I SUPERFOOD? NO, ORA CI SONO GLI SMARTFOOD! La ultime scoperte della scienza dicono che alcuni frutti e ortaggi non solo prevengono le malattie ma ci aggiungono anche anni di vita. Il settore sarà in grado di trarre vantaggio da questo assist servito su un piatto d’argento? IDEE TENDENZE MERCATI BUSINESS
ELNATHEDITORE
N.17 l OTTOBRE 2016 l TRIMESTRALE
Editoriale |
Eugenio Felice
La sindrome di Peter Pan “Il libro è alla nona ristampa, 100 mila copie vendute in 6 mesi e costantemente nella classifica dei libri più venduti. Sono già stati ceduti i diritti per la pubblicazione in Spagna, Portogallo, Polonia, Serbia, Lituania, Corea del Sud, Brasile e altri Paesi dell’America Latina e Centrale”. Ce lo riferisce con entusiasmo Eliana Liotta, giornalista di RCS (scrive per Sette e Io donna), già direttore del mensile, del sito e della collana di libri OK Salute e vicedirettore del settimanale Oggi. La abbiamo contattata nel mese di agosto per avere qualche delucidazione sul libro del momento, La dieta Smartfood, di cui lei è co-autrice (trovate una recensione a pagina 44). Si tratta della prima dieta italiana con un marchio scientifico, quello del celebre Istituto Europeo di Oncologia di Milano, diretto fino al 2014 da Umberto Veronesi. Nel libro si svelano gli alimenti di lunga vita, quelli in grado di dialogare con il nostro dna e tenere a bada i geni dell’invecchiamento. Leggiamo un breve passaggio: “Diversi studi clinici concordano nell’attribuire agli oltre 300 tipi di cavoli e broccoli il merito di ridurre il rischio di ammalarsi di molti tipi di cancro. Le sostanze antitumorali su cui si concentra l’attenzione degli scienziati sono i glucosinolati, un’arma di protezione delle piante, perché conferiscono un certo sapore amaro che scoraggia insetti e animali erbivori e salvaguardano anche noi, quando li ingeriamo, perché pare proprio si comportino come una sorta di pesticida che uccide le cellule tumorali. Il cavolo cappuccio rosso, o cavolo viola, batte la concorrenza delle altre crucifere su un punto: contiene le antocianine, i pigmenti che gli conferiscono il colore tipico e che lo fregiano del titolo di “longevity smartfood”. Come suggeriscono gli studi dello IEO, queste molecole mimano gli effetti della restrizione calorica sulle vie genetiche della longevità”. In compagnia dei cavoli rossi il libro indica altri 19 di questi alimenti straordinari che non solo non ci fanno ammalare, ma addirittura ci aggiungono anni di vita. E se togliamo cioccolato fondente, tè verde e nero, capperi e curcuma, si tratta di frutti o ortaggi. Incredibile: il nostro bistrattato
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settore riceve l’ennesimo assist dalla scienza e che assist. Eppure l’agricoltura in Italia si contrae - si leggano in proposito il nostro articolo sul Mercato di Oristano o i dati pubblicati da Ismea a maggio - e non riesce a fare reddito. Il motivo? Il solito: il comparto non si è rinnovato in modo strutturale, è rimasto più o meno quello di venticinque anni fa, quando nasceva il web che avrebbe rivoluzionato il mondo, come ci ha ricordato il 23 agosto Facebook. Invece di strutturarsi e fare vera aggregazione, le aziende sono ancora lì a parlare di contributi comunitari, fiere, mazzette, falso made in Italy, caporalato, politici inadeguati. Tutte, o quasi, focalizzate sul quotidiano, incapaci di fare progetti sul medio e lungo termine. Ogni scusa sembra buona per giustificare lo stato delle cose. Per fortuna non mancano gli esempi virtuosi, ma sono ancora troppo pochi. Di alcuni parliamo in questo numero della rivista, che vede anche il debutto della rubrica “idee grif...fate”, curata da Renata Cantamessa, in arte Fata Zucchina, che ci racconterà case-history smart e innovative dal mondo della produzione o della distribuzione. Buona lettura!
FRUITBOOKMAGAZINE
PAG. 7
EDITORIALE VIA COL GUSTO. A CHE PREZZO? IMMAGINI
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IL RICORDO PISANI TRA LE VITTIME DEL TRAGICO SCONTRO TRA TRENI IN PUGLIA BUONE NOTIZIE APPROVATA LA (POCO) CORAGGIOSA LEGGE ANTI SPRECO ALIMENTARE INNOVAZIONE VOL, FIORI RECISI DI CALANCOLA CON BEN SEI SETTIMANE DI FIORITURA RIFLESSIONI LO STRANO SETTORE IN CUI MANCA UNA RAPPRESENTANZA UNITARIA FIERE INTERPOMA RIFLETTE SULLA MELA TRA SFIDE E NUOVE OPPORTUNITÀ RETAIL ESSELUNGA, I FONDI AMERICANI PRONTI A SBORSARE 6 MILIARDI MERCATI / MELE CALA LA PRODUZIONE DI GOLDEN CRESCONO LE “ALTRE” VARIETÀ CLUB TREND BAOBAB, UNA FARMACIA NATURALE CHE NON SI TROVA ANCORA IN GDO CRONACA ALLARME E.COLI NEL REGNO UNITO PER L’INSALATA MISTA CON RUCOLA SCENARI A PUTIN SONO BASTATI SOLO DUE ANNI PER STRAVOLGERE IL SETTORE MERCATI / PERE L’ITALIA CONFERMA LA LEADERSHIP NELLA PRODUZIONE DI PERE ESTERI AHOLD DELHAIZE COMPLETANO LA FUSIONE DA 54 MILIARDI DI EURO LA RICERCA LA DIETA VEGANA? È MENO SOSTENIBILE DI QUANTO SI CREDA IL LIBRO OLTRE I SUPERFOOD CI SONO GLI SMARTFOOD CHE ALLUNGANO LA VITA IL PRODOTTO FUNBURGER, NUOVO GUSTO BIO: CHAMPIGNON, ZENZERO E CURCUMA INGROSSO AMAZON SCOPRE GLI ORTOMERCATI E SI ACCORDA CON MERCAMADRID IL DETTAGLIO SI CHIAMA “VERDURA” LA CATENA BOUTIQUE CON PREZZI DA MERCATO PACKAGING CASSETTE IN PLASTICA RIUTILIZZABILI -31% DI CO2 RISPETTO AL CARTONE IDEE GRIF...FATE ORTOQUI,CONSORZIO NORD OVEST E LA VICINANZA RESPONSABILE MENS SANA CURCUMA E CURCUMINA ESSENZIALI PER LA SALUTE DEL NOSTRO CERVELLO
20 22 24 26 28 30 32
64 / ARRIVA IL GOJI ITALIANO, FRESCO,
70 / GERMOGLI VIVO, DA 10 ANNI LEADER IN
ANCHE IN GDO
MICRO VEGETALI
34 36 38 40 44 46
76 / BIO AL GIRO DI BOA. 84 / LE VIRTÙ NASCOSTE LE ISOLE ALMAVERDE BIO DELLE PATATE. QUELLE
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ALLA CONQUISTA DELLA GDO VIOLA POI...
50 52 54 58 60 62
PANORAMA
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iFRESH
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CONTENUTI
88 / PATATE VIOLA, IN 90 / ORISTANO, STORIA SALUTE BATTONO 10 A DI UN MERCATO DAL ZERO LE PATATE COMUNI
DESTINO INCERTO FRUITBOOKMAGAZINE
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ELNATHEDITORE Direttore responsabile Eugenio Felice Hanno collaborato: Marta Baldini, Carlotta Benini, Renata Cantamessa, Irene Forte, Giancarlo Sbressa, Giovanni Turrino, Marco Zanardi
96 / DA AGRICOLA 102 / CEDOF, SI CHIAMA CAMPIDANESE L’IMPEGNO “SPA” IL MODELLO PER 10
A RIDARE SLANCIO ALL’ORTOFRUTTA SARDA
CRESCERE ANCORA
Redazione e Pubblicità Via Poiano 53 37029 - San Pietro in Cariano (Vr) Tel. 045.6837296 redazione@fruitbookmagazine.it adver@fruitbookmagazine.it Abbonamenti Spedizione in abbonamento postale Abbonamento Italia: 50,00 euro abbonamenti@fruitbookmagazine.it Graphic designer Marco Fogliatti Fotolito CianoMagenta Stampa Elcograf Spa - Via Mondadori 15 37131 - Verona (Vr)
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[ just business, no bullshit!]
2017
Guida alla distribuzione moderna italiana
Tiratura numero ottobre 2016: 8.500 copie
FOCUS:
ORTOFRUTTA
Testata registrata presso il Tribunale di Verona LE CENTRALI DI ACQUISTO NAZIONALI E REGIONALI
Associato all'Unione Stampa Periodica Italiana
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25 43 57 11 61 95 47 33 12 111 51 101 41 93 2-3 53 79
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Rimini 14-16 Settembre Pad. B5 - Stand 109
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L’investimento Verzuolo (Cn), 22 agosto 2016 Ăˆ entrato in funzione il nuovo stabilimento di Rivoira ad elevata automazione, oggi il piĂš avanzato in Europa per la lavorazione delle mele, dimensionato per lavorare 100 mila tons di prodotto, con due magazzini automatici alti 36 e 24 metri e due calibratrici Aweta di ultimissima generazione.
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Il basilico di nemo Noli (Sv) 1 luglio 2016 Dai vegetali alla cosmesi, cresce l’Orto di Nemo della Ocean Reef e diventa un vero e proprio laboratorio con cinque biosfere a 100 metri dalla riva e a 7-9 metri di profondità che gravitano attorno a un albero della vita come quello di Expo. Da qui proviene l’unico basilico al mondo prodotto sotto acqua.
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La soluzione India, 10 luglio 2016 Originario delle pendici dell’Himalaya, il Jackfruit è ricco di carboidrati e sali minerali. Essendo facile da coltivare viene considerato l’alternativa a riso, mais e grano. In più è diventato di moda in Occidente essendo un vero superfood. Coi suoi 30 kg è il più grande frutto tra quelli che crescono sugli alberi.
il ricordo |
Eugenio Felice
Pisani tra le vittime del tragico scontro tra treni in Puglia 20
Era uno dei massimi esperti italiani di marketing agroalimentare e collaboratore della nostra rivista oltre che coorganizzatore dell’evento Fresh Retailer. È tra le 23 vittime del tragico scontro tra treni in Puglia del 12 luglio scorso. 49 anni, stimato nel settore ortofrutticolo dove ha ricoperto numerosi incarichi a scavalco tra il commerciale, il marketing e la business strategy. Il nostro pensiero va alla sua piccola e adorata Vittoria e alla moglie Alessandra “Chiquita” era chiamato dagli amici più stretti, per via del suo lungo trascorso (16 anni) nella nota multinazionale delle banane. Dopo la laurea in economia e commercio all’Università di Pavia, sua città di origine, e il master in business administration alla Bocconi di Milano, Pisani aveva incominciato la sua carriera in Coca-Cola per poi passare alla Chiquita. Dopo una breve parentesi in Del Monte - nel 2011 - decide di fondare la Pisani Food Marketing per mettere il suo sapere e la sua esperienza al servizio delle piccole e medie imprese italiane del settore alimentare, confezionando dei progetti di marketing strategico “su misura”. Tra i clienti c’erano tante aziende del settore ortofrutticolo. Questa primavera è diventato anche un volto FRUITBOOKMAGAZINE
noto della televisione essendo stato tra i giudici dell’innovativo programma La Ricetta Perfetta, andato in onda la domenica mattina su Canale 5. Pisani avrebbe compiuto 50 anni il 26 agosto. Una persona solare e positiva. Elegante nella presenza e nei modi, un gentiluomo d’altri tempi. Un grande professionista, che ha contribuito a far crescere la nostra testata Fm, di cui era prezioso collaboratore (gli ultimi due articoli sono stati pubblicati sul numero di luglio), e l’evento Fresh Retailer di cui era co-organizzatore. Un professionista apprezzato di cui il settore non potrà non sentire la mancanza, essendo stato Pisani uno dei pochissimi esperti in marketing agroalimentare e certamente il più completo, data la grande esperienza sul fronte manageriale. La mattina della tragedia, il 12 luglio, era sul treno diretto verso Bari dove avrebbe preso l’aereo per rientrare a Milano, sua città di residenza. Aveva lasciato la moglie e la figlia al mare. L’immagine che resterà indelebile nella nostra memoria è la felicità che si poteva leggere piena nei suoi occhi quando ci raccontava della sua piccola e adorata Vittoria. Il nostro pensiero va a lei e a tutti i familiari delle vittime di questo tragico evento. Abbiamo scattato questa foto il 16 giugno durante la conferenza stampa di presentazione del prodotto vincitore del programma La Ricetta Perfetta andata in onda su Canale 5, con main sponsor Lidl. Maurizio Pisani è stato tra i giudici in qualità di esperto di marketing. Proprio questo innovativo format è stato oggetto di uno degli ultimi articoli che ha scritto per la nostra testata Fm. l N.17 l OTTOBRE 2016
buone notizie |
Marco Zanardi
Approvata la (poco) coraggiosa legge anti spreco alimentare 22
È stata approvata nel mese di agosto in via definitiva al Senato la legge anti spreco alimentare. Così facendo l’Italia diventa il secondo Paese, dopo la Francia, a dotarsi di una legge che mira a ridurre lo spreco di cibo ancora commestibile. L’approvazione della legge è stata accolta positivamente, ma lascia comunque l’amaro in bocca. Rispetto alla norma varata in Francia, che si basa sulla penalizzazione, quella italiana punta su incentivi e semplificazione Secondo gli esperti l’impostazione diversa rispetto all’omologa francese ne limiterebbe le capacità di impatto. La legge italiana, infatti, è molto meno coraggiosa di quella francese che ha reso obbligatoria la donazione per i grandi supermercati del cibo ancora commestibile imponendo anche pesanti sanzioni e pene detentive per quelli che gettano il cibo nelle discariche o negli inceneritori. La legge italiana, al contrario, si basa su incentivi e bonus che intendono favorire il riciclo del cibo ancora commestibile, lasciando, però, ai grandi supermercati la facoltà di scegliere cosa fare dei prodotti. La legge italiana mira quindi a favorire le buone pratiche ma senza introdurre alcun obbligo per i supermercati. Vediamo meglio cosa prevede la legge italiana contro lo spreco alimentare. FRUITBOOKMAGAZINE
La prima novità riguarda gli incentivi di carattere finanziario e tributario per coloro che evitano lo spreco di cibo. Per le imprese economiche (bar, ristoranti, supermercati) che donano il cibo ancora commestibile il Comune potrà prevedere una riduzione della tassa sui rifiuti “proporzionale alla quantità, debitamente certificata, dei beni e dei prodotti ritirati dalla vendita e oggetto di donazione”. Oltre agli incentivi la legge anti spreco prevede anche forme di semplificazione burocratica per tutti quegli attori interessati a riciclare, ma che incontrano molte difficoltà a causa delle farraginose regole italiane. Prima della legge, infatti, per regalare il cibo in scadenza era obbligatorio fare una dichiarazione preventiva che indicasse 5 giorni prima destinatario e cibo da regalare. Con la legge anti spreco alimentare, invece, sarà sufficiente fare un resoconto a fine mese dei prodotti regalati e dei soggetti beneficiari. Le legge potenzia anche il ruolo del tavolo indigenti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che ha già avviato un’attività di recupero del cibo sprecato da donare ad enti caritatevoli. La legge stanzia i primi 2 milioni di euro (del piano complessivo da 10 milioni) per l’acquisto di alimenti da destinare alle persone in difficoltà. Poi viene istituito un altro fondo, con dotazione di un milione di euro all’anno per il prossimo triennio per finanziare progetti innovativi per il riciclo e riuso di cibo ancora commestibile e sul packaging intelligente antispreco. Questa legge dovrebbe permettere di recuperare oltre un milione di euro di cibo sprecato all’anno. Ma quanto cibo si spreca ogni anno nel mondo? A livello mondiale, secondo le stime, lo spreco si attesta a circa mille miliardi all’anno. l N.17 l OTTOBRE 2016
innovazione |
Eugenio Felice
VOL, fiori recisi di calancola con ben sei settimane di fioritura 24
Ormai non ci sono più dubbi: il reparto fiori e piante sta assumendo un ruolo strategico nelle politiche di vendita dei supermercati. Nel Regno Unito, nei grandi store di Sainsbury’s, Waitrose e Tesco si trovano all’ingresso del punto vendita, subito prima del reparto ortofrutta. Anche in Italia le vendite sono in costante aumento, così come le proposte pensate per le esigenze della GDO Negli ultimi anni piante e fiori recisi stanno andando alla grande presso la distribuzione moderna, dal Nord al Meridione, con un trend in crescita. Anche sui volantini, compresi quelli dei discount, si trovano affianco a frutta, ortaggi, carne, formaggi, bibite e pasta anche fiori e piante. Va detto però che si tratta di prodotto fresco o freschissimo: in particolare per i fiori recisi, che sia un tulipano o una rosa, una calendula o una calla, la shelf-life può essere molto breve, anche solo di una giornata e l’attenzione dell’addetto nel punto vendita deve restare molto alta. A semplificare le cose arriva la proposta della VOL di Verona, che si è garantita l’esclusiva di produzione in Italia, in stretta partnership con il vivaio puglie-
FRUITBOOKMAGAZINE
se Cairo & Doutcher, e di commercializzazione in Italia e nell’Europa dell’Est della calancola a marchio Queen. Si tratta di un fiore reciso straordinario che stabilisce un nuovo record in fatto di longevità nella categoria: sono garantite ben sei settimane di fioritura, con varietà selezionate di differenti colori, degli eleganti steli in fiore che mantengono luminosità e freschezza per la stessa durata dei fiori in vaso. Non parliamo quindi di calancole comuni. Belle sono belle, ma è proprio la loro longevità, sia con che senza acqua, che le rende uniche e che le ha fatte apprezzare nei Paesi in cui sono già state introdotte. “In realtà dai test che abbiamo fatto durano anche più di sei settimane”, ci ha riferito Oscar Sambugaro all’indomani del primo raccolto, verso la fine di agosto. “Le proponiamo in bouquet da tre steli con film pesonalizzato oppure da cinque steli in una confezione che assomiglia a un vaso e che al suo interno ha un panno bagnato. Il marchio Queen è ben riconoscibile, moderno e pulito. Diamo anche la possibilità di attrezzare l’area di vendita con degli espositori. Il consumatore finale non potrà che apprezzare”. Le due aziende stanno collaborando anche per sviluppare un ambizioso progetto legato al melograno. Una proposta senz’altro innovativa per la VOL che sta investendo sempre di più nella parte produttiva attraverso la cooperativa Ape di Giulietta e nei prodotti in grado di dare valore a tutta la filiera.
