Il fiore e le cento stelle di Lorenza Amadasi

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Lorenza Amadasi

IL FIORE E LE CENTO STELLE

Acquarelli di Mario Lodi Premessa di Andrea Canevaro


Una storia delicata è accompagnata da illustrazioni delicate. Forse abbiamo perso di vista la delicatezza. Se così fosse, domandiamoci cosa rischiamo di perdere. Come tutte le parole, anche delicatezza è polisemica, ha cioè significati diversi, secondo le intenzioni di chi la usa, secondo la collocazione che ha, secondo le circostanze in cui si trova. Una delicatezza in un incontro esige entrambe le parti siano… delicate: una narrazione delicata, e illustrazioni delicate. Chi leggerà e ammirerà potrà valutare l’esito dell’incontro. Per conto di chi scrive queste righe, l’esito è piacevolmente delicato. Le parole protagoniste della narrazione sono fiori, stelle; e ci sono, anche se non sono scritte ma rimangono nascoste e forse per questo sono importanti, parole come mistero, segreto, e altre a piacere di chi legge e ammira. Si nascondono forse sotto carezza, rugiada, tappeto, Panfilo, ombra e luce, fili d’erba, e tante altre. Lorenza Amadasi si serve delle parole con delicatezza. Al punto che non sappiamo se non sia piuttosto al servizio delle parole. Mettendosi al servizio delle parole, vengo-

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no fuori parole suggerite da parole, e bisogna soprattutto dar retta a quei suggerimenti. Sembra semplice, ma, come tante cose semplici, proprio per questo può essere difficile. Chi scrive vorrebbe, anzi: ha la pretesa, di essere padrone e imporre alle parole il suo volere assoluto. L’artigiano lavora facendo qualcosa e prendendo più volte il tempo di fare due passi indietro per esaminare ciò che ha fatto. Per farsi suggerire la prossima mossa dal materiale su cui ha lavorato. Ha bisogno di questo dialogo. Immaginiamo che Alessandro Manzoni abbia fatto la stessa cosa con le parole. Scrive: “Quel ramo del lago di Como”, e fa due passi indietro per esaminare e farsi suggerire. I due passi indietro sono mentali. Permettono di dar retta e mettersi al servizio, evitando di arrogarsi il ruolo del padrone. In una dimensione modesta, anche questo scritto ha seguito la modalità dell’artigiano. La parola delicatezza ha suggerito il resto. Basta dar retta. Con delicatezza. Mario Lodi ha seguito questa linea di comportamento, accompagnandola con il suo gusto per il bello. Lo im-

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maginiamo intento a mettere il pennello nel colore, ad allungarlo con l’acqua, a lasciare il segno, la pennellata, sul foglio,e a farsi suggerire il seguito, avendo cura che il suggerimento sia nello stesso tempo accolto e messo d’accordo con il suo gusto del bello. È quello che lo ha guidato nel suo impegno educativo: mettere il frammento costituito da qualcosa fatta da una bambina o da un bambino, accanto ad altri frammenti, e con uno sfondo tale da realizzare, nell’insieme, un’opera bella. E far sentire gli autori dei tanti frammenti artefici dell’opera. Le pause e le giuste distanze sono importanti. E fra i viventi, gli esseri umani sembrano quelli che ne fanno un uso più ampio e fruttuoso. La pausa permette di rendersi conto di un eventuale errore, e di correggerlo, magari senza necessariamente cancellandolo, ma dandogli un senso per la collocazione in cui viene collocato. La pausa è come, per la terra, il maggese. Che cos’è il maggese? È, o forse dovremmo dire era – l’avidità e i ritmi produttivi consigliano di parlarne al passato – una tecnica agronomica, che lascia un terreno incolto per un

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anno, perché il terreno si rigeneri “naturalmente”. Come per paradosso, il terreno, abbandonato a se stesso, non seminato, insomma lasciato in pace, accumula acqua, rigenera la flora batterica e torna più produttivo. Noi dovremmo avere un maggese, una pausa, che per molti è il sonno, che rigenera e permette di percepire prospettive che l’affaticamento impediva di vedere. La pratica del maggese, applicata agli esseri umani, ha bisogno di una comunità di riferimento che non abbandoni la persona quando questa è a riposo, e la sappia riprendere quando torna dal maggese. Un po’ come i contadini facendo ruotare i terreni, che non lasciano in pace per un intero anno un terreno, bensì per una stagione, mettendo a turno quelle culture che vanno seminate in marzo anziché in autunno. È come un rito di passaggio. La pausa permette il lavoro di bricolage, che si arrangia con gli scarti. E dà loro un nuovo senso. Innovativo. Le giuste distanze possono permettere, oltre quella visione che è propria dell’artigiano che fa due passi indietro, di mettersi al riparo dalle nostre emo-

