Fuocofuochino digitale

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Anche se non ce n’era un gran bisogno è nata

FUOCOfuochino la più povera casa editrice del mondo Le stampe in fotocopie in numero di 11 (undici) esemplari verranno spedite agli amici, sempre quelli, giusto per vessarli quel tanto che basta. In più saranno stampate 9 copie, destinate al pubblico (a prezzo variabile), ognuna firmata Prova dell’Editore. Il formato è di cm. 14,8 x 21 e 4 è il numero massimo di facciate interne per ogni edizione. In quarta di copertina ogni copia reca un bollo IGE annullato da giduglia stellata che ne comprova l’originalità. Non ci sono collane, c’è un catalogo, poverissimo ma c’è.

Questa nota, divulgata agli amici nel mese di novembre 2009, è stata ed è imprescindibile. Dopo la presente pubblicazione le edizioni successive a tiratura limitata continueranno il loro cammino.



Ringraziamenti Massimo Bini e Dario Gelmini della Arti Grafiche Castello che hanno voluto la pubblicazione delle 17 edizioni realizzate fino a oggi. Copyright Š FUOCOfuochino 2010


FUOCOfuochino La pi첫 povera casa editrice del mondo

illustrazioni di Gianluigi Toccafondo



a Giancarlo Gradella



FUOCOfuochino è un piccolo segno di vita di una letteratura del tutto gratuita, un omaggio alla meraviglia della scrittura. Nasce da un’intuizione di Afro Somenzari, dai suoi rapporti di amicizia, dal desiderio di riunire amici a una comune tavola letteraria. Un gesto gratuito di scrittori che hanno voluto regalare ad Afro e alla sua minuscola neonata casa editrice racconti, poesie, pensieri. Per amore della letteratura, per amore dell’amicizia, per amore di fare e di offrire qualcosa fuori dai circuiti mercantili. La nascita di una casa editrice è sempre un miracolo, perché è il luogo attivo di un nuovo punto di vista sul mondo. FUOCOfuochino nasce a Viadana, nel cuore della Bassa accarezzata dal Po, sul confine tra Lombardia ed Emilia. È il luogo delle favole di Barzamino create da Daniele Ponchiroli, per tanti anni protagonista discreto della casa editrice Einaudi, che forse, come Barzamino, aveva «una sola idea in testa: quella di tornare a casa». Qui villeggiava, preferibilmente a settembre, Grazia Deledda maritata in Madesani. A due passi da qui, a Pomponesco, era nato e abitava Alberto Cantoni, grande viaggiatore, scrittore corsaro e umorista apprezzato da Pirandello e Bacchelli, il cui Bastianino è senz’altro il fresco antenato di Barzamino. Sulla sponda reggiana del Po, da Luzzara a Brescello, risuonano i nomi di Zavattini, Ligabue, Guareschi, di quel piccolo grande mondo in «cui basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia»; tuttora, nonostante le evidenti ferite dei tempi moderni. Luoghi di storie, di narratori, di nebbie, di luci che appaiono scompaiono, segnali di viandanti, case, strade, fari, barche, osterie: fuochifuochini che suggeriscono presenze vitali, reali e fantastiche, come queste scritture fisiche e patafisiche che sono luci letterarie nate nell’autunnoinverno 2009 in margine a un ciclo di incontri di scrittori bizzarri fuori dal coro. Gino Ruozzi

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Nei colloqui intrattenuti con Silvano Freddi è emerso un mondo popolato di vampiri. Non è importante stabilire se questi sono esseri in carne e ossa o immaginari, ma riflettere sull’atto di vedere ciò che non esiste (o non vedere ciò che esiste). Forse si tratta solo di trasformazione visiva dei soggetti in altri specchi; una sedia che diventa gabbiano, il cipresso si muove come una giraffa. Il testo raccolto e trascritto rispetta fedelmente le parole di Freddi, nulla è stato corretto, aggiunto o omesso.

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Silvano Freddi

i vampiri

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I vampiri sono delle persone mica normali.

Qualcuno ha la gobba e tutti portano grandi basette e il pizzo.

Quando c’è burrasca sono costretti a volare perché il vento li porta via.

Ci sono due capi che non volano perché sono troppo grossi.

In genere sono tutti pelosi, sono rivestiti di pelo nero ma ci sono anche di pelo rosso.

Bevono bicchieri di vino e cercano spalla cotta da mangiare.

Quando c’è buio usano lampadine accese rivolte verso terra.

Passano spesso di qui però di lavorare non ne hanno voglia.

Il maschio è grosso e pesa un quintale.

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Una volta un vampiro mi ha chiesto: “Cosa ha da guardare?” E io ho risposto: “Guardo le stelle”. Ho capito che non amano essere guardati.

Sono intrecciati con la Mongolia.

Si informano e diventeranno intelligenti.

Per adesso per mangiare si arrangiano a rubare.

A Balasini sono stati i vampiri a rubargli le melegrane.

Il vampiro passa dappertutto.

Mangia spesso delle fette biscottate che fa scricchiolare rumorosamente sotto i denti. Le vanno a rubare di notte al supermercato.

Passano sopra le fabbriche dove non ci sono i tetti e vanno su e giù incuranti di tutto.

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Qualcuno ha i denti di fuori.

I vampiri dell’Emilia sono buoni.

Se trovano dei vampiri femmina gli saltano addosso.

Un vampiro femmina è passato di qui aveva le cosce grosse come quelle di un toro.

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Gli Euforismi sono un chiaro gioco di euforica scrittura assoggettata alle norme aforistiche. Essi subiscono evidentemente l’influenza del pensiero orientale mantenendo tuttavia vivo, non senza riluttanza, ciò che resta della nostra miseria occidentale. Il testo alterna stati di malcontento disperante a slanci di entusiasmo quasi gioioso. L’autore prende a randellate il corpo dell’essere il quale, dopo alcuni colpi, mostra crepe, tumefazioni e ferite profonde. Prima che il peggio sopraggiunga Ihll Bihto si allontana brevemente per osservare con attenzione il corpo disgiunto del malcapitato. Successivamente si avvicina cercando di lenire il suo terribile dolore con parole dai toni dolci e sereni. Al primo segnale di ripresa dell’essere, l’autore si accorge di avere sbagliato qualcosa, allora lo finisce con un colpo di vanga al torace.

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Ihll Bihto

euforismi

PENSIERI TRANSITORI

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Scrivere è come eiaculare, ti stai vuotando di qualcosa. Se io fossi, tu saresti. Ma siccome io non sono, tu non esisti. Quando un fiore sboccia non è primavera ovunque. La lobotomia rende l’uomo libero. Quando sarete riusciti a trovare il vuoto e ad afferrare il nulla, potrete anche iniziare a masturbarvi. È bello ritrovarsi dopo che ci si era persi, e ricominciarsi tutto di nuovo. E ricordati: tu non sei tua madre, io non sono tuo padre. I buddisti occidentali stanno a Budda come i mercanti del tempio stanno a Cristo. Ama la fotografia come te stesso. Ho passato buona parte della mia vita nuotando. Nuotavo in un lago di diarrea. Poi ho scoperto un altro modo di vivere, adesso volo.

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Dove siamo? Senza dubbio dall’altra parte. Da quando ho eretto a filosofia di vita il mio totale fallimento, non ho più paura di sbagliare. In nessun luogo io sono... in nessun paese e in nessuna casa. Credere è bene, credere di credere è male. Mettiti con le spalle al sole e guarda la tua ombra: chi è? La mia vita è sempre stata una continua battaglia. Anche adesso sto lottando tutti i giorni con me stesso per capire chi dei due è più stupido. Quando sono dentro di te non so più dove sono. Provare compassione per gli altri è ammirevole. Sputargli in faccia la verità è coraggioso. Ti amo come sei. Altrettanto amo me stesso. Il suicidio è la giusta fine di un pessimo inizio.

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La vera libertà esiste solo se guardi le cose con distacco, senza coinvolgimento e devozione. Così facendo nessuna zavorra rallenterà il tuo cammino. Se non sei in grado di inginocchiarti di fronte alla suprema bellezza della natura, all’amore, ai tuoi padri, come puoi farlo davanti a una statua, a un dipinto o a un pezzo di carta? Non sono cristiano, taoista, sufi, buddista e neppure zen. Cosa cambia essere l’uno, l’altro o nessuno? Io sono latente: fondamentalmente nulla. Calcolare l’area calpestabile di una grande giduglia di media dimensione.

