Scacchiera africana anteprima

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Silvio Favari

SCACCHIERA AFRICANA Confronto di strategie tra Cina e Stati Uniti nel Continente Nero

Fuoco Edizioni


Š Fuoco Edizioni - www.fuoco-edizioni.it Stampa Universalbook - Rende (CS) 1^ Edizione Giugno 2014 ISBN 97-88897363-95-8 Immagine di copertina di Marianeve Leveque I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.


ÂŤI Cinesi sono riusciti a conseguire almeno un risultato notevole in Africa: far sentire a disagio chiunque altroÂť. Alexis Okeowo, The New Yorker, Giugno 2013

Ai miei genitori ed a Neve



PREFAZIONE

All’inizio del terzo millennio gli Stati Uniti d’America e la Cina sono di gran lunga le due principali Potenze mondiali, in grado di influenzare con le loro strategie la vita della gran parte dei sette miliardi di esseri umani che popolano il nostro Pianeta (vedi FIGURA 1 – Confronto statistico dati generali USA e Cina). Ma se gli USA vengono da una lunga storia di dominio economico, geopolitico, militare e culturale sul Globo, condiviso con l’URSS nel periodo della Guerra Fredda e pressoché incontrastato nei turbolenti due decenni successivi al crollo della “Cortina di ferro”, la Cina ha raggiunto solo recentemente la sua attuale posizione dominante grazie ad un prodigioso boom politico, militare, strategico, ma prima di tutto economico, invadendo i mercati con i propri prodotti ed acquisendo parallelamente un potere globale sempre più ampio. Nessun altro posto al mondo rappresenta questa escalation meglio dell’Africa (vedi FIGURA 2 – Dati generali Africa sub-sahariana). Sui cinquantaquattro Stati dell’intero Continente, popolati oramai da oltre un miliardo di persone, sono ben pochi i territori che sfuggono alla presenza cinese, sia quella ufficiale delle grandi imprese statali o comunque controllate da Pechino, sia quella, più discreta, ma non meno importante, delle piccole e grandi attività imprenditoriali portate avanti dalle centinaia di migliaia di cittadini cinesi attratti dal nuovo eldorado africano.

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Per gli USA l’Africa non ha mai rappresentato un teatro primario di azione politica, economica e strategica. Nel Dopoguerra, ed in particolare durante e dopo il processo di decolonizzazione, sul territorio africano si è giocata a distanza la partita della Guerra Fredda per il controllo dei luoghi strategici del Continente Nero, ma l’interesse statunitense sembrava più quello di limitare l’espansionismo sovietico in Africa che non quello di affermarvi una propria precisa strategia. Di qui l’appoggio a leader politici più che discutibili, ma organici alla strategia del “contenimento” propugnata da Washington, nonché favorevoli alla sistematica opera di depauperamento, o più schiettamente saccheggio, delle generose risorse offerte dal territorio africano. Dopo la fine del confronto-scontro tra i due Blocchi, gli Stati Uniti hanno perso progressivamente interesse per il Continente Nero, la cui rilevanza strategica si è andata, pertanto, riducendo negli ultimi anni del XX secolo. Pechino, da parte sua, negli anni della decolonizzazione e del doppio scontro, con il mondo capitalista da un lato e con l’URSS dall’altro, aveva posto le basi di un rapporto con diversi Paesi africani1, senza peraltro che l’intero Continente assurgesse a snodo centrale della politica estera e della strategia cinesi. Dagli anni ‘90, all’indomani della strage di Tienanmen, la complessiva riorganizzazione del Partito Comunista Cinese e della sua presenza nel mondo ha condotto Pechino, attraverso un’escalation 1 Congressional research service – Library of Congress, China’s foreign policy and “soft power” in South America, Asia and Africa, U.S. Government printing office, Washington, 2008.

