’ozono, inquinante tipicamente estivo. Fa altrettanto quella dei microinquinanti: - con 50 tonnellate annue (89% del totale nazionale) il settore industriale è la prima fonte di emissioni di cromo; - il settore produttivo ha emesso 225 g di diossine (70%), seguito dal riscaldamento e produzione di calore con 54 g (17%); - per quanto riguarda l’emissoine di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), il settore industriale invece con il suo 33% (53 tonnellate), supera addirittura lo smaltimento e la combustione dei rifiuti); - con il 73,6%, pari a circa 8 tonnellate emesse in atmosfera, l’industria si conferma la prima fonte di inquinamento atmosferico da mercurio; - le emissioni di nichel provengono per il 35% dalla produzione industriale (37 tonnellate); - quelle di piombo per l’83% vengono dal settore industriale, mentre la quasi totalità di Policlobifenili (PCB) è emessa dal settore siderurgico e da quello energetico, corrispondente al macrosettore industria e produzione di energia, con l’86% (205 kg). Ma il Rapporto di Legambiente non si limita a denunciare il mix di inquinanti che avvelenano l’aria che respiriamo, ma indica pure i siti produttivi maggiori responsabili di questo avvelenamento, spesso ignorato e quindi tollerato. Alla “lista nera” degli inquinanti, segue così la “lista nera” dei siti produttivi. Ma non solo. La denuncia di Legambiente scatta anche contro le istituzioni che consentono alle industrie fuorilegge di continuare ad operare e ad inquinare. Eppure, lo strumento per il controllo e il monitaraggio degli inquinanti prodotti dagli impianti industriali ci sarebbe. Si tratta dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), rilasciata dalla Commissione Istruttoria AIA-IPPC e obbligatoria per tutte le aziende che rientrano nella Direttiva IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) per continuare la produzione senza incorrere in sanzioni amministrative o penali. Lo prevede anche il Decreto Legislativo 59/2005 che ha recepito la Direttiva europea IPPC sulla prevenzione e il controllo integrato dell’inquinamento industriale. Il rilascio dei pareri da parte della Commissione AIA nazionale e l’emanazione dei decreti di autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente procede, però, con enorme lentezza. Neanche, la procedura d’infrazione scattata nel maggio 2008 per non aver rispettato la scadenza (30 ottobre 2007) prevista dalla Direttiva europea per rilasciare le nuove autorizzazioni a tutti gli impianti industriali e adeguare gli impianti alla normativa europea è servita ad accelerare l’iter. Solo un quinto dei siti industriali attualmente operanti rispettano gli standard di emissioni stabiliti dall’Europa. Al 7 marzo 2010, su 191 impianti in istruttoria nazionale, se ne contavano solo 41 provvisti dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Di questi 10 impianti sarebbero nuovi e 31 già esistenti. Mentre per 7 impianti è in corso il procedimento VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e AIA, per la maggior

parte dei siti industriali (ben 143), il procedimento di AIA non si è ancora concluso. Tra questi, pari al 75% del totale dei siti da autorizzare, ci sono 85 centrali termiche, 39 impianti chimici (che rappresentano il 90% degli impianti da autorizzare), 17 raffinerie (85% del totale da autorizzare), tra cui quelle di Gela, Milazzo, Priolo (in Sicilia) e Falconara (nelle Marche) e 2 grandi acciaierie, quella dell’Ilva a Taranto e della Lucchini a Piombino. Finiti sotto la lente di ingradimento di Legambiente, molti di questi impianti figurano nella “lista nera” dei siti industriali più inquinanti d’Italia. In testa alla classifica dei siti inquinanti svetta l’acciaieria Ilva di Taranto. L’aria irrespirabile di Taranto, di cui lo stabilimento siderurgico è gran parte responsabile è, dunque, l’esempio più emblematico della “Mal’Aria industriale” italiana. Ma Legambiente non trascura anche altre realtà industriali, forse meno conosciute, ma non per questo meno pericolose per la nostra aria. Da nord a sud, le segnala, le analizza e le descrive nel Rapporto. Tra i siti oggetto di vertenze da parte dell’Associazione ambientalista figurano così: - la raffineria ENI di Gela, dove Legambiente ha persino avanzato proposte tecniche alternative all’incenerimento del pet-coke all’interno del sito industriale; - l’area industriale di Augusta - Priolo - Melilli (SR) i cui impianti continuano a registrare continui superamenti ed elevate emissioni di idrocarburi, PM10, NO2, NOX e ozono; - l’area industriale di Milazzo (ME) e della Valle del Mela dove la raffineria, le due centrali termoelettriche e una nutrita schiera di piccole e medie industrie hanno già causato notevoli danni ambientali con ripercussioni anche di carattere epidemiologico; - il Centro oli di Viaggiano (PZ) ancora privo di un sistema di monitoraggio ambientale, nonostante questo sia stato previsto da un Accordo d’Intenti stipulato tra Regione Basilicata ed Eni S.p.a. ben 11 anni fa; - la raffineria di Falconara Marittima (AN) che, proprio a due passi da quartieri residenziali, oltre che dal mare Adriatico, dal fiume Esino, dalla tratta ferroviaria Adriatica, dalla SS 16, dall’aereoporto di Ancona - Falconara, ha disperso nell’aria 1.373 tonnellate di biossido di zolfo (SO2), 895 tonnellate di ossido di azoto (NOX), 340 tonnellate di monossido di carbonio e 28 tonnellate di polveri, per un totale di 7,22 tonnellate al giorno di emissioni inquinanti; - la ThyssenKrupp Acciai Speciali di Terni che secondo i dati europei dell’European Pollutant Release and Transfer Register, aggiornati al 2007, in un anno ha prodotto: 377.000 tonnellate di anidride carbonica (CO2), 3.390 tonnellate di monossido di carbonio (CO), 950 tonnellate di NOX/NO2, 620 kg. di cromo, 570 kg. di nickel e composti, 228 kg di piombo, 2,8 tonnellate di zinco, 90 tonnellate di polveri sottili (PM10); - il cementificio di Guidonia (RM) che secondo i dati EPRTR (European Pollutant Release and Transfer Register) nel 2007 ha emesso in atmosfera 2.840 t di ossidi di azoto (NOX); 1.450 t di monossido di carbonio (CO); 1.080.000 t di anidride carbonica; 28 t di ammoniaca (NH3); - la ferriera Luchini di Servola - Trieste, la principale re-

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sponsabile dell’inquinamento da polveri, Ipa e diossine nella zona; - il polo siderurgico di Vallese di Oppeano (VR), composto da tre impianti produttivi responsabili di emissioni atmosferiche “sospette” segnalate più volte da Legambiente e ad oggi non ancora oggetto di un approfondito monitoraggio; - il polo chimico di Mantova che con le sue numerose aziende assegna a Mantova due primati regionali: quello delle polveri sottili e quello degli NOX. Insomma, da nord a sud, la “Mal’Aria Industriale” dilaga e per debellarla occorre, secondo Legambiente, una drastica inversione di rotta. A cominciare da Ministero dell’Ambiente che dovrebbe rafforzare il gruppo di lavoro che istruisce i pareri per la Commissione AIA, ad oggi dimostratasi, inadepiente ed inefficiente, oltre che stanziare risorse economiche adeguate per potenziare l’ISPRA. “Il Ministero dell’Ambiente - ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente in occasione della presentazione del Rapporto “Mal’Aria Industriale 2010” - istituisca urgentemente una task force di esperti per supportare la Commissione AIA, rivelatasi fino ad oggi inadeguata al ruolo strategico che le compete per ridurre l’impatto ambientale dei grandi impianti industriali del nostro Paese, e stanzi risorse economiche adeguate a potenziare in tempi brevi con personale, mezzi e strutture chi gioca un ruolo fondamentale sui controlli degli impianti industriali e cioè l’ISPRA che versa in condizioni inaccettabili”. Secondo Legambiente, il Ministero dovrebbe anche interveni-

re in modo concreto anche per rivedere i limiti di emissione delle diossine per tutti gli impianti industriali oggi non linea con quanto previsto con la normativa internazionale (Protocollo di Aarhus) e sostenere economicamente l’avvio di studi epidemiologici soprattutto nelle popolazioni residenti nei pressi delle principali aree industriali del Paese. “I passi in avanti degli ultimi decenni per ridurre l’inquinamento industriale - ha commentato Ciafani - non sono stati sufficienti a salvaguardare la salute dei cittadini che vivono nei pressi di stabilimenti industriali. È per questo che Legambiente chiede al governo italiano di garantire adeguati finanziamenti per l’attivazione di studi epidemiologici per approfondire gli impatti sanitari derivanti dall’esposizione agli inquinanti emessi dalle lavorazioni industriali. Le Regioni italiane devono investire risorse economiche adeguate per quelle Agenzie regionali per la protezione ambientale che in due terzi del Paese non sono in grado di assolvere i compiti sui controlli che gli sono stati assegnati per legge. L’industria, infine, deve investire in ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, perché solo così potrà ridurre gli impatti ambientali delle sue lavorazioni e garantirsi quel valore aggiunto necessario per competere in un mercato globalizzato”. La ricetta contro la “Mal’Aria Industriale” lanciata da Legambiente si compone di tale mix di proposte. L’industria italiana deve raddoppiare la posta in gioco: la sfida ora non è più solo economica, ma anche ambientale. Insomma, nella green economy anche l’aria vale… C’è chi l’ha già capito. Ma c’è pure chi fa finta di nulla: è la “fabbrica della Mal’Aria” che continua ad avvelenare l’aria.


IL COMMENTO

Pubblicato il Decreto correttivo

SISTRI: SOLO 30 GIORNI DI PROROGA E NUOVI OBBLIGHI

Governo e Ministero sono riusciti a resistere (finora) all’attività di lobbying

Sul numero precedente, nel dar notizia che di fronte alle attività di lobbying, anche istituzionale, sul Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, tese ad ottenere un rinvio dell’entrata in vigore del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, meglio conosciuto con l’acronimo SISTRI, avevamo paventato che il preannunciato Decreto correttivo, oltre a modiche ed integrazioni (inevitabili in un sistema così complesso ed innovativo che abbisogna di un “rodaggio”), avesse potuto trovar spazio anche una proroga tale da allungare notevolmente i tempi del suo avvio. Dobbiamo riconoscere che Ministro e Governo sono riusciti a scongiurare (al momento!) una simile evenienza, rigettando gli emendamenti presentati da Deputati e Senatori durante l’iter di conversione in Legge del “Milleproroghe”. Il D. M. 15 febbraio 2010 “Sistri. Modifiche ed integrazioni al decreto 17 dicembre 2009” (G. U. 27 febbraio 2010), infatti, introduce in merito un differimento di 30 giorni per l’iscrizione al SISTRI, ma mantiene inalterate le date di operatività (13 luglio per il 1° gruppo e 12 agosto per il 2°). Ribadendo che il Sistema è novità importante che garantirà un maggior controllo nella legalità dei processi e una verifica puntuale dei dati inseriti, in grado così di ridurre eventuali errori, sottolineiamo, ancora, che la nostra considerazione non deriva dalla “bontà” delle disposizioni (alcune delle quali bisognose di ulteriori aggiustamenti), quanto piuttosto dalla “necessità di partire”, comunque, con interventi ed aggiustamenti in itinere. Lo reclamano le continue operazioni di smantellamento dei traffici illeciti in materia di rifiuti, compiute in questi mesi dalle forze di polizia investigativa (CCTA, Guardia di Finanza e NIPAF) che hanno riempito le cronache di giornali, radio e televisioni, dando ulteriormente l’immagine di un Paese dove gli ecoreati non sono circoscritti solo a determinate aree geografiche, bensì costituiscono un’emergenza nazionale, come aveva intuito oltre trent’anni fa lo scrittore Leonardo Sciascia, allorché aveva usato la metafora della “palma che va al nord” per effetto dei cambiamenti climatici. Un allungamento di anni, seppur progressivo, dei tempi di attivazione del SISTRI farebbe fare un’altra figuraccia all’Italia nei confronti della Comunità europea che a questo innovativo Sistema guarda con attenzione per implementarlo in tutti i Paesi membri, come ha indicato il nuovo Commissario UE all’Ambiente Janez Potočnik, nel corso dell’incontro intervenuto a Bruxelles l’8 marzo con il Ministro Stefania Prestigiacomo. Il sistema dei Registri e dei MUD non permette la piena tracciabilità e trasparenza del percorso compiuto dai rifiuti dal momento in cui vengono prodotti fino al loro percorso finale in discarica o in un inceneritore. Anche di recente la Cassazione Civile (Sentenza n. 20856

del 29 settembre 2009), esprimendosi sull’omessa tenuta del registro dei rifiuti in occasione di produzione di decalite (materiale residuo delle lavanderie), ha osservato che “la registrazione della quantità, natura, composizione e delle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti deve avvenire nel momento in cui gli stessi sono prodotti, trasportati o detenuti, posto che una diversa esegesi, che ammetta che la registrazione possa avvenire in qualunque momento, frustrerebbe lo scopo di un monitoraggio continuo dei rifiuti, cui si ispira la citata norma [l’articolo 22 del D. Lgs. n. 22/1997, il cosiddetto “Decreto Ronchi”]”. Anche l’assenza di sanzioni per chi non rispetta le disposizioni del SISTRI, non può costituire una remore per la sua entrata in vigore, dal momento che entro l’anno dovrà essere attuata la nuova Direttiva 2008/98/CE sui Rifiuti che incrociandosi con la revisione del cosiddetto Testo Unico Ambientale, offrirà l’occasione più opportuna per un sistema sanzionatorio e l’armonizzazione della normativa, magari rispettando, una volta almeno, i tempi prescritti. L’allungamento dell’avvio del SISTRI costituirebbe, peraltro, una beffa per tutti coloro che si sono messi in regola prima dell’ultimo giorno utile od hanno predisposto corsi per i vari operatori. Se il Ministro ha avuto occasione di sottolineare che il lavoro di predisposizione del SISTRI ha coinvolto imprese ed associazioni di categoria, perché non è stata fatta per tempo un’operazione di adeguata informazione e formazione per tutti i soggetti coinvolti e i giornali hanno iniziato a parlarne solo alla pubblicazione del Decreto che era, comunque, atteso visto che il D. L. n.78 del 1° luglio 2009 del, come convertito nella Legge n. 102/2009, aveva assegnato al Ministro sei mesi di tempo per la sua pubblicazione? Forse, si attendeva che la solita proroga “esorcizzasse”, in qualche modo, la sua operatività. Vediamo, quindi, quali sono le modifiche ed integrazioni del Decreto 15 febbraio. Articolo 1. Scadenze Viene concessa la proroga di 30 giorni per l’iscrizione al SISTRI. Pertanto, i soggetti obbligati di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a) del DM 17 dicembre 2009, hanno tempo fino al 30 marzo 2010 per iscriversi. Fanno parte di questo 1° gruppo: - imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi, con più di 50 dipendenti; - imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi con più di dieci dipendenti, a condizione che i rifiuti siano prodotti da lavorazioni industriali, artigianali, e quelli derivanti dalle attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i

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fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento fumi, con più di 50 dipendenti; - commercianti e intermediari senza detenzione di rifiuti; - Consorzi istituiti per il recupero e il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti che organizzano la gestione di tali rifiuti per conto dei consorziati; - imprese che raccolgono e trasportano rifiuti speciali; - imprese che effettuano operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti; - terminalisti e responsabili degli scali merci nel trasporto intermodale. Oltre ai soggetti sopracitati, sono obbligati i Comuni, gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani nel territorio della regione Campania il cui sistema di controllo di tracciabilità già operativo SITRA viene interconnesso telematicamente con il SISTRI. Debbono iscriversi dal 15 marzo al 29 aprile il 2° gruppo: - imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi, che hanno fino a 50 dipendenti; - imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi, che hanno tra i 50 e gli 11 dipendenti. Possono altresì aderire in modo volontario tutte le imprese e gli enti che non rientrano fra quelli sopra riportati (3° gruppo), dopo il 13 agosto e fra questi: - imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi con meno di 11 dipendenti, a condizione che i rifiuti siano prodotti da lavorazioni industriali, artigianali, e quelli derivanti dalle attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti

delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento fumi; - imprese ed enti che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi; - imprese agricole di cui all’art. 2135 del codice civile che producono rifiuti non pericolosi. Articolo 2. Videosorveglianza Viene allargato il monitoraggio entrate ed uscite degli automezzi delle movimentazioni dei rifiuti con apposite apparecchiature agli impianti di incenerimento, ma manca l’indicazione su chi dovrebbe provvedere alla conservazione delle riprese filmiche. Artico 3. Estensione di iscrizione quali produttori Le imprese e gli enti che risultano produrre rifiuti dalle operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti, di fanghi prodotti dalla potabilizzazione delle acque, dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento dei fumi, dovranno iscriversi al SISTRI anche come produttori. I soggetti che effettuano recupero e smaltimento di rifiuti urbani saranno invece ammessi al regime particolare di comunicazione quale quello del successivo articolo 9. Articolo 4. USB dotazione semplificata Le imprese che effettuano raccolta e trasporto di rifiuti, aventi più sedi, potranno limitarsi all’utilizzazione di un solo dispositivo USB, associandolo a quello della sede legale. Permane l’obbligo, comunque, di utilizzare una chiavetta per ogni veicolo utilizzato per il trasporto dei rifiuti, previa comunicazione al numero verde.

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Articolo 5. Modalità di pagamento dei contributi Viene inserito un paragrafo all’Allegato II, relativo ad ulteriori diversificazioni delle determinazioni del contributo e delle modalità di pagamento per alcune categorie di imprese e per tipologie di impianti. In particolare, sono state introdotte differenziazioni per i contributi a carico di recuperatori e smaltitori (a seconda dell’appartenenza ad alcune specifiche attività), demolitori, frantumatori, impianti di compostaggio, rispetto a tutte le altre attività. Articolo 6. Iscrizione ondine L’iscrizione online al SISTRI dovrà comprendere anche l’invio per posta elettronica (iscrizionemail@sistri.it) dei moduli elettronici di adesione al sistema disponibili sul sito del portale sistri. Articolo 7. Comunicazione movimentazione di rifiuti Sono previsti tempi più stretti per comunicare al SISTRI la movimentazione dei rifiuti: i produttori di rifiuti pericolosi dovranno comunicare i dati almeno 4 ore prima delle relative operazioni; - i trasportatori di rifiuti pericolosi, almeno 2 ore prima. - in caso di rifiuti non pericolosi, produttori e trasportatori dovranno compilare la scheda prima della movimentazione dei rifiuti. Non è chiaro però quale norma deve essere applicata in caso di trasporto di rifiuti pericolosi e non.

Articolo 10. Moduli di iscrizione I moduli di iscrizione 1 e 2 sono sostituiti da quelli allegati a Decreto 15 febbraio 2010. Sono fatte salve le iscrizioni effettuate fino al 28 febbraio con i precedenti moduli. Articolo 11. Modifiche al decreto ministeriale 17 dicembre 2009 Le modifiche introdotte riguardano essenzialmente le correzioni e/o soppressioni relative alle Schede di cui agli Allegati II e III del decreto succitato. Articolo 12. Delegato Viene modificata la definizione di delegato che da “responsabile” nell’organizzazione aziendale della gestione dei rifiuti, diviene più opportunamente “referente” ovvero il soggetto che viene delegato dall’impresa all’utilizzo e alla custodia del dispositivo USB, al quale sono associate le credenziali di accesso al sistema ed è attribuito il certificato per la firma elettronica. Qualora l’impresa non abbia indicato, nella procedura di iscrizione, alcun delegato, le credenziali di accesso al SISTRI e il certificato per la firma elettronica verranno attribuiti al rappresentante legale dell’impresa.

Articolo 8. Tipologie particolari Il regime particolare previsto dagli artt. 6 e 7 del DM 17 dicembre 2009, relativamente alla comunicazione dati e tenuta dei documenti, viene esteso anche ai produttori di rifiuti non pericolosi non inquadrabili come “enti o imprese”, alle imprese di trasporto transfrontaliero di rifiuti, alle attività sanitarie svolte al di fuori delle strutture sanitarie. Articolo 9. Impianti di recupero e smaltimento Gli impianti comunali o intercomunali nei quali vengono conferiti rifiuti urbani, che effettuano in regime di autorizzazione unicamente operazioni di messa in riserva R 13 e/o deposito preliminare D15 si iscrivono al SISTRI nella categoria centri di raccolta/piattaforma e versano il contributo di 500 euro indipendentemente dalla quantità di rifiuti urbani gestiti. Pertanto, Sindaci e Consorzi dovranno provvedere ad indicare i delegati. Nel caso di movimentazione di rifiuti in uscita da tali impianti, le imprese di trasporto iscritte nella categoria 1, il gestore dell’impianto è tenuto a compilare la scheda SISTRIArea movimentazione, consegnandone una copia firmata all’impresa di trasporto.

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Dispositivo USB Dispositivo personalizzato che abilita la firma fino a tre addetti per unità locale e operativa.

Black box - contenitore di dimensioni 15x10x5 cm; - modulo di ricezione GPS per il rilevamento di posizione del veicolo; - modulo di comunicazione dati GPRS per la trasmissione di allarmi da parte dell’utente; - modulo di sicurezza; - modulo di interfaccia con il dispositivo USB; - batteria tampone; - memoria locale per consentire l’archiviazione dei dati.


MODIFICHE E INTEGRAZIONI AL DECRETO “SISTRI” (ndr: Si avverte che il testo del Decreto inserito nelle pagine di questo Inserto non riveste carattere di ufficialità e non è sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea).

Modifiche ed integrazioni al decreto 17 dicembre 2009, recante: “Istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell’articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009” Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare Visto il decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102 recante: “Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini” e, in particolare, l’articolo 14-bis; Visto il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17 dicembre 2009, recante “ Istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell’articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009”, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 13 gennaio 2010, n. 9, Supplemento ordinario; Ritenuta la necessità di apportare alcune modifiche e integrazioni al citato decreto 17 dicembre 2009;

il seguente decreto: Articolo 1 Proroga di termini di cui all’articolo 3, comma 1 del D.M. 17 dicembre 2009 1. I termini di cui all’articolo 3, comma 1 del decreto ministeriale 17 dicembre 2009, entro i quali i soggetti individuati nel medesimo articolo sono tenuti all’iscrizione al Sistri, sono prorogati di trenta giorni. Articolo 2 Estensione della videosorveglianza agli impianti di incenerimento 1. Le disposizioni di cui all’art. 1, comma 5 del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 si applicano anche agli impianti di incenerimento dei rifiuti. Articolo 3 Imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti 1. Le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti e che risultino produttori di rifiuti di cui all’articolo 184, comma 3, lettera g) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono tenuti ad iscriversi al Sistri anche come produttori indipendentemente dal numero dei dipendenti, entro i termini previsti dall’articolo 3, comma 1 del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a) di detto decreto, come prorogati dall’articolo 1 del presente decreto. Articolo 4 Attività di raccolta e trasporto di rifiuti

Adotta

I

Regioni&Ambiente n° 4 Aprile 2010

INSERTO

Decreto 15 febbraio 2010 (G.U. 27 febbraio 2010 n. 48)


1. Le imprese di cui all’articolo 212, comma 5 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che raccolgono e trasportano rifiuti speciali possono dotarsi del dispositivo Usb relativo alla sola sede legale secondo quanto previsto all’articolo 3, comma 6, lettera a) del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 o, in alternativa, di un ulteriore dispositivo Usb per ciascuna unità locale, fermo restando l’obbligo di dotarsi di un dispositivo per ciascun veicolo a motore adibito al trasporto dei rifiuti. Qualora venga scelto di dotarsi di un dispositivo Usb per ciascuna unità locale, il contributo è versato per ciascuna di esse, fermo restando l’obbligo di pagare il contributo per ciascun veicolo a motore adibito al trasporto dei rifiuti. Le imprese che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, abbiano provveduto all’iscrizione al Sistri, qualora intendano usufruire della facoltà di cui al presente comma, devono richiedere i dispositivi per unità locale rivolgendosi al numero verde 800 00 38 36. Articolo 5 Integrazione dell’allegato II del D.M. 17 dicembre 2009 1. All’allegato II del Dm 17 dicembre 2009 è aggiunto il seguente paragrafo: “Modalità di pagamento dei contributi A) per le imprese, ad esclusione di quelle di raccolta e trasporto dei rifiuti, il contributo, determinato in relazione alla tipologia di rifiuti (pericolosi e non pericolosi) ed alle quantità degli stessi, è dovuto: per ciascuna unità locale e per la sede legale, qualora quest’ultima produca e/o gestisca rifiuti; per ciascuna operazione di recupero o smaltimento svolta all’interno dell’unità locale o della sede legale, qualora quest’ultima produca e/o gestisca rifiuti. Per le unità locali in cui insistano più unità operative da cui originano in maniera autonoma rifiuti per le quali, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, lettera a), è stato richiesto un dispositivo per ciascuna unità operativa, il calcolo dei contributi è effettuato per ciascuna unità operativa. B) Per le imprese che producono sia rifiu-

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ti pericolosi che rifiuti non pericolosi, si applica il contributo relativo ai rifiuti pericolosi. C) Per gli impianti che gestiscono sia rifiuti pericolosi sia rifiuti non pericolosi, sia rifiuti urbani, il contributo dovuto è dato dalla sommatoria del contributo corrispondente alla quantità di rifiuti pericolosi, del contributo corrispondente alla quantità di rifiuti non pericolosi e del contributo corrispondente alla quantità di rifiuti urbani (equiparati, ai fini del pagamento, ai rifiuti non pericolosi). Per le discariche il contributo è versato con riferimento alla categoria autorizzata (inerti, non pericolosi o pericolosi). Le seguenti tipologie di impianti: discariche (D1, D5, D12); demolitori/rottamatori; frantumatori; inceneritori (D10); impianti di coincenerimento (R1); impianti di trattamento chimico-fisico e biologico (D8, D9); impianti compostaggio e di digestione anaerobica; impianti di recupero di materia (R2, R3, R4, R6, R7, R8, R9); sono considerate, ai fini del pagamento del contributo, come una unica “attività di gestione dei rifiuti” (articolo 4, comma 2, del decreto). Pertanto, una unità che effettua, nell’ambito dello stesso impianto, più operazioni di recupero/smaltimento è tenuta a versare, comunque, una sola volta il contributo. Per le “attività di recupero (R5, R10, R11, R12, R13) e smaltimento (D2, D3, D4, D6, D7, D13, D14, D15)” il contributo è dovuto per ogni operazione di recupero e/o smaltimento svolta nell’unità locale; in tale ipotesi nel modulo di iscrizione dovranno essere compilate tante sezioni 2A quante sono le attività di recupero e/o smaltimento svolte nell’unità locale o operativa di riferimento. Per i demolitori, i rottamatori e i frantumatori, il contributo da versare è quello previsto per la specifica attività svolta (demolitore/ rottamatore, frantumatore), indipendentemente dalla tipologia di rifiuti trattati (pericolosi o non pericolosi) e dalle diver-


se operazioni di recupero e/o smaltimento effettuate dall’impianto. Il contributo è versato sulla base della quantità dichiarata di rifiuti trattati. Le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti e che risultino produttori di rifiuti di cui all’articolo 184, comma 3, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono tenuti ad iscriversi sia nella categoria dei gestori che in quella dei produttori e a versare i contributi per ciascuna categoria di appartenenza. D) per le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti, il contributo è dovuto per la sede legale, per le eventuali unità locali per le quali si sia scelto di richiedere il dispositivo Usb e per ciascun veicolo a motore adibito al trasporto di rifiuti. Per le imprese che trasportano sia i rifiuti pericolosi che non pericolosi, il contributo relativo alla sede legale è dato dalla sommatoria del contributo dovuto per il quantitativo autorizzato di rifiuti non pericolosi e del contributo dovuto per il quantitativo autorizzato di rifiuti pericolosi. Nel caso di veicoli adibiti sia al trasporto di rifiuti pericolosi che al trasporto di rifiuti non pericolosi, il contributo per i veicoli è dovuto unicamente per l’importo relativo ai rifiuti pericolosi. E) per le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti di cui all’articolo 212, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il contributo è dovuto in base alla categoria dei produttori di appartenenza; esse, inoltre, sono tenute a versare il contributo per ciascun veicolo adibito al trasporto di rifiuti, pari ad euro cento per i primi due veicoli ed ad euro centocinquanta oltre i due veicoli. Qualora l’impresa utilizzi lo stesso veicolo ai sensi dei commi 5 e 8 dell’articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applica il contributo previsto peri veicoli adibiti ai trasporti ai sensi del predetto comma 5. F) per i comuni della Regione Campania, il contributo è determinato in base al numero degli abitanti. G) per le imprese di raccolta e di trasporto

di rifiuti urbani della Regione Campania, il contributo è dovuto in relazione alla popolazione complessivamente servita per ciascun veicolo a motore adibito al trasporto dei rifiuti. H) per i consorzi, gli intermediari, i terminalisti, gli operatori logistici, i raccomandatari marittimi, i centri di raccolta comunali, le piattaforme, le associazioni imprenditoriali e loro società di servizi il contributo dovuto è determinato con riferimento alla specifica categoria. Il pagamento del contributo è effettuato mediante: un unico versamento comprendente l’importo complessivo dei contributi dovuti per tutte le unità locali; in più versamenti distinti per ciascuna unità locale; per le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti, in un unico versamento, comprendente l’importo dei contributi dovuti per la sede legale e per tutti i veicoli a motore adibiti al trasporto dei rifiuti. Ciascun operatore, una volta iscritto al Sistri, riceverà un numero di pratica e, successivamente, nel più breve tempo possibile, dovrà effettuare il pagamento del contributo di sua competenza per acquisire i dispositivi elettronici ad esso spettanti. Il pagamento potrà avvenire nei seguenti modi: presso qualsiasi ufficio postale: mediante versamento dell’importo dovuto sul conto corrente postale n. 871012 intestato alla Tesoreria Provinciale dello Stato di Roma. In particolare, nella causale di versamento occorrerà indicare: Capo 32/Capitolo 2592/Articolo 14 - contributo Sistri/anno 2010; il codice fiscale dell’Operatore; il numero di pratica comunicato dal Sistri, a conferma dell’avvenuta iscrizione; presso gli sportelli del proprio istituto di credito: mediante bonifico bancario alle coordinate Iban: IT88 Z010 0003 2453 4803 2259 214. In particolare, nella causale di versamento occorrerà indicare: contributo Sistri/anno 2010; il codice fiscale dell’Operatore;

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il numero di pratica comunicato dal Sistri, a conferma dell’avvenuta iscrizione; presso la Tesoreria provinciale dello Stato (Banca d’Italia): versando il contributo in contanti con la seguente causale di versamento: Capo 32/Capitolo 2592/Articolo 14 - contributo Sistri/anno 2010; il codice fiscale dell’Operatore; il numero di pratica comunicato dal Sistri, a conferma dell’avvenuta iscrizione. Dopo aver effettuato il pagamento dei contributi spettanti, gli Operatori dovranno comunicare al Sistri, via fax al numero verde 800 05 08 63 o via e-mail all’indirizzo contributo@sistri.it, i seguenti estremi di pagamento: numero della quietanza di pagamento rilasciata dalla Sezione della Tesoreria Provinciale presso la quale è stato effettuato il pagamento, ovvero il numero VCC-VCY della ricevuta del bollettino postale, ovvero il numero del “Codice Riferimento Operazione” (Cro) del bonifico bancario; l’importo del versamento; il numero di pratica a cui si riferisce il versamento. A seguito dell’invio al Sistri degli estremi del pagamento, gli Operatori saranno contattati dalle Camere di Commercio o dalle Associazioni imprenditoriali o dalle loro società di servizi delegate dalle Camere di Commercio ovvero dalle Sezioni Regionali e Provinciali dell’Albo Gestori Ambientali per la comunicazione della data dell’appuntamento ai fini della consegna dei dispositivi Usb e delle black box. In assenza della citata comunicazione di avvenuto pagamento, il Sistri non potrà procedere alle successive operazioni relative alla consegna dei dispositivi elettronici a ciascuno spettanti”. Articolo 6 Indirizzo di posta elettronica per l’iscrizione al Sistri 1. La modalità di iscrizione on line di cui all’allegato IA del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 comprende l’invio mediante posta elettronica dei moduli di iscrizione,

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disponibili sul sito del portale Sistri, debitamente compilati, al seguente indirizzo: iscrizionemail@sistri.it. Articolo 7 Termini per la comunicazione al Sistri dei dati di movimentazione dei rifiuti 1. All’articolo 5 del Dm 17 dicembre 2009 sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 6, il secondo periodo è sostituito dal seguente: “Tali soggetti, in caso di movimentazione di rifiuti pericolosi, sono obbligati a comunicare al sistema i dati del rifiuto almeno 4 ore prima che si effettui l’operazione di movimentazione, salvo giustificati motivi di emergenza, da indicare nella parte annotazioni dell’Area Registro Cronologico.”; b) il comma 7 è sostituito dal seguente: “7. Il trasportatore, in caso di movimentazione di rifiuti pericolosi, deve accedere al sistema ed inserire i propri dati relativi al trasporto almeno 2 ore prima dell’operazione di movimentazione, salvo giustificati motivi di emergenza, da indicare nella parte annotazioni dell’Area Registro Cronologico.”; c) dopo il comma 7, è inserito il seguente: “7-bis. In caso di movimentazione di rifiuti non pericolosi, la scheda Sistri - Area movimentazione deve essere compilata da produttori e trasportatori prima della movimentazione del rifiuto stesso.”. Articolo 8 Ulteriori tipologie particolari 1. Le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 2 del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 si applicano anche ai produttori di rifiuti non pericolosi che non sono inquadrati in un’organizzazione di ente o di impresa, nonché al trasporto transfrontaliero dall’estero effettuato da un’impresa di cui all’articolo 212, comma 5 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. 2. Nel caso di rifiuti pericolosi prodotti dall’attività del personale sanitario delle strutture pubbliche e private, che erogano


le prestazioni di cui alla legge 23 dicembre 1978, n. 833, e al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, al di fuori delle strutture medesime ovvero in caso di rifiuti pericolosi prodotti presso gli ambulatori decentrati dell’azienda sanitaria di riferimento, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6, commi 7 e 8 del Dm 17 dicembre 2009. Articolo 9 Impianti di recupero e smaltimento di rifiuti urbani 1. Gli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani adempiono alla tenuta del registro di carico e scarico e all’obbligo di comunicazione annuale di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 70, tramite la compilazione della scheda Sistri - Area Registro Cronologico. 2. Gli impianti comunali o intercomunali ai quali vengono conferiti rifiuti urbani e che effettuano, in regime di autorizzazione, unicamente operazioni di messa in riserva R13 e deposito preliminare D15, si iscrivono al Sistri nella categoria centro raccolta/ piattaforma e versano il contributo annuo di 500 euro indipendentemente dalla quantità di rifiuti urbani gestiti. 3. Nel caso di movimentazione dei rifiuti urbani in uscita da impianti comunali o intercomunali che effettuano, in regime di autorizzazione, unicamente operazioni di messa in riserva R13 e/o deposito preliminare D15, effettuata da imprese di trasporto iscritte nella categoria 1 di cui al decreto ministeriale 28 aprile 1998, n. 406, il gestore di tali impianti compila la scheda Sistri Area movimentazione, ne stampa una copia e la consegna, firmata, all’impresa di trasporto. Tale scheda accompagna il trasporto dei rifiuti fino all’impianto di recupero e/o smaltimento di destinazione. Ai fini dell’assolvimento della responsabilità del gestore dell’impianto comunale o intercomunale si

applica il comma 14 dell’articolo 5 del decreto ministeriale 17 dicembre 2009. Articolo 10 Moduli di iscrizione 1. I moduli di iscrizione numeri 1 e 2 allegati al decreto ministeriale 17 dicembre 2009 sono sostituiti dai moduli allegati al presente decreto. 2. Sono fatte salve le iscrizioni effettuate, fino all’entrata in vigore del presente decreto, sulla base dei moduli allegati al decreto ministeriale 17 dicembre 2009. Articolo 11 Modifiche al decreto ministeriale 17 dicembre 2009 1. All’articolo 3, comma 4 del decreto ministeriale 17 dicembre 2009, il secondo periodo è sostituito dal seguente: “Alla copertura dei costi derivanti dallo svolgimento dei compiti di cui al presente comma si provvede ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e) della legge 29 dicembre 1993, n. 580.”. 2. Nell’allegato II del decreto ministeriale 17 dicembre 2009, la nota alla sesta tabella “Demolitori e Rottamatori” è soppressa. 3. Alle Schede riportate nell’allegato III del decreto ministeriale 17 dicembre 2009 sono apportate le seguenti modifiche: a) nella Scheda Sistri - Trasportatori rifiuti speciali, nell’Area Movimentazione Rifiuto, è inserita una sezione 3-bis”Rifiuti dall’estero” contenente i seguenti campi: Paese di provenienza, con indicazione del nome e dell’indirizzo dell’impianto; destinazione dei rifiuti; codice del Regolamento 1013/2006/ Ce; numero di notifica, se prevista; numero di serie della spedizione, se previsto; quantitativo della spedizione; b) nella Descrizione Tecnica della Scheda Sistri - Trasportatori rifiuti urbani nella

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Regione Campania, al sottoparagrafo IV, il titolo “Registro Cronologico Trasportatori Speciali” è sostituito con il seguente: “Registro Cronologico Trasportatori rifiuti urbani”; i trattini settimo e ottavo sono eliminati; alla sezione 2, il titolo “Sezione anagrafica trasportatori rifiuti speciali” è sostituito con il seguente: “Sezione anagrafica trasportatori rifiuti urbani”; c) nella Scheda Sistri - Impianto di discarica rifiuti pericolosi/non pericolosi/inerti, alla sezione 4 — Informazioni impianto, al primo e al secondo trattino la parola “annualmente” è sostituita con “semestralmente”; d) nella Scheda Sistri - Impianto di recupero/smaltimento di rifiuti anche mobile, nell’Area Registro Cronologico, le parole” Registro Cronologico Impianto di discarica” sono sostituite dalle seguenti “Cronologico Impianto di recupero/smaltimento”; e) nella Scheda Sistri Gestore Centro di Raccolta rifiuti speciali, è eliminata la parola “speciali”; nella sezione 2 - Sezione anagrafica Gestore Centro di Raccolta rifiuti speciali dell’Area Movimentazione Rifiuto, alla nona riga, è eliminata la parola “eventuale”; nella sezione 3 - Consegna rifiuti, è eliminato il terzo trattino. Le Schede Sistri di cui all’allegato III, con le modifiche disposte dal presente articolo, sono pubblicate sul Portale Sistri. Articolo 12 Delegato 1. All’allegato IA del Dm 17 dicembre 2009, Definizioni, la definizione di Delegato è sostituita dalla seguente: “”Delegato”: il soggetto che, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, è delegato dall’impresa all’utilizzo e alla custodia del dispositivo Usb, al quale sono associate le credenziali di accesso al Sistema ed è attribuito il certificato per la firma elettronica. Qualora l’impresa non abbia indicato, nella procedura di iscrizione, alcun “Delegato”, le credenziali di accesso al Sistri e il certificato per la firma elettronica verranno attribuiti al rappresentante legale

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dell’impresa”. Articolo 13 Entrata in vigore 1. Il presente decreto è trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione e pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana. 2. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana. Roma, 15 febbraio 2010


ALLEGATO

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SERVIZI AMBIENTALI

PolieCo - Ottimizzazione del ciclo dei rifiuti

REGIONE LAZIO E POLIECO FIRMANO UN ACCORDO DI PROGRAMMA Obiettivo: smaltimento e recupero dei fanghi derivanti dal lavaggio di teli agricoli in polietilene

La Regione Lazio (Dipartimento Enti Locali, Reti Territoriali Energetiche, Portuali, Aeroportuali e dei Rifiuti) ha approvato, il data 5 febbraio 2010, lo schema di Protocollo di Intesa fra l’Ente stesso ed il Consorzio PolieCo (Consorzio Nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene), avente per oggetto la promozione e la realizzazione sull’intero territorio regionale della pratica della raccolta dei rifiuti di beni in polietilene, la facilitazione del loro avvio al riciclo ed al recupero presso Riciclatori e Recuperatori sul territorio regionale e nazionale. Tale Accordo aggiunge un ulteriore tassello al mosaico di complesse operazioni che il PolieCo, da molti anni, ha messo in campo per conseguire elevati livelli di raccolta ed avvio al riciclaggio di rifiuti dei beni a base di polietilene (la plastica più usata in commercio per la sua enorme versatilità). Nello specifico, l’Accordo tende ad un approccio risolutivo della problematica legata allo smaltimento di fanghi provenienti dalle operazioni di lavaggio di plastiche negli impianti di riciclo, operazione quanto mai necessaria quando dette plastiche provengono dal settore agricolo (telonerie e pacciamature che presentano un’alta percentuale di terra residuale). Orbene, il D. Lgs. 152/2006 non chiarisce compiutamente se tali fanghi debbano essere considerati rifiuti, né attribuisce loro uno specifico codice CER, per cui, a volte, vengono assimilati - da parte degli Organi di controllo - ai fanghi provenienti dagli impianti di depurazione (e quindi ritenuti rifiuti speciali non pericolosi da conferire in discarica autorizzata). Tuttavia, tale incertezza rischia di provocare una lievitazione dei costi di smaltimento tale da rendere, molte volte, il processo di riciclo troppo oneroso rispetto ai valori di mercato.