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La dimostrazione che per scrivere sia necessario solo il desiderio ci è consegnata in questo Omaggio a un bottone. Il volo immaginario tra una piccola cosa e l’altra diventa storia, racconto vocale (non a caso il testo è dedicato a Robert Walser). Partendo dal taglio infinitesimo, la concezione di un oggetto qualsiasi giunge quasi a una sfumatura mitologica, alla sua rivelazione con la gioia e l’entusiasmo del recupero di aspetti semplici, dolci e autentici. Forse è solo avventura rivissuta con l’esperienza del gioco adulto in un panorama bambino.

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Lorenza Amadasi

omaggio a un bottone per tutti i bottoni

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Cari bottoni che aprite le cose e le chiudete.

Cari bottoni che state lì attaccati per anni con fedeltà, quando vi staccate diciamo urlanti: “Ho perso un bottone!”

Quando vi vediamo abbandonati vi schiviamo con lo sguardo senza raccogliervi.

Trovare un bottone invece è una rarità, prendersene cura non è cosa da tutti.

Il bottone di madreperla nella scatola di cartone della nonna.

Il bottone che chiudeva il mio golfino blu era di perle bianche.

Una mia cara amica corre per mercatini alla ricerca di bottoni vecchi e nuovi con forme squisite simili a marzapane, pasticcini e caramelle che diventano una pasticceria virtuale.

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Quando li trova li mangia tutti. Costruisce opere a volte li attacca alle borse di sua manifattura ne ho vista una color fucsia con tutti i bottoni verdi e diversi di forma.

Li applica su abiti su cuscini decora la casa con i bottoni anche in bagno al posto delle mattonelle.

Voleva fare il soffitto pieno ma ha rinunciato.

Nelle sue lettere c’è sempre un bottone.

L’ultima lettera che mi ha spedito aveva disegnato i bottoni che avrebbe voluto trovare perchÊ credeva esistessero.

Bottoni al posto di pedoni per un gioco da inventare.

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-Basta un bottone all’anno per togliere un malannoavevo letto su una vecchia scatola.

Un bottone trovato è un successo assicurato.

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Il fatto che “Il signor Cirillo” sia una storia vera, non toglie fascino a questo testo in continuo cammino, perseverante e surrealista. A parte la nota questione simbolica dell’andare (verso dove? verso chi?) si entra qui in un meccanismo sonoro, un carillon pensante che racimola briciole di antica conoscenza. Testo semplice e raffinato non lascia spazio a sentimentalismi; sullo sfondo mostra una qualità di intenti; dalla ricerca della complessa autenticità alla rincorsa di una felicità non preponderante, né troppo lusinghiera e forse inutile, anche.

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Virginia Merisi

il signor cirillo

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Il signor Cirillo aveva camminato lungo il vicolo per un secolo. Tutti i giorni sbucava all’angolo della piazza sostenuto da un elegante bastone, si bloccava improvvisamente lanciando uno sguardo a 180° gradi con una lenta torsione del collo per poi riprendere il cammino nuovamente passo dopo passo con un ritmo lento e solenne, unico fra tutti i passanti realmente interessato ogni volta, come fosse la prima volta, a scoprire quel tratto di strada. Nelle belle giornate viaggiava seguendo le ondate del sole, radente ai muri in quelle piovose. Ho tentato di capire la tecnica della sua passeggiata. Alcuni accorgimenti erano evidenti, una sosta in punti strategici tra i quali quello accanto alla mia porta; in caso di malore gli sarebbe bastato suonare il campanello. Oppure affacciarsi alla finestra aperta verso mezzogiorno, con la scusa di chiedere cosa si stava cucinando. Salutava cortesemente traballando sul suo bastone se poi qualcuno di loro non aveva fretta lo intratteneva in brevi conversazioni. Qualcuno esprimeva considerazioni sulla sua buona salute e sul suo aspetto giovanile, a quel punto il signor Cirillo infastidito elencava i suoi mille acciacchi.

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A volte l’ho visto con il suo bastone alzato a mezz’aria per rimproverare un’automobilista che sparato attraversava il vicolo a folle velocità. Miracolosamente il signor Cirillo si bloccava catatonico forse anche il suo respiro si fermava poi via, riprendeva il passo. Nell’ultimo decennio il signor Cirillo aveva percorso circa trecento chilometri, e consumato ventisette paia di scarpe. Il giorno in cui il signor Cirillo mi svelò la sua tecnica segreta per non inciampare e cadere lo fece impiegando mezz’ora, percorrendo appoggiato al mio braccio circa una quindicina di metri. Gli fui grata in quella circostanza poiché mi diede modo di pensare alla raffinata esperienza accumulata in anni di camminatore del vicolo. Fui stupita dalla varietà di particolari e dalle incredibili minuzie che il signor Cirillo aveva acquisito percorrendo sempre la stessa strada. Quel giorno mi parlò alla maniera del maestro che passa un segreto all’allievo preferito, al termine della iniziazione e dopo svariate pause giustapposte per rinforzare gli insegnamenti, mi strizzò l’occhio e mi assicurò che da quel momento avrebbe potuto proseguire da solo.

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Il signor Cirillo è morto sugli scalini di casa, gli sarà sfuggito il conteggio dei gradini, o non avrà allacciato per bene le scarpe, o sorpreso dall’improvviso abbaiare del cane avrà appoggiato malamente il bastone, chissà! L’ultima volta l’ho visto nella bara, era molto più alto, il suo lungo e metodico esercizio gli aveva allungato ossa e muscoli. Mi è venuto spontaneo augurargli buon viaggio.

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Fare qualcosa su altro è il punto fermo di questo racconto di Virginia Merisi, tuttavia secondo la forma oggetto-soggetto e i dettami odierni per un buon conseguimento di pari possibilità, sorge la variazione di fare qualcosa con altro. Cambia il senso motorio del desiderio. Abolizione del tabù, ma anche riproduzione alternata di ossessione e paura di ciò che qualcuno potrebbe definire trascendenza o beffa, delinea il problema di scioglimento dell’atto, che in sé ricalca la goffa saggezza dell’intimità. Chi non ne coglie il riferimento consensuale, è un rastrello sdentato.

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Virginia Merisi

l’incidente

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-Dai! Dai! Dai! Non c’è tempo da perdere, sbrighiamoci, corri, svelto!… Ok! Ok! Resistete sì, ci siamo… Veloci, sì, sì, sì, noi siamo pronti… Rilassatevi, fra qualche momento tutto sarà finito… No! Signora, non così, lei deve stare ferma! Cerchi di non muoversi respiri lentamente… No, non così, per ora non possiamo toglierlo di lì pazienza, non stringa! No, lo so che non è colpa sua… E lei non abbia paura, ok!… Adesso il calmante farà il suo effetto, sì a tutti e due… Guardi la teniamo noi, cerchi di rilassarsi… La signora lo è già, vede?… Pensi che fra qualche minuto tutto sarà finito, finito. Ok?… Forza aiutiamolo su, su coraggio, scusi signora, ma finché lui non si rilassa lei deve sopportare il suo peso… Vede ecco, ecco ci siamo, sì, dolcemente va bene? Sente, sente che si restringe, sì? Bene!…

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Sì certo ancora un poco e il dolore… Sì, sì, il dolore è ancora forte ma passerà. Forza ci siamo, ecco, ecco, bene non si preoccupi, come lo sente?… Sì ecco, si è sfilato, è uscito!… Dai! Dai! Sorreggilo, la botta di sonno adesso arriva. Eccolo! Eccolo! Signora lei si può togliere… Si muova piano, piano, brava così l’aiuto… Ecco! Tenga, si metta questa camicia... No, non si preoccupi venga, si stenda qui sul lettino, ora vedo… Sì, è ancora un po’ infiammato, ecco le metto una crema, vedrà l’aiuterà molto... No, non lui, lui adesso dorme, sì, fino a domani… Bene, adesso può scendere, si stenda pure, sì certo a pancia in giù... Che ore sono? Sono le tre, perché me lo chiede? Ha lasciato il gas acceso?…Tutto ok! Non si preoccupi, ci hanno pensato i pompieri. Lui?…Beh! Per ora... Vedremo in seguito… Lesioni? No, una scottatura pesante sì questo sì, ma non devastante, sì per un po’ dovrà stare tranquillo col tempo si riprenderà…

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Ma, mi scusi, posso chiederle come è accaduto? Sa, è per via del verbale… Ah! Mmm…Sì, ho capito, sì, sì ma di chi è stata l’idea? Ah!...Lui l’aveva visto in un film. Beh! Ovvio, e lei che cosa ha fatto?… Come sempre? Ma la frittata stavolta è finita lì!… Ah, ecco perché!… Adesso è chiaro… No, nooo!…Tranquilla questo non lo scriviamo-.