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Prefazione

esponenziale e fulminante, a porre l’Africa al centro della propria strategia, in ossequio al nuovo corso di Deng Xiaoping, volto all’apertura della Cina ai mercati internazionali e proiettato verso uno sviluppo economico e, quindi, verso un miglioramento progressivo del tenore di vita dei cinesi (vedi FIGURA 3 – Evoluzione PIL pro capite cinese). Questo breve volume si pone l’obiettivo di fare il punto, in maniera sintetica ed accessibile, e senza pretese di esaustività, sulle relazioni che i due colossi mondiali coltivano attualmente con il Continente africano, per giungere, quindi, ad una comparazione tra i due modelli, evidenziandone le affinità, ma soprattutto le differenze e ponendo le stesse in una prospettiva storica, rispetto ai modelli di rapporti con il Continente Nero attuati dalle grandi Potenze dal Secondo Dopoguerra ad oggi. Si cercherà, quindi, di intravedere se le relazioni USA-Cina rispetto all’Africa tenderanno a svilupparsi secondo i canoni dello scontro ideologico, tipici della Guerra Fredda, o se piuttosto le diverse strategie poste in essere non possano condurre ad una competizione collaborativa o, per utilizzare un’espressione novecentesca, ad una coesistenza competitiva2. Si tenterà, in altri termini, di prevedere se i comportamenti delle 2 L’espressione designava originariamente una fase peculiare della Guerra Fredda, quella in cui, pur non mancando crisi anche significative (Berlino e Cuba su tutte), appariva improbabile il ricorso ad una guerra totale, e si intravedeva la possibilità di una coesistenza, pur connotata da una competizione anche piuttosto aggressiva, si veda Duroselle J. B., Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, LED, Milano, 1998, pp. 555 ss.; Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali, pp. 809 ss.

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due principali Potenze mondiali saranno improntati al classico modello del dilemma del prigioniero3, incentrato sulla diffidenza reciproca o se ci sarà spazio per un approccio cooperativo e complementare. L’analisi terrà conto dei punti di vista africani, verificando come i Paesi del Continente si pongono rispetto ai due Giganti e ragionando su come la nuova competizione possa condurre ad un rinnovamento complessivo dei rapporti dell’Africa con il resto del Mondo. È opportuna un’annotazione preliminare sull’oggetto del presente lavoro e, in particolare, sull’area geografica di cui ci si occupa. Questo libro tratta soltanto dei rapporti di Cina e Stati Uniti con i Paesi della c.d. Africa Sub-sahariana, mentre non si occupa dei Paesi del Nord Africa i quali, per ragioni storiche, geografiche, culturali e geopolitiche, vengono generalmente accomunati ai Paesi del Golfo Persico e del Vicino Oriente. Si utilizzeranno, pertanto, i termini Africa e Continente africano, riferendosi esclusivamente alla porzione del Continente Nero posta al di sotto del grande deserto.

3 Per un’efficace e sintetica illustrazione del concetto, proprio della teoria dei giochi, si veda l’articolo Loretta Salino, Matematica per strategie ed equilibri, reperito alla pagina internet: http://magazine.linxedizioni.it/files/2011/04/linx-magazine_09_2011_riflessioni2.pdf, laddove si illustra anche l’applicazione di tale concetto alle dinamiche strategiche tipiche della Guerra Fredda.