l N.17 l OTTOBRE 2016
riflessioni |
Eugenio Felice
Lo strano settore in cui manca una rappresentanza unitaria 26
Negli ultimi mesi si è iniziato a parlare della necessità di arrivare a un’associazione che rappresenti in modo unitario il comparto ortofrutta nazionale. Noi lo sosteniamo da più di un anno: ne avevamo parlato in un editoriale della scorsa estate e avevamo anche ipotizzato il nome: Federfrutta, semplice quanto efficace. Una strada difficile da percorrere? Meno di quello che si potrebbe pensare e farebbe fare alle imprese del settore un decisivo passo in avanti Noi lo avevamo scritto già la scorsa estate, nell’editoriale dal titolo “Chi difende il settore?”: per fare un salto di qualità decisivo ed elevare la sua confusa immagine il comparto nazionale dell’ortofrutta dovrebbe fare lobby e costituire un unico organismo di rappresentanza. Ecco le testuali parole: “Esiste Federvini, esiste Federfarma, esiste Federalimentare. Dov’è Federfrutta? Chi difende il settore quando è attaccato? La tanto criticata Oi ha altro cui pensare, il settore è ancora troppo focalizzato su contributi comunitari, politiche commerciali e ristrutturazioni aziendali”. Senza andare a scomodare i creativi, avevamo quindi azzardato anche il nome, tanto semplice, per non dire banale, quanto efficace. Nella comunicazione, del resto, bisogna usare un linguaggio semplice. Oggi esiste una pletora di associazioni che difendono ogni piccola o grande categoria - commercianti, produttori, esportatori, grossisti, direttori dei mercati, mercati all’ingrosso, organizzazioni di produttori, ecc. - ma non esiste una FRUITBOOKMAGAZINE
unica associazione che rappresenti tutto il comparto. Una cosa tanto incredibile quanto imbarazzante, per un settore che dal 2010 è la prima voce dell’export agroalimentare italiano, avendo superato anche il tanto blasonato vino, che la sua federazione, Federvini, ce l’ha da un secolo giusto (correva l’anno 1917). Cosa significa tutto ciò per le aziende che operano nel settore dell’ortofrutta, atavicamente incapaci di fare aggregazione? Ciò che è sotto gli occhi di tutti. Questi sono gli anni in cui il settore dovrebbe prosperare essendo l’ortofrutta univocamente indicata da tutti come il principe degli alimenti e invece assistiamo ad aziende agricole che chiudono a raffica sotto il peso di remunerazioni incapaci di pagare i costi di produzione. Qualcosa non funziona e l’assenza di una associazione unitaria è probabilmente solo la punta dell’iceberg. La mancanza di quella che abbiamo chiamato Federfrutta significa non avere peso politico, che si traduce anche nella scarsità di rapporti bilaterali oltre che delle misure a sostegno del settore, ma significa anche non avere alcun peso sull’opinione pubblica, che oggi più che mai andrebbe rassicurata e orientata. Il bello è che per fare una federazione di questo genere basterebbe poco. Dovrebbero mettersi a un tavolo i presidenti delle maggiori associazioni che rappresentano chi produce, chi confeziona e chi commercializza la frutta e gli ortaggi e il gioco sarebbe fatto. Si spalancherebbero d’un colpo le porte della stampa che conta e dei ministeri. Impossibile? No, necessario. I tempi lo richiedono. Nell’immagine di questa pagina una campagna di comunicazione di Federvini sul “fisco sbagliato” apparsa sui quotidiani nazionali sul finire del 2014. La Federazione è nata nel 1917, è tra i membri fondatori di Federalimentare e fa parte di Confindustria. l N.17 l OTTOBRE 2016
fiere |
Eugenio Felice
Interpoma riflette sulla mela, tra sfide e nuove opportunità 28
A Fiera Bolzano, dal 24 al 26 novembre prossimi, torna l’appuntamento biennale col salone internazionale della mela, nato nel 1998. In occasione del decennale, oltre alle conferme del congresso “La Mela nel Mondo” e degli educational tour nelle zone di produzione, anche le novità di una fiera ancora più vasta e del coinvolgimento di tutta la città. Durante il congresso si discuterà di come reagire al momento critico che sta vivendo il comparto Sarà un’edizione speciale quella di Interpoma 2016, il salone internazionale della mela in programma dal 24 al 26 novembre prossimi a Fiera Bolzano che quest’anno soffierà su 10 candeline. Innanzitutto la fiera si allargherà ulteriormente, occupando interamente i quattro settori dei 25 mila metri quadrati a disposizione ed è prevista un’affluenza da almeno 70 Paesi del mondo. Il clou della manifestazione si conferma, come è ormai consuetudine, il congresso “La Mela nel Mondo”, in programma durante le mattinate dei tre giorni della fiera, con relatori di altissimo livello provenienti dalle zone del mondo più vocate alla produzione della mela. Nel medesimo contesto, ci sarà anche l’occasione di presentare nuove varietà, grazie soprattutto all’adesione all’evento di imFRUITBOOKMAGAZINE
portanti centri di ricerca, come quelli di Laimburg e di San Michele all’Adige. In virtù dell’alto numero di richieste degli anni precedenti, per Interpoma 2016 saranno ulteriormente potenziati gli educational tour rivolti ai visitatori della fiera. In particolare, ogni giorno saranno organizzate un paio di visite in due o tre location nei dintorni di Bolzano, per mostrare agli operatori del settore provenienti da tutto il mondo i metodi di produzione, di differenziazione e di stoccaggio delle mele in Alto Adige. Per celebrare il decimo compleanno di Interpoma, per la prima volta in assoluto l’organizzazione della Fiera sta lavorando per coinvolgere anche la stessa città di Bolzano, nell’intento di organizzare in centro iniziative e manifestazioni che abbiano come comune denominatore il mondo della mela. Chi proviene da fuori potrà così scoprire per la prima volta il “fuori salone” della mela, con diverse iniziative pensate appunto per un pubblico eterogeneo e internazionale. Tornando al congresso, la prima giornata, giovedì 24 novembre, avrà come tema “Il mercato delle mele in fase di transizione”, e si discuterà su come reagire al momento critico che sembra stia attraversando il comparto. In particolare, si indagheranno le nuove necessità dei mercati, si approfondirà il “modello altoatesino”, si dibatterà delle esigenze degli importatori e si discuterà il tema della frutticoltura sostenibile. La seconda giornata sposterà la prospettiva dalla parte del consumatore, indagando i fattori principali che influenzano l’acquisto di una mela, dal gusto al prezzo, alla dimensione, alla consistenza, nonché le aspettative per le nuove varietà di mela. La giornata conclusiva sarà dedicata alle novità nei campi di scienza, ricerca e tecnica. l N.17 l OTTOBRE 2016
retail |
Giovanni Turrino
Esselunga, i fondi americani pronti a sborsare 6 miliardi 30
Lontani dai riflettori di Piazza Affari, nei prossimi mesi potrebbe andare in scena una delle più grandi operazioni di merger&acquisition del mercato italiano degli ultimi anni. Il boccone prelibato si chiama Esselunga. Non è detto che il vulcanico Bernardo Caprotti ceda lo scettro, alla soglia di 91 anni, ma le voci sono sempre più insistenti. Tra gli acquirenti più accreditati c’è il fondo americano Blackstone, pronto a mettere sul piatto 6 miliardi di euro Ogni tanto le voci di cessione di Esselunga ritornano. Basta fare una ricerca sul web e si vede che ogni qualche anno l’argomento torna alla ribalta. Del resto è un conto alla rovescia, per quanto macabro possa essere. Caprotti ha 91 anni e, pur apparendo ancora in splendida forma, sarà inevitabile che nel breve termine per fattori esterni o per volontà dovrà lasciare, dopo 40 anni, il timone del suo amato gioiello. E dato che ai figli con cui è in causa non pensa proprio - Violetta e Giuseppe hanno impugnato la sentenza di appello a metà luglio e presentato ricorso in cassazione - appare quanto mai probabile la cessione. E se alla fine le manifestazioni d’interesse dei fondi di private equity non andranno a buon fine, è da registrare che forse per la prima volta in tanti anni di corteggiamenti dall’estero al patron Bernardo Caprotti, su Esselunga sarebbe in corso un vero processo di valutazione FRUITBOOKMAGAZINE
delle candidature informali di alcuni private equity, interessati a comprare l’attività di gestione dei supermercati: due in particolare sarebbero i fondi in campo in questo momento, cioè Cvc e Blackstone, dopo che nei mesi passati si era parlato di Tpg e Advent. Insomma, sempre grandi fondi internazionali, americani e anglosassoni. Ma la partita non è affatto semplice. Al lavoro per conto di Caprotti per valutare le manifestazioni d’interesse sarebbero secondo i rumors riportati dal Il Sole 24Ore il 9 agosto l’avvocato Giuseppe Lombardi dello studio Lombardi Molinari Segni, ma anche il professionista Vincenzo Mariconda, che è pure presidente di Esselunga. Il problema per un private equity resta quello della creazione di valore su Esselunga, che dal punto di vista commerciale è già un’autentica Ferrari, gestita in modo quasi “militare”. Insomma, sembra difficile gestire meglio la catena fondata da Caprotti, di quanto lo sia ora. Forse i fondi di private equity potrebbero provare a cambiare il modello di business, ma con il forte rischio di rompere una macchina ritenuta perfetta. Senza dimenticare che la valutazione del business in vendita sarebbe attorno ai 6 miliardi: anche con 3 miliardi di finanziamenti, resterebbero sempre da mettere sul piatto 3 miliardi di equity, cifra enorme anche per grandi private equity come Blackstone e Cvc. Infine, c’è l’ostacolo Caprotti, che a quasi 91 anni, non sembra ancora intenzionato a vendere il colosso della grande distribuzione, che oggi con 153 punti vendita e 22 mila dipendenti ha un giro d’affari di 7,3 miliardi e un utile di quasi 300 milioni. l N.17 l OTTOBRE 2016
mercati mele |
Marco Zanardi
Cala la produzione di Golden Crescono le “altre” varietà club 32
I maggiori produttori melicoli europei hanno presentato ad Amburgo in occasione di Prognosfruit le stime di produzioni di mele per la stagione 2016/17. Il raccolto dovrebbe attestarsi a poco più di 12 milioni di tonnellate, il 3 per cento in meno sull’anno scorso, ma in crescita dell’1 per cento rispetto alla media degli ultimi tre anni
Dopo la produzione record del 2015 (3,98 milioni di ton), la Polonia, primo produttore europeo di mele (soprattutto per l'industria), dovrebbe attestarsi a 4,15 milioni di ton, con un aumento del 4 per cento. L’Italia, secondo produttore europeo, prevede una produzione in linea con l’anno scorso, a 2,28 milioni (nella tabella sotto il dettaglio per varietà): la grandine ha interessato solo aree limitate, con danni mediamente leggeri e una quantità di mele da destinare alla trasformazione che dovrebbe essere leggermente inferiore rispetto alla scorsa stagione.
PREVISIONE PRODUZIONE 2016 DI MELE IN ITALIA PER VARIETÀ (in tonnellate) Prod. 2010
Prod. 2011
Prod. 2012
Prod. 2013
Prod. 2014
Prod. 2015
Prev. 2016
%
Golden Del.
947.324
1.020.794
898.243
930.510
1.035.605
945.806
907.411
-4
Red Del.
244.500
253.311
192.380
229.951
268.084
255.412
250.580
-2
Morgenduft
81.495
61.106
56.101
58.088
74.431
45.766
65.983
44
Stayman
18.037
16.993
12.524
20.930
15.731
14.039
13.857
-1
Gala
301.798
318.313
277.448
293.774
327.791
329.640
339.461
3
Granny
113.376
121.652
96.297
124.805
173.701
175.980
158.285
-10
Gloster
300
169
171
128
69
83
-
-100
Elstar
931
704
705
479
378
281
-
-100
Annurca
35.000
35.000
35.000
35.000
40.000
35.000
35.000
-
Renetta
27.218
27.198
21.884
28.716
33.953
29.149
27.680
-5
Janagold
14.357
16.987
11.167
14.369
9.475
9.855
8.319
-16
Jonathan
222
60
203
5
27
18
-
-100
Braeburn
96.607
102.219
76.515
84.718
90.735
78.664
82.743
5
3.632
2.484
2.198
2.814
1.118
1.746
887
-49
162.744
164.012
132.052
177.774
199.510
186.869
181.142
-3
Cripps Pink
70.481
91.807
65.520
73.813
104.189
85.797
101.617
18
Altre
61.594
59.953
60.608
75.673
81.419
85.704
108.849
27
2.179.615
2.292.762
1.939.014
2.151.547
2.456.215
2.279.808
2.281.814
0,09
204.053
322.954
207.588
305.221
302.471
270.662
230.000
TOT: Mele da tavola 1.975.562
1.969.808
1.731.426
1.846.326
2.153.744
2.009.146
2.051.814
ITALIA
Idared Fuji
TOTALE mele da industria Fonte: Assomela / CSO FRUITBOOKMAGAZINE
l N.17 l OTTOBRE 2016
trend |
Giancarlo Sbressa
Baobab, una farmacia naturale che non si trova ancora in gdo 34
In Africa, il frutto del baobab è usato da secoli per le sue virtù medicinali e benefiche in caso di febbre, malaria, problemi gastrointestinali e carenza di vitamina C. Nei Paesi occidentali, tuttavia, questo frutto dal sapore un po’ agrumato è rimasto a lungo sconosciuto. Intanto, mentre i valori nutrizionali del frutto vengono alla luce, aumenta l’interesse per i prodotti a base di baobab, come quello in polvere che può arricchire yogurt, insalate e smoothie Il baobab è un albero tipicamente africano con un importante potere antiossidante. Considerato un superfood, è utile per la digestione, la pelle, il tono e l’energia. È originario del Madagascar e ha un aspetto unico: imponente, con una altezza di oltre trenta metri e un diametro che può superare i quindici metri, è una risorsa di acqua senza pari nei climi desertici. Ma oltre che di acqua è anche fonte di cibo grazie a foglie e frutti. Produce infatti frutti di circa 1-2 chili, contenenti dei semi reniformi, chiusi in un guscio legnoso. Pur essendo poco conosciuto è giustamente celebrato come un superfood e un efficace alimento-medicinale. Sempre più frequentemente ne parlano i siti web specializzati nella salute e nella nutrizione, in tutto il mondo. FRUITBOOKMAGAZINE
Le capacità antiossidanti del frutto del baobab - dati dalla vitamina C e da numerosi fenoli tra i quali spicca una vasta gamma di antocianine, flavoni e acidi - sono superlative: esprimendole secondo l'indice IAC, il baobab ha valore 11,11, mentre la fragola ha 0,91, il kiwi ha solo 0,34 e l’arancia 0,10. Questo potere permette di riparare i danni alle cellule, di disinnescare processi d’invecchiamento e quelli degenerativi. È una delle migliori fonti alimentari di rame, e un’ottima risorsa di calcio, ferro, potassio, manganese, zinco e magnesio, e per questo indicato per recuperare energie e combattere la spossatezza. Le fibre, le mucillagini e i principi probiotici sostengono l’intestino nel suo lavoro ed aiutano la digestione. Tra le numerose altre proprietà del frutto si annoverano anche quelle antipiretica, antiinfiammatoria, antivirale, antibatterica, epatoprotettiva. Controindica-zioni? Nessuna in particolare: studi comprovati nell’arco di un decennio tra il 1997 e il 2008 da parte degli organi preposti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti hanno dimostrato la non tossicità del frutto del baobab. Dove si trova? Qui viene il bello, perché parliamo di un frutto che è ancora difficile da reperire. Ci sono alcuni siti specializzati nella vendita di super alimenti come Iswari, oppure erboristerie dove potrete trovare la polvere - da mettere nello yogurt, nell’insalata o negli smoothie - o ancora catene distributive “profilate” come NaturaSì, dove si può trovare la polvere di baobab dell’azienda ravennate LifeFood. l N.17 l OTTOBRE 2016
cronaca |
Irene Forte
Allarme e.coli nel Regno Unito per l’nsalata mista con rucola 36
Lotti di insalata mista con rucola di origine italiana sono finiti sul banco degli imputati in Inghilterra a metà luglio, sospettati di essere responsabili di un focolaio di Escherichia coli che ha causato la morte di due persone e l’intossicazione di 160 nel sud-ovest e sudest del Paese. L’allarme sembra rientrato: la Public Health England ha informato che non è stata rintracciata la causa dell’epidemia e non sono stati trovati riscontri sulle insalate italiane La notizia è stata riportata dal quotidiano inglese The Telegraph a metà luglio e subito ripresa dai giornali italiani: delle insalate miste con rucola hanno provocato la morte di due persone e il ricovero di altre decine per via di una contaminazione da Escherichia coli VTEC, un batterio che vive di solito nelle feci. L’area colpita è stata il sud-ovest e il sudest del Regno Unito. L’attenzione della Public Health England e della Food Standard Agency si è rivolta subito all’Italia, che è il maggiore produttore europeo di rucola nonché delle insalate in busta pronte al consumo. Le autorità inglesi hanno chiesto informazioni al Ministero della Salute italiano che ha inviato una comunicazione a tutte le sedi periferiche interessate per condurre accertamenti e fare le opportune veFRUITBOOKMAGAZINE
rifiche presso le società coinvolte. Si è parlato di due aziende del Regno Unito che importano l’insalata e la rucola da ditte italiane, due delle quali situate in Lombardia, due in Campania e una in Basilicata. L’allarme però sembra essere rientrato velocemente. La Public Health England ha informato infatti a fine luglio che non era ancora stata rintracciata la causa dell’epidemia che fino a quel momento aveva colpito 160 persone, con 62 ricoveri in ospedale e due decessi. Rispetto ai sospetti iniziali, ha fatto sapere ancora l’autorità inglese, sulle insalate miste con rucola provenienti dall’Italia non sono stati trovati riscontri e le indagini sono state allargate anche ad altri alimenti. Il focolaio peraltro già a fine luglio si stava spegnendo, con una diminuzione progressiva dei casi registrati. Come dire: tanto rumore per nulla? Non proprio, perché le vittime e i ricoverati restano. Però le insalate italiane sembrano aver scampato quella che poteva essere una gran brutta batosta. La trasmissione all’uomo di E.coli avviene prevalentemente per via alimentare, attraverso l’ingestione di derrate di origine animale contaminate in fase di produzione o lavorazione (carni contaminate e non sottoposte a cottura completa, latte crudo, latticini non pastorizzati) ma anche attraverso ortaggi e frutti coltivati su terreni fertilizzati o irrigati con reflui da allevamenti bovini infetti. Tra le potenziali fonti di infezione, un ruolo sempre più importante viene attribuito alle fonti idriche, siano esse destinate a usi civili, agricoli o per balneazione. Infine il contatto diretto con animali appartenenti alle specie serbatoio e la trasmissione persona-persona (per via oro-fecale) possono giocare un ruolo nella propagazione dell’infezione. Il periodo di incubazione dell’infezione da VTEC è compreso tra 1 e 5 giorni. l N.17 l OTTOBRE 2016
scenari |
Thomas Drahorad*
38
Negli ultimi tre anni, le importazioni in Russia di frutta fresca e di quella secca sono diminuite del 31 per cento. Il motivo principale di questo calo nei volumi è stato, come noto, l’embargo introdotto dal Cremlino in risposta alle sanzioni occidentali anti-russe. Ma notevoli sono stati anche gli investimenti per rendere l’immenso Paese sempre più autosufficiente. Chi si è avvantaggiato? La Serbia per le mele, Turchia (ora in embargo), Egitto e Marocco per gli agrumi Nel 2013 la quota dei Paesi dell’Unione Europea ammontava ad oltre il 25 per cento del volume di importazione russa di frutta e verdura in termini quantitativi. Nel 2014, la quota di questi Paesi è diminuita fino al 18,4 per cento mentre nel 2015 era già inferiore alla cifra microscopica dello 0,01 per cento. Prima delle sanzioni occidentali, imposte contro la Russia nel mese di agosto 2014, i Paesi della Unione Europea occupavano una posizione di leadership per diversi prodotti ortofrutticoli. Nel segmento delle mele fresche, la quota di prodotto proveniente dall’Ue rappresentava il 61,5 per cento delle importazioni russe in termini quantitativi. Nel settore delle pere fresche la quota dell’export della Ue era pari al 53,2 per cento, nel FRUITBOOKMAGAZINE
settore delle pesche fresche e delle nettarine al 77,8 per cento, nel settore dei kiwi freschi al 54 per cento, nel settore delle fragole fresche e dei lamponi al 66,4 per cento. Questi ed altri dati sono riportati nello studio “L’import in Russia di frutta fresca e secca” pubblicato il 5 agosto da Banca Intesa. Nella struttura dell’import russo della frutta fresca, il volume di importazione maggiore interessa agrumi, banane e mele. Dato che l’Ue praticamente non produce banane, vediamo cosa è successo per arance e mele. I maggiori fornitori di agrumi in Russia, nel periodo 2015-2016, sono stati tre Paesi: Turchia, Egitto e Marocco, la cui quota nel 2015 ammontava al 65 per cento dell’import russo in termini quantitativi. Sta crescendo la Cina, che nei primi due mesi del 2016 ha raddoppiato le spedizioni. Passiamo alle mele, il prodotto che maggiormente veniva spedito in Russia dall’Italia. Le importazioni russe di questo frutto nel 2013 costituivano il 21,3 per cento dell’intero volume delle importazioni di frutta fresca ed essiccata e il maggiore fornitore era la Polonia con una quota del 55 per cento. Nel 2015 la leadership nell’export di mele verso la Russia è passata alla Serbia, le cui esportazioni sono cresciute di 2,3 volte. In generale, il volume delle importazioni di mele fresche in Russia nel 2015 è stato pari a 467 mila tonnellate contro 1,29 milioni di tonnellate nel 2013 (in due anni -64 per cento). Negli ultimi due anni sono cresciute molto anche la Cina, ora secondo fornitore di mele, e la Moldavia, al terzo posto. l N.17 l OTTOBRE 2016
*presidente NCX Drahorad
A Putin sono bastati solo due anni per stravolgere il settore
mercati pere |
Marco Zanardi
L’Italia conferma la leadeship nella produzione di pere 40
presidente della WAPA (World apple and pear association), ha commentato le stime produttive 2016 diffuse alla quarantesima conferenza Prognosfruit. Per quanto riguarda le pere il raccolto complessivo (pari alla produzione dei primi 19 Stati membri dell’UE-28) dovrebbe raggiungere 2,17 milioni di tonnellate, il 9 per cento in meno rispetto sia al 2015 che alla media degli ultimi tre anni (2013/15). Si tratta di una delle produzioni più contenute dell’ultimo decennio. E l’Italia, primo produttore, dovrebbe fermarsi a 678 mila tonnellate (-11 per cento). Il Portogallo presenta un quantitativo della cultivar Rocha sugli stessi livelli del 2015 ma di molto inferiore rispetto all’ultimo decennio. In Portogallo, Belgio ed Olanda si conferma l’espansione delle superfici a pere mentre nel resto dell’Europa appaiono in diminuzione. In Spagna è atteso il raccolto più contenuto dell’ultimo decennio. “Il calo di offerta consentirà una maggiore vivacità degli scambi - ha commentato il presidente dell’OI Pera Gianni Amidei - L’elevata qualità del prodotto italiano in questa annata, con calibri e grado zuccherino ottimali, dovrebbero garantire uno svolgimento positivo della campagna”.