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Grand tour abbraccia folgorazioni e pillole di stanchezza letteraria che assumono i toni di un piccolo ma puntuale affresco dipinto con fare leggero e riflessivo al tempo stesso. Personaggi e viaggi, pensieri e sentieri si annodano e si biforcano creando altre aspettative e soprattutto giocando con ironico sarcasmo sul destino del pensiero fuggente, fungente e friggente. Insomma Roberto Barbolini è uno che predica male e razzola bene.

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Roberto Barbolini

grand tour

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PENSIERO DEBOLE Vattimo fuggente CACCIARI SI TINGE Mens nana in corpore vano ZEFFIRELLI - PENSIERO Cristo si è fermato a Boboli ALDO BUSI DESNUDO Il sodo mitico COMMEDIA ALL’ITALIANA Risi e Bisio CUCINA GIAPPONESE Mala tempura currunt OMOSESSUALE GIAMAICANO Pederasta TRANSESSUALE SUDAFRICANO Transvaal CARDIOVERTITO Cardiopatico gay

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ZAPATERO DOCET Pacs vobiscum ESCORT Sic Transit: dalla Ford alla Fininvest IL PREMIER TOMBEUR Pedica bene e razzola male GRAND TOUR Vedi Napoli e poi Nori NOISES OFF Bisbidis, wirrwarr, in fretta or vi sgancio una saetta d’avanguardia fo anche i peti sono Eddy Sanguineti GIOCHI DI RUOLO Erano i capei bruni a Lara sparsi i nostri corpi intenti ad azzuffarsi. “Angelina Jolie, bambina mia...” “Taci e scopa. Facciamo sodomia!” Fu così che in quel modesto loft misi il cazzo nel culo a Lara Croft

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L’INFINITO Con il mio passo molle risalgo l’ermo colle. Oltre la siepe m’appare l’infinito Resto basito RIPOSINO IN PACE Tragedia in due battute Il protagonista, sbadigliando: Ah, finalmente ho potuto fare un riposino in pace! (Sipario) PUNTI DI VISTA Tragedia in due battute Personaggi: il Pittore, l’Apprendista Maldestro “Maestro, non potrebbe chiudere un occhio?” Il Guercino gli scaglia la tavolozza in testa. (Sipario) SPECCHIO – cronaca vera 1 A 13 anni Danielle Nulty, guardandosi allo specchio, scorge rughe e calvizie inesistenti. A 16 non s’attenta più a uscire di casa. In tv scopre di soffrire di dismorfobia e da allora è in cura da uno psichiatra. Intanto lo specchio continua a riflettere.

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CENERI – cronaca vera 2 Ammucchiavano i morti per cremarli insieme e risparmiare. Consegnavano ai parenti false ceneri di cani e gatti. Fra i truffatori c’era un capitano dei carabinieri in pensione. Il fatto ha destato la preoccupazione delle associazioni animaliste. NIGHTMARE in onore di Augusto Monterroso Al mio risveglio, Platinette era ancora lì. GOURMET Odio farmi il sangue cattivo. Parola di Dracula. VAMPIRI IN CRISI D’ASTINENZA Rara Avis IL BARBO Eccolo! Abbocca, abbocca! Nessun dubbio: il Barbo sono io.

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Come recita il sottotitolo di questa edizione, la lunula offre lo spunto per alcune riflessioni di carattere geometrico, anatomico, zoologico e ornamentale. In una somma di negazioni Tania Lorandi racconta in forma brevissima la storia della geometria attraverso l’allevamento di figure piane sufficientemente inconsulte, al limite dell’inconsolabile. In sottofondo oggetti e personaggi si avvicendano nelle loro avvenieristiche teorie rimarcando per contro l’inutile preoccupazione per i seri o seriosi aspetti della vita. Passi sul marciapiede, ombrelli solidi e corpi liberi assumono sembianze di altre metropoli, di altre piogge e di altri organismi.

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Tania Lorandi

L’ottaedro regolare?

Omaggio a Ibicrate il Geometra, padre delle lunule

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Avrei potuto raccontarvi dei primi allevatori di poliedri, filosofi, matematici e alchimisti... Ma non lo farò! Perché non ricordo se Archimede allevò dei poliedri, se erano 13 e semiregolari. E non so più se il dodecaedro è un animale fantastico immaginato nella quintessenza. Avrei potuto raccontarvi del poliedro sotto il punto di vista della prospettiva centrale, l’individuo, l’artista...Ma non lo farò! Perché non sono riuscita a tenere a mente se fu Piero della Francesca, il suo allievo Luca Pacioli o Leonardo da Vinci a disegnarli. Come mai adesso sto pensando ad Albrecht Dürer? Non so se è stato Keplero ad adottarli per associarli al movimento dei pianeti. E mi sono dimenticata se è Catalan ad aver studiato i poliedri archimediani e i loro duali. Il poliedro è un solido limitato da un numero finito di poligoni piani?

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Avevo a conoscenza che l’ottaedro regolare era un solido di Platone composto da otto facciate. E che gli otto triangoli equilateri si giungevano quattro a quattro ad ogni sua sommità. Chi mi assicura che l’ottaedro regolare è un genere speciale di antiprisma triangolare a bipiramide quadrata? Avrei potuto raccontarvi della fisica, della metafisica e dei loro piccoli poliedri; la ‘Patafisica non è stregoneria... Ma non lo farò! Perché mi è sfuggito di mente se è proprio Achras ad aver scritto un trattato sui costumi dei poliedri. Se è lui ad aver messo 60 anni a comporre una tesi sulla superficie del quadrato. Non ricordo se era di professione cercatore di piramidi. Era forse stato lui a garantire che sono vivi, a dire che proliferano rapidamente, che si riproducono come dei conigli e che a volte si rivoltano?

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FLOP... Sto cercando tra le geometrie il parossismo delle sfaccettature che disegna la curva. Ho letto che si chiama quadratura. La brezza con il suo sole torbido e penetrante mi guida al raggiungimento del respiro. Vedo l’aria come cristalli di neve, mi entra nei polmoni. Cavalco poliedri. È così che da terra ferma navigo ed entro in me! Dentro in me, confondo se Chambernac allevasse poliedri o fave o se avesse scritto un’enciclopedia... Cos’altro mi sono scordata? Ah, sì... Il poliedro non è un coccodrillo.

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Storia d’amore e di illusione, di vizio e finzione. Questa l’idea che emerge a una prima lettura del racconto breve di Guido Conti. A una corsa più attenta si affacciano altri paesaggi, se vogliamo quello della sfida alle tenaglie borghesi, o di chiari riferimenti sessuali, oppure del pubblico che pare interessato all’evento per poi dileguarsi, paralizzato nella sua insulsa mediocrità. C’è anche il riferimento alla rivoluzione cubana, ad effetto Wilson-Lincoln, che assume connotati di epica resistenza del quotidiano. Sono tutte metafore che non si capiscono a fondo perché la pagina è costantemente affumicata, avvolta da una cortina di fumo provocata dalle sensuali boccate della mamma.