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INTRODUZIONE

La storia dei rapporti tra l’Africa ed il resto del Mondo è, in larghissima misura, la storia del colonialismo e della sua fine, avvenuta progressivamente dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale4. Un’esperienza conclusa sulla carta, ma che ha lasciato pressoché intatti tutti i problemi di sottosviluppo, dipendenza e conflittualità che continuano ad affliggere i Paesi africani. Una storia rispetto alla quale le due grandi Potenze oggetto della nostra analisi non hanno svolto un ruolo di primo piano, non essendo né gli USA, né la Cina direttamente coinvolti nella storia della conquista e quindi del dominio sul Continente Nero. Gli Stati Uniti, semmai, sono intervenuti in Africa, assumendo un ruolo sempre più rilevante, proprio quando l’avventura coloniale delle Potenze europee volgeva al termine. Le prime avvisaglie di tale conclusione si ebbero, infatti, dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale, quando gli Stati Uniti si affermarono quale Potenza principale del Blocco occidentale e quando le Potenze coloniali non erano palesemente più in grado di mantenere gli Imperi che avevano costruito nei secoli precedenti. Fu allora che, nel quadro della competizione bipolare con il mondo comunista dominato dall’URSS, Washington cominciò ad interessarsi 4 Una delle migliori ed esaustive esposizioni del processo storico che condusse, in pochi anni, all’indipendenza della gran parte dei Paesi del Continente africano si può trovare in Ki Zerbo J., Storia dell’Africa nera, Einaudi, Torino, 1977, pp. 615-752.

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attivamente al destino dei Paesi africani, i quali si apprestavano a prendere in mano, o quanto meno speravano di farlo, le redini del proprio futuro. La nascita e poi l’esplosione del nazionalismo in molti Paesi del Continente5, talora venata da connotazioni ideologiche di matrice marxista, condusse gli USA a temere l’espansione sovietica in Africa, con tutto ciò che ne poteva conseguire rispetto all’enorme riserva di risorse naturali ivi presenti. Fu da queste considerazioni che ebbe origine la politica di Washington nei tre decenni che vanno dalla stagione delle indipendenze africane sino al crollo del sistema bipolare, materializzatosi con la fine dell’Impero sovietico. In quei tre decenni, la politica occidentale, e per quel che più ci interessa, la politica statunitense in Africa, si tradusse nel sostegno ad una variegata moltitudine di leader accomunati soprattutto dalla comune avversione per l’URSS e la sua ideologia. Sostegno che si tradusse anche in alcune avventure militari, di tipo contro-insurrezionale, come nel caso della Repubblica Democratica del Congo6, o in appoggio ad una delle fazioni in lotta nelle guerre civili combattute nel Continente, come nel caso dell’Angola7. 5 Sul concetto di nazionalismo africano e sull’impatto dello stesso sul processo di decolonizzazione v. Ki Zerbo J., op. cit. e il classico saggio di Hodgkin T., Nationalism in colonial Africa, Frederick Muller, London, 1956. 6 Per una recente riflessione sull’intervento USA nell’ex Congo belga, v. Michaels J. H., Breaking the Rules: The CIA and Counterinsurgency in the Congo 1964–1965, International Journal of Intelligence and CounterIntelligence, 25: 130-159, Routledge, 2012. 7 Guimarães, F. A., The Origins of the Angolan Civil War: Foreign Intervention and Domestic Conflict, Basingstoke, Macmillan, St. Martin’s Press, New York, 1998; Bissonnette B., The Angolan Proxy War: A study of foreign intervention and its impact on

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Introduzione

Ma già nei giorni in cui la fiamma del nazionalismo ardeva tra le élite dell’Africa Nera e figure come Kwame Nkrumah8, in Ghana, e Patrice Lumumba9, nell’allora Congo belga, acquisivano sempre più consenso puntando su una forte retorica anti-coloniale, Washington tenne gli occhi bene aperti ed intervenne, senza troppi scrupoli, come nel caso di Lumumba, per evitare che territori strategici e ricchi di risorse cadessero in mano a leader poco inclini a lasciar sostituire il vecchio dominio coloniale con un controllo neo-coloniale di matrice occidentale10. In quegli stessi anni, la Cina, sempre più distante da Mosca11, puntava a creare legami con i nuovi Paesi emersi dal processo di decolonizzazione, nel tentativo di stringere alleanze preziose, in una fase in cui il seggio cinese del Consiglio di Sicurezza ONU era occupato dalla Cina nazionalista di Taiwan. Si trattava, quindi, di una strategia volta a sostituire Mosca nel ruolo di paladino delle nuove nazioni, tentando al contempo di porsi alla

