COLLANA DI ANTROPOLOGIA
Il corpo dei simboli. Nodi teorici e politici di un dibattito sulle mutilazioni genitali femminili Mila Busoni - Elena Laurenzi Antropologia. Pratica della Teoria nella Cultura e nella Società Michael Herzfeld Vivere l’Etnografia Francesca Cappelletto Comparativa/mente Pietro Clemente - Cristiano Grottanelli Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume I: secoli XV-XVII Felice Gambin Tutto è relativo. La prospettiva in Antropologia Bruno Barba Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume II: secoli XVII-XIX Felice Gambin “Umano, troppo umano” Riflessioni sull’opposizione natura/cultura in Antropologia Alessandro Lutri - Alberto Acerbi - Sabrina Tonutti Storie dell’Antropologia. Percorsi britannici, tedeschi, francesi e americani Fredrik Barth - Andre Gingrich - Robert Parkin - Sydel Silverman A scuola. Tra antropologia e educazione Leonardo Piasere Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale. Volume III: secoli XIX-XXI Felice Gambin
alle radici ALLE RADICI dell’europa DELL’EUROPA zingari nei paesi Mori, giudei e zingari del Mediterraneo occidentale Volume secoli XV-XVII XIX-XXI VolumeIII: I: secoli ATTI INTERNAZIONALE AttiDEL delCONVEGNO Convegno internAzionAle (Verona, 26, 27 e 28 novembre 2009) (Verona, 15 e 16 febbraio 2007)
a cura di FELICE GAMBIN
Seid e
d
i
t
o
r
i
SEID
© Copyright SEID Editori 2011 Via Antonio Giacomini, 26 – 50132 Firenze e-mail: info@seideditori.it Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione o trasmettere in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senza l’autorizzazione scritta dell’editore. È obbligatoria la citazione della fonte. In copertina:
Particolare della Sinagoga del Tránsito (Toledo)
Prima edizione digitale 2013 ISBN 978-88-89473-51-1
Collana di Antropologia
l
’antropologia è stata per tanti decenni una scienza-pattumiera, una scienza che studiava gli scarti delle altre scienze umane; l’oggetto dei suoi studi sugli scarti altrui l’ha resa per tanti versi una scienza “impura”, da osservare magari con interesse ma sempre da una debita distanza. A stretto contatto con i pensieri d’altri, essa ha incorporato tanti concetti e tante logiche in seno al proprio corpus teorico, divenendo così una scienza “bastarda”, che accetta suggerimenti e innovazioni dai gruppi umani più ininfluenti, dalle pratiche apparentemente più effimere. Popoli politicamente insignificanti nell’arena mondiale (i Kwatiutl, i Trobiandesi, i Nuer, i Bororo, i Balinesi…) sono entrati nei pensieri delle centinaia di migliaia di studenti che, ormai nelle Università di tutti i continenti, si sono trovati a sostenere un esame di antropologia; i filosofi dogon, guaranì, winnebago ecc. sono stati chiamati nei suoi testi a dialogare con Parmenide o Aristotele, con Russel o Wittgenstein. La sua natura “bastarda” le ha permesso fin dall’inizio, pur nelle contraddizioni di tutti gli etnocentrismi in cui si trova immersa, di declinare una posizione critica più o meno esplicita verso l’etnocentrismo stesso che la produceva, dimostrando in continuazione con le proprie etnografie che altri mondi sono possibili, sempre. Ipersensibile ai mutamenti nei rapporti di forza internazionali, interculturali, e intraculturali (in primis quelli di genere), così come alle diverse sensibilità nei rapporti tra uomo e ambiente, l’antropologia nel corso dei decenni ha costantemente rielaborato i propri concetti, i propri approcci e i propri dibattiti. La presente collana intende contribuire in modo sistematico a divulgare questi sviluppi, offrendo lavori di studiosi, italiani o stranieri, che contribuiscano con la loro originalità ad illuminare un tema, a proporre una sintesi, a chiarire un dibattito in corso. In seguito all’entrata in vigore del nuovo ordinamento dell’Università italiana, con l’aumento degli insegnanti di materie antropologiche e con la nascita delle prime lauree in Antropologia, l’esigenza di un potenziamento editoriale della disciplina è imprescindibile. Gli studenti e i docenti devono avere accesso a sempre numerosi e aggiornati sussidi didattici. La speranza del direttore della collana e della SEID Editori è di poter contribuire a questo compito. leonardo Piasere