A tal proposito, il positivo risultato raggiunto con la Regione Lazio risulta essere un importante traguardo per tutto il comparto del riciclo, utile, sia in termini di economicità, che in termini tecnici, per addivenire ad una maggiore e più equa captazione, trattamento ed avvio al riciclo dei materiali suddetti, nell’ottica della riduzione dei quantitativi conferiti in discarica e della implementazione del riciclo. Pertanto, onde comunicare ed informare puntualmente Istituzioni, Imprese e Cittadini sui termini dell’Accordo, favorire un adeguato confronto con tutti gli stakeholders e veicolare una corretta comunicazione ambientale, PolieCo, ha promosso, nella giornata di lunedì 8 marzo, presso la Sala Cristallo dell’Hotel Nazionale in Piazza Montecitorio a Roma, la Conferenza Stampa: “Le buone pratiche per uno smaltimento intelligente - Riciclo e Recupero dei materiali in polietilene”, durante la quale è stato ufficialmente siglato l’Accordo con la Regione Lazio. L’iniziativa ha riscosso un notevole successo stante la presenza della stampa di settore, dell’Associazionismo ambientale, e del comparto del riciclo, rappresentato dalle oltre 40 imprese associate al PolieCo, che hanno ascoltato i termini dell’Accordo e, in un successivo spazio apposito di approfondimento interno, hanno portato la loro esperienza in merito, a riprova della grande attenzione posta dagli imprenditori a questa problematica. Al centro dell’iniziativa, ovviamente, la sigla dell’Accordo di Programma cui i due Enti succitati hanno dato vita con la finalità di ottimizzare il ciclo dei rifiuti e, più in particolare, per verificare e sperimentare nel territorio iniziative ed attività di recupero e/o ottimale smaltimento di fanghi

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derivanti dal lavaggio di teli agricoli recuperati e avviati a riciclo nelle aziende associate a PolieCo. Questa problematica assume un peso notevole nel novero dei costi di gestione delle aziende di riciclo che trattano polietilene di uso agricolo, in quanto, per tali fanghi, non esiste uno specifico codice CER che ne attesti la natura e ne indichi, di conseguenza, l’utilizzo finale. Il risultato è che le aziende di riciclo devono accollarsi il costo dello smaltimento in discarica di tali fanghi e sommando quest’ultimo ai costi di produzione e trasporto si arriva ad un prezzo di mercato del prodotto finito che si colloca al di fuori del mercato stesso. Nell’avviare i lavori della mattinata, il Presidente di PolieCo, Enrico Bobbio, ha sottolineato come l’Accordo sia il primo esempio di questo tipo in Italia ed ha fatto il punto sulle attività che il Consorzio sta realizzando a favore dell’ambiente e delle Aziende del riciclo. “Chi gestisce il mercato del riciclo dei rifiuti e dei materiali ha in mano il futuro dell’economia” ha dichiarato Bobbio, citando le istanze contenute nell’ultima Direttiva europea dei rifiuti. “La problematica che ci troviamo ad affrontare oggi è la diretta conseguenza di una necessaria distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è”, ha quindi proseguito. Entrando poi nel merito della questione in oggetto, il Presidente ha sottolineato come: “Le imprese del riciclo si trovano a dover lavorare in presenza di costi nettamente superiori al passato e, pertanto, rischiano di lavorare in perdita”. “Abbiamo chiesto al Governo un incentivo al consumo energetico - ha proseguito Bobbio - ma la nostra richiesta non è stata recepita in quanto aiuto di Stato. È necessario, a questo

punto, trovare una soluzione ulteriore che faciliti il lavoro alle Aziende che si occupano di smaltimento dei rifiuti in polietilene, di cui gran parte dei teli agricoli sono costituiti”. La soluzione ipotizzata durante la mattinata di lavori va nella direzione della rivisitazione della normativa di riferimento studiando un sistema attraverso il quale i fanghi di lavaggio dei teli possano essere smaltiti in modo meno oneroso. Obiettivo, questo, raggiungibile attraverso la realizzazione di Gruppi di studio mirati alla definizione della tipologia di rifiuto rappresentata da questi fanghi. Al termine dell’intervento, il Presidente PolieCo ha anche ricordato la battaglia che il Consorzio ha intrapreso da tempo per sensibilizzare Istituzioni e Organi di controllo verso la problematica dell’esportazione illegale dei rifiuti che si traduce in un ammanco di notevoli quantità di materiali sottratti al riciclo italiano ed europeo. Presente alla forma dell’Accordo anche l’Assessore agli Enti Locali, Reti territoriali energetiche, portuali, aeroportuali e dei rifiuti della Regione Lazio, Giuseppe Parroncini che ha ricordato: “La firma di questo Protocollo è un risultato importante per la Regione Lazio che persegue una politica attenta allo smaltimento dei rifiuti, nonostante sia uscita solo nel 2008 dal commissariamento che durava sin dal 1999. Ci stiamo impegnando per la riduzione all’origine dei rifiuti; c’è un investimento forte per la raccolta differenziata in cui abbiamo ottenuto risultati significativi negli ultimi anni, Potenzieremo l’industria del riciclo e contiamo di eliminare, entro il 2013, il conferimento della frazione indifferenziata in discarica”. “Per quanto concerne i rifiuti a base di polietilene - ha con-

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tinuato l’Assessore - ci impegneremo nel censimento delle reti impiantistiche regionali, che rappresentano il vero limite strutturale nella regione; un comparto, invece, che se ben supportato, può creare molti posti di lavoro”. In questo senso, ha ricordato che: “la Regione sta investendo circa 320 milioni di euro sulla raccolta differenziata, una parte dei quali già erogata a Province e Comune di Roma”. Luca Fegatelli, Dipartimento Territorio, Direzione area energia, rifiuti, porti e aeroporti della Regione Lazio, è intervenuto nel dibattito aggiungendo che è in fase di studio un “Percorso per ridurre i rifiuti in discarica e agevolare le attività delle aziende che garantiscono il recupero dei rifiuti. La normativa ambientale carica di costi aggiuntivi le imprese del settore, scontrandosi con le esigenze di mercato. Siamo passati dai 2-3 euro di costo a tonnellata a 15 euro per lo smaltimento dei rifiuti. Creeremo un percorso alternativo per rispettare comunque la normativa, limitando però i costi da sostenere. Con i gruppi di studio cercheremo di sopperire al ritardo che ci separa da altre Regioni italiane”. Purtroppo, ha concluso: “Nell’arco di un anno non si possono realizzare nuovi impianti, il nostro termine è il 2011, quando nuovi siti saranno pronti per le 550 mila tonnellate di organico che pensiamo di dover smaltire; siti che si andranno ad aggiungere ai 329 centri di recupero già esistenti”. Il punto di vista delle imprese del settore è stato portato da Walter Regis, Direttore di Assorimap che, nel ricordare come il background culturale italiano nel settore del riciclo sia nettamente superiore a quello di importanti partner europei, ha voluto sottolineare l’importanza della problematica in oggetto, in quanto: “i teli agricoli rappresentano il 50%

del polietilene immesso sul mercato”. “Assorimap - ha dichiarato Regis - collaborerà al 100% e si candida, pertanto, a far parte del gruppo di lavoro per lo studio della tipologia del rifiuto”. Prezioso anche l’intervento tecnico di Gianlorenzo Manelli, geologo esperto nei problemi ambientali e territoriali che ha spiegato come: “TU Ambientale presenta ombre applicative e interpretazioni da sciogliere. L’idea dell’Accordo con la Regione nasce per chiarire punti nodali non accettabili nei termini postulati. PolieCo deve farsi carico di aiutare le Aziende trovando il modo corretto di applicare la norma sulle tecniche di riciclo. Gran parte del polietilene prodotto è utilizzato in agricoltura, per cui riciclare un prodotto agricolo significa riciclare gran parte del polietilene immesso sul mercato”. Tuttavia, ha proseguito: “Uno dei problemi maggiori è che il fango derivante dalla lavorazione dei teli agricoli è comunemente assimilato al fango degli impianti di depurazione, quest’ultimo risultato di un processo biologico, considerato rifiuto speciale e pericoloso dai costi di smaltimento molto elevati. Ebbene, tale classificazione non è applicabile ai fanghi di risulta del lavaggio dei teli agricoli”. Al termine dei lavori è intervenuto un rappresentante del WWF Giovanni Iudicone che ha stigmatizzato le responsabilità istituzionali della Regione Lazio circa la carenza impiantistica e infrastrutturale del settore rifiuti nel territorio regionale, auspicando una migliore gestione e smaltimento degli stessi. Inoltre, ha espresso la propria disapprovazione nei confronti della combustione dei frammenti dei teli di plastica, cd. “coriandoli”, ipotizzata nel corso dell’incontro.

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Non è più differibile affrontare la questione

“CARBON” O “GREEN” LA TASSA SU PRODOTTI E CONSUMI È LA MADRE DI TUTTI I BUSINESS

Stimolanti risultati emergono da una Ricerca pubblicata da Bankitalia

Arthur Cecil Pigou, economista inglese, scrisse la sua opera più famosa ed influente “The Economics of Welfare” in cui individuava la necessità di introdurre delle imposte per correggere le “esternalità negative”. Osservando la situazione dell’inquinamento atmosferico di Londra, capì che i danni causati sulla salute umana e sull’ambiente non erano inclusi nel prezzo delle transazioni all’interno del mercato ovvero nel prezzo pagato per un prodotto da un consumatore non era compreso il danno che la fabbricazione ed il consumo del prodotto provocava in modo “non intenzionale”. Per correggere tale situazione aveva formulato l’idea di un dispositivo, una imposta che servisse a compensare il danno esterno che veniva arrecato. Sono trascorsi 90 anni e quella tassa “pigouviana” che è rimasta per tanto tempo oggetto di riflessioni accademiche è tornata prepotentemente alla ribalta. È un passaggio obbligato se si vuole uscire dalla crisi ed avviarsi verso un’economia più sostenibile. Il problema da risolvere è: su chi deve gravare questa tassa che dovrebbe disincentivare l’uso di certi beni e ridistribuire le risorse per sviluppare consumi alternativi? Sulle imprese, con il rischio di veder ridurre i loro profitti e mettere in pericolo l’occupazione, come afferma qualcuno?

Su ogni consumo di beni, a prescindere dalle risorse e dalle fonti utilizzate per produrlo, con ricadute negative sulle classi meno abbienti? Una cosa è certa: i sistemi introdotti dal Protocollo di Kyoto, quali quelli denominati emissions trading o cap and trade, non sembrano dare, al momento, risposte adeguate, offrendo il fianco a rischio di bolle speculative senza ridurre i quantitativi di emissioni climalteranti; né l’introduzione generalizzata di una tassa sui consumi delle famiglie e delle imprese risulterebbe equa, come hanno dimostrato i rilievi mossi dalla Corte Costituzionale francese di fronte alla proposta del Presidente Nicolas Sarkozy di applicare una tassa al consumo di energie delle famiglie e delle imprese. L’Unione europea deve assumere un ruolo di indirizzo senza lasciare i Paesi membri a decidere in merito. Forte del principio condiviso “chi inquina, paga”, la Commissione UE sembra, ora, voler riprendere la questione dopo l’annuncio fatto dalla passata presidenza svedese di voler intraprendere la condivisione della sua esperienza di carbon tax con altri Paesi membri. Allora, solo la Francia aveva annunciato la sua entusiastica collaborazione, mentre la Gran Bretagna aveva subito espresso la sua netta opposizione. Il neo-Commissario UE alla Fiscalità, il lituano Algirdas Semeta ha annunciato ai primi di marzo che presenterà una

Emissioni esportate di anidride carbonica (Mt CO2 y-1). I principali Paesi esportatori sono in blu, mentre i principali Paesi importatori sono in rosso (con l’Europa occidentale raggruppata assieme) fonte: Steven J. Davis - Carnegie Institution for Science - PNAS

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proposta di carbon tax che prevede una riparametrazione delle accise per le fonti di energia fossile, non più basate sulle quantità di combustibile consumato, ma direttamente sulle emissioni di CO2 e indirettamente proporzionale all’efficienza energetica. Anche il suo predecessore, l’ungherese László Kovács aveva formulato una simile proposta nel 2008, ma era stato bloccato dal Presidente della Commissione, Barroso, preoccupato che una simile iniziativa avesse potuto ostacolare l’elaborazione della strategia UE per i Cambiamenti Climatici. Oltre alla Svezia, nel frattempo anche altri Paesi hanno introdotto una carbon tax (Danimarca e Finlandia), altri si apprestano a farlo (Francia e Irlanda) ed altri ancora ne stanno discutendo (Germania, Paesi Bassi, Slovenia). “A mio avviso è possibile avviare discussioni in seno alla Commissione - ha dichiarato Semeta - il momento è attualmente più favorevole”. Se il “clima” nell’UE sembra essere migliore, v’è poi da tener presente che per una simile decisione debbono essere d’accordo tutti i 27 Paesi membri. Ci sono pure questioni di carattere etico che non possono essere sottaciute. Un Studio condotto dal Carnegie Institution for Science Department of Global Ecology, Organizzazione statunitense volta a sostenere la ricerca scientifica ha messo in evidenza che gran parte delle emissioni globali sono generate nei Paesi in via di sviluppo per produzioni di beni e servizi consumati da Paesi ricchi (Steven J. Davis and Ken Caldeira: “Consumption based accounting of CO2 emissions”, Proceedings of the National Academy of Science of the United States, March 8, 2010, n. 106). Utilizzando i dati dei commerci esteri mondiali e monitorando il flusso di 57 settori industriali e di 113 Paesi o Regioni, gli autori dello Studio hanno verificato che il 22,5% delle emissioni di anidride carbonica della Cina, divenuta primo emettitore globale, deriva da produzioni esportate; oltre 1/3 delle emissioni di CO2 dei Paesi in via di sviluppo deriva da beni e servizi consumati in vari Paesi europei (Svizzera, Austria, Svezia, Gran Bretagna e Francia, soprattutto); mentre gli USA esternalizzano l’11% delle emissioni consumate. “Per il sistema climatico non importa da dove si originano le emissioni - ha dichiarato Davis, uno dei due autori - Una politica efficace presuppone uno scopo globale. Nella misura in cui i vincoli da imporre alle emissioni dei Paesi in via di sviluppo sembrano essere il principale ostacolo ad una soluzione politica efficace sul clima a livello internazionale, assegnare una parte di queste emissioni ai consumatori finali che risiedono altrove, potrebbe costituire un’opportunità per un equo compromesso”.

In Italia, la carbon tax dopo una sua introduzione nella Finanziaria per il 1999 che ne prevedeva l’implementazione graduale, fu inopinatamente annullata, ma il tema ritorna ad essere dibattuto. È stato infatti diffuso in questi giorni dalla Banca d’Italia lo studio di una sua economista, Daniela Marconi “Commercio, progresso tecnico e ambiente: gli effetti di una tassa unilaterale sui consumi” (Trade, Technical Progress and the Environment: the Role of a Unilateral Green Tax on Consumption). Seppur i lavori pubblicati nella collana “Temi di discussione”, come ha sottolineato la Banca d’Italia, non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto e dei suoi vertici, non c’è dubbio che il ruolo che all’interno vi svolge l’autrice, dà rilievo a quanto vi è espresso. Secondo la Marconi, “le evidenze empiriche disponibili per i paesi avanzati indicano che circa la metà delle emissioni di gas serra è riconducibile, direttamente o indirettamente, all’attività di consumo delle famiglie”. Quindi, l’azione dei Governi dovrebbe concentrarsi su questo fronte, piuttosto che sul comparto produttivo, come avviene con il sistema ETS, che impone alle aziende un limite di quote, superato il quale debbono acquistarne altre sul mercato. “L’introduzione di una tassa proporzionale alle emissioni generate dal consumo di beni - sia prodotti all’interno che importati - nel Paese più ricco (che costituisce anche il mercato di consumo più ampio) e la successiva ridistribuzione degli introiti ai consumatori in base alla formula lump-sum [espressione che indica un’imposta che risponde a requisiti di equità ed efficienza, perché basata sulla capacità degli individui a produrre reddito, evita gli effetti distortivi su occupazione e scelte di consumo] produrrebbe effetti sui consumi, sui profitti e sulle ragioni di scambio tali da accelerare l’innovazione tecnologica in entrambi i Paesi, abbattere le emissioni inquinanti per unità di prodotto e migliorare il benessere complessivo dei due Paesi”. I risultati della Ricerca, pubblicata sul sito di Bankitalia, seppur ottenuti a livello teorico, indicano che con l’introduzione di questa cosiddetta green tax “incidendo sulle abitudini di consumo mediante interventi di tipo unilaterale, non penalizzanti per la competitività internazionale del Paese, i Governi possono generare meccanismi virtuosi a livello globale”.

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Pubblicato il 1° Rapporto ONU-DESA

“STATO DEI POPOLI INDIGENI DEL MONDO” Evidenziata la loro vulnerabilità alle pressioni esterne “… la nostra vita è come una traccia di sci sulle bianche pianure aperte: il vento le cancella prima che nasca il giorno.” (Paulus Utsi - trad. Lucia Zorzi)

Nel 1° Rapporto sullo Stato delle Popolazioni Indigene (State of the World’s Indigenous Peoples) delle Nazioni Uniti-Divisione per le Politiche Economiche e Sociali (DESA) che rivela una situazione critica delle popolazioni indigene in varie parti del mondo, il primo capitolo (“Povertà e Benessere”) propone la poesia “As long as…” del poeta Sami (impropriamente definiti Lapponi) Paulus Utsi (1918-1975), che abbiamo sostituito arbitrariamente, soprattutto per motivi di spazio, con un’altra che ci sembra sintetizzi, co-

munque, in modo immediato lo stato di dolorosa precarietà dell’attuale vita dei vari popoli indigeni. Sono 370 milioni in circa 90 Paesi gli indigeni che, pur rappresentando solo il 5% della popolazione mondiale, costituiscono però circa 1/3 dei 900 milioni di individui che soffrono la fame sulla Terra. Oltre a soffrire in modo sproporzionato, tassi elevati di povertà, debbono subire gli attentati alla salute, le violenze della criminalità, le violazioni dei diritti umani, gli espropri della terra su cui vantano diritti che sono vitali per la loro sopravvivenza. Al momento del lancio del Rapporto nella sede dell’ONU a New York, il Presidente del Forum permanente sulle Popolazioni Indigene Vicki Tauli-Corpuz ha dichiarato che il suo valore e di ampia portata, perché riassume, per

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la prima volta con estrema chiarezza, dati aggregati. “Crediamo che questo Rapporto sarà fondamentale per i Governi e per le Nazioni Unite affinché vengano affrontati in modo più serio e completo i problemi delle popolazioni indigene - ha osservato la Presidente del Forum - In un certo senso è molto audace e coraggioso, perché mette in evidenza la situazione delle popolazioni indigene nei vari Paesi, sia nel mondo sviluppato così come nel mondo in via di sviluppo”. Negli Stati Uniti, un nativo americano ha 600 volte probabilità in più rispetto alla popolazione in generale di contrarre la tubercolosi e il 62% in più di suicidarsi. In Australia, un bambino indigeno ha un’aspettativa di vita inferiore di 20 anni rispetto ad un suo connazionale non indigeno. Lo stesso divario si verifica nel Nepal, mentre in Guatemala è di


anzi molto spesso ne deriva un danno.

13 anni e in Nuova Zelanda è di 11 anni. In alcuna aree dell’Ecuador, gli indigeni corrono il rischio 30 volte superiore alla media nazionale di contrarre il tumore laringo-faringeo. In tutto il mondo, più del 50% degli adulti indigeni soffrono di diabete - tipo 2, numero questo che è in continua ascesa. La pubblicazione illustra, inoltre, molte delle questioni affrontate dalla Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni, adottata nel settembre 2007, ed è divisa in sette capitoli che riguardano sei ambiti su cui ha mandato il Forum permanente sulle questioni indigene e un capitolo sulle questioni emergenti. Il primo capitolo (Povertà e Benessere) sottolinea sia l’Autodeterminazione e il principio di libertà, sia il preventivo e informato consenso, che significa praticamente che devono essere gli stessi popoli indigeni liberi di determinare il proprio sviluppo. Ciò comporta che i diritti dei popoli indigeni sulle proprie terre e territori devono essere rispettati e spetta alle popolazioni indigene di

implementare, secondo proprie definizioni e propri indicatori, la condizione di povertà e benessere. Anche se le statistiche a livello mondiale sulla situazione dei popoli indigeni non sono prontamente disponibili, è chiaro che essi soffrono in maniera sproporzionata lo stato di povertà, l’emarginazione, la mancanza di un adeguato alloggio e disparità di reddito. Le modalità tradizionali di sussistenza, come la pesca, la caccia e la raccolta, l’allevamento del bestiame e l’agricoltura su piccola scala, subiscono pesantemente gli impatti di fenomeni come il neo-liberalismo, la mercificazione, la privatizzazione, i cambiamenti climatici e i conflitti. Il Rapporto avverte che molte di queste sfide sono di fronte non solo alle popo-

lazioni indigene, ma a tutta l’umanità. Il secondo capitolo (Cultura) approfondisce le varie definizioni di cultura, sottolineando il notevole contributo che le popolazioni indigene danno alla diversità culturale in tutto il mondo. Esse parlano la stragrande maggioranza delle 7.000 lingue che si stima siano parlate nel mondo e sono i custodi di

alcune delle zone di maggior biodiversità, avendo accumulato una quantità incommensurabile di conoscenze tradizionali circa i loro ecosistemi. Le culture indigene debbono affrontare la duplice e un po’ contraddittoria minaccia di discriminazione e di mercificazione: da un lato, i popoli indigeni continuano a subire il razzismo e la emarginazione che li considera inferiori alle comunità non indigene e la loro cultura come un ostacolo al loro sviluppo; dall’altra parte, i popoli indigeni sono sempre più valorizzati per il loro rapporto unico con l’ambiente in cui vivono, le loro conoscenze tradizionali e la loro spiritualità, portando ad una mercificazione della loro cultura, che è spesso fuori dal loro controllo, senza apportar loro alcun beneficio,

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Il terzo capitolo (Ambiente) inizia analizzando le grandi questioni ambientali che i popoli indigeni debbono attualmente affrontare. Vi si sottolinea la connessione spirituale, culturale, sociale ed economiche delle popolazioni indigene con i loro territori d’origine e i loro tradizionali diritti collettivi sulla terra, in contrasto con i modelli dominanti di proprietà individuale, privatizzazione e sviluppo, che spesso portano alla espropriazione delle loro terre. In aggiunta a queste minacce, le popolazioni indigene devono affrontare le conseguenze, sempre più incombenti, dei cambiamenti climatici, soprattutto nella regione artica e nelle isole del Pacifico, mentre gli sforzi di mitigazione hanno esacerbato la situazione, mettendo maggiore pressione sulle loro terre, come ad esempio la deforestazione per le piantagioni di biocarburanti. Nel capitolo, poi, si passa in rassegna alcuni dei quadri giuridici internazionali e dei meccanismi per la tutela dell’ambiente, dal Vertice di Rio nel 1992 alla

Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni e di come le popolazioni indigene hanno utilizzato tali strumenti. Una sezione finale del capitolo, infine, esamina il modo con cui la legislazione ambientale internazionale si sta attuando e quali sono le principali lacune e sfide che popolazioni indigene devono affrontare a livello locale e nazionale. Il quarto capitolo (Istruzione) mette in evidenza la forte disparità in materia di accesso all’istruzione tra studenti indigeni e non. A tutti i livelli e in tutte le regioni del mondo, i popoli indigeni tendono ad avere livelli più bassi di alfabetizzazione, vanno a scuola per un minor numero di anni e hanno maggiori probabilità di abbandonarla anzitempo. L’istruzione viene impartita raramente ai bambini


indigeni nelle loro lingue native e spesso viene offerta in un contesto che è culturalmente inappropriato, con poche e inadeguate strutture. Troppo spesso, chi riesce ad avere un’educazione è costretto ad assimilarla all’interno della cultura dominante, non riuscendo a trovare posti di lavoro nelle proprie comunità. Nonostante tutte queste scoraggianti tendenze generali, c’è un gran numero di iniziative che indicano la strada per un’adeguata educazione per gli indigeni, dove la comunità nel suo complesso è coinvolta e in cui gli insegnanti parlano sia la lingua dominante che quella indigena in modo opportuno, per cui al termine i popoli indigeni hanno la libertà di scegliere se proseguire la propria carriera nelle loro comunità o altrove.

razione sui Diritti dei Popoli Indigeni, ci sono un numero significativo di strumenti internazionali che tutelano i diritti umani delle popolazioni indigene e negli ultimi anni vi sono stati notevoli miglioramenti. Tuttavia, i popoli indigeni continuano a subire giornalmente gravi violazioni dei diritti umani, dall’ esproprio dei terreni alle violenze e all’omicidio. Spesso gli abusi più gravi sono commessi nei confronti di indigeni che tentano di difendere i loro diritti, le loro terre e i territori. Vi è, quindi, una grave differenza tra il riconoscimento a livello internazionale dei loro diritti e il loro effettivo godimento, in realtà, che deve essere affrontato attraverso l’educazione ai diritti umani, un più efficace controllo e maggiori impegni da parte degli Stati.

Il quinto capitolo (Salute) mette in rilievo il rapporto tra la salute e gli altri fattori, come la povertà, l’analfabetismo, l’emarginazione, il degrado ambientale e (la mancanza di) autodeterminazione. Queste forze, eredità della colonizzazione, rendono le popolazioni indigene, in generale, e le donne indigene e i bambini, in particolare, vulnerabili alle cattive condizioni di salute. Il risultato è che i popoli indigeni sperimentano a livelli sproporzionatamente elevati: mortalità materna e infantile, malnutrizione, malattie cardiovascolari, HIV/ AIDS, malaria, tubercolosi, diabete, e praticamente tutti gli altri indicatori di un cattivo stato di salute, compresa la salute mentale. I popoli indigeni hanno scarso accesso ai sistemi sanitari statali, mentre vi è una carenza evidente di riconoscimento e sostegno per i sistemi sanitari tipici delle popolazioni indigene. Qualsiasi piano per fornire assistenza sanitaria per le popolazioni indigene per avere successo deve coinvolgere il sistema sanitario interculturale in cui i sistemi sanitari occidentali e indigeni siano praticati con pari risorse umane, tecnologiche e finanziarie e dove le popolazioni indigene siano coinvolte in tutti i processi decisionali che riguardano la salute e la fornitura di assistenza sanitaria. Il sesto capitolo (Diritti Umani) affronta come i diritti dei popoli indigeni, quali diritti umani sono indissolubilmente legati al loro diritto all’autodeterminazione, quale pre-condizione per l’esercizio di tutti gli altri diritti. Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fino alla Dichia-

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L’ultimo capitolo (Problemi emergenti) esamina alcune delle questioni emergenti che interessano le popolazioni indigene, compresa la violenza e il militarismo, gli effetti della conservazione, la globalizzazione, la migrazione e l’urbanizzazione, e le popolazioni indigene che vivono in un volontario isolamento. Questi problemi sono interconnessi in molti modi e un tema comune è la vulnerabilità delle popolazioni indigene di fronte a pressioni esterne e la necessità di sviluppare politiche specifiche che affrontino tale questione, assicurando al contempo che il libero, preventivo ed informato consenso sia rispettato e che i popoli indigeni possano partecipare ai processi decisionali che riguardano il loro benessere.


AMBIENTE E SALUTE

V Conferenza ministeriale su Ambiente e Salute (Parma, 10-12 Marzo 2010)

RIDURRE ENTRO I PROSSIMI 10 ANNI GLI IMPATTI DELL’AMBIENTE SULLA SALUTE Sottoscritta da 53 Paesi europei la “Dichiarazione di Parma”

“Proteggere la salute dei bambini in un ambiente che cambia”: è stato il tema della V Conferenza Ministeriale su Ambiente e Salute che si è svolta a Parma dal 10 al 12 marzo 2010 e organizzata dall’Ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con il sostegno del Comune di Parma, per discutere dei rischi ambientali e delle nuove minacce emergenti da combattere. Se tra i temi discussi ci sono stati i rischi sanitari legati alla scarsa qualità, l’esposizione alle sostanze chimiche nocive, alle conseguenze dei cambiamenti climatici, in generale, un focus particolare è stato dedicato alla tutela della salute dei più giovani, essendo acclarato che il loro organismo è più sensibile e, quindi, vulnerabile. “L’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia che il 24% delle malattie e il 23% delle morti nel mondo sono attribuibili a fattori ambientali ha sottolineato il Ministro della Salute italiano, Ferruccio Fazio, intervenuto assieme al Ministro dell’Ambiente e del Tutela del Territorio e del Mare, Stefania Prestigiacomo - Più del 33% delle patologie dei bambini sotto i 5 anni è

provocato da fattori ambientali. Inoltre, si stima che durante i tre giorni della Conferenza di Parma moriranno in Europa circa 345 bambini a causa di incidenti, tra cui quelli domestici sono in maggior numero”. Alla Conferenza hanno partecipato rappresentanti di 53 Paesi europei, della Commissione europea, partner intergovernativi e della società civile, esperti della comunità scientifica, che hanno valutato lo stato di attuazione del processo europeo per ambiente a salute dalla prima Conferenza a Francoforte quasi vent’anni fa, e di come gli impegni presi dai vari Paesi sui principali fattori di rischio sono stati mantenuti. “Lavorare insieme e con tutti gli altri settori nell’affrontare le minacce dell’ambiente ha prodotto risultati tangibili nell’Europa allargata negli scorsi vent’anni - ha dichiarato Zsuzsanna Jakab, nuovo Direttore regionale Organizzazione Mondiale Sanità (OMS) per l’Europa - Tuttavia, il cambiamento climatico, la crisi finanziaria e le crescenti disuguaglianze stanno pesando notevolmente sui Governi, rendendo più importante che mai concordare un nuovo approccio per il futuro”.

Riferendosi alle abbondanti nevicate che hanno accolto i partecipanti, particolare insolito per marzo in Italia, il Ministro dell’Ambiente italiano Stefania Prestigiacomo ha avvertito “Non sorridete, il cambio di clima c’è, dobbiamo affidarci alla scienza, gli eventi estremi sono le conseguenze di questi cambiamenti e gli effetti sulla salute sono molto forti”. In tal senso, la Prestigiacomo ha sottolineato l’azione del Ministero per il monitoraggio della qualità ambientale nelle scuole che si è concretizzata nella ricerca “Qualità dell’aria nelle scuole, un dovere di tutti, un diritto dei bambini” (ndr: sul prossimo numero di Regioni&Ambiente verrà dedicato ampio spazio a questo importante report che si inserisce all’interno del progetto europeo SEARCH -School Environment and Respiratory Health of Children) ed ha annunciato “A giorni le Linee Guida per il Piano nazionaledi interventi contro lo smog. Trasporti pesanti ed efficienza energetica, con particolare attenzione al riscaldamento, i due settori dove si concentreranno le misure del Piano, incidendo sui settori maggiormente responsabili del PM10”.

Immagine della Sessione plenaria durante l’intervento Direttore regionale Organizzazione Mondiale Sanità (OMS) Zsuzsanna Jakab (fonte: WHO EURO)

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In occasione della Conferenza, il nostro Ministero dell’Ambiente ha presentato l’iniziativa, curata con il Regional Environmental Center (REC) di un libretto a fumetti “Ecoman nella città di Asmaville”. Per aiutare l’ambiente servono piccoli eroici gesti quotidiani che vengono proposti ai più piccoli della città di Asmaville, piena di smog, traffico e rifiuti, da Ecoman: supereroe ecologico con tuta e mantello verde, una grande lettera “E” sul petto, racchiusa in una nuvola bianca, occhiali da supervista e capelli ben curati. Ecoman vede i bambini un po’ “malaticci” e pone loro delle semplici domande sulla loro vita quotidiana. I bambini mostrano delle resistenze, ma il supereroe ha una risposta per tutto e alla fine riassume in poche e funzionali regole il modo per vivere meglio con il Pianeta. “Voi potete fare molto fin da subito - dice Ecoman - Poi, molto presto a-nche voi sarete grandi e solo se saprete cosa fare potrete conservare sano l’ambiente in cui vivete e sani voi stessi”. Al termine dei tre giorni di sedute i Governi degli Stati europei hanno firmato una Dichiarazione con la quale si impegnano a ridurre entro i prossimi dieci anni gli impatti dell’ambiente sulla salute. “Ovviamente - ha osservato Bettina Menne, Medico responsabile del settore dei cambiamenti climatici in Europa dell’OMS - i nostri intenti non avranno alcun senso se non saranno integrati nei documenti finali di Cancan, dove si

terrà il prossimo vertice ONU sul clima, gli unici che potranno avere un valore vincolante”. Alla Dichiarazione è allegata la Carta dell’Impegno ad Agire (Commitment to Act) con cui vengono definite diverse strategie per raggiungere un obiettivo che ha un valore tanto più

fondamentale perché vengono per la prima volta stabiliti precisi termini di scadenza. Si prevedono ospedali e servizi sanitari più “verdi”, efficaci sistemi di allerta rapida e di sorveglianza delle emergenze, politiche di contrasto ai cambiamenti climatici più attente alla salute e capaci di integrare al meglio le questioni ambientali e quelle sanitarie. Ma anche azioni concrete per contra-

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stare i rischi ambientali sulla salute dei bambini, ridurre le diseguaglianze socio-economiche nella sanità e investire in tecnologie sostenibili che rispettino l’ambiente e la salute. “Abbiamo bisogno di una visione completamente nuova perché la politica sanitaria europea possa affrontare le più grandi sfide sanitarie della nostra regione - ha osservato nel suo intervento di chiusura la Jakab - Questa Conferenza ha aperto un nuovo interessante capitolo nella modalità con cui i Governi europei lavoreranno sui temi di ambiente e salute, spingendo sempre più in alto nell’agenda politica le questioni strettamente correlate fra loro”. Il documento, approvato al termine della Quinta conferenza su Ambiente e Salute, segna dunque un passo fondamentale verso un rapporto tra ambiente e salute che preveda un progressivo e unitario cammino di miglioramento, che porti a dei risultati concreti nell’arco di un decennio. La dichiarazione che ne è venuta fuori è stata firmata dal Ministro della Salute, Ferruccio Fazio, dal Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, e dal Direttore dell’Oms Europa, Zsuzsanna Jakab, e consta di due parti: la prima sull’impegno politico dei vari Stati “ad agire sulle grandi sfide dell’ambiente e della salute” e la seconda sugli obiettivi prioritari con le date entro cui raggiungerli. “Abbiamo bisogno di una visione completamente nuova ha dichiarato Zsuzsanna Jakab - perché la politica sanitaria europea possa affrontare le più grandi sfide sanitarie della no-


stra regione. Questa conferenza ha aggiunto ha aperto un nuovo interessante capitolo nella modalità con cui i governi europei lavoreranno sui temi di ambiente e salute, spingendo questi temi così strettamente correlati fra loro sempre più in alto nell’agenda politica”. Vediamo più nel dettaglio gli obiettivi prioritari della Dichiarazione. Accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari per i bambini “Ci adopereremo per fornire a ogni bambino, entro il 2020, l’accesso ad acqua e a servizi igienico-sanitari sicuri nelle abitazioni, nei nidi, negli asili, nelle scuole, nelle istituzioni sanitarie e negli impianti acquatici ricreativi pubblici, e per migliorare le pratiche igieniche”. Aumento dell’attività fisica e riduzione dell’obesità infantile “È nostro obiettivo fornire a ogni bambino, entro il 2020, accesso ad ambienti salubri e sicuri e a luoghi della vita quotidiana nei quali possano andare all’asilo e a scuola, a piedi e in bicicletta, nonché a spazi verdi nei quali possano giocare e svolgere attività fisica”. “Attueremo il Piano d’azione europeo dell’Oms per gli alimenti e la nutrizione (2007-2012), in particolare migliorando la qualità nutrizionale dei pasti scolastici, e sosterremo la produzione e il consumo alimentare locale, laddove ciò consente di ridurre l’impatto sull’ambiente e sulla salute”. Riduzione dell’inquinamento dell’aria “Proseguiremo, e potenzieremo, i nostri sforzi per ridurre l’incidenza delle malattie respiratorie acute e croniche”. “Svilupperemo appropriate politiche e normative intersettoriali in grado di fare una differenza strategica, al fine di ridurre l’inquinamento indoor e forniremo incentivi e opportunità per

garantire che i cittadini abbiano accesso a soluzioni basate su un’energia sostenibile, pulita e sana nelle abitazioni private e nei luoghi pubblici”. Eliminazione della presenza del fumo nelle aree dedicate ai minori “È nostro obiettivo fornire a ogni bambino un ambiente indoor sano nei nidi, negli asili, nelle scuole e nelle strutture ricreative pubbliche, attuando le lineeguida dell’OMS sulla qualità dell’aria indoor, e assicurare, conformemente alla Convenzione Quadro dell’OMS sul controllo del tabacco, che tali ambienti siano liberi dal fumo entro il 2015”. Protezione dei bambini da sostanze pericolose per la salute “È nostro obiettivo proteggere ogni bambino dai rischi posti dall’esposizione alle sostanze e a preparati pericolosi, con particolare accento sulle donne in gravidanza e in allattamento e sui luoghi nei quali i bambini vivono, apprendono e giocano”. “Agiremo sui rischi identificati di esposizione agli agenti cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione”. Aumento della ricerca “Chiediamo maggiori ricerche sugli effetti potenzialmente negativi delle sostanze chimiche persistenti, interferenti con il sistema endocrino e bioaccumulabili, e della loro combinazione, nonché l’individuazione di alternative più sicure. Chiediamo inoltre un aumento delle ricerche sull’uso delle nanoparticelle nei prodotti e dei nanomateriali, nonché dei campi elettromagnetici, al fine di valutare le eventuali esposizioni dannose”. Diminuzione del rumore a cui sono sottoposti i bambini “Lavorare insieme per ridurre l’esposizione dei bambini al rumore”. Stop allo sfruttamento e al lavoro minorile “Presteremo particolare attenzione al

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lavoro e allo sfruttamento minorile, in quanto cause tra le più importanti di esposizione a rischi rilevanti, e in particolare a sostanze chimiche pericolose e a fattori di stress fisico”. Creazione di piattaforme informative europee “Invitiamo l’Ufficio Regionale Europeo dell’OMS, in collaborazione con la Commissione Europea, l’Agenzia Europea per l’Ambiente, la Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e altri partner, a creare piattaforme informative europee per la condivisione sistematica delle migliori pratiche, delle ricerche, dei dati, delle informazioni, delle tecnologie e degli strumenti orientati alla salute a tutti i livelli”.