war fighting, Tesi del Master of military art and science – Strategy, Fort Leavenworth, 2008. 8 Birmingham D., Kwame Nkrumah, the father of African nationalism, Ohio University Press, Athens, 1998. 9 Aruffo A., Patrice Lumumba e il panafricanismo, Massari, Bolsena, 2001. 10 Dai documenti ad oggi disponibili, non risulta provata l’implicazione diretta di Washington nella morte del primo premier congolese, ma risulta dimostrato il costante ed ampio sostegno fornito dagli USA ai leader congolesi allora impegnati nella lotta contro lo stesso Lumumba. In tal senso, Weissman S. R., U.S. Role in Lumumba Murder Revealed, Washington, 2002, reperibile alla pagina web: http://users.skynet.be/ wihogora/lumumba-alafrica-220702.htm. 11 Sulla crescente distanza tra le strategie ideologiche e di politica internazionale delle due grandi potenze comuniste, v. Duroselle J. B., op. cit., pp. 543 ss.

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guida del movimento dei c.d. Paesi non allineati12 che non accettavano di essere inseriti forzatamente nella dialettica assorbente Est-Ovest. Fu il celebre viaggio13 dell’allora primo ministro cinese, Zhou En Lai, tra il dicembre 1963 ed il febbraio 1964, a sancire la collaborazione tra Cina e Africa, sulla base di principi non troppo dissimili da quelli della nuova Cina post-maoista. Ma l’impegno di Pechino in quegli anni ed anche nel decennio successivo, al di là delle grandi dichiarazioni di principio, non si tradusse in grandi numeri sul piano della cooperazione economica, sebbene importanti investimenti14 furono comunque realizzati in alcune aree del Continente. Fu solo nell’era di Deng Xiaoping che la propensione della Cina verso il Mondo esterno aumentò esponenzialmente. In particolare, l’inizio degli Anni ‘90 segnò un punto di svolta nelle relazioni tra Cina ed il resto del Mondo, Africa compresa. Ciò accadde sia per ragioni esterne (il crollo del Blocco sovietico e la conseguente fine del quadro bipolare), sia per vicende interne (su tutte la crisi legata al dissenso e la successiva strage di Tienanmen). La leadership cinese comprese ben presto, con indubbia lungimiranza, che la fine della Guerra Fredda o comunque dell’ultima fase dello scontro bipolare, avrebbe aperto nuovi spazi politicodiplomatici, ma soprattutto economici, in aree del Pianeta, come 12 Calchi Novati G., Non allineati, Paesi, voce in Enciclopedia Italiana, Treccani, V appendice, Roma, 1993. 13 Legum C., What kind of radicalism for Africa, in Foreign affairs, gennaio 1965. 14 Ogunsanwo A., China’s policy in Africa 1958-71, Cambridge University Press, 2010.

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Introduzione

l’Africa, dove la presenza delle grandi Potenze era stata, nei decenni precedenti, soprattutto un riflesso del confronto-scontro globale. Ma la spettacolare crescita della presenza cinese nel Continente Nero degli ultimi due decenni, che ha peraltro subito da dieci anni a questa parte un’esponenziale accelerazione, è soprattutto la conseguenza della necessità di Pechino di trovare nuove fonti di materie prime, in primo luogo energetiche, per sostenere la febbrile crescita economica interna. L’Africa, inoltre, è diventata progressivamente una delle terre di emigrazione dei Cinesi in cerca di fortuna. Alle tradizionali mete del Sud-est asiatico, dell’Europa e degli Stati Uniti si è aggiunta, infatti, la possibilità, fortemente incoraggiata dal governo di Pechino15, di intraprendere attività commerciali, finanziarie ed industriali in mercati spesso privi di una reale concorrenza e, quindi, forieri di ottime opportunità di profitto. Tale dinamica è incentivata e supportata dal regime non solo per l’importanza strategica in termini di risorse del Continente africano, ma altresì quale parte della soluzione al drammatico problema demografico ed ambientale posto dalla crescente urbanizzazione ed industrializzazione del Paese, con i conseguenti dilemmi in materia di sostenibilità sociale ed ambientale. Quanto agli USA, dopo la fine della competizione bipolare si è assistito ad un iniziale allentamento della presenza nel Continente africano, incentrata essenzialmente su rapporti privilegiati con alcuni alleati posti in regioni particolarmente strategiche, come il Corno 15 Bristow M., China in Africa: developing ties, BBC News, 29/11/2007, reperibile alla pagina web http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/7118941.stm.