V
a tullia zevi, in memoriam
INDICE
Felice Gambin dentro la soglia: mori, giudei e zingari [Atto terzo]
Xi
Leonardo Piasere Presentazione
1
PERCEzioNi Bernabé López García El arabismo español de fines del XiX en el debate historiográfico y africanista
5
Paola Bellomi «Señas de identidad»: il contributo della rivista Triunfo al dibattito sull’identità nazionale
21
Silvia Monti Los nuevos moros: l’immigrazione africana nel teatro spagnolo contemporaneo
37
Matteo De Beni Gli Ebrei Erranti del teatro spagnolo tra otto e Novecento
53
Andrea Zinato Ángel Pulido Fernández (1852-1932) e la vita culturale della diaspora sefardita (dal 1903 al 1930)
69
Paola Ambrosi La gitanilla e le sue varianti moderne: un perenne omaggio a Cervantes
89
iX
Alle rAdiCi dell’eUroPA
Maria Grazia Profeti zingari e arabi: l’esotico lorchiano
103
Isabel Santaolalla La representación de la comunidad gitana en el cine español contemporáneo
115
LiNGuAGGi Paolo Edoardo Fornaciari «El alegre Purim». Forma musicale e contenuti dei canti della tradizione sefardita livornese
137
Patrick Williams django Reinhardt, le jazz, les Manouches: la voix européenne du jazz est tsigane!
145
Andrea Celli «Ya catarí»: la musica leggera “franco-araba”
155
Gabriel Gómez Plana e Caroline Mignot Arte y política: Helios Gómez (1905-1956) o la historia de una reapropiación
175
Felice Gambin Helios Gómez (1905-1956): parole e immagini
193
Laura Colombo L’écrivain public: migrazioni e transiti culturali nell’opera di Tahar Ben Jelloun 213 Nora Moll Portata civile e riflessione sull’interculturalità nell’opera di due scrittori algerini in italia: Amara Lakhous e Tahar Lamri 233 Rachid Mountasar Poétique et violence dans Le mouton et la baleine d’Ahmed Ghazali
249
Paola Trevisan Sinti e circensi: storia di un legame invisibile
255
indice dei nomi a cura di Paola Bellomi
275
X
DENTRO LA SOGLIA: MORI, GIUDEI E zINGARI [ATTo TERzo] Felice Gambin
il volume raccoglie gli interventi presentati al convegno di verona nel novembre del 2009, il terzo dedicato ai rapporti di interazione e di scambio tra la società maggioritaria e tre importanti minoranze culturali del Mediterraneo occidentale: i mori, i giudei e gli zingari. Come già in occasione del primo e del secondo convegno, anche i testi qui riuniti si soffermano sulla complessità di alcune delle modalità di costruzione intervenute nell’elaborazione identitaria delle comunità dominanti come di quelle minoritarie nell’area dell’europa sud-occidentale. il volume – dopo che i due precedenti si erano concentrati su espressioni letterarie e fenomeni storico-culturali che avevano coinvolto mori, giudei e zingari nella costruzione identitaria dell’europa dal Medioevo all’età moderna – approfondisce in modo particolare il contributo dato, negli ultimi due secoli, da questi soggetti emblematici dell’alterità all’insieme variegato e poliedrico di quella che chiamiamo cultura europea. Minoranze culturalmente rilevanti quelle dei mori, dei giudei e degli zingari, e comunque, anche se in maniera differente e condizionate da fattori di volta in volta diversi, da sempre “dentro la soglia”. Più che su concetti onnicomprensivi capaci di governare le tante radici dell’europa nei secoli XiX-XXi, i testi che vengono qui consegnati alle Xi
Alle rAdiCi dell’eUroPA