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Guido Conti

mia mamma fuma il sigaro

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In casa mia chi fumava i sigari non era mio padre ma mia madre. Questo fatto sconcertò mio padre fin dall’inizio, quando mamma fumava in bagno, da sola, non perché si vergognava di tenere in bocca quel lungo bastone rotondo che sembrava un ramo scuro di platano, ma per mio babbo. Lui era geloso da impazzire e malcelava questa sua malattia. E lo credo bene. Vi posso garantire che mi fece uno strano effetto quando vidi per la prima volta mia madre fumare, a tavola, un sigaro avana offerto dal migliore amico di mio padre. Oltretutto mia madre era anche bellissima, alta, bionda, con due seni prosperosi e le gambe lunghissime. Tutti ridevano e si sentivano a disagio di fronte a mia madre che fumava con disinvoltura ed eleganza quel sigarone. Era una delle prime donne che aveva avuto il coraggio di fumare un avana in pubblico e vi posso garantire che gli uomini, se prima impazzivano per la sua bellezza, quando fumava erano estasiati e la guardavano a bocca aperta. Il fumo che mia madre sapeva diffondere nell’aria faceva l’effetto di probabile mistura di un pentolone di strega.

Mio padre, a casa, sfogava furioso la sua gelosia. “Basta! Devi smetterla!” gli urlava. “Sono cose indecenti! Io non fumo nemmeno le sigarette e tu pretendi di andare a fumare in pubblico un sigaro, davanti ai miei amici!”

“Perché? Che male c’è?” rispondeva mia madre tranquilla. Mio padre soffriva questa passione di mia madre. Una volta, ricordo, siamo andati a cena in un famoso ristorante del centro città. Mamma, finito il caffè, tagliò la punta di un avana 71


che teneva nella borsetta. Mentre tirava le prime boccate, papà aveva cominciato a sorridere imbarazzato, guardandosi attorno circospetto mentre tutti gli uomini in sala, comprese le donne indignate che commentavano dietro i tovaglioli per non farsi vedere, avevano cominciato a girare e a ridere, a fare commenti sottovoce, con sorrisini che facevano arrossire un cieco. Mia mamma invece fumava il sigaro disinvolta, senza forzati esibizionismi, e tutti perdevano la testa quando poi accavallava le gambe. Quella sera, per la prima volta, mentre si puliva la bocca, mio padre morsicò con violenza il tovagliolo. Mamma fumava tranquilla e senza nessuna vergogna. Anzi.

Invitava le altre signore ad imparare a fumare il sigaro, a non vergognarsi, e che la passione per gli avana non era poi un fatto così rivoluzionario. A Cuba tutte le donne fumavano, anche le vecchiette appoggiate al muro lungo la strada, sedute all’ombra dei casotti aspettando che passasse la calura. “La calura la fa venire lei, signora!” disse un vecchio avvocato panciuto, seduto a tavola con noi, asciugandosi la fronte con un fazzoletto.

Quella sera, a casa, mio padre andò in bagno, prese un avana per imparare anche lui a fumare e invece di tagliarlo lo morsicò per disperazione. Quel morso gli diede un enorme piacere, come se affondasse i denti nella carne, e così, invece di fumare il sigaro, lo mangiò tutto, biascicandolo, poi prese mia madre e l’amò per tutta la notte, 72


come mai l’ebbe amata prima tra la furia e la disperazione. Mio padre non fumò mai il sigaro. Mia mamma, invece, continuò per anni, facendo impazzire gli uomini che in pubblico la guardavano e mio padre, a tavola, anche quando andavamo a mangiare la pizza nei ristoranti, morsicava il tovagliolo di nascosto, mascherando la sua rabbia in sorrisini idioti.

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Leggendo i Brevissimi il pensiero vola al saggio di Vladimir Liablov: “Pertinevich giduglioniov demoniaska” in cui il filosofo sottolinea la supremazia dell’esercizio materialista sulla libera satrapia fantastica. Somenzari invece percorre la strada al contrario, rullando di tamburo e grancassa badando all’inopportunità, al legittimo disfare, al diritto di esercitare il proprio ruolo in contrasto con la esclusiva considerazione generale, indice e direttiva di ogni esperienza dello scibile ma anche dello sciabile, inteso come naturale fenotesto. Giulio Sidereo

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Afro Somenzari

brevissimi quattro racconti

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I Zivelonghi dice che appoggiando la fronte sul muro si diventa invisibili. II Ho dormito in Corsica una sola notte. Su una parete c’era una cavalletta enorme. Ogni volta che racconto questa storia la cavalletta diventa sempre più grossa. Adesso peserà almeno sei chili. III Caio il pescatore, lo pagavano per dargli delle sberle. IV Al bar una volta Becchini ha detto: “Quarantasette, morbo che parla”.

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Se uno abita da solo, bisogna che stia attento a non perdere le chiavi di casa. Paolo Nori

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Afro Somenzari

spogliatoio per nudisti

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La sarta Giorgina aveva progettato una cabina-spogliatoio di vetro per nudisti e disegnato anche dei costumi fatti con delle reti di pescatori. Quando si è presentata all’ufficio brevetti, il direttore le ha pagato un caffè. A confessarsi dal prete di Cadìscolo ci andava sempre talmente tanta gente che lui, per smistare i fedeli, in chiesa aveva messo l’isola perdonale. Era gennaio quando il capomacchina della ditta Manzini Amilcare andò dal ragioniere per dirgli che in fabbrica c’era una pressa depressa. Nel libro “Atti degli apostrofi”, c’è solo la punteggiatura. L’alpinista Vinicio di Domodossola a suo cugino ieri ha detto: “Valà! che vado in America a scalare le montagne mocciose!”. Il muratore Berenzi, che verso Natale era stato mollato dalla morosa, si era chiuso in casa a cantare Single bells. Un lunedì sera che Cellino era tornato da Milano disse che, durante un modus scioperandi, c’era stata una carneofficina.

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Quando gli allievi della quarta B del maestro Ghizzoni venivano interrogati usavano l’alfabeto muto. A lui questa cosa piaceva poco, così inventò l’alfabeto sordo. Doveva essere maggio o giugno quando lo scrittore Cartoni Adriano ha pensato bene di dire: “Mi ricordo quando sono nato e da allora vivo ogni giorno come fosse il primo”. Ho incontrato uno che, per riutilizzare la coca che assumeva, aveva inventato la pista riciclabile. Guerrino, che si era stancato di rispondere a chi gli chiedeva come stava, un venerdì ha detto: “Ho una vita abbastanza autobiografica”. L’altro giorno Frenasi mi ha detto che in Marocco c’è un gruppo che da la caccia ai bianchi, dice che è il couss-couss-klan. Tommaso andava forte in bicicletta. Una volta Duilio gli aveva gridato: “Ohi! dove vai così di corsa?” e Tommaso: “Vado in Po a buttarmi sotto al treno”. Zozzi Anselmo, di professione alcolista, va in giro a dire che gli aironi che si vedono nelle campagne in inverno sono finti, e sono quelli del wwf che li spostano di notte. Una volta Pellicchi era andato a letto alle due di notte e alle quattro si era dovuto alzare per andare nella stalla a mungere le vacche. Una di queste gli aveva dato del latte stremato. Zalianti Augusto avanti in età

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però rimasto col cervello di noce, una volta che la “Casa del Biscotto” stava bruciando, aveva detto che si trattava di un incendio goloso. Quando a Carviello, detto Urtiga, il maestro gli ha chiesto come si nutrono i rettili, lui ha risposto: “Vanno a fare spesa al vipermercato”. Norino invece una volta, forse era verso sera, su un foglio di carta da formaggio ha scritto che i grandi uomini compiono spesso dei peccati geniali. Bronzetti aveva letto il libro “Cuore”. In una discussione al bar disse che il racconto che gli era piaciuto di più era stato quello di quel bambino che va in America, insomma, quello lì: “Dagli Appendini alle Ante”. Una domenica mattina Tacchi si era alzato presto e aveva camminato lungo i fossi di Pratochiozzo. Rientrato in casa chiese alla moglie se le era piaciuto il film che aveva visto la sera prima. Lei sospirando rispose: “Ah! sì, l’atomo fuggente è proprio una bella storia”. Gelsini Carolina la moglie di Tacchi era talmente appassionata di film che una volta, dopo aver visto “El Topo” di Jodorowsky, aveva detto che dentro il film c’era uno che diceva sempre: “Ratti chiari e amicizia lunga”. Denti Roberto è convinto che si imparano più cose stando fermi.