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zioni, che possono comportare le imprudenze del coinvolgimento positivo o gli spaventi di quello negativo. La giusta distanza può permetterci di capire quanto l’altro sia disponibile e gentile per un certo tempo, e collerico e irascibile se quel certo tempo viene superato. La giusta distanza permette rapporti armoniosi. Le pennellate di Mario sono fatte di pause, giuste distanze, sfondi, e compongono armonie delicate. Corrispondono al suo gusto di educare ed educarsi al bello. E usano l’acqua. È interessante notare che questo libro è pubblicato da un editore che si richiama al fuoco. Il fuoco esige la giusta distanza. Se ci avviciniamo troppo ci bruciamo. E Lorenza Amadasi e Mario Lodi, mettendo al centro la narrazione, dando retta alle parole e alle pennellate, hanno seguito l’antica saggezza dei nativi americani, secondo i quali è bene fare cerchio, magari stringendosi, attorno al fuoco, e non voler essere centro. Chi vuole essere centro, si brucia. Andrea Canevaro

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Nei dintorni del villaggio Fiorito sbocciò un fiore molto strano. Non era particolarmente colorato, non era neppure grande e non proprio bello ma non ve ne era un altro simile, era unico al mondo. Sembrava appartenere ad una famiglia o specie nuova, diversa e diversa dalle migliaia e migliaia che si conoscevano e che nascevano ogni giorno allo spuntar del sole. Questo strano, non comune fiore, non era un ciclamino né una rosa, non un papavero né una margherita. Così gli abitanti del villaggio un po’ tutti curiosi della notizia del fiore unico, scesero dai cocuzzoli giù fino alla valle che da parecchio tempo era rimasta arida, secca, senza verde.

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Dalla cima di una collinetta si vedeva la valle animata di tante persone come una piazza in un giorno di festa. Tutti parlavano del fiore, chi sussurrava, chi gridava, insomma la gente velocemente fece raggiungere la notizia del fiore alle orecchie di molti. Dopo alcune settimane in una mattina fosca e umida di buon ora arrivò nel villaggio una corriera piena di persone che volevano osservare il fiore. Queste persone si definirono pensatori di mestiere. Erano circa una decina accompagnati da assistenti e provenivano da ogni parte del mondo. Ognuno di loro si presentava al fiore dicendo nome e cognome e dove erano nati. Ogoloib, il primo di loro, aveva molte riviste 13


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sottobraccio e molte lenti di ingrandimento che gli uscivano da tutte le tasche del suo camice. Avevano compiti ben precisi e ad ognuno dei pensatori era concesso un giorno intero per poter catturare e registrare indizi che potessero svelare il mistero del fiore. Ogoloib decise immediatamente di analizzare il fiore attraverso due grosse lenti fredde e spesse che appoggiava sui morbidi petali dicendo ad alta voce: “Straordinario esemplare!”. Osservò nervature, colori, prelevò linfa e scrisse su un solido libro finché non giunse la notte e terminò il suo lavoro. Alle prime luci dell’alba quando tutta la valle era ancora immersa nel sonno e iniziava appena a respirare le piccole gocce 15


di luce, la Signora Acidem, seconda pensatrice di mestiere, scendeva precipitosa con un passo lungo e ben aderente al terreno tenendo in mano una valigetta dalle chiusure dorate. Avanzò in direzione del fiore ancora addormentato, fece un cenno, forse un saluto, forse un gesto di fastidio, non si capì bene. Il fiore era come una luce all’aperto e di notte nascondeva la sua forza. La Signora Acidem applicò sul fiore piccoli imbuti colorati, gialli, rossi, blu e li lasciò in posa alcune ore. Il fiore era conciato come una signora con i bigodini poi ogni imbuto venne tolto e riposto in una custodia per poi poter analizzare il tutto in laboratorio. Il fiore era triste e quella notte cercò di comu16


nicare con il cielo stellato inviando messaggi sulla sua infelicità, sicuro che qualcuno lassù li avrebbe ascoltati. Si chiuse poi nelle sue corolle che facevano da soffice coperta e si sentì sicuro e protetto. All’indomani nel cielo azzurro volavano stormi di uccelli che si fermavano sospesi, immobili poi zac!, cambiavano direzione, scendevano a terra e risalivano veloci. Questa danza come un vento denso di suono alleggerì il fiore dalla sua intensa stanchezza. In questo giorno vi fu la visita del Dottor Cat che estrasse da un contenitore metallico guanti trasparenti e iniziò a perlustrarlo ma, quando vide che il fiore non collaborava e non apriva le sue corolle, si arrabbiò diventò tutto rosso in volto. 17