A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

TASK FORCE PER UNʼITALIA LIBERA DA OGM di Natalia Gusmerotti

Gli organismi geneticamente modificati (OGM) sono tornati, in questi giorni, al centro dell’attenzione mediatica. Ciò, sia in conseguenza della sentenza del Consiglio di Stato n. 183/2010 che obbliga il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) a completare l’istruttoria - pur in assenza dei piani di competenza regionale che devono applicare il principio della coesistenza tra le diverse colture sulla richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di mais GM MON810, presentata da un’azienda agricola del Friuli Venezia Giulia, sia in conseguenza dell’approvazione, in data 2 marzo 2010, da parte della Commissione europea di quattro nuove varietà di OGM, ossia tre prodotti a base di mais transgenico destinati ad essere utilizzati in alimenti e mangimi ma non ad essere coltivati, di cui il titolare è la Monsanto e la patata AMFLORA, della multinazionale BASF, la cui autorizzazione comprende la coltivazione, l’uso a fini industriali e l’uso dei sottoprodotti come mangime. Era dal 1998 che nessun nuovo OGM veniva autorizzato, in Europa, per la coltivazione. Per garantire una effettiva possibilità di scelta ai produttori agricoli, tra l’agricoltura convenzionale, quella biologica e quella GM (coesistenza), ed ai cittadini, rispetto alla volontà o meno di consumare prodotti geneticamente modificati; per garantire l’integrità delle filiere agricole tradizionali; per motivi legati all’incertezza scientifica che ancora accompagna questi prodotti in ordine ai possibili effetti sulla salute umana e sulla tutela dell’ambiente e della biodiversità; per motivi di ordine economico, in quanto i dati disponibili non evidenziano reali vantaggi per i produttori agricoli e di ordine etico, legati, in particolare, alla sicurezza alimentare mondiale, si è costituita la Task Force per un’Italia Libera da OGM. Questo gruppo riunisce Organizzazioni, Associazioni, Forze sociali, con l’obiettivo di intraprendere un’ampia serie di azioni verso la società, come, ad esem-

pio, l’ampliamento della base di azione a livello europeo, le forme di mobilitazione sociale e di partecipazione, l’impegno nella comunicazione; verso la politica, come, ad esempio, il coinvolgimento dei Comuni e delle Regioni nella formazione trasversale, in Parlamento, di un movimento politico libero da OGM; verso l’economia, come, ad esempio, la predisposizione di un documento sul modello di agricoltura europea efficiente e sostenibile, anche alla luce della riforma sulla Politica Agricola Comunitaria (PAC), la valorizzazione di filiere dai campi alla tavola libere da OGM; la risoluzione dei problemi provocati dalla contaminazione genetica e delle questioni relative all’etichettatura, in particolare di quei prodotti ottenuti con mangimi OGM, per garantire una vera trasparenza nei confronti dei consumatori; verso la scienza; rafforzando, ad esempio, una ricerca scientifica libera ed indipendente, svolta nell’interesse pubblico, sui reali rischi per la salute e per l’ambiente che derivano dall’uso e dalla circolazione dei prodotti GM e ridefinendo il ruolo dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), sia per quanto riguarda le procedure di autorizzazione che per quanto riguarda l’integrazione con una rete di ricercatori europei. Risulta, quindi, opportuno fare chiarezza su alcuni punti delle questioni che hanno riportato, in questi giorni, il tema degli OGM al centro del dibattito sociale, politico ed economico. La sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito come la richiesta, presentata da un imprenditore agricolo che intenda coltivare mais OGM, sia, in astratto, accoglibile, stante il principio europeo della coltivabilità degli OGM se autorizzati (in base alla disciplina comunitaria in materia) e che la mancanza dei piani di coesistenza regionali non possa costituire un ostacolo al rilascio della autorizzazione alla coltivazione. Questo, però, non significa in alcun modo che il MIPAAF sia obbligato a concedere l’autorizzazione. Infatti, il decreto

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legislativo 24 aprile 2001, n. 212, prevede che la messa a coltura dei prodotti sementieri sia soggetta ad una specifica autorizzazione (articolo 1, comma 2), per garantire i prodotti sementieri tradizionali dal contatto con quelli GM e che questi non arrechino danno biologico all’ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agro-ecologiche, ambientali e pedoclimatiche. Si tratta, peraltro, di una decisione che il MIPAAF deve rilasciare di concerto con il Ministero dell’Ambiente e con quello della Salute, previo parere della Commissione per i prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate. Tale ricostruzione risulta ben chiarita dalla successiva sentenza del TAR Lazio 17 febbraio 2010, nel senso che l’inerzia delle Regioni non possa legittimare, comunque, il MIPAAF ad arrestare i procedimenti di autorizzazione. Tuttavia, ciò non significa - secondo il giudice amministrativo - che il Ministero debba pronunciarsi a prescindere dall’attuazione del principio di coesistenza, in quanto deve farsi carico delle “modalità con cui garantire la compresenza delle diverse colture in uno stesso territorio”, con ciò richiamando i criteri di salvaguardia della biodiversità dell’ambiente naturale, di garanzia della libertà di iniziativa economica, di qualità e tipicità della produzione agroalimentare nazionale contenuti nella legge quadro in materia di coesistenza (decreto legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, della legge. 28 gennaio 2005, n. 5). In base a quanto disposto dal Consiglio di Stato, dunque, il provvedimento del MIPAAF è da intendersi completamente libero nei suoi contenuti. Infatti, è possibile attendersi tanto un diniego di autorizzazione alla messa in coltura, ad esempio, per motivi legati all’integrità delle coltivazioni tradizionali ed al rischio di danno biologico all’ambiente circostante, quanto l’imposizione di specifiche condizioni di coesistenza da rispettare nelle fasi di coltivazione. Da questo punto di vista, il diniego di iscri-


zione di un mais GM all’apposita sezione del registro nazionale delle varietà, deliberato all’unanimità dalla Commissione per i prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate in data 18 marzo 2010, rappresenta un momento istruttorio di fondamentale importanza per la determinazione del contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento di autorizzazione alla messa in coltura, oggetto di controversia. Riguardo al Mais GM MON810, è opportuno sottolineare che la sua caratteristica principale è la resistenza alla piralide e che la sua autorizzazione, rilasciata nel 1998, è attualmente in corso di rinnovo (non senza contestazioni). Si deve evidenziare, inoltre, come, questo mais - che si vorrebbe iniziare a coltivare oggi in Italia - sia l’unica varietà ad essere stata coltivata a fini commerciali fino ad ora in Europa e sia oggetto di misure di salvaguardia, che comprendono il divieto d’uso e di commercializzazione, da parte di importanti Paesi europei, come l’Ungheria, la Francia, la Grecia, la Germania, l’Austria ed il Lussemburgo. Infatti, l’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, recepito, in Italia, dall’articolo 25 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, consente agli Stati membri di limitare o vietare temporaneamente l’impiego sul territorio nazionale di un OGM autorizzato a livello comunitario, con un provvedimento d’urgenza. Tale provvedimento deve essere motivato dalla acquisizione di nuove e ulteriori informazioni riguardanti la valutazione di rischi ambientali ovvero dalla nuova valutazione di informazioni esistenti per tener conto di sopravvenute conoscenze

Approfondimento a cura del

scientifiche e deve altresì fondarsi sulle ragioni di rischio per la salute umana, animale e per l’ambiente. La competenza, in Italia, per l’invocazione della clausola di salvaguardia è attribuita, disgiuntamente, al Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed al Ministro della Salute, per quanto di rispettiva competenza. Anche la Repubblica di Polonia, sulla base di una diversa prerogativa (articolo 16 della direttiva 2002/53/CE) ha ottenuto dalla Commissione europea (con decisione 8 maggio 2006), l’autorizzazione a vietare l’impiego di varietà di mais MON810, in quanto è risultato che esse non siano adatte alla coltivazione in nessuna parte del territorio, in base a fattori climatici ed agricoli. Riguardo alle nuove autorizzazioni concesse in sede europea, non si può trascurare che la patata Amflora, come pure le tre varietà di mais, contengono geni marcatori di resistenza agli antibiotici, rispetto ai quali sussistono notevoli perplessità da parte di esponenti del mondo scientifico a fronte del rischio di trasferimenti ai batteri intestinali degli uomini e degli animali. La FAO e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, già nel 2000, hanno dichiarato che, nel caso di geni marcatori con resistenza agli antibiotici, la possibilità di trasferimento di questi geni rappresenta un rischio che deve essere evitato nei genomi di organismi transgenici molto diffusi come negli alimenti e negli ingredienti di alimenti transgenici. Eppure, per quanto non sia ammesso il consumo umano, è ammessa una presenza accidentale nei

prodotti alimentari fino allo 0,9%. Al di là di simili incongruenze scientifiche, ve ne sono altre di natura politica, come il fatto che nello stesso momento in cui l’Unione europea ha interrotto la moratoria sugli OGM destinati alla coltivazione, sembrano aprirsi nuovi scenari politici, come quelle potenzialmente derivati dalle dichiarazioni fatte dal Presidente della Commissione europea in merito ad una nuova proposta di legge per lasciare libertà di scelta agli Stati membri se coltivare o meno tali organismi. La Task Force per un’Italia libera da OGM farà tutto il possibile per evitare che l’assenza di chiarezza su queste tematiche possa comportare gravi danni economici alle imprese agricole, nel caso in cui la coesistenza tra colture, si dimostri, nel nostro Paese, come è già avvenuto negli Stati che hanno deciso di avviare le filiere GM, sostanzialmente impossibile, facendo perdere al nostro sistema agricolo quel valore aggiunto che consente al made in Italy agroalimentare di competere con risultati positivi nel mercato globale; per tutelare i cittadini, l’ambiente e la biodiversità da possibili effetti dannosi, la cui incertezza scientifica è, ancora, troppo elevata e per veder rispettata la volontà dei cittadini europei di non consumare OGM. 1

. Secondo un sondaggio Eurobarometro svolto nel 2008, la maggioranza dei cittadini europei è preoccupata per l’uso degli organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura: il 58% dei cittadini europei esprime timori sull’uso degli OGM, contro un 21% che è invece favorevole

Dott. Stefano Masini, Responsabile Area Ambiente e Territorio - Coldiretti

Nell’osservare le dinamiche delle economie agricole dei Paesi che hanno adottato produzioni OGM, come, ad esempio, gli Stati Uniti e l’Argentina, risulta evidente come l’introduzione di questi organismi in agricoltura presenti gli stessi rischi che l’apertura di catene multinazionali ha comportato (e comporta) per il settore del commercio, che ha visto (e vede) le piccole imprese, i punti vendita di vicinato, nella gran parte dei casi, uscire dal mercato. Tanto che, da parte di alcuni economisti, si giudica inevitabile la chiusura delle piccole imprese, a causa del progresso tecnico e delle regole di mercato, in quanto le grosse aziende fruttano di più ed offrono prodotti migliori. All’agricoltura italiana, tuttavia, è aperta un’altra strada, diversa dalla mera rincorsa alla massimizzazione delle produzioni ed alla minimizzazione dei costi, volta a garantire nel tempo un’offerta di prodotti agroalimentari ampia, diversificata e di elevata qualità. La nostra agricoltura, infatti, si fonda su un tessuto di piccole e medie imprese ben radicate nel territorio, su persone attente alle tradizioni e, nel contempo, capaci di innovare, sui saperi, sui prodotti tipici regionali, su un insieme variegato di paesaggi e di biodiversità. E, al di là dei dubbi sui reali risultati economici derivanti dall’uso di OGM e dei rischi per la salute umana ed animale e per l’ambiente che essi comportano - i quali dovrebbero essere più compiutamente analizzati - non si può trascurare che l’apertura del mercato italiano ai prodotti transgenici comporterebbe un incremento nel grado di dipendenza della produzione agricola da input di produzione estera, commercializzati, peraltro, in regime di oligopolio. Inoltre, a fronte di una omologazione mondiale di questi prodotti, non vengono meno le ragioni, di rilevante impatto economico, che stanno alla base della volontà di realizzare prodotti differenziati, made in Italy, capaci di soddisfare le esigenze dei consumatori che non vogliono optare per una alimentazione ed una agricoltura OGM.

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Commissione UE Invito a presentare proposte per azioni trasporto merci e logistica (II Programma “Marco Polo”) (GUUE 17 marzo - C 66)

sporto nella logistica di produzione, riducendo la domanda di trasporto merci su strada, con un impatto diretto sulle emissioni. Azioni di questo tipo devono essere innovative, ma non devono influenzare negativamente produzione e forza lavoro.

La Commissione europea ha pubblicato il quarto invito a presentare proposte per la creazione e la modernizzazione dei servizi di trasporto merci nell’ambito del secondo programma “Marco Polo”.

Azioni di apprendimento comune, che favoriscano il miglioramento della cooperazione e la condivisione di knowhow tra le parti interessate nel settore della logistica del trasporto merci.

Obiettivi L’obiettivo generale del programma “Marco Polo II” (20072013) è di aiutare le imprese ad introdurre servizi che permettano di trasferire una parte del trasporto merci su gomma verso mezzi di trasporto più ecologici, come i trasporti marittimi, la ferrovia e le vie navigabili interne, tramite contributi finanziari nel momento di maggior rischio per i progetti, che è costituito dalla fase di avvio. Dotazione Finanziaria Per il 2010 sono previsti fondi per 64 milioni di euro, che andranno a sostenere tra il 35% e il 50% dei costi ammissibili del progetto. Azioni finanziabili Il bando è aperto a 5 tipi di iniziative: Azioni di trasferimento modale, per trasferire il trasporto merci dalla strada al trasporto marittimo a corto raggio, al trasporto ferroviario, alle vie navigabili interne o ad una combinazione di modi di trasporto. Devono essere solide, ma non necessariamente innovative: bisogna semplicemente spostare le merci dalla strada.

Intensità di finanziamento La Commissione fa sapere che l’intensità del finanziamento è la stessa dello scorso anno, vale a dire 2 euro per 500 tonnellate per chilometro di merci spostate dalla strada. Beneficiari Le imprese commerciali (preferibilmente di proprietà di pubbliche amministrazioni) appartenenti ai Paesi membri dell’UE, Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Croazia. Quest’anno è possibile presentare la domanda di concessione a finanziamento “Marco polo” anche da parte di una singola impresa, al fine di agevolare le PMI, abbassando anche la soglia di ammissibilità, aumentando il livello di finanziamento e semplificando le procedure. Scadenza Il termine ultimo per presentare le proposte di progetto è il 18 maggio 2010. Per informazioni sulle modalità di presentazione della domanda e per ulteriori informazioni consultare il sito: http://ec.europa.eu/transport/marcopolo/calls/2010.

Azioni catalizzatrici, altamente innovative, che mirano a superare le barriere strutturali del mercato europeo del trasporto merci. Azioni per le Autostrade del Mare, che mirano a trasferire una parte dei carichi stradali verso il trasporto marittimo a corto raggio o combinazione con altri modi di trasporto, per un servizio intermodale che permetta dei volumi molto grandi, ad alta frequenza, promuovendo preferibilmente l’uso di modi di trasporto più rispettosi dell’ambiente, quali le vie navigabili e la ferrovia per il trasporto di merci nell’hinterland e come i servizi integrati “porta-a-porta”. Sono azioni innovative queste in termini di logistica, attrezzature, prodotti e servizi. Azioni per la riduzione del traffico, per integrare il tra-

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Disponibilità finanziaria Il budget complessivo del programma EIE 2007-2013 è di 730 milioni di euro; per questo bando sono disponibili 56 milioni di euro per sostenere fino al 75% del costo i progetti selezionati.

Commissione UE Invito a presentare proposte per azioni programma energia intelligente Europa (CIP-EIE 2007-2013) Obiettivi Il programma europeo Intelligent Energy Europe (IEE) ha l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica in Europa, incentivando la diffusione delle energie rinnovabili. Il programma mira a stimolare azioni mirate per: - incoraggiare l’efficienza energetica e l’uso razionale delle fonti energetiche; - promuovere fonti energetiche nuove e rinnovabili e sostenere la diversificazione delle fonti energetiche; - promuovere l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche nuove e rinnovabili nei trasporti, quali i biocarburanti. Attività finanziabili Settore SAVE, tra cui: - migliorare l’efficienza energetica e l’uso uso razionale delle risorse, in particolare nei settori dell’edilizia e dell’industria; - sostenere l’elaborazione e l’applicazione di misure legislative. Settore ALTENER, tra cui: - promuovere le fonti di energia nuove e rinnovabili per la produzione centralizzata e decentrata di elettricità, calore e di freddo, e di biocarburanti, sostenendo così la diversificazione delle fonti di energia; - integrare le fonti di energia nuove e rinnovabili nell’ambiente locale e nei sistemi energetici; - sostenere l’elaborazione e l’applicazione di misure legislative. Settore STEER, tra cui: - sostenere iniziative riguardanti tutti gli aspetti energetici dei trasporti e la diversificazione dei carburanti; - promuovere i carburanti rinnovabili e l’effienmza energetica nei trasporti; - sostenere l’elaborazione e l’applicazione di misure legislative. Iniziative integrate, tra cui: - promuovere la costituzione di reti europee per un’azione locale e di comunità energetiche sostenibili; - promuovere iniziative bio-commerciali e per servizi energetici; - promuovere iniziative di educazione sull’energia intelligente.

Beneficiari I beneficiari sono enti pubblici e privati dei Paesi membri dell’UE e di Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Croazia, nonché il Centro Comune di Ricerca (CCR) della Commissione UE, che presentino progetti volti a favorire il conseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di energia e cambiamento climatico. Progetti I progetti, la cui durata varia dai due ai tre anni, devono coinvolgere in partnership almeno tre soggetti indipendenti di tre diversi Paesi. La partecipazione ad un bando EIE è un processo altamente competitivo, per cui le proposte progettuali per avere una ragionevole possibilità di essere selezionate per il finanziamento devono essere di alto livello. Modalità di partecipazione Le domande devono essere presentate utilizzando il sistema on line e i moduli di domanda indicati sul sito web del Programma EIE (in particolare il capitolo 8): http://ec.europa.eu/intelligentenergy. Le domande che non riusciranno a soddisfare tale requisito formale non saranno ulteriormente valutate. In particolare, le proposte che arrivano all’Agenzia EACI con qualsiasi altro mezzo saranno considerate come “non presentate” e non saranno, perciò, valutate. Qualora si verifichino dei cambiamenti per quanto riguarda i requisiti formali per la presentazione delle domande, questi saranno evidenziati sul sito Internet del Programma, a cui i candidati si rivolgeranno prima di presentare la domanda. A solo scopo informativo segnaliamo che in varie regioni italiane sono stati organizzati incontri e corsi formativi con esemplificazione di progetti finanziati con precedenti bandi. Scadenza Le proposte progettuali devono essere presentate entro il 24 giugno 2010, ore 17.00 (ora locale di Bruxelles).

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i quesiti dei lettori: L’ESPERTO RISPONDE a cura di Leonardo Filippucci

Può la Regione introdurre nella tariffa del servizio idrico integrato voci di costo diverse da quelle previste dalla legislazione statale? In ipotesi negativa, a quale giudice deve rivolgersi il cittadino? La Corte Costituzionale, con sentenza 4 febbraio 2010 n. 29, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 28, commi 2 e 7, della Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2008 n. 10, ritenendo che, dall’interpretazione letterale e sistematica degli artt. 154, 155 e 161 del D.Lgs. n. 152 del 2006 si desume che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua è ascrivibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza, ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Devono pertanto ritenersi inderogabili i citati articoli del D. Lgs. 152/2006, i quali stabiliscono che: a) “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio […], tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua” (art. 154, comma 2, del D.Lgs. n. 152 del 2006); b) “L’Autorità d’ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell’osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola […] al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio” (art. 154, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006); c) la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, istituita presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, “predispone con delibera il metodo tariffario per la determinazione della tariffa di cui all’articolo 154 e le modalità di revisione periodica, e lo trasmette al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che lo adotta con proprio decreto sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano” (art. 161, comma 4, lettera a, del D.Lgs. n. 152 del 2006).

agenda

Per quanto concerne l’individuazione del giudice competente a conoscere le eventuali controversie relative alla tariffa del servizio idrico, sempre la Corte Costituzionale, con sentenza 11 febbraio 2010 n. 39, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del D.L. 30 settembre 2005, n. 203) nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 13 e 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonché l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 2, comma 2, secondo periodo, del D.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 29 aprile 2006, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 154 e 155 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Ad avviso della Consulta, la giurisdizione del giudice tributario deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto, per cui l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Tale illegittima attribuzione può derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che amplii la giurisdizione tributaria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di “tributaria” data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia, come avviene, ad esempio, allorché si riconducano indebitamente alla materia tributaria prestazioni patrimoniali imposte di natura non tributaria. Con riguardo alla tariffa del servizio idrico integrato, la Corte aveva già affermato in passato (Sent. n. 335 del 2008) che detta tariffa si configura, in tutte le sue componenti, ivi comprese quelle riferite alla fognatura e alla depurazione, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensí nel contratto di utenza. Ne consegue, in definitiva, che il giudice tributario non può conoscere delle controversie relative alla tariffa del servizio idrico, le quali pertanto restano devolute al giudice ordinario.

Eventi e Fiere

Padova, 21-24 aprile 2010 SEP - Sostenibilità per una nuova economia Sede: PadovaFiere Organizzazione: PadovaFiere SpA Tel. 049.840 585 - Fax 049.87 87 125 operatori@padovafiere.it Informazioni: www.seponline.it

Verona, 5-7 maggio 2010 GREENBUILDING 2010 - Mostra e Convegno Internazionale su Efficienza energetica e Architettura sostenibile in contemporanea a SOLAREXPO Sede: Fiera di Verona Organizzazione: ExpoEnergie srl - P.ta Trento e Trieste 10/b - 32032 Feltre (BL) Tel. 0439 84 98 55 - Fax 0439 84 98 54 www.greenbuilding.com - segreteria@greenbuilding.com

Italia, 1-16 maggio 2010 European Solar Days - Campagna europea di promozione del solare Sede: Varie località Informazioni: solardays@ambienteitalia.it Tel. 349 4277098

Parma, 10-13 maggio 2010 CIBUS - Salone Internazionale dell’Alimentazione Sede: Fiere di Parma - Viale delle Esposizioni 393A - 43126 Parma Informazioni: cibus@fiereparma.it - cibus@fieredi parma.it Segreteria organizzativa: tel. 0521996206/233 - fax 0521996270

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N째

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APRILE 2010



INDICE Gestione rifiuti Siglato un Protocollo d’Intesa tra Provincia di Pesaro e Urbino e CONAI

La Provincia di Pesaro spinge sulla differenziata Scopo dell’accordo: promuovere la raccolta differenziata e sensibilizzare al recupero e riciclo di Silvia Barchiesi

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Mobilità e intermodalità Il porto e le prospettive di sviluppo dell’intermodalità ferroviaria di Valentina Bellucci

Energie rinnovabili Dal Rapporto “Comuni rinnovabili 2010” di Legambiente

Le Marche laboratorio di energia pulita Solare, idroelettrico, eolico e geotermia. La mappa dei Comuni d’eccellenza nell’innovazione energetica di Silvia Barchiesi

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Qualità dell’aria Il treno verde fa tappa ad Ancona Dal convoglio verde di Legambiente dati e informazioni sull’inquinamento atmosferico e acustico del capoluogo dorico e una lista di proposte per migliorare la vivibilità urbana di Silvia Barchiesi

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ARPA Marche L’acqua potabile dei marchigiani di Gisberto Paoloni

COSMARI L’educazione ambientale parte dalla scuola di Luca Romagnoli

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CONSULENZE IN: AMBIENTE - SICUREZZA SUL LAVORO - ALIMENTI

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LABORATORIO ANALISI CHIMICHE FISICHE E MICROBIOLOGICHE ACCREDITATO SINAL

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CONSULENZA PER LA CERTIFICAZIONE ISO 9000 - ISO 14000 - OHSAS 18001


GESTIONE RIFIUTI

Siglato un Protocollo d’Intesa tra Provincia di Pesaro e Urbino e CONAI

LA PROVINCIA DI PESARO SPINGE SULLA DIFFERENZIATA

Scopo dell’accordo: promuovere la raccolta differenziata e sensibilizzare al recupero e riciclo di Silvia Barchiesi

Se nelle Marche la raccolta differenziata stenta a decollare e l’obiettivo di legge del 65% previsto per il 2012 sembra ancora un traguardo lontano, nel pesarese la raccolta differenziata stenta addirittura a partire. Mentre, infatti, i Comuni dell’anconetano e del maceratese primeggiano nella classifica dei “Comuni Ricicloni 2009” stilata da Legambiente, i campanili della Provincia di Pesaro e Urbino sono del tutto assenti. La spinta alla raccolta differenziata viene così dalla stessa Provincia che lo scorso marzo ha siglato un Protocollo d’Intesa con il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi), il più grande consorzio europeo di gestione dei rifiuti, che si occupa del ritiro, riciclo e recupero di imballaggi. A siglare l’Accordo, l’Assessore provinciale all’Ambiente e gestione dei rifiuti, Tarcisio Porto e, in rappresentanza del Direttore del CONAI, Pierluigi Gorani. Spingere l’acceleratore sulla differenziata orientata al riciclo e recuperare il ritardo accumulato è lo scopo dell’Accordo

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con cui Provincia e CONAI si impegnano a supportare e promuovere nel territorio provinciale, la raccolta differenziata dei rifiuti provenienti da utenze domestiche e non, facilitandone l’avvio al riciclo e al recupero sul territorio nazionale. In dettaglio, gli obiettivi del Protocollo sono i seguenti: - promuovere, per ciascun materiale, le modalità di raccolta più idonee secondo le indicazioni riportate nel Piano Provinciale vigente, nonché del Piano d’Ambito, di competenza dell’Autorità d’Ambito che verrà costituita ai sensi dell’art. 8 della L.R. n.24/2009, al fine di conseguire i risultati quantitativi ivi previsti e i requisiti qualitativi per i materiali stabiliti dall’Accordo Quadro ANCI-CONAI; - ottimizzare i livelli di raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio provenienti da utenza domestica, anche mediante attività mirate di comunicazione e sensibilizzazione;


- valorizzare la raccolta dei rifiuti per tipologie omogenee attraverso adeguati ed efficaci sistemi di filiera; - sviluppare un adeguato sistema di centri/piattaforme per la valorizzazione/stoccaggio dei rifiuti di imballaggio raccolti in modo differenziato, quale anello di collegamento per il loro successivo avvio a riciclo; - sviluppare un sistema di conferimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari provenienti da superfici private non domestiche; - favorire e promuovere lo studio e l’avvio di modalità di recupero di materia, anche in forma diversa dal riciclo diretto, nel territorio provinciale; - favorire e promuovere il mercato dei materiali e dei prodotti recuperati dai rifiuti, anche da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante l’inserimento nei capitolati per la fornitura di beni e servizi dell’obbligo di utilizzo di materiali riciclati, a condizioni rispondenti a quanto previsto dal D.Lgs. 203/03; - limitare la produzione degli scarti da attività di recupero e dei rifiuti residuali indifferenziati da avviare a sistemi di trattamento/smaltimento, stabilendo controlli efficaci sulla destinazione dei rifiuti di imballaggio raccolti in modo differenziato. Sensibilizzazione, promozione e ricerca sono solo alcune delle attività previste dall’Accordo per spingere nel territorio la raccolta differenziata orientata al riciclo e per coinvolgere l’intera comunità. Secondo la Provincia, infatti, la raccolta differenziata è un dovere di tutti: cittadini, enti locali, società di servizi. Lo stesso CONAI collaborerà con la Provincia in campagne di comunicazione e sensibilizzazione dei cittadini e degli studenti, sostenendo economicamente attività di progettazione e comunicazione in specifiche aree del territorio dove potranno essere attivati progetti pilota. In particolare, al fine di rendere operativo l’Accordo, il CONAI, anche attraverso i Consorzi di Filiera, si impegna ad attuare le seguenti azioni: - assicurare, il ritiro dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata nel quadro delle condizioni e degli standard qualitativi indicati nell’Accordo Quadro ANCI - CONAI, ivi compresi i corrispettivi previsti nell’Accordo Quadro stesso; - assicurare, tramite i Consorzi di Filiera, il ritiro delle frazioni merceologiche similari secondo le indicazioni e gli standard di qualità indicati negli Allegati tecnici dell’Accordo quadro ANCI - CONAI alle condizioni previste nell’Accordo Quadro stesso; - ritirare, tramite i Consorzi di Filiera, dai centri di conferimento individuati, i diversi materiali di pertinenza, nonché a riconoscere ai soggetti gestori i corrispettivi per

i servizi aggiuntivi; - collaborare con la Provincia di Pesaro e Urbino nelle successive fasi tecniche di attivazione del Piano Provinciale vigente e del Piano d’Ambito che verrà stabilito dall’Autorità d’Ambito; - individuare, d’intesa con i Consorzi di Filiera e la Provincia, specifiche aree di intervento nel territorio per l’attivazione di eventuali progetti pilota, anche con carattere innovativo e/o sperimentale, finalizzati al miglioramento della qualità dei rifiuti di imballaggio raccolti; - sostenere economicamente le attività di progettazione e/o comunicazione nelle aree individuate di cui al punto e). Tale sostegno sarà definito congiuntamente con i Consorzi di Filiera e potrà essere erogato anche sotto forma di materiale informativo e promozionale; - collaborare all’attuazione, coinvolgendo anche i Consorzi di Filiera, di campagne di comunicazione e sensibilizzazione dei cittadini alla raccolta differenziata, nonché campagne mirate di informazione, eventi o manifestazioni specifiche sul territorio, ed attività specifiche rivolte alle scuole. Sensibilizzare ad una “cultura del riciclo” è infatti il primo passo per l’effettivo decollo della differenziata nel pesarese e recuperare così il ritardo accumulato in questi anni.

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MOBILITÀ E INTERMODALITÀ

IL PORTO E LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO DELL’INTERMODALITÀ FERROVIARIA di Valentina Bellucci

Si è svolto ad Ancona, lo scorso 11 marzo, presso il Parlamentino della Camera di Commercio di Ancona, il Convegno dal titolo: “Il porto e le prospettive di sviluppo dell’intermodalità ferroviaria”. L’evento è stato ideato per analizzare gli scenari, il mercato, gli attori, la capacità infrastrutturale e il sistema organizzativo del Porto di Ancona. L’area è in procinto di dotarsi di opere tali da consentire un notevole salto di qualità sul fronte della capacità di movimentazione di merci - in particolare, di container - sino a posizionarsi potenzialmente tra i terminali italiani di media grandezza. Si tratta, tuttavia, di una condizione necessaria, ma non sufficiente a garantire che i grandi operatori internazionali intendano dirottare su Ancona una parte dei loro traffici. Oltre alle banchine, è necessario infatti, che esistano condizioni ottimali affinché i container raggiungano rapidamente i mercati di destinazione finale e, in primis, un sistema efficiente di collegamento tra il terminal portuale ed i possibili mercati di destinazione. In particolare, si sta valutando se il sistema ferroviario e viario esistenti siano in grado di gestire elevati traffici, garantendo la massima efficienza ed un impatto sostenibile sulla città. Uno studio promosso dall’Osservatorio (voluto da Regione Marche, Camera di Commercio di Ancona, Provincia di Ancona ed Autorità Portuale) ed autorevolmente curato dall’ISTAO (Istituto Adriano Olivetti per l’economia e per la gestione delle aziende), ricostruisce, appunto, il quadro delle potenzialità, delle criticità e degli interventi necessari a favorire lo sviluppo dell’intermodalità ferroviaria, tenendo conto anche dei ruoli e dei possibili sinergie tra Porto e Interporto di Jesi. Il tutto senza perdere di vista le direttrici dello scenario internazionale, reduce da una crisi destinata a modificare nel medio termine le strategie degli attori dello shopping mondiale.

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La giornata di studio è stata avviata dal Presidente dell’Ente camerale, Rodolfo Giampieri, ed è proseguita con la relazione della Dott.ssa Ida Simonella, ISTAO, nella quale sono stati illustrati i principali risultati dello studio di approfondimento sulle prospettive di crescita del porto di Ancona, legate in particolare al completamento della nuova banchina, e sulla sostenibilità del potenziale incremento di merci in transito in città. Nel corso della successiva Tavola Rotonda, moderata dal Prof. Paolo Pettenati, Presidente Onorario ISTAO, sono intervenuti l’Avv. Luciano Canepa, Presidente dell’Autorità Portuale di Ancona, e il Dott. Roberto Pesaresi, Presidente di Interporto Marche, per illustrare le dinamiche di integrazione tra due delle principali infrastrutture della piattaforma logistica regionale. L’Ing. Paolo Pallotta, Responsabile Centro Operativo Esercizio Rete Bari di RFI, ha illustrato gli interventi e gli investimenti programmati per rendere la rete ferroviaria capace di supportare lo smaltimento del traffico di merci all’interno del Porto di Ancona nella prospettiva di una forte crescita degli scambi. Nel corso del dibattito sono intervenuti anche l’Assessore Regionale al Bilancio, Trasporti e Reti di Trasporto, Credito, Provveditorato ed Economato, Finanze, Demanio e Patrimonio, Pietro Marcolini e l’Assessore allo Sviluppo del Porto, Enti e Società Partecipate, Innovazione, Informatizzazione e Toponomastica del Comune di Ancona, Diego Franzoni, il quale ha annunciato l’intenzione del Comune dorico di aderire all’Osservatorio sul Porto in vista delle prossime iniziative. I lavori sono stati chiusi dall’Arch. Paolo Pasquini della Regione Marche. Nelle pagine seguenti presentiamo una sintesi degli interventi così come si sono succeduti. Il saluto di benvenuto è stato affidato al Presidente della Camera di Commercio

di Ancona, Rodolfo Giampieri, che ha sottolineato l’importanza dell’evento e si è dichiarato felice ed ottimista per il futuro di un Porto che necessita di una possibilità di sviluppo al di là delle problematiche e delle difficoltà effettive che ha avuto fino ad oggi. Successivamente è intervenuto il moderatore dell’incontro, il Prof. Paolo Pettinati, Presidente Onorario ISTAO, che ha introdotto le tematiche in seguito approfondite dai diversi Relatori, soffermandosi sull’importanza del lavoro che ha svolto l’ISTAO a partire dal 2000 con lo Studio sui 10 anni del Porto seguiti alla crisi della Ex-Jugoslavia e sulla volontà di ampliare sempre di più la collaborazione tra l’Osservatorio e la Camera di Commercio di Ancona, focalizzando altresì l’attenzione sulle infrastrutture ed i trasporti delle Marche ed esprimendosi favorevolmente sullo spostamento di gran parte del traffico veicolare responsabile del trasporto merci dalla strada alla ferrovia. La relazione della ricercatrice ISTAO, Ida Simonella ha costituito il fulcro dell’incontro, al punto che proprio dalla sua relazione si sono poi sviluppate le argomentazioni degli intervenuti, non ultimo, l’Assessore Marcolini che ha voluto confermare quanto sia strettamente necessaria la sintonizzazione e la sostenibilità delle opere in programma dal momento che allo stato attuale la sola Ancona non può caricarsi di una tale mole di lavoro senza i dovuti interventi strutturali ipotizzati. L’interesse comune, ha affermato Marcolini, è quello di recuperare una strategia internazionale per ridare forza e vigore al Corridoio Adriatico. La Dott.ssa Simonella ha quindi proposto un focus dettagliato sullo sviluppo del Porto di Ancona e sul ruolo dell’intermodalità ferroviaria concentrandosi sulle potenzialità delle stese e sui relativi limiti. Il mercato La crisi internazionale ha avuto un forte impatto sui traffici e in genere su tut-


ta l’industria dello shipping mondiale. I traffici mondiali nel 2009, nel solo segmento container sono diminuiti dell’ordine del 10 -11%. Per avere un’idea delle dimensioni del crollo, è come se fossero scomparsi più o meno tutti i traffici legati alla portualità del Mediterraneo. Pur essendo in corso una lenta ripresa, le grandi Compagnie internazionali sono alle prese con operazioni di ristrutturazione, di razionalizzazione dell’offerta e dei servizi, degli investimenti in nuove iniziative. Se fino a qualche mese fa il problema principale era quello di adeguare l’offerta (di navi, terminal, linee) ad una domanda fortemente crescente, oggi tutta la capacità creata rappresenta una sorta di “palla al piede”. In questo contesto, tuttavia, emergono anche Aziende e Operatori, meno esposti e più attivi sul fronte degli investimenti e dello sviluppo. “Nel periodo di crisi - ha sottolineato Ida Simonella - Ancona ha ben risposto con una contrazione dei traffici più contenuta rispetto ad altri concorrenti. Questo tuttavia non risolve problemi strutturali del traffico merci, in particolare container, che lo scalo dorico presenta da anni. Il porto ha dimensioni ridotte, cresce molto meno di altri porti dell’ Adriatico, è fuori dai circuiti di terminal operator internazionali o di network portuali che possono suscitare nel loro complesso l’interesse delle compagnie di navigazione”. “Il bacino di riferimento del porto di Ancona – ha proseguito - resta di carattere prevalentemente locale. Nel segmento container si limita alle Marche e raramente a qualche provincia limitrofa; anzi come risulta dall’indagine realizzata sulle imprese e dalle interviste realizzate con alcune tra le principali case di spedizione internazionali che operano nelle Marche, molte delle merci regionali utilizzano i porti del Tirreno. Questo è il primo problema del Porto di Ancona che va di pari passo con il

secondo, ovvero che le aziende marchigiane vendono molto secondo la formula resa ex-work, lasciando al cliente scelte e oneri per il trasporto della merce a destinazione e spesso i clienti internazionali e i relativi spedizionieri hanno relazioni e referenti più consolidati con porti, storicamente più forti di Ancona, come Genova, La Spezia, Livorno”. “A tale problematica – ha sottolineato - si aggiunge una caratteristica di carattere più strutturale. Le merci che vanno oltre Gibilterra, ovvero le Americhe, sono tutte destinate a passare per il Tirreno secondo l’opinione delle case di spedizione intervistate. I servizi, in termini di frequenza di linee, noli, transit time sono molto più competitivi e giustificano il maggior costo relativo alla tratta stradale. Se questo è vero per le merci marchigiane lo è ancora di più per quelle che escono da Abruzzo e Umbria”. Proprio su questo fronte si aprono però spazi interessanti per l’Interporto di Jesi che può intercettare tutto quel mercato imprendibile per lo scalo di Ancona, ovvero le merci locali dirette e provenienti dalle Americhe; collegamenti funzionali con Livorno, la Spezia e Genova lo garantirebbero. Come segnale delle possibilità di sviluppo di collegamenti ferroviari tra le Marche e il Tirreno è stato citato il servizio di collegamento tra lo scalo merci ferroviario di Jesi e il Porto di Genova. Si tratta di un servizio, effettuato con un treno che parte da Jesi e che viene completato nella stazione di Arezzo, con una frequenza almeno settimanale, fornito dalla Compagnia Ignazio Messina la quale provvede prevalentemente a collegamenti marittimi con l’Africa, il Medio Oriente e altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Tra Porto e Interporto non ci sarebbe concorrenza perché i due nodi andrebbero a servire mercati diversi pur rispondendo ad una domanda di trasporto comune legata alle Marche e ad alcuni territori limitrofi. Agli occhi del

mercato, Porto e Interporto possono anche reggersi in maniera autonoma servendo segmenti di domanda di trasporto che oggi si rivolge a nodi logistici extraregionali. Questa ipotesi è stata quindi ripresa da Roberto Pesaresi, Presidente CDA Interporto Marche che si è detto completamente a favore di questa importante collaborazione che porterebbe numerosi benefici al lavoro dell’Interporto, il quale solo da poco tempo ha iniziato ad essere considerato con la dovuta importanza e che può crescere moltissimo in futuro. “Interporto, Porto e Aeroporto – ha dichiarato Pesaresi - debbono collaborare al massimo per garantire alle Marche maggiore visibilità e un ruolo strategico per i trasporti”. Tuttavia l’avvio di un servizio ferroviario di questo tipo dipende dalle scelte delle Compagnie di navigazione; infatti nella tariffa di trasporto marittimo è compresa anche la parte terrestre e in un periodo come quello attuale, caratterizzato da noli estremamente bassi, diventa scarsamente giustificabile la tratta ferroviaria. Dovrebbero entrare in gioco anche altri elementi come l’eco-sostenibilità di questa modalità di trasporto suscettibile dunque di sostegno pubblico. Oltre a questo segmento, l’Interporto può continuare a offrire servizi di trasporto per le merci che viaggiano tra il Centro Italia e i mercati del Nord Italia e di parte dell’Europa. Il Porto di Ancona, invece, per raggiungere volumi di 400.000 teus deve essere in grado di intercettare altri mercati presumibilmente sulla direttrice Nord, ovvero posizionarsi al meglio lungo la direttrice marittima e terrestre che consente di raggiungere i grandi mercati di consumo. Oggi e sempre più nel futuro, i traffici internazionali che interessano l’Italia sono e saranno legati più all’importazione di beni di consumo che all’export, a causa della de-industrializzazione. Occorre dunque convincere una Com-