E c’è una novità: Olanda e Belgio insieme per la prima volta nella storia superano l’Italia nella produzione di pere. Dieci anni fa sarebbe stato impensabile. In Italia è prevista una qualità al top. L’output europeo dovrebbe calare del 9 per cento, con la Conference che si conferma la regina delle varietà con 918 mila tonnellate mentre la Abate scende a 290 mila tonnellate (-13%) “Sta iniziando una nuova stagione in cui il settore si dovrà confrontare con le sfide che lo attendono, a livello nazionale e internazionale. La qualità del raccolto e il migliore equilibrio tra domanda e offerta dovrebbe portare un maggior profitto per i coltivatori. Per quanto riguarda le pere, in particolare, il raccolto dovrebbe essere in sensibile calo, il che potrebbe significare una minore pressione sul mercato dopo una stagione difficile”. Così Daniel Sauvaitre,
PREVISIONE PRODUZIONE 2016 DI PERE IN EUROPA PER PAESE (in tonnellate) 2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
(1)
(2)
BELGIO
287
170
307
285
295
236
315
374
369
332
-10
-6
FRANCIA
221
157
202
164
176
124
154
131
155
134
-14
-9
GERMANIA
56
38
52
39
47
34
34
45
43
36
-16
-11
GRECIA
51
51
43
54
36
42
32
37
60
43
-29
-2
UNGHERIA
12
40
40
36
21
25
36
40
33
35
6
-4
ITALIA
922
759
858
680
934
650
726
736
764
678
-11
-9
PAESI BASSI
255
172
301
274
336
199
327
349
349
352
1
3
31
40
90
40
55
45
65
50
80
65
-19
0
PORTOGALLO
136
168
198
172
210
115
162
203
134
135
0
-19
SPAGNA
496
476
429
456
461
355
403
400
344
303
-12
-21
29
23
31
33
32
28
26
24
25
28
12
10
2.545
2.168
2.603
2.276
2.652
1.888
2.327
2.425
2.394
2.170
-9
-9
Paese
POLONIA
REGNO UNITO TOTALE Fonte: WAPA FRUITBOOKMAGAZINE
x 1000 tons l N.17 l OTTOBRE 2016
frammenti |
Giovanni Turrino
Il cibo ci ossessiona ma solo i ricchi mangiano in modo sano 42
Mangiamo come non mai, ma non lo sappiamo, o comunque riusciamo a dimenticarcene. Mai come adesso il cibo ha avuto tanto spazio nella nostra vita, tanti significati, tanto peso. Non abbiamo mai mangiato tanto. Per migliaia di anni i nostri antenati hanno avuto con il cibo un rapporto essenzialmente pratico: bisognava nutrirsi, e il problema principale era riuscirci. Nei piatti degli europei c’erano soprattutto farinacei e un pezzetto di carne ogni tanto... Oggi mangiamo come un tempo mangiavano in pochi. E, nella maggior parte dei casi, neanche mangiamo tutto: nell’Europa - o ex Europa - ricca, più di un terzo del cibo finisce nella spazzatura. In Spagna, senza andare troppo lontano, ogni anno si gettano 7,7 miliardi di chili di cibo: più di 20 milioni di chili al giorno. Se partiamo dal presupposto che una persona può vivere con mezzo chilo di cibo al giorno, questo significa che, con quello che buttiamo qui potrebbero vivere altri 40 milioni di persone. Lo buttiamo. Ma, nella maggior parte dei casi, ovviamente, lo mangiamo. E abbiamo fatto del mangiare uno dei momenti centrali della nostra vita. (...) I programmi di cucina, inventati dalla televisione alla fine del ventesimo secolo con i libri, le riviste e altro materiale d’uso FRUITBOOKMAGAZINE
Questo articolo è una sintesi di quanto pubblicato dal quotidiano spagnolo El País e ripreso dal settimanale Internazionale. L’autore è Martín Caparrós, un giornalista e scrittore argentino, tra i fondatori del quotidiano argentino Página12. Ha scritto Il ladro del sorriso (Ponte alle Grazie 2006) e Non è un cambio di stagione (Edizioni Ambiente 2011).
- hanno permesso al cibo di smettere definitivamente di essere qualcosa che si mangia. Il cibo è diventato così palesemente un simbolo, che non abbiamo più bisogno di mangiarlo: ci basta guardarlo, commentarlo, fingere di capirlo. Come diceva il comico italiano Paolo Poli: “Credevo che questo fosse il secolo del sesso e invece è stato il secolo del cibo”. (...) Mangiare bene è soprattutto alla portata dei più ricchi. Da questo nasce la grande piaga dei nostri tempi e delle nostre terre: l’obesità. Mangiare è necessario e ripetitivo. Ci sono poche cose che facciamo così spesso come mangiare. Ma oggi mettersi in corpo tanta materia ignota, di origini lontane e sconosciute, industriali e sospette, per i paranoici dell’ambiente è molto rischioso. Sono sempre più frequenti le lamentele su come ci ingannano e ci avvelenano con alimenti adulterati e i consigli per evitarli, e si sta diffondendo l’idea che sarebbe meglio tornare ai metodi tradizionali, quelli che producono i pomodori migliori ma ne producono così pochi che solo chi può permettersi di pagarli quattro volte tanto potrà mangiarli. Biologici, ecologici, naturali. Si calcola che nel mondo ci siano tanti obesi quanti affamati. E quindi cediamo alla tentazione del paradosso facile: se ci sono tanti affamati è perché quelli che mangiano troppo gli tolgono il cibo. Niente di più falso: gli obesi sono i malnutriti dei Paesi ricchi, come gli affamati lo sono dei Paesi poveri. (...) l N.17 l OTTOBRE 2016
esteri |
Irene Forte
Ahold Delhaize completano la fusione da 54 miliardi di euro 44
Nel mese di luglio è stata completata la fusione tra l’olandese Royal Ahold e la belga Delhaize. È nato così uno dei maggiori gruppi distributivi mondiali con 6.500 punti vendita e una forte presenza sulla costa orientale degli Stati Uniti. Tra i suoi punti di forza c’è anche il sito di e-commerce Peapod. Dal primo settembre è diventata partner di Coopernic - di cui fa parte anche Coop Italia - che così è diventata la maggiore centrale d’acquisto europea Ahold Delhaize ha annunciato a fine luglio la finalizzazione del processo di fusione, durato oltre un anno, che ha portato alla nascita di uno dei maggiori gruppi della grande distribuzione mondiale, che vanta 22 marchi locali con 6.500 punti vendita in 11 Paesi, oltre 50 milioni di clienti e 375 mila impiegati. In termini di fatturato vale più o meno come 5 delle nostre Coop Italia. L’olandese Royal Ahold (cui fanno riferimento, tra le altre, insegne molto note in Olanda e Belgio come Albert Heijin della foto a lato, Gall&Gall ed i drugstore Etos per un totale di circa 3.200 punti vendita) e la belga Delhaize (3.400 punti vendita in sette Paesi in tre continenti), sono catene distributive europee ma con forti interessi nel mercato a stelle e strisce, dove FRUITBOOKMAGAZINE
realizzano il 60 per cento delle vendite. La nuova aggregazione ha dato vita al quinto gruppo distributivo in USA e al quarto retailer per dimensioni in Europa. Negli States, Ahold Delhaize - così si chiama la nuova entità - opera con 2 mila punti vendita sotto le insegne Stop & Shop, Giant, bfresh, Martin’s, Hannaford and Food Lion e con il noto brand dell’e-commerce Peapod. “Oggi è l’inizio di un nuovo, importante capitolo e una opportunità unica di impegnarci ancor più verso i nostri clienti, le comunità, i soci e gli azionisti”, ha dichiarato il 25 luglio l’amministratore delegato di Ahold Delhaize Dick Boer. “Guardiamo avanti, basandoci sui valori comuni, le operazioni complementari e una storia di successo di cui siamo orgogliosi nelle nostre posizioni di eccellenza, in particolare sulla costa orientale degli Stati Uniti e in Europa. Le nostre forti operazioni di ecommerce e i nostri grandi 22 marchi locali condividono la passione di portare ai clienti buon cibo, convenienza e innovazione, facendo la differenza nelle comunità locali”. Durante l’incontro è stato presentato anche il nuovo logo, che mette insieme la corona di Ahold con il leone di Delhaize. A partire dal primo settembre il nuovo gigante europeo della distribuzione è anche entrato a far parte della centrale d’acquisto Coopernic che con questo ingresso diventa la più grande centrale d’acquisto europea, grazie a partner del calibro di Leclerc, Coop Italia e dal gennaio 2016 Rewe Group, che da sola ha un fatturato in linea con la nuova entità (circa 50 miliardi). l N.17 l OTTOBRE 2016
la ricerca |
Irene Forte
La dieta vegana? È meno sostenibile di quanto si creda 46
Secondo una ricerca statunitense pubblicata da Elementa, rinunciare in maniera totale ai prodotti animali potrebbe non essere, a lungo termine, la scelta più ecosostenibile per l’umanità. La dieta vegana ha la particolarità di essere l’unica a non usare alcun tipo di coltura perenne e, per questo motivo, vanifica la possibilità di produrre molto più cibo. Naturalmente questi sono i risultati di un solo studio, trovare la soluzione migliore è materia complessa Usando dei modelli di simulazione biofisica per confrontare dieci tipi di comportamento alimentare, alcuni ricercatori hanno scoperto che mangiare meno prodotti animali permetterebbe di sfamare più persone coltivando la stessa superficie agricola esistente. Ma è emerso anche che l’eliminazione totale dei prodotti di origine animale non è il modo migliore per sfruttare i terreni in modo sostenibile. Le loro ricerche sono state pubblicate su Elementa, una rivista di scienze dell’antropocene. I ricercatori hanno preso in considerazione la dieta vegana, due diete vegetariane (una che include latticini, l’altra che include uova e latticini), quattro diete onnivore (con vari gradi d’influenza vegetariana), una povera di grassi e zuccheri e una più in linea con le odierne abitudini alimenFRUITBOOKMAGAZINE
tari statunitensi. Secondo i loro modelli, la dieta vegana riesce a nutrire meno persone di due delle diete vegetariane e due delle quattro diete onnivore analizzate. Il senso della ricerca è che rinunciare in maniera totale ai prodotti animali potrebbe non essere, a lungo termine, la scelta più ecosostenibile per l’umanità. Naturalmente, non è un argomento sufficiente per adottare una dieta carnivora. Lo studio rivela che la strada da seguire per arrivare all’efficienza ambientale (usare meglio la terra per produrre di più) è di sforzarsi di avere una dieta a base di piante (con al massimo un po’ di carne in aggiunta). Oggi il consumatore statunitense medio ha bisogno di più di un ettaro di terra all’anno per soddisfare la sua dieta. Questa superficie scende decisamente riducendo il consumo di carne e aumentando quello di vegetali. Tre delle diete vegetariane esaminate utilizzano meno di 0,2 ettari di terreno pro capite all’anno, permettendo così di avere una maggiore porzione di terra in grado di nutrire più persone. E quindi perché non diventare vegani? Se fosse applicata all’intera popolazione globale, la dieta vegana richiederebbe l’uso esclusivo di terreni disponibili che potrebbero nutrire più persone. Questo perché usiamo tipi diversi di terra per produrre diversi tipi di cibo, e non tutte le diete sfruttano questi terreni in maniera uguale. I terreni da pascolo spesso non sono adatti per le coltivazioni, ma sono ottimi per nutrire gli animali. Le colture perenni permettono coltivazioni il cui ciclo è attivo durante tutto l’anno e che sono raccolte varie volte prima di morire, compresa buona parte del grano e del fieno usati per nutrire il bestiame. I terreni coltivati sono quelli dove tradizionalmente crescono la frutta e la verdura. l N.17 l OTTOBRE 2016
il libro |
Giancarlo Sbressa
Oltre i superfood ci sono gli smartfood che allungano la vita 48
La prima dieta italiana con un marchio scientifico, quello del celebre IEO di Milano. Un testo che gli addetti ai lavori del settore non possono non leggere. Le armi della dieta Smartfood sono: cibi che dialogano con il dna, cibi che imbavagliano i geni dell’invecchiamento, cibi che mimano il digiuno. Sembra fantascienza, invece sono scoperte della nutrigenomica. Tra gli alimenti antiage ci sono arance rosse, asparagi, cachi, cavoli rossi, cipolle, uva... Nell’isola di Okinawa, in Giappone, c’è il numero più alto al mondo di centenari. Il fattore sorprendente è che alla veneranda età arrivano in uno stato eccezionale di salute fisica e mentale. Invecchiano bene. Alcuni continuano a lavorare, altri praticano arti marziali. Sorridono. Lì ci si ammala assai meno di diabete o ictus, obesità o Alzheimer. Le malattie cardiovascolari sono inferiori dell’80 per cento rispetto agli Stati Uniti, i tumori sono il 40 per cento in meno, perfino l’osteoporosi ha un’incidenza più bassa come più bassi sono i livelli di colesterolo nel sangue. Una parte del mistero viene spiegata con l’alimentazione, che si ispira alla filosofia dello Ishokudogen, in giapponese “il cibo è come una medicina”. La gente mangia poco, fino a 1.100 calorie giornaliere, si nutre di vegetali, tanto pesce, riso, soia, alga kombu. Un ingrediente che viene consumato a Okinawa, nelle zuppe o aggiunto al tè, è la curcuma, la polvere che si ottiene attraverso la frantumazione del rizoma di una pianta (la Curcuma longa). In India è considerata una spezia sacra, tra i farmaci naturali della medicina ayurvedica. Si trova da sola o come base principale per il curry. Partiamo da qui, dalla curcuma, per parlare di un libro che potrebbe diventare presto un testo scolastico. Un cantiere aperto, perché tiene conto degli studi scientifici svolti finora ma molti altri sono ancora in FRUITBOOKMAGAZINE
corso di svolgimento, la scienza non si ferma. La dieta Smartfood, scritto a tre mani dalla giornalista Eliana Liotta, dal ricercatore Pier Giuseppe Pelicci e dalla nutrizionista Lucilla Titta, pubblicato lo scorso febbraio e subito diventato un best seller, nasce in collaborazione con il prestigioso Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano. Si tratta quindi La Dieta Smartfood, Eliana dell’unica dieta ita- Liotta, Rizzoli, 360 pagine, liana che nasce con 16,90€ un “marchio” scientifico. Una dieta facile da seguire, che propone un metodo in due fasi per cambiare senza sacrifici le abitudini a tavola. I risultati? Si combattono i chili di troppo e si prevengono cancro, patologie cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative. Ormai si è capito che alcuni alimenti si comportano come farmaci, capaci di curare e proteggere l’organismo. E i protagonisti della dieta Smartfood sono proprio questi super cibi, 30 alimenti da non farsi mancare a tavola perché alleati della linea e della salute. Hanno un’azione straordinaria sul corpo: saziano, contrastano l’accumulo di grasso, allontanano le malattie e allungano la vita, imbavagliando i geni dell’invecchiamento. A parte i super alimenti, che sono stati scelti anche in base alla loro facile reperibilità sul mercato - non troverete kale, melograno, goji, zenzero o rapa rossa - in cosa consiste la dieta perfetta? Per metà frutta e verdura (1/3 frutta, 2/3 verdura), un quarto proteine (anche vegetali), e un quarto carboidrati (meglio se integrali). Da abbinare a un po’ di sano movimento. l N.17 l OTTOBRE 2016
il prodotto |
Marco Zanardi
FunBurger, nuovo gusto bio: champignon, zenzero e curcuma 50
Fresco, genuino e 100 per cento vegano come gli altri FunBurger, appetibili quindi a questa nuova fascia di mercato in continua crescita, il nuovo gusto presentato alla fiera Macfrut e dedicato al reparto ortofrutta, è stato studiato da Nuova Amaglio Fungorobica tenendo conto delle più recenti tendenze nutrizionali. In più non contiene ingredienti con glutine ed è tutto biologico Alla più importante fiera italiana del settore ortofrutta, Nuova Amaglio Fungorobica ha confermato il suo ruolo di specialista nei funghi e innovatore presentando una nuova referenza della linea FunBurger, il primo burger vegano a base di funghi che dal 2013 ad oggi ha conquistato numerosi punti vendita della grande distribuzione. Quali sono i plus di questa nuova referenza, fresca, genuina e 100 per cento vegana? La componente salutistica, grazie alle qualità antiossidanti e antivirali dello zenzero e della curcuma; non contiene ingredienti con glutine, e può
FRUITBOOKMAGAZINE
quindi essere consumato da chi soffre di intolleranza a questo elemento; è prodotto da agricoltura biologica, certificato da Bioagricert, il che costituisce una garanzia fondamentale sulla genuinità delle materie prime che lo compongono. La linea FunBurger combina leggerezza, sapore, comodità d’uso e versatilità e permette ai consumatori di scoprire tutte le qualità nutrizionali dei funghi, che ne costituiscono l’elemento base: ridotto contenuto calorico e di grassi, elevato contenuto di minerali, in particolare ferro e potassio, equilibrato apporto di proteine ed amminoacidi essenziali. Ogni FunBurger va considerato come un piatto completo, per il suo alto valore nutrizionale, non come un semplice contorno. Nuova Amaglio Fungorobica è da oltre 50 anni lo specialista dei funghi freschi, dalla produzione alla raccolta alla lavorazione. Oggi, in collaborazione con OP Terre Agricole, può offrire una vasta gamma di funghi coltivati cui si aggiungono, grazie alla partnership storica con aziende in Romania, Bulgaria e Polonia, i più pregiati funghi spontanei, come i finferli e i porcini, che oggi sono proposti alla clientela anche già tagliati e pronti all’uso.
l N.17 l OTTOBRE 2016
ingrosso |
Marco Zanardi
Amazon scopre gli ortomercati e si accorda con MercaMadrid 52
Amazon Prime Now arriva anche nella capitale spagnola, consegnando a casa la spesa degli utenti in un totale di 21 codici postali. Gli acquisti arrivano in un’ora a 5,99 euro oppure gratis. Per la fornitura in particolare di frutta e verdura e di altri prodotti freschi Amazon Prime Now ha stretto un accordo con MercaMadrid, il mercato ortofrutticolo madrileno. Per il presidente di Fedagromercati Valentino Di Pisa “è arrivato il momento di aprirci all’e-commerce” L’e-commerce numero uno al mondo sbarca anche a Madrid. E per la fornitura, in particolare, di frutta e verdura e altri prodotti freschi Amazon Prime Now ha stretto un accordo con MercaMadrid, il grande mercato ortofrutticolo presente nella capitale spagnola. L’intesa prevede la consegna di prodotti freschi, tra cui frutta e verdura, oltre a carne e altra gastronomia, tutti provenienti dal centro agroalimentare madrileno. Il servizio è attivo nella capitale e in 21 codici postali dell’hinterland. Il cliente può scegliere on line fra oltre 18 mila referenze, compresa l’ortofrutta e i surgelati, e ricevere la merce entro un’ora dall’ordine a 5,90 euro, oppure gratuitamente entro due ore, per acquisti non inferiori a 19 euro. Dal punto di vista logistico, Amazon sfrutta un magazzino di 2 mila metri quadri situato nella zona sud della città. Le consegne dei prodotti vengono effettuati con bici elettriche nel FRUITBOOKMAGAZINE
centro storico di Madrid (nella foto), mentre per le destinazioni più lontane attorno alla metropoli iberica vengono utilizzati i classici furgoni. La notizia dell’accordo di collaborazione fra il mercato agroalimentare di Madrid e Amazon ha destato un certo interesse nel sistema italiano. Il presidente di Fedagromercati Valentino Di Pisa ha infatti veicolato una comunicazione dove si sottolinea come il settore delle vendite ortofrutticole al dettaglio si debba necessariamente organizzare per restare al passo con i tempi. “È arrivato il momento che i mercati agroalimentari e gli operatori grossisti si attivino per aprire la propria porta al mondo dell’e-commerce”, ha esordito Di Pisa. “La strada verso l’integrazione di internet all’interno di queste strutture è un percorso obbligato che non si può e non si deve negare, ma verso cui gli operatori e i mercati devono tendere”. La notizia della collaborazione tra MercaMadrid e Amazon, secondo Fedagromercati, è la prova che è possibile procedere lungo questo percorso per valorizzare al massimo le competenze e i servizi delle piattaforme e dei loro operatori, unendo allo stesso tempo le potenzialità dell’e-commerce. “Fedagromercati - ha aggiunto il presidente - è decisa a muoversi verso questa direzione e, insieme al Gruppo Giovani della federazione, stiamo lavorando per portare avanti un progetto che sviluppi le attività dei mercati in tal senso, senza però invadere il campo degli altri attori della filiera, ma agendo internamente alla realtà delle nostre piattaforme”. Per i mercati e gli operatori che vi lavorano, secondo Di Pisa, “l’e-commerce rappresenta una sfida che deve essere affrontata”. l N.17 l OTTOBRE 2016
il dettaglio |
Carlotta Benini
Si chiama ‘Verdura’ la catena boutique con prezzi da mercato 54
A Bologna c’è una catena di punti vendita di ortofrutta dal concept esclusivo, dove si punta sull’interior design e su un assortimento curato che privilegia il km zero e le piccole aziende di qualità. Oggi conta quattro negozi, l’ultimo ha aperto nel 2015 all’ombra delle Due Torri. Un modello attento alla qualità delle materie prime e al servizio. I suoi plus sono freschezza, varietà, tipicità, genuinità e naturalità, chilometro zero e un ottimo rapporto qualità prezzo A volte le idee più efficaci, per la creazione di un brand, sono quelle che tornano a essere semplici, elementari, dirette. Come Verdura, il negozio di ortofrutta nato circa quattro anni fa a Bologna con un concept esclusivo: una boutique di frutta e ortaggi, ma con prezzi da mercato di quartiere. Complice l’insegna luminosa, che dona charme al nome e cattura l’attenzione, ma soprattutto un allestimento interno studiato per veicolare valori come il chilometro zero, la naturalità e la freschezza, oggi questo format originale è diventato una catena che conta al momento su quattro negozi. Il principale è quello di piazza Trento Trieste, alle porte del centro storico, poi ci sono anche il punto vendita di Castenaso (via Nasica 53) e quello di S. Lazzaro (via Emilia 220) e l’ultimo inauFRUITBOOKMAGAZINE
gurato a marzo 2015 in via Santo Stefano, all’ombra delle Due Torri. Il nome, a dirla tutta, si ispira a un artista contemporaneo, Fulco di Verdura, maestro di stile del Novecento, amico di Salvador Dalì e di Coco Chanel. Il concept, infatti, si rifà proprio a questa filosofia: frutta e verdura come gioielli, da valorizzare al meglio nel punto vendita. Dietro a questa avventura commerciale ci sono personalità con biografie diverse, unite da un progetto comune: Giuseppe Seruti e Andrea De Francesco, con esperienza alla Meridiana, vendita al dettaglio di frutta e verdura, Antonio Lamma, medico, e la moglie Claudia Cenacchi, che non a caso ha un passato da antiquaria. È stata proprio lei a curare l’interior design di Verdura, in cui spiccano le cassette di legno, contemporanee e di tendenza. Verdura è un negozio molto particolare, atipico anche per l’aspetto moderno e informale. Prima di tutto vende frutta e ortaggi, dove i prezzi sono estremamente concorrenziali, paragonabili a quelli di un mercato rionale. L’assortimento è notevole e privilegia la stagionalità e il chilometro zero, con attenzione particolare ai piccoli produttori. Oltre all’ortofrutta, fra gli scaffali si trovano anche pasta, prodotti da forno, salumi e formaggi, conserve e trasformati, succhi di frutta, birre artigianali e altre tipicità. Qualche prodotto must? I salumi della macelleria Lama di Reno di Marzabotto, i latticini del caseificio Case Bortolani, la farina Mulino Ferri e i prodotti Alce Nero. A fare la differenza, oltre ai prezzi competitivi (circa la metà rispetto a quelli di alcuni supermercati), è proprio la presenza di piccole aziende alimentari, che danno valore aggiunto a questa esclusiva boutique ortofrutticola. non manca ovviamente una pagina facebook con 3 mila like. l N.17 l OTTOBRE 2016
consumer watch |
Giovanni Turrino
Ismea, un quarto dell’ortofrutta è ormai venduta confezionata 56
Frutta e ortaggi insieme con oltre il 19 per cento rappresentano ormai la maggiore voce di spesa negli acquisti alimentari delle famiglie italiane. Seguono latte e derivati (in flessione), i derivati dei cereali come pane e biscotti (stabili) e le carni (in forte calo). Boom per olio e grassi vegetali (+11%) Ismea ha elaborato i dati del panel Nielsen “Vendite presso la distribuzione e acquisti delle famiglie” relativi all’anno 2015 e ai primi mesi del 2016. Nei primi tre mesi dell’anno in corso si è registrata per gli acquisti agroalimentari una lieve flessione sulla spesa delle famiglie: 0,5 per cento in meno rispetto ai primi tre mesi del 2015. Tale calo è il riflesso di
un mercato incerto, dove la pacata dinamica inflattiva ha celato, in alcune fasi e per alcune tipologie di prodotto, l'andamento calante delle quantità acquistate. Se inizialmente la contrazione dei consumi veniva ricondotta a una semplice riduzione degli sprechi, le dinamiche del 2015 evidenziano una chiara rivisitazione della spesa delle famiglie, fondata spesso su scelte di tipo salutistico oltre che economico. Per quanto riguarda la spesa destinata alla frutta, il 2016 si apre con un aumento tendenziale del +1,5 per cento, cui contribuiscono sia i frutti stagionali, che gli agrumi, ma soprattutto la frutta in guscio (+8,8 per cento). Da evidenziare che in questo comparto la quota di prodotto confezionato sta registrando incrementi notevoli: nel primo trimestre 2016, il 28 per cento del totale frutta è stato venduto confezionato con codice EAN. La dinamica del primo trimestre 2016 segue di fatto il trend positivo del 2015.
