Rompere il silenzio

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5 CRISTINA PEDRATSCHER

Quello che mi chiedo è: com’è possibile che ci sia così tanta violenza nel mondo? Mi fa star male pensare che altri esseri umani riescano a far sentire tanto inutile un proprio simile… Come può essere possibile? Come si fa a provar piacere nel vedere soffrire una persona? Cosa spinge a tali comportamenti? Eppure la violenza è ovunque. Tra le mura di casa e fuori. Le foto che propongo vogliono proprio denunciare questo abuso. La violenza uccide il nostro Essere, lo distrugge. Ci si sente profondamente umiliati, non si riesce a capire il perché determinati gesti vengano fatti. È una ferita che segna nel profondo e da cui non sempre tutte le persone che hanno subito abusi riescono ad uscirne. Da questa ferita però si può “guarire”, ribellandosi, facendo sentire la propria voce, buttando via quelle “corde” e quelle “catene”


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ROMPERE IL SILENZIO

che impediscono al nostro Essere di Vivere liberamente. Come scrisse Jodorowsky “ogni secondo di vita è un regalo sublime”, ed è così, ogni attimo deve essere vissuto degnamente, da ogni essere umano. Impediamo quindi ad altri esseri umani di distruggerci l’esistenza e lottiamo per salvaguardare la nostra, di esistenza. Contribuisco anch’io, con queste foto, a Rompere il Silenzio.


7 Le ragazze di Benin City

GLADIS GLADIS: Sognavo l’Italia, non la schiavitù. In casa non c’era mai da mangiare per tutti. Io guardavo la televisione e sognavo l’Europa dei bianchi, dove tutto sembrava bello e… facile. Guardavo i manifesti dentro le agenzie turistiche e sognavo. Avevo vent’anni. VOCE: Gladis piange. Ha sì e no vent’anni ed è magra come un filo d’erba. Magra, sporca, con un incisivo rotto a metà. GLADIS: Me l’ha rotto un cliente con un pugno. Voleva indietro i soldi ed io ho detto no e allora mi ha picchiato e poi violentato e poi si è preso i soldi e mi ha lasciata lì. VOCE: Gladis piange. È arrivata un anno fa dalla Nigeria, ha camminato per dician-


9 nove mesi e ora si ritrova qui a battere sulle strade intorno a Milano. GLADIS: Mi avevano promesso una casa e un lavoro in cambio di 60 mila euro, e poi mi hanno messa sulla strada. VOCE: Gladis piange. Dorme, si cambia, si lava in treno, andando da un paese all’altro, da un marciapiede all’altro. Lavora quindici ore al giorno, 365 giorni l’anno. GLADIS: Non è vita, non è vita! Sto cedendo all’inverno grigio e freddo di questa città. La nostalgia di luce mi parla di un altro mondo, della mia Africa. Quando lasciai la Nigeria, avevo un progetto sontuoso: attraversare il mare per trovare il paradiso, ma poi ho fatto come tutte le altre, ho preso il mio posto nella fila che aspettava davanti alla porta dell’inferno.



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LE RAGAZZE DI BENIN CITY

AMINA AMINA: La storia di Gladis è la mia stessa storia, è la storia delle migliaia di ragazze che partono da Benin City piene di speranze e di sogni. Mi dissero che il mio lavoro era a Torino e mi misero su un treno. Arrivai alla stazione di Porta Nuova in una sera d’inverno fredda e nebbiosa. Dopo una settimana mi diedero un paio di mutande rosse e un paio di scarpe con i tacchi altissimi. VOCE: Sul posto di lavoro si mette questo. AMINA: Il posto di lavoro era il marciapiede e c’era la neve! Su quel marciapiede ci sono rimasta due anni prima di riuscire a scappare. Ora ho un compagno italiano e vivo a Novara. Sei fortunata, mi dico. Ma le mie compagne sono ancora là, sul marciapiede.



25 La triste storia di Shazia VOCE: Nessuno a Hollywood le dedicherà un film, nessuno scrittore la immortalerà in un romanzo, nessun giornale occidentale ha sollevato clamore. Si chiamava Shazia. Aveva dodici anni ed era cristiana. È morta il 22 gennaio 2010, in un ospedale di Lahore in Pakistan, a causa delle ferite subite. Il suo corpo presentava segni di torture in dodici punti diversi del corpo ed è stata ricoverata con la mandibola fratturata. Shazia lavorava presso la famiglia di un potente avvocato musulmano, dove era sottoposta a violenze sessuali, fisiche e psicologiche. SHAZIA: Quando calava la sera e l’oscurità saliva i pendii a tutta velocità, nell’immenso silenzio di quella casa ostile sentivo crescermi dentro una disperazione sconfinata e invocavo in silenzio la mia misera casa. Mi sentivo imprigionata per sempre;


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domani sarà come oggi, pensavo, e così tutti gli altri giorni e nel prendere coscienza del mio presente, non attendevo più nulla. Aspettavo con terrore i passi nel corridoio, la porta che si apriva e quell’immenso, grasso uomo nero. Allora chiudevo gli occhi e cercavo di ricordare i giorni felici della mia infanzia. Ma i ricordi si affievolivano, i volti amati sfumavano. VOCE: Il cuore si logora nelle sofferenze e nel lavoro e dimentica più in fretta sotto il peso delle fatiche e dell’ingiustizia Per i poveri restano soltanto le orme vaghe del cammino verso la morte. PADRE di SHAZIA: Non ci hanno lasciato vedere nostra figlia. In un primo momento la famiglia dell’avvocato ci ha proposto un risarcimento di 250 dollari per non sporgere denuncia, poi si sono dati alla fuga. L’associazione dei legali di Lahore si è schierata in difesa del potente avvocato. In Pakistan i cristiani sono una minoranza ridotta alla miseria, vessata in ogni


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