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pagnia internazionale a dirottare da un altro Porto allo scalo dorico, i traffici verso Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, che costituiscono importanti bacini di consumo italiani. Si tratta, in questo caso, di traffici provenienti dall’Est del Mondo. Si configura così, a corollario di quanto analizzato per il Porto, un ruolo assolutamente complementare di Porto e Interporto. Le merci marchigiane che viaggiano su container marittimi partirebbero dallo scalo di Ancona per l’Est del Mondo e dal Tirreno, via interporto, per le Americhe. Le questioni infrastrutturali Come detto le compagne di linea internazionali scelgono un Porto cercando di rastrellare il più possibile container e di farlo nella maniera più efficace ed efficiente possibile, garantendo tempi certi e ridotti per raggiungere i mercati finali. Questo significa: tempi di evacuazione dal porto e contenuti, costi e tempi per raggiungere il cliente finale il più vantaggiosi possibili. L’arrivo di 400.000 teus comporta la necessità di gestire in ingresso e uscita dal Porto circa 1.500 tir al giorno (considerando opportuni coefficienti di riempimento), che si aggiungerebbero a quelli imbarcati sui traghetti (200.000 l’anno, quasi 1.000 al giorno) con un impatto sulla gestione portuale e soprattutto sulla città fortissimo. Ne segue l’assoluta urgenza di sincronizzare la realizzazione della banchina con la realizzazione della cosiddetta Uscita ad Ovest. Le possibilità di sviluppo del traffico intermodale Lo studio ha evidenziato che, nonostante l’Italia sia uno dei Paesi Europei in cui il traffico ferroviario sia meno sviluppato e ciò implica una minore competitività dei nostri porti, Ancona potrebbe nel suo piccolo raggiungere una decina di treni al giorno per trasportare 100.000 teus l’anno via ferrovia. Per fare questo l’Autorità

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Portuale, in collaborazione con gli Enti Competenti, come ha poi confermato Luciano Canepa, il Presidente dell’Autorità Portuale di Ancona, ha avviato una serie di importanti interventi che consentono di potenziare la dotazione di binari interni allo scalo. “La crisi ha colpito in modo pesante il mondo marittimo - ha evidenziato Canepa non nascondendo un certo ottimismo - ma siamo soddisfatti di come è la situazione del porto che non risulta affatto critica e l’Autorità Portuale ha accelerato nell’ultimo Comitato per costruire un’altra parte della banchina. Stiamo cercando di andare spediti”. Conclusioni e proposte Lo studio ha messo in luce alcune questioni importanti, prima fra tutte: lo sviluppo del traffico intermodale insieme alla sincronizzazione delle opere da realizzare (banchina, Uscita ad Ovest, scalo ferroviario). Ciò costituirebbe prima di tutto una necessità per la città per evitare il congestionamento del territorio che l’arrivo di ulteriori traffici potrebbe generare. Sul fronte dell’intermodalità mareferrovia, la capacità commerciale della dorsale adriatica e le iniziative di potenziamento dei binari all’interno dell’area portuale rappresentano un ulteriore punto di forza. Anche l’avvio del Terminal container presso l’Interporto (e la presenza dell’Aeroporto di Falconara) costituisce, di fatto, un incremento notevole di capacità complessiva del territorio. Un altro aspetto importante evidenziato dallo Studio è la necessità della riattivazione dell’Ex-Scalo Mariotti che è già stato recuperato su un binario e nel giro di un paio d’anni tornerà a pieno regime. A tal proposito è intervenuto l’Ing.Paolo Pallotta che ha illustrato le opere che verranno effettuate nella rete ferroviaria da qui al 2015. “La volontà - ha dichiarato - è quella di semplificare la gestione delle linee. Il mercato ferroviario è concentrato sul

territorio padano ma stiamo cercando di aprire un mercato competitivo lungo la rete Adriatica. L’idea è partire, come abbiamo già fatto dal settembre 2009 riattivando aree già esistenti, come l’ex scalo Mariotti e di fare una rivisitazione di tutto il nodo ferroviario di Ancona in attesa che per il 2015 si compia anche la variante a Falconara”. “Mi preme sottolineare – ha quindi concluso - che stiamo parlando di cose concrete, già in fase di attuazione e non di sogni”. Il Dott. Giuseppe Casini, AD di Italcontainer, e il Dott. Carlo Cinque di Grimaldi Group, hanno infine posto l’attenzione sulle strategie di alcuni dei principali operatori nazionali attivi nel settore della logistica. In conclusione, dal Convegno è emersa la necessità fondamentale, di intervenire strutturalmente sul Porto di Ancona, sradicando la città da un isolamento e un localismo, che stona con le prospettive disegnate per il sistema infrastrutturale e logistico di questa Regione. Da anni questo territorio è fuori dall’attenzione delle politiche europee delle infrastrutture e dei trasporti. Una volta usciti dal progetto Corridoio Adriatico, non vi è stata nessuna iniziativa di tale rilievo in cui la Regione e parte del territorio fosse inserita. Tra le spinte che provengono dai vari territori va segnalata l’iniziativa di estendere il Progetto ferroviario n. 23 che parte da Danzica (Germania) per raggiungere Graz (Austria) e che si prolungherebbe sino a Ravenna, passando per Friuli Venezia, Veneto e Bologna. Ancora una volta questo territorio rischia di rimanere fuori da iniziative, tutte da concretizzare, ma che di fatto finiscono per determinare un confine netto tra l’Europa che conta e quella che conta sempre meno.


ENERGIE RINNOVABILI

Dal Rapporto “Comuni rinnovabili 2010” di Legambiente

LE MARCHE LABORATORIO DI ENERGIA PULITA Solare, idroelettrico, eolico e geotermia.

La mappa dei Comuni d’eccellenza nell’innovazione energetica di Silvia Barchiesi

Nella corsa alle rinnovabili le Marche non restano indietro, anzi raccolgono la sfida e la rilanciano con un pizzico di innovazione. È quanto emerge dal Rapporto “Comuni rinnovabili 2010”, redatto da Legambiente in collaborazione con GSE (Gestore Servizi Energetici) e Sorgenia, che traccia la mappa dell’energia rinnovabile in Italia. A colpire, più che i dati contenuti nel Dossier, sono i racconti, le storie, le esperienze di successo dell’energia pulita. Qui le Marche fanno scuola. E non tanto per i numeri, quelli “puliti” che vengono dall’acqua, dal sole, dal vento, dalla terra e dai rifiuti marchigiani: 230,00 MW di potenza dell’idroelettrico, 40,00 MW del solare, 0,02 MW dell’eolico, 1,82 MW della geotermia e 13,80 MW della biomassa. Le Marche si confermano, piuttosto, laboratorio di innovazione energetica e in questo fanno da modello. Tra le esperienza di successo in campo energetico e ambientale, citate nel Rapporto di Legambiente, spicca, infatti, quella di Maiolati Spontini, piccolo Comune dell’anconetano di 5.700 abitanti, entrato di diritto nella categoria “100% elettrici” e quindi premiato da Legambiente grazie ad un mix energetico fatto di pannelli solari fotovoltaici (135 kW), di un impianto mini idroelettrico (400 kW) e di un impianto a biogas. La motivazione del premio? “La ragione del premio è nella interessantissima esperienza nel settore del biogas da discarica” si legge nel Rapporto. Infatti, presso la discarica gestita dalla società pubblica So.ge.nu.s di cui fa parte anche il Comune e certificata Emas, sono stati installati dalla società Marco Polo Engineering due centrali da 4.130 kWe complessivi che producono 17 milioni di kWh/anno, pari al fabbisogno di circa 4.000 famiglie ogni anno. L’impianto a biogas permette la captazione di circa 20.000 m3 al giorno di gas composti per il 55% di metano, 35% di anidride carbonica, 6% di azoto e saturo di sostanze chimi-che inquinanti. Ma l’eccellenza energetica marchigiana

non è confinata a Maiolati. Dal pesarese all’ascolano, il Rapporto, cita, infatti, anche altre esperienze pilota di successo che hanno investito nell’energia pulita e che hanno vinto la sfida delle rinnovabili. Dal fotovoltaico, al solare termico, all’eolico, passando per la geotermia e all’idroelettrico. Tra i primi 50 comuni italiani con la più alta diffusione di pannelli fotovoltaici troviamo, infatti, due comuni dell’anconetano: - Camerata Picena, al 21° posto grazie ad un impianto fotovoltaico di 5.000 m2 di pannelli solari concentrati su 1,7 ettari per una potenza di 918,97 KW (Kw/ab 540,57); - Corinaldo, al 23° con 2.038 KW (Kw/ ab 446,42). Per quanto riguarda, invece, il fotovoltaico in edilizia è ascolano il primo comune marchigiano presente in classifica. Al 7°posto della classifica nazionale, Monteprandone con 404 KW, figura, infatti, tra i primi dieci comuni italiani che hanno introdotto, secondo quanto previsto dalla Finanziaria 2008, all’interno del regolamento edilizio, l’obbligo di installazione di pannelli solari fotovoltaici per almeno 1KW ad alloggio alla nuova edificazione. Per quanto riguarda, invece, il solare termico, tra i primi 10 comuni della classifica nazionale per mq installati in termini assoluti, troviamo Senigallia (AN), al 3° posto con 4.000 mq, preceduta solo da Bolzano al primo posto con 5.203 mq e Trento, in seconda posizione con 4.928 mq. Se si scende poi nello specifico e si guarda all’utilizzo del solare termico in edilizia le Marche insegnano e fanno da modello. In Italia sono 408 i Comuni che utilizzano pannelli solari termici per le esigenze termiche delle proprie strutture (uffici, scuole, biblioteche, ecc.). Tra i primi dieci comuni con il maggior numero di m2 installati spicca San Bendetto del Tronto (AP), all’8° posto della classifica con 500 mq. Qui i collettori solari sono stati distribuiti soprattutto in strutture pubbliche: il campo sportivo, la palestra comunale, lo

Stadio e il complesso scolastico maternaelementare, per un totale di ben ben 230 mq che consentono di coprire oltre il 95% del fabbisogno di acqua calda sanitaria di queste strutture. Ma le Marche brillano anche per un’altra esperienza, quella di Osimo (AN), segnalata nel Rapporto come tra le “buone pratiche” a cui guardare con interesse in fatto di solare termico. Ad Osimo, infatti, un impianto solare termico di 54 pannelli su 265,14 mq viene utilizzato per il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria della piscina comunale, consentendo un risparmio di circa 63 tonnellate l’anno di CO2: tre schiere di 12 pannelli sono localizzati sui locali doccia, altre tre schiere da 6 pannelli sugli spogliatoi. L’impianto si compone di 4 serbatoi di accumulo di 1.500 litri per soddisfare sia il riscaldamento di acqua calda, sia per il riscaldamento di spogliatoi e piscine. Altri due serbatoi da 1.000 litri ciascuno sono rivolti solo al riscaldamento dell’acqua sanitaria. Anche nell’eolico, la “ventata” di novità marchigiana non riguarda il “quanto”, ma il “come”. Tra le “buone pratiche dell’eolico” Legambiente segnala quella messa in campo dalla Cooperativa biologica “Alce Nero” a Isola del Piano (PU). Qui nel Luglio 2009 è stato installato un impianto da 20 kW in grado di produrre circa 40 mila kWh di energia annua. Secondo le analisi dei costi di installazione e ammortamento dell’investimento, la stima dei tempi di rientro è prevista in circa 5 anni. Di qui la decisione della Cooperativa di realizzare nel prossimo futuro una sorta di parco energeticamente autosufficiente grazie alla realizzazione di altri 5 impianti da 20 kW ciascuno, di un impianto fotovoltaico di 1.500 mq per la produzione di energia elettrica e di un impianto a biomasse da alimentare con gli scarti di grano, paglia e con i sottoprodotti dei boschi locali per la produzione di acqua calda e riscaldamento. È invece nutrita la presenza marchigiana

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nella classifica dei primi 50 Comuni della geotermia elettrica: - Loreto (AN) al 19° posto con 600 GEO kWe; - Castelfidardo (AN) al 21° posto con 500 GEO kWe; - Jesi (AN) al 23° con 360 GEO kWe; - Montecalvo in Foglia (PU) al 28° posto con 213 GEO kWe; - Fano (PU) al 48° posto con 54,60 GEO kWe. Ma le Marche vantano anche un buon numero di impianti idroelettrici: con un totale di 104 impianti, una potenza lorda di 230 MW e una produzione lorda di 500,70 GWH/A, le Marche si confermano la sesta regione italiana per presenza di impanti. A commentare soddisfatto la mappa marchigiana delle rinnovabili, delineata dal Rapporto di Legambiente è lo stesso Luigino Quarchioni, Presidente di Legambiente Marche: “Ottimo anche il risultato di questa edizione. Buone le esperienze marchigiane dei Comuni che hanno vinto la sfida alle rinnovabili e che grazie a queste producono gran parte dell’energia di cui hanno bisogno.” Dall’attuale bilancio delle “Marche rin-

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novabile” alle prospettive future, da Legambiente arriva anche un caldo invito all’attuale Governo regionale: “Anche alla luce di questi risultati - ha continuato Quarchioni - chiediamo all’attuale Governo regionale di rafforzare il grandissimo alleato che questi Comuni hanno avuto negli ultimi cinque anni: il Piano Energetico Ambientale Regionale. Tra i primissimi impegni dovrà esserci l’adeguamento degli obiettivi numerici di efficienza e di produzione energetica del PEAR agli obiettivi del 20-20-20 dettati dall’Unione Europea. È per questo che chiediamo di dare gambe ancora più forti al nostro Piano Energetico Ambientale Regionale, puntando ancor di più sul risparmio energetico e producendo energia elettrica e termica da fonti rinnovabili, coinvolgendo ed affiancando i cittadini in questa transizione. Per una Regione dipendente dalle fonti fossili, l’investimento sulle rinnovabili e l’efficienza energetica è un investimento lungimirante, soprattutto per il sistema industriale marchigiano fatto di piccole e medie imprese, per cui le fonti rinnovabili possono diventare una grandissima opportunità di competitività”. Ma la competitività delle rinnovabili,

rispetto alle fonti fossili, non è solo ambientale. “Non dobbiamo dimenticare, anche e soprattutto in questo momento di crisi, - ha precisato Quarchioni - l’opportunità economica e sociale, oltre che ambientale, che le energie rinnovabili ci offrono. Grazie all’incremento delle fonti alternative sono stati creati nuovi posti di lavoro, portati servizi e creato nuove prospettive di ricerca applicata, una nuova e sana economia anche in grado di generare futuro oltre che ad aumentare il benessere e la qualità della vita.” Il Presidente regionale di Legambiente chiude il suo commento al Rapporto così, con l‘augurio di un futuro energetico sempre più rinnovabile per le Marche. Lo stesso augurio, su scala nazionale, si legge in apertura del Rapporto, nella Premessa: “E se fosse proprio il territorio il laboratorio di una rivoluzione energetica incentrata sulle fonti rinnovabili?” La strada è ancora lunga, eppure, nelle Marche, alcuni Comuni, ci stanno lavorando…


QUALITÀ DELL’ARIA

IL TRENO VERDE FA TAPPA AD ANCONA

Dal convoglio verde di Legambiente dati e informazioni sull’inquinamento atmosferico e acustico del capoluogo dorico e una lista di proposte per migliorare la vivibilità urbana di Silvia Barchiesi

È tornato sui binari del capoluogo dorico per fotografare la qualità dell’aria, lo stato dell’inquinamento acustico, la presenza di spazi verdi e isole pedonali, lanciare una nuova idea di mobilità sostenibile, informare e sensibilizzare i cittadini sul risparmio energetico. Dopo Messina, Crotone, Potenza e Latina, il Treno Verde di Legambiente, lo storico convoglio ambientalista, ha festeggiato i suoi vent’anni di attività e di mobilitazione a tutela della qualità della vita urbana anche ad Ancona, dove ha sostato dall’11 al 14 marzo. Mostre interattive, visite didattiche, incontri, convegni e conferenze. Anche nella sua tappa dorica il Treno Verde di Legambiente non si è risparmiato e non ha mancato di snocciolare dati e informazioni sulla vivibilità della città. I più preoccupanti sono quelli sull’inquinamento atmosferico e acustico. Ancona si conferma sotto scacco delle PM10 con valori tre giorni su tre oltre i limiti e in completa balìa del rumore con decibel fuorilegge, sia di giorno che di notte. È il risultato di tre giorni di monitoraggio effettuato ad Ancona dal laboratorio mobile di RFI (Rete Ferroviaria Italiana), che ha rilevato valori allarmanti e dannosi di PM10, sempre oltre la soglia consentita del limite giornaliero di 50 mg/m3 previsto dal DM 60 del 2/4/2002. Particolarmente critici si sono rivelati anche i dati del valore medio registrato durante il secondo e il terzo giorno di monitoraggio: rispettivamente di 61 mg/m3 di 62 mg/m3, mentre inferiore, ma comunque fuorilegge, il dato della prima giornata che si attesta sui 52 mg/m3. A commentare la fotografia dello stato dell’aria delle città dorica è proprio Legambiente: “Il quadro che emerge dai tre giorni di monitoraggio ad Ancona, desta seria preoccupazione - concordano Luigino Quarchioni, Presidente di Legambiente Marche e Vitaliano D’Addato, del Circolo il Pungitopo di Legambiente di Ancona - Torna ad emergere l’anomalia relativa alla situazione della viabilità cittadina, una delle principali cause del traffico e dell’inquinamento cittadino, composto da centinaia di mezzi leggeri e mezzi pesanti che transitano in mezzo alla città per raggiungere lo scalo portuale, essendo questa l’unica via percorribile. Consegue, da tutto questo, l’urgenza di dotare al più presto la città di un servizio di trasporto pubblico efficiente, in primis, attraverso il completamento del servizio metropolitano su ferro, con l’effettiva ultimazione delle fermate di Ancona, così come di vedere quanto prima realizzato il compimento dell’interporto di Jesi, un’infrastruttura all’avanguardia nonché soluzione ottimale in grado di garantire l’intermodalità e lo spostamento di un’ingente quota di trasporto merci su rotaia, piuttosto che su gomma”. “Su tutto - concludono Quarchioni e D’Addato - la seria considerazione che i valori del PM10 di Ancona si scoprono ancora una volta ben al dì là di quanto consentito: un dato avallato dai bollettini ufficiali, che attestano la distanza di appena 4 giorni dal

superamento dei 35 previsti dalla legge in un anno, nonché spiacevole conferma del triste primato che nel 2009 ha visto battezzare Ancona a terza città più inquinata d’Italia”. Altrettanto critico è il quadro relativo all’inquinamento acustico. In tutti e tre i giorni di monitoraggio, si registrano valori negativi. In particolare, la rumorosità notturna fa registrare sforamenti gravi che arrivano fino ai 11,5 dB al di sopra del limite di legge, che diventano leggermente più lievi nelle ore diurne, in cui l’intervallo si mantiene tra i 4,4 e i 7,1 dB. A commentare i risultati delle indagini sull’inquinamento acustico rilevato è Vittorio Valentini, responsabile del Laboratorio Mobile di RFI: “Dalle analisi compiute dal nostro laboratorio appare evidente che, in questi termini, Ancona non vive una situazione rassicurante, né di giorno né, tanto meno, durante la notte. Secondo i dati dell’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) nel 98% delle aree urbane la rumorosità notturna è superiore alla soglia di sicurezza per la salute umana e molto spesso l’elemento che contribuisce ad incrementare i livelli di rumore è il traffico veicolare sostenuto”. Ma la fotografia della vivibilità urbana scattata dal Treno Verde non trascura nemmeno gli spazi verdi e le isole pedonali, troppo poche secondo Legambiente: solo 1,6 metri quadrati di verde fruibile e 0,14 di isole pedonali per ogni abitante. A finire sotto la lente di ingradimento di Legambiente è anche la mobilità. Ad Ancona il 65% della popolazione utilizza la macchina; sale in autobus solo il 30%, mentre uno coraggioso 3% sfida traffico e intemperie, preferendo la libertà della bicicletta. Legambiente lancia così dal Treno Verde una lista di proposte per rivoluzionare la mobilità urbana, una sorta di ricetta concreta per migliorare la vivibilità della città: incentivazione del trasporto ferroviario, completamento del trasporto filoviario, realizzazione di parcheggi scambiatori, ecc. “La mobilità di Ancona è in panne - ha dichiarato Adriano Angelini, Comitato Utenti TPL Ancona - quel che serve è allora un cambio di passo volto allíincentivazione del trasporto pubblico da parte di un numero maggiore di cittadini”. Non resta che agire. Però, prima occorre informare e sensibilizzare, obiettivi della campagna di Legambiente. “Al termine di queste giornate - ha concluso Gianna Le Donne, portavoce del Treno Verde - è forte l’auspicio che la visita al Treno Verde da parte di oltre mille bambini, possa ritenersi un segno evidente che quanto è stato fatto, e si continuerà a fare e che potrà accrescere sempre di più il livello di consapevolezza e di partecipazione delle generazioni future alla difesa dell’ambiente”.

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ARPA MARCHE

L’ACQUA POTABILE DEI MARCHIGIANI di Gisberto Paoloni Direttore generale di ARPA Marche

L’accesso all’acqua è un diritto che va garantito a tutti. Eppure solo 16 persone su 100 possono aprire un rubinetto e veder scorrere acqua potabile per bere, cucinare, lavarsi. Mentre 84 devono cercarla anche molto lontano dalle loro abitazioni, presso fonti dove la disponibilità è scarsa e la qualità scadente. Il consumo nei Paesi africani varia in media tra i 12 e i 50 litri al giorno per abitante, mentre in quelli europei è tra i 70 e 250 litri (noi italiani siamo ai vertici dei consumi europei, proprio con 250 litri), mentre negli Stati Uniti si raggiungono 700 litri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che al di sotto della soglia di 50 litri d’acqua al giorno si può già parlare di sofferenza per mancanza di acqua: di fatto il 40% della popolazione umana (2,5 miliardi di individui) vive in condizioni igieniche impossibili soprattutto per carenza di acqua. L’abitudine allo spreco e la noncuranza ci fanno spesso perdere di vista la necessità di proteggere questa risorsa. Ridurre i consumi e gli sprechi è possibile. L’acqua è fonte di vita. Senza acqua non c’è vita. L’acqua costituisce, pertanto, un bene comune dell’umanità, un bene irrinunciabile che appartiene a tutti. Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile: dunque l’acqua non può essere proprietà di alcuno, bensì bene condiviso equamente da tutti. Oggi sulla Terra più di 1.300.000 di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Si prevede che nel giro di pochi anni tale numero raggiunga i 3 miliardi. Il principale responsabile di tutto ciò è il modello che ha prodotto una enorme disuguaglianza nell’accesso all’acqua, generando oltretutto una sempre maggior scarsità di quest’ultima, a causa di modi di produzione distruttivi dell’ecosistema. E tuttavia continuano le pressioni ai diversi livelli (internazionale, nazionale e locale), finalizzate ad affermare la privatizzazione e l’affidamento al cosiddetto libero mercato della gestione della risorsa idrica. Gli effetti della messa sul mercato dell’acqua dimostrano come solo una proprietà pubblica

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e un governo pubblico e partecipato dalle comunità locali possano garantire la tutela della risorsa, il diritto e l’accesso all’acqua per tutti e la sua conservazione per le generazioni future. Anche nel nostro Paese l’importanza della questione acqua ha raggiunto nel tempo una forte consapevolezza sociale e una capillare diffusione territoriale, aggregando culture ed esperienze differenti. Nel 2003, dichiarato dall’ONU Anno mondiale dell’acqua, proprio a Firenze si svolse il Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua che, ispirandosi al concetto di acqua come bene comune necessario alla vita, bocciò le politiche fondate sulla trasformazione dell’acqua in merce, chiedendone con forza la proprietà e la gestione pubblica come garanzia di libero accesso per tutti, sulla base di un’importante conclusione condivisa: la necessità di un cambiamento normativo nazionale, che segnasse una svolta radicale rispetto alle politiche, trasversalmente condivise negli ultimi vent’anni, che hanno fatto dell’acqua una merce e del mercato il punto di riferimento per la sua gestione. Provocando, dappertutto, degrado e spreco della risorsa, precarizzazione del lavoro, peggioramento della qualità del servizio, aumento delle tariffe, riduzione dei finanziamenti per gli investimenti, diseconomicità della gestione. Ovvero, il totale fallimento degli obiettivi promessi in ordine ai benefici della privatizzazione - maggiore qualità, maggiore economicità, maggiori investimenti - che, alla prova dei fatti, si sono dimostrati totalmente inconsistenti. L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche (ARPAM) è fortemente impegnata in una politica di protezione del bene acqua. In particolare, vengono effettuate ogni anno le analisi di circa 10.000 campioni di acqua potabile prelevati nelle reti di distribuzione dei 246 Comuni, con frequenze proporzionali al numero degli utenti e meccanismi stabiliti dalle vigenti normative. Infatti, l’ARPAM è il laboratorio a cui compete, ai sensi della L. 31/2001, l’esecuzione delle analisi di controllo esterno in aggiunta al controllo interno effettuato dai gestori degli acquedotti. Le ASL competenti territorialmente, quando le analisi evidenziano la presenza di situazioni di non conformità, richiedono alle Autorità d’Ambito (ATO) ed ai gestori degli acquedotti l’adozione dei provvedimenti necessari a tutela della salute pubblica e la necessaria informazione agli utenti o anche l’avvio delle procedure necessarie per la variazione dei sistemi di approvvigionamento. Oltre ai


ph

31,7 5,1 18 14,2 24,5 8,5 5,2 15,3 4,1 60,4 166,2 69,8 30,6 20,7 85,4

17 8,2 6,5 1,5 3,7 1,2 5,2 3 4,1 1,1 7,2 9,1 14,4 2,6 3,1

7,8 7,8 7,79 7,4 7,6 8 7,6

510 112 223 286 603,9 502,8 257,1 521,1

411 108 338 74 144 176 230 162 1463 1010 1092 500 276,9 200,6 338,1

durezza °F

nitrati mg/l

26,6 12,5 19,8 0,3 7,6 7,7 2 2,1 20,6 21,3 119 40 33,1 18,2 22,3

fluoruri mg/l

solfati mg/l

344,9 61,1 317 56,5 103 180 260 144,2 1604 1038 777,1 308,8 350,1 191,2 174,8

residuo fisso mg/l

cloruri mg/l

1,4 4,6 1,6 1,8 0,9 0,5 1,1 0,5 4,9 3,8 10,6 2,9 1,6 0,9 1,2

conducibilità us/cm

bicarbonati mg/l

4,8 14,5 4,9 6,5 2,9 12 1,8 1,7 6,6 6,2 3,7 4,6 24,6 7,6 13,1 2,3 19,5 51 19,1 21 41,4 103,2 19 40,2 7,04 18,8 7,4 2,8 12,9 14,9

potassio mg/l

124,2 16 106 19,8 32,8 57 42,9 33,7 441,8 322 231,2 97,5 78,9 53,1 86,1

sodio mg/l

magnesio mg/l

Fabia Fiuggi Frasassi Levissima Acqua Panna Rocchetta San Benedetto Vera Ferrarelle Sangemini Uliveto Lab. ARPAM Pesaro Lab. ARPAM Macerata Lab. ARPAM Ascoli Piceno Lab. ARPAM Ancona

calcio mg/l

Confronto tra i parametri chimico fisici delle acque minerali in commercio e quelli dell’acqua potabile pubblica nelle provincie marchigiane

0,2 0,1 0,3 0,04 0,14 0,3 0,1 2,3 0,17 0,12 0,51 0,5

33 6 28 6 11 16 21 14 118 88 75 32,4 22,4 24,2 27,1

I dati relativi alle acque minerali in commercio sono quelli riportati sulle etichette delle bottiglie. I dadi forniti dai laboratori provinciali ARPAM si riferiscono alle analisi dei campioni di acqua potabile pubblica eseguite nel corso del 2009.

controlli sulle captazioni idriche sotterranee, vengono fatti prelievi su 64 stazioni, di cui 61 fluviali e 3 lacustri nei laghi di Polverina, Fiastrone e Borgiano. Particolare attenzione viene riservata agli usi ambientali e di svago delle acque, ma l’attenzione diventa massima nei casi in cui queste sono sottoposte a trattamenti di potabilizzazione e di erogazione alla popolazione; un esempio tipico sono i laghi sopraddetti utilizzati in provincia di Macerata ed i fiumi Metauro e Foglia che sono utilizzati nella provincia di Pesaro, dove il 55% della popolazione utilizza acqua superficiale potabilizzata. Sono attualmente in funzione sul territorio regionale 12 potabilizzatori di acque superficiali, con una potenzialità totale di circa 1.000 l/sec. I casi in cui si segnalano le “non conformità” di legge ai rubinetti degli utenti interessano meno del 5% della popolazione e sono per lo più dovuti a temporanei inconvenienti agli impianti di trattamento e distribuzione o a cause naturali. I casi di non conformità batteriologica sono assai rari nei grandi acquedotti, mentre sono più frequenti nelle piccole reti delle zone di montagna. L’impegno dell’ARPAM nel controllo delle acque destinate ad uso potabile è notevole, anche per l’elevato numero di reti acquedottistiche della Regione. In questo quadro, il 22 marzo Giornata mondiale dell’acqua, nella sede centrale dell’ARPAM, la Direzione generale e la Direzione tecnicoscientifica dell’Agenzia hanno incontrato i vertici del Comando Provinciale di Ascoli Piceno del Corpo Forestale dello Stato per intensificare i programmi di collaborazione e di integrazione delle reciproche competenze nel campo della tutela delle acque, secondo il protocollo regionale interforze. Contemporaneamente, si svolgeva un Seminario tra ARPAM e i SIAL di tutte le zone marchigiane dell’ASUR per l’utilizzo del programma informatico di invio dei dati analitici da parte di ARPAM ad ogni singola zona ASUR. L’incontro si è reso necessario per illustrare la possibilità offerta dall’Agenzia di utilizzare le proprie potenzialità informatiche per la trasmissione on line dei referti analitici sulle acque potabili, che

ammontano a circa 10.000 campioni/anno. In particolare, verrà facilitato al massimo l’accesso ai dati e la loro trasmissione in tempo reale, affinché i servizi preposti alla salute possano esercitare immediatamente tutte le azioni conseguenti e utilizzare i data base ai propri fini statistici e per l’informazione diretta alla popolazione. Per concludere, non bere l’acqua di casa significa rinunciare ad una risorsa sana, perché controllata con rigorose norme sanitarie, e molto economica, visto che un litro di acqua del Sindaco può costare fino a mille volte meno di quella in bottiglia. E poi l’acqua di rubinetto rispetta l’ambiente, non produce rifiuti plastici ed è a chilometri zero: non viaggia per centinaia di chilometri su inquinanti TIR; evita il consumo di combustibili fossili, l’emissione di CO2 e di polveri sottili. Infatti, i due terzi delle bottiglie di plastica utilizzate per l’acqua minerale non vengono raccolti in modo differenziato e finiscono in discarica o in un inceneritore. Inoltre, il consumo annuo di 12 miliardi di litri di acqua imbottigliata comporta, per la sola produzione delle bottiglie, l’utilizzo di 350mila tonnellate di polietilene tereftalato (PET), con un consumo di 665 mila tonnellate di petrolio e l’emissione di gas serra di circa 910 mila tonnellate di CO2 equivalente. La fase del trasporto dell’acqua minerale, infine, influisce non poco sulla qualità dell’aria: solo il 18% del totale di bottiglie in commercio viaggia sui treni, tutto il resto viene movimentato su strada.

ARPA Marche Via Caduti del Lavoro, 40 int. 5 - 60131 Ancona Tel. 071 2132720 - fax 071 2132740 arpa.direzionegenerale@ambiente.marche.it www.arpa.marche.it

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COSMARI

L’EDUCAZIONE AMBIENTALE PARTE DALLA SCUOLA di Luca Romagnoli

Molte le iniziative che il COSMARI sta portando avanti nel campo della comunicazione rivolta alle scuole di ogni ordine e grado del maceratese. Infatti da molti anni, su indicazione dei diversi Consigli d’Amministrazione, il Consorzio ha sempre rivolto grande attenzione al mondo scolastico ed ai giovani. Oltre a partecipare direttamente come relatori ed insegnanti a diversi corsi di specializzazione,

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master, conferenze ed incontri, il Presidente, Fabio Eusebi ed il Direttore, Giuseppe Giampaoli sostengono le diverse iniziative che offrono occasione di incontro e di approfondimento con alunni e studenti di tutte le età che in gran numero, ogni settimana, visitano anche gli impianti consortili. Tra le varie proposte programmate abitualmente va sicuramente segnalata

quella inerente le lezioni frontali tenute nelle scuole elementari e medie dei Comuni interessati dalla raccolta porta a porta. I bambini vengono coinvolti ancora prima dell’attivazione del servizio, con l’intento di farli divenire i primi testimonial di una nuova metodologia che seppur semplice da applicare, qualche volta spaventa gli adulti. Sempre in riferimento a quello che potrebbe essere definito un vero e proprio progetto di educazione ambientale, il COSMARI favorisce l’organizzazione di vere e proprie feste dell’ambiente a cui partecipano le animatrici della Ludoteca del riuso Riù di Tolentino. Grazie ad articolati quanto interessanti laboratori creativi, i piccoli partecipanti sono chiamati a dare libero sfogo alla propria fantasia ed alla propria inventiva per realizzare piccoli oggetti utilizzando materiali provenienti dal riciclo. Sono in fase di attuazione, proprio in questo periodo il progetto sperimentale per la raccolta differenziata dei rifiuti presso le scuole elementari e medie di Morrovalle (tutte le aule sono state dotate di pratiche scatole di cartone per favorire la differenziazione dei rifiuti e nei corridoi sono stati istallati funzionali contenitori realizzati in plastica riciclata); il progetto sperimentale per la raccolta differenziata presso le scuole di Recanati (tutti gli alunni partecipano ad incontri di approfondimento inerenti la raccolta differenziata ed il riciclo dei materiali). A Civitanova Marche gli studenti dell’Istituto d’Istruzione Superiore “L. Da Vinci” sono impegnati ad intervistare i cittadini, mediante un questionario ragionato, per valutare lo stato dell’arte della raccolta differenziata. Inoltre sono chiamati a raccogliere alluminio che viene riutilizzato per fabbricare biciclette - di Castel


Sant’Angelo sul Nera - gli alunni realizzano diversi manufatti ispirati alla raccolta differenziata e partecipano ad una grande festa a tema ambientale ed ad una simpatica caccia al tesoro dove bisogna scovare i rifiuti riciclabili, raccoglierli ed avviarli al riciclo. Inoltre a Porto Recanati le classi 4° e 5° della scuola primaria “Matteotti - Gramsci” e le classi 1° e 2° della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto “E. Medi” hanno dato vita ad un interessante laboratorio creativo, guidato dagli esperti del COSMARI e dagli insegnanti Sofia Senigagliesi e Aldo Pennesi, per giungere alla definizione di uno slogan, di una immagine e quindi di una campagna di comunicazione rivolta ai loro compagni. L’intento è quello di avere messaggi pensati dai ragazzi per sensibilizzare i loro coetanei alla raccolta differenziata. Infine, dall’attenzione per l’ambiente e per la raccolta differenziata, unita alla passione per il design, è in fase avanzata un progetto che ha come fine quello di far comprendere a tutti i cittadini ed ai giovani in particolare, come il rifiuto possa divenire una risorsa sia da riciclare, come materiale o come oggetto, da trasformare e reinserire nel mondo visivo e affettivo della casa, dell’arredo urbano e della collettività. È, infatti, impensabile oggi produrre più di quanto riusciamo a smaltire: ecco perché è necessario ripensare al processo di vita, lavorazione e smaltimento dei prodotti. La proposta mira dunque ad esaminare la progettazione e lo smaltimento in maniera virtuosa, innescando meccanismi anche produttivi, economici e industriali tali da rompere l’automatismo della sovrapproduzione di prodotti e rifiuti. Per questo si vuole allestire una mostra itinerante da presentare nei 57 Comuni soci del COSMARI per sensibilizzare, divulgare e promuovere una coscienza nuova del prodotto rifiuto, attraverso un uso creativo ed ecosostenibile. In linea con la politica internazionale che pone sempre maggiormente l’accento verso una nuova cultura del rifiuto, la mostra si propone di fornire elementi di riflessione attraverso un percorso fatto di dati e numeri relativi ai consumi e agli sprechi e un altro,

immediato e intuitivo legato al prodotto e alle infinite possibilità che il riuso permette. Non meno importante l’obiettivo che il progetto si propone, ossia, di operare nell’area del riuso, ma con un approccio legato alla produzione di serie, con l’ambiziosa finalità di creare processi virtuosi fra consorzi di smaltimento e imprese produttive. La mostra è articolata dunque sulla base di: - un’area didattica/divulgativa (per ogni prodotto esposto viene affiancata una scheda tecnica in cui si specificano dati relativi al materiale, alle tecniche di smaltimento fino alla storia dei prodotti e della filiera produttiva); - un’area performativa/espositiva in cui vengono mostrati, attraverso un allestimento suggestivo ed interat-

tivo per lo spettatore, esempi di seconda vita dei prodotti; - pannelli informativi e video sulle buone pratiche della raccolta differenziata e sugli impianti di selezioni che avviano al riciclo carta, cartone, plastica, acciaio, alluminio, vetro, rifiuti organici, ecc.; - Videoreportage: proiezione video del work in progress e della costruzione dei prototipi. Il progetto prevede il coinvolgimento diretto del visitatore in prima persona per farlo entrare all’interno della materia attraverso un’operazione ludica e di forte impatto sensoriale ed emotivo e visite guidate riservate alle scuole che saranno coinvolte in laboratori didattici per la creazione di oggetti utilizzando materiali provenienti dal riciclo.

Dopo l’attivazione a fine 2009 del servizio porta a porta nei Comuni di Castelraimondo e Treia, i primi mesi del 2010 hanno registrato la partenza della raccolta differenziata spinta domiciliare anche nei Comuni di Colmurano, Montefano, Monte San Giusto, Belforte del Chienti, Camporotondo di Fiastrone, Caldarola e Serrapetrona. Ad aprile il servizio interesserà anche i residenti del Comune di Morrovalle e tutti i cittadini delle zone rurali di Civitanova Marche. infine nel mese di maggio il porta a porta verrà esteso anche alle zone non ancora servite di Porto Recanati, tra cui tutto il quartiere Scossicci. Intanto nel mese di febbraio, la media della raccolta differenziata provinciale è salita a quota 55,31%. I “Comuni Ricicloni” maceratesi del mese sono Montelupone 75,85%, Appignano 73,11%, Montecosaro 76,38%, Castelraimondo 69,45%, Treia 70,39%, Recanati 74,06%, Urbisaglia 76,21%, Ripe San Ginesio 69,85%, Potenza Picena 73,06%, Tolentino 69,44%, Loro Piceno 65,85%, Corridonia 66,05%, San Ginesio 64,69%, Civitanova Marche 63,56%, San Severino Marche 62,77%, Camerino 61,51% e Porto Recanati 55,48%.