COMPOSIZIONE DELLA SPESA ALIMENTARE NEL 2015 IN ITALIA 15 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
14,7%
14,0%
13,5% 10,5% 8,7%
8,0%
3,2%
10,5% 7,2%
2,2%
Oli e grassi Altri Totale Bevande vegetali vini e analcoliche e prodotti spumanti spiritose alimentari
6,4%
1,0% Frutta
Ortaggi
Uova fresche
Ittici
Latte e derivati
Salumi
Carni
Derivati dei cereali
Fonte: ISMEA / Nielsen FRUITBOOKMAGAZINE
l N.17 l OTTOBRE 2016
packaging |
Irene Forte
Cassette in plastica riutilizzabili, -31% di CO2 rispetto al cartone 58
Un nuovo studio ha messo a confronto il ciclo di vita dei contenitori di plastica riutilizzabili (RPC) con i contenitori in cartone ondulato utilizzati per confezionare e trasportare prodotti agricoli freschi dai luoghi di produzione ai punti di vendita al dettaglio. I risultati dicono che gli RPC sono più sostenibili dal punto di vista ambientale in diverse categorie. Un’indagine intanto ha evidenziato che anche i consumatori prediligono questo genere di contenitori
cento in meno di energia, inquinano in modo significativamente inferiore (72 per cento in meno di eutrofizzazione, 51 per cento in meno di riduzione dello strato di ozono e 48 per cento in meno di acidificazione) e producono il 6 per cento in meno di smog fitochimico (tuttavia le differenze non sono risultate sufficientemente significative per un confronto conclusivo). Lo studio è stato condotto dalla Franklin Associates, basata nel Kansas, e i risultati sono stati revisionati da esperti di imballaggi e di LCA della School of Packaging della Michigan State University e dalla University of Michigan. Nello studio è emerso che in sette su otto degli indicatori ambientali esaminati gli RPC di IFCO offrono il minor impatto ambientale nella distribuzione dell’ortofrutta.
Da alcuni anni assistiamo alla presentazione di studi in cui si attesta la superiorità di un materiale rispetto a un’altro. Non in modo univoco, però: i risultati sono discordanti, come nel caso delle cassette per ortofrutta. Per certi aspetti sembra prevalere la plastica, per altri il cartone. Noi non prendiamo posizione e ci limitiamo a presentare questi studi. L’ultimo, di cui ha dato notizia il pooler IFCO nel mese di maggio, ha analizzato il ciclo di vita (LCA) che mette a confronto i contenitori di plastica riutilizzabili (RPC) con i contenitori in cartone ondulato utilizzati per confezionare e trasportare prodotti agricoli freschi dai luoghi di produzione ai punti di vendita al dettaglio. I risultati dimostrano che gli RPC sono più sostenibili dal punto di vista ambientale in diverse categorie. Nello specifico, producono il 31 per cento in meno di emissioni di anidride carbonica, generano l’85 per cento in meno di rifiuti solidi, consumano il 65 per cento in meno di acqua, richiedono il 34 per
Nello stesso mese di maggio IFCO ha annunciato i risultati di un’indagine globale che evidenzia che per il confezionamento dei prodotti freschi i consumatori prediligono i contenitori di plastica riutilizzabili alle tradizionali scatole di cartone, con un margine che va dal 55 al 25 per cento. Lo studio evidenzia che utilizzando gli imballi in plastica i rivenditori e i coltivatori possono migliorare l’esperienza di acquisto ed incrementare al tempo stesso le vendite. La gradevolezza estetica e la freschezza dei prodotti sono considerate tra le migliori caratteristiche degli RPC.
FRUITBOOKMAGAZINE
l N.17 l OTTOBRE 2016
idee grif...fate |
Fata Zucchina*
Il futuro del cibo si snoda sulla catena delle tre “A”: Agricoltura, Alimentazione e Ambiente che - se unite - tracciano molto più di una filiera corta consapevole. Secondo un sondaggio Eurobarometro, il 95 per cento degli italiani indica l’agricoltura e le aree rurali come “molto importanti” per il nostro futuro e il 36 per cento contro il 30 per cento degli europei chiede che “la protezione dell’ambiente diventi una delle principali responsabilità degli agricoltori”
pe Ca paldo
- Coop Cons. Nord O vest
Inserire l’agricoltura in un’economia circolare, utilizzando su larga scala nuovi strumenti per comunicare il “mood” delle comunità rurali tradizionali è più che la mission - l’energia che esprime OrtoQui, il progetto di localismo di Coop Consorzio Nord Ovest. A decretarne il successo a poco più di tre anni dalla nascita non è soltanto l’arricchimento del paniere che ha raggiunto quasi 80 referenze ortofrutticole, fortemente territoriali e stagionali, ma anche la “massa” di quasi 4.500 tonnellate di prodotto commercializzato nel 2015. Un progetto che è molto più di un’attività in-store, essendo anche un’esperienza itinerante, capace di trasformare frutta e ortaggi ad alto localismo in storyteller dei loro stessi territori di appartenenza, un’appassionante tournee’ tra i negoGiusep
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FRUITBOOKMAGAZINE
zi d’insegna delle tre regioni coinvolte (Piemonte, Liguria e Lombardia) incentrata sull’evocazione di eventi significativi dei territori stessi. Per sbarcare nella stagione 2016 con un format su quattro ruote: lo Street Festival OrtoQui. Un “truck” della ruralità, concepito e strutturato per teatralizzare il racconto dei prodotti secondo un modello di avvicinamento ai consumatori, facendo leva sulla formula dell’intrattenimento dal vivo. Il tutto impersonato da un’autentica touring-band - animata dalla radio d’insegna Radiocoop e dagli stessi agricoltori - presente su eventi del Nord Ovest di grande e medio richiamo, per mandare in scena in modalità live “storie di agricoltura”, condite da un inedito progetto culinario, quello dell’Ortocucina (anche su YouTube), firmata da blogger di rilievo locale. Nella circolarità tipica del marchio, l’off-store va infine a ricongiungersi con l’in-store, con reparti ortofrutta che appaiono come “viventi”, con i sorrisi e gli occhiolini degli agricoltori delle quindici realtà produttive fornitrici del marchio che campeggiano nei cartelli descrittivi delle loro rispettive referenze, con la campagna #faccedaOrtoQui, lanciata anche su facebook. Un po’ come fare la spesa e sentirsi dire: “La mia regola d’oro è produrre al meglio, ogni giorno, per te, l’ambiente e il nostro domani”. l N.17 l OTTOBRE 2016
*Renata Cantamessa
OrtoQui, Consorzio Nord Ovest e la vicinanza responsabile
mens sana |
Marta Baldini (dietista)
Curcuma e curcumina essenziali per la salute del nostro cervello 62
È in grado di agire sui geni dell’invecchiamento, tanto che in India dove fa parte dell’alimentazione quotidiana c’è un’incidenza notevolmente inferiore in malattie come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. La curcuma è una spezia ricca di proprietà, è nota anche come zafferano e non va confusa con il curry. Da oltre 5.000 anni si usa nella medicina ayurvedica come depurativo generale, digestivo, antinfiammatorio, contro dissenteria, artrite e disturbi epatici La curcuma è una spezia ricca di proprietà. Pianta erbacea perenne, dal caratteristico colore giallo, originaria dell’Asia meridionale, India e Indonesia. È nota anche con il nome di zafferano delle indie ed è largamente utilizzata nella cucina indiana e mediorientale. Si ricava da una pianta chiamata Curcuma Longa, coltivata principalmente nel sud dell’India e assolutamente da non confondersi con il curry. Questa spezia si impiega da oltre 5.000 anni nella medicina ayurvedica come depurativo generale, digestivo, antinfiammatorio, contro la dissenteria, artrite e disturbi epatici. Queste caratteristiche benefiche sono da associare prevalentemente all’alto contenuto in curcumina, proteine, glucosio e vitamina C. Attualmente l’interesse scientifico si è focalizzato sulle proFRUITBOOKMAGAZINE
prietà antidegenerative del sistema nervoso che la curcuma e la sua componente principale, la curcumina, potrebbero possedere e che in parte spiegherebbero le enormi differenze osservate tra l’India e i Paesi occidentali nel tasso di incidenza di malattie come il morbo di Parkinson (degenerazione e morte di cellule nervose) e l’Alzheimer (perdita di neuroni e sinapsi nella corteccia cerebrale e in alcune zone della sottocorteccia con atrofia di alcune parti del cervello e la conseguente perdita di abilità). I ricercatori della Michigan State University, pubblicando il risultato di uno studio nel Journal of Biological Chemistry, hanno dimostrato che questo composto naturale è in grado di prevenire la formazione distruttiva dell’alfa-sinucleina, proteina coinvolta in molti aspetti dello sviluppo, della funzione e della degenerazione del sistema nervoso, caratteristica di molte malattie neurodegenerative. Fondamentale è la caratteristica struttura della curcuma e curcumina che sono in grado di attraversare la delicata barriera emato-encefalica incidendo sulle attività biochimiche e elettriche del cervello e delle cellule celebrali. I ricercatori hanno scoperto che quando la curcumina attacca l’alfa-sinucleina, questa smette di aggregarsi inibendo efficacemente la proteina anomala così da evitare grovigli e danni alle sinapsi nervose. Esiste un dosaggio preventivo di curcuma? I ricercatori affermano che sia sufficiente l’aggiunta quotidiana di un cucchiaino da caffè (5 grammi circa) di curcuma a piatti di pasta, zuppe calde o fredde, insalate per raggiungere un apporto sufficiente di curcumina e sviluppare l’azione preventiva verso la deaerazione cellulare. Molte persone, però, non apprezzano il gusto del curry in tutti gli alimenti... l N.17 l OTTOBRE 2016
Arriva il goji italiano, fresco, anche in gdo Le iniziative più interessanti sono tra Calabria, Toscana e Veneto Carlotta Benini
Sono arrivate sugli scaffali della grande distribuzione - Eataly compresa - le prime bacche fresche di goji made in Italy, prodotte secondo i rigidi disciplinari dell’agricoltura biologica. Qual è la novità del cosiddetto ‘Lycium Barbarum’, naturalmente predisposto per il suolo mediterraneo? Si trova anche fresco, a differenza di quello cinese, comunemente diffuso in forma disidratata o trasformato. Ma soprattutto non presenta tracce di pesticidi, a differenza del cugino orientale È la bacca anti aging per eccellenza, un prodotto nutraceutico che negli ultimi anni è diventato un vero e proprio trend di consumo nei Paesi occidentali. Stiamo parlando del goji, il frutto della famiglia delle solanacee coltivato tradizionalmente in Estremo Oriente, considerato quasi miracoloso per le sue innumerevoli proprietà benefiche. Se fino a poco tempo fa questo superfood si poteva trovare solo nei negozi di erboristeria e di benessere, sotto forma di prodotto disidratato o di succo, ora è facilmente reperibile anche sugli scaffali dei supermercati. Ma c’è un dettaglio a cui dovremmo prestare tutti più attenzione: la provenienza. Spesso il claim riportato sulle confezioni, infatti, si rifà a valori come il benessere e la naturalità: il che dà l’idea che il Goji cinese, comunemente diffuso, possa essere coltivato naturalmente, senza
l’utilizzo di pesticidi e altre sostanze chimiche. In realtà, le cose non stanno proprio così. Molto spesso nei frutti provenienti dalla Cina si riscontrano residui di fitofarmaci, anche se le indicazioni riportate sulle etichette nutrizionali dicono il contrario. “Nei Paesi del Far East, infatti, i limiti massimi dei residui (LMR) per l’impiego di pesticidi, fissati dalle autorità per la sicurezza alimentare, a volte differiscono da quelli europei”. Ce lo aveva spiegato Lorenzo Petrini, responsabile del laboratorio Greit di Bologna, in occasione del servizio sulla food safety in ortofrutta pubblicato su Fm di luglio 2015. Le bacche di goji che avevamo acquistato in un supermercato e da un fruttivendolo, in occasione del reportage, presentavano infatti un elevato numero di positività a residui di fitofarmaci. La particolarità di queste
Nella foto a lato coltivazioni di Bio Fattorie Toscane nella Val di Chiana (Arezzo), dove sono a dimora 8.200 piante di Lycium Barbarum, in tutto 3,5 ettari in biodinamico che hanno dato nel 2015 il primo vero raccolto. L’obiettivo è di arrivare nel 2019 a una produzione di 100 tonnellate di goji, destinati a essere trasformati in composte, confetture e succhi.
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I goji disidratati oggi presenti sul mercato parlano di benessere e di naturalità. In realtà, le cose non stanno proprio così: molto spesso nei frutti che provengono dalla Cina si riscontrano innumerevoli residui di fitofarmaci, pur se le indicazioni riportate sulle etichette nutrizionali dicono il contrario.
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bacche, infatti, è che vengono messe in commercio come prodotto essiccato, mentre gli LMR vengono fissati per il prodotto fresco. Se consideriamo che il Goji contiene il 90 per cento di acqua, va da sé che è difficile dare valutazioni precise sui livelli di residui di pesticidi che possono essere presenti nel prodotto disidratato. Quali possono essere, dunque, le prospettive di sviluppo per un prodotto dalle incredibili proprietà nutraceutiche, ma allo stesso tempo caratterizzato dalla presenza di sostanze chimiche? La nuova frontiera è quella del goji italiano, un prodotto ottenuto esclusivamente nel nostro Paese secondo rigidi disciplinari comunitari in termini di agricoltura biologica. La sfida parte dal Sud, Calabria in primis, dove diverse realtà ortofrutticole hanno da qualche anno scommesso nella coltivazione a regime biologico del cosiddetto ‘Lycium Barbarum’, naturalmente predisposto e acclimatato al suolo mediterraneo e di certo più pregiato del Lycium chinense. Dalla Piana di Sibari fino ai Colli Euganei, oggi la coltivazione di goji sta diventando una passione che percorre la Penisola: non a caso si trova proprio nel nostro Paese la coltivazione di bacche più estesa d’Europa. Questa nasce dalla joint venture fra due aziende agricole, il Gruppo Favella, storica realtà ortofrutticola di Corigliano Calabro (CS) titolare del brand Torre Saracena e del goji Oh Sole, e la padovana Capodaglio, che ha lanciaFRUITBOOKMAGAZINE
to il brand Goji Capo. Insieme hanno unito esperienza e know how nella coltivazione della bacca fresca, per dare vita a un progetto d’eccellenza che oggi conta su 35 ettari (15 in Veneto e gli altri in Calabria) per oltre 60 mila piante di goji. “Siamo presenti nella Gdo italiana e anche all’estero - spiega il titolare del gruppo Favella, Nicola Rizzo - Nel 2015 abbiamo commercializzato circa 70-80 mila vaschette di prodotto a marchio Oh Sole, l’o-
biettivo quest’anno è triplicare i volumi. E dal 2016 siamo presenti sul mercato anche con marmellate, composte e succhi di goji”. L’azienda agricola Favella è stata la prima, in Italia, a iniziare la sperimentazione e la selezione delle piante, fin dal 2008. Negli anni successivi le si è affiancata l’azienda agricola Capodaglio, che ha aggiunto valore alla produzione introducendo un metodo agronomico - l’Organic Forest di Michel Barbaud - che esclude l’utilizzo di qualsiasi prodotto chimico di sintesi. “Siamo oltre la biodinamica spiega Nicola Donola, direttore commerciale di Goji Capo - neml N.17 l OTTOBRE 2016
I numeri della joint venture FAVELLA - CAPODAGLIO
250 mila 35 2 % 100 60 mila 2008 regioni Calabria e Veneto piante
vaschette goji fresco inizio sperimentazione
ettari
biologico
meno il letame è ammesso in campo. Il prodotto viene trattato con prodotti naturali al 100 per cento, come macerati di erbe”. “Con il Gruppo Favella ci siamo spartiti il mercato”, continua Donola. “Loro coprono principalmente il CentroSud, noi riforniamo il Nord, con una rete di punti vendita altamente selezionati, adatti a valorizzare un prodotto di alta gamma come il nostro”. Da giugno Goji Capo è sbarcato anche nei punti vendita Eataly di Torino Lingotto e via Lagrange, Milano Smeraldo e San Babila, Genova, Piacenza e Pinerolo. Le bacche fresche sono confezionate in un packaging ecologico ed eco-chic, in cartone e pellicola derivata da mais, compostabile e differenziabile nell’umido. E da agosto sono disponibili anche la confettura extra e il succo di goji, provenienti esclusivamente dal frutto fresco, raccolto e affidato a una lavorazione d’eccellenza (si impiegano 130 grammi di bacche fresche per la realizzazione di 100 g di confettura extra di goji e 150 grammi di bacche fresche per la realizzazione di 100 g di puro succo). In Calabria nasce anche la sfida della Rete di imprese Lykion, che conta numerose aziende agricole in biologico nelle regioni del Sud Italia: queste coltivano Lycium Barbarum appositamente selezionato su una superficie complessiva di oltre 15 ettari. Le bacche di goji italiano fresche di Lykion sono presenti sul mercato da giugno, nei negozi specializzati e nei supermercati che propongono prol N.17 l OTTOBRE 2016
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A lato i goji freschi proposti dal Gruppo Favella con il marchio Oh Sole. Sono prodotti in Calabria. Nella pagina a fianco il puro succo di goji e le bacche fresche di goji a marchio Goji Capo dell’azienda padovana Capodaglio. Le due aziende hanno stretto una joint venture e possono contare sulla maggiore superficie in Europa piantata a goji, 35 ettari tra Veneto e Calabria, tutti a conduzione biologica.
dotti biologici. Inoltre Lykion ha lanciato con successo al Cibus di Parma la nuovissima ‘Confettura extra di goji italiano bio e zucca gialla’, prodotta in partnership con l’azienda Calabria&Calabria. “Oltre a essere molto gustosa, si caratterizza per le elevate proprietà nutraceutiche, in termini di capacità antiossidante contro i radicali liberi (ben 2.460 unità ORAC e ben 900 mg di polifenoli su 100 g di prodotto) e per la quantità di vitamine tra cui la vitamina E apportata proprio dalla Zucca gialla”, spiega Rosario Previtera, presidente di Lykion. “La scelta di abbinare il goji italiano bio alla
zucca gialla deriva dal desiderio di utilizzare prima di tutto un prodotto che fosse autoctono, che fosse complementare dal punto di vista organolettico e che apportasse ulteriori elementi nutraceutici alla confettura”. “Grazie anche al supporto di diversi atenei italiani, abbiamo realizzato diverse prove prima di giungere al corretto equilibro organolettico e cromatico, nel rispetto delle componenti salutistiche e nutraceutiche del prodotto di partenza”, aggiunge Angela Zappia, titolare con Agostino Sirianni dell’azienda Calabria&Calabria. Anche in Toscana esiste una startup innovativa che ha investito sul goji, in modo smart. Si chiama Bio Fattorie Toscane e nasce nel 2012 ad Arezzo, dalla voglia di alcuni FRUITBOOKMAGAZINE
In Toscana esiste una start-up innovativa che ha investito sul goji. Si chiama Bio Fattorie Toscane e nasce nel 2012 ad Arezzo dalla voglia di alcuni giovani imprenditori agricoli di scommettere sulla coltivazione a regime biologico di questo prezioso superfood, per produrre dei trasformati esclusivi.