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L’autore prevede posti a sedere per le sue letture al volo. Il poetanavigatore trova isole poetabili, ascolta le scarpe di vernice ed entra in punta di piedi provocando xilofonie e fiori di muffa. Paure rubate, pensieri rivoltati e bugie nelle tasche. Possa poetare prima nell’acqua profonda e pozzanghere controvento, successivamente. Beatrice Delbosco

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Antoine Naville

P

pensieri sulla poesia e sui poeti

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Il poeta tratta le parole con cognizione di pausa.

Qualche volta la poesia incontra un guardiacaccia.

C’è il poeta con la matita rossoblu.

La poesia si avvolge al pioppo che ringrazia.

Il poeta somma tutte le sottrazioni.

Quando la poesia vola il poeta volta pagina.

Il poeta beve acqua poetabile.

Non c’è poesia senza foglie.

Al poeta puzza più la testa dei piedi.

Quando si taglia una poesia la carta non sanguina più.

Rivoltate un poeta e ne uscirà un coniglio.

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C’è la poesia tirata a lucido per scarpe.

Il poeta impostore è più facile e meno gracile. La poesia con motto senza una “t”.

Il poeta dalla mela che marcia.

Le strette tasche della poesia.

Sul mento del poeta ci sta una bugia.

C’è la poesia del ventre.

Il poeta ascolta dove chiunque altro guarda.

Poi è arrivato Bellintani.

I circoli dei poeti sono alla ricerca del coro filosofale.

La solitudine sta al poeta come la carezza sta al bambino.

Per il poeta il vento è un eufemismo cosmico. 94


Lasciate un po’ di polvere alla poesia.

In una fornace il poeta entra sempre in punta di piedi.

Quando non è giornata anche la poesia diventa un termosifone. Piegate una poesia a metà e lasciatela riposare.

C’è il poeta che piove spesso.

La neve della poesia non si scioglie mai.

La poesia fiorisce anche nella muffa del mandarino.

Quando il poeta apre gli occhi non vede più.

C’è la poesia che va letta nell’acqua.

Il poeta cova uova di gesso.

Nel sottobosco della poesia gli unici eroi sono i lombrichi.

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Arriva prima il poeta che nuota controcorrente o quello che ha il conto corrente?

Lo sguincio, il tralice e l’umbratile sono gli stuzzicadenti della poesia.

I poeti dal breve dizionario camminano lemmi lemmi.

C’è la poesia a scatola chiosa.

La poesia erotica va letta con la finestra alle spalle.

Ci sono gli antiestetici, anestetici, astenici e nevrastenici, poi ci sono i poeti.

Sulla morte in generale il poeta si gonfia, sulla morte in particolare si assottiglia.

Quando tutti scrivono e nessuno legge il poeta dorme.

Salpiamo la poesia.

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Il settimo giorno Dio non riposò, creò la poesia.

Da ogni poesia bruciata ne nascono mille altre.

Il poeta che accarezza un formichiere.

Poeta adottato: Orfano Genericamente Mortificato (O.G.M.)

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Il respiro in libera autonomia del linguaggio aspro di questo testo, soffia da est (o da sud) sull’universo sensibile, denso della propria forza scatenante che brilla sulla lama del coltello (nella piega) e mira a recidere il conformismo attivo e attuale. Gli stereotipi oratoriali vengono spazzati via dalla dolce tempesta della parola. Nel covato malcontento di uova turchesi screziate di falso oro, si avverte la denuncia dell’ineluttabile, invincibile adeguamento al benessere conforme alla sopravvivenza e al malcostume. Al resto e alla rivoluzione verbale e inesorabile, pensa la letteratura di Celati.

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Gianni Celati

ma come dicono di vivere cosĂŹ

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Ma come come dicono di vivere come dicono di vivere qui così? come fanno non si può capire per esempio anche di notte nel loro tenore di vita in tutto e per tutto che la vita è bella dicono - bisogna dirlo anche senza capirlo - attento a come parli che magari non ti prendano - per esempio per un guastafeste - capito? - o peggio e la squadra di calcio? - forza qui e forza là e la patria da salvare - da chi? da quelli che migrano come uccelli ma come dicono di vivere qui così? nelle case - nelle loro case - chiusi chiusi col tenore di vita - non si può capire chiusi col tenore di vita e il telefono e quelli là non li vogliamo - dicono al telefono quelli che migrano che vadano vadano da un’altra parte - dicono loro noi siamo nel giusto e qui non c’è posto noi siamo nel giusto perché ci siamo fatti da soli noi abbiamo la nostra bella patria - dicono così abbiamo la nostra patria con il tenore di vita e quelli là che migrano vadano da un’altra parte così parlano - per esempio anche di notte nelle case - nelle loro case - chiusi chiusi col tenore di vita - non si può capire ma come fanno - già - a tenere le facce così serie? poniamo tra moglie e marito - per esempio come fanno con le facce - non si può capire come fanno a tenerle così serie nel niente - di niente tra moglie e marito - anche tra altri con figli e amanti - attenti a non farsi beccare in fallo sul negativo - sul depressivo -

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perchĂŠ non c’è tempo per quello giĂ - il tempo stringe molto nel niente di niente e si deprimono a sentir parlare in modo dispersivo non costruttivo sul niente di niente che viene avanti col tempo che stringe - presi per il collo come dicono di vivere - che bisogna vivere cosĂŹ?

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Il santo, essendo fenomeno superiore, dunque non conforme allo stato fisicamente solido, è un po’ anomalo e tralascia, magari inconsapevolmente, di considerare la connubio oppositorum come possibile visione del mondo. L’ animale invece, non essendo dotato di verbo ma di grande fiuto, ha sempre ragione. Il santo predicante (privo di fiuto animale), determina la destinazione delle proprie parole nel vuoto d’aria denominato “Chambre de Pindòn”. Egli stesso, in fase di oblio dovuto a desiderio alimentare, assume connotati animaleschi coniugando in tal modo, suo malgrado, il concetto di cancellazione degli opposti. La “fola” di Pederiali configura la storia umanamente animale in qualità di “somma di tutte le sottrazioni”.

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Giuseppe Pederiali

una fola della bassa

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C’era una volta la Bassa, un giorno di Natale lontanissimo nel tempo. Ancora non esistevano gli alberghi e i ristoranti; e nei boschi pascolavano i porci. Gli antenati dei ristoratori facevano altri mestieri. Per questo motivo San Francesco, di ritorno da Bologna dove era stato a predicar e, per riposare si accontentò di un mucchietto di fieno sistemato sotto una grande quercia. Mentre gli occhi giocavano con la voglia di dormire, vide un maiale staccarsi dal branco che pascolava poco lontano e venire a frugare con il muso tra il muschio e il fieno sotto la quercia. Ghiande non ce n’erano e San Francesco capì subito che non era cibo ciò che cercava l’animale. Infatti, dopo alcuni giri intorno all’albero e a Francesco; il maiale si decise finalmente a fermarsi e parlare: «Tutti dicono che sei un uomo giusto e buono; e che ami gli animali; tanto da chiamarli fratelli e sorelle». «È così, frate Porcello. Io ti amo perché fai parte anche tu di questo bellissimo mondo». «Consideri bellissima anche la pianura dove ti trovi ora?» «Nessun luogo al mondo è più dolce della pianura del Po. I suoi campi, le sue foreste, le sue valli, le sue città, i suoi abitanti laboriosi e gentili...» «Gentili poi!» «...e le sue stagioni colorate: verde d’erba la primavera: gialla di grano l’estate, grigio di nebbia l’autunno, bianco di neve l’inverno. Neppure nella lontana...» San Francesco non finì la frase perché il maiale aveva ripreso a grufolare tra la poca erba e il fango come se fosse in compagnia dei suoi simili; o completamente solo. Laggiù c’era il magister porcarius intento a sorvegliare un altro branco, ma attento anche ai porci da questa parte della strada. «Neppure nella lontana Sicilia, dove il sole riscalda tutto l’anno,