Sabato 10 aprile il Rotary Club di Tolentino ed il COSMARI, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Tolentino, della Provincia di Macerata, dell’Università di Camerino e Legambiente Marche, organizzano all’auditorium del COSMARI (località Piane di Chienti, Tolentino, un Forum per discutere di: “Energia, ambiente e clima: una sfida possibile?”. Interverranno all’evento, che avrà inizio alle ore 9.30, il Presidente del Rotary Club di Tolentino Andrea Passacantando, il Presidente del COSMARI, Fabio Eusebi, il Direttore della School of Science and Technology dell’Università di Camerino Roberto Ballini che interverrà su “La sfida energetica”, il Presidente di Legambiente Marche Luigino Quarchioni che parlerà de “la Sfida ambientale” ed il responsabile del Focal Point Nazionale dell’IPCC (Intergovernamental Panel of Climate Change) - Premio Nobel per la Pace 2007 Sergio Castellari che comunicherà “la sfida dei cambiamenti climatici”. A chiudere l’iniziativa la visita guidata agli impianti consortili. La partecipazione è aperta a tutti. Per informazioni si può contattare il numero 329.4187982.

Consorzio Obbligatorio Smaltimento Rifiuti Sede legale e operativa Loc. Piane di Chienti - 62029 Tolentino (MC) Tel. 0733 203504 - fax 0733 204014 cosmari@cosmari.sinp.net - www.cosmari.sinp.net

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ENTE MARCHE NEWS


Difesa del suolo e valorizzazione delle aree montane Prevenzione del rischio idrogeologico e cooperazione per un territorio fragile


INDICE Abitare sostenibile per risolvere il “disagio abitativo” e rinnovare la coscienza ambientale di Alberto Piastrellini

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Incertezza sui fondi, ma le Marche reggono di Alberto Piastrellini

La Legge sul “Piano Casa” della Regione Marche a favore dell’efficienza energetica a cura della Regione Marche

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Difesa del suolo

Carrabs: “per la Regione Marche è una priorità infrastrutturale” a cura della Regione Marche

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Tutela delle aree montane, la Regione Marche lancia la sfida di Silvia Barchiesi

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E ora, l’Appennino marchigiano! a cura della Regione Marche

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Nuove strade per la valorizzazione del territorio a cura della Regione Marche

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Rischio idrogeologico: traguardi e obiettivi della Regione Marche di Silvia Barchiesi

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Gestione integrata del mare una soluzione ecocompatibile al dragaggio dei porti di Silvia Barchiesi

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La Regione Marche contro il digital divide di Silvia Barchiesi

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Obiettivo: garantire a tutti la connessione a cura della Regione Marche

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Premiato Flavio Falzetti tornato al calcio dopo 35 cicli di chemioterapia a cura della Regione Marche

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Interpretazione e applicazione della L.R. n. 22/2009

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Assessorato Lavori Pubblici, Edilizia Pubblica, Difesa del Suolo e della Costa, Territori montani e Politiche per la Montagna, Sistemi Telematici e Informativi Palazzo Li Madou -Via Gentile da Fabriano, 2/4 - Tel 071.8064344 - Ancona

Green Governance è consultabile e scaricabile dal sito: www.gianlucacarrabs.it


Dopo una pausa fisiologica di cinque mesi, dovuta essenzialmente alla mole di lavoro che ha visto in prima linea le varie Direzioni e strutture di questo Assessorato Regionale, prosegue l’avventura editoriale di Green Governance, che proprio all’inizio di un nuovo anno, viene dato alle stampe col compito di veicolare i risultati finora raggiunti e quelli futuri da conseguire da parte della struttura regionale di cui ho la delega. L’anno appena trascorso ha palesato drammaticamente i limiti e le difficoltà di un sistema economico globale basato solamente sul profitto economico di pochi e le speculazioni finanziarie che, pur muovendo economie virtuali, vanno ad inficiare, in pratica, il risparmio di molti ignari cittadini, il potere d’acquisto delle famiglie, la capacità delle imprese di garantire il lavoro e crescere negli investimenti tecnologici (magari a favore della minimizzazione degli impatti dei processi produttivi sull’ambiente ed il territorio). D’altro canto, il summit sul clima di Copenhagen ha dimostrato quanto le grandi potenze e i Paesi emergenti facciano fatica ad accordarsi su una base comune che prescinde dallo sviluppo purchessia per indirizzarsi verso una rinnovata green economy in cui ricchezza e benessere siano patrimonio di tutti con il valore aggiunto del rispetto e della tutela delle ricchezze naturali. In questo senso, gli Enti territoriali si sono da tempo dimostrati molto più lungimiranti e attivi nella direzione di un cambio di rotta verso la sostenibilità e la Regione Marche, da tempo, ha fatto di questo concetto un obiettivo trasversale a tutti i dicasteri e un traguardo da raggiungere lavorando insieme con la giusta attenzione a tutti i segmenti della società. A questo proposito va sottolineata la politica regionale nei confronti della Difesa del Suolo e delle scelte per la messa in sicurezza del Territorio e la risoluzione del rischio idrogeologico. Gli interventi approntati per risolvere vecchi oltraggi frutto di una cattiva gestione dei beni ambientali (fiumi, montagne, campagne, ecc.), sono stati oggetto di un importante Convegno a guisa di bilancio (“Difesa del suolo e valorizzazione delle aree montane: prevenzione del rischio idrogeologico e cooperazione istituzionale per un territorio fragile”, organizzato dalla Regione Marche, con la collaborazione della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro, dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e dell’Ordine dei Geologi delle Marche), che ha avuto luogo ad Urbino lo scorso 18 dicembre. (Una sintesi alle pagg 13 - 15, cui segue una presentazione del Progetto Appennino ed una originale intervista al Dirigente Mario Smargiasso). Anche le problematiche relative all’emergenza abitativa e agli strumenti che la Regione Marche ha messo in campo sono oggetto di trattazione nelle pagine di questo Green Governance.

In tal senso giova ricordare brevemente la politica regionale nei confronti dell’emergenza abitativa: - buoni casa per le giovani coppie, - nuovi alloggi a canone calmierato, - Legge regionale sull’edilizia sostenibile, - Piano Casa regionale, - progetti di edilizia sperimentale, - fondo di garanzia per mutui prima casa a favore di lavoratori atipici. Il tutto promuovendo la diffusione di buone pratiche di edilizia sostenibile al fine di rendere passive le nuove costruzioni (e migliorare le performance energetiche del patrimonio edile esistente), così come indicato negli indirizzi europei di riferimento. L’occasione per approfondire tutto ciò è stata offerta dal Convegno: “Abitare sostenibile: i progetti e le politiche per l’Housing sociale a Pesaro”, promosso dalla Regione Marche - Assessorato per l’Edilizia Pubblica, dal Comune di Pesaro e dalla Provincia di Pesaro e Urbino, che ha avuto luogo nel Capoluogo provinciale, a Palazzo Granari, venerdì 11 dicembre, opportunità per ragionare insieme sulle problematiche e sugli strumenti messi in atto da Regione ed Enti Locali per migliorare la situazione regionale dell’emergenza abitativa (ne diamo ampio spazio nell’articolo pubblicato alle pagg. 4 -6, cui segue un prezioso contributo del Dirigente Regionale Giorgio Girotti Pucci, ed un approfondimento sulla L. R. 22/2009 ed il Protocollo ITACA-Marche). Infine, è di pochi giorni fa la notizia relativa alla firma della lettera di intenti fra la Regione Marche e gli Operatori delle Telecomunicazioni, volta alla progressiva e radicale riduzione del Digital Divide. Abbiamo ritenuto doverso dare anche a questa notizia un giusto spazio di approfondimento, tenendo presente quanto questo argomento sia tuttora di grande interesse pubblico per le implicazioni che tale gap tecnologico determina in termini di disservizi, partecipazione pubblica e comunicazione fra i cittadini dell’entroterra e quelli delle aree costiere. A questo proposito forniamo anche un’ampia trattazione della cantieristica avviata e di quella da avviare a breve. Infine, abbiamo riservato uno spazio per la pubblicazione integrale del testo della Linee Guida regionali per l’interpretazione della L. R. n. 22/2009: “Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile”, per dar modo ai Lettori di approfondire l’analisi e la comprensione tecnica del complesso dettato normativo.

Gianluca Carrabs

Assessore ai Lavori Pubblici, Edilizia Pubblica, Difesa del Suolo e della Costa, Territori Montani e Politiche per la Montagna, Sistemi Telematici ed Informativi della Regione Marche

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Green Governance

Editoriale


Manifestazioni e convegni

ABITARE SOSTENIBILE PER RISOLVERE IL “DISAGIO ABITATIVO” E RINNOVARE LA COSCIENZA AMBIENTALE Presentati a Pesaro i progetti e le politiche per il social housing nel Capoluogo di Provincia di Alberto Piastrellini

Da sempre, in Italia il valore sociale assegnato alla casa di proprietà è considerato fra i primi fattori di benessere e, come tale, viene percepito dalla maggioranza dei cittadini come un traguardo imprescindibile nella corsa verso la sicurezza e la stabilità economica. Se da un lato questa dinamica ci differenzia notevolmente dalla percezione comune nei diversi Paesi d’Europa, dove la “stanzialità” è sinonimo di scarso dinamismo e poca propensione a mettersi in gioco, dall’altro garantisce un rapporto continuativo e “familiare” col territorio, che, nel tempo, diventa legame quasi indissolubile, al punto da lasciare segni indelebili ed evidenti nell’urbanistica e nelle singole comunità civili. E questo non vale solo per le tante ferite inferte all’ambiente e al territorio, bensì anche per la positiva gestione del territorio stesso che, nei secoli, i residenti hanno apportato per conseguire lo sviluppo dell’intera comunità in una sorta di ideale e perseguibile “buon governo”. Tuttavia, stante le dinamiche di deregulation che in questi ultimi anni hanno profondamente segnato il mercato del lavoro e la crisi economica derivante dalla caduta dei mutui sub prime d’oltreoceano (guarda caso legati proprio alla concessione di mutui per acquisti immobiliari), per molte giovani famiglie italiane (e quelle marchigiane non fanno eccezione da questo punto di vista), la casa di proprietà è sempre più un vago traguardo, ostacolato da rate di mutuo difficili da onorare con l’aumento dei prezzi e, pure nel caso delle locazioni pubbliche e private, il peso dei canoni d’affitto comincia a farsi sentire. La crisi economica, come si accennava poc’anzi, non ha fatto che peggiorare le cose, trasformando un’esigenza diffusa in una emergenza sociale dai caratteri nazionali più nota come “disagio abitativo”. Come sempre, in questi casi, le fasce più colpite sono quelle già più deboli in partenza, soprattutto: lavoratori precari, in mobilità o con contratti atipici, giovani coppie, famiglie

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monoparentali o monoreddito, anziani al minimo del livello pensionistico, singles ed immigrati. Per rispondere adeguatamente a questa problematica, la Regione Marche, con una certa lungimiranza, già a partire dal 2005, ha focalizzato una serie di risorse economiche a sostegno di ben 2 Piani Casa (Piano Casa Regionale per il biennio 2004/2005 e Piano Casa Regionale per il Triennio 2006/2008), per un totale impegnato pari a 400 milioni di Euro. D’altro canto, anche gli Enti Locali, Province e Comuni hanno saputo cogliere le istanze della popolazione coniugando i propri interventi con quelli messi in campo dal Governo regionale. È il caso del Comune e della Provincia di Pesaro, che, per primi, nelle Marche, hanno varato un importante programma di Social housing in cui l’esigenza di offrire nuove soluzioni concrete al disagio abitativo è andata di pari passo con la necessità di rivolgersi ad un nuovo concetto di “abitazione” intesa come struttura energeticamente passiva, in grado di offrire performance maggiori rispetto ai manufatti edili preesistenti in termini di efficienza energetica, impatto ambientale, servizi e connessioni con il territorio. Di questo si è parlato al Convengo: “Abitare sostenibile: i progetti e le politiche per l’Housing sociale a Pesaro”, promosso dalla Regione Marche - Assessorato per l’Edilizia Pubblica; dal Comune di Pesaro e dalla Provincia di Pesaro e Urbino, che ha avuto luogo a Palazzo Granari, venerdì 11 dicembre nel Capoluogo provinciale. A moderare la mattinata di lavori, ulteriormente animata dal cortometraggio: “Abitare sostenibile, un modello per l’Housing sociale” è stato chiamato Luca Pieri - Assessore all’Urbanistica, Sportello Unico, Coordinamento Grandi Eventi, Pianificazione Strategica del Comune di Pesaro, il quale nel sottolineare la prestigiosa location, frutto di un intervento di restauro a cura della stessa Amministrazione Comunale, ha aperto i lavori ricordando


Regionale sull’edilizia sostenibile dal punto di vista energetico e ambientale che, basandosi sul Protocollo ITACA, definisce i criteri per una certificazione energetico-ambientale degli edifici che allarga i requisiti richiesti dalla normativa statale, includendovi i fattori ambientali. Successivamente ha preso la parola Giuseppina Catalano, Vice Sindaco e Assessore alle Politiche per la famiglia, la casa e gli anziani del Comune di Pesaro, la quale ha iniziato il suo intervento sottolineando i programmi dell’amministrazione Comunale per l’housing sociale e ricordando l’importanza della “trasversalità dell’impegno dei vari Assessorati - allorquando ci si confronta con il disagio abitativo, perché - la nostra cura deve essere soprattutto alla persona”. Al cambiamento intervenuto con la mutata capacità economica dei cittadini, che esclude fasce sempre più numerose di persone e di famiglie non solo dalla possibilità di accedere a mutui per l’acquisto della casa (sempre più onerosi anche nel caso di edilizia economica o convenzionata), ma anche dalla possibilità di affitto a prezzi di mercato, e tenendo altresì conto che queste persone e famiglie, da capacità economiche decisamente modeste, non rientrano comunque nei parametri dell’attività dell’ERAP, si affianca la mutata sensibilità pubblica e privata nei confronti della sostenibilità ambientale e la necessità di costruire nuove abitazioni, più idonee al risparmio energetico e alla minimizzazione degli impatti antropici. Nel Comune di Pesaro si è consolidata, nel tempo, la consapevolezza che il bisogno di case non poteva essere esaudito dal solo ERAP e dai PEEP, stante la variazione delle condizioni di vita e di composizione delle fasce sociali più deboli. Rimarcando come l’esperienza mutuata da altri Paesi europei dove la cultura dell’abitare ha già assunto da tempo un’altra direzione, il Vice Sindaco ha ricordato che, già nella seduta Consiliare del 3 ottobre 2005, il Consiglio comunale deliberò all’unanimità una mozione di indirizzo sulla questione abitativa, approvando, successivamente, il 10 luglio 2006 il PPA in cui si afferma che nella quota di edilizia economica convenzionata il 10% doveva riguardare appartamenti ad affitto calmierato con selezione degli affittuari tramite bandi comunali e residenze realizzate dai privati. “Quindi - ha detto il Vice Sindaco - il punto cruciale e qualificante dell’housing sociale scelto dal comune di Pesaro, è stato l’affitto calmierato”. Inoltre, il Comune ha stabilito che l’area di edilizia popolare non doveva risultare staccata dal resto del disegno urbanistico, per cui si è scelto di trasformare aree edificabili del PRG in aree PEEP, evitando l’utilizzo di terreni agricoli che avrebbe come conseguenza un ulteriore consumo di territorio. Di conseguenza, laddove c’è un’area in trasformazione, una quota è sempre PEEP. Contemporaneamente, allorquando la Regione Marche ha emesso bandi con finanziamento per gli affitti calmierati, il Comune di Pesaro ha partecipato con 2 progetti relativi ad altrettante aree: Località Pozzo Alto (20 appartamenti) e Località Vismara-Cattabrighe (30 appartamenti). A questi si sono aggiunti altri 18 alloggi in località Borraccia e la riqualificazione urbana di Via Mazza. “Il prossimo futuro - ha dichiarato il Vice Sindaco - sarà rappresentato dalla costruzione di appartamenti che potranno essere dati in affitto a 2-300 Euro, con finanziamenti che arriveranno dalla Regione attraverso bandi indetti dalla Provincia e che il Comune erogherà alle Cooperative risultate vincitrici degli appositi bandi, direttamente proporzionali alla lunghezza del contratto di affitto (maggiore per gli affitti trentennali)”.

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l’importanza del tema in oggetto e la responsabilità cui gli amministratori locali sono chiamati nei confronti dei cittadini. “Sul tema dell’abitare sostenibile il nostro territorio ha fatto una scelta particolarmente interessante già da alcuni anni - ha ricordato il Sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli - grazie alla partnership fra imprese private, Associazioni e settore pubblico”. Nel mensionare, poi, le attività messe in campo dall’Amministrazione locale, il Sindaco ha sottolineato che: “quando si fanno le cose prima degli altri, si affrontano per primi varie problematiche, però la soddisfazione di mettersi in gioco è tanta, soprattutto quando si vedono i buoni frutti del lavoro”. Proseguendo nella prolusione alla mattinata di lavoro il Sindaco ha evidenziato come: “Iniziative come il Piano Casa della Regione Marche tendono al rilancio dell’edilizia sostenibile; questo è il sentiero da percorrere per tendere allo sviluppo sostenibile del territorio”. “Case a cifre interessanti per soddisfare la domanda di quel 20% di popolazione che non è proprietaria di un’abitazione è l’obiettivo a cui stiamo lavorando”, ha infine concluso. “Il sistema della protezione sociale passa anche attraverso l’urbanistica e l’edilizia pubblica”, ha dichiarato l’Assessore Regionale ai Lavori Pubblici ed Edilizia Pubblica, Gianluca Carrabs. “Puntare sul piano casa avrà un efficace effetto anticrisi e un conseguente rilancio dell’economia, che vede nell’edilizia potenzialità da settore trainante”. Nel ricordare le prospettive e le possibilità offerte dall’housing sociale l’Assessore Carrabs ha tenuto a precisare che tale obiettivo non può prescindere da due variabili fondamentali: “il sistema tradizionale di operatori del settore e di aiuti per la casa non è più in grado di offrire una risposta adeguata all’emergenza abitativa: la crescente domanda di abitazioni in affitto non trova più risposta nel settore degli investitori istituzionali, i quali hanno a loro volta alienato il proprio patrimonio”. “Al fine di valorizzare e incrementare l’offerta abitativa sul territorio - ha proseguito Carrabs - è prossimo l’utilizzo dello strumento dei fondi immobiliari chiusi e la partecipazione di soggetti pubblici e privati ai progetti”. Il fondo previsto per il territorio della Provincia di Pesaro e Urbino opererà acquisendo quote significative, ancorché di minoranza, di fondi immobiliari di social housing su base locale, nei quali potranno investire Fondazioni di tipo bancario, Enti locali, privati. Questo sistema garantirà da un lato la tutela degli interessi pubblici coinvolti, dall’altro il coordinamento delle singole iniziative locali finalizzato a un adeguato impiego di capitali su tutto il territorio per la realizzazione di immobili di edilizia residenziale sociale a canone moderato. In sintesi, questo strumento darà la possibilità: - di consegnare in tempi rapidi un patrimonio immobiliare a canone sostenibile, destinato ad una fascia di popolazione che non è in grado di rivolgersi al mercato immobiliare, e nel contempo non ha i requisiti di reddito tali da poter accedere alle graduatorie dell’edilizia residenziale pubblica; - di poter realizzare alloggi ad un canone mensile di affitto calmierato che dopo 25 -30 anni darà all’inquilino in affitto la possibilità di riscattare l’immobile divenendone proprietario. Infine, ha sottolineato l’Assessore Carrabs, un’altra variabile importante è quella di poter coniugare l’edilizia sociale con l’edilizia sostenibile. Le politiche dell’housing sociale sono infatti volte a dare una risposta alla questione casa, incoraggiando al tempo stesso la trasformazione urbana, per assicurare uno sviluppo sostenibile ed integrato. L’Assessore Regionale ha ricordato come le Marche siano state la prima Regione in Italia ad aver adottato una Legge


Angelo Mingozzi, Università di Bologna, ha dato il suo contributo alla mattinata di lavoro portando la testimonianza dell’esperienza decennale dell’Amministrazione Pesarese dal punto di vista del mondo della ricerca. “Riportare l’uomo al centro delle decisioni di governance del territorio e considerare la casa come mezzo per lo sviluppo sostenibile - ha detto il professore - è la chiave per rinnovare il presente e garantire il futuro”. Successivamente, a cura di Giorgio Girotti Pucci - Dirigente della P. F. Edilizia Privata, Edilizia Residenziale, Pubblica e Sociale della Regione Marche, è stato effettuato uno screening degli strumenti normativi e delle decisioni che la Regione Marche ha messo in campo per il settore dell’Edilizia Pubblica (ndr: per maggiori informazioni si veda l’intervista pubblicata alle pagg. di questo numero). Massimo Galluzzi, Assessore alle Politiche Abitative della Provincia di Pesaro e Urbino ha poi fatto il punto sulla necessità di monitorare gli aspetti problematici relativi all’entità della domanda per le abitazioni nel territorio provinciale. “Il peso della crisi economica che ha caratterizzato quest’ul-

timo anno si farà sentire nei prossimi mesi - ha dichiarato l’Assessore provinciale - nella nostra provincia ci sono 3.000 alloggi “popolari” e 2.000 domande da evadere che potrebbero aumentare, senza contare la cosiddetta “zona grigia” che rappresenta quella fetta di popolazione che non può accedere al mercato né all’edilizia popolare”. “Dobbiamo guardare all’insieme delle politiche abitative - ha proseguito l’Assessore - la nostra Provincia, dal 2004 in poi ha impegnato da 40 a 45 milioni di Euro per questo problema. Sembrano tanti soldi ma sono pochissimi rispetto alle esigenze”. “Occorre - ha concluso - una valutazione più ampia del problema e la coesione/collaborazione di tutti gli stakeholders”. A riportare le conclusioni della mattinata è stato lo stesso moderatore, Luca Pieri - Assessore all’Urbanistica, Sportello Unico, Coordinamento Grandi Eventi, Pianificazione Strategica del Comune di Pesaro, il quale ha evidenziato ulteriormente come “rispetto alle politiche dell’abitare, la qualità sociale e la sostenibilità degli interventi edili rappresentino le strade da perseguire necessariamente per conseguire gli obiettivi di promozione sociale e del territorio”.

PRINCIPALI LINEE DI ATTIVITÀ PROMOSSE DALLA REGIONE MARCHE NEL PERIODO 2005/2009 NEL SETTORE DELLE POLITICHE ABITATIVE Emanazione della Legge regionale di riordino del settore e dei relativi regolamenti d’attuazione; Approvazione di due piani di edilizia residenziale per circa 4.000 alloggi; Concessione di finanziamenti per 32 milioni di euro a favore di 11 “contratti di quartiere II” e per un investimento globale di 78 milioni di euro; Finanziamento di 3 programmi di edilizia sperimentale per complessivi 6 milioni di euro; Emanazione del bando ad iniziativa congiunta Regione/Ministero “Programmi di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile”. È in corso la selezione dei programmi da finanziare con le risorse disponibili pari a circa 7 milioni di euro; Concessione di contributi per la realizzazione del programma “20.000 alloggi in affitto” per circa 5 milioni di euro; Trasferimento ai Comuni di contributi per l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle abitazioni private per complessivi 4,5 milioni di euro; Trasferimento ai Comuni di contributi per il sostegno alla locazione per complessivi 25 milioni di euro; Il Piano Casa Nazionale di edilizia abitativa approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (16 luglio 2009), costituisce una nuova svolta del settore che se da un verso può in parte risolvere le problematiche legate alla carenza di risorse, dall’altro, se mal gestito, può favorire la proliferazione di operazioni speculative in grado di sconvolgere il governo del territorio. La Regione Marche contribuirà senz’altro ad una corretta attuazione del Piano, sottoscrivendo quegli Accordi di Programma che contribuiranno realmente all’aumento dell’offerta abitativa senza danni per gli equilibri urbanistici ed ambientali. La recente Legge varata dalla Regione Marche per il rilancio dell’edilizia, impropriamente denominata “Piano casa 2” potrà, solo in parte, risolvere le problematiche abitative dei cittadini marchigiani. Si ritiene, tuttavia, che tale provvedimento, frutto di un serrato confronto tra la Regione e tutte le istituzioni e gli organismi rappresentativi della società marchigiana, possa costituire un’occasione irripetibile per un’edilizia di qualità, a basso consumo energetico e rispettosa dell’ambiente.

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Emergenza abitativa

INCERTEZZA SUI FONDI, MA LE MARCHE REGGONO Il Dirigente della P. F. Edilizia Privata, Edilizia Residenziale, Pubblica e Sociale della Regione Marche fa il quadro della situazione marchigiana

La Regione Marche, con la Toscana e l’Umbria, fa parte di quella triade ideale, almeno nell’immaginario collettivo, dove la qualità della vita, le bellezze di un territorio vario e tutelato, le offerte culturali e il mondo dell’impresa, offrono agli abitanti e ai visitatori, un ventaglio di innegabili vantaggi rispetto ad altre regioni d’Italia. E in parte è pur vero. Tuttavia, il mutamento dei sociogrammi tradizionali, la necessità di una mobilità lavorativa più accentuata, l’aumento di nuclei familiari diversi da quelli tradizionali (monoparentali, single, ecc.), le esigenze di coppie

giovani e il fenomeno dell’immigrazione, il tutto amplificato dalla crisi dei servizi e dell’economia, ha determinato, anche nella “regione al plurale”, la necessità di un’offerta di edilizia residenziale pubblica in grado di rispondere positivamente alla domanda di una fascia, seppur minoritaria, ma sempre notevole, di persone in cerca di una casa. Se è vero che tutto il Paese, a differenza dei partner europei è caratterizzato da una diffusa proprietà della casa (circa l’80%), è in aumento una fetta consistente di popolazione che si rivolge al settore pubblico per quanto riguarda l’alloggio ed è ancor più in

aumento la cosiddetta “zona grigia” rappresentata da persone che percepiscono un reddito tale da escluderle dalle graduatorie pubbliche. Fermo restando che le politiche nazionali sul settore hanno prodotto strumenti normativi la cui efficacia è proporzionale all’entità delle somme investite, anche gli Enti territoriali devono fare la loro parte e, in questo senso, la Regione Marche non si è sottratta alle proprie responsabilità. Da anni, attraverso apposite decisioni regionali, sono stati destinati fondi e finanziamenti all’edilizia residenziale pubblica, cercando, altresì di coniugare l’offerta di alloggi con l’esigenza di ripensare all’autosostenibilità degli alloggi stessi. D’altro canto non si possono dimenticare le azioni volte al sostegno di nuclei familiari che la Regione Marche ha messo in campo da tempo: alloggi a canone sociale e a canone moderato; buoni casa per giovani coppie; contributi per il sostegno alla locazione; interventi per la riqualificazione del patrimonio alloggiativo pubblico; istituzione di un fondo di garanzia per mutui prima casa a favore di lavoratori atipici; interventi di edilizia sperimentale. Ora, a qualche mese dall’approvazione della Legge regionale 8 ottobre 2009, n. 22 “Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile”, vogliamo fare il punto dello stato dell’arte per ciò che concerne l’emergenza abitativa nella nostra regione. A rispondere alle nostre domande, è il Dirigente della P. F. Edilizia Privata, Edilizia Residenziale, Pubblica e Sociale della Regione Marche, Ing. Giorgio Girotti Pucci. Ingegnere, può dirci qual è la situazione dell’edilizia pubblica per

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di Alberto Piastrellini


quanto riguarda la nostra regione? Premetto, ovviamente, che questa riflessione è riferita alla sola edilizia residenziale pubblica. Ci troviamo, attualmente, in un momento di grossa incertezza dovuta al fatto che terminati i fondi GESCAL che costituivano sin dal 1998 la fonte primaria di finanziamento di questo settore, come Regione siamo riusciti, fino all’ultimo Piano regionale triennale 2006/2008 a stanziare fondi abbastanza cospicui derivanti dalle economie dei programmi precedenti. Quindi, pur in assenza di nuovi finanziamenti statali, si è in qualche modo data una risposta al fabbisogno utilizzando risorse dei programmi precedenti. Sostanzialmente, queste risorse derivano dal fatto che con l’abbattimento dei tassi di mutuo, i contributi che noi paghiamo agli Istituti di Credito sui mutui agevolati accesi tempo fa, ora sono molto inferiori a quelli che pagavamo un tempo e quindi costituiscono delle economie che adesso, però, si sono esaurite. Ci troviamo, purtroppo, di fronte a un pressoché totale disimpegno dello Stato nel settore, almeno dal punto di vista degli interventi diretti. È pur vero che è stato emanato un Piano Nazionale di Edilizia Abitativa nel luglio di quest’anno che prevede una serie di linee di intervento, soprattutto per dare risposte alla famosa “fascia grigia”; però questo Piano nazionale si regge quasi esclusivamente su investimenti di tipo privato, cioè sui Fondi immobiliari chiusi che non sono ancora stati istituiti né a livello nazionale né, tantomeno, a livello locale. Sono previste anche modalità di realizzazione degli alloggi tipo: project financing, cessione dei diritti edificatori, premialità urbanistica che effettivamente potrebbero dare risultati concreti, ma che tuttavia vanno

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gestite in modo accorto onde evitare speculazioni. Resta comunque irrisolto il problema di alloggi pubblici da destinare alle categorie più svantaggiate a canone sociale, per i quali l’investitore ha provato scarso interesse vista la bassissima redditività dell’investimento: l’unica amara soluzione sembra essere quella della dismissione di un’ulteriore quota di alloggi pubblici. Ripeto: le risorse dello Stato, al momento, non ci consentono di programmare interventi di una certa entità. È giunta da poco la notizia che è stato emanato il Decreto che ha dato il via al primo stralcio di un vecchio programma straordinario che era stato approvato ai tempi del Governo Prodi e poi, successivamente, era stato bloccato perché i fondi erano stati altrimenti dirottati. Ora questo Decreto dà il via solo a 1/3 dei finanziamenti del programma iniziale, per cui alle Marche, in luogo dei 10,3 milioni inizialmente previsti, saranno concessi, per il momento solo, 3,4 milioni di euro per interventi da avviare immediatamente. Per il futuro attendiamo i provvedimenti che daranno attuazione al Piano Nazionale, in particolar modo l’istituzione dei Fondi o del Fondo Immobiliare Nazionale in cui verranno a confluire risorse di tutti i soggetti istituzionali che investono in questo settore come: la Cassa Depositi e Prestiti, gli Istituti Assicurativi, le Fondazioni Bancarie. Tuttavia, all’istituzione di questo Fondo Nazionale dovrà seguire l’istituzione di analoghi Fondi Immobiliari Locali, dal momento che lo scopo precipuo del Fondo Nazionale è quello di partecipare pro quota ai diversi Fondi locali che si costituiranno di volta in volta. Come struttura regionale abbiamo costituito un Tavolo di lavoro a cui sono

stati invitati tutti gli stakeholders, per prospettare la possibilità di costituire uno o più Fondi Locali regionali, ma ancora non abbiamo proposte concrete su cui lavorare. Come accennavo poc’anzi, un altro aspetto su cui il Piano Nazionale di Edilizia Abitativa fonda il proprio presupposto è il partenariato pubblico/privato attraverso strumenti come il projet financing, la cessione dei diritti edificatori, etc. All’uopo contiamo di fornire ai Comuni opportune istruzioni per elaborare proposte e pacchetti per programmi abitativi che non diano mano a operazioni speculative, ma riconoscano il giusto risarcimento a tutti coloro che vorranno investire in operazioni che non sono speculative per loro natura, dal momento che è noto che il social housing non garantisce redditi elevati. Però, attraverso la possibilità di realizzare accanto al social housing anche l’edilizia libera, oppure di usufruire di alcuni premi di tipo volumetrico, o addirittura attraverso la trasformazione di aree non edificabili in aree edificabili, senz’altro si potrebbero attivare iniziative private che possono essere interessanti, fermo restando il preminente interesse pubblico delle iniziative. Si può parlare, almeno per ciò che concerne la Regione Marche di “emergenza abitativa”? Ci sono dei numeri che possono quantificare l’entità del problema? Dunque, noi monitoriamo con una certa periodicità le graduatorie che i Comuni aggiornano ogni due anni, in merito alle domande presentate dagli aspiranti per l’ottenimento di alloggi pubblici. Analogamente, monitoriamo le domande di contributo sugli affitti che sempre i Comuni raccolgono nel territorio di competenza.


Come coniugare l’esigenza di nuove strutture abitative con l’esigenza di promuovere lo sviluppo sostenibile e la necessità di evitare un ulteriore depauperamento del territorio? È perseguibile la strada del recupero del patrimonio edile abbandonato, penso soprattutto all’edilizia rurale? Questo è sicuramente uno degli obiettivi che ci siamo posti già da tempo. Non è un caso, infatti, che tutti i programmi che abbiamo approvato negli ultimi 5 anni tendono a prediligere il recupero piuttosto che stimolare la costruzione di nuovi edifici. Sul tema della sostenibilità energetico-ambientale, ovviamente, l’attività di semplice recupero si presta un po’ meno ad ottenere valori prestazionali elevati. Ad ogni modo, anche in occasione dell’emanazione della L. R. n. 22/2009 (più nota come Piano Casa 2), la Regione Marche ha adottato il Protocollo ITACA. Attraverso tale Protocollo la Regione è in grado di verificare in maniera

puntuale se le prestazioni energetico-ambientale che i singoli progetti dichiarano di possedere rispondono poi effettivamente alla realtà. Infine, non è da trascurare il fatto che fin dai programmi concepiti cinque anni fa, come i contratti di quartiere, abbiamo voluto sempre sostenere gli interventi di riqualificazione urbana. Con tali strumenti, magari anche con operazioni di ristrutturazione edilizia che comportano la demolizione di manufatti esistenti e la successiva ricostruzione con tecniche più innovative di qualità, si sono ottenuti risultati concreti laddove sono stati eliminati edifici incongrui all’interno dei centri storici contestualmente al risanamento ambientale di alcune zone altamente degradate. Per il recupero del patrimonio rurale abbandonato di interesse storico abbiamo la recente legge regionale 22/2009. Come intende muoversi l’amministrazione regionale nel prossimo futuro per questo settore? Ci saranno possibilità di ulteriori bandi? Le Province avranno la possibilità di attivare ulteriori finanziamenti, oppure bisognerà aspettare che da Roma si sblocchino le cose? La L.R. n. 36/2005 che ha ridisegnato un po’ tutte le politiche abitative delle Marche, prevede che la Regione faccia dei Piani triennali in cui vengono previste le varie linee di intervento da seguire e le risorse da destinare a tale scopo. L’ultimo Piano approvato è quello 2006/2008, poi ci si è fermati perché essendo esigue le risorse attualmente disponibili, la Regione può solo partecipare con propri finanziamenti al Piano Nazionale di Edilizia Abitativa. A questo punto l’emanazione di nuovi Bandi è un po’ legata all’attuazione

di questo Piano Nazionale. Chiaramente questa è una procedura che si discosta da quella prevista dalla nostra L. R. che prevedeva fasi esclusivamente legate alle norme regionali. Ora dovremo rispettare alcuni passaggi come la sottoscrizione degli Accordi di Programma col Ministero che ci impongono modalità e procedure diverse. Prevedibilmente, nel 2010 i Comuni dovranno elaborare un pacchetto di interventi da presentare in Regione,per poi essere finanziati con i Fondi del Piano Nazionale, in cui sarà determinante sia l’apporto dei privati, sia la possibilità dei Comuni di mettere a disposizione delle aree a valori inferiori a quelli del mercato. Siamo consci, infatti, che il problema del “caro-casa” è essenzialmente dipendente dal costo delle aree: pur volendo comprimere, per quanto possibile, il costo di realizzazione degli alloggi, sappiamo che il fattore che incide maggiormente è proprio il valore dell’area da edificare. Per cui se i Comuni riescono, mettendo a disposizione aree proprie o tramite accordi con privati, a reperire aree da assegnare a chi ha interesse a costruire alloggi sociali, questo sarà un elemento di forza delle proposte che arriveranno in Regione e che poi dovranno essere oggetto di specifico finanziamento.

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In entrambi i casi la totalità delle domande è abbastanza simile; circa 8.000 domande, in crescita tendenziale soprattutto in coincidenza della crisi economica iniziata nel 1998. Chiaramente, molte domande potrebbero essere riferite allo stesso nucleo familiare perché non è infrequente che chi è in attesa di ottenere un alloggio pubblico, dovendo pagare un affitto elevato, richieda anche i contributi sull’affitto. Ad ogni modo il fabbisogno espresso potrebbe nascondere criticità molto maggiori per il fatto che molti cittadini non fanno domanda per la scarsità dell’offerta abitativa, soprattutto, nei comuni costieri e nelle zone interne, dove sono concentrate le maggiori zone industriali.


Edilizia sostenibile

LA LEGGE SUL “PIANO CASA” DELLA REGIONE MARCHE A FAVORE DELL’EFFICIENZA ENERGETICA Carrabs: “Opportunità per i cittadini ed il settore edile”

Assessorato ai Lavori Pubblici e Edilzia Pubblica

Contrastare la difficile fase di crisi economica non solo con il sostegno e rilancio all’edilizia, ma anche con il miglioramento della qualità degli edifici sotto il profilo della sicurezza sismica e dell’efficienza energetica. È la filosofia di fondo del piano casa regionale, ovvero la legge delle Marche 22/2009, “Interventi della regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile”, approvata dall’assemblea legislativa nella seduta dell’8 ottobre scorso. “Un progetto che difende lavoro, occupazione e sviluppo dell’economia marchigiana - afferma l’assessore all’edilizia, Gianluca Carrabs - per un rilancio delle piccole imprese: quelle dell’edilizia, ma anche dell’impiantistica, dell’arredo e delle attività professionali legate al settore. Un piano equilibrato, ampiamente condiviso con la comunità regionale, adottato senza mai perdere di vista la tutela del paesaggio richiamata dalla Costituzione. Una legge da cui esce rafforzata la sostenibilità energetica e antisismica delle tecniche edili, a vantaggio della sicurezza dei cittadini, aumentando la qualità complessiva della nostra edilizia. Perché si propone di reinterpretare e riqualificare gli spazi urbani, quelli degradati, consentendo cambi di destinazione con programmi di riqualificazione, quindi con un intervento che favorisce vivibilità e armonia del territorio regionale”. “È davvero una grande opportunità, continua Carrabs, perché stimola il miglioramento delle abitazioni grazie a risparmio energetico, uso di materiali e tecniche rispettose dell’ambiente, incremento della sicurezza anti-sismica”. I principali interventi previsti sono ampliamenti, demolizioni e ricostruzioni. Con l’approvazione della legge regionale n. 22. dell’8 ottobre 2009, nella Regione Marche viene data attuazione all’intesa del 1° aprile 2009 tra Stato, Regioni ed Enti locali; l’obiettivo è di fronteggiare la crisi economica in atto mediante il sostegno diretto dell’attività edilizia con l’ampliamento delle volumetrie e favorendo il miglioramento della qualità degli edifici sotto il profilo della sicurezza sismica e della sostenibilità energetico – ambientale. La legge prevede la possibilità di ampliare la volumetria o di demolire anche integralmente gli edifici esistenti ampliandone il volume ricostruito in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi. Gli interventi possono riguardare sia edifici residenziali che non residenziali; in alcuni casi è previsto il mutamento della destinazione d’uso degli edifici non residenziali non più utilizzati per attività produttive. In ogni caso l’ampliamento degli edifici deve comportare il miglioramento del rendimento energetico, mentre con la demolizione e ricostruzione è necessario conseguire una maggiore sicurezza antisismica e un maggior grado di

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sostenibilità energetico - ambientale. Gli interventi previsti dalla legge non possono essere applicati in alcuni casi ben definiti, e cioè nei centri storici, nelle aree a tutela integrale dei piani regolatori comunali o del piano paesistico ambientale regionale (PPAR), nelle zone tutelate dei parchi e delle riserve naturali, negli edifici anche parzialmente abusivi non condonati. Il contributo di costruzione non è dovuto quando la ricostruzione comporti l’accessibilità totale dell’unità immobiliare ai fini del superamento delle barriere architettoniche, è ridotto, invece, del 20% per gli interventi di ampliamento e dell’80% per gli interventi di demolizione e ricostruzione, ad eccezione dei casi di mutamento della destinazione d’uso: in tal caso il contributo di costruzione dovuto senza riduzioni, è destinato dal Comune alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Entro 45 giorni dall’entrata in vigore della legge i Comuni possono limitarne l’applicabilità in relazione a determinati immobili o zone del proprio territorio per motivazioni dovute alla saturazione edificatoria o ad altre valutazioni di carattere urbanistico o paesaggistico o ambientale. Trascorso il termine di 45 giorni per le eventuali limitazioni decise dal Comune, le domande relative agli interventi della legge devono essere presentate al Comune entro i successivi diciotto mesi. Inoltre, un articolo importante della legge, è quello relativo alle procedure di appalto dei lavori pubblici sotto soglia comunitaria di importo compreso tra 100.000 e 500.000 Euro; infatti si prevedono norme integrative a quanto già previsto dal Codice dei contratti pubblici per le procedure negoziate, dando, alle imprese del territorio, la possibilità di essere invitati direttamente alle gare d’appalto, rendendo il procedimento più snello, agevole e trasparente. La realizzazione di tutti gli interventi può essere adottata solo su alloggi ultimati entro il 31 dicembre 2008 e le misure congiunturali hanno un orizzonte temporale di 18 mesi. La scadenza, comunque, potrebbe variare da Comune e Comune. “Auspico – conclude l’assessore Carrabs - che la nuova Legge Regionale concorra, insieme alla vitalità e all’alta professionalità che caratterizzano i cittadini marchigiani, a dare nuovi incentivi al settore edilizio che notoriamente esercita effetti trainanti per tutta l’economia. Con questa sinergia tra soggetti pubblici e privati, sono sicuro che la nostra Regione sarà tra le prime ad uscire dalla crisi economica in atto”. Infine, per agevolare l’applicazione del Piano Casa della Regione la Giunta ha approvato su proposta dell’assessore Carrabs la delibera che “interpreta” le norme della legge regionale 22/2009, attraverso la quale la Regione promuove il riavvio delle attività edilizie per fronteggiare la crisi economica. Il testo, predisposto d’intesa con Anci Marche, è stato integrato e perfezionato a seguito degli incontri provinciali avuti con amministratori e tecnici degli enti locali, oltre che con i professionisti del settore. “L’esigenza di adottare questa delibera di indirizzo - chiarisce Carrabs - scaturisce dalla necessità di


fornire indicazioni agli enti locali su alcune questioni interpretative sorte nell’applicazione del Piano casa. L’intesa con l’Anci Marche assicura il necessario coordinamento tra Regione e Comuni, indispensabile per consentire un’applicazione corretta e uniforme della legge”. Con questo provvedimento, sostiene l’assessore, “viene favorita una lettura integrata della normativa edilizia, ricollegando le varie disposizioni contenute nel Testo unico, nel Regolamento tipo regionale, nelle direttive antisismiche. Agevola i Comuni nella valutazione delle domande che perverranno: una scelta apprezzata dalle amministrazioni locali, che hanno chiesto un chiarimento su varie questioni legate agli standard edilizi”.

