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La rinegoziazione dei contratti di locazione destinati ad attività commerciali post pandemia
LA RINEGOZIAZIONE DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE DESTINATI AD ATTIVITÀ COMMERCIALI IN CONSEGUENZA DELLA PANDEMIA COVID-19
La Corte di Cassazione, consapevole dell’eccezionalità dell’emergenza sanitaria, ha rispolverato un principio fondamentale del nostro ordinamento: la buona fede.
L’epidemia causata dal COVID-19 ha permesso di rispolverare un importante principio presente nel nostro ordinamento, e dimenticato in soffitta, legato all’obbligo di rinegoziazione dei contratti nei casi in cui una sopravvenienza comporti una alterazione dei rapporti tra le parti.
La Corte di Cassazione, evidentemente consapevole della eccezionalità dell’evento pandemico, senza attendere i tempi oramai biblici che permettono ad una lite di giungere al suo cospetto, con la propria relazione n. 56 dell’8 luglio 2020 ha quindi rispolverato (vista la gravità dei tempi) un principio in realtà fondamentale nel nostro ordinamento, quale quello della buona fede. La suprema corte ha ricordato che “ogni qualvolta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale, la parte danneggiata deve aver la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni”. Questa indicazione, ancorché non vincolante, è stata recepita dai tribunali di merito, come emerge da recenti pronunce sulla questione che hanno preso le mosse dalla previsione del comma 3 dell’art. 1467 c.c.. La norma dispone che, nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, la parte contro la quale è domanda può evitarla ,offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. Se si analizzano alcune sentenze di merito (tra le quali tribunale di Venezia ordinanza n. 5480/2020 del 28 luglio 2020, tribunale di Roma, 27 agosto 2020, tribunale di Pordenone, 08 luglio 2020) emerge come la crisi economica dipesa dalla pandemia e la conseguente chiusura forzata delle attività commerciali debba qualificarsi come una sopravvenienza rilevante sia in fatto che in diritto e che costituisce il presupposto necessario di una nuova convenzione che le parti hanno l’obbligo di negoziare. In particolare le corti di merito richiamano il dovere di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.) evidenziando come sia possibile “far discendere da tale disposizione un obbligo di collaborazione di ciascuna delle parti alla realizzazione dell’interesse della controparte, quando ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico”.
Da tali premesse risulta che la pandemia ancora in atto abbia introdotto nei rapporti tra locatori e conduttori un vero e proprio obbligo di rinegoziazione, a fronte di sopravvenienze che alterano il rapporto di scambio concordato nel contratto e dunque teso alla conservazione delle originarie pattuizioni, con la conseguenza che chi si sottrae all’obbligo di ripristinarlo commetterebbe una grave violazione del regolamento contrattuale. In questo senso autorevole dottrina pone già alla luce della citata relazione della Cassazione la questione riguardante il caso in cui il soggetto obbligato a rinegoziare si renda inadempiente all’esecuzione del contratto rinegoziato. Sotto questo profilo, nel documento della Cassazione si indica che, al rimedio del risarcimento del danno, può plausibilmente affiancarsi
quello dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, normato nell’articolo 2932 del Codice civile, lasciando così nelle mani del giudice la scelta se pronunciare o meno una sentenza che tenga luogo dell’accorso di rinegoziazione non concluso.
RIDUZIONE DEL CANONE
Merita di essere segnalata tra le numerose tesi che in questi ultimi mesi hanno contrassegnato il panorama giudico delle locazioni, quella legata alla possibilità da parte del conduttore di sollevare l’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. nei confronti del locatore, per mancato godimento dell’immobile durante i periodi di chiusura dovuti alla pandemia. Tale orientamento, che capovolge la visione che pone a carico del conduttore l’obbligo di pagare il canone sempre e comunque essendo indifferenti al suo obbligo eventuali vicende esterne che di fatto precludono il godimento del bene locato, trova le sue radici in risalenti decisioni della Corte di Cassazione (Cass. civ. del 25 giugno 2019 n. 16918, Cass. civ. 26 luglio 2019 n. 20322). Dette sentenze, precedenti alla pandemia e ricondotte a vicende legate a fattispecie differenti rispetto a quella pandemica sono le fonti ispiratrici di tale approccio.