stampe indicano la necessaria compresenza di opzioni metodologiche distinte per meglio delineare la complessità delle modalità dinamiche e sempre varie di costruzione dell’identità dell’altro e di se stessi. la riflessione su tradizioni e culture altre che per secoli hanno interagito in europa è tema complesso, la sua comprensione invoca approcci e scelte d’analisi diversificate, rivelando l’impossibilità di procedere nel lavoro di interpretazione con concetti definiti una volta per tutte. Alle opzioni metodologiche degli studiosi di filosofia, di storia, di letteratura e antropologia, si affiancano infatti anche quelle di studiosi di etnomusicologia e degli storici dell’arte. A questo proposito ricordo che, in occasione del convegno, si tenne presso il teatro Filippini di verona il concerto Dai Balcani all’Andalusia. Musica e danza tradizionale alle radici dell’Europa. lo spettacolo ha visto tra gli interpreti, nella prima parte Merlinda Berisha e Merite Berisha (tamburello e voce), a seguire María José león Soto (baile flamenco), José Salguero (cante), Alberto rodríguez (chitarra), Paolo Mappa (percussioni), erica Scheri (violino). Un viaggio musicale che ha unito due aree culturali delle radici europee per molti aspetti diversissime: quella balcanica, la cui tormentata storia politica ha determinato un incontro senza raffronti nel resto del pianeta tra lingue, etnie, popoli, e quella andalusa del flamenco che racchiude influenze e componenti culturali di varie origini etniche, storiche e geografiche. Alla molteplicità delle voci e dei suoni si è unita anche quella degli incisivi tratti grafici delle opere dell’anarchico gitano Helios gómez. la mostra, la prima in italia su questo autore, allestita negli spazi della biblioteca universitaria “Arturo Frinzi” e curata da Silvia Monti e da Felice gambin, in collaborazione con Associació cultural Helios gómez, è stata inaugurata il 26 novembre 2009 da Caroline Mignot e da giorgio Fossaluzza, alla presenza del figlio dell’artista, gabriel gómez Plana. nella mostra Helios Gómez. Opere grafiche erano esposte, tra l’altro, due cartelle di disegni: Días de Ira (Berlino, 1930) e Viva Octubre (Bruxelles, 1936). Ascrivibili al genere del romanzo grafico, i trenta disegni della prima serie, accompagnati da brevi poesie, sono un’opera di denuncia sociale che venne pubblicata da un’organizzazione di solidarietà operaia per raccogliere fondi a favore delle vittime delle repressioni di quegli anni. la seconda cartella di disegni, Viva Octubre, ristampata in più lingue, si inscrive nella mobilitazione antifascista internazionale e illustra episodi chiave dei primi anni della repubblica spagnola e della rivolta dei minatori delle Asturie, celebrata con un titolo che rinvia anche a quella russa del 1917. Xii
dentro la soglia: mori, giudei e zingari
e così, mentre l’europa si interroga e discute sulle proprie radici e l’attualità politico-sociale obbliga a un confronto non più procrastinabile con l’altro, anche se osservato attraverso la lente deformante di immagini stereotipate, un segnale eloquente del meticciato culturale della società dominante proviene – come vedremo – dalla musica e da altre espressioni artistiche, tra cui il teatro, la poesia, il cinema. ed è proprio a queste ultime che è stato dedicato gran parte dell’incontro veronese. Ma andiamo con ordine, dando conto degli interventi qui riuniti in una prima parte che affronta il tema della costruzione e della percezione dell’identità che le società maggioritarie hanno di mori, giudei e zingari, e in una seconda in cui i contributi si soffermano su alcune modalità espressive elaborate da queste comunità minoritarie attraverso le arti1. la vicenda dei mori e dei moriscos di Spagna è abbastanza nota. Pochi anni dopo la caduta di granada del 1492, un decreto regio impose ai musulmani rimasti la conversione al cattolicesimo o l’esilio. dopo un secolo di emarginazioni, vessazioni e rivolte, i moriscos, musulmani per l’appunto battezzati, verranno espulsi dai regni iberici tra il 1609 e il 1614. la loro espulsione già nel corso del Seicento produsse una copiosa bibliografia volta a giustificare l’evento. Un tema che costringerà