Carrabs cita un esempio: “Nel caso di edifici rurali, ribadiamo che è possibile l’ampliamento e l’accorpamento attraverso un Piano di recupero. Si tratta di due istituti giuridici diversi che il Piano casa della Regione riunisce. Era una interpretazione che ha lasciato dei dubbi, mentre ora diciamo che le due opportunità possono essere sommate”. L’atto di indirizzo, conclude l’assessore, costituisce “un percorso chiarificatore, necessario per la corretta applicazione di una legge, come quella delle Marche, tra le più aperte e innovative a livello regionale, in quanto consente, tra l’altro, ampliamenti e demolizioni su tutti gli edifici: siano essi residenziali, rurali e non residenziali”.

PROTOCOLLO ITACA MARCHE

Green Governance

Il Protocollo Itaca Marche sintetico è lo strumento tecnico per misurare il livello di prestazione energetica ed ambientale degli edifici in caso di demolizione con ricostruzione COME PREVISTO DALL’ARTICOLO 2 DELLA LEGGE REGIONALE N.22/2009. Il Protocollo contiene parametri prevalentemente energetici volti a contenere i consumi di carburanti climalteranti, ma anche attenzioni di carattere ambientale rivolte alla sostenibilità dei materiali da costruzione, al minor spreco di acqua, al comfort interno, alla disponibilità della documentazione riguardante l’edificio. La normativa energetica ha rappresentato un sicuro riferimento per il metodo di valutazione ed è il cuore e la parte preponderante del sistema. Gli scaglioni di punteggio prevedono un miglioramento delle prestazioni energetiche del17% rispetto a quanto previsto dalla legge. Tali scaglioni sono piuttosto contenuti se confrontati con quanto richiesto dalle altre regioni che vanno dal 50% al 20%. La valutazione avviene da parte dei progettisti e direttori dei lavori, la Regione esercita controlli a campione su progetti, cantieri e edifici realizzati. Tra le innumerevoli azioni possibili per ottenere buone prestazioni si ricorda: per quanto riguarda gli aspetti energetici, di fondamentale importanza è l’isolamento termico dell’intero involucro con particolare attenzione alla eliminazione dei ponti termici non solo in corrispondenza di travi e pilastri delle parti esterne, ma anche di soglie, architravi, attacco al suolo, attacco tra tetto e pareti verticali, solai in corrispondenza del terreno o di vani non climatizzati. A ciò si aggiunge lo studio per l’orientamento del corpo di fabbrica e delle relative aperture e il conseguente attento posizionamento dei vani interni. Altri guadagni termici possono avvenire con la predisposizione di serre solari apribili/smontabili per evitare surriscaldamenti estivi, ovvero con la realizzazione di pareti ventilate. Per contenere i consumi estivi è necessario che l’edificio abbia oltre ad un buon isolamento una considerevole massa in grado di smorzare la penetrazione del calore soprattutto nelle ore più calde della giornata; altre tecniche utilizzabili sono i tetti verdi con folta vegetazione; di particolare importanza sono le schermature e gli ombreggiamenti delle finestre a sud e ad ovest, adeguatamente calcolati per permettere comunque la penetrazione della luce nonché dei raggi solari nel periodo invernale. La disposizione delle finestre e di opportuni sistemi di ventilazione anche passiva è un altro fattore importante per garantire l’adeguata ventilazione. Dall’efficienza energetica, dal ricorso a sistemi geotermici, dall’uso di pannelli solari termici e fotovoltaici dipende il livello di riduzione della CO2 equivalente, in accordo con le politiche europee di contenimento dei gas serra. Per assicurare il benessere degli ambienti di vita oltre alla ventilazione è necessario ottenere una temperatura quasi costante in tutta la superficie dell’ambiente abitato attraverso impianti termici efficienti ed il corretto isolamento delle pareti. Ciò oltre ad evitare condense e muffe permette il benessere termico di chi utilizza gli spazi interni. Attraverso impianti elettrici a “stella” e la loro attenta progettazione come pure l’uso di disgiuntori elettrici è possibile contenere i campi elettromagnetici all’interno delle abitazioni. L’adeguata progettazione delle finestre o il ricorso ai camini di luce per gli ambienti centrali ovvero dei piani più bassi permette di utilizzare al meglio la luce naturale e quindi di garantire il comfort interno insieme con il contenimento dei consumi di elettricità. Anche i consumi domestici di acqua contribuiscono da un lato ad aumentare i consumi energetici dall’altro a sprecare un bene sempre più scarso. Si prevede quindi il ricorso ad accorgimenti di recupero delle acque e di istallazione di riduttori di flusso per contenere a quanto effettivamente necessario i consumi stessi. Infine è importante che sia disponibile per chi utilizzerà l’edifico tutta la documentazione tecnica in grado di descriverne i dettagli costruttivi, le particolarità,le stratigrafie, gli elementi strutturali, nonché il posizionamento e il dimensionamento degli impianti al fine del migliore utilizzo del fabbricato e di un più facile ricorso a future manutenzioni. L’obiettivo di fondo è nel migliorare la qualità ambientale degli edifici regionali per allinearne le prestazioni e soprattutto la vivibilità agli standard ormai consolidati in Europa centrale. Non da ultimo è il tema della necessità di aumentare la qualità dello sviluppo urbano anche a fini competitivi, in quanto si rendono più appetibili le città in grado di attrarre investimenti, lavoro, abitanti.

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Difesa del suolo

CARRABS: “PER LA REGIONE MARCHE È UNA PRIORITÀ INFRASTRUTTURALE” Assessorato Lavori Pubblici e Difesa del suolo

Le catastrofi naturali comportano ogni anno ingenti costi economici e sociali per il nostro Paese e forti disagi per le popolazioni che vengono colpite e rappresentano quindi un problema di eccezionale gravità. Il problema del dissesto idrogeologico è una delle questioni importanti con cui dobbiamo confrontarci con frequenza sempre maggiore all’indomani di un evento meteorico non particolarmente rilevante. Questo perché il territorio regionale è particolarmente fragile, a causa della conformazione geologica e geomorfologica ma anche per lo sviluppo insediativo e infrastrutturale che spesso non ha tenuto conto dei fattori fisici limitanti l’uso del territorio. “In particolare - sottolinea l’assessore regionale alla Difesa del Suolo Gianluca Carrabs - una serie di processi di trasformazione, avvenuti prevalentemente negli anni ’60-’70, nel settore agricolo e in quello produttivo hanno aumentato il rischio idrogeologico da frana nei territo-

ri collinari e montani e di alluvione delle aree di fondovalle. La conoscenza della vulnerabilità del territorio e del rischio idrogeologico, nell’ottica di una loro mitigazione, è fondamentale per qualsiasi programma di pianificazione territoriale e rappresenta una sfida importante per il nostro Paese che ha la necessità di adeguarsi agli standards europei”. L’Inventario dei Fenomeni Franosi, redatto dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, pone la Regione Marche al quarto posto tra quelle con il territorio a più alta instabilità. A livello regionale questa situazione è stata registrata in modo puntuale dal PAI, lo strumento di pianificazione del settore approvato dal Consiglio Regionale, e che oggi vede la Regione, attraverso l’Autorità di Bacino Regionale, gestire le situazioni di maggior rischio con il coinvolgimento dei diversi attori (Province, comuni e privati). “Il rapporto - chiarisce l’assessore - tra

la stima per far fronte alla riduzione del rischio idrogeologico, e quindi finanziare interventi di prevenzione, pari a circa 120 Ml di euro, e la disponibilità delle risorse stanziate dal Ministero dell’Ambiente è inferiore al 10%. Per la Regione Marche la manutenzione del Territorio è una priorità infrastrutturale, con pari dignità delle altre opere pubbliche, quali scuole, strade, aeroporti, ecc., inoltre sottolineo che nel settore della Difesa del Suolo investire risorse nella prevenzione significa risparmiare il 90% di quanto necessario per ripristinare le condizioni post-evento calamitoso”. “Sono convinto - conclude Carrabs della necessità di attivare risorse per realizzare un sistema di conoscenza, monitoraggio e allertamento utilizzando tecniche e tecnologie innovative a cui la Regione Marche guarda con attenzione consapevole dell’utilità che la previsione dei fenomeni è uno strumento di mitigazione del rischio idrogeologico”.

Emergenza frane l’Assessore lancia l’allarme e chiede sinergie con l’Emilia-Romagna CARRABS: “MARCHE, SIAMO LA QUARTA REGIONE A RISCHIO” Le MARCHE hanno un destino particolare:tanti tesori e altrettanta fragilità del territorio. Gianluca Carrabs, assessore regionale alla difesa del suolo, medita da tempo l’idea di costituire una Autorità di Bacino. “Con il collega Bruschini dell’Emilia-Romagna si è pensato di proporre al ministro Prestigiacomo una Autorità di Bacino per il medio Adriatico, con competenza dal Po al Tronto escluso. O, in subordine, dal Po a tutto l’Abruzzo, visto che abbiamo problemi e caratteristiche comuni”. Il dissesto è una emergenza per le Marche? “È una delle questioni con cui dobbiamo confrontarci con frequenza sempre maggiore all’indomani di un evento meteorico non particolarmente rilevante. Questo perché il territorio regionale è particolarmente fragile, a causa della conformazione geologica e geomorfologica ma anche per lo sviluppo insediativo e infrastrutturale che spesso non ha tenuto conto dei fattori fisici limitanti l’uso del territorio”. Tutta colpa dell’edilizia? “Ci sono stati processi di trasformazione negli anni ’60 e ’70 nel settore agricolo e in quello produttivo che hanno aumentato il rischio idrogeologico da frana nei territori collinari e montani e di alluvione nelle aree di fondovalle”. Un quadro preoccupante? “L’inventario dei fenomeni franosi, redatto dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, pone la Regione Marche al quarto posto tra quelle con il territorio a più alta instabilità. A livello regionale questa situazione è stata registrata in modo puntuale dal PAI, lo strumento di pianificazione del settore approvato dal Consiglio Regionale, e che oggi vede la Regione, attraverso l’Autorità di Bacino Regionale, gestire le situazioni di maggiore rischio con il coinvolgimento dei diversi attori(Province, Comuni e privati). Risorse per intervenire? “Il rapporto tra la stima per far fronte alla riduzione del rischio idrogeologico, e quindi finanziare interventi di prevenzione, pari a circa 120 milioni di euro, e la disponibilità delle risorse stanziate dal Ministero dell’Ambiente è inferiore al 10%. Per la Regione Marche la manutenzione del territorio è una priorità infrastrutturale, con pari dignità delle altre opere pubbliche, quali scuole, strade, aeroporti, ecc…. Ricordo che nella difesa del suolo investire risorse nella prevenzione significa risparmiare il 90 per cento di quanto necessario per ripristinare le condizioni postevento calamitoso”.

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Regione, Università, Comunità Montane e Geologi delle Marche in convegno ad Urbino per la prevenzione del rischio idrogeologico

TUTELA DELLE AREE MONTANE, LA REGIONE MARCHE LANCIA LA SFIDA A due anni dalla firma del Protocollo d’Intesa siglato con il Ministero dell’Ambiente, il bilancio degli interventi per la messa in sicurezza e il rilancio delle aree montane di Silvia Barchiesi

La sfida alla valorizzazione del territorio parte, infatti, proprio da Urbino, “una delle città più rapprensentative quanto alla tutela del territorio e del paesaggio - ha specificato nei saluti di apertura il Vice Sindaco di Urbino Lorenzo Tempesta che da sempre costituisce un vero e proprio biglietto da visita per tutta la Regione”. Eppure, nonostante il ricco patrimono culturale e naturale, la situazione del suolo nelle Marche non è affatto rosea. Al di là delle bellezze paesaggistiche, le aree interne della nostra Regione mostrano, infatti, molteplici elementi di criticità. Luci ed ombre compongono la complessa e variegata mappa “idrogeologica” della Regione che ne fotografa la fragilità e, a volte anche il degrado. Il rischio idrogeologico interessa il 70% dei Comuni italiani. Quelli marchigiani non fanno eccezione.

Green Governance

Difesa del suolo e valorizzazione delle aree montane: a due anni dalla firma del Protocollo d’Intesa fra il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e la Regione Marche, siglato nel settembre 2007, la Regione Marche abbozza un primo bilancio degli interventi di tutela, riqualificazione e valorizzazione ambientale delle aree montane ad oggi realizzati. L’occasione è stata il Convegno “Difesa del suolo e valorizzazione delle aree montane: prevenzione del rischio idrogeologico e cooperazione istituzionale per un territorio fragile”, organizzato dalla Regione Marche, con la collaborazione della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro, dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e dell’Ordine dei Geologi delle Marche, lo scorso 18 dicembre ad Urbino. La scelta della location non è stata casuale.

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Anzi, le Marche vantano il triste primato delle Regioni italiane a rischio con il 99% (243 su 246) dei Comuni “non in sicurezza”. Il dato emerge dal Rapporto Ecosistema Rischio 2009, l’indagine di Legambiente e del Dipartimento della Protezione Civile, presentato il 9 dicembre 2009. “L’indice della franosità - ha sottolineato nel corso del Convegno di Urbino Enrico Gennari, Presidente Ordine dei Geologi delle Marche - arriva al 25% su tutto il territorio regionale raggiungendo i massimi valori in corrispondenza delle fasce montane e collinari, dove i dissesti presentano, in gran parte, connotazioni di rischio più elevato con danni ingenti al patrimonio architettonico e ambientale, fino a gravi rischi per l’incolumità delle persone”. Lo spopolamento è dietro l’angolo; dall’abbandono al degrado, poi, il passo è breve. “I territori montani - ha proseguito Gabriele Giovannini, già Presidente della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro - vivono una fase molto critica. Le popolazioni delle aree interne, che per anni con i loro sacrifici hanno saputo preservarne l’integrità, devono diventare protagoniste dello sviluppo, occorre offrire loro condizioni di vita dignitose, permettergli di partecipare alle scelte; devono essere messe in grado di ricavare reddito in quegli stessi territori che, purtroppo, salgono alla ribalta solo quando avvengono grandi disastri. Per questo ringraziamo di cuore la Regione Marche ed in particolare l’Assessore Carrabs che ha consentito a questa Comunità Montana di collaborare su un tema così strategico e di grande attualità. Dobbiamo dare agli

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abitanti la possibilità di vivere e presidiare il territorio. Di qui la necessità di una sua manutenzione che ne consenta la messa in suicurezza”. Promuovere l’occupazione attraverso la costante manutenzione del territorio, contribuendo alla prevenzione del rischio idrogeologico e del pericolo incendi boschivi è, infatti, fra le priorità dell’intesa sottoscritta fra il Ministero dell’Ambiente e la Regione Marche nel settembre 2007 per l’attuazione di un programma di interventi connessi alla tutela, riqualificazione e valorizzazione ambientale di alcuni assi vallivi del sistema territoriale montano. “Attraverso l’intesa - ha spiegato l’Assessore regionale alla Difesa del Suolo, Territori Montani e Politiche per la Montagna, Gianluca Carrabs - è stato finanziato un programma d’interventi e lavori, pari a 6 milioni di euro, con l’obiettivo prioritario di promuovere l’occupazione e valide opportunità di sviluppo per le imprese, attraverso la costante manutenzione del territorio, prevenendone così il rischio idrogeologico e gli incendi boschivi. Tutelare e valorizzare la montagna significa conservare il territorio ed il paesaggio anche come condizione per sviluppare tutte quelle attività legate all’ecoturismo, al turismo rurale e alla valorizzazione delle tipicità locali”. Parte di una più ampia strategia di rilancio economico e sociale delle aree montane della Regione, il Protocollo che prevede la realizzazione di opere di prevenzione del rischio iderogeologico e di riqualificazione del territorio tramite tecniche a basso impatto ambientale tipiche dell’ingegneria naturalistica, è solo una delle misure messe in campo dalla


“Oggi i geologi - ha precisato Gennari – lavorano sempre di più nell’ambito della sfera dell’emergenza. Le calamità naturali ormai non possono essere più considerate eventi eccezionali; sono all’ordine del giorno e sempre più spesso sono dovute alla mala gestione di un territorio, quello italiano, molto fragile che richiede tutela e attenzione. Più che lavorare ai limiti dell’emergenza diventa quindi necessario lavorare di più in un’ottica di prevenzione e tutela”. Sulla stessa linea ha proseguito anche Gabriele Giovannini, già Presidente della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro: “Dobbiamo smettere di pensare che è possibile costruire case e infrastrutture in qualsiasi luogo. Occorre piuttosto sviluppare una strategia integrata di interventi pianificati nel rispetto del territorio e delle sue caratteristiche”. Prevenzione, sicurezza e tutela del territorio sono infatti le parole d’ordine per una corretta gestione del territorio. Ne è fermamente convinto anche l’Assessore Carrabs: “Strumenti normativi come il PEAR (Piano Energetico Ambientale Regionale) o il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) che fissano dei vincoli e delle limitazioni sono scelte difficili sul piano politico, ma coraggiose e responsabili - ha commentato l’Assessore Carrabs in chiusura del Convegno - C’è infatti una cultura della mediocrità che considera il vincolo come un freno e non come una forma di tutela del territorio. Il Protocollo d’Intesa siglato due anni fa con il Ministero è un nuovo strumento per la messa in sicurezza del territorio, obiettivo importante al pari della costruzione di grandi opere pubbliche. Dobbiamo investire su una green economy anche nella gestione delle risorse delle realtà montane. L’obiettivo, oltre alla tutela del territorio è l’antropizzazione e il rilancio economico di queste aree. Per il raggiungimento di questo obiettivo sono stati stanzianti quasi 9 milioni di euro”. “L’Accordo di Programma Quadro - ha concluso l’Assessore Carrabs - rappresenta quindi la prova generale e concreta, di una modalità innovativa di intervento sul territorio ed il Progetto Appennino, così come approvato nelle sue linee di impostazione, lo strumento, subito a disposizione del nuovo Governo che si insedierà dopo le elezioni per aprire nelle Marche il cantiere di quella che consideriamo la più urgente opera pubblica: il riassetto idrogeologico e la manutenzione del nostro territorio”. Dall’analisi puntuale del territorio e delle sue criticità alla presentazione degli strumenti e delle strategie per la sua messa in sicurezza, il Convegno è stato anche l’occasione per lanciare la prossima sfida: l’avvio di un’azione di coordinamento e collaborazione fra Enti (Regione, Comunità montane, Comuni, Centri per l’impiego e cooperative forestali) per la tutela e la valorizzazione delle aree montane.

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Green Governance

giunta regionale in attuazione degli impegni assunti con la firma della Carta di Fonte Avellana, documento strategico per lo sviluppo dei territori montani, sottoscritto il 18 maggio 1996. Fra queste misure, non si può non citare il “Progetto Appennino” che prevede un programma di interventi volti a tutelare e valorizzare le potenzialità turistiche ed ecologiche-ambientali della montagna e che trova coronamento nella legge finanziaria approvata lo scorso dicembre dall’Assemblea legislativa regionale. “Dare continuità alle attività in essere, favorendo nel contempo la creazione di nuovi posti di lavoro”: è questo il duplice obiettivo del “Progetto Appenino” che guarda alla montagna come ad un’occasione di sviluppo ed occupazione. Oltre ad incentivare l’occupazione stabile delle maestranze che già lavorano nel settore, allo scopo di garantire il presidio del territorio e la residenza nelle aree montanee, il Progetto non manca di individuare una serie di interventi organici nel campo della difesa del suolo, della sitemazione idraulico forestale, della gestione del demanio forestale e della selvicoltura, in grado di offrire nuovi posti di lavoro. In quest’ottica, il Progetto fa da corollario alla carta di Fonte Avellana secondo cui “la diversità culturale e ambientale dell’Appennino… è una risorsa, … le attività tipiche della montagna … rappresentano un patrimonio professionale autoctono da valorizzare e arricchire… esiste una stretta connessione tra tutela, residenza e settore primario”. É in questo quadro di politiche attive per la montagna che si inserisce l’Accordo quadro sottoscritto tra Regione e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che prevede “una serie di interventi connessi alla tutela, riqualificazione e valorizzazione ambientale di alcuni assi vallivi del sistema territoriale montano della Regione Marche”. “Abbiamo fortemente voluto questo Protocollo d’Intesa come garanzia dello svolgimento dei lavori in montagna – ha commentato lo stesso Assessore alla Difesa del Suolo, Territori Montani e Politiche per la Montagna della Regione Marche, Gianluca Carrabs. “Per garantire l’uniformità di gestione del territorio – ha proseguito Carrabs - ci siamo avvalsi del contributo delle Comunità Montane, troppo spesso sottovalutate, che hanno invece ricoperto un ruolo decisivo nell’attuazione di tale Accordo. Non ci possono, infatti, essere territori di serie A e territori di serie B”. A sottolineare la necessità di un equilibrio tra zone montane e zone costiere è stato anche il Prof. Riccardo Santolini dell’ Istituto di Scienze Morfologiche, Sez. Ecologia dell’Università di Urbino, mentre il Dott. Enrico Gennari, Presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche ha ribadito la necessità della prevenzione nella gestione del territorio contro l’emergenza.


Contenimento del rischio idrogeologico

E ORA, L’APPENNINO MARCHIGIANO!

Attivato un Accordo con il MATTM per il recupero e il mantenimento delle condizioni di equilibrio dinamico dei sistemi naturali Assessorato Lavori Pubblici e Difesa del suolo

L’assessorato Difesa del suolo, della Costa e dei LL.PP. della regione Marche ha promosso e attivato un Accordo con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per realizzare un programma d’interventi che ha come obiettivo “il recupero e il mantenimento delle condizioni di equilibrio dinamico dei sistemi naturali” in modo da controllare l’evoluzione del territorio per prevenire o limitare al massimo il rischio idraulico e idrogeologico. Una caratteristica dell’Accordo di Programma è quella di realizzare opere nelle aree interne dei bacini idrografici, in un ambito geografico particolarmente ricco di valori ambientali e culturali da tutelare e valorizzare. Infatti il programma vuole tutelare la biodiversità all’interno di un’economia

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basata sul presidio antropico legato alle attività agro-forestali e ambientali, con rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e sistemazioni idraulico-forestali realizzate con tecniche di ingegneria naturalistica, da collocare in aree protette, siti d’importanza comunitari (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) nel territorio montano. Pertanto gli interventi previsti insistono in aree dove la biodiversità è maggiore e i benefici dell’intervento si estendono a valle in termini di regimazione, di prevenzione o riduzione del rischio idraulico e idrogeologico e di miglioramento della qualità ambientale. Le tecniche di intervento che saranno utilizzate prevedono l’impiego di materiale naturale per le opere di difesa degli argini e la ricostruzione della

vegetazione di ripa, in modo tale da realizzare un ecosistema che contribuisce all’assorbimento di CO2. Questi interventi danno attuazione a nuovi strumenti politici e amministrativi di gestione sostenibile del territorio marchigiano secondo i principi della concertazione e della sussidiarietà, finalizzando le risorse finanziarie verso interventi predefiniti e compresi in un sistema di pianificazione e di priorità. L’intesa firmata tra il Ministero dell’Ambiente e la Regione Marche vuole contribuire proprio a promuovere occupazione attraverso la creazione di opportunità legate alla manutenzione costante del territorio, che significa indirettamente prevenzione del rischio idrogeologico, salvaguardia e valorizzazione dei caratteri ambientali e


L.R. 31/09 - Art. 26(Progetto Appennino) 1. In attuazione degli impegni assunti dalla Regione con la firma della Carta di Fonte Avellana, al fine di valorizzare e sviluppare gli interventi per la montagna e le forme organizzate di lavoro forestale e di dare continuità alle attività in essere, favorendo nel contempo la creazione di nuovi posti di lavoro, attraverso la valorizzazione delle potenzialità turistiche ed ecologico-ambientali nel quadro di una politica attiva dell’ambiente, viene avviato il “Progetto Appennino: la Montagna come occasione di sviluppo ed occupazione”. 2. Il progetto costituisce un programma di interventi nell’appennino marchigiano con il coinvolgimento delle Comunità montane, dei Comuni, dei Centri per l’impiego, l’orientamento e la formazione e delle Cooperative forestali, con i seguenti obiettivi specifici: a) dare continuità nel tempo e nel territorio alle attività di manutenzione, recupero, salvaguardia, miglioramento, valorizzazione e messa in sicurezza del patrimonio forestale e naturale, e più in generale dell’ambiente e del territorio, attraverso un’occupazione stabile delle maestranze che già lavorano nel settore allo scopo di garantire anche il presidio del territorio e la residenza nelle aree rurali e montane; b) far fronte all’emergenza occupazionale provocata dalla crisi economica e dalla fragilità dei sistemi economico-sociali montani, individuando interventi organici, in conformità con gli indirizzi programmatici della Regione e del piano forestale, che siano in grado di offrire garanzie lavorative agli iscritti nelle liste di mobilità da reimpiegare, nel campo della difesa del suolo, della sistemazione idraulico-forestale, del verde pubblico, della gestione del demanio forestale e della selvicoltura.

Green Governance

3. Gli interventi di cui al comma 2 sono articolati in due fasi: a) interventi già previsti e finanziati dal Piano di sviluppo rurale 2007/2013, dal Protocollo d’Intesa per la difesa del suolo sottoscritto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in data 5 settembre 2007, dal FAS 2007/2013 (Fondo per le aree sottoutilizzate), dal bilancio di previsione 2009 della Regione; b) nuovi interventi attuabili a medio termine che richiedono un’elaborazione progettuale e potranno essere avviati, una volta individuate le risorse necessarie. 4. Gli interventi del progetto indicati al comma 3, lettera b), sono diretti prioritariamente: a) al recupero e alla valorizzazione del patrimonio forestale pubblico e privato e di aree di particolare interesse ambientale; b) alla tutela e conservazione attiva dei territori ad alto valore ecologico; c) al ripristino ambientale di aree pertinenti a fiumi, torrenti, laghi e alla realizzazione di interventi di ingegneria naturalistica e di sgombero degli alvei volti alla prevenzione di dissesti locali e di alluvioni; d) alla bonifica e risanamento di aree dissestate, cave dismesse e discariche abbandonate; e) alla realizzazione, ripristino e manutenzione di aree ricreative, di sentieri turistici, di aree di sosta, e più in generale allo sviluppo delle infrastrutture turistiche a basso impatto ambientale; f) alla manutenzione tramite attività di recupero ambientale di aree circostanti i centri abitati al fine di prevenire eventi calamitosi; g) all’arredo a verde di aree residuali quali scarpate, svincoli stradali, aree di raccolta di rifiuti solidi urbani e depuratori, comprese le mascherature di insediamenti industriali e artigianali; h) alla conservazione dei beni rientranti nel patrimonio ambientale, artistico, storico e culturale; i) all’animazione culturale in tema ambientale e idraulico-forestale, da realizzarsi in particolare tramite l’informazione ed il supporto alle attività didattiche nella scuola, nonché all’attivazione di iniziative seminariali di studio e di divulgazione. 5. La struttura organizzativa regionale competente in materia di istruzione, formazione e lavoro svolge tutte le funzioni inerenti il coordinamento e l’organizzazione del progetto relativamente agli interventi previsti al comma 3, lettera b), con il coinvolgimento dei soggetti di cui al comma 2 e avvalendosi delle professionalità presenti nelle strutture organizzative regionali competenti in materia di ambiente e paesaggio, foreste ed irrigazione, riordino territoriale e comunità montane, difesa del suolo, turismo e cooperazione. 6. L’esecuzione degli interventi avverrà anche mediante affidamento a favore di Cooperative forestali, ai sensi della normativa vigente. 7. La Giunta Regionale, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, individua le fonti di finanziamento per gli interventi di cui al comma 3, lettera b), ed approva il relativo progetto esecutivo.

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naturalistici e del pericolo di incendi boschivi. Le aree dell’appennino marchigiano sono ambiti territoriali particolarmente delicati e ricchi di caratteri naturalistici e paesaggistici di elevata qualità riconosciute (presenza di aree protette, siti d’importanza comunitari e zone di protezione speciale); queste zone sono inoltre da tutelare in quanto sede di importanti serbatoi di risorse idriche che alimentano il sistema idrogeologico montano e vallivo e garantiscono l’approviggionamento di acqua potabile, di buona qualità, di gran parte dei centri urbani costieri e vallivi. È evidente quindi che tutelare e valorizzare la montagna significa promuovere la conservazione della naturalità attraverso lo sviluppo di

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attività socio-economiche compatibili come l’ecoturismo, la produzione di prodotti tipici e di qualità legate al territorio e all’ambiente silvo-pastorale e forestale. L’Accordo di Programma prevede il finanziamento di n. 20 interventi (6 nella provincia di Pesaro e Urbino, 4 nella Provincia di Ancona, 5 in provincia di Macerata e 5 nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo) per un importo complessivo di € 5.000.000,00. La tipologia principale degli interventi è la messa in sicurezza delle sponde dei corsi d’acqua e dei versanti e la rinaturalizzazione di aree percorse dagli incendi. A seguito delle attività svolte dall’assessorato in collaborazione con le Comunità Montane e le Cooperative

agroforestali, l’Assemblea Legislativa ha approvato un articolo nella legge regionale n. 31/09 per cui è prevista la realizzazione del Progetto Appennino. Questo progetto, in linea con i principi della Carta di Fonte Avellana, prevede la valorizzazione e lo sviluppo di interventi per la montagna e le forme organizzate di lavoro forestale dando continuità alle attività già in essere favorendo nel contempo la creazione di nuova occupazione attraverso l’incremento delle potenzialità turistiche ed ecologico - ambientale; in altre parole, per concludere, il Progetto Appennino è quindi occasione di tutela, sviluppo ed occupazione della Montagna.


Dissesto idrogeologico

NUOVE STRADE PER LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO Ripristinato un tratto di strada comunale in località Casale (PU) Grande soddisfazione ha espresso oggi l’assessore regionale alla Difesa del suolo, Gianluca Carrabs, durante l’inaugurazione del tratto di strada comunale in località Casale, nel Comune di Cantiano ripristinato e riaperto alla viabilità dopo che la stessa era stata interessata da una frana lo scorso anno. Con lui presenti anche il Sindaco Martino Panico. “Il dissesto - ha sottolineato Carrabs - ha rappresentato un serio pericolo per la pubblica incolumità e per la viabilità tanto che la Regione Marche, insieme all’Amministrazione comunale di Cantiano, è intervenuta immediatamente per la messa in sicurezza di questa porzione di territorio. I lavori - continua l’assessore - sono stati realizzati utilizzando le tecniche di ingegneria naturalistica particolarmente adatte a questi luoghi montani poiché, a parità di efficacia, hanno un basso impatto ambientale e garantiscono quindi la conservazione di questo territorio di elevato pregio naturalistico”. Un intervento quindi che ha dato risposte concrete e coerenti con le caratteristiche del territorio e le tradizioni locali. “L’intervento nel Comune di Cantiano – ha evidenziato Carrabs - è in linea con le politiche di Difesa del Suolo della Regione Marche che perseguono l’obiettivo della messa in sicurezza con azioni di miglioramento delle condizioni del territorio e il mantenimento del presidio antropico creando

opportunità economiche ai residenti attraverso la valorizzazione delle risorse. Questo indirizzo programmatico è finalizzato alla prevenzione e mitigazione del dissesto idrogeologico che è accentuato in relazione ai mutamenti climatici che nella nostra Regione si manifesta con piogge meno frequenti ma di maggiore intensità”. Per la realizzazione dei lavori la Regione Marche ha stanziato un importo di € 200.000, l’esecuzione è stata appaltata al Consorzio Marche Verdi e svolti dalle cooperative CFC e Arbor. Nello specifico il progetto di ripristino della strada è avvenuto a seguito di approfonditi studi ambientali dell’area d’intervento. In particolare, l’Ufficio Tecnico comunale, con il supporto della società di professionisti PRO.MO.TER. di Fabriano, ha provveduto alla progettazione delle opere di ingegneria naturalistica, con la posa in opera di staccionate, gabbionate rinverdite e palizzate in legname. Inoltre, si è provveduto alla stesura di biostuoie e all’idrosemina di idonee specie erbacee, arbustive e autoctone. Il progetto ha previsto anche un’adeguata regimazione delle acque attraverso la realizzazione delle canalette di scolo in legname e pietrame, la ripulitura delle cunette laterali, la posa in opera di tubi drenanti e il nuovo rifacimento di vari tratti di massicciata stradale.

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Green Governance

Assessorato Lavori Pubblici e Difesa del suolo


Difesa del Suolo

RISCHIO IDROGEOLOGICO: TRAGUARDI E OBIETTIVI DELLA REGIONE MARCHE La mappa del rischio e l’elenco degli interventi necessari nell’intervista al Geol. Mario Smargiasso, Dirigente P.F. Difesa del Suolo della Regione Marche di Silvia Barchiesi

L’Italia è un Paese dove il rischio di frane ed alluvioni è particolarmente elevato e costituisce, pertanto, un vero e proprio problema. Secondo il Rapporto Ecosistema Rischio 2009, l’indagine sul rischio idrogeologico e idraulico in Italia, condotta da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile, il 70% dei Comuni Italiani è a rischio. Nelle Marche questa percentuale arriva addirittura al 99%. Perchè è così fragile il territorio regionale? Lo abbiamo chiesto al Geol. Mario Smargiasso, Dirigente P.F. Difesa del Suolo della Regione Marche. Dott. Smargiasso, qual è la mappa del rischio idrogeologico e idraulico marchigiano? Quali sono le zone più a rischio individuate dal Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI)? Purtroppo le Marche sono interessate da una diffusa fragilità che taglia, sia per il problema delle frane, che per il problema dei fiumi, tutte le parti fisiche del territorio: quello costiero, quello collinare e quello montano, da nord a sud. Abbiamo un numero sterminato di frane censite dal Piano stralcio di Assetto Idrogeologico (PAI). Molte altre minori non sono censite da questo strumento ufficiale, eppure esistono. Parliamo, in particolare, di frane minori o di frane non conosciute abbastanza per essere individuate. In sintesi, il problema riguarda almeno 20.000 aree censite dal PAI. Oltre a queste, ci sono le frane della zona che ora fa parte dell’Emilia Romagna, localizzate nei Comuni che hanno scelto di abbandonare la Regione Marche. Si tratta quindi di cifre importanti. L’estensione totale delle aree in dissesto si aggira, infatti, intorno al 17-18% dell’intero territorio. Inoltre, la gravità di alcuni di questi fenomeni è particolarmente importante, sia sulla costa, che sulla parte collinare, che su quella montana. Sempre di più oggi si lavora sulla spinta dell’emergenza.

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Quanto è importante invece puntare sulla prevenzione e sulle attività di previsione e di panificazione? Ovviamente la prevenzione è basilare. Sebbene la prevenzione sia fondamentale, è comunque molto costosa. Fare prevenzione su un territorio così diffusamente interessato dal dissesto richiede, infatti, investimenti ingenti. Inoltre, la probabilità che questi dissesti si muovano è imprecisabile. Non siamo in grado di prevedere quando in occasione di eventi pluviometrici intensi, quale di queste aree a rischio sarà interessata dal dissesto. Per questo motivo è impensabile fare una prevenzione al 100%. La scelta più agevole per il decisore politico è quindi quella che punta all’intervento post-evento. È vero che la prevenzione costa un decimo dell’intervento. È pur vero che l’evento si verifica su un caso, mentre la prevenzione andrebbe fatta su una miriade di casi. Nella comparazione tra costi e benefici, nessun decisore politico opta per il 100% della prevenzione. Il problema vero è semmai legato alla manutenzione del territorio, un argomento molto più difficile da gestire, ma molto più semplice da intuire. Abbiamo una gran quantità di problemi, soprattutto sui corsi d’acqua, che rischiano la gravità. Eppure, per prevenirli avremmo bisogno di pochi investimenti. Il problema è che questo “poco” è in gran parte affidato dalle leggi ai privati o ad altri enti, per cui il sistema regionale non ha il controllo totale degli interventi sul territorio. Un importante traguardo, per quanto riguarda la prevenzione, è stato raggiunto con il Protocollo d’Intesa siglato nel 2007 tra Regione Marche e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Che cosa prevede l’accordo quadro e soprattutto quanti fondi sono stati stanziati per la messa in sicurezza del nostro territorio? Questo Protocollo è uno strumento di prevenzione che ha diversi caratteri di innovatività. Innanzitutto, prevede la realizzazione di interventi in zone a rischio instabilità o alluvionamento, prima dell’avvento di eventi, la cui ricorrenza è attesa in un arco di tempo limitato. Si tratta di tanti pccoli interventi, ma diffusi. Parliamo di 20 interventi per i quail sono stati stanziati 5 milioni di euro. Con la stessa somma, per anni, sono stati finanziati solo 4 interventi. L’area interessata da questi interventi è quella montana, ovvero quella tradizionalmente lasciata un po’ più indietro dal circuito di finanzimenti e dal circuito di gestione, sia perchè la montagna si sta spopolando, sia per via della difficoltà di trovare un valore economico aggiunto alle attività ordinarie tipiche della montagna.