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giovani imprenditori agricoli di scommettere sulla coltivazione a regime biologico del prezioso superfood, per produrre esclusivi trasformati a base anche di ortofrutticoli della tradizione. Oggi la società è in cerca di nuovo capitale e apre le porte agli investitori tramite la piattaforma StarsUp, autorizzata dalla Consob. Obiettivo? Ampliare la superficie coltivata, mettere a punto tecniche di disidratazione innovative e internazionalizzare il marchio e i suoi prodotti. “StarsUp ci ha informati che siamo la prima società agricola biologica italiana ad avere lanciato un’operazione di equity crowdfunding - spiega Franco FabFRUITBOOKMAGAZINE
briciani, presidente di Bio Fattorie Toscane - uno strumento partecipativo che ci ha convinto: recentemente abbiamo approvato un piano di crescita che prevede diversi investimenti, da qui la ricerca di capitale”. La società dal 2013 ha avviato una ricerca con l’Università di Firenze sulle caratteristiche nutrizionali e organolettiche del goji toscano, e nell’autunno del 2015 c’è stato il primo raccolto di bacche fresche. “Abbiamo così ottenuto le nostre prime linee di prodotti, quella Benessere e quella Salute - continua Fabbriciani - e dopo i primi positivi riscontri sul mercato abbiamo scelto di crescere ancora attraverso ulteriori investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti, utilizzando frutti e ortaggi antichi della nostra tradizione toscana. Vogliamo mettere a punto nuove tecni-
che di disidratazione per ottenere bacche di Goji Toscana disidratate biodinamiche uniche al mondo, che preservano le caratteristiche del frutto fresco”. Ora l’azienda è in cerca di nuovo capitale, innanzitutto per ampliare le superfici coltivate a 6 ettari, con 10 mila piante di goji Toscana e altri frutti biologici. “Vogliamo internalizzare il processo di trasformazione, attualmente realizzato presso un laboratorio artigianale su nostre ricette - conclude il presidente - e infine ci prefiggiamo l’internazionalizzazione del marchio Bio Fattorie Toscane e dei suoi prodotti”. Chi aderirà alla proposta - è la promessa - avrà sconti sui prodotti di Bio Fattorie in modo da rientrare dall’investimento, e potrà inoltre usufruire di benefici fiscali.
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Germogli Vivo, da 10 anni leader in micro vegetali L’equazione seme più acqua, zero chimica Carlotta Benini
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Sono ricchi di proteine, carboidrati, grassi, sali minali, oligoelementi, vitamine ed enzimi e hanno innumerevoli proprietà salutistiche. Stiamo parlando dei germogli, di cui l’azienda romagnola Vivo è il principale produttore in Italia. Ogni settimana, nello stabilimento di Cesena, vengono confezionate due tonnellate di micro vegetali, bio e convenzionali, prodotti con le più moderne tecnologie. E poi ci sono i fiori edibili, una nicchia che sta vivendo una crescita esponenziale Acqua, nient’altro che acqua, applicata alla giusta temperatura a seconda delle varie specie. E poi luce, più o meno intensa, o in alcuni casi buio totale; calore o piuttosto basse temperature, umidità, ossigeno. In definitiva, solo elementi naturali. Il segreto è la massima cura dei dettagli, anche più semplici. Il risultato? È una produzione unica nel suo genere e pionieristica: parliamo dei germogli, di cereali, orticoli e legumi, di cui la romagnola Vivo è leader in Italia. A San Giorgio di Cesena l’azienda, fondata 10 anni fa dalla famiglia Farnedi, ha un magazzino di lavorazione, confezionamento e stoccaggio, dove ogni settimana vengono prodotte due tonnellate di germogli, bio e convenzionali, per un totale di circa 50 referenze. Il seme è prevalentemente italiano, provenienza e qualità sono certificate. Ora la società, a conduzione familiare, si sta ampliando con l’acquisizione di un nuovo stabilimento nelle campagne limitrofe, dove verranno installati dieci nuovi macchinari per la germinazione dei semi e dove la produzioFRUITBOOKMAGAZINE
ne sarà potenziata e ulteriormente qualificata: la previsione è quella di triplicare i volumi. Vivo Germogli nasce nel 2006 da una grande intuizione. Dopo alcuni anni trascorsi come dirigente di una multinazionale, durante i quali aveva avuto modo di apprezzare le qualità dei germogli che regolarmente erano presenti nei piatti tedeschi, Pietro Farnedi inizia a interessarsi a questi micro-vegetali, che avevano, a differenza dell’estero, uno scarsissimo utilizzo in Italia. Trascorsi un altro paio di anni a commercializzare i germogli prodotti in Olanda, arriva la decisione: il momento era propizio per iniziare la produzione anche in Italia, al fine di fornire al consumatore italiano un prodotto sicuramente più fresco, a un costo ecologico inferiore e proveniente anche da agricoltura biologica. Così, alla fine del 2007, nella pianura di San Giorgio si dà inizio alle prime prove di produzione di diverse va-
Nella foto sopra dei germogli di senape prodotti con la tecnica microgreen, senza macchina germogliatrice. Si utilizzano delle teglie forate in cui viene steso il seme che, ricevendo acqua e ventilazione in misura variabile a seconda della referenza, cresce come se fosse una vera e propria piantina. Senape, Pisello, Lenticchia e Girasole sono alcune delle referenze che vengono fatte germogliare con questa tecnica in quanto se venissero utilizzate le macchine il prodotto verrebbe rovinato per sfregamento o si spezzerebbe perché troppo lungo.
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Foto: Gianmaria Zanotti
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rietà di germogli. La fase sperimentale va tanto bene, che presto vengono messe in produzione costante alcune specie, adatte a soddisfare sia i palati esigenti degli chef, sia quelli dei consumatori finali. “Dal 2009 ad oggi abbiamo sviluppato moltissime varietà di germogli, diversi per proprietà e utilizzi in cucina, superando di gran lunga le 12-13 varietà fino a quel momento presenti sul mercato”, esorl N.17 l OTTOBRE 2016
disce Andrea Farnedi, figlio di Pietro e futuro responsabile dell’azienda. Anche lui viene da un settore lavorativo diverso. Dopo anni di esperienza nell’industria farmaceutica, oggi ha deciso di seguire il percorso avviato con passione e lungimiranza dal padre, attuale general manager di Vivo, e dalla madre, Sandra Fiumana, che in azienda ha la responsabilità del reparto confezionamento. “Il nostro mercato - continua - è in continua espansione, per il terzo anno consecutivo abbiamo raddoppiato il fatturato”. Numeri da record per una piccola, grande realtà del ceFRUITBOOKMAGAZINE
I germogli, di cereali, orticoli e legumi, convenzionali o bio (dipende dal seme) non vengono mai a contatto con la terra ma solo con l’acqua. Crescono senza alcun bisogno di prodotti chimici e per questo sono considerati sicuri oltre che pronti al consumo. Sono inoltre un toccasana per l’organismo.
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senate, che oggi ha deciso di sfruttare l’onda positiva ampliandosi anche fisicamente, con un nuovo stabilimento di mille metri quadrati, operativo presumibilmente dall’autunno. Nel nuovo stabilimento verranno installati dieci nuovi macchinari di ultima generazione, che si aggiungono ai cinque già esistenti nella sede di San Giorgio. “Ad oggi siamo l’unica azienda in Italia che utilizza macchine statunitensi altamente specializzate e dedicate alla produzione di germogli - spiega Pietro Farnedi - Nel nuovo stabilimento in trodurremo anche innovative tecnologie italiane studiate da noi assieme ad una giovane azienda del territorio”. Il processo produttivo è relativamente semplice: i semi dormienti vengono messi in ammollo in acqua calda o tiepida, a seconda FRUITBOOKMAGAZINE
delle varie specie. Dopo due o tre giorni passano nella macchina germinatrice, dove restano dai quattro ai 12 giorni, alcuni al buio, altri alla luce, sempre a seconda della tipologia di seme. A germinazione terminata, vengono prelevati dalla macchina e quindi passati in vasche piene d’acqua, dove vengono lavati per rimuovere radici e cuticole in eccesso. Il prodotto quindi passa in centrifuga e poi nella cella per il confezionamento, anch’essa climatizzata per non interrompere la catena del freddo. Qui viene confezionato, in vaschette di vari formati a seconda delle esigenze dei buyer, e quindi riposto nelle celle frigorifere, pronto per essere venduto. Il prodotto
stoccato ha una shelf-life di 14 giorni circa. La maggior parte dei germogli viene prodotta con l’utilizzo delle più moderne tecnologie, ma ci sono anche alcune tipologie di semi, più delicate, che vengono fatte germinare a mano, in appositi contenitori. La produzione di germogli Vivo è per metà convenzionale e per metà biologica. La differenza in realtà sta solo nella provenienza del seme, biologico o meno, ma comunque sempre seme che non ha subito alcun trattamento. La germinazione avviene in idroponica, in un ambiente asettico, senza l’utilizzo di alcuna sostanza chimica. Né pesticidi, né nutrienti, né alcun tipo di concime: solo acqua, appunto. Il vantaggio del prodotto italiano rispetto a quello di importazione? “Con la produzione di germogli in Italia abbiamo raggiunto obiettivi molto importanti”, - spiega Andrea Farnedi. “Rispetto al prodotto estero, infatti, il germoglio non subisce lo stress di un viaggio lungo migliaia di chilometri, con vantaggi anche dal punto di vista ambientale. Il rispetto dell’ambiente è una delle cose a cui teniamo moltissimo, infatti sul tetto del nuovo stabilimento sono presenti pannelli fotovoltaici per oltre 50 KW di potenza. La catena del freddo inoltre è rigorosamente mantenuta. Ne consegue che la shelf-life è notevolmente più lunga: più del doppio rispetto al prodotto proveniente dall’Olanda. Insieme alla shelf-life, anche le caratteristiche organolettiche sono migliori. Infil N.17 l OTTOBRE 2016
50 50
Germogli Vivo in cifre referenze
2005 0 14 95%
anno di fondazione
ton/mese capacità nuovo stabilimento
giorni shelf life germogli
grammi terra utilizzata crescita annuale fatturato
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Da sinistra, Pietro Farnedi, fondatore della Vivo di Cesena, azienda leader in Italia nei germogli. Al centro la moglie Sandra Fiumana, che ha la responsabilità del confezionamento e dei fiori edibili. Sulla destra Andrea Farnedi, che si occupa della parte commerciale e della gestione generale con il padre Pietro. Nella pagina a fianco una fase del confezionamento dei germogli di erba medica.
ne i nostri clienti hanno la possibilità di variare le confezioni a seconda delle proprie esigenze”. La confezione standard è da 75 grammi, ma ci sono anche vaschette da 50 e 100 grammi, 150 grammi (soia) e 200 grammi (legumi), fino a confezioni da 5 chili per i clienti che si occupano in autonomia del packaging. A proposito di clienti, Vivo Germogli lavora principalmente con i retailer del Centro Nord Italia. Rifornisce le maggiori catene italiane di supermercati, che assorbono circa il 60 per cento della produzione, mentre il restante viene venduto al canale ho.re.ca. e ad alcune importanti aziende che confezionano a proprio marchio. “Oltre l N.17 l OTTOBRE 2016
ai germogli, a ristoranti e pasticcerie forniamo in particolare i fiori edibili”, spiega Sandra Fiumana, che in azienda è anche responsabile di questa produzione di nicchia, che sta vedendo uno sviluppo esponenziale negli ultimi anni. “Molto apprezzati per il loro impatto cromatico, vengono utilizzati per decorare piatti e torte, ma anche per dare un tocco più accattivante alle insalate. Attualmente i fiori rappresentano una parte significativa del nostro fatturato e registrano una crescita costante”.
Tornando al core business dell’azienda, Vivo produce una cinquantina di referenze, fra prodotti singoli e mix di germogli. “Le referenze che vanno per la maggiore? I germogli di erba medica, per esempio, dal sapore delicato e saporito - spiega Andrea Farnedi contengono nove amminoacidi essenziali e una buona percentuale di vitamina C. Oppure ci sono i germogli di bietola rossa, che per la loro tipica colorazione fucsia sono molto utilizzati dagli chef per decorare i piatti. Anche il mix antiossidante è molto apprezzato dai consumatori. A base di trifoglio, erba medica e ravanelli, questo mix contiene alte percentuali di principi attivi anti-radicali libeFRUITBOOKMAGAZINE
I germogli, di cereali, orticoli e legumi, convenzionali o bio (dipende dal seme) non vengono mai a contatto con la terra ma solo con l’acqua. Crescono senza alcun bisogno di prodotti chimici e per questo sono considerati sicuri oltre che pronti al consumo. Sono inoltre un toccasana per l’organismo.
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ri ed è quindi prezioso per il benessere dell’organismo e per la prevenzione di numerose patologie. Per fare un ultimo esempio, abbiamo anche la referenza più classica, i germogli di soia, che tutti chiamano così anche se, in realtà, della soia non hanno nulla. Il seme, infatti, è un legume: il fagiolo mung, di origine asiatica. I germogli sono un'ottima risorsa di amminoacidi essenziali e sono ricchi di fibre naturali, utili per regolare il livello di colesterolo nel sangue”. Ogni germoglio, dunque, è un concentrato di proteine, carboidrati, grassi, sali minali, oligoelementi, vitamine ed enzimi, con innumerevoli proprietà benefiche per l’organismo: antiossidanti, depurative, diuretiche, in grado di contrastare l’insorgere di malattie degenerative. “Ogni vegetale, nel momento in cui viene raccolto e separato dal suo substrato, inizia a perdere, più o meno velocemente, i suoi principi nutritivi. Al contrario i germogli, nutrendosi del loro stesso seme, conservano intatte le loro sostanze benefiche, fino al momento in cui vengono ingeriti”, sottolinea Pietro Farnedi. “E queste proprietà sono decuplicate, in alcuni casi anche centuplicate. Le vitamine, ad esempio, durante la germinazione aumentano fino al 100 per cento rispetto al seme e fino al 1.400 per cento rispetto alla pianta adulta”. Guardando al futuro, oltre al nuovo stabilimento, Vivo ha in cantiere una serie di importanti novità. “Ora stiamo valutando dai tre ai FRUITBOOKMAGAZINE
cinque tipi di germogli nuovi, che lanceremo al più presto, dopo averli testati nel gusto e nella shelf-life - conclude Andrea Farnedi - inoltre abbiamo in progetto di ampliare la linea delle nostre referenze andando oltre al prodotto fresco.
Di più attualmente non possiamo spiegare in quanto siamo ancora in fase di test per alcune cose e di studio, quindi con tempi più lunghi, per le altre”.
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Biologico al giro di boa. Le Isole Almaverde Bio alla conquista della gdo Il biologico esce dalla “riserva indiana” e diventa protagonista, anche in Italia Carlotta Benini
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Canova, società del gruppo Apofruit licenziataria del marchio Almaverde Bio, nei primi cinque mesi dell’anno registra una crescita del 23 per cento rispetto al 2015, un trend che riguarda sia la grande distribuzione che i canali specializzati. Ce ne parla Ernesto Fornari, direttore della società fin dalla sua nascita, 19 anni fa, sottolineando in particolare il successo dell’innovativo format delle Isole Almaverde Bio: cento referenze, vendute sfuse e confezionate “Il consumatore bio? È più attento, coltiva i suoi interessi, probabilmente ama viaggiare e scoprire culture diverse, anche a tavola. E vuole essere informato, in maniera chiara e trasparente, specie se si tratta di prodotti nuovi”. E finalmente, con i nuovi format espositivi alla conquista della grande distribuzione, questi prodotti non solo possono essere spiegati, ma anche valorizzati al meglio, con un’offerta completa capace di cogliere tutte le potenzialità del mercato. È in atto una rivoluzione, culturale e dei consumi, per il direttore di Canova, Ernesto Fornari. La società specializzata del Gruppo Apofruit, che commercializza i prodotti a marchio Almaverde Bio, ha chiuso il 2015 con un bilancio da record, e nel 2016 registra già numeri a dir poco “entusiasmanti”. FRUITBOOKMAGAZINE
Direttore, siete soddisfatti delle ultime performance economiche? EF: Soddisfattissimi. Il fatturato di Canova è cresciuto dell’8,2 per cento e ammonta a 63 milioni e 500 mila euro, contro i 59 milioni del 2014. Stiamo parlando del solo dato riferito al prodotto fresco - il canale industria bio lo fa Apofruit - commercializzato per il 70 per cento nel mercato interno e per il restante 30 per cento in quello estero. E se guardiamo al 2016, si assiste ad una vera e propria escalation del bio: da gennaio a maggio abbiamo già registrato una crescita del 23 per cento, con più 6 milioni di euro sul 2015. Sul mercato estero ma in particolar modo su quello interno le performance sono molto interessanti, sia nella Gdo che nei canali specializzati. Quando nasce Canova e come si sviluppa la sua attività? EF: È stata creata nel 1997 dal gruppo Apofruit, come società dedicata alla gestione di tutte quelle problematiche legate alla commercializzazione del biologico - dalla logistica alla distribuzione, alla certificazione - di cui la cooperativa non si poteva occupare in maniera specializzata. Dove si trovano i vostri stabilimenti? EF: Non abbiamo stabilimenti, ci appoggiamo ai magazzini di Apofruit. A Longiano (Fc) c’è quello principale, 20 mila metri quadrati di superficie coperta, fra i primi in Europa per dimensioni, dove vengono ritirati i prodotti dei soci Apofruit e dei fornitori che collaborano con Canova. Qui lavoriamo 7 mila tonnellate di kiwi biologico all’anno e c’è anche un reparto dedicato alla quarta gamma bio. Poi l N.17 l OTTOBRE 2016
Foto: Gianmaria Zanotti
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Ernesto Fornari, 57 anni, coniugato, è padre di due figlie. Diplomato come perito agrario, ad oggi è il dirigente con l’esperienza più lunga in Apofruit. È infatti entrato in azienda nel 1980, nell’allora cooperativa Coba. Dopo avere lavorato in ApoTrade e in Moc Mediterraneo, dal 1997 - anno di costituzione della società commerciale specializzata nel biologico - è alla guida di Canova.
c’è uno stabilimento interamente dedicato al biologico a Scanzano Jonico, in provincia di Matera, e un magazzino dove per metà si lavora il prodotto convenzionale e per metà quello bio in Sicilia, a Donnalucata (Rg). Questi sono i magazzini in gestione diretta. Dal 2015, poi, alla nostra attività si è affiancata quella della cooperativa SFT di Trento, con cui abbiamo stretto una partnership. Ora tutte le mele biologiche della cooperativa vengono lavorate nel loro stabilimento, in una linea dedicata, e commercializzate da Canova. Infine abbiamo un altro accordo con uno stabilimento a Bari, dove ritiriamo e lavoriamo uva senza semi bio. l N.17 l OTTOBRE 2016
Altre partnership strette di recente? EF: Negli ultimi mesi nel network di Canova è entrata anche la società Vivitoscano di Firenze, di cui siamo partner nel progetto integrato di filiera Ortofrutta Toscana Bio, messo a punto da diversi soggetti impegnati nella produzione, nella ricerca e nella valorizzazione commerciale dei prodotti ortofrutticoli biologici. Ora abbiamo rivolto l’attenzione anche alla Capitale, dove il biologico sta registrando performance molto interessanti. Apriremo a breve una nuova società, Viviromana, in collaborazione con il Centro Agroalimentare di Roma. E i fornitori, quanti sono e dove si trovano? EF: Contiamo sul prodotto di circa 800 aziende collocate in tutta Italia, dalla Sicilia al Trentino. Come si sviluppa l’attività all’estero? EF: I prodotti di punta per l’export sono il kiwi in primis e l’uva senza semi, poi commercializziamo pesche, nettarine e albicocche, pere e mele. Siamo FRUITBOOKMAGAZINE
Nel 2016 si assiste a una vera e propria escala“tion del bio in Italia. Da gennaio a maggio abbiamo già registrato una crescita del 23 per cento, con più 6 milioni di euro sul 2015. Le perfomance sono molto interessanti sia nella Gdo che nei canali specializzati ”, Ernesto Fornari (Canova) 78
Nella foto a lato, una delle referenze di uva senza semi Almaverde Bio. Secondo Fornari: “L’uva bio sta avendo un mercato migliore rispetto al prodotto convenzionale. Specie se parliamo di export. Il prodotto senza semi poi ha un plus: il consumatore europeo ha una consapevolezza maggiore di queste sue potenzialità ed è già in grado di apprezzarlo. In Italia ci stiamo arrivando: quando i buyer daranno maggiore spazio a queste varietà di uva, più comode da consumare, adatte anche ai bambini, saremo a una svolta".