gli spagnoli ad interrogarsi in momenti particolari della loro storia, comprovando che su quella cacciata si è costruita la loro stessa identità. nel corso del XiX secolo, la questione morisca si intreccia con la ricerca degli elementi costitutivi della nazione spagnola, con le idee dei conservatori che individuano nell’espulsione un grandioso momento di unità politica e religiosa e con quelle dei liberali che la considerano una misura disastrosa e l’estremo gesto dell’intolleranza di un clero poco illuminato. Sulla complessità dell’argomento e sulle ragioni che nell’ottocento spingono gli spagnoli ad interrogarsi sulle radici arabe e moriscas della penisola, focalizza la propria attenzione Bernabé lópez garcía. in modo particolare, l’autore si sofferma su un gruppo di intellettuali, legato agli ideali liberali, che si muove in ambito universitario cercando di recuperare le radici arabe della storia spagnola. tra le figure più prestigiose vi è quella di Pascual de gayangos, arabista ed erudito di grande fama, che diede vita ad una vera e propria scuola. Animati spesso da una visione romantica del mondo arabo ma anche dall’incipiente storicismo positivista, i suoi discepoli si dedicheranno 1 Purtroppo non figura nel volume l’intervento di nico Staiti, Ritmo e questioni identitarie: musica per le donne tra gli askalija del Kosovo.
Xiii
Alle rAdiCi dell’eUroPA
all’edizione e alla pubblicazione di fonti arabe in un’epoca nella quale l’interesse per il mondo musulmano si combina con la xenofobia nei confronti del moro alimentata dalla guerra ispano-marocchina del 1859-1860. di particolare interesse è il dibattito che sulla pluralità delle identità spagnole promuove la rivista Triunfo nei primi anni Settanta del XX secolo, quando la dittatura franchista inizia a mostrare segni di cedimento che vanno di pari passo con il decadimento fisico del Caudillo. nel suo intervento Paola Bellomi ricostruisce la riflessione che il settimanale fondato da José Ángel ezcurra propose a quella parte di lettori che non era più disposta ad accettare l’immagine della Spagna costruita dal regime schiacciata su alcuni stereotipi: corrida, flamenco, gitani. Un dibattito che idealmente accoglieva la proposta di Américo Castro che, in un importante libro del 1948, interpretava la storia della Spagna e dell’identità degli spagnoli come il risultato dell’apporto di tre culture: cristiana, musulmana, ebraica. in questo contesto, di contro ai modelli identitari costruiti dal regime, sono estremamente importanti le discussioni e le strategie comunicative su tematiche legate alla marginalità e all’“altro” di due figure di grande levatura intellettuale ed instancabile impegno civile: Alfonso Sastre e Juan goytisolo. Sugli oscuri sentimenti di intolleranza e di timore nei confronti dell’“altro” s’intrattiene Silvia Monti analizzando alcuni testi teatrali spagnoli che hanno messo in scena il problema dell’immigrazione e più precisamente quella dei cosiddetti «nuevos moros». tra i pochi testi che negli anni novanta affrontano il tema, Silvia Monti esamina La mirada del hombre oscuro di ignacio del Moral, Alhán di Jerónimo lópez Mozo, Bazar di david Planell. nei tre casi analizzati è evidente lo sforzo di invitare a riflettere sugli stereotipi, sullo scontro di culture, sulla violenza xenofoba, sulle difficoltà dell’integrazione culturale dell’immigrato nella società spagnola di fine Millennio. in tutte e tre le opere vengono messi in scena episodi e situazioni di insolita ed efferata crudeltà che raccontano una società non disposta ad un incontro tra le varie etnie e tra uomini divisi da profonde differenze economiche. la riflessione, come nel caso di Bazar, rappresenta sul palcoscenico lo scontro culturale tra mondi impiegando il genere della commedia, aprendosi così ad un trattamento comico di un problema drammatico. Sempre legati all’ambito iberico sono i contributi che esaminano i destini della minoranza ebrea. ora lo sguardo nei confronti dei giudei è ben diverso rispetto ai timori, alle inquietudini e ai sospetti di un tempo. la loro XiV