Tra l’altro, questo è anche uno dei motivi per cui nella Legge finanziaria della Regione è stato inserito proprio un articolo che stabilisce una sorta di Protocollo per la montagna, in cui la Regione dichiara il proprio interesse a prendersi cura di una zona che non ha dei vantaggi intrinseci. La montagna non è come la costa, dove le dinamiche socioeconomiche sono autonome. La montagna ha bisogno di essere “sostenuta” dal punto di vista economico e sociale. Allo stesso tempo c’è l’idea che la montagna racchiuda in sè i valori premianti di questa Regione, perché conservata in maniera quasi ottimale e priva di scempi sostanziali. Inoltre, dal punto di vista paesaggistico, la montagna è una realtà bella che va valorizzata attraveso il consolidamento della fisicità. Questo è l’obiettivo principale del Protocollo. Quanto è importante la cooperazione istituzionale nell’adottare strategie a difesa del territorio? Il Protocollo è una chiara dimostrazione dell’intento di lavorare in sinergia tra enti e si propone come un chiaro strumento di cooperazione istituzionale. In un momento in cui sono percepite come un peso che la legge stessa vuole cancellare, le Comunità montane, grazie al Protocollo, riacquistano una rilevanza concreta ed operativa legata alla presentazione e alla realizzazione degli interventi. La sinergia prevista dal Protocollo coinvolge quindi la Regione, le Comunità montane e il Ministero, il quale finanzia il 60%-70% di tutto l’importo in un momento in cui lo stesso Ministero sta cercando di mettere a regime, in maniera pioneristica, il sistema degli accordi.

Nell’ultima riunione svoltasi a Roma, il Capo di Gabinetto del Ministro ha affermato, infatti, di non voler lavorare più attraverso un sistema di finaziamenti a pioggia, ma di voler procedere solamente attraverso accordi che prevedano un sistema di attuazione e controllo per gli enti che assumono impegni, in modo da evitare la più grande “patologia” di questo settore, ovvero lo stanziamento di denaro che poi non viene speso. Drammatica e significativa è proprio l’esperienza di Messina, dove il caso di dissesto che si è verificato qualche anno fa era stato finanziato con parecchie risorse. Eppure, fino a quest’ultimo evento di ottobre nessun finanziamento era stato utilizzato. Questa è una procedura abbastanza frequente in tutto il Paese. Il sistema di attuazione legato al sistema di controllo ha dunque lo scopo di verificare l’efficacia dei finanziamenti, sia in termini di spesa che in termini di qualità dei lavori. È questo lo spirito che trapela dagli articoli del Protocollo. Lo stesso Protocollo, infatti, prevede l’istituzione di un Comitato di coordinamento e di un Comitato di controllo. Ciò rende tutto molto farraginoso, ma allo stesso tempo è garanzia di efficienza e di efficiacia degli interventi. Tra le zone più fragili del nostro territorio ci sono quelle montane. Nella strada che punta alla messa in sicurezza delle aree montane cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare? Di recente è stata modificata una legge regionale del 1997, la cosiddetta “Legge sulla montagna”. Con l’ultima legge, quella del 2008, la Regione ha riconfermato gli obiettivi specifici

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delle attività tecniche da svolgersi nelle aree montane. Tra queste ci sono interventi minori di selvicoltura, limitati revisionamenti idrogeologici e di piccoli consolidamenti di sponda. Insomma, un controllo diffuso del territorio. La Regione si è mossa in questa direzione per anni, fin dal 1997, istituendo delle voci di spesa di natura regionale. Non si trattava quindi di fondi statali, ma di fondi regionali destinati ad interventi per la montagna e gestiti attraverso un sistema di ripartizione alle Comunità montane, le quali gestivano autonomamente come allocare quelle risorse. La destinazione effettiva di queste risorse non ha però raggiunto il 100% degli obiettivi della Legge, in quanto sono state fatte, in alcuni casi, opere, sempre utili ai fini della tutela e della valorizzazione della montagna, ma non sempre connesse alla problematica idrogeologica. Attraverso il sistema previsto dal Protocollo si intende anche perfezionare le modalità di spesa delle risorse stanziate, cambiando leggermente il tiro delle destinazioni da parte della Regione. Sostanzialmente la gestione delle risorse rimane in capo alle Comunità montane, ma i progetti richiesti dalle Comunità montane dovranno attenersi ai principi di questo Protocollo, il cui obiettivo è di ottenere una migliore qualità della spesa. Rimane l’incognita dell’entità delle risorse perché il territorio montano regionale è molto esteso. Su 10 mila chilometri quadrati dell’intero territorio, 3- 4 sono di carattere montano. Nella morfologia del territorio marchigiano ognuna delle valli trasversali costituisce un’entità importante su cui dover operare con interventi, soprattutto nel settore idrogeologico e in quello infrastrutturale. Poi ci sono obiettivi più difficilmente raggiungibili, come quelli connessi alla reale ed ordinaria presenza dell’uomo nelle aree montane. Dunque, una serie di strumenti di programmazione regionale trattano le aree montane come entità da tutelare e valorizzare, occorre però rendere economicamente appetibile l’occupazione del territorio montano. È qui che si inserisce il “Progetto Appennino” che guarda alla montagna come ad un’occasione di sviluppo ed occupazione ? Esattamente. L’obiettivo del Progetto è proprio la valorizzazione di tutte le potenzialità della montagna. Lo scopo è quello di collegare le valenze ambientali - ecologiche a quelle economiche in vista del rilancio del territorio. Penso a tutte quelle iniziative economiche da sviluppare in maniera parallela all’attività di consolidamento fisico. Il Progetto non solo mira ad incentivare l’occupazione stabile delle maestranze che già lavorano nel settore per garantire il presidio del territorio, ma punta ad individuare anche una serie di interventi organici nel campo della difesa del suolo, della sitemazione idraulico forestale, della gestione del demanio forestale e della selvicoltura, che possano offrire nuovi posti di lavoro. Se la montagna necessità di tutela, lo stesso vale per i corsi d’acqua. Che cosa è stato fatto e cosa rimane ancora da fare per la loro messa in sicurezza? I corsi d’acqua sono un elemento fondamentale della superficie terrestre. Sono forme fisiche in genere accompagnate

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da piccole pianure su cui sono insediati i centri maggiori. Penso ad esempio Fabriano o Cagli. I fiumi sono elementi centrali nella diffusione della presenza umana e poi sono anche l’asse di collegamento della parte montana e il mare. Svolgono quindi la funzione di “trattore”. Dobbiamo infatti pensare al territorio come ad un unicum. La stessa erosione costiera, al di là di fattori esterni, dipende dall’alterazione delle modalità di trasporto di quello che viene eroso nella parte montana. Di qui il verficarsi di questi arretramenti che costringono ad interventi molto costosi, tuttavia necessari, perchè la costa è volano dello sviluppo regionale. Da uno studio fatto per il piano della costa qualche anno fa risulta, infatti, che l’indotto annuo dell’area costiera supera un miliardo di euro. É questa la cifra che la nostra regione trae dal turismo e dalle attività che si sviluppano sulla linea della costa. Nella bilancia degli interessi tra la montagna e la costa soccombe quindi la montagna, anche se, ovviamente, tra montagna e costa ci deve essere una connessione equilibrata nelle politiche di intervento. I corsi d’acqua sono, poi, anche un elemento di rischio. Tutte le volte che costruiamo a fianco di un corso d’acqua, è necessario garantirne la sicurezza. Questo apre ad un dibattito di tipo filosofico sulle politiche del territorio. Se all’origine i fiumi dovevano seguire il loro corso, anche in occasione di eventi particolari, oggi non possono più farlo perchè ci sono altri interessi da tutelare. Questo vale per i piccoli borghi, ma anche per le infrastrutture lineari che hanno bisogno di pianure, le quail sono a loro volta attraversate dai fiumi. Se ci si construiscono le strade, bisogna anche difenderle. Se si difendono le strade facendono interventi di irrigidimento dei fiumi si altera l’equilibrio esistente, aprendo un dibattito tra sensibilità diverse: tra chi vuole infrastrutture dappertutto e chi invece opta per la tutela dell’ambiente. Il Rapporto Ecosistema Rischio 2009 individua nell’eccessiva urbanizzazione, nella cementificazione sregolata e nell’abusivismo le principali cause del rischio idrogeologico italiano. Quanto questi fenomeni interessano anche la nostra Regione? Dall’analisi della gestione delle pratiche di condono possiamo notare che l’entità della abuso da sanare nelle Marche non è dirompente come quella di altre regioni, come la Sicilia, dove lungo la costa si sono costruiti interi paesi abusivi. Nelle Marche l’abuso riguarda la veranda o il garage di casa. A mio avviso, nelle Marche c’è sostanzialmente un buon livello di civiltà. Anche gli imprenditori non sono “aggressivi” come in altre parti d’Italia. Abusivismo a parte, è tuttavia vero che il rischio idrologico è legato ad una urbanizzazione sbagliata, ma non illegittima. Sebbene inadeguata, la Legge urbanistica n. 1150 del 1942 è stata sempre rispettata. Abbiamo costruito sempre secondo le norme. Solo oggi ci accorgiamo della loro inadeguatezza.


Partecipazione ad ECOMONDO 2009

GESTIONE INTEGRATA DEL MARE UNA SOLUZIONE ECOCOMPATIBILE AL DRAGAGGIO DEI PORTI Il dragaggio dei porti è problema da risolvere e allo stesso un’opportunità da cogliere. La Regione Marche insegna e fa da modello. Con i lavori di dragaggio del porto di Senigallia e il conseguente deposito di 30 mila metri cubi di materiale nella cassa di colmata realizzata a San Benedetto del Tronto, le Marche lanciano un esempio virtuoso di un’azione politicoamministrativa pioneristica e innovativa per il dragaggio e per la gestione del sedimento marino. “Fino a 17 mesi la Regione Marche non conosceva la soluzione tecnica al problema del dragaggio dei porti, oggi invece, un porto marchigiano, quello di Senigallia, è stato completamente messo in sicurezza e stiamo già lavorando per risolvere l’emergenza di Fano. Abbiamo messo in campo una nuova pratica amministrativa di cui siamo stati pioneri”. Così l’Assessore Regionale ai Lavori Pubblici, Edilizia e Difesa della Costa, Gianluca Carrabs commenta l’intervento messo in campo dall’amministrazione regionale per risolvere il problema del dragaggio dei porti marchigiani. L’occasione è il Convegno promosso dall’Assessorato alla Difesa della Costa della Regione Marche, svoltosi lo scorso 28 ottobre all’interno della 13a edizione di ECOMONDO, dal titolo“Gestione integrata del mare. Una soluzione ecocompatibile al dragaggio dei porti”. Le Marche, pioniere di una nuova strategia in materia di dragaggio e forti di una vincente sinergia istituzionale, fanno scuola alle altre regioni: bisogna valorizzare il sedimento marino come risorsa, promuovendone il riutilizzo. È questo il nocciolo della “lezione marchigiana” e il cuore del “modello marchigiano” in tema di dragaggi. Quale destino allora per i sedimenti? Spesso nell’immaginario collettivo il mare viene identificato come la ricollocazione più “naturale” dei sedimenti che insabbiano i nostri porti, ma l’in-

compatibilità ambientale del “buttare a mare” materiali altamente inquinanti come i fanghi induce necessariamente ad orientarsi verso altre soluzioni. La stessa necessità di ottimizzare le risorse e razionalizzare i costi spinge a rifuggire la “soluzione-discarica”, perché troppo impegnativa, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico e finanziario. La soluzione strategica lanciata dalla Regione Marche punta oltre alla discarica, spingendo al riutilizzo del sedimento per sfociare verso le cosiddette “casse di colmata”. “Due sono gli obiettivi strategici congiunti che il riutilizzo dei fanghi consente di ottenere - ha precisato L’Assessore regionale Carrabs - Il primo è quello di stoccare il sedimento dragato dal porto, il secondo è quello di realizzare una infrastruttura per scopi portuali. Una soluzione del genere permette di risolvere due problemi allo stesso tempo. In questo modo, infatti, troviamo una collocazione per il sedimento e ci dotiamo di un’infrastruttura portuale aggiuntiva”. Al vantaggio strategico della soluzione sperimentata dalla Regione Marche, si abbina anche la forte sinergia istituzionale che ne ha consentito la realizzazione. “Il successo del dragaggio realizzato è il risultato di una forte collaborazione tra

tutti i soggetti interessati: Comuni sede di porto, Regione Marche, Provveditorato alle Opere Pubbliche e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - ha tenuto a precisare Carrabs in apertura del Convegno - Con il dragaggio del porto di Senigallia abbiamo costruito non solo una grande architettura tecnica, ma anche una grande architettura amministrativa in grado di collegare e porre in relazione due diverse amministrazioni e le loro esigenze tecniche: il Comune di Senigallia, il cui porto doveva essere dragato e il Comune di San Benedetto il cui porto necessitava invece di una banchina portuale. In questo senso abbiamo trasformato un problema di un Comune in un’opportunità per un altro territorio a testimonianza del fatto che la gestione del mare e del sedimento non può e non deve avere confini amministrativi, né territoriali”. Il dragaggio di 30 mila metri cubi di sedimenti dal porto di Senigallia e il successivo conferimento in vasca di colmata a San Benedetto per la realizzazione di una banchina, tuttavia, sono solo il primo passo verso una serie di interventi “virtuosi” programmati dalla Regione in tema di dragaggio. L’Accordo di Programma con il Ministero dell’Ambiente, l’Autorità Portuale e i Comuni marchigiani sedi di porti, prevede infatti anche la realizzazione di una cassa

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Green Governance

di Silvia Barchiesi


di colmata all’interno del porto di Ancona su cui far confluire oltre 200 mila metri quadri di sedimenti provenienti dagli escavi dei porti minori, un’operazione, il cui progetto esecutivo è in fase di approvazione e per il quale sono stati stanziati ben 18 milioni di euro. Presto dunque, grazie al conferimento del materiale nella cassa di colmata di Ancona, sarà dragato e messo in sicurezza anche il porto di Fano. Quella già sperimentata a Senigallia e destinata a replicarsi anche a Fano è dunque una soluzione dal duplice vantaggio, in quanto permette di garantire la navigazione in sicurezza delle aree portuali e nello stesso tempo di gestire i fanghi del dragaggio, coerentemente con la normativa ambientale, confinando i sedimenti in una cassa adeguatamente isolata. A consentire la realizzazione di questo progetto pilota è stata una forte sinergia istituzionale. “L’integrazione delle istituzioni, oltre che delle competenze, ha consentito di risolvere un problema divenuto strutturale nei nostri porti - ha rimarcato l’Assessore Carrabs - Grazie alla sinergia tra Comune, Provincia, Regione, Provveditorato alle Opere Pubbliche e Ministero delle Infrastrutture è stato raggiunto un grande risultato volto a far riacquisire piena funzionalità ai nostri porti. Ricordiamo che i porti marchigiani non

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vengono dragati da oltre 20 anni. La collaborazione tra istituzioni ha consentito di sperimentare una soluzione per metterli finalmente in sicurezza”. La messa in sicurezza di un porto e la realizzazione di una infrastruttura in un altro porto non sono gli unici vantaggi del duplice intervento realizzato a Senigallia e a San Benedetto. Dei 70.000 metri cubi di sedimenti dragati a Senigallia per raggiungere la profondità di sicurezza del fondale, circa 30 mila risultavano inquinati e sono quindi stati impiegati per realizzare una cassa di colmata nel porto di San Benedetto, andando così a rinforzare il molo nord e a costituire il primo nucleo di un piazzale che verrà costruito in seguito per ampliare il porto, mentre circa 40 mila metri cubi di sedimenti, risultati invece idonei, sono stati utilizzati per il ripascimento del tratto di litorale a sud del porto, maggiormente colpito dall’erosione costiera. L’operazione di dragaggio portuale ha così consentito non solo l’ampilamento del porto di San Benedetto, grazie alla costituzione di un primo nucleo di quello che sarà un futuro piazzale, ma anche l’ampliamento di un tratto di litorale a sud del molo della città, finalmente ritornato alla sua originaria larghezza di 70 metri. Ad illustrare i molteplici benefici della soluzione “dragaggio-cassa di colmata” è

stato lo stesso Ing. Maria Giovanna Piva del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per l’Emilia RomagnaMarche: “Grazie alla sinergia istituzionale messa in campo, l’intervento realizzato ha consentito di raggiungere numerosi obiettivi: dalla messa in sicurezza del porto di Senigallia, al ripascimento del litorale di San Bendetto del Tronto, alla creazione di un’infrastruttura portuale nella stessa città, all’eliminazione del problema del sedimento grazie al suo riutilizzo. In quest’ottica l’operazione marchigiana si configura come un buon esempio di gestione integrata del sedimento e del mare”. A sottolineare il virtuosismo della Regione Marche quanto a gestione del sedimento è stato lo stesso Ing. Francesco Ciamprini del Dipartimento Prevenzione Mitigazione Impatti, ISPRA: “Gli interventi messi in campo nella Regione Marche sono un esempio virtuoso di come trasformare un problema in un’opportunità, partendo dalla valorizzazione del sedimento marino come risorsa e promuovendone il riutilizzo. A partire dal gap normativo sono state delineate una serie di linee guida per una gestione integrata del sedimento volte a conseguire molteplici obiettivi: dalla riqualificazione di spazi portuali al contrasto all’erosione costiera. Di qui la necessità di considerare il sedimento come risorsa e non come rifiuto e la sua caratterizzazione un investimento e non una spesa”. Le Marche lanciano così un modello virtuoso e in tema di dragaggio si confermano un esempio da imitare anche per le altre regioni: Puglia e Abruzzo in primis, secondo l’Ing. Ciamprini. La stessa partecipazione al convegno promosso dalla Regione Marche da parte di Sanzio Sammarini dell’ex Genio Civile della Regione Emilia-Romagna non fa altro che testimoniare l’interesse di altre Regioni nei confronti del “modello marchigiano”. L’Emilia Romagna sebbene, abbia sviluppato numerose attività di riutilizzo dei sedimenti nel ripascimento dei litorali, ad oggi non ha mai adottato la


GESTIONE INTEGRATA DEL MARE: UNA SOLUZIONE ECOCOMPATIBILE AL DRAGAGGIO DEI PORTI. L’intervento dell’Assessore Carrabs Assessorato Lavori pubblici e Difesa della costa

La sicurezza dei porti è un tema delicato e di grande importanza dal momento che interessa sia la tutela dell’ambiente, sia le attività economiche come il comparto ittico, la cantieristica e il turismo. La riduzione dei fondali, dovuto all’accumulo dei sedimenti limosi e sabbiosi, ha posto in evidenza un grave problema di navigabilità in sicurezza all’interno dei porti di competenza della regione Marche; la questione ha assunto una notevole importanza per le ripercussioni sull’economia marittima (pesca e turismo) dei Comuni sede di porti. Per rendere praticabile e sicuro l’approdo è necessario che il fondale sia continuamente dragato. Un tempo, tale attività era di competenza dello Stato, che attraverso la struttura operativa del Servizio Escavazione Porti (SEP) del Ministero dei Lavori Pubblici, provvedeva alla manutenzione e all’escavo delle aree portuali. La Regione Marche ha assegnato le funzioni di manutenzione e il dragaggio portuale ai Comuni e con esse sono state trasferite anche le risorse finanziarie; tuttavia l’escavo dei porti è un’attività estremamente complessa poiché le normative di carattere ambientale finalizzate alla salvaguardia della qualità delle acque costiere hanno imposto una diversa modalità di smaltimento dei sedimenti. Infatti, fino a metà degli anni ‘90 era consentito lo sversamento dei materiali di dragaggio direttamente in mare aperto con gravi ripercussioni all’equilibrio dell’ecosistema marino, in particolare gli inquinanti contenuti nei fanghi dragati sono stati rinvenuti addirittura nei prodotti ittici destinati all’alimentazione umana. Successivamente, con la modifica della normativa in materia ambientale, tale procedura non è più permessa e soprattutto è necessario che venga svolta, prima dell’escavazione, una campagna di campionamento dei sedimenti per caratterizzare i materiali da un punto di vista chimico-fisico e granulometrico. La definizione della natura dei depositi e l’eventuale presenza di sostanze inquinanti è indispensabile per individuare le modalità di smaltimento (discarica o cassa di colmata) o per pianificare il loro utilizzo per il ripascimento artificiale delle spiagge nel caso in cui il materiale risulti non inquinato. I Comuni, sede di porto regionale, si sono trovati quindi ad affrontare una tematica estremamente complessa sia dal punto di vista amministrativo che tecnico e, nel caso in cui i sedimenti sono risultati inquinati, a dover far fronte a costi elevati per il loro trasporto e smaltimento in discariche a terra. Tali difficoltà hanno di fatto bloccato la sicurezza della navigabilità interna dei nostri porti con gravi ripercussioni sulle attività economiche. Le problematiche emerse hanno sollecitato una riflessione tra i diversi soggetti istituzionali per individuare soluzioni programmatorie e sinergiche a livello regionale in grado di assicurare, a breve e medio termine, il dragaggio delle aree portuali e quindi la loro funzionalità, il riutilizzo per il ripascimento delle spiagge dei materiali idonei per granulometria e qualità nonché per avere una economia di sistema in un quadro di sostenibilità ambientale. Per far fronte a questi disagi la Regione Marche, su proposta dell’assessore ai LL.PP. e alla Difesa della Costa Gianluca Carrabs, circa 16 mesi fa ha sottoscritto un Accordo di Programma con il Ministero dell’Ambiente, l’Autorità Portuale e i Comuni marchigiani sede di porti, che prevede l’azione sinergica per la realizzazione di una cassa di colmata all’interno del porto di Ancona su cui far confluire i sedimenti provenienti dagli escavi dei porti minori. Dando seguito a questo accordo, proprio in questi ultimi giorni sono terminati i lavori di dragaggio del porto di Senigallia depositando 30 mila metri cubi di materiale nella cassa di colmata di San Benedetto del Tronto: è stato raggiunto un grande risultato grazie alla sinergia tra Comune, Provincia, Regione, Provveditorato alle Opere Pubbliche e Ministero delle Infrastrutture, perché oltre a far riacquisire piena funzionalità al porto di Senigallia, quello di San Benedetto sarà dotato di un’ulteriore banchina, grazie alla chiusura a norma della cassa di colmata. Viste anche le altre urgenze e richieste, presto sarà dragato anche il porto di Fano, con seguente conferimento del materiale nella cassa di colmata di Ancona. Questa soluzione permette di garantire la navigazione in sicurezza delle aree portuali e nello stesso tempo di gestire i fanghi del dragaggio coerentemente con la normativa ambientale confinando i sedimenti in una cassa adeguatamente isolata.

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cassa di colmata come soluzione per riutilizzare i sedimenti non idonei al ripascimento e guarda con interesse l’esempio marchigiano. “Nonostante gli spunti comuni tra l’esperienza marchigiana e quella emiliana - ha precisato Gilberto Paoloni, Direttore generale dell’ARPAM - l’integrazione nella gestione del sedimento messa in campo dalla Regione Marche spinge a parlare di un vero e proprio modello marchigiano per l’utilizzazione dei sedimenti”. “Il progetto regionale di utilizzo dei sedimenti tramite cassa di colmata, progetto a cui guarda con interesse anche l’Emilia Romagna è dunque una grande soluzione e allo stesso tempo un’opportunità per i nostri porti - ha proseguito Paoloni - I sondaggi effettuati mostrano come i nostri porti non presentino aree con forte contaminazione, tuttavia è evidente la necessità di dotarsi di sistemi mobili per la pulizia dei sedimenti, affinchè possano risultare idonei al riutilizzo in cassa di colmata o in ripascimenti”. Dalle Marche parte dunque la scommessa in tema di dragaggi. La “lezione” marchigiana non è solo tecnico-operativa, ma anche politicoistituzionale. “Oltre alla soluzione tecnica al problema del sedimento da dragaggio - ha precisato in chiusura l’Assessore Carrabs - abbiamo messo in moto un’azione politico-amministrativa tutt’altro che scontata. Insomma, siamo stati i pioneri di una buona pratica amministrativa per il dragaggio che possa essere da esempio anche per altre regioni a cui potremmo trasferire il nostro know-how. Ma il modello marchigiano non si limita alla soluzione tecnica. La sinergia istituzionale che ha permesso di realizzarla è allo stesso tempo un esempio da imitare”. La ricetta del modello marchigiano? “Bisogna fare squadra e dare risposte concrete ai problemi - ha conluso Carrabs- perché vedere che le cose vanno in porto è una grande soddisfazione”.

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Siglato un Accordo tra Regione e Operatori delle telecomunicazioni per garantire la Banda Larga su tutto il territorio regionale

LA REGIONE MARCHE CONTRO IL DIGITAL DIVIDE Già appaltati lavori per circa 748 chilometri e 35 milioni di euro.

Entro il 2012 previsto un investimento totale di 45 milioni di euro di Silvia Barchiesi

Entro il 2012 la Banda Larga coprirà l’intero territorio regionale. È l’obiettivo della Regione Marche che scende in campo contro il Digital Divide. Ad annunciare la “rivoluzione digitale marchigiana” sono stati il Presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca e l’Assessore regionale ai Sistemi Telematici e Informativi, Gianluca Carrabs, in occasione della firma della lettera di intenti siglata con gli operatori delle telecomunicazioni. Garantire l’accesso alla Banda Larga all’intero sistema socio-economico marchigiano (cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni) è lo scopo dell’Accordo che mette in campo diverse azioni strategiche: a partire da piani specifici di finanziamenti volti ad incentivare la copertura delle aree poco appetibili per il mercato, allo sviluppo di un piano di interventi condiviso per ottimizzare gli

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investimenti in opere civili realizzate, o da realizzare, dalla Regione e dalle Amministrazioni locali marchigiane, fino al monitoraggio e alla mappatura della disponibilità, di infrastrutture e servizi a Banda Larga. Tramite l’Intesa, la Regione si impegna a mettere a disposizione le infrastrutture di rete di sua proprietà o in via di realizzazione nell’ambito dell’attuazione del Piano Telematico Regionale e a pubblicare un bando di gara per l’assegnazione di incentivi finanziari per la copertura del territorio con le diverse generazioni di servizi a Banda Larga, impiegando le risorse finanziarie previste allo scopo dal POR Marche 2007-2013. Ma non solo. Alla Regione spetterà anche l’arduo compito di coordinare e catalizzare la domanda tecnologica proveniente dalle Pubbliche Amministrazioni locali, cercando di coinvolgere il più possibile gli inter-

locutori istituzionali e sostenere così gli investimenti degli operatori. Questi ultimi, da parte loro, si impegnano in una serie di azioni: 1) condividere con la Regione Marche il piano di sviluppo 2009-2011 della copertura di servizi broadband; 2) evidenziare, relativamente alle proprie infrastrutture di rete, la presenza e la localizzazione sul territorio regionale di eventuali vincoli tecnici, che possano ridurre la disponibilità della Banda Larga; 3) privilegiare l’uso delle infrastrutture della rete regionale nei piani di sviluppo della propria rete, per evitare duplicazioni di investimenti; 4) aumentare la disponibilità della Banda Larga, compatibilmente con le infrastrutture e con gli eventuali strumenti incentivanti


correlati è un fattore strategico per favorire la crescita economica della nostra regione tra le più manifatturiere e industriali d’Italia. Permette di sostenere ed incrementare il livello di competitività del sistema economico regionale, fatto da piccole e medie imprese, sul mercato globale e, allo stesso tempo, consente a cittadini di conseguire quello che oggi può essere definito come un diritto di cittadinanza, sul quale costruire anche una maggior partecipazione democratica”. “Entro il 2012 il Piano Telematico Regionale - ha continuato Spacca- sarà completato per un investimento totale di 45 milioni di euro, a cui vanno ad aggiungersi altri 28 milioni di euro già spesi per le infrastrutture nelle aree dell’entroterra”. Lungi dal rimanere sulla carta, il progetto della Banda Larga nelle Marche è già decollato e viaggia veloce: “So-

no stati già appaltati – ha specificato il Presidente Spacca - lavori per circa 748 chilometri su tutto il territorio regionale per un importo di circa 35 milioni di euro. Da ottobre sono stati avviati 9 cantieri per un totale di 60 chilometri, nell’ultimo trimestre 2009, ed entro marzo 2010 verranno attivati altri 26 cantieri per circa 170 chilometri”. L’Accordo siglato con gli operatori delle telecomunicazioni segna così l’inzio di una nuova “era tecnologica” per le Marche. “Si tratta di un grande obiettivo portato a termine dalla Regione – ha commentato con soddisfazione l’Assessore regionale ai Sistemi Telematici e Informativi, Gianluca Carrabs - grazie al quale possiamo vantare di passare dal ‘digital divide’ al ‘digital prosperity’, così nelle case dei cittadini marchigiani si avranno servizi telematici innovativi e competitivi. É un Accordo importante per le imprese e i cittadini che chiedono da tempo il riequilibrio territoriale di stessi servizi tra entroterra e costa. Questa sinergia creata con gli operatori è fondamentale per garantire il servizio ai cittadini”.

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che saranno messi a disposizione dalla Regione; 5) co-finanziare gli interventi per la copertura del territorio con le diverse generazioni di servizi a Banda Larga, nel caso di aggiudicazione del bando per l’assegnazione di incentivi finanziari che la Regione intende pubblicare. Tra gli operatori firmatari dell’Intesa Tiscali, WosNetwork, Retelit, Milliway, Interoute, WaveMax, Fastweb, Mobilway, Newtec Sas e Telecom. Mentre Vodafone, A9 Action e Aria firmeranno in seguito l’Accordo. A sottolineare l’importanza dell’Intesa è stato lo stesso Presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, che in sede di firma ha ricordato come lo sviluppo tecnologico possa funzionare da volano per l’economia: “La disponibilità di infrastrutture a Banda Larga, di tecnologie e servizi


Sviluppo della Banda Larga

OBIETTIVO: GARANTIRE A TUTTI LA CONNESSIONE L’Assessorato fa il punto sullo stato dell’arte dellla cantieristica Assessorato ai Lavori Pubblici, Sistemi telematici ed informativi, Società dell’informazione

La Regione Marche per garantire un approccio sistemico al tema della banda larga ha predisposto il “Piano Telematico Regionale per lo sviluppo della Banda Larga ed il superamento del Digital Divide”, approvato con Delibera del Consiglio Regionale n. 95 del 15 Luglio 2008. Il Piano Telematico Regionale, indirizza la strategie di sviluppo della Banda Larga sul territorio regionale su tre tipologie di intervento: 1. Realizzazione di reti di distribuzione in fibra ottica (38.639.500 euro); 2. Realizzazione di un sistema di accesso wireless (senza fili) per la copertura delle aree residuali (4.560.000 euro di cui 3,800.000 fondi POR FESR Marche 2007-2013 e 760.000 euro fondi provinciali); 3. Incentivazione tramite aiuti di stato agli operatori di telecomunicazione per l’aggiornamento del sistema di accesso (2.900.000 euro).

Stato avanzamento lavori dell’Intervento: “Realizzazione di dorsali e reti di distribuzione in fibra ottica” È stata firmato a dicembre 2009 l’accordo quadro tra la Regione Marche e il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) Dipartimento per le Comunicazioni, con il quale la Regione individua il MISE quale “Organismo Intermedio”per l’attuazione dell’intervento “Realizzazione di dorsali e reti di distribuzione in fibra ottica” finanziato con fondi afferenti diverse tipologie (MISE, FESR, FEASR, FAS) per un importo complessivo di 38.639.500 euro e 853 km. Entro il primo trimestre del 2010 è prevista la firma della convenzione operativa;

Riepilogo:

2 28

CANTIERI ATTIVATI AL 31/12/2009 (CANDELARA, CARPEGNA, FENILE, S.MARIA NUOVA, LA GROTTACCIA, S.SISTO, S.VITTORE, FRONTINO, MOMBAROCCIO)

9

KM

59,08

CANTIERI DA ATTIVARE ENTRO MARZO 2010

26

KM DI TRATTE DA REALIZZARE

166,84

Le ulteriori 81 centrali previste nelle convenzioni relative ai fondi Regionali FAS e FESR sono attualmente in fase di rilievo topografico. I rilievi si concluderanno entro Febbraio 2010. Si prevede di avviare i primi cantieri per queste centrali entro Marzo 2010 per concludere le attività entro la metà del 2011. Poiché l’avvio dei cantieri è subordinato al rilascio dei permessi da parte degli enti, ad oggi non è possibile indicare una tempistica precisa dei lavori. Stato avanzamento lavori dell’Intervento: “Creazione di un sistema di accesso di tipo wireless nelle aree marginali del territorio regionale” - L’intervento wireless è destinato alla copertura con il servizio di accesso a banda larga tramite tecnologie Wimax, Hiperlan, Wi-Fi mesh delle aree residuali non ancora coperte da connettività a larga banda e che non ricadono nelle aree di intervento con fibra ottica (intervento 1); - La convenzione tra la Regione Marche e le Province per il trasferimento dei fondi, secondo il criterio di ripartizione proporzionale agli abitanti residenti sui singoli territori provinciali, è stata approvata con DGR n.1876 del 16/11/09 (Piano telematico regionale “Schema di convenzione per la realizzazione di un sistema di accesso wireless di proprietà pubblica previsto dal Piano Telematico Regionale POR FESR Marche 2007/2013 - Asse 2 - Socie-

tà dell’Informazione - Intervento 2.1.1.10.02”) e sarà sottoscritta tra le parti entro fine gennaio 2010. Le Province prevedono di bandire una gara unica suddivisa in quattro lotti per l’attuazione degli interventi entro febbraio 2010, con l’apertura dei primi cantieri prevista per maggio 2010; - L’intervento, per un totale di 4.56 Mln. di euro, è finanziato con fondi POR FESR CRO Marche 2007-2013 (3.8 Mln. di euro) e con fondi provinciali (0,760 Mln. di euro). Stato avanzamento lavori dell’Intervento: “Aiuti di stato per incentivare il sistema degli Operatori Privati di Telecomunicazione” L’intervento prevede, attraverso meccanismi di incentivazione a carattere pubblico, di rendere disponibili i servizi a banda larga di seconda generazione nelle aree a fallimento di mercato, in cui i servizi a banda larga non sono attualmente disponibili né gli Operatori Privati di Telecomunicazione ritengono conveniente intervenire effettuando in autonomia investimenti propri; Con DGR n. 1554 del 5 ottobre 2009 si approva lo schema di lettera di intenti tra Regione Marche e Operatori privati di telecomunicazione nell’ambito della manifestazione di interesse per la condivisione dei piani di sviluppo delle infrastrutture a banda larga nella regione Marche;


delle infrastrutture a banda larga nella Regione Marche da parte degli Operatori Privati di Telecomunicazione” necessario per la notifica alla Commissione Europea degli aiuti di stato di cui all’intervento 3.

Alla manifestazione hanno risposto 19 Operatori di Telecomunicazione di livello nazionale e locale; 12 sono gli Operatori TLC che firmeranno oggi la lettera di intenti.

CANTIERI ATTIVABILI ENTRO MARZO 2010

TOTALE KM TRATTE

CENTRALE DA COLLEGARE

PROV

PUNTO PARTENZA

PUNTO DI ARRIVO

CANTIERI GIÀ ATTIVATI

ATTIVAZIONE CENTRALE ADSL

CANDELARA

PU

Villa Fastiggi

Candelara

X

4,77

30/05/10

CARPEGNA

PU

Mercato Vecchio

Carpegna

X

6,20

30/05/10

FENILE

PU

A14 Pesaro-Fano

Fenile

X

1,70

30/05/10

X

S.MARIA NUOVA

AN

Jesi

Santa Maria Nuova

11,40

30/05/10

CASTELSANTANGELO

MC

Visso

Castelsantangelo

X

6,08

30/06/10

FRONTIGNANO

MC

Ussita

Frontignano

X

3,51

30/06/10

SERRAVALLE DEL CHIENTI

MC

Muccia

Serravalle del Chienti

X

9,20

30/06/10

USSITA

MC

Visso

Ussita

X

4,90

30/06/10

BELVEDERE OSTRENSE

AN

San Marcello

Belvedere Ostrense

X

4,00

30/05/10

PASSATEMPO

AN

Osimo Diramazione Ostra VetereCstellone Osimo

Passatempo

X

5,30

30/06/10

Barbara

X

2,00

30/06/10

Case Nuove

X

8,10

30/06/10

BARBARA

AN

CASE NUOVE

AN

STAFFOLO

AN

CASTELLEONE DI SUASA

AN

Staffolo

X

7,50

30/05/10

Castelleone di Suasa

X

3,75

30/06/10

MC

Diramazione Jesi-Moie Diramazione PergolaMondolfo Treia

LA GROTTACCIA S.SISTO

Grottaccia

X

8,60

30/05/10

PU

Carpegna

San Sisto

X

5,80

30/05/10

S.VITTORE

MC

San Vittore

X

5,51

30/05/10

FRONTINO

PU

Frontino

X

6,60

30/05/10

Mombaroccio

X

MOMBAROCCIO

PU

Villastrada Diram.Carpegna-Mercato Vecchio Chiusa di Ginestreto

MONTECOSARO

MC

Civitanova Alta

Montecosaro Morro d’Alba

X

3,20

30/05/10

Monte San Martino

X

8,40

30/06/10

Ostra Vetere

X

8,40

30/06/10

X

8,50

30/05/10

5,70

30/05/10

MORRO D’ALBA

AN

MONTE S.MARTINO

MC

OSTRA VETERE

AN

San Marcello S.Angelo in Pontano/ Penna S. Giovanni Castellone di Suasa

PENNA S.GIOVANNI

MC

S.Angelo in Pontano

Penna San Giovanni

X

10,50

30/06/10

VILLAGRANDE

PU

Mercato Vecchio

Villagrande

X

6,80

30/06/10

S.ANGELO IN PONTANO

MC

S.Angelo in Pontano

Gualdo

X

2,90

30/06/10

Calmazzo

X

5,90

30/05/10

Isola di Fano

X

7,60

30/07/10

CALMAZZO

PU

ISOLA DI FANO

PU

ISOLA DEL PIANO

PU

Fossombrone Diram.Fossombrone-S. Ippolito Fossombrone

Isola del Piano

X

7,50

30/07/10

ACQUASANTA TERME

AP

Ponte D’Arli

Acquasanta Terme

X

4,60

30/07/10

ARQUATA DEL TRONTO

AP

Acquasanta Terme

Arquata del Tronto

X

14,10

30/07/10

MOZZANO

AP

Ascoli Piceno

Mozzano

X

6,90

30/07/10

PONTE D’ARLI

AP

Mozzano

Ponte D’Arli

X

7,80

30/07/10

PERTICARA

PU

Diram. S.Agata-Novafeltria

Perticara

X

2,10

30/08/10

S.AGATA FELTRIA

PU

S.Agata Feltria

X

10,10

30/08/10

26

225,92

totale

Novafeltria

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Con Decreto del Dirigente della PF Sistemi Informativi e Telematici n. 104/ Inf_02 del 11/06/2009 è stato indetto un avviso pubblico “POR FESR Marche CRO 2007/2013 Int. 2.1.1.10.03. Avviso di Manifestazione di interesse per la condivisione dei piani di sviluppo

La data di attivazione della centrale coincide con la data a partire dalla quale il servizio è fruibile dai cittadini.