presenti in quasi tutta Europa: Svezia, Olanda, Belgio, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia. Inoltre con il kiwi abbiamo portato avanti una piccola attività verso gli Stati Uniti e, da settembre a maggio, un’attività più continuativa nei Paesi del Golfo, nello specifico nei punti vendita Carrefour a Dubai. Avete anche due società specializzate, una in Spagna e una in Francia, giusto? EF: Esatto, Canova Productos Biologicos, insediata nella regione di Murcia, garantisce un riferimento per la logistica e la lavorazione di prodotti indirizzati in Italia. Dalla struttura iberica partono inoltre spedizioni destinate alla Germania. Al contrario, Canova France è principalmente dedicata all’import. Rifornisce l’Italia di produzioni locali come le pere, ma soprattutto riceve varie referenze di frutta della Penisola come pesche, nettarine e kiwi. La Francia si sta sviluppando molto ed è un mercato in cui è necessario soddisfare gli ordini in giornata. FRUITBOOKMAGAZINE
Lavoriamo su più fronti, non solo catene della Gdo ma anche grossisti, negozi specializzati bio e anche horeca. Parliamo di Almaverde Bio: quali sono le novità di gamma e come si orienta l’offerta? EF: Le nuove referenze della linea Almaverde Bio guardano ai nuovi trend di consumo: frutta e ortaggi in formato snack sono la tendenza del momento, da consumare velocemente in un momento di pausa sul lavoro, o durante l’aperitivo. Ecco allora le baby carote Almaverde Bio, una referenza particolarmente apprezzata dalle mamme e non solo, perché adatta alla merenda dei più piccoli. O ancora il mini cetriolo, per il secondo anno sul mercato: si mangia con la buccia, per uno snack veloce, sano e rinfrescante. Anche la lattuga Little Gem è una fresca novità: si tratta di un cuore di Romana dalle foglie sia verdi che rosse, ideale da consumare in pinzimonio, tagliata in quattro pezzi, oppure con forchetta e coltello, tagliata a metà nella sua lunghezza e servil N.17 l OTTOBRE 2016
63,5 % 100 80
Canova in cifre
milioni di fatturato 2015
800 5 % 30 1990 produttori
piattaforme operative
anno di fondazione
biologico
export
Nella foto a lato le angurie biologiche tagliate a fette da operatori specializzati. Sono una delle novità Almaverde Bio di questa estate, assieme alle pesche platicarpe, all’uva seedless e agli ortaggi formato snack, come le baby carote, apprezzate in particolar modo dalle mamme. Tra le novità anche la lattuga Little Gem, un cuore di Romana dalle foglie sia verdi che rosse, da gustare in pinzimonio o con forchetta e coltello.
ta sul piatto. Un modo diverso di mangiare l’insalata. Se guardiamo al prodotto estivo, quali sono state le referenze innovative? EF: Le pesche platicarpe sono state un’assoluta novità. Si chiamano anche tabacchiere, o saturnine: sono specie piatte, oggi particolarmente apprezzate dal consumatore per le loro caratteristiche, ottenute grazie al rinnovamento varietale. Hanno profumo intenso di pesca matura, sapore dolce e molto aromatico, polpa consistente e succosa. E per la prima volta sono anche bio, commercializzate nella nostra linea Gli Speciali. Un’altra novità dell’estate è stata l’anguria a fette, inoltre da fine maggio fino a luglio sui banchi erano disponibili anche i cestini di mirtilli bio, una nuova referenza di nicchia inserita nel 2015 e che ad oggi ha riscosso grandi consensi. Il prodotto di punta? EF: L’uva seedless biologica, commercializzata fino a novembre. È una varietà molto dolce e croccante, adatta anche ai più piccoli, perché non ha semi. FRUITBOOKMAGAZINE
All’estero ha già sfondato, e anche in Italia è destinata a rivoluzionare il mercato. Ma la vera novità di quest’anno sta nella spinta delle vendite in Gdo: come procede il progetto delle Isole Almaverde Bio? EF: Il format sta riscuotendo grandi consensi ed è destinato a crescere ed espandersi a macchia d’olio. A lungo abbiamo sofferto per la permanenza in quella piccola ‘riserva indiana’ che ci riservava la grande distribuzione. Oggi invece il biologico è stato finalmente sdoganato: non è più un prodotto di nicchia, venduto confezionato e “segregato” in un piccolo spazio dedicato, nei reparti ortofrutta, ma è protagonista a tutto tondo nelle nostre Isole. Come è organizzato questo format pensato per la Gdo, che avete lanciato a fine 2015? EF: Prevede la vendita di ortofrutta biologica sfusa e confezionata nelle apposite Isole, appunto, che spiccano nei reparti ortofrutta dei supermercati coinvolti nel progetto. Personale specializzato è a disposil N.17 l OTTOBRE 2016
Le nostre Isole stanno riscuotendo un grande “successo e sono destinate a crescere ed espandersi
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Nella foto a lato, scattata la scorsa primavera, una delle prime Isole Almaverde Bio, quella dell’IperConad al centro commerciale Le Befane di Rimini. Un reparto nel reparto, dalla prima alla quarta gamma, con prodotto sia venduto sfuso a peso che confezionato, per dare il massimo servizio, in circa 100 referenze, comprese quelle particolari e attente ai gusti più esigenti come lo zenzero e la curcuma freschi. Nuove aperture sono previste nei prossimi mesi.
Foto: NextVideoProduction.com
a macchia d’olio. L’assortimento è ricco, si contano fino a 100 referenze dalla prima alla quarta gamma, con vendita assistita e prodotto proposto sia sfuso che confezionato”, Ernesto Fornari (Canova)
zione del consumatore per raccontare le caratteristiche di ogni prodotto e illustrare promozioni e novità. L’assortimento è ricco, si contano fino a 100 referenze dalla prima alla quarta gamma, dai prodotti esotici al chilometro zero, dai superfood ai frutti dimenticati, dalla frutta secca ai legumi e cereali secchi. Si tratta di un concept che si sta rivelando funzionale e attrattivo per la realizzazione, nelle grandi superfici, di veri e propri reparti alimentari specializzati nel biologico.
chilo, ma senza il problema del sovra imballo.
Siamo dunque a un giro di boa? EF: La rivoluzione è in atto: abbiamo l’attenzione dei buyer, l’attenzione dei media e l’interesse del consumatore è alto. Noi siamo pronti per diffondere il nostro format innovativo nella grande distribuzione. Abbiamo un assortimento di 80-100 prodotti, una profondità di gamma che ci permette di avere una continuità sui 12 mesi; ci accolliamo gli sfridi. Inoltre con questo format è consentita anche la vendita del prodotto sfuso, che ci permette finalmente di confrontarci con il consumatore finale, a pezzo e al
Dove si trovano le Isole Almaverde Bio? EF: Ad oggi siamo presenti in alcuni punti vendita Conad dell’Emilia Romagna, l’inaugurazione più recente riguarda il Superstore La Filanda di Faenza. Inoltre un’esperienza è stata avviata anche in Coop, a Bologna. E presto entreremo in altre due catene in Lombardia e in Umbria. Parleremo di queste importanti novità a Macfrut, dove porteremo anche un modello di Isola cui sarà dedicato uno spazio ad hoc.
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Cosa significa per voi prodotto sfuso? EF: Meno spreco e maggiore sostenibilità ambientale: è un tema molto caro al consumatore bio, che non ama la plastica. Significa inoltre poter offrire un prezzo di vendita finale inferiore (non ci sono i costi del packaging). Abbiamo stimato un risparmio del 30 per cento per il consumatore che acquista il prodotto biologico sfuso, anziché confezionato.
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Le virtù nascoste delle patate. Quelle viola poi... Dopo gli scandali di Report, un prodotto da rivalutare Irene Forte
Nutriente, sostenibile, accessibile. È la patata, che gli esperti riconoscono in modo unanime come coltura virtuosa e alimento alternativo a pasta e riso nell’ambito della Dieta Mediterranea. Eppure è considerato un alimento povero, che dà poco reddito ai coltivatori e di cui l’Italia dipende dall’estero avendo una produzione inferiore al consumo. Un prodotto che va quindi rivalutato. La patata viola poi ha delle virtù benefiche straordinarie tanto da essere considerata uno smartfood Negli ultimi anni si è parlato delle patate più che altro per fatti di cronaca. Basti pensare alla puntata di Report “La patata bollente” andata in onda nell’aprile 2014 sul falso made in Italy e a tutto il polverone mediatico e non solo che ha alzato, con strascichi giudiziari che hanno coinvolto alcune delle aziende più importanti del comparto. Eppure di cose positive da dire su questi tuberi ce ne sarebbero tante. Senza troppo clamore, pochi giorni prima della chiusura di Expo, lo scorso autunno, si è tenuto un convegno organizzato da Selenella al Biodiversity Park dell’esposizione universale in cui sono stati svelati tutti i benefici delle patate. Non solo per la salute dell’uomo ma anche per quella del pianeta. Le patate, in sostanza, sono un alimento che va fortemente rivalutato e che potrebbe dare più di una soddisfazione a quelle aziende agricole che decideranno di scommettere sulla coltura. Oltre alle virtù nascoste va infatti considerato che l’Italia produce meno patate di quelle che consuma (infatti flussi notevoli arri-
vano dalla Francia e dall’Olanda) e in più - fenomeno recente - il consumatore italiano e di conseguenza le catene distributive tendono a preferire il prodotto nazionale. Come dire: signori, c’è bisogno di patata. Ma torniamo al convegno di Expo, perché quello che è emerso merita grande attenzione. Al tavolo dei relatori si sono alternati illustri accademici e ricercatori, esperti di nutrizione e di cultura alimentare per offrire un momento di riflessione su un alimento sottovalutato che risponde invece perfettamente alle esigenze dello stile di vita contemporaneo: gustoso e nutriente, ma anche sostenibile dal punto di vista ambientale e accessibile a tutta la popolazione. Forte di queste virtù, la patata si inserisce a pieno titolo nella piramide alimentare della Dieta Mediterranea moderna, mentre un gruppo di esperti coordinati dall’International Foundation of Mediterranean Diet (IFMED) è ora al lavoro per rivalutare il suo posizionamento e la frequenza di consumo consigliata nell’ambito della dieta settimanale. FRUITBOOKMAGAZINE
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CARBOIDRATI: MENO CALORIE PER PORZIONE PORZIONE CONSIGLIATA (Peso crudo)
PASTA RISO PATATE
APPORTO CALORICO
80 G
282 KCAL
80 G
266 KCAL
200 G
170 KCAL
Durante il convegno “Patata italiana: tutti i benefici svelati”, che si è svolto lo scorso autunno durante Expo, la dottoressa Laura Primavesi, ricercatrice del Centro Studi Sprim, ha mostrato il grafico a lato per evidenziare come la patata rappresenti un’alternativa ai cereali, perché è fonte di carboidrati complessi e perché presenta un profilo nutrizionale simile a quello della pasta o del riso, con quasi il 40 per cento di calorie in meno per porzione e una maggiore quantità di micronutrienti rispetto ai due cereali considerati nel confronto.
Patate, riso e pasta: porzioni consigliate e apporto calorico.
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A detta degli esperti, la patata rappresenta un’alternativa ai cereali, perché è fonte di carboidrati complessi e perché presenta un profilo nutrizionale simile a quello della pasta o del riso (si veda il confronto del grafico qui sopra). “Infatti, una porzione di patata (200 grammi secondo le Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana) apporta proteine, lipidi, carboidrati e fibre in quantità simili a quelle di una porzione (80 grammi) di pasta o di riso e con quasi il 40 per cento di calorie in meno per porzione”, ha spiegato la dottoressa Laura Primavesi, ricercatrice del Centro Studi Sprim, “e ancora, forse non tutti sanno che una porzione di patate apporta più micronutrienti di una porzione di questi due cereali”. Ad esplorare ulteriormente le straordinarie valenze nutritive della patata è stata la dottoressa Ambra Morelli, responsabile dell’Associazione Nazionale Dietisti (ANDID) per la regione Lombardia: “La patata è ricca di carboidrati complessi, ossia la qualità di zuccheri che nell’alimentazione equilibrata dovrebbe essere maggiormente rappresentata. Inoltre, è fonte di vitamina C, vitamine del gruppo B e di sali minerali come il potassio. Infine, è utile ricordare che la patata è un alimento altamente saziante e non contiene glutine: può dunque essere consumata in sicurezza da tutta la popolazione”. Quindi, meglio una porzione di gnocchi o di patate lesse con un filo di olio rispetto al solito piatto di pasta o al risotto. FRUITBOOKMAGAZINE
Forte di tante virtù nutrizionali, la patata non può più essere considerata semplicemente come un contorno, bensì come una valida opzione da inserire in una dieta bilanciata e da abbinare a fonti proteiche per un pasto completo di tutti i nutrienti. L’estrema versatilità la rende adatta a tutte le cotture anche se, per preservarne al meglio la qualità nutrizionale, sono preferibili la cottura al vapore o cotture brevi, per esempio nel microonde. “Ne esistono moltissime qualità e colori, ognuna con caratteristiche aromatiche e nutrizionali specifiche e che possono essere usate come ingrediente di infinite preparazioni, come le crocchette, gli sformati, gli gnocchi”, ha spiegato Ambra Morelli. E la loro versatilità in cucina è evidente anche in cottura: al forno, fritte, bollite, al cartoccio... sono sempre gustose. La cosa migliore, poi, sarebbe mangiarle con la buccia perché lì si concentrano molte sostanze benefiche, Ma, al di là degli aspetti nutrizionali, la patata è una coltura virtuosa anche in termini di sostenibilità ambientale: basso consumo di suolo per calorie prodotte, limitato utilizzo delle risorse idriche, ridotto impatto ambientale in termini di anidride carbonica immessa nell’atmosfera (si veda in proposito il grafico di pagina 84). Infine, la patata si può considera-
Selenella è leader di mercato e punta di eccellenza della pataticoltura italiana, una patata 100 per cento italiana, dall’elevato valore nutritivo e fonte di selenio, un antiossidante naturale che protegge le cellule dallo stress ossidativo e che contribuisce al normale funzionamento del sistema immunitario. Oggi Selenella è una gamma completa di patate e di prodotti di alta qualità, proposti dal Consorzio Patata Italiana di Qualità, una realtà radicata nel territorio Emiliano Romagnolo, Bolognese in particolare, di grande tradizione agricola, specializzata ormai da due secoli nella pataticoltura di qualità. Il Consorzio assicura l’origine tutta italiana di Selenella attraverso sistemi di tracciabilità e certificazione di filiera dal campo alla tavola.
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Viola la buccia, viola la polpa. Popolari in Sud America, cominciano a essere coltivate anche in Europa. Rientrano tra i venti smartfood che aggiungono anni alla nostra vita se assunti con regolarità. “Il motivo per cui battono dieci a zero le patate più comuni - si legge nel libro La dieta Smartfood - è la presenza di antocianine, i pigmenti che le colorano e che le rendono chic per le pietanze blasonate degli chef. Sono ricche di fitocomposti preziosi non solo nella buccia (come le melanzane) ma anche nella polpa”.
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re un tesoro anche a livello economico: ha un prezzo accessibile (una porzione costa circa 20 centesimi), si conserva a lungo e la sua grande versatilità in cucina riduce la possibilità di spreco a livello domestico. Persino i suoi scarti, possono trovare impiego in cucina, nel giardinaggio e per la produzione di energia da biomasse. Insieme con il frumento, il riso e il mais, la patata rappresenta oggi uno dei quattro pilastri su cui si fonda la base alimentare dell’umanità ed europea in particolare. “Ma a differenza dei primi due alimenti, diffusi nei quattro continenti fin dall’antichità, mais e patate sono l’esito dell’ultimo grande processo di integrazione della base alimentare planetaria avvenuto a metà del secondo millennio con la scoperta delle Americhe”, ha affermato Alberto De Bernardi a capo del Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà dell’Università di Bologna. Infatti la patata arriva in Europa nella seconda metà del ’500 e il suo ingresso nell’alimentazione e poi nella gastronomia europea è lento e controverso. “In Italia, la patata impiega circa due secoli ad uscire dagli orti botanici, dove era coltivata per la sua bella infiorescenza, e a farsi largo tra i cibi comunemente consumati, man mano che diventano note le sue potenzialità nutrizionali, che i contadini imparano a integrarla nell’agricoltura promiscua e che si affinano le tecniche culinarie. Ed è solo agli inizi del secolo scorso che compare una gamma di ricette fatFRUITBOOKMAGAZINE
IMPRONTA IDRICA (acqua utilizzata per il processo produttivo) di alcuni alimenti per quantità di consumo consigliata a settimana 300 200 100 0 Carne bovina
Latte
Frutta e verdura
Pane
Pasta
Riso
Legumi
Uova
Patate
LA LORO IMPRONTA CARBONICA (emissioni di gas serra, CO2, durante il processo produttivo) 5 4 3 2 1 0 Carne bovina
Latte
Frutta e verdura
Pane
ta di gnocchi, tortelli e ravioli, pani, patate fritte, torte e timballi, che integrano la tradizionale tecnica di bollitura ereditata dal passato”, ha spiegato De Bernardi. Tuttavia, la patata rimane al margine dell’alimentazione nella prima metà del ’900 perché mentre avanza il processo di urbanizzazione deve reggere la competizione con cibi ormai tradizionali, come pasta e riso. Questo quadro rimar-
Pasta
Riso
Legumi
Uova
Patate
rà più o meno invariato fino a quando la patata entrerà nei processi di trasformazione industriale, che inizialmente - siamo nel 1936 - la propongono come alimento estraneo al pasto tradizionale attraverso l’invenzione della patata fritta. Nel dopoguerra la patata avrà una nuova vita enrando nei circuiti di surgelati e piatti pronti.
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Oristano, storia di un Mercato dal destino incerto Commercio all’ingrosso: un modello in crisi di indentità? Eugenio Felice
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Nel mese di agosto abbiamo visitato il Mercato all’ingrosso di Oristano. Dal 2013 si trova nella nuova sede di Fenosu, con una proprietà pubblica e una gestione privata. In tre anni sono scesi da venti a quindici gli operatori, che lamentano un costante calo dei flussi di vendita. Si colloca in quella che era un’importante zona di produzione di frutta e ortaggi, poi andata in crisi. La colpa? Secondo gli operatori è dei supermercati, colpevoli dei mali dell’agricoltura in Italia “Il settore è finito, la gdo si è presa tutto, siamo al capolinea. Da 30 anni lavoro nella vendita all’ingrosso dell’ortofrutta di origine locale. Qui il prodotto viene molto bene, con punte di eccellenza come per i carciofi. Quello che manca è la vendita”, ci spiega Silvio Putzu, uno dei quindici operatori del Mercato di Oristano. Siamo sulla costa est della Sardegna, in un’area adiacente all’aeroporto di Fenosu, pronto da anni per iniziare l’attività commerciale ma ancora in attesa di qualche compagnia aerea interessata. È la zona meno turistica dell’isola, una delle più depresse, con una vocazione fondamentalmente agricola. Cagliari si trova a un’ora e mezzo di strada, per arrivare alla blasonata Costa Smeralda ci vogliono invece più di due ore. Oristano fa poco più di 30 mila abitanti, come un piccolo quartiere di Milano. Quando arriviamo per un sopralluogo al Mercato - non senza difficoltà dato che non ha un sito internet dove trovare l’indirizzo preciso - rimaniamo piacevolmente sorpresi. Ci aspettavamo una struttuFRUITBOOKMAGAZINE
ra vecchia e fatiscente. Invece ci troviamo di fronte a una struttura piccola ma moderna, di recente costruzione. Il Mercato infatti è stato inaugurato solo tre anni fa, nel 2013, un progetto che ci ha messo 12 anni per arrivare a compimento, con l’intervento economico degli operatori che ci hanno messo 300 mila euro e cui l’amministrazione comunale ha affidato la gestione. Quindi, come in altri casi in Italia, compreso Cagliari, la proprietà è pubblica ma la gestione privata. Quando ha aperto gli operatori erano venti e le aspettative elevate. Ora gli operatori sono scesi a quindici e il destino sembra essere segnato. “Andava bene quando non c’erano questi ca##o di supermercati, che hanno rovinato l’agricoltura italiana. Come si fa a vendere le angurie a 19 centesimi come fanno da Eurospin o le arance a 25 centesimi? E parliamo di prodotto di prima scelta. In questo modo i frutti-
Nella foto sopra il Mercato all’ingrosso di Oristano, fotografato il 12 agosto alla mattina presto dalla statale CagliariSassari. La struttura è operativa in questa sede dal 2013, un progetto che ci ha messo 12 anni ad arrivare a compimento, cui ha contribuito l’intervento economico degli operatori che ci hanno messo 300 mila euro. All’apertura, tre anni fa, c’erano venti operatori, oggi sono scesi a quindici. Gli stand sono dotati di celle refrigerate. La proprietà è pubblica mentre la gestione è privata, proprio come al Mercato di Cagliari, che dista 85 km.