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la terra è profumata come nella pianura del Po» continuò San Francesco. L’animale seguitò a fingersi sordo o indifferente per un bel po’, fino a quando Francesco non riprese a lodare gli abitanti della pianura. Allora frate Porcello sbottò: «Sarà come tu dici; ma per me questo è il luogo più brutto della terra, e i suoi abitanti sono i più crudeli degli uomini...» «Credo di aver indovinato i motivi del tuo malumore». «Proprio di questo volevo parlarti. La pianura del Po è un inferno per noi maiali. Ci nutrono e ci ingrassano sai per cosa?» «Per uccidervi e mangiarvi». «Proprio così. Di noi non resta neppure un orecchio, che divorano lessato con altre cotiche, neppure il codino, che preparano con verze bollite e condiscono con aceto balsamico, neppure le ossa, che pur di non buttarle via usano per tappare il buco dei mastelli o arrostiscono insieme a quel poco di carne che può restare intorno, e neppure una goccia del nostro sangue, che mischiano a farina per fare i sanguinacci, al miglio per fare i migliacci, al miele per fare i cervelati. Ti pare un destino giusto per una povera bestia che non ha mai fatto male a nessuno?» San Francesco, che aveva camminato l’intera mattina senza fermarsi, e aveva lo stomaco vuoto dalla sera prima, a sentir parlare di tutti quei destini di maiale cominciò a soffrire doppiamente: con il cuore per la sorte di frate Porcello, con lo stomaco per la fame. Frate Porcello riprese, con un tono da litania: «Prosciutti, salami, zamponi, cotechini, mortadelle, salsicce...» «Salama da sugo»; aggiunse San Francesco. «Culatelli, cicciole...» «Per non parlare del lardo, delle braciole

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e della pancetta», aggiunse ancora San Francesco, deglutendo. «Tutto questo, e altro, noi maiali diamo all’uomo. Perché siamo troppo buoni. Sai che il nostro sterco, essiccato al forno e polverizzato, guarisce il sangue dal naso?» «Nessun animale del creato è utile all’uomo quanto il maiale», disse San Francesco. «E io ti voglio bene anche per questo. Ma non credo sia possibile convincere i miei simili a riservarti un destino diverso dai salami e dai culatelli». «Non pretendo tanto, Santo Francesco» rispose il maiale. «Sarebbe come convincere me a non mangiare ghiande». «Allora cosa vuoi?» «Parla ai tuoi fratelli, ricorda quanto sono buono. E pregali di rispettarmi. Di’ loro di non chiamare porco un uomo che non si lava, oppure roia un fannullone o troia una donna di malaffare. Lo facciano almeno per gratitudine». «Hai ragione; frate Porcello. Dirò ai miei fratelli di non dimenticare i tuoi meriti». Francesco accarezzò il porco tra le orecchie, si alzò, riprese il cammino. Fatti pochi passi, Francesco estrasse dalla bisaccia un pezzo di pane. Peccato non poterlo accompagnare con una fetta di salame.

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La concessione a sigilli di ceralecca avalla la metrica Faustrolliana, coniugando stile caustico con parata ufficiale. E’ una fucilata in pieno ettogrammo, sparata con schioppo caricato a piume di chimera, non strappate bensì raccolte dall’ultima muta. Si tratta di un tempo sufficientemente definito, a cavallo tra drappeggi per nudisti e scale devote ai lestofanti. Niente giochi di parole stavolta, bensì un diretto tuffo nell’area umbratile dell’imbuto anaglifico (coup de peigne). Prima di giungere all’adorazione da parte del suddito, l’autore mostra la propria sensibilità scoprendo una costola, illuminata dal lume della Chandelle Verte.

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Ugo Nespolo

faraone totale

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Me ne dia il tempo

Me ne dia il destro

Mi porga il fianco

e

soprattutto

ADORI

la mia illustre figura

di

Faraone Totale!

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Durata, stanchezza e abbandono non sono altro che sinonimi. Albani sorride del comportamento di chi si lusinga, in maniera comoda, di forzare le fauci della parola a favore di facili consensi. Ma qui il Manualetto, solo apparentemente leggero, offre lo spunto per una riflessione a spirale. Il gioco sul filo sottile dell’indifferenza per i riconoscimenti, provoca una sorta di meccanica mentale che fiorisce di affetto profondo per l’illogicità . Il consiglio di abbandonare la scrittura a favore di altro, viene proposto in forma sperimentale di applicazione-liberazione, senza dubbio si tratta di desiderio, attitudine e speranza che il futile sia utile e l’inutile assolutamente necessario.

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Paolo Albani

Manualetto pratico

ad uso di coloro che vogliono imparare a scrivere il meno possibile

Ăˆ la lunghezza che uccide. Robert L. Stevenson

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1. È buona regola non indugiare troppo in scomode posture alla scrivania, davanti alle cosiddette «sudate carte»: è roba antiquata, patetica, da romantici passatisti; meglio abbandonarsi più spesso, come faceva Walser, alla gioia di lunghe passeggiate nei boschi con soste in accoglienti punti di ristoro, o dedicarsi ad altri piacevoli svaghi, anche, perché no?, di tipo bassamente corporale. Ne guadagneranno moltissimo il vostro umore e la vostra schiena.

2. Non siate oltremodo esigenti con la vostra scrittura, ciò vi permetterà di risparmiare alla grande tempo e fatica. In altri termini guardatevi dal seguire pedissequamente l’esempio di cattivi maestri come Baudelaire che, quando un editore si ostinò a sopprimere una virgola in uno dei suoi testi, gli scrisse infuriato: «Sappiate che ho riflettuto una settimana per decidere se quella virgola era necessaria!» Più ragionevole sarà caldeggiare l’atteggiamento dell’amabile Chlébnikov che alla richiesta di chiarimenti da parte del tipografo che temeva di male interpretare una parola contenuta in un manoscritto del poeta russo, rispondeva: «Fate come meglio credete».

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3. Quando sentite crescere, irresistibile, dentro di voi il desiderio di scrivere, per spegnere i bollori dell’ispirazione, concetto di un’atroce vaghezza, riconsiderate per un attimo l’insegnamento di Ernesto Ragazzoni il quale sosteneva che le idee vanno lasciate allo stato di puro spirito: «Fermarsi a tradurne in atto, sia pure su semplice carta, una, vuol dire farsene tiranneggiare; vuol dire escludere tutte le altre possibili; soffocare, forse per educare una rapa, i mille e mille germi odorosi di un giardino incantato».

4. Il numero di copie vendute, di premi e di recensioni che un libro può vantare non ha mai fatto la felicità di uno scrittore; pensate al riguardo a quanti scrittori famosi, passati alla storia e che hanno avuto il privilegio (o la sventura) di esibire le loro foto in bella mostra sulle enciclopedie, di solito ritratti in espressioni illanguidite o sorvegliate, si sono tolti la vita.

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5. Dal punto di vista statistico è provato che mediamente soltanto un libro su dieci pubblicati da uno scrittore è ben riuscito e può ritenersi passabile (tale frequenza è nota fra gli addetti ai lavori come «legge Musil-Canetti»); il che dovrebbe bastare a ricondurre a più miti consigli i grafomani, i presenzialisti infaticabili della carta stampata e più in generale tutti coloro che non riescono a trovare il coraggio di ritirarsi in tempo come ha fatto il padre del giovane Holden, di restare nell’ombra, in disparte o meglio ancora di sparire com’è accaduto ad Ambrose Bierce, Arthur Cravan, Hart Crane e a tante altre benemerite figure di letterati e artisti.

6. Tenete a portata di mano nei luoghi più in vista della vostra abitazione, sul tavolo di lavoro o sul comodino a fianco del letto oppure se preferite dentro il portafoglio, promemoria su cui appunterete aneddoti come quello che segue e leggeteli almeno una volta al giorno, meglio se a voce alta. Un giovane, visibilmente emozionato, si presenta davanti a Flaiano e per attirarne l’attenzione esclama: «Sono un poeta!» Al che Flaiano gli dice: «Peggio per lei».

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7. Non scordatevi mai che la categoria sociologica degli scrittori di professione, piĂš di altri raggruppamenti analoghi, è composta in prevalenza di individui scorbutici, litigiosi, narcisisti, divorati dall’invidia, vendicativi, pieni di rancore, salottieri, disposti a tutto pur di riuscire a stampare un libro o a carpire un apprezzamento dalla critica. 8. Se proprio siete divorati dalla voglia di scrivere e non potete farne a meno, almeno fatelo senza dare troppo nell’occhio, magari lasciando i vostri testi chiusi dentro un cassetto o dentro una cassaforte a muro se per caso ne avete una.