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Sport

PREMIATO FLAVIO FALZETTI, TORNATO AL CALCIO DOPO 35 CICLI DI CHEMIOTERAPIA Rocchi: “Esempio per tutti”. Carrabs: “Un film sulla sua storia” Assessorato ai Lavori Pubblici e allo Sport

Flavio Falzetti torna al calcio dopo 35 cicli di chemioterapia e 11 anni di assenza dai campi di gioco. Il debutto, a marzo, con la maglia dell’Urbino. La sua storia è raccontata nel libro “Oltre il 90°” del giornalista Francesco Ceremani. Presto verrà ripercorsa attraverso un film, a cui è interessato un produttore cinematografico di origini marchigiane. Il calciatore è stato premiato, in Regione, dagli assessori Lidio Rocchi e Gianluca Carrabs, con una targa che recava incisa la frase: “La tua forza e il tuo coraggio siano da monito per tutti i giovani sportivi”. Originario di Norcia (dove è nato il 1 gennaio del 1972), a 14 anni Flavio gioca con lo Spoleto, per poi iniziare una lunga carriera con Gubbio, Camerino, Urbino, Monturanese, Taranto, Civitanovese ed Elpidiense. Nel 1995 comincia ad accusare disturbi fisici che, nel 1998, sveleranno la grave malattia. La “bestia”, come lui la chiama, “non è ancora sconfitta. A volte vince lei, a volte io. Ci convivo, consapevole che, prima o poi, la spunterò, perché sarò io a decidere quando smettere di giocare, non la malattia”. Flavio ha voluto raccontare a tutti la sua esperienza per aiutare gli altri a non mollare e per cercare di introdurre, nel calcio dilettantistico – come già previsto per lo sport professionistico - l’obbligatorietà dell’assicurazione contro le malattie oncoematologiche e visite mediche più accurate. Un progetto che parte dalla

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Marche: Civitanovese Calcio, Corridonia Calcio e Urbino inizieranno a effettuare controlli sugli atleti con i criteri standard definiti dal prof. Nando Scarpelli, l’oncologo del Presidio ospedaliero di Spoleto che sta curando Falzetti. “Tutti come Totti”, è lo slogan di Flavio: “Di fronte a certe malattie siamo tutti uguali. Questo è un male democratico, che non chiede in quale squadra giochi e quanti soldi hai. Anche tra i dilettanti ci sono sportivi che fanno sacrifici enormi. Quando la carriera si interrompe per motivi sanitari, non possono essere lasciati soli. Le visite mediche vanno eseguite con criteri diversi, perché elettrocardiogramma e spirografia, sui quindicenni, non hanno nessuna valenza in termine di prevenzione. Non tutti arriveranno a giocare in Serie A, ma a tutti dobbiamo garantire il diritto alla salute”. Presente anche l’assessore Rocchi che ha ricordato il suo passato calcistico per sottolineare la propria vicinanza a Flavio: “Capisco cosa significhi tornare, dopo un lungo periodo inattività. La tua testimonianza evidenzia come, anche dopo una grave malattia, sia possibile riprendere l’agonismo con una nuova mentalità”. Carrabs ha proposto di distribuire il libro “Oltre il 90°” nelle scuole, per il suo “alto valore educativo e di testimonianza dell’attaccamento alla vita”. L’esempio di Falzetti, ha ribadito l’assessore Carrabs, “dimostra quanto


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lo sport sia importante non solo come momento di leale competizione, ma anche per i valori culturali e sociali che sottende”. Ha anticipato che presto verrà inoltrata a Marche Commission la richiesta di sostenere il film su Falzetti, per il quale c’è l’interessamento del Comune di Urbino e di Ancona, anticipato dal vice sindaco dorico Franco Brasili, presente alla cerimonia. La storia di Flavio, ha ribadito l’oncologo Scarpelli, “evidenzia due aspetti importanti: la forza del ragazzo, che non si rassegna alla sconfitta; la speranza di chi non si arrende mai. Il suo esempio dà forza a tutti”. Alla premiazione sono intervenuti, tra gli altri, il consigliere regionale Francesco Massi, Leo Isolani (campione italiano velocità montagna classe GT1), Aldo Mancini (papà di Roberto, allenatore del Manchester City), Umberto Antonelli (presidente Civitanovese Calcio), Carlo Pieroni (presidente Corridonia Calcio). Il presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, ha inviato un “caloroso saluto”.

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INTERPRETAZIONE E APPLICAZIONE DELLA L.R. N. 22/2009 (Interventi della regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile) A seguito della promulgazione, da parte della Regione Marche, della L. R. n. 22/2009 (Interventi della regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile), si è reso necessario formulare una serie di indicazioni interpretative per Enti Locali ed addetti ai lavori, data la mole di istanze contenute nel dettato normativo. Al fine di ragguagliare meglio i Lettori, pubblichiamo per esteso, il testo dell’Allegato A della DGR n. 1991 del 24 novembre 2009, recante “intepretazione e applicazione della L. R. n. 22/2009.

Tipo regionale (R.E.T.), per quella di edificio (o fabbricato) residenziale o non residenziale al secondo periodo della lett. bb) dell’art. 13 del R.E.T., per quella di ampliamento alla lett. cc) sempre dell’art. 13 del R.E.T..

(ndr: Si avverte che il testo della DGR inserito nelle pagine seguenti non riveste carattere di ufficialità e non è sostitutivo in alcun modo della pubblicazione ufficiale cartacea).

Art. 1, comma 1: tutti gli edifici residenziali, indipendentemente dalla zona territoriale omogenea in cui sono ubicati - fermi restando i divieti di cui all’art. 4, comma 5, e quelli contenuti nelle eventuali deliberazioni comunali previste dall’art. 9 - possono essere oggetto di ampliamento nei limiti indicati.

I^ avvertenza generale: Ulteriori capacità edificatorie o eventuali ampliamenti sugli edifici previsti dagli strumenti urbanistici comunali non sono cumulabili con quelli previsti dagli artt. 1 e 2 della legge. Resta sempre realizzabile l’eventuale quota residuale, rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali, decurtata della quota di ampliamento già realizzata in applicazione della L.R. 22/2009.

(omisssis) ALLEGATO A Atto di indirizzo concernente: “Interpretazione e applicazione della L.R. 8 ottobre 2009, n. 22 (Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile)”. L’esigenza di adottare il presente atto di indirizzo scaturisce dalla necessità di fornire indicazioni agli enti locali, in riferimento a questioni di interpretazione e applicazione della L.R. 22/2009. Il presente atto viene adottato previa intesa con l’ANCI Marche, che si è fatta carico dell’esigenza di garantire un orientamento quanto più possibile coordinato della Regione e dei Comuni nell’interpretazione e applicazione della L.R. 22/2009 (d’ora in poi indicata come “legge”). Premessa: la legge non introduce nuovi parametri urbanistico edilizi o nuove definizioni degli stessi e non modifica le definizioni degli interventi edilizi stabilite dal testo unico dell’edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; pertanto, per questi aspetti, si continua a fare riferimento alla normativa statale, regionale e comunale in materia urbanistico-edilizia vigente al momento di entrata in vigore della legge. In particolare e a mero titolo d’esempio per la definizione di edificio ci si deve riferire al primo periodo della lett. bb) dell’art. 13 del Regolamento Edilizio

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Art. 1, comma 2: il limite al quale si fa riferimento riguarda gli edifici residenziali, ed è quello di metri quadrati 95 di superficie misurata al netto dei muri perimetrali e di quelli interni oltre a metri quadrati 18 per autorimessa o posto macchina; tale limite deve intendersi riferito al singolo edificio, anche se lo stesso è costituito da più unità immobiliari. Il comma 2 contiene una previsione speciale rispetto alla disposizione di cui al comma 1; pertanto l’obiettivo del raggiungimento dei suddetti mq. 95 oltre a metri quadrati 18 per autorimessa o posto macchina, può comportare un ampliamento dell’edificio anche oltre il limite del 20 per cento della volumetria esistente. Non a caso il comma 2 dispone che, per gli edifici residenziali di cui al comma 1, l’ampliamento è consentito fino al raggiungimento dei suddetti mq. 95 ecc. Art. 1, comma 3: occorre premettere che gli edifici non residenziali sono stati suddivisi in due “categorie”, rispettivamente indicate nei commi 3 e 4 dell’art. 1. La suddivisione è stata effettuata a seconda delle zone omogenee in cui si trovano, e proprio la collocazione nell’una o nell’altra determina le possibilità di ampliamento. La prima categoria (comma 3) comprende gli edifici non residenziali ubicati nelle zone omogenee a destinazione industriale, artigianale, direzionale, commerciale e agricola di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. Gli ampliamenti degli edifici non residenziali della prima categoria, previsti dal primo e dal secondo periodo del comma 3, sono tra di loro alternativi. L’ultimo periodo del comma 3 deve essere inteso nel senso che solo la


fasi di produzione o dei macchinari impiegati, per una maggiore sicurezza dei lavoratori e del luogo, o per aumentare la produzione, - nuovi spazi per la realizzazione di un materiale e/o di un prodotto innovativo, eco-sostenibile, - nuovi spazi per l’abbattimento dei costi di trasporto, nonché dell’inquinamento, che si sostengono per il trasporto di materie prime, che vengono conservate in un dato luogo e lavorate in altri siti o per il trasporto di merce che viene prodotta in un dato luogo e venduta/ commercializzata in altri posti. Una “esigenza produttiva” non è che un “bisogno” legato ad un “ciclo lavorativo” e va sempre accolta là dove essa comporti un miglioramento, a prescindere dal fatto che esso sia economico, ambientale, di sicurezza, di qualità o di quantità. La validità dell’esigenza produttiva, non è un valore aggiunto da riconoscere, ma è un valore insito nella richiesta stessa, che possiede il carattere dell’”evidenza”. Art. 1, comma 4: La seconda categoria comprende gli edifici non residenziali ubicati in zone omogenee con destinazione diversa da quelle della prima categoria e conformi alla destinazione della zona in cui sono situati. Art. 1, comma 6: l’accorpamento previsto in questo comma si configura come aggiuntivo rispetto alla possibilità di ampliamento prevista dal comma 1 dell’art. 1. Il fatto che l’accorpamento in esame debba essere considerato aggiuntivo rispetto all’ampliamento dei commi precedenti, dipende da due ordini di considerazioni: a) l’accorpamento e l’ampliamento sono due istituti diversi:

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parte ampliata può comportare l’incremento dell’altezza dell’edificio, in deroga ai regolamenti edilizi e alle previsioni dei piani urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, mentre la parte esistente può eventualmente essere soltanto adeguata alle altezze massime previste dalla normativa vigente. Qualora tutto l’edificio sia oggetto di un aumento dell’altezza che deroghi dai limiti massimi vigenti l’intervento ricade nelle fattispecie di demolizione e ricostruzione previste dall’art. 2. Il comma 3 stabilisce che l’ampliamento degli edifici della prima categoria deve essere motivato “in base a specifiche esigenze produttive”. Cosa si intende per esigenza produttiva? Al riguardo si può fare riferimento alla vigente normativa urbanistica che consente l’approvazione di ampliamenti di un insediamento produttivo (inteso nella sua valenza più ampia, dunque è produttiva anche una attività ricettiva, un laboratorio artigianale, una attività commerciale, art. 1 DPR447/98), attraverso l’attivazione della procedura dello Sportello Unico per le Attività Produttive, ai sensi dell’art.5 del DPR 447/98. In quel caso, la domanda viene motivata dal soggetto richiedente che dichiara la propria “esigenza produttiva” attraverso dati di impresa, studi di mercato, indagini e documentazioni che vengono auto-certificate o prodotte dai professionisti, spesso coinvolti nei cicli produttivi. Dunque la dichiarazione dell’“esigenza produttiva” va sostenuta e corredata da documentazione ed elaborati. Alcuni esempi di “esigenze produttive” sono: - inserimento di cicli produttivi innovativi e più sicuri rispetto a quelli impiegati, - spazio per incremento di personale, - ampliamento dovuto ad una diversa disposizione delle


l’ampliamento conduce alla creazione di nuovi volumi, mentre l’accorpamento determina l’inserimento nell’edificio principale di volumetrie già esistenti; b) i commi 5 e 6 dell’art. 1 sono dedicati esclusivamente agli edifici ubicati in zona agricola. Il comma 5 quando menziona l’ampliamento richiama la disciplina dettata per l’ampliamento stesso dai commi precedenti, invece il comma 6 quando menziona l’accorpamento, ovviamente, non richiama la disciplina precedente e richiede, inoltre, la previa approvazione di un piano di recupero, strumento che non è imposto per gli ampliamenti di cui ai commi precedenti. La superficie massima alla quale fa riferimento il comma 6 è la superficie utile lorda (SUL). Al fine di rendere coerente con le misurazioni espresse in metri cubi, il parametro espresso in mq. 70 di cui al comma 6, si assume che a mq. 70 di superficie utile lorda corrispondano mc. 200 di volume vuoto per pieno. Anche per gli accessori da accorpare vale la regola generale di cui all’art. 4, comma 1, deve trattarsi di manufatti esistenti alla data del 31 dicembre 2008. I piani di recupero ai quali si fa riferimento nel comma 6 sono quelli previsti dalla L. 457/78; poiché la legge prevede espressamente la possibilità della loro redazione, non necessita la preventiva individuazione delle zone di recupero da parte dei Comuni. Inoltre poiché i piani di recupero riguarderanno accorpamenti ed eventualmente anche ampliamenti la cui entità è stata direttamente assentita dalla legge che di diritto (ope legis) opera una variante agli strumenti urbanistici generali vigenti, non necessita l’effettuazione della verifica di assoggettabilità relativa alla Valutazione Ambientale Strategica. I piani, anche di iniziativa privata dovranno essere presentati nei termini stabiliti dall’art. 9,

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comma 2 della legge (entro e non oltre diciotto mesi dal 30 novembre 2009) e potranno trovare attuazione nei termini stabiliti dalle relative convenzioni, la cui durata potrà essere definita nella delibera prevista dall’art. 9, comma 1. Sempre per quanto riguarda i piani di recupero si evidenzia che per gli aspetti procedurali trovano applicazione le disposizioni della L.R. 34/92; in particolare si precisa che i piani di recupero (che – come sopra osservato riguardano accorpamenti ed eventualmente anche ampliamenti la cui entità è stata direttamente assentita dalla legge) sono da considerasi conformi agli strumenti urbanistici generali comunali e pertanto per quanto concerne la loro approvazione trovano applicazione i commi 2 e 3 dell’art. 4 della citata L.R. 34/92. Art. 1, comma 7: il miglioramento del comportamento energetico è riferito al solo ampliamento e non anche all’edificio esistente; infatti, l’art. 5, comma 1, commisura il miglioramento del comportamento energetico da conseguire relativamente agli interventi di ampliamento, mentre nelle ipotesi di demolizione richiede il miglioramento dell’efficienza energetica dell’intero edificio. Anche l’art. 3, comma 2, lettere b) e c) del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, conferma l’applicazione limitata ai soli ampliamenti del miglioramento energetico. Art. 1, comma 8, primo periodo: l’ampliamento può essere abbinato al cambio di destinazione d’uso purché quest’ultima sia conforme alla previsioni urbanistiche; si sottolinea che ancorché conforme alla previsioni urbanistiche il cambio di destinazione d’uso ai sensi della presente legge non è ammesso in assenza di un effettivo


risultante dall’incremento realizzato ai sensi della legge sta alla superficie minima di standard da garantire. A titolo d’esempio qualora si voglia ampliare di 400 mq di SUL un edificio situato in un piano attuativo della superficie territoriale (ST) di 10.000 mq in cui sono previsti 3000 mq di SUL occorrerà innanzitutto impostare la seguente proporzione: 3000 : 1000 (10% della ST) = 3400 : X X=3400 x 1000 / 3000 = 1133.33 mq aree a standard da garantire o monetizzare = 1133.33 – 1000 = 133.33 In maniera analoga, qualora l’edificio non ricada nell’ambito di Piani attuativi, le aree a standard che debbono essere garantite, oppure monetizzate, andranno calcolate con riferimento alla Superficie Fondiaria (SF) esistente e alle quantità edificatorie esistenti e da realizzare, ipotizzando che uno standard pari al 10% della SF sia già stato (seppur virtualmente) garantito; in altre parole la quantità edificatoria esistente dell’edificio oggetto di intervento, sta alla superficie minima di standard virtuale (10% della superficie fondiaria), come la quantità edificatoria risultante dall’incremento realizzato ai sensi della legge sta alla superficie minima di standard da garantire. A titolo d’esempio qualora si voglia ampliare di 400 mq di SUL un edificio non situato in un piano attuativo con una superficie fondiaria (SF) di 5.000 mq in cui sono esistenti 2000 mq di SUL occorrerà innanzitutto impostare la seguente proporzione: 2000 : 500 (10% della SF) = 2400 : X X=2400 x 500 / 2000 = 600 mq aree a standard da garantire o monetizzare = 600 – 500 = 100 La capacità edificatoria massima finalizzata all’applicazione del criterio proporzionale sopra esemplificato sarà definita facendo ricorso a parametri individuati nei modi e con le logiche che i Comuni stabiliranno con la Delibera di cui all’art. 9, comma 1. Art. 1, comma 8, secondo periodo: Sia per gli insediamenti residenziali, sia per gli insediamenti non residenziali, gli eventuali standard che non possono essere garantiti con la cessione di aree debbono essere monetizzati. Gli interventi previsti dalla presente legge creano nuove superfici e nuove volumetrie, a volte, anche nuove destinazioni e, quindi, aumentano il carico urbanistico; pertanto, sono sempre sottoposti all’obbligo della cessione delle aree a standard o, in alternativa, della loro monetizzazione. Non si ritiene legittimo che i nuovi interventi possano incidere gratuitamente su eventuali aree a standard occasionalmente preesistenti, sia per non creare disparità di trattamento rispetto a quanti in precedenza hanno dovuto cedere le aree, sia perché - in seguito alla realizzazione degli interventi previsti dalla legge - le aree interessate possono risultare ben presto sottodimensionate rispetto

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ampliamento volumetrico e quindi nel caso di soli interventi a carattere conservativo (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia). Salvo che per gli edifici residenziali per i quali sussistano le condizioni di cui all’art. 80, comma 9 del R.E.T. (ai sensi del quale: “Può essere autorizzata un’altezza diversa da quella indicata ai punti precedenti nelle opere di recupero del patrimonio edilizio esistente, sia nel caso che si mantengano altezze già esistenti e sia nel caso di modifiche alle quote originarie dei solai, quando non si proceda ad un incremento del numero dei piani”), i cambi di destinazione d’uso sono comunque subordinati al rispetto dei requisiti igienico sanitari previsti dalla normativa vigente. Nel caso di edifici con più unità immobiliari e con differenti destinazioni, il primo periodo del comma 8 va interpretato nel senso che l’ampliamento, qualora diventi parte integrante dell’unità immobiliare esistente, segue come destinazione quella della stessa unità immobiliare, ovvero, deve mantenere la destinazione in atto di quest’ultima, oppure modificarla congiuntamente, sempre in conformità agli strumenti urbanistici in vigore; viceversa, qualora l’ampliamento dia luogo ad una unità immobiliare autonoma, il medesimo dovrà avere la stessa destinazione della (o delle) unità immobiliare(i) i cui volumi o superfici sono computati ai fini dell’ampliamento stesso. Oltre alla destinazione d’uso conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici il primo periodo del comma 8 impone il rispetto degli standard urbanistici di cui all’art. 3 del D.M. 1444/1968. Al riguardo occorre precisare che gli standard di cui al citato art. 3 e le specificazioni di cui all’art. 4 del medesimo D.M. vanno osservati – come è reso palese – dalla formulazione di questi articoli per gli insediamenti residenziali, mentre per gli insediamenti produttivi debbono essere rispettati gli standard così come definiti dall’art. 5 del medesimo D.M. Più disposizioni della legge in esame considerano inderogabili i limiti e gli standard fissati dal citato D.M. e, ovviamente, ciò vale per quanto da esso dettato dagli artt. 3, 4 e 5 relativamente alle diverse zone omogenee. Poiché la legge fa riferimento alle quantità minime stabilite dal D.M. 1444/68 per il calcolo degli abitanti insediati o da insediare si deve far riferimento a quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 3 del citato D.M. ed inoltre nelle zone territoriali omogenee C non debbono essere garantiti gli ulteriori 3 mq di verde pubblico richiesti dall’art. 21, comma 4 della L.R. 34/92. In particolare per quanto concerne gli interventi che riguardano edifici ricadenti in insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili le aree a standard che debbono essere garantite oppure monetizzate sono ricavate proporzionalmente in relazione all’incremento richiesto ai sensi della legge rispetto alle capacità edificatorie massime previste dagli strumenti urbanistici attuativi vigenti e gli standard minimi richiesti dal D.M. 1444/68; in altre parole la capacità edificatoria massima prevista dallo strumento urbanistico attuativo in cui si trova l’edificio oggetto di intervento sta alla superficie minima di standard richiesta dal D.M. 1444/68 (10% della superficie territoriale), come la capacità edificatoria dello strumento urbanistico attuativo


al fabbisogno complessivo di standard. Il secondo periodo del comma 8 deve essere inteso nel senso che l’accertamento del Comune dell’impossibilità di reperire la quantità minima di aree da destinare agli standard riguarda non solo gli aspetti quantitativi, ma anche quelli qualitativi, con ciò significando che il Comune dovrà valutare anche l’effettiva fruibilità e funzionalità delle aree che il richiedente sia in condizione di cedere; in caso contrario il Comune potrà e dovrà richiedere la monetizzazione. A tal fine, i Comuni possono utilizzare, tra gli altri, i seguenti criteri: a) se le aree da cedere siano adeguate rispetto al tipo di standard da realizzare; b) la conformazione delle aree ovvero l’irregolarità del loro perimetro o la loro frammentazione; c) l’interclusione in aree private o la non agevole accessibilità delle aree oppure la distanza dalle altre aree a standard; d) la presenza di servitù, impianti (elettrodotti ecc.), o le caratteristiche geologiche o idrogeologiche che ne rendono difficile l’utilizzazione; e) se la completa cessione delle aree a standard dovute renda impossibile la realizzazione degli interventi edilizi previsti dalla legge o il loro ordinato inserimento nel contesto circostante. Di fatto, poiché anche nell’ipotesi di ampliamento massimo di 200 mc la quantità di aree a standard da garantire risulterebbe al massimo di circa 45 mq (ridotta a 22,5 mq nelle zone territoriali omogenee B, ovvero a 15 nelle zone territoriali omogenee E) si ritiene che i Comuni possano stabilire con la delibera prevista dall’art. 9 comma 1 la possibilità di monetizzare sempre e comunque le citate aree a standard. Il comma 8, laddove stabilisce che l’importo da corrispondere al Comune, a titolo di monetizzazione, “è una somma pari al valore di mercato di aree con caratteristiche simili a quelle che avrebbero dovuto cedere e comunque non inferiore ai relativi oneri di urbanizzazione” si preoccupa esclusivamente di fissare le modalità di determinazione del quantum della monetizzazione e non modifica gli obblighi relativi al contributo di costruzione (composto dagli oneri di urbanizzazione e dal costo di costruzione), i quali sono e restano disciplinati dall’art. 6, peraltro in modo agevolato, per quanti intendono realizzare gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione previsti dalla legge. Le parole “relativi oneri di urbanizzazione” vanno letteralmente intese quali oneri necessari ad urbanizzare le aree reperite in sostituzione di quelle che gli interessati avrebbero dovuto cedere. In assenza del comma 8, gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione previsti dalla legge avrebbero potuto essere realizzati soltanto su aree dotate di standard e per detti interventi i soggetti interessati avrebbero corrisposto il contributo di costruzione. Il comma 8 ha inteso favorire la realizzazione dei suddetti interventi anche in aree carenti di standard, però i soggetti interessati, oltre al contributo di costruzione agevolato di cui all’art.6, debbono corrispondere una somma a titolo di monetizzazione. La somma viene determinata dal comma 8 non soltanto in

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un importo pari al valore di mercato di aree con caratteristiche simili, ma in una somma “comunque non inferiore ai relativi oneri di urbanizzazione”, cioè agli oneri necessari ad urbanizzare l’area da acquistare. L’importo da corrispondere al Comune è il maggiore tra quello del valore di mercato di aree con caratteristiche simili a quelle che gli interessati avrebbero dovuto cedere e quello degli oneri di urbanizzazione delle aree sostitutive. Le somme introitate dai Comuni, a titolo di monetizzazione, debbono essere iscritte in capitoli di bilancio vincolati allo specifico utilizzo per la realizzazione di standard. Art. 2, Avvertenza generale: Gli interventi di cui alla L.R. 22/2009 sono consentiti anche nel caso in cui lo strumento urbanistico comunale e/o i piani attuativi prevedano la possibilità di demolire più edifici e la ricostruzione di un minore numero di edifici. L’incremento della volumetria del 35% si applicherà quindi sull’edificio o sugli edifici nuovi da realizzare. Non è ammessa la demolizione dell’edificio esistente e la sua ricostruzione, anche con ampliamento, in un’altra area. L’ipotesi è da escludere per tre ragioni. La prima, attiene ai lavori preparatori del testo poi divenuto legge. Nella proposta di legge approvata dalla Giunta regionale era presente la seguente disposizione: “La ricostruzione con ampliamento degli edifici non residenziali può avvenire, se consentito dal Comune interessato, anche su area diversa, purché destinata all’edificazione dagli strumenti urbanistici e territoriali e purché compatibile con la destinazione e con la disciplina comunale dei parametri urbanistici ed edilizi della nuova area e a condizione che l’area originariamente occupata venga gravata da un vincolo di inedificabilità, da trascrivere a cura del Comune e a spese dei proprietari interessati”. La disposizione viene successivamente soppressa. La prima ragione, da sola non è decisiva, perché, come è noto, i testi legislativi vanno interpretati, in primo luogo, sulla base del significato delle parole che utilizzano e, soltanto in secondo luogo, secondo le intenzioni del legislatore. La seconda ragione è la seguente: una figura complessa come la demolizione e ricostruzione in altra zona, addirittura con ampliamento, richiede comunque una disciplina legislativa e non può essere costruita basandosi soltanto sui silenzi del legislatore. La terza ragione è la seguente: l’art. 2, comma 4, consente, relativamente agli edifici non residenziali ubicati nelle zone omogenee B e C (o comunque ubicati in zone diverse da quelle descritte al comma 3), la demolizione e ricostruzione con ampliamento, purché detti edifici siano conformi alla destinazione della zona in cui sono ubicati. È evidente che se gli edifici potevano essere demoliti e ricostruiti altrove, non avrebbe avuto senso imporre la conformità con la destinazione della zona in cui erano ubicati. Nello stesso senso di cui sopra, si esprime anche l’art. 2, comma 2, terzo periodo, quando richiede la compatibilità degli edifici con la destinazione della zona in cui sono ubicati. Ovviamente l’edificio oggetto di demolizione e ricostru-


Art. 2, comma 1: Il comma è applicabile anche agli edifici residenziali ubicati in zona agricola. E’ vero che l’art. 1, comma 1, nel disciplinare gli ampliamenti per gli edifici residenziali, contiene l’inciso “ancorché ubicati in zona agricola”, mentre tale inciso non è contenuto nell’art. 2, comma 1; tuttavia, è più fondato ritenere che l’art. 2, comma 1, riguardi anche gli edifici residenziali situati in zona agricola per le seguenti considerazioni: a) l’art. 2, comma 1, riguarda espressamente la demolizione anche integrale e la ricostruzione degli edifici residenziali (senza esclusioni) che necessitano di essere rinnovati e adeguati sotto il profilo della qualità architettonica o della sicurezza antisismica. Pertanto, va prestata attenzione alle necessità oggettive della qualità architettonica o della sicurezza antisismica a prescindere dal fatto che l’edificio residenziale sia ubicato in zona agricola o in altra zona. Sarebbe proprio strana una norma che consentisse, ad esempio per ragioni di sicurezza antisismica, la demolizione e ricostruzione dell’edificio residenziale situato in zona B e non la consentisse per l’edificio situato in zona E; b) i successivi commi dell’art. 2 ammettono espressamente la demolizione e ricostruzione degli edifici non residenziali situati in zona agricola. Anche per questo aspetto, sarebbe del tutto assurda una norma che consentisse, ad esempio per ragioni di sicurezza antisismica, la demolizione e ricostruzione dell’edificio non residenziale situato in zona E e non la consentisse all’edificio residenziale ubicato nelle vicinanze e nella medesima zona; c) nell’art. 1, comma 1, l’inciso “ancorché ubicati in zona agricola” è essenziale perché, in sua mancanza, si poteva pensare che gli edifici residenziali e non residenziali in zona agricola fossero disciplinati unicamente dai commi 5 e 6 dello stesso art. 1. Invece, nell’art. 2, comma 1, l’inciso non è essenziale in quanto non sono presenti in questo articolo ulteriori commi sugli edifici residenziali in zona agricola. Per gli aspetti sismici sono comunque da considerasi sempre prevalenti le disposizioni contenute nel D.M 14 gennaio 2008 rispetto a quelle eventualmente non coerenti conte-

nute nella legge. Art. 2, comma 2: Il divieto di mutamento della destinazione d’uso degli edifici non residenziali ubicati nelle zone omogenee a destinazione agricola, industriale, artigianale, direzionale e commerciale di cui al d.m. 1444/1968 previsto dall’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 2 fornisce anche la chiave di lettura per una corretta interpretazione del successivo comma 5, le cui disposizioni vanno intese nel senso che agli interventi di cui all’art. 2 si applica quanto previsto all’art. 1, comma 8, limitatamente agli aspetti relativi alla cosiddetta monetizzazione degli standard e non anche ai cambi di destinazione d’uso che continuano ad essere normati dal comma 2 dell’art. 2. Art. 2, commi 3 e 4: valgono considerazioni analoghe a quelle fatte per l’art. 1 commi 3 e 4. Art. 2, comma 5 : si rimanda alle considerazioni svolte a proposito dell’art. 2, comma 2. Coordinamento degli artt. 1 e 2 della L.R. 22/2009 con l’art. 6 della L.R. 13/1990: Come rilevato in precedenza, le disposizioni della L.R. 22/1990, in particolare quelle degli artt. 1 e 2, riguardano anche gli edifici situati in zona agricola, siano essi residenziali o non residenziali. Queste disposizioni prevalgono sull’art. 6 della L.R. 13/1990, dedicato al recupero del patrimonio edilizio esistente. Pertanto, nel periodo di applicabilità della L.R. 22/2009 gli interventi di cui agli artt. 1 e 2 e i relativi incrementi volumetrici o di superfici possono riguardare anche gli edifici rurali esistenti in zone agricole per i quali l’art. 6, comma 1, della L.R. 13/1990 ammette soltanto interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, senza alcun aumento di volumetria. Identica conclusione vale per gli edifici utilizzati per attività agrituristiche e per le abitazioni rurali, di cui rispettivamente all’art. 15 della L.R. 3 aprile 2002, n. 3 e all’art.6, comma 5, della L.R. 13/1990. Identica conclusione vale, infine, per quanto previsto dall’art. 6, comma 2, della L.R. 13/1990 e pertanto la ristrutturazione degli edifici esistenti può avvenire previa demolizione e con gli incrementi previsti dalla L.R. 22/2009. Per gli interventi di cui agli artt. 1 e 2 della L.R. 22/2009

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zione con eventuale ampliamento potrà essere sempre ricollocato nell’ambito del lotto di originaria pertinenza (per lotto si intende il fondo su cui sorge l’edificio e non la singola particella catastale, considerato che l’estensione di quest’ultima può risultare a volte piccolissima a seguito di eventi contingenti), fatto salvo il rispetto degli altri parametri urbanistico edilizi che la disciplinano.


vale quanto disposto dall’art. 5, comma 1, ultima parte, della L.R. 13/1990 e cioè che non si osserva il limite di ml. 20 per le distanze dai confini. Ovviamente gli interventi previsti dalla L.R. 22/2009 vanno effettuati secondo i limiti stabiliti dalla legge medesima: ad esempio, per gli edifici ubicati in zona agricola costruiti prima del 1950, l’ampliamento è consentito a condizione che non vengano alterati il tipo edilizio e le caratteristiche architettoniche. Inoltre, non sono possibili detti interventi sugli edifici censiti ai sensi degli artt. 15, comma 3 e 40 delle NTA del PPAR, nonché dell’art. 15, comma 2, della L.R. 8 marzo 1990, n. 13, sottoposti a restauro e a risanamento conservativo. art. 3, comma 2: Il secondo periodo stabilisce: “Il piano delle alienazioni e valorizzazioni può prevedere il mutamento di destinazione d’uso degli edifici pubblici, ai sensi dell’articolo 58, comma 2, del d.l. 112/2008”. Per molti aspetti il richiamo dell’art. 58, comma 2, del d.l. 112/2008, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133, è essenziale: l’inserimento degli immobili nel piano delle alienazioni e valorizzazioni determina la loro classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del suddetto piano costituisce variante allo strumento urbanistico generale, che di regola non necessita di verifiche di conformità agli atti di pianificazione sovraordinata provinciali e regionale. I problemi sorgono relativamente al punto dell’art. 58, comma 2, che richiede la verifica di conformità per le varianti che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dallo strumento urbanistico vigente. Al riguardo, è necessario considerare che le varianti e le variazioni volumetriche di cui alla legge regionale - sempre superiori al 10 per cento - sono determinate dalla legge stessa e non da una autonoma scelta di singoli Comuni. Inoltre, è la legge stessa che consente le suddette variazioni volumetriche in deroga ai regolamenti edilizi e alle previsioni dei piani urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, con la conseguenza che, da un lato, la verifica di conformità della Provincia comporterebbe una sovrapposizione inammissibile alla volontà espressa nella legge regionale; dall’altro lato, costituirebbe un aggravio procedimentale del tutto inutile, in quanto la legge regionale deroga addirittura ai piani provinciali e regionali. In altri termini, non si vede quale potrebbe essere il senso di questa verifica di conformità della Provincia di fronte a Comuni che affermano di applicare la legge regionale sugli ampliamenti e sulle demolizioni e ricostruzioni. Più propriamente, la verifica di conformità si trasformerebbe in una presa d’atto. Pertanto, il richiamo contenuto all’art. 58, comma 2, va inteso nel senso che le varianti e le variazioni volumetriche disposte in attuazione dell’articolo 3 della legge regionale non richiedono la verifica di conformità agli atti di pianificazione sovraordinata provinciali e regionale, essendo la conformità predeterminata dalla legge regionale. Nel caso di piani delle alienazioni e valorizzazioni predisposti ai sensi dell’art. 3 da parte di Enti diversi dal Comune è comunque richiesto, per gli effetti di variante allo strumento urbanistico generale, l’assenso di quest’ultimo con

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specifica delibera di Consiglio. Per le stesse ragioni sopra richiamate i piani attuativi di iniziativa privata o pubblica che danno attuazione alla presente legge non sono soggetti a valutazione ambientale strategica. art. 3, comma 4: si riferisce agli immobili di proprietà degli ERAP o dei Comuni. La disposizione non è limitata ai casi in cui gli ERAP o i Comuni sono proprietari esclusivi degli immobili, ma comprende anche i casi in cui in ottemperanza alle leggi sulla alienazione di appartamenti di edilizia residenziale pubblica, parte degli appartamenti siano stati alienati e una parte prevalente dell’edificio, vale a dire superiore al 50%, sia rimasta di proprietà ERAP o comunali. L’incremento del 50 per cento della volumetria esistente va riferito alla parte di proprietà pubblica e l’ERAP o il Comune definiscono le modalità di intervento sentiti i proprietari privati degli appartamenti. art. 4 comma 1: I Comuni entro 45 giorni dall’entrata in vigore della legge debbono individuare ulteriori parametri urbanistico-edilizi oltre a quelli già individuati dalla legge, in quanto molti strumenti urbanistici ne prevedono alcuni (es. rapporti di copertura, rapporti di impermeabilizzazione, etc) che se non fossero derogabili renderebbero di fatto inapplicabile la legge nella maggior parte dei casi. Si evidenzia che i limiti di densità edilizia stabiliti dal D.M. 1444/68 potranno essere derogati (e questo, ad esempio, permetterà di consentire molti interventi in zona agricola che altrimenti sarebbero stati impossibili), mentre rimangono inderogabili quelli di altezza e di distanza tra fabbricati, salvo quanto previsto al successivo comma, ovvero che rimangono comunque valide le deroghe previste dall’art. 11 del D.L.gs. 115/2008 e dall’art. 8 della L.R. 14/2008 relative ai cosiddetti extraspessori necessari per il miglioramento dell’efficienza energetica. Si sottolinea infine che vi è una evidente mancanza di raccordo tra le previsioni di questo comma relative alle sopra richiamate ulteriori possibili deroghe ai parametri urbanistico – edilizi da parte dei Comuni e quanto stabilito dal successivo art. 9, comma 1, il quale, ad una sommaria lettura sembrerebbe consentire soltanto ulteriori limitazioni al campo di applicazione della legge. In realtà dal combinato disposto dell’art. 4, comma 1 e dell’art. 9, comma 1 risulta evidente che lo strumento per dare attuazioni alle previsioni di tali commi è una delibera di Consiglio Comunale, la quale oltre a porre ulteriori limitazioni all’applicabilità della legge, può invece introdurre ulteriori deroghe ai regolamenti edilizi e alle previsioni dei piani urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali. In ogni caso, come espressamente stabilito dalla legge, non potranno essere derogate le distanze tra fabbricati stabilite dal D.M 1444/68; per quanto riguarda le distanze dai confini non potranno in ogni caso essere pregiudicati eventuali diritti di terzi, sempre per quanto riguarda le distanze dai confini sono comunque fatte salve eventuali distanze inferiori previste dagli strumenti urbanistici o dai regolamenti edilizi (es. possibilità di allineamenti a fronti preesistenti, etc.). art. 4 comma 2: valgono le considerazioni fatte per l’art.


art. 5 comma 4: Con la delibera di cui all’art. 9, o con altra apposita delibera, i Comuni devono dare attuazione al presente comma, stabilendo la percentuale di incremento dei diritti di segreteria, per far fronte in maniera ottimale al probabile incremento del numero di domande.

essere destinata agli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici. art. 6 comma 4: il comma deve essere inteso esattamente nella sua disposizione letterale e quindi qualora gli interventi di demolizione e ricostruzione comportino l’accessibilità dell’unità immobiliare ai fini del superamento delle barriere architettoniche il contributo di costruzione non è dovuto. Al riguardo il Regolamento per l’eliminazione delle barriere architettoniche (DM 14 giugno 1989, n. 236), all’art. 3, comma 1, stabilisce: “In relazione alle finalità delle presenti norme si considerano tre livelli di qualità dello spazio costruito. L’accessibilità esprime il più alto livello in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato. La visitabilità rappresenta un livello di accessibilità limitato ad una parte più o meno estesa dell’edificio o delle unità immobiliari, che consente comunque ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. La adattabilità rappresenta un livello ridotto di qualità, potenzialmente suscettibile, per originaria previsione progettuale, di trasformazione in livello di accessibilità; l’adattabilità è, pertanto, un’accessibilità differita”. art. 7 comma 2: Si prevede che in caso di abusi edilizi relativi ad interventi richiesti ai sensi della presente legge oltre all’applicazione delle sanzioni e dei provvedimenti di cui al titolo IV del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, siano irrogate ulteriori sanzioni. art. 9, comma 1: si rimanda alle considerazioni svolte a proposito dell’art. 4, comma 1. Si ribadisce inoltre la perentorietà del termine di 45 giorni entro il quale i Comuni debbono approvare gli specifici atti previsti dal comma.

art. 6 comma 3: il secondo periodo di questo comma deve essere letto nel senso che in caso di mutamento della destinazione d’uso di cui all’art. 2, comma 2 (e solo in questa ipotesi) la quota di contributo di costruzione deve

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4 comma 1. art. 4 comma 4: Richiamato quanto evidenziato in premessa si ricorda che per la definizione di edificio ci si deve riferire alla lett. bb) del Regolamento Edilizio Tipo Regionale. art. 4 comma 5: I divieti stabiliti dal presente comma non sono derogabili dai Comuni. Si precisa altresì che per quanto riguarda le aree di tutela integrale – anche se altrimenti denominate dai PRG comunali adeguati al PPAR - valgono comunque le esenzioni previste dall’art. 60 del P.P.A.R. o quelle richiamate negli strumenti urbanistici ad esso adeguati. art. 4 comma 8: Il comma deve essere letto nel senso che non è consentita l’applicazione della legge qualora gli incrementi determinino un passaggio da un esercizio di vicinato ad una media struttura di vendita, oppure da una media struttura di vendita a una grande struttura di vendita. art. 4, comma 9: Il riferimento al D.M. 1444/1968 per le zone di protezione stradale va inteso come riferimento al D.M. 1 aprile 1968, n. 1404 (Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all’art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765). art. 5 comma 1: I titoli abilitativi edilizi sono quelli previsti dal D.P.R. 380/2001 e non sono previste specifiche semplificazioni; sono anzi previste ulteriori asseverazioni in merito al rispetto di quanto richiesto dalla legge per gli aspetti energetici, sismici, etc.; si vedano anche le considerazioni svolte a proposito dell’art. 2, comma 1. Per gli aspetti energetici, la disposizione in esame ha volutamente utilizzato il termine “asseverazione” e non quello di “certificazione”, per intendere una valutazione agile e semplificata che il progettista o altro tecnico abilitato possono svolgere.


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