Nello specifico, le vicende sottoposte alla suprema corte riguardavano il mancato ottenimento di titoli abilitativi e mutamento di destinazione del bene a cui è seguito il rifiuto del locatore di ridurre il canone. A fronte della mancata concessione da parte del locatore alla riduzione dei canoni, è stato ritenuto come l’inutilizzabilità totale o parziale dell’immobile locato possa comportare la possibilità da parte del conduttore di chiedere e dunque ottenere la sospensione in misura proporzionale del canone di locazione tenuto conto del mancato godimento del bene. Il parametro di riferimento che viene invocato dalla Corte in entrambe le decisioni risulta ancora una volta quello della buona fede oggettiva ex art. 1375 c.c. che come “cartina di tornasole” permette di valutare l’eccezione di inadempimento.
Il responso che ne emerge risulta dunque chiaro e applicabile analogicamente alla situazione pandemica che stiamo vivendo, permettendo senza troppe remore di poter sancire una regola che deriva dal buon senso più che da dettami o da particolari istituti giuridici secondo la quale quando al conduttore non è permesso il godimento dell’immobile deve essere concessa la riduzione del canone in proporzione nel caso della pandemia alla durata delle chiusure stesse e in particolare considerando la tipologia delle giornate in cui tali chiusure sono avvenute. Deve essere ritenuto quanto mai pacifico che per un’attività commerciale, come per esempio un negozio che opera nel campo dell’abbigliamento, i fine settimana non possano essere considerati alla stessa stregua dei giorni infra settimanali, e ciò comportando una necessaria e diversa rimodulazione del canone.
La riduzione del canone è più facilmente sostenibile per il conduttore che occupi i locali con il contratto “gemello” dell’affitto d’azienda che, come noto, ha di fatto sostituito la locazione nei grandi centri commerciali. La riduzione del canone può essere invocata richiamando il concetto della impossibilità parziale di cui all’art. 1464 c.c. che prevede : “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta”.
Nel contratto di affitto d’azienda l’affittante mette a disposizione il godimento del bene produttivo costituito usualmente da un negozio in un centro commerciale e laddove la conduzione del negozio sia impossibile a causa della chiusura del centro commerciale (di cui il negozio è di fatto una parte ovvero un “ramo” per disposizione normative, quali i provvedimenti di limitazione alla circolazione delle persone per motivi di sanità ed ordine pubblico come è occorso nel caso dei recenti lockdown) è sostenibile dal conduttore che si sia verificata, nel caso di specie, un’impossibilità della prestazione quanto meno parziale che lo autorizza a chiedere la riduzione del canone in via proporzionata. La prassi di mercato sviluppatasi in concomitanza con la diffusione della pandemia ha dimostrato la fondatezza di questa tesi. Si è assistito alla decisione di un gran numero dei primari operatori commerciali che si avvalgono della tipologia del contratto di ramo d’azienda in luogo della usuale locazione, offrire unilateralmente ai propri conduttori inusuali e rilevanti “rent relief” che non sono altro che riduzioni unilaterali dei canoni di affitto.
PROPOSTA DI LEGGE
Il problema legato all’individuazione di una soluzione unitaria che possa essere conciliativa dei diversi interessi da parte dei conduttori e locatori non si è arrestato. Ne è prova la recente presentazione della proposta di legge C. 2763 attualmente ancora al vaglio del Parlamento. Riguardo a tale proposta, che nel complesso si compone di sei articoli, ognuno dedicato ad uno specifico aspetto del rapporto locatizio, merita di essere evidenziato come essa contenga la possibilità da parte del conduttore di avvalersi di una riduzione fino al 50% del canone mensile previgente e, per la corresponsione della restante parte, beneficerebbe di un contributo a fondo perduto pari al 25% dello stesso canone. Al locatore, invece, verrebbe riconosciuto un credito di imposta pari al 50% del canone di locazione mensile previgente a cui si aggiungerebbe quanto corrisposto dal conduttore a titolo di canone ridotto pari, come detto, all’altra metà del totale.