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d’Africa, snodo centrale nel traffico mondiale di idrocarburi, e su alcuni interventi militari spesso poco produttivi o, peggio, disastrosi, come nel caso della Somalia nella missione Restore Hope (1992) o ancora su un’inerzia non interventista, come nel caso del genocidio ruandese (1994) e della successiva sanguinosa guerra del Congo (1998-2003). L’alba del nuovo millennio, tuttavia, ha visto Washington inserire l’Africa tra i luoghi strategici della c.d. “Guerra al terrore”, considerata la presenza sempre più evidente di movimenti islamisti, talora di ispirazione qaedista, in varie regioni del Continente Nero, come dimostra l’attuale situazione nel nord del Mali e più in generale nel Sahel. Di qui un rinnovato impegno militare e di intelligence, sebbene con la prudenza dettata dalla volontà di non dilapidare ulteriormente il patrimonio di soft power costruito nella seconda metà del secolo scorso16. Sul piano economico e commerciale, si assiste in questi ultimi anni ad un maggiore impulso, da parte di Washington, ad incrementare la presenza in Africa delle corporation a stelle e strisce: un tentativo, forse un po’ tardivo, di recuperare il terreno perduto rispetto all’espansione cinese in Africa.

16 Per una breve definizione del concetto di soft power, Il concetto di soft power e gli Stati Uniti (voce), in Atlante geopolitico, Enciclopedia Treccani, Roma, 2012; per un’ampia analisi dell’importanza del soft power e della public diplomacy, si veda Waller J. M., Strategic Influence: Public Diplomacy, Counterpropaganda, and Political Warfare, The Institute of world politics press, Washington, 2008, reperibile anche alla pagina web http://jmw.typepad.com/files/strategicinfluenceclass_copy.pdf.

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CAPITOLO 1 Washington nel Continente Nero: ragioni e modalità della presenza statunitense in Africa

L’Africa appare agli occhi degli strateghi statunitensi almeno sotto tre aspetti principali: un’ampia riserva di materie prime, un vasto mercato caratterizzato da una fervida crescita economica e da una popolazione in costante aumento, ed una regione sempre più strategica in termini di sicurezza. Non vanno, inoltre, dimenticate l’attuale centralità dell’Africa occidentale nelle rotte transnazionali del narcotraffico e la persistente minaccia costituita dalla pirateria, attiva nei golfi di Aden e di Guinea, snodi centrali per il trasporto intercontinentale di risorse energetiche, petrolio in particolare. Ragioni economiche e strategicomilitari, quindi, con una recente accresciuta rilevanza del Continente Nero sotto entrambi i profili. Il documento ufficiale recante l’attuale strategia dell’amministrazione USA riguardo all’Africa è la U.S. Strategy Toward Sub-Saharan Africa pubblicata il 14 giugno 201217. Non una vera e propria nuova strategia, piuttosto un tentativo di riassumere e sistematizzare le linee guida seguite dall’Amministrazione statunitense durante il primo mandato presidenziale di Barack Obama. Nei contenuti il documento non introduce, infatti, significative innovazioni. Degna di menzione appare 17 Il documento è reperibile alla pagina web: http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/docs/africa_strategy_2.pdf.

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