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coltori non coprono neanche i costi, lavorano in perdita e il risultato è che l’80 per cento delle terre oggi sono incolte. Terre che potrebbero dare degli ottimi frutti e ortaggi. Qui attorno era pieno di carciofi e angurie, ora il 90 per cento dei produttori sono spariti. Manca il prezzo e manca la vendita”. A parlare è Pietro Uggioni, che ha iniziato a lavorare al Mercato negli anni ’70 quando aveva solo 13 anni. Dalla fine degli anni ’90 l N.17 l OTTOBRE 2016
ha deciso di diventare anche produttore e nell’attività è entrato anche il figlio Antonio. Non è l’unico caso in cui un commerciante ha deciso di diventare anche produttore. “Almeno qualche contributo arriva”, ci dicono. Il Mercato oggi lavora sostanzialmente con dettaglianti e ambulanti. Qualche operatore serve anche la ristorazione. La gdo da queste parti non si vede proprio, si è attrezzata per bypassare gli ortomercati. Alcune minuscole catene locali, come Frongia (associato a Crai che da queste parti è piuttosto presente) di rado passano, giuFRUITBOOKMAGAZINE
La Gdo ha fatto dell’ortofrutta un’industria. Il ri“sultato è che gli italiani ne mangiano meno perché quella che comprano al supermercato non gli dà soddisfazione, i Mercati sono crollati e quel che è peggio l’agricoltura si è drammaticamente ridimensionata ”, Filippo Palumbo (Nuova Tharrosfruit) 92
Da sinistra: Gabriele Palumbo, il prodittore Andrea Cabras e Filippo Palumbo di Nuova Tharrosfruit
sto se capita l’imprevisto e hanno qualche “buco” nelle forniture. A livello geografico si arriva fino a Nuoro, qualche operatore serve anche clienti di Sassari e della Costa Smeralda. All’apertura nel 2013 si sperava di recuperare terreno rispetto al Mercato di Cagliari, che è il più importante dell’isola in termini di volumi, ma nei fatti questo non è successo. Il senatore del Mercato è lui, Filippo Palumbo, della Nuova Tharrosfruit. Lo stand è grande, come può essere grande uno stand a Oristano. Si trova un po’ di tutto, dal prodotto locale a quello del continente, come qui usano chiamare l’Italia isole escluse, per finire con quello di importazione. Non manca la frutta esotica. “La gdo esordisce Palumbo con il suo panama in testa - ha fatto dell’ortofrutFRUITBOOKMAGAZINE
ta un’industria, rovinando quella borsa prezzi che normalmente dovrebbe regolare un prodotto così dipendente dal clima. I supermercati vogliono il prodotto sempre e a basso prezzo. Come si fa? Un altro problema è quello del grado di maturazione della frutta. La gdo vuole frutta che dura sugli scaffali e quindi al 70-80 per cento del grado di maturazione. Anche perché la vendita non è assistita e le persone toccano e disfano”. “Il risultato - continua Palumbo, che del nuovo mercato è stato anche presidente - è che gli italiani mangiano meno ortofrutta perché quella che comprano al supermercato non gli dà soddisfazione, i
Mercati sono crollati e quel che è peggio l’agricoltura si è drammaticamente ridimensionata, colpita anche dalla concorrenza estera. Ogni anno ne perdiamo un pezzo. I piccoli produttori sono quasi scomparsi, quelli che si sono strutturati in pseudo cooperative sopravvivono di sussidi comunitari. I Mercati erano una garanzia per i consumatori e per i produttori, adesso vige la legge del più forte. L’agricoltura dovrebbe essere il fondamento di ogni economia, dare lavoro alle comunità soprattutto in zone come questa che non hanno altro, invece si guardi intorno, ci sono un sacco di campi e serre abbandonati”. La Nuova Tharrosfruit non è rimasta a guardare, ha aperto un magazzino aperto 24 ore al giorno, compresa la domenica. Se il Mercato non è più al servizio della produzione, meglio concentrarsi sulla fase commerciale e il servizio al cliente, anche se si trova alla Maddalena. C’è da chiedersi a questo punto se sia oggi ancora necessario un Mercato all’ingrosso. Il loro destino sembra legato a doppio filo a quello della produzione, almeno questa è l’opinione diffusa. “La Sardegna - ci spiega Filippo Palumbo mentre il figlio Gabriele sistema a poca distanza alcune cassette - è autosufficiente al 90 per cento negli ortaggi, al 70 per cento nelle fragole, al 50-60 per cento nelle pesche e nettarine, al 90 per cento nelle angurie e nei meloni, al 120 per cento negli agrumi, nel senso che una parte viene esportal N.17 l OTTOBRE 2016
nei volumi negli ultimi 10-15 anni c’è stato “maIl calo non direi in misura maggiore agli altri Mercati italiani. A essere in crisi purtroppo è il modello dei Mercati all’ingrosso, qualcosa che va oltre le capacità del singolo operatore di fare più o meno il suo lavoro ”, Marco Ortu (presidente del Mercato) 94
Il presidente del Mercato di Oristano, Marco Orru, della Ortofrutta di Marco Orru & C.
ta. Si produce anche della buona uva da tavola. Ormai è poco quello che esce dalla Sardegna. Noi mandavamo a Verona rucola, pomodori e carciofi. Oggi più niente”. Notiamo i meloni lisci, una moda di questa estate. “Abbiamo iniziato a farli anche in Sardegna ma non siamo ancora bravi come i mantovani”, ci riferisce Palumbo mostrandoci alcuni difetti della buccia sui prodotti di origine locale. Lì vicino notiamo delle pesche di ottimo aspetto. “Sono spagnole ci dice - roba di prima qualità. Non so come facciano ma escono a 70 centesimi al chilo quando lo stesso identico prodotto dell’EmiliaRomagna, forse anche leggermente inferiore, esce a 1,30 euro, quasi il doppio. Questo fa capire che in Italia qualcosa non ha funzionato. Ma venga, assaggi queste, sono FRUITBOOKMAGAZINE
sarde”. Palumbo ci taglia un frutto, ma dentro è guasto. Può succedere. Lo butta e ne taglia un altro: è a posto ed è anche maturo al 90 per cento, quindi commestibile e piacevole. Lì fatalità vuole che si trovi anche il produttore di quelle pesche, Andrea Cabras di San Sperato (Cagliari). L’attuale presidente è Marco Ortu, lo avevamo incontrato la settimana prima al bar del Mercato in tarda mattinata. Si chiama come Franco Ortu, il maggiore operatore del Mercato di Cagliari, ma non c’è alcun legame di parentela. A Cagliari però Marco Ortu si rifornisce. Il business maggiore è rappresentato dalle mele, tutte le va-
rietà, di origine Trentino Alto-Adige, dall’autunno alla primavera e dagli ortaggi prevalentemente di origine siciliana in estate. I clienti sono fruttivendoli e ambulanti delle province di Oristano e Nuoro. “Il calo nei volumi negli ultimi 10-15 anni c’è stato - osserva Ortu - ma non in misura maggiore agli altri Mercati italiani. A essere in crisi purtroppo è il modello dei Mercati all’ingrosso, qualcosa che va oltre le capacità del singolo operatore di fare più o meno bene il suo lavoro”. Chiudiamo la visita con l’immancabile tappa al bar, verso le 8.00 di mattina. Sfogliando la stampa locale si vedono le pubblicità dei vari supermercati. Come succede un po’ in tutta Italia. Nell’isola sono forti Conad, Isa, Crai e i discount, in particolare Eurospin. I prodotti civetta con prezzi sotto costo sono come al solito i frutti di stagione. Salutiamo e usciamo. Ci immettiamo sulla adiacente statale a doppia corsia, la Cagliari-Sassari, e mentre osserviamo il primo ambulante che con il suo furgone si è piazzato proprio in fondo alla corsia di immissione, torna in mente quanto ci aveva detto un imprenditore locale pochi giorni prima: “Il Mercato è in crisi perché è l’espressione della disorganizzazione della produzione. Ci sono ancora piccoli produttori che invece di conferire alle cooperative portano il prodotto in mercato. Vuole un consiglio? Vada in spiaggia a godersi il mare che in quella zona è fantastico”.
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Da Agricola Campidanese l’impegno di ridare slancio all’ortofrutticoltura sarda Medaglia di bronzo per Gavina e Majores al Macfrut Innovation Award 2016 Eugenio Felice
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La cooperativa di Terralba è diventata la più grande realtà del comparto ortofrutticolo in Sardegna, nota alla grande distribuzione sia per l’ampia offerta di ortaggi che per alcune varietà specifiche di meloni e angurie come Majores, Gavina e la recentissima Eleonora. Per Salvatore Lotta, suo direttore commerciale dal 2010, “la chiave del successo sta nell’aggregazione, unico modo per poter abbattere i costi di produzione e fare una seria programmazione” In Sardegna fino a non molti anni fa c’erano 3 mila ettari di serre a pomodori. Oggi sono scesi a 250. Ciò significa che oltre il 90 per cento di questa coltura è stata abbandonata nella terra che ha dato le origini a una varietà pregiata come il Camone, nato come spesso succede per un errore di coltivazione. Quello del pomodoro è solo la testimonianza più eclatante delle difficoltà che ha attraversato e sta attraversando l’agricoltura nell’isola perla del turismo. È ora di suonare il de prufundis, quindi? Non proprio, perché ci sono alcune aziende che hanno reagito alla crisi, puntando su aggregazione della produzione, valorizzazione delle produzioni tipiche, innovazione varietale, controllo della qualità e servizio al cliente. Con risultati molto soddisfacenti e che fanno ben sperare nel rilancio dell’ortofrutticoltura sarda. Il caso di maggior successo è quello della Agricola Campidanese di Terralba, in provincia di Oristano. Nasce nel 2009 in una zona da sempre vocata per l’agricoltura su iniziativa di un piccolo gruppo di agricoltori innamorati della propria terra. Nel 2010 viene riconosciuta come Organizzazione di Produttori (OP) per diventare oggi la più importante realtà di settore dell’isola in termini di fatturato. Abbiamo incontrato nel mese di agosto il suo direttore commerciale, Salvatore Lotta, uomo di grande esperienza e con ancora tanta voglia di fare. Ecco la nostra intervista. FRUITBOOKMAGAZINE
Salvatore Lotta, classe 1966, coniugato, un figlio. È direttore commerciale di OP Agricola Campidanese dal 2010. Precedentemente aveva svolto ruoli di responsabilità in Ortofrutticola Sarda. È stato tra i primi in Italia a credere nelle mini angurie seedless (nella foto della pagina a lato la Gavina). Oggi in azienda lavora anche il figlio Marco.
Come sta andando il 2016 per la vostra realtà? SL: Registriamo una certa deflazione sui prezzi ma un generale aumento dei volumi, grazie a nuovi produttori che hanno aderito alla nostra OP e a un aumento del parco clienti. Nei primi otto mesi la crescita del fatturato è stata vicina al 40 per cento, dovremmo quindi chiudere l’anno per la prima volta sopra i 20 milioni di euro. l N.17 l OTTOBRE 2016
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Come si giustifica questo trend? SL: Abbiamo puntato alla qualità, quella vera, fatta di varietà specifiche, legate alle tradizioni del territorio, di certificazioni per rispettare i requisiti richiesti oggi dal mercato e di servizio per venire incontro alle esigenze dei nostri clienti, con cui facciamo programmazione e piani a medio-lungo termine. La chiave di volta, non solo per la nostra azienda, è fare il più possibile aggregazione per raggiungere economie di scala e abbattere i costi di produzione. Questa a mio modo di vedere è la chiave per restare competitivi sul mercato. Oggi contiamo su 1.500 ettari nelle aree più vocate della Sardegna. Produciamo le carote e le fragole nel Terralbese, le angurie e i meloni nella zona di San Nicolò d’Arcidano, i carciofi nella zona di Giba, Masainas, Santa Maria Coghinas e Cabras, i pomodori nelle serre di Terralba, Pula, Decimomannu e Assemini, le verdure nelle fertili campagne di Terralba, Uras e Arcidano. Agricola Campidanese segue direttamente tutti i processi produttivi, dal vivaio fino alla consegna ai clienti. l N.17 l OTTOBRE 2016
A proposito di varietà specifiche, quest’anno avete lanciato Eleonora, di cosa si tratta? SL: Con Gavina siamo stati tra i primi in Italia a credere nelle angurie mini senza semi. Quest’anno abbiamo lanciato Eleonora, che è un medio formato da 4-8 chili, di forma rotonda, senza semi e dalla buccia scura. È quella che in Spagna chiamano Fashion, una varietà che in pochi anni ha conquistato il mercato, grazie al grado brix elevato, alla facile riconoscibilità, all’assenza di semi e alla più agevole trasportabilità. È una nuova concezione di mangiare anguria, per me rappresenta il futuro, quella tradizionale da 15-20 chili rimarrà solo per i tagliatori o per occasioni particolari come le sagre. Oltretutto è buonissima. La genetica fa passi avanti da giganti e noi cerchiamo di sfruttare le opportunità che ci dà. Stiamo testando anche Perfetta, un’altra medio formato, un progetto che coinvolge aziende in tutta Italia. È striata, per rassicurare i consumatori più tradizionalisti, di forma leggermente allungata, con polpa rossa e gustosa, naturalmente dolce e senza semi. FRUITBOOKMAGAZINE
I carciofi sono uno dei nostri fiori all’occhiello nel “periodo 15 ottobre - 15 maggio. Produciamo su 400 ettari tutte le varietà richieste dal mercato, dal tipico spinoso al violetto, dal morello al romanesco. Li valorizziamo con imballaggi specifici e opuscoli con ricette ”, Salvatore Lotta (Campidanese) 98
I carciofi sono tra i prodotti di punta di Agricola Campidanese. Ne produce di diverse varietà e con certificazione GlobalGap. Nella foto anche lo speciale pack con quattro teste tagliate a marchio L’Orto di Eleonora: al suo interno si trovano anche delle ricette di chef sardi. Il marchio richiama una figura storica dell’area, Eleonora di Arborea, che visse nella seconda metà del 1.300.
Gavina e Majores, tutto nasce da loro? SL: Diciamo che sono i prodotti che ci hanno fatto conoscere, essendo altamente distintivi. Di Gavina abbiamo oggi 180 ettari, è la nostra anguria mini senza semi, massimo due chili, proposta da maggio a ottobre, croccante e dolcissima. Di Majores abbiamo l’esclusiva di produzione in Europa. Rispetto al classico melone piel de sapo ha una forma rotonda. Lo produciamo su 60 ettari con ottimi risultati da un punto di vista agronomico. I frutti sono regolari, nella pezzatura, nell’aspetto, nel gusto e nel grado brix. È un melone che si presta a molteplici utilizzi, ad esempio è ottimo abbinato al pesce crudo. Ha un solo problema, è ancora poco conosciuto. Per questo ci stiamo impegnando al massimo per avvicinarlo al consumatore finale.
anche nel continente. Siamo in un anno a 80 mila quintali, quindi parliamo di volumi importanti. I carciofi sono certamente uno dei nostri fiori all’occhiello, produciamo su 400 ettari tutte le varietà richieste dal mercato, dal classico spinoso al violetto, dal morello al romanesco, solo per citare i più noti, per tutto il periodo dell’anno esclusa l’estate. Cerchiamo di sostenere e valorizzare questo prodotto, che negli ultimi anni ha perso posizioni, in particolare in Sardegna, con imballaggi specifici e opuscoli con le ricette dei nostri chef. Per tornare al tema della qualità, la nostra produzione è certificata GlobalGap. Inoltre stiamo sperimentando varietà nuove, come il Capriccio, di grandi dimensioni e dall’ottimo sapore. Oltre a carote e carciofi produciamo anche zucchine, melanzane, peperoni, asparagi e pomodori.
Poi ci sono gli ortaggi, a partire dai carciofi. SL: Direi anche le carote, che produciamo tutto l’anno e che nel periodo da febbraio a maggio inviamo
Si dice che i pomodori non se la passino bene. SL: È probabilmente la coltura che più ha sofferto in Sardegna. Moltissime serre negli ultimi anni sono
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OP Agricola Campidanese in cifre
16,8 1500 8 % 2 2009 60 milioni fatturato 2015
stabilimenti nell’Oristanese
ettari in produzione
mila metri quadri coperti
anno di fondazione
esportazione fuori Sardegna
ta per l’80 per cento di varietà Sabrina - con un riscontro veramente soddisfacente sul mercato sardo, dove, del resto, le fragole spagnole sono penalizzate dai lunghi tempi di trasporto. Alcuni distributori sardi ci hanno già chiesto di aumentare le forniture per il prossimo anno. Faremo anche un po’ di bio.
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L’insalata già lavata funziona in Sardegna? SL: Certamente i consumi non sono paragonabili a quelli del Nord Italia, ma la quarta gamma sta crescendo anche nell’isola. Noi abbiamo una partnership con La Linea Verde, per cui nello stabilimento state abbandonate. Si stima che in Sardegna ci fossero 3 mila ettari di serre, oggi sono circa 250 e di questi 60 sono nostri. Per noi resta una coltura importante, su cui crediamo e investiamo. Alcune serre sono dedicate a specifici clienti, con cui si riesce a fare un buon lavoro di programmazione con ritiro a prezzo fisso.
di Terralba confezioniamo con i marchi L’Orto di Eleonora e DimmidiSì, con materia prima prodotta nei nostri campi e sotto l’occhio vigile dell’azienda della famiglia Battagliola. È una nicchia che sta crescendo, anche qui la componente servizio inizia a essere guardata con interesse.
è vero che le fragole stanno andando bene? SL: Sì, tanto che nella prossima campagna andremo a triplicare la produzione. Abbiamo lanciato il marchio Fragolosa, proposto in vaschette da 250 grammi e un pack di forma triangolare. Nella prossima campagna avremo anche il pack da 500 grammi. Tutto viene prodotto sotto serra ed è a residuo zero. Quindi parliamo di prodotto sano ma anche buono - si tratFRUITBOOKMAGAZINE
L’isola può tornare a essere protagonista? SL: C’è un grande individualismo, l’agricoltura è frazionata. Se le cose rimangono così e non cambia la mentalità non vedo un futuro per l’agricoltura sarda. Se invece si inizia a guardare il vicino come un partner e non come un nemico allora la Sardegna potrebbe diventare anche la Spagna dell’Italia. Non è una questione di territori, ma di persone.
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Cedof, si chiama “spa” il modello per crescere Mediobanca: PAC 2000A è il settimo distributore in Italia Eugenio Felice
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PAC 2000A è il maggior gruppo distributivo aderente a Conad, con un fatturato 2015 che è cresciuto del 5 per cento per raggiungere i 2,7 miliardi. Siamo stati nel superstore di Fuorigrotta, a Napoli, inaugurato a febbraio, per capire i motivi di questo trend eccezionale, con due accompagnatori qualificati come Michele Capoccia, direzione generale di Cedof - la società che si occupa degli acquisti di ortofrutta - e Giovanni Albano, l’imprenditore titolare di sette punti vendita Ci siamo recati a Napoli gli ultimi giorni di agosto. Siamo arrivati alla stazione e abbiamo assistito a un tentativo di furto con arma da taglio mentre due persone sotto l’effetto di droghe venivano accompagnate fuori dal Sapori&Dintorni Conad presente all’interno della stessa stazione. L’ambientamento quindi è stato molto rapido. Il giorno seguente ci siamo recati al centro commerciale Azzurro di Fuorigrotta, inaugurato lo scorso febbraio, per vedere le ultime tendenze nella grande distribuzione del sud Italia, prendendo a riferimento in questo caso Conad, che in queste regioni ha posizioni di leadership e la maggiore cooperativa di dettaglianti, la PAC 2000A di Ponte Felcino (Perugia) che lo scorso anno ha raggiunto i 2,7 miliardi di euro di giro d’affari con una crescita del 5,1 per cento, superiore al 4 per cento registrato da Conad a livello nazionale. E tutto questo mentre altri gruppi distributivi, in queste regioni, ammainano la bandiera bianca, incapaci di raggiungere risultati di bilancio positivi. Come si spiega? FRUITBOOKMAGAZINE
Azzurro Life&Shopping. Il centro commerciale di Fuorigrotta, uno dei quartieri più popolati della città, è stato inaugurato il 24 febbraio di quest’anno e comprende una ventina di negozi, tra cui un superstore Conad da 1.650 metri quadrati. La zona è sprovvista di strutture commerciali di grandi dimensioni. Il centro è stato completamente rinnovato, dopo quattro anni in cui ha versato in stato di abbandono: di qui sono passati un GS, un Crai e un Despar ma senza successo. Nel 2015 sono iniziati i lavori di riqualificazione e dopo un anno c’è stata l’apertura. Nelle intenzioni di PAC 2000A, che è intervenuta attraverso la controllata PolisRe, questo rappresenta una nuova forma di esercizio di prossimità che non genera traffico, ma utilizza quello esistente offrendo ai clienti un’esperienza di acquisto nuova in un ambiente piacevole e funzionale. Questo è stato il 53.mo Conad ad essere attivato
Nella foto sopra una parte dell’area di vendita destinata all’ortofrutta, all’interno del superstore Conad di Fuorigrotta (Napoli). La foto è stata scattata il 31 agosto. Ci troviamo nella fase di preapertura, quindi tutto è molto ordinato. Particolarmente curata l’esposizione, con arredi ad hoc belli e funzionali che si sposano con la parte logistica costituita per la quasi totalità da cassette in plastica monouso. Prima di arrivare al reparto ortofrutta c’è l’area chiamata “benessere”, dove c’è spazio anche per i prodotti biologici e l’area per piante e fiori.
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Foto: NextVideoProduction.com
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nel capoluogo campano (compresi Conad City, Margherita e Sapori& Dintorni). La struttura - situata in via Marco Aurelio 189, all’uscita della tangenziale Est-Ovest di Napoli Fuorigrotta - con i suoi 19 punti vendita e i molteplici servizi occupa una superficie di 9.800 metri quadrati ed è in grado di soddisfare un bacino d’utenza di circa 300 mila persone nell’arco di 10 minuti di spostamento e garantisce occupazione stabile a 300 addetti. l N.17 l OTTOBRE 2016
All’interno del complesso commerciale - aperto tutti i giorni della settimana dalle 9 alle 21 e, cosa non trascurabile, dotato di 1.245 posti auto - sono presenti, oltre al Conad Superstore e alla parafarmacia Conad, Euronics, Pittarosso, H&M, OVS, Lovable, Gigi Bags, Idea Bellezza, AW Lab, GoVado, Ottica Lama, Kasanova, Parrucchieri Jean Claude Coiffeur, il Mondo di Gege, 3 Store e Poste. La food court, sia esterna sia interna, propone un’offerta che va dalla ristorazione specializzata di Napoli nel Cuore e della caffetteria I Love Puro alle yoghurterie e gelaterie. FRUITBOOKMAGAZINE
La marca Conad si conferma un elemento capace non solo di fidelizzare un numero crescente di clienti, ma anche di fornire un posizionamento differenziante per le insegne del gruppo. La quota della marca Conad è cresciuta al 27 per cento rispetto al 2014, contro il 19 per cento del mercato italiano e il giro di affari si è attestato a 2,8 miliardi di euro (+10 per cento rispetto all’anno precedente) confermandosi componente fondamentale del giro d’affari del gruppo. A fine 2015 un prodotto su tre venduti aveva il marchio Conad.