dentro la soglia: mori, giudei e zingari
alterità culturale, intima o meno che fosse, è ritenuta altrove. i loro corpi sono altrove. diversamente dai secoli passati, i giudei – e pochi, si badi – si muovono sulla scena della letteratura o calcano le scene dei teatri, peraltro sull’onda dei successi che vengono dalla Francia. Matteo de Beni studia la presenza dell’ebreo errante nel teatro spagnolo della seconda metà dell’ottocento. il personaggio raggiunge il proprio apice grazie alla fama di un feuilleton di eugène Sue. la fortuna editoriale favorisce la rappresentazione di opere che vedono come protagonista la figura del giudeo condannato da Cristo sulla via del Calvario a vagare sulla terra fino alla fine del mondo. nei testi teatrali il tema, ricorrente in quelli dell’ottocento, sempre più sporadico invece nel corso del novecento, pur mantenendo il nucleo originario del motivo, assimila nel tempo elementi diversi, ora espunti ora intercalati, rivelando interessanti meccanismi di riscrittura drammatica della vicenda. Molti altri, in realtà, gli ebrei condannati a vagare nei mille luoghi della diaspora dopo la millenaria permanenza nelle terre di Sefarad. lo studio di Andrea zinato analizza la figura di Ángel Pulido Fernández, il riconosciuto promotore che sin dal 1880 pone all’attenzione dell’opinione pubblica spagnola la questione sefardita e il problema della riconciliazione con la madrepatria dei discendenti degli esiliati del 1492. nei primi anni del XX secolo, il medico spagnolo invia alle comunità sefardite sparse per il mondo una lettera-questionario con il proposito di realizzarne un censimento. il carteggio di Ángel Pulido Fernández con i suoi corrispondenti sefarditi, come giustamente sottolinea zinato, è un documento di straordinaria rilevanza storica per ricostruire la vita culturale e linguistica di comunità poi spazzate via, drammaticamente, dalla Shoah. il vagare e l’essere condannati a errare per il mondo di mori e giudei ci conduce alla rappresentazione degli zingari. Pure loro sono perpetuamente erranti. Anzi: essi sono, come vuole l’immaginazione ziganologica, sradicati, banditi dalla società maggioritaria, privi di contesti di appartenenza stabili. Su come invece la loro presenza nella società europea venga allegorizzata a seconda delle esigenze del momento, si muovono i contributi di Paola Ambrosi, di Maria grazia Profeti e di isabel Santaolalla. Paola Ambrosi indaga alcuni testi che hanno reso omaggio alla Gitanilla di Miguel de Cervantes, dai primi anni del Settecento al novecento. l’analisi, condotta sulle testimonianze letterarie di Antonio de zamora, José zorrilla, rubén darío e Federico garcía lorca, si sofferma sugli elementi costitutivi di un modello di donna gitana che attraversa il tempo, un modello che si fissa e XV
Alle rAdiCi dell’eUroPA
che si alimenta perdurando con varianti che rispondono ai canoni letterari dominanti in ciascuna epoca e alla poetica dei singoli autori. l’indagine rileva come nel perenne omaggio alla figura della gitanilla cervantina, che gitana non è e che già nell’ottocento è diventata mito letterario, gli autori esprimono un significato emblematico della loro stessa scrittura. tra gli autori che più di altri nel corso del novecento hanno creato figure e ritratti di zingari che alimentano il nostro immaginario vi è senza dubbio Federico garcía lorca. Come evidenzia nel suo intervento Maria grazia Profeti, zingari (ed arabi) appaiono nella lirica del poeta di granada in almeno tre raccolte poetiche: il Poema del cante jondo, il Romancero gitano ed il Diván del Tamarit. gli zingari, come già aveva indicato Falla, sono essenziali alla nascita della modalità musicale del cante jondo. la