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9. A conclusione di una frase, di un paragrafo o al limite quando siete sul punto di voltare pagina, abbiate l’accortezza di domandarvi se non state menando il can per l’aia. Se vi assale il pur minimo dubbio che in realtà non avete niente da dire, abbandonate subito l’impresa, senza ripensamenti. Ciò per altro vi consentirà di godere della bellezza impareggiabile della pagina bianca che più di uno scrittore, astutamente, ha celebrato tanto per avere un motivo su cui scrivere.

10. Adesso che siete arrivati qui, gettate via il presente manualetto, ulteriore testimonianza della vuotezza e della sterilità di ogni proposta in tema di scrittura, e accingetevi piuttosto a mettere in atto le indicazioni prescritte al punto 1.

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Le zampe robuste di questo alfabeto affondano nell’esercizio di stile. Il testo conduce automaticamente a un morbido atterraggio sul non senso, sullo humor tecnico e sulla coloritura a mano di una superficie ondulata (a spinta). Si tratta di ampia apertura alare dal volo branchiale e antipodico votato al gioco meccanico e al suono sufficientemente aplanetico, per cui il pretesto favolistico trova nel rapporto scrittura-icona un significato altamente ‘patafisico che trasuda, tracima e travalica il testo.

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Brunella Eruli

aesopiana

Situazioni transitorie di animali tautogrammatici

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A Albeggiava. L’asino assonnato assaporava amari aconiti. Aspettava B Il bruco tra i broccoli balbettando bramoso “Baciami bellezza! Sono una bomba!” si buttò su una bruca, in bilico su un boccio. Il bacio fu breve e bavoso. La bruca boccheggiante bisillabò: “Bis no!” C Fu colpa di una cacca di cucciolo di cane se caddi nel canale. Chiodi ai calzari, corde e cannocchiali chiede il ciottolato per camminare. D Un dentice dubbioso domandava dove deporre la dentiera. E L’essenza dell’eleganza? L’elefante equilibrista

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F Un feroce felino, frusciando fra felci, sulla frasca fiutava un fringuellino che fischiettava fissando una farfalla ferma su un fiore, fresco di fecondazione. “Folleggia, folleggia, fatua farfalla, a fianco al fuoco! La tua febbre finirà in fumo fra le faville!” farneticava il fringuello. “Favelli da filosofo _ gli fece la farfalla _ o mi fissi per farmi fuori? Forza! Fila! Fuggi! Le fauci del fetente è te che fiutano!” G Il gatto nella gabbia guardava la gallina in gabbia nella gelatina. H Un hocco ùha humour? I L’iguana impagliata è immortale o impolverata?

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L Lungo i ligustri del lago di Loch Ness langue livida la lucertola, lontana da linci e leoni. M Una mantide, con mossa maliziosa, si maritò a un mogio maggiolino. Mentre masticava meditava: “È morto per la monta, che minchione!” N Fra nodosi noccioli il nibbio si nutre di una numida, nonostante il nome non gli fosse noto. O L’orata occhieggia l’ombrina ondeggia l’oca opina l’opossum osserva l’orca ordina l’orango oscilla l’ornitorinco orecchia l’ocelot è un outsider: off limits

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P La pispola su un pino pigolava piano. -Perché piangi? pensò il passerotto -Perché parto. -Perderai il posto sul pino, pensò il passerotto -Porterò pietre preziose. Q Quanto quotano quattro quaglie? Quisquilie! R Al ritmo del rock and roll un rospo e una rana ruzzolavano fra roride ruchette e rosolacci. Ridevano e rimbalzavano rapidi e raggianti. Un riccio rompiscatole per ripicca ruppe il ritmo e ricominciò una raspa. La raganella e il rondone per rivalsa risposero con un reggae. Rassegnati il rospo e la rana si ritirarono fra i ravanelli. S Il serpente sinuoso sibilava: “Se sapessi sibilare senza s! strisciando sulle salvie, sicuramente non sarei scoperto”.

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T In transito per la Terra promessa trentatré tigri traversano Trento! Tragica traversata nelle tenebre! Traffico in tilt! Terribili tamponamenti! Testimoni terrorizzati travolti da tubi e traversine telefonano al telegiornale! La task force tarda! V Venuta dalla Vialattea una vacca volle vedere vacche vere e vive. Viaggiò per ventiquattrore con un vademecum: vagabondò per vie, viali, viadotti, volteggiò tra vorticosi vegetali, vacillò fra velenosi vapori di valli verdastre vide vacche vecchie, vaiolose, vacue, verniciate, vinte, vendute. Vive no. Il viaggio fu vano. Via! Via! W La weltanschauung di un wapiti? Wagneriana. Y Uno yak su uno yacht yankee? Oh yes! Z Lo zefiro zittì la zanzara che zampettava su zucchero e zabaione. 139


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Per alcuni rappresentanti del consorzio umano gli aforismi sono degli oggetti-giocattolo, simili a dei semafori (semaforismi) con qualche aggiunta di luci di barche lontane (africanesimi). Lo scorso anno un torpedone di piccole dimensioni e privo di fari è passato col rosso e ha schiacciato due pescatori e cinque cacciatori. Pare non avessero letto il segnale di pericolo, cosa che invece per Casjraghy non esiste (“Attenzione! nessun pericolo” è una sua folgorazione). Casjraghy ama l’ippocampo e l’aria fresca, la foglia di platano e la rugiada, e non c’è sua accensione senza una lieve inquietudine, una gentile richiesta di cura: badate dove mettete i piedi!

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Alberto Casjraghy

fuochy inqujeti

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Quando non ho parole ascolto il fuoco La quiete apparente lavora I rinoceronti non parlano mai di erotismi Le grandi perplessità sono feroci L’intima rugiada s’adagia nel fuoco perfetto Dico molte bugie perchÊ cerco I conigli nudi fanno piangere anche i cani Ho sempre consigliato gli animali di dormire con un occhio solo

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Le libellule conoscono bene le inquietudini dello stagno Dalle pozzanghere del sentimento bisogna scappare Prima o poi mi farò bere dal mare per capire Chi si annoia di essere libero è un uomo da poco! Quando sono felice dormo nei vetri rotti Le zebre conoscono bene le perplessità del leone I pettirossi conoscono bene la vigliaccheria dei cacciatori brianzoli

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Quando gli occhi guardano continuamente la bocca bisogna pensare con la lingua Piango tutti i giorni per i pesci senz’acqua Cerco sempre intensamente dove non posso vedere Vivo una vita spericolata perchĂŠ ho molti occhi Chi corteggia due gemelle deve essere pronto a tutto I grandi muratori conoscono bene Orietta Berti e Jgor Stravinskij Il fuoco è un universo perfetto dove accade ogni cosa Ci sono spilli sulle labbra che fanno volare

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biografie

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Silvano Freddi, (Reggiolo, 1925) dopo avere frequentato la prima elementare è stato messo a lavorare in campagna. Giovane ha partecipato alle lotte partigiane sulle colline di Reggio Emilia. Dal dopoguerra ha svolto il lavoro di muratore manovale e operaio in una fabbrica meccanica. Vive a Brugneto di Reggiolo. Ihll Bihto, altro nome di Adòr Rosser, altro nome di Sergio rRosa è nato nel 1955. Ha svolto attività di fotografo professionista e successivamente si è dedicato al commercio. Nel 1986 ha attraversato l’Oceano Atlantico. Dopo una permanenza in Venezuela è tornato in Italia rifiutando richieste di esporre le proprie opere. Attualmente si occupa di fotografia. Lorenza Amadasi è nata nel 1961 e da allora con estenuante fatica continua ad adattarsi al mondo, rivendicando il diritto di respirare pulito e immaginando un pianeta dove si possa ancora bere l’acqua dei fiumi. Ha realizzato alcune pubblicazioni tra le quali una in collaborazione con Oliver Sacks per la casa editrice Pulcinoelefante. Il suo desiderio a fasi alterne la porta a trascorrere molto tempo in Grecia e in Francia. Virginia Merisi, nasce né troppo presto né troppo tardi rispetto al ‘Novecento. Si interessa di avanguardie artistiche e anarchiche, di storie avvenute e anche di quelle che dovrebbero accadere ma che forse non succederanno mai, almeno fino all’avvento del mitico Uovo-farfalla. Nata nel giorno di Santa Lucia, soffre, ma non lo da a vedere, del fatto che ogni anno ottiene un regalo unico (o Santa