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CEDOF/PAC2000A DIVISIONE ORTOFRUTTA: GLI ULTIMI 5 ANNI 25
€ 200.546.159
18.925.379
€ 173.907.529
17.558.790
17.095.281
€ 168.008.463
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€ 154.136.323
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FATTURATO
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Cedof e PAC 2000A. Nonostante il contesto ancora difficile e il radicamento nelle regioni del Centro Sud più colpite dalla crisi, la più grande cooperativa aderente a Conad ha sfiorato nel 2015 i 2,7 miliardi di euro di fatturato (+5,1 per cento sul 2014), mettendo in cantiere un piano di investimenti di 169,9 milioni di euro per il triennio 2016-2018. PAC 2000A, con sede a Ponte Felcino (Perugia) è il gruppo distributivo leader nel centro sud Italia (fonte: GNLC).L’utile netto è stato di 82 milioni di euro. Secondo uno studio di Mediobanca è il settimo gruppo distributivo del Paese. “Le ottime performance economiche accomunano le quattro reFRUITBOOKMAGAZINE
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gioni in cui operiamo - Umbria, Lazio, Campania e Calabria - e sono il risultato del lavoro dei nostri 887 soci imprenditori, attenti alle specificità territoriali e capaci di valorizzare le peculiarità di ciascun territorio, ma anche di tutte le donne e gli uomini che lavorano in cooperativa, della loro professionalità e capacità di dare risposta ai bisogni delle tante comunità in seno alle quali operiamo”, ha fatto notare il presidente di PAC 2000A, Claudio Alibrandi, commentando i risultati del 2015.
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“Non vi è alcun dubbio - ha aggiunto - che una delle chiavi del successo di PAC 2000A siano le persone: forze diverse tra loro per preparazione e competenze, ma capaci di collaborare per raggiungere una stessa meta”. Il 2015 ha visto 31 nuove aperture, per un totale di 24.700 metri quadrati, che portano il saldo dei punti vendita del Gruppo a 1.138 con una superficie complessiva di 653 mila metri quadrati: 7 ipermercati, 60 Conad Superstore, 404 Conad, 319 Conad City, 147 Margherita Conad, 199 Todis e due Sapori& Dintorni, entrambi aperti nel 2015 nella città di Napoli. Una rete di vendita in continuo sviluppo, che l N.17 l OTTOBRE 2016
di Fuorigrotta è uno sguardo sul futuro “deiQuello nostri punti vendita. Per continuare a crescere l’ortofrutta ha bisogno di spazi più ampi e gradevoli, di personale più attento ai banchi e alla clientela e di un assortimento più ampio e profondo ”, Michele Capoccia (dir. generale Cedof - PAC 2000A)
ha prodotto nel 2015 un giro di affari (su canali iper, super e discount) pari a 3.653 milioni di euro (+5,8 per cento contro anno precedente). Solida la quota di mercato, che si attesta al 21,7 per cento. Cedof è il Centro Distributivo Ortofrutta di PAC 2000A. è nato nel 1983 ed è guidato oggi da Michele Capoccia (direzione generale) e Rodolfo Candidoni (direzione commerciale). Entro la fine dell’anno in corso sarà assorbita dentro alla cooperativa controllante diventando la Divisione Ortofrutta di PAC 2000A. Nei fatti sarà un cambio di natura più che altro formale. Sono quattro i suoi centri distributivi. Il più grande è quello di Fiano Rol N.17 l OTTOBRE 2016
Foto: NextVideoProduction.com
Nella foto a lato, a sinistra, Michele Capoccia, direzione generale Cedof, Centro Distribuzione Ortofrutta, che a fine anno sarà assorbita all’interno di PAC 2000A, che è la più grande cooperativa in termini di fatturato aderente al sistema Conad, operativa in alcune regioni del centro e sud Italia. Sulla destra l’imprenditore napoletano Giovanni Albano che ha sette punti vendita tra cui il superstore di Fuorigrotta, all’interno del centro commerciale Azzurro, in zona stadio San Paolo (Napoli).
mano, a nord della Capitale, vicino a dove sta per entrare in operatività il nuovo magazzino dei freschi di Amazon. Quello storico è il ce.di. di Ponte Felcino (Perugia), ci sono poi quelli di Carinaro (Caserta) e di Amantea (Cosenza). Praticamente uno per regione servita. Cedof ha fatturato 200,5 milioni di euro nel 2015, muovendo 22,6 milioni di colli e oltre 900 referenze, tra ortofrutta, legumi, frutta secca, piante e fiori. La crescita del fatturato è stata del 15 per cento rispetto al 2014, sovraperformando
il dato generale dell’insegna, segno che l’ortofrutta ha trainato i consumi. Cedof conta otto buyer e tre category; in tutto sono più di 250 le persone impiegate. “I consumi crescono perché i soci prendono sempre più consapevolezza dell’importanza del reparto”, ci riferisce Michele Capoccia mentre ci accompagna lungo la tangenziale di Napoli in direzione di Fuorigrotta. Quando arriviamo restiamo piacevolmente sorpresi, il punto vendita è forse quanto di meglio abbiamo mai visto in Italia. La metà del superstore è dedicata ai freschi e il primo (sotto)reparto che si ha davanti quando si entra è quello definito “benessere”, che FRUITBOOKMAGAZINE
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CEDOF - PAC2000A / Divisione ortofrutta in cifre
1983 201
nasce CEDOF
2015 su 2014
milioni di colli nel 2015
referenze trattate
ESCLUSIVA CAPOCCIA A FUORIGROTTA
FM INTERVISTA IN
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CE.DI.
Foto: NextVideoProduction.com
milioni di euro fatturato 2015
4 15,3 23 950
% crescita fatturato
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anche diverse referenze di frutta fresca e secca biologica. Poi c’è l’ortofrutta, in buona parte venduta sfusa e con l’assistenza di tre addetti alla vendita, con espositori curati e originali, come la “parete” per banane e ananas. Ampio l’assortimento, pochi i marchi in vista. Si passa poi ai reparti carne con taglio a vista (ampia vetrata già a fianco del murale refrigerato per le insalate di quarta gamma), latte e derivati (con cella refrigerata per i formaggi più prelibati), panificati preparati in-store ogni mattina, gastronomia e pescheria (con pesce freschissimo che arriva la mattina presto). Un trionfo per gli occhi e certamente per il palato. “La differenza la fanno le persone”, ci spiega il socio e titolare del negozio, Giovanni Albano. “I clienti qui si sentono a casa, trovano FRUITBOOKMAGAZINE
del personale che li mette a loro agio, li assiste e consiglia, con un assortimento ampio e profondo e prezzi coerenti. L’ortofrutta ha un’incidenza sul fatturato, in questi primi mesi, del 13 per cento, con una battuta di cassa a settimana di 25 mila euro”. “Quando aprimmo in Campania ci spiega Capoccia - l’incidenza dell’ortofrutta era del 5 per cento, a causa dell’abitudine a fare gli acquisti nei mercati rionali, dagli ambulanti o nei piccoli negozi specializzati. I tempi sono cambiati. Questo superstore è uno sguardo sul futuro dei nostri punti vendita. Qui trova quella che secondo me è la chiave per crescere ancora nei
prossimi anni. Io la chiamo “spa”: spazi metrici maggiori, curati nel design e nella funzionalità, persone competenti e attente al reparto e ai clienti, assortimento ampio e profondo per distinguerci dagli altri. L’ortofrutta ha senz’altro margini di crescita se sapremo sfruttare queste tre leve”. E certamente l’emozione o, tradotto in modo più prosaico, l’esposizione, non mancano nel superstore di Fuorigrotta, entusiasmante e curato in ogni dettaglio, con punte di eccellenza come le colonne dipinte che richiamano un po’ quanto già visto oltre oceano da Trader Joe’s, o lo splendido pesce spada che attende fiero il suo destino o, ancora, le macchinine fatte con pane e fette di salame. Merito del socio imprenditore - che poi è il vero punto di forza di Conad - capace di leggere le esigenze del territorio e personalizzare il punto vendita.
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DIVANO, ARRIVA IL SOLE D’AUTUNNO: VOLUMI IN CALO MA QUALITÀ DEI KAKI OTTIMA
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Se i quantitativi della prossima campagna kaki si annunciano più contenuti rispetto a quella del 2015, le previsioni sulla qualità e sulla pezzatura dei frutti sono, al contrario, positive. Lino Basilicata, direttore di stabilimento dell’azienda campana Divano, specializzata nella produzione di kaki, sottolinea che la campagna partirà con un leggero anticipo, con i frutti sulle piante che preannunciano un’ottima qualità. Complessivamente la Divano prevede una produzione di 2 mila tonnellate, con una gamma che riesce ad accontentare una domanda nazionale più variegata rispetto al passato e una domanda estera focalizzata sulle nuove varietà.
LA PATATA DELLE MARCHE ARRICCHISCE LA LINEA LE REGIONALI DELLA RUGGIERO
Continua il viaggio tra i sapori del Belpaese dell’azienda Antonio Ruggiero, che da più di 120 anni si dedica alla lavorazione di patate e cipolle di alta qualità, essendo presente con i propri stabilimenti nelle principali zone di produzione italiane come Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio e commercializzando il proprio prodotto sui mercati europei ed extraeuropei. Il focus è sui tuberi tipici regionali, a cui l’azienda ha dedicato una linea ad hoc, studiata per valorizzare i prodotti delle zone più vocate d’Italia per la pataticoltura. Sono sei le referenze della linea Le Regionali, proposte in confezioni vertbag ricche di contenuti. L’ultima novità è la Patata delle Marche, coltivata secondo tradizione nelle rigogliose campagne che degradano verso il mare Adriatico, in terreni particolarmente ricchi e vocati alla pataticoltura.
MELINDA SCEGLIE CHERRY VISION 2 DI UNITEC PER GARANTIRE LA QUALITÀ DELLE CILIEGIE L’innovazione di Unitec applicata alla lavorazione delle ciliegie è arrivata anche nel Nord Italia, per le ciliegie tardive della Val di Non a marchio Melinda. È stato infatti avviato nello stabilimento Cocea di Segno (TN) un nuovo impianto di calibratura elettronica a 6 canali con una potenzialità di circa 3-4 tonnellate l’ora equipaggiato con Cherry Vision 2, l'innovativo sistema interamente progettato e sviluppato da Unitec, per la selezione della qualità interna ed esterna delle ciliegie. È stato industrializzato l’intero processo per raggiungere alti volumi di produzione e ridurre i costi, rispettando la qualità del prodotto offerto al consumatore. FRUITBOOKMAGAZINE
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PEDON SI CONFERMA CO-PACKER WHOLE FOODS, NUOVO SITO PRODUTTIVO IN ARGENTINA Prosegue con successo la collaborazione tra Whole Foods Market, la prima catena americana negli alimenti naturali e bio, con un fatturato di 14 miliardi di dollari e oltre 400 punti vendita, e l’azienda veneta Pedon, che rafforza così la propria presenza sul mercato americano, introducendo due nuove referenze bio per la colazione a marchio Engine2, un mix di avena, quinoa e frutti rossi e uno di avena, quinoa, chia e canapa. Confezionati in una pratica confezione doypack stampata, con sistema apri e chiudi salva-freschezza realizzato dalla stessa Pedon, sono stati pensati per la preparazione di porridge aggiungendo latte, il piatto della tradizione anglosassone più consumato a colazione negli Stati Uniti. Entrambi i mix sono arricchiti da ingredienti dall’alto contenuto nutrizionale come la quinoa, il sesamo, la chia, la canapa e completati dai frutti rossi. 100 per cento biologici, certificati senza glutine e Kosher, rispondono alle esigenze del consumatore moderno alla ricerca di praticità e benessere, oltre ad essere idonei anche per chi soffre di intolleranze o per scelta segue un regime alimentare restrittivo.
DA SETTEMBRE TORNA SUGLI SCAFFALI IL NERGI, FRUTTO PICCOLO MA SUPERDOTATO Si chiama Nergi, è verde e dolce come il kiwi, succoso e ricco di vitamine, ma più comodo da consumare e con proprietà salutari ancora più ricche, a dispetto delle dimensioni più ridotte. Dopo la prima esperienza di successo sul mercato, lo scorso autunno, ora è pronto a continuare la sua avventura italiana. Il superfood originario dell’Estremo Oriente è tornato sugli gli scaffali dei supermercati a settembre, e già si candida a diventare la superstar dei reparti ortofrutta. Da dove arriva questa sorta di baby kiwi dalle proprietà incredibili? Viene coltivato per la prima volta in Asia e deriva dalla selezione naturale delle piante di Actinidia Arguta e, attenzione, non è Ogm. Il bello di questo piccolo frutto è anche il fatto che, per arrivare sulle nostre tavole, non deve fare migliaia di chilometri. Dopo averne importato i semi, il Nergi infatti ora si coltiva anche in Italia. Per il momento in provincia di Cuneo, nell’area del saluzzese, territorio con una lunga tradizione ortofrutticola. Sono una trentina i “nergicoltori” italiani, in crescita ogni anno, e 170 gli ettari di frutteti, localizzati principalmente in Italia, Francia e Portogallo. l N.17 l OTTOBRE 2016
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Prosegue così il processo di internazionalizzazione del gruppo veneto che, dopo Cina, Etiopia ed Egitto, si rafforza in Argentina e medita lo sbarco negli Stati Uniti e in India. Pedon ha infatti inaugurato a Rosario de la Frontera il nuovo sito produttivo di Acos, più grande e moderno del precedente. L’investimento è stato di 2,5 milioni di dollari e spinge la società Acos Argentina al terzo posto per quantità esportate di legumi ( tra il 10 e 15% della produzione nazionale).
La produzione è iniziata quattro anni fa e questo autunno, raggiunte le condizioni ottimali, è tornato nuovamente sul mercato, nei punti vendita delle principali insegne della gdo italiana. Si trova nel banco frigo dei frutti di bosco, o in quello degli snack naturali. Viene distribuito da settembre a metà novembre, periodo di fine maturazione. Mini nelle dimensioni, Nergi non si sbuccia, non macchia ed è ricco di benefici nutrizionali. FRUITBOOKMAGAZINE
ORTOROMI PORTA A MACFRUT 2016 LA NUOVA LINEA DI CIOTOLE EVOLUTE “IN VEGAN”
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OrtoRomi, cooperativa agricola altamente specializzata nelle insalate di prima e quarta gamma, nei piatti pronti e nei succhi freschi, ha rinnovato la partecipazione a Macfrut - padiglione D1, stand 112 - ampliando lo spazio espositivo: 96 metri quadrati allestiti con una suggestiva parete ad acqua ed un frigo espositore di 6 metri per dare massimo risalto sia alle novità della stagione che ai prodotti best seller. In occasione della fiera, OrtoRomi, attenta alle tendenze dell’easy food e a soddisfare le richieste del mercato, ha presentato la linea di prodotti 100 per cento vegani, nuova offerta che si aggiunge alla vasta gamma di referenze Insal’Arte, marchio d’eccellenza della cooperativa agricola. Ceci e canapa, carpaccio aromatico vegetale e formaggio vegano e infine pomodorini e tofu sono le nuove referenze, un mix di ingredienti ad alto tasso di freschezza e qualità all’insegna del mangiar sano. Come sempre, i prodotti OrtoRomi sono espressione dell’healthy eating, concetto fondamentale che contraddistingue il brand. Allo stand, per tutta la durata della manifesta-
NASCE IL FUNGO ITALIANO CERTIFICATO: MADE IN ITALY, SANO E SOSTENIBILE L’obiettivo primario è quello di educare i consumatori al fungo coltivato. Il Consorzio Fungo Italiano, che unisce circa il 70 per cento della produzione italiana, è stato fondato con l’intento di contribuire alla conoscenza e all’informazione su
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zione, l’inventiva ed il grande estro dello chef-artista Vincenzo Menichino ha intrattenuto il pubblico con vari show cooking di piatti della cucina italiana. OrtoRomi sta performando bene e a fine luglio ha superato del 13 per cento il dato dei primi sette mesi del 2015. Le insalate tradizionali sono leggermente in sofferenza, perdendo quasi il 3 per cento. “Ciò dimostra - sottolinea una nota della società - che ci troviamo di fronte ad un momento in cui il consumatore si sta evolvendo verso altri stili, più ricercati e “easy-meal oriented” se così possiamo definirli, come piatti pronti e ciotole con arricchitori. Per rispondere a questi dati e a questo trend continua lo sviluppo dell’offerta delle nostre ciotole Pausa Pranzo”.
un prodotto che presenta doti nutrizionali da valorizzare: alto contenuto proteico, basso contenuto calorico e zero grassi. Partendo da un prodotto virtuoso per natura, il Consorzio Fungo Italiano ha avviato un lavoro di qualificazione e valorizzazione del prodotto nazionale, per offrire al consumatore maggiori garanzie di sicurezza alimentare. I produttori consorziati si sono dotati di un disciplinare tecnico che garantisce, attraverso un ente terzo di certificazione, l’origine italiana delle materie prime e dell’intero ciclo produttivo, per un fungo fresco 100 per cento made in Italy. “L’Italia ha una lunga storia come paese produttore di funghi coltivati. Nonostante questo si tratta di un prodotto per molti versi ancora poco conosciuto - afferma Mario Mattozzi, presidente del Fungo Italiano Certificato - basti pensare che in Italia il consumo medio di funghi è solo di 1 kg per persona. C’è quindi molto da fare per far conoscere le virtù di questo concentrato di proteine light. Il potenziale di crescita è enorme”. Il pack del Fungo Italiano Certificato pone in evidenza il logo unico ma lascia spazio anche all’identità aziendale delle singole OP. Sei le varietà commercializzate: champignon, prataiolo crema, portobello, pioppino, pleurotus o gelone e cornucopia. l N.17 l OTTOBRE 2016
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Giovanni Turrino
Just Eat: “Saremo i numeri uno del cibo a domicilio” 112
“La competizione con Uber o Amazon? Non la temo. E non penso ci acquisteranno. Magari saremo noi ad acquistare loro, un giorno”. Ha le idee chiare David Buttress, amministratore delegato di Just Eat, il servizio di online food delivery presente dal 2011 in Italia e anche per questo è il più diffuso: attualmente sono oltre 400 i comuni italiani dove è attivo e 5.000 i ristoranti affiliati entro la fine dell’anno Pizza, innanzitutto, ma anche sushi, kebab e hamburger. Quello tra gli italiani e il cibo take away è ormai un rapporto più che consolidato nel tempo, nato con la classica pizza da asporto e ora arrivato a coinvolgere le più svariate tipologie di piatti etnici, soprattutto nelle grandi città. Secondo uno studio di Gfk Eurisko commissionato da Just Eat ed effettuato su un campione rappresentativo di 2 mila persone, nel corso del primo semestre del 2016 il 51 per cento degli italiani si sarebbe recato di persona almeno una volta in un ristorante per ordinare e ritirare cibo da consumare a casa, mentre il 39 per cento avrebbe preferito l’ordinazione via telefono, optando in un caso su quattro per la consegna direttamente a domicilio. Ci sono poi i nuovi servizi di online food delivery, che permettono di ordinare il proprio pasto via app o browser consultando un menu digitale e ricevendo il tutto a casa (o in ufficio). Alternative ancora di nicchia, utilizzate secondo lo studio solamente da un 2 per cento della popolazione, ma in rapida diffusione, tanto che il 19 per cento degli intervistati si è dichiarato propenso a utilizzarle in un futuro prossimo. Le principali start-up dedite all’online food delivery sono quattro. Just Eat, leader italiano del settore, Foodora, Deliveroo e il neonato Glovo, servizio spagnolo che ha acquisito le attività meneghine di Foodinho. Just Eat è presente in Italia dal 2011 e serve oggi oltre 400 comuni itaFRUITBOOKMAGAZINE
liani con 4.500 ristoranti affiliati che entro la fine dell’anno dovrebbero diventare 5.000. Nato in Danimarca nell’ormai lontano 2001, ha recentemente inaugurato il suo nuovo quartier generale a Milano, raggiungendo quota 70 dipendenti. Il suo obiettivo è quello di mettere in comunicazione i clienti con i ristoranti della loro zona. La consegna è solitamente effettuata direttamente dal personale dei locali, anche se negli ultimi mesi è stato testato il servizio Just Eat Delivery, con cui Just Eat ha messo a disposizione anche una squadra di corrieri per garantire il trasporto del cibo. L’opzione, al momento, è attiva a Milano, Roma, Palermo, Genova Torino, Bologna, Firenze, Padova e Verona. A Milano conta oltre 670 ristoranti affiliati, con una scelta ampia, anche nelle zone periferiche della città. Ogni ristorante può essere recensito dai clienti e la stessa app può essere usata in numerose città differenti. Il numero uno della catena sa quali sono i bisogni degli acquirenti digitali. “Stiamo cercando di dare sempre più alternative salutari - sostiene Buttress - con i big data sappiamo quali sono le categorie che stanno crescendo e vanno meglio, come performano i ristoranti e perché sono più o meno forti dei loro concorrenti. Possiamo aiutare i ristoratori con dati indipendenti, verificati e che non si trovano in altri contesti”. Per il futuro la parola d’ordine è sperimentazione e copertura capillare del territorio. l N.17 l OTTOBRE 2016