magia, il sonnambulismo, la vasta rete di riferimenti simbolici consentono a garcía lorca di dire la propria diversità e la propria omosessualità, narrando dell’altro, degli zingari e degli arabi. la proiezione nell’altro della propria alterità permette di dire ciò che è inesprimibile e condannabile, di enunciare il proprio desiderio. isabel Santaolalla rinviene gli elementi più significativi che contraddistinguono la rappresentazione della comunità gitana nel cinema spagnolo, da sempre interessato agli aspetti etnici e folkloristici dei gitani. nelle prime rappresentazioni troviamo zingare seducenti e sensualmente attraenti o dedite alla chiromanzia, mentre i maschi vengono visti come inclini al furto, come individui reietti e differenti dall’identità dello spagnolo. tali cliché vengono continuamente reiterati e si irrigidiscono durante la dittatura franchista. Bisogna aspettare gli ultimi decenni del XX secolo perché il cinema spagnolo abbandoni tali stereotipi per abbracciarne degli altri: alcuni registi, tra i quali Carlos Saura, testimoniano un deciso mutamento e un’insistita identificazione, peraltro non corretta e ridimensionata dagli studi più recenti, tra flamenco e gitani. Merito di Santaolalla è quello di indicare la persistente ambivalenza della cultura maggioritaria nelle costruzioni identitarie delle comunità minoritarie. in una sorta di dispersione semantica, i gitani, da una parte continuano a recitare il ruolo di una comunità connotata in senso negativo, dall’altra parte vengono sempre più identificati con la modernità, con l’autenticità più intima, finendo per proiettare nella figura del maschio gitano, dallo sguardo seduttore, elementi fortemente sensuali che lo trasformano in un prodotto di consumo. effettivamente, come si è già detto, gli zingari vengono allegorizzati a seconda delle esigenze del momento. Accanto alla zingara come femme faXVi
dentro la soglia: mori, giudei e zingari
tale, i maschi non sono più deformi, mostruosi o guerci come venivano rappresentati in molte produzioni letterarie e storico-artistiche di diversa tipologia dei secoli precedenti. gli zingari non sono più braccati e scrutati come un tempo dallo sguardo giudiziale: sono assai spesso inseguiti e catturati dalla cinepresa come oggetto del desiderio della comunità maggioritaria. Altro il tipo di percezione: il mondo fittizio degli zingari, non minaccia più soltanto i maschi con le sue seducenti gitanillas, ma anche le fantasie e le passioni delle donne. oltre ai processi di costruzione identitaria, maggioritarie e minoritarie, l’incontro-scontro tra le culture dominanti e quelle dei mori, dei giudei e degli zingari del Mediterraneo occidentale ha favorito quel meticciato culturale che contraddistingue ciò che si è soliti chiamare “cultura europea”. emblematico è il caso delle forme musicali dei canti della tradizione sefardita livornese, forme studiate ma anche cantate in occasione del suo intervento da Paolo edoardo Fornaciari. A tutt’oggi è possibile documentare, nell’ambiente sefardita livornese, una secolare osmosi tra canti liturgici e cantabilità profana, comunicazione musicale non direttamente religiosa riservata alla donna che in ambito familiare custodisce e trasmette ai figli la cultura del popolo di israele. nella città labronica, dove per oltre due secoli visse una delle comunità ebraiche più ricche e importanti dell’europa occidentale, è stato possibile recuperare significative testimonianze musicali profane e paraliturgiche, eseguite durante i giorni di festa del Purim. Queste peculiari forme musicali, ormai quasi del tutto scomparse e salvate dall’oblio grazie all’opera di guido Bedarida, venivano cantate, in una straordinaria interazione di lingue e culture, dalle donne in giudeospagnolo ed in bagitto. Ancora più significativo, e meglio noto, è il caso di django reinhardt, ormai giustamente considerato tra i più