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Cercava di aprirlo in tutti i modi. Nonostante fosse diventato pallido con voce calma e persuasiva diceva esattamente queste parole: “Bravo, buono fiorellino, girati, apriti, ecco, bene bravo! Bene! adesso guardami e fermo, bene, bello!” Il fiore non si aprì. Il Dottor Cat perse la sua falsa pazienza, si girò di scatto, inciampò, cadde, ma scattante e un poco dolorante, si allontanò in fretta. Così per giorni e giorni il fiore fu osservato in molti modi dai più illustri pensatori di mestiere. Volevano studiarlo per capirlo e pur avendo messo assieme tutti i dati raccolti dalle loro osservazioni, risultò una grande piramide di numeri e di sghiribizzi ma non capivano 19


in quale parte il fiore potesse essere inserito nella piramide; non riuscivano a farlo entrare nel calcolo piramidale e si allontanavano sempre piĂš: il fiore a volte diventava un punto nero, un’altra volta compariva con un abito a quadrettini verdi e gialli come un grembiule, un’altra volta ancora sembrava una forma che si può solo descrivere con i gesti, ecco che si perdevano in chilometrici documenti traforati e stampati. I pensatori erano arrabbiatissimi, cosĂŹ non avrebbero mai raggiunto nessun merito di gloria o successo. Decisero allora di trovarsi a palazzo di cristallo, un posto freddo dove non entrava mai il sole ed era sempre illuminato dalle luci al neon. Qui dopo lunghe 20


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ore di agitate discussioni decisero di sradicare il fiore e di portarlo in un laboratorio del palazzo per analizzarlo sotto lampade e macchine a loro disposizione. Proprio lo stesso giorno il fiore si sentì molto stanco, il suo capo rasentava la terra e non aveva più forze. Pensò che da quando era giunto in questo mondo non aveva ancora ricevuto un sorriso, una piacevole carezza e nessuno mai aveva giocato o scherzato con lui. Con la buona rugiada del mattino raccolse tutte le forze rimastegli e d’improvviso aprì la sua corolla verso l’immenso cielo di nuvole passeggere e da quel preciso istante il fiore espresse un profondo desiderio che di22


ceva: “Vorrei essere una stella calda e luminosa come in un sogno”. La sua richiesta fu subito trascritta dalle nuvole in lettere enormi e tutto l’immenso e l’alto dei cieli prese nota. Quel giorno scese nella valle un bambino che cantava questa canzone: “Tappeto tappeto rosso – tappeto tappeto cane! Tapis tapis rouge – tapies tapies chien!”. Aveva occhi neri e vivaci e capelli scuri come il carbone, scendeva dalla collina facendo capriole e arrivò a gambe aperte davanti al fiore. Il fiore per la prima volta parlò e disse: “Come ti chiami piccolo?”. Mi chiamo Panfilo e abito lassù in cima alla collina, quella con la punta del castello”, rispose il bambino. Il fiore era molto felice ed 23


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emanò cerchi di luce rosa che salivano e scomparivano come bolle di sapone. Panfilo cercò di afferrare quei cerchi volanti e correva a destra, a sinistra e in alto, riuscì perfino ad entrare e uscire con tutto il corpo in uno di essi. Per Panfilo tutto ciò che lo circondava era divertente e da scoprire, giocava con le cose, perfino con i fili d’erba e con terra e sassi creava piccole città o insiemi che ricordavano paesaggi. Per Panfilo gli alberi potevano cantare, i fiumi danzare, perciò per lui fu un colpo magnifico scoprire che il fiore parlava. Sbocciò il fiore e sbocciò un’intesa meravigliosa tra i due che passavano insieme intere giornate e cantavano sempre una canzone prima di salutarsi: “Voce 25