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Lucia o Natale). ‘Patafisica da sempre, lascia spesso interdetto l’interlocutore per la sua invidiabile mania del particolare. Originale di nascita e sarcastica per adozione, vive abbastanza irregolarmente tra le brine e l’afa della Pianura del Po. Roberto Barbolini (Formigine, 1951). Dopo avere ottenuto un buon punteggio in un concorso si è trasferito a Vienna. Al ritorno in Italia ha vissuto in un piccolo centro un po’ degenerato dove la attrattiva principale era una strada illusoria in cui si vedevano più bestie e un gruppo musicale che per il 27% era orecchiabile, il resto non si sa. Forse è in questo periodo che ha scritto saggi dedicati al fantastico letterario tra i quali uno in cui parla di un celebre scrittore che si batte contro un drappello di squinternati. A Viadana ha alloggiato all’Albergo Europa dove per tutta la notte gli ha tenuto compagnia un ratto. Tania Lorandi è nata a Ougrée (Belgio) nel 1957. A Liegi ha studiato tutte quelle cose che hanno a che fare con l’arte. Ha realizzato opere, sceneggiature, scenografie, ha scritto testi e tutte quelle cose che hanno a che fare con la ‘Patafisica e l’A’Patafisica. Dal 2002 lavora all’equivalenza piramidale e a tutte quelle cose che hanno a che fare con la Ierarchia. Insomma è una che HA!HA! che fare. Guido Conti è nato a Parma nel 1965. Ha pubblicato con una casa editrice di Milano romanzi che sembrano racconti e racconti che sembrano dirigibili. A Parma ha creato una casa editrice che pubblica vari libri, da capolavori a ostie in salsa e tagliatelle al sugo. Ha disegnato ritratti e mostri della terra del Po dove la nebbia confonde gli abitanti. Poi ha realizzato la sua prima personale a Viadana con una storia di dischi e copertine inventate. Vive a Parma.

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Afro Somenzari (1955) para paponzi ponzi po, parapa ponzi ponzipà. Per e pepé pepé popò, para…paponzi po nzi pé “Par a pa ponzi ponzi p’i” Piripipim pipim pipì…P’arap ap onz’i p’onzi pò; pana panurge, urge uh! Antoine Naville (1938, Vigneux sur Seine) è autore di operette e scrittore di romanzi gialli. Noto anche come suonatore di fisarmonica, si è esibito in molte sagre tradizionali paesane della Bretagna. Ha scritto Merde à la crème (Moulin Jaune, Paris, 1976) e Crocodillettes aux defaillance (Coco Canard, Lione, 1988). Per il teatro ha scritto commedie e tragedie mai rappresentate. Nel 2001 si è trasferito in Italia dove si occupa di volontariato e bielle d’accoppiamento. In una intervista ha dichiarato di appartenere a una razza nomade: “…I miei genitori erano polacchi di estrazione e circassici per vocazione…”. Vive a Tortona. Gianni Celati è nato (apolide) a Sondrio nel 1937. Sì, è vero che ha studiato, ha scritto, ha redatto, organizzato, vinto premi letterari, viaggiato. È tutto vero o forse no, ciò non toglie che da qualche parte in questo mondo o in un altro mondo o soltanto nell’idea viaggiante di anima prensile, il suo spirito sia di guida per molti scrittori che lo amano. Vive un po’ qui in Italia e un po’ là in Inghilterra. Una volta è stato bloccato in un aeroporto inglese a causa di una bufera di neve. Giuseppe Pederiali è nato a Finale Emilia (Modena) nel 1937. Ha pubblicato più romanzi lui di quante ne ha fatte Carlo in Francia. Nonostante viva a Milano (o forse proprio per questo) continua a scrivere fiabe e racconti anche per bambini (più o meno adulti). L’ultimo esemplare di Bosma, da egli stesso allevato, fu cucinato indecorosamente. Il Fojonco invece, altro suo fratello minore, è stato avvistato nel giardino della Maifinita. L’interesse, più per gli animali che per i santi, lo ha portato in giro per il pianeta tenendo conferenze e dibattiti, sempre condotti con grazia e serenità.

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Ugo Nespolo è nato a Mosso, Vercelli, nel 1941. Una infinità di cataloghi, libri e libricini sono il suo corredo. Ha esposto in tutto il pianeta, sul lato chiaro della Luna e sul secondo anello di Saturno. Ha viaggiato su satelliti naturali e artificiali; il suo spirito arte-vita lo ha portato a divulgare l’Ordre de la Grande Gidouille presso tutti gli abitanti del suo condominio. Chissà perché, invitato a Pomponesco e a Casalmaggiore, non è mai pervenuto. È Faraone e Ministro dell’Etoile d’Or. Paolo Albani nasce il 3 dicembre 1946 a Marina di Massa, in una strada lunga e stretta che porta fino al mare. Fino dalle elementari mostra uno spiccato interesse per le ricreazioni. In età matura frequenta opifici di vario genere. Occupa diverse cattedre senza fissa difùra fino ad eccellere nella compilazione di dizionari assurdi che però trovano un nutrito seguito di disparati. Invitato spesso a kermesse letterarie si cimenta in performance bizzarre che non hanno niente a che vedere con nessuna delle meraviglie del mondo, tuttavia, tramite un Tam Tam è stato segnalato per una nomination a “Patrimonio dell’Umanità”. Si avvia nobilmente alla diplomazione ‘Patafisica. Brunella Eruli è nata a Firenze. Fin da bambina ha mostrato spiccate doti di immaginazione (ella stessa in una intervista ha dichiarato di aver vissuto dai due ai sette anni in una wunderkammer). Successivamente attratta dagli specchi, ne attraversò uno trovandosi in un mondo assolutamente identico a quello che noi conosciamo per cui, vi restò solo sei mesi. Sulla via di Binasco ha incontrato un tale Faustroll che era nato a sessantatre anni in Circassia. Sulla conciliazione dei contrari, su parole come libertà e poesia si è avvicinata alla ‘Patafisica diventando Zarina e Ministro Sfavillante dell’Etoile d’Or. Ha studiato da piccola e da grande lasciando ogniqualvolta gli interlocutori abbagliati da tanta luminosità.

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Alberto Casjraghy è un gentile ciclone senza sosta. Pulcinoelefante è la sua occasione migliore per assicurare al mondo che la bellezza risiede nella parola. Mentre con una mano allunga un minestrone con l’altra recupera un messaggio in bottiglia, con l’altra ancora lascia l’impronta di un leggero zoccolo di capra.

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indice

Ove non citato, le prefazioni sono a cura dell’editore

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GINO RUOZZI

Prefazione

7

SILVANO FREDDI

I Vampiri

12

IHLL BIHTO

Euforismi

20

LORENZA AMADASI Omaggio a un bottone

28

VIRGINIA MERISI

36

Il Signor Cirillo

L’incidente 44 ROBERTO BARBOLINI

Grand Tour

52

TANIA LORANDI

L’ottaedro regolare?

62

GUIDO CONTI

Mia mamma fuma il sigaro

70

AFRO SOMENZARI

Brevissimi

78

Spogliatoio per nudisti

84

ANTOINE NAVILLE

P

92

GIANNI CELATI

Ma come dicono di vivere così

102

GIUSEPPE PEDERIALI

Una fola della Bassa

110

UGO NESPOLO

Faraone Totale

118

PAOLO ALBANI

Manualetto Pratico

124

BRUNELLA ERULI

Aesopiana

134

ALBERTO CASJRAGHY

Fuochy Inqujeti

144

Biografie

157

151



Finito di stampare nel Maggio 2010 presso Arti Grafiche Castello




FUOCOfuochino

La pi첫 povera casa editrice del mondo


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