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del sole, voce del vento, voce del cuore, sole vento cuore, gioia noi portiam!”. Intanto al palazzo di cristallo dai computer e dalle altre macchine uscivano fogli su fogli che soffocavano le stanze. Dopo qualche giorno gli studiosi di mestiere decisero di predisporre un furgone blindato con climatizzatore per simulare una serra e quindi trasportare il fiore al palazzo. Il fiore captò i messaggi, le gravi decisioni prese dagli studiosi e insieme a Panfilo decise di spedire lettere indirizzate agli studiosi. Nelle lettere c’era un invito di presentarsi nella valle dove il fiore avrebbe svelato ciò che tutti gli accaniti osservatori volevano conoscere. C’era una nota aggiunta: Il segreto è nascosto come 27


lo spirito nella bottiglia. All’incontro tra il fiore e gli studiosi ci sarebbe stata anche la gente del villaggio. La giornata era calda, la terra come sempre arida e la valle era tutta asciutta e nel bel mezzo spuntava il fiore. Gli studiosi portarono con loro grandi bottiglie di vetro perché pensavano di catturare lo spirito. Il fiore parlò, parlò a tutti e la sua voce si espandeva piacevole nell’aria. Invitò i presenti a mettersi in cerchio in silenzio, la luce naturale del sole si affievolì e improvvisamente si alzò una luce gialla che delicatamente sciolse la terra intorno al fiore. Lentamente il fiore si staccò da terra e volò più su nel cielo vicino alle stelle. Per qualche istante nelle grandi bottiglie di 28


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vetro brillò una luce che subito svanì. Panfilo rimase sotto il cielo sdraiato sull’erba a guardare lassù, fino a quando giunse l’alba. All’alba, rossa più che mai, Panfilo estrasse dalla tasca un seme che gli aveva dato il fiore, lo espose alla luce, scavò un piccolo buco, depose il seme e lo ricoprì di terra. Dopo alcune ore la valle arida si trasformò in un verdeggiante e rigoglioso paesaggio di bosco e sottobosco dove alberi maestosi potevano dare ristoro ai passanti e agli abitanti del luogo. Qui, sotto l’ombra fresca e dolce, potevano sostare tutti. Nell’aria il profumo dei fiori e delle piante lasciava a chi passava il buon umore, la natura trionfava. Il segreto era lì, racchiuso in mille altri 31


segreti, il vento, il fiore, la terra, il canto, il volo degli uccelli. Quando qualcuno arriva da queste parti c’è un cartello con una scritta: “Non si può cogliere un fiore senza disturbare una stella”, poi c’è una freccia che indica i centro della valle. Se qui si aspetta la notte si può osservare lassù nel cielo, il fiore e le cento stelle.

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Mario Lodi (Piadena, 1922 - Drizzona, 2014) pedagogista, scrittore e insegnante, ha ridisegnato il valore educativo della scuola, cambiandone aspetti e metodologie. Tra le sue pubblicazioni: Bandiera, Cipì, La mongolfiera, C’è speranza se questo accade al Vho, Il paese sbagliato, Cominciare dal bambino, La scuola e i diritti del bambino, A tv spenta. Diario del ritorno. Con i proventi del premio internazionale LEGO (1989) ha fondato in una cascina a Drizzona, vicino a Piadena, dove si trasferisce, la Casa delle Arti e del Gioco con la quale pubblica Alberi del mio paese, Rifiuti, La lezione della natura. Lorenza Amadasi (Pomponesco, 1961) è psicomotricista e insegnante. Ha pubblicato testi e disegni per Pulcinoelefante tra cui Curtain con Oliver Sacks e per FUOCOfuochino, la più povera casa editrice del mondo, della quale è cofondatrice (2009).

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Le prime 17 edizioni sono state raccolte nel volume FUOCOfuochino con prefazione di Gino Ruozzi e tavole di Gianluigi Toccafondo maggio 2010, pagg. 157 Altre 19 edizioni sono state raccolte nel volume FUOCOfuochino 2 con prefazione di Ernesto Ferrero e tavole di Guido Scarabottolo settembre 2012, pagg. 176 Ancora 21 edizioni raccolte in FUOCOfuochino 3 con prefazione di Andrea Cortellessa e tavole di Ugo Nespolo agosto 2014, pagg. 192 Successive 21 edizioni raccolte in FUOCOfuochino 4 Con prefazione di Elena Pontiggia e tavole di Giuliano Della Casa ottobre 2016, pagg.192 Tutte le edizioni sono state stampate da Arti Grafiche Castello in Viadana La distribuzione dei volumi è affidata a Maurizio Corraini in Mantova

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Finito di stampare per conto della casa editrice FUOCOfuochino presso la AG Castello nel mese di luglio 2017 in numero di 100 esemplari esemplare n.

Š 2017 FUOCOfuochino Viadana www.fuocofuochino.it


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