talentuosi ed originali musicisti jazz d’europa. Come ricorda nel suo intervento Patrick Williams, a metà degli anni trenta, reinhardt – che aveva abbandonato il banjo a causa della menomazione alla mano sinistra – e il violinista Stéphane grappelli diedero vita a un quintetto di soli strumenti a corda: Le Quintette du Hot Club de France, gruppo che divenne presto famoso grazie anche al sostegno di quello stesso Hot Club de France, che fu una delle prime associazioni di promozione del jazz in europa. Williams, autore di apprezzabili ed originali studi sulla figura e la musica di django, spoglia il geniale artista zingaro del suo alone mitico, riconsegnandolo, ancora più grande, alla sua realtà di XVii
Alle rAdiCi dell’eUroPA
musicista, interrogandosi sulla musica come una delle molte attività economiche della comunità degli zingari Manouche ai quali appartiene la sua famiglia. il gruppo musicale con il quale django ottiene straordinari successi a partire dal 1935 mostra grandi affinità con l’orchestra della famiglia reinhardt, dalla strumentazione utilizzata alla maniera di segnare il ritmo. di una sensibilità contraddistinta da un genere di vita e da un modo peculiare di praticare la musica bisogna parlare: una sensibilità consentita e anzi promossa dal senso originario stesso del jazz, capace di accogliere voci e esperienze provenienti da altrove. effettivamente si tratta di quella che è stata definita la via non-americana del jazz, via che permette a Williams di affermare che «la voix européenne du jazz est tsigane». Anche l’intervento di Andrea Celli esplora le sonorità molteplici delle radici dell’europa, più precisamente un genere musicale plurilingue sviluppatosi nel corso del novecento in ambito mediterraneo. Se la tipologia di testi va dalla produzione più commerciale a quella colta e classica andalusa, un elemento comune è la mescola linguistica di francese, italiano, spagnolo e arabo nelle sue diverse varietà. gli autori e interpreti, provenienti da comunità ebraiche magrebine, egiziane o mediorientali, ma anche berbere, hanno formazioni tecniche e artistiche multiple. la cultura ibridata e anche giocosa di questa musica, definita dall’autore «shakshuka musicale», è una vera e propria colonna sonora di un’epoca come quella europea-coloniale alla ricerca di miti e narrazioni cosmopoliti. Una poetica coloniale costruita con cliché di matrice orientalista che rassicura e rafforza la geografia delle società coloniali all’insegna di un’ingenuità lirica, impiegando melodie e testi della tradizione arabo-andalusa e della musica leggera italiana, francese e spagnola. il lavoro coglie l’ambiguità ideologica in cui si sviluppa questo importante capitolo dell’industria culturale arabo-europea, mettendo in rilievo gli elementi innovativi e di sperimentazione, ma segnalando anche le ragioni storiche e sociali del suo successo. l’intervento di gabriel gómez Plana e Caroline Mignot si centra sulla figura del gitano Helios gómez, uno dei rappresentati più significativi della grafica europea della prima metà del novecento. Perseguitato in Spagna a causa della sua attività politica, dal 1927 al 1934 Helios gómez visse anche a Berlino e Mosca, città che videro la nascita delle avanguardie storiche e nelle quali maturò il suo stile. Caroline Mignot e gabriel gómez Plana ripercorrono nel loro intervento i momenti più importanti della sua attività artistica e rivoluzionaria, puntualizzando i vari aspetti del suo lavoro come disegnatore grafico per gli organi di opposizione e le organizzazioni XViii
dentro la soglia: mori, giudei e zingari
proletarie, per le case editrici d’avanguardia e per le agenzie pubblicitarie, soffermandosi sulla sua militanza nel sindacato anarchico, sulla sua partecipazione alla guerra Civile, sui lunghi anni di prigionia durante la dittatura franchista, dove in carcere a Barcellona dipinge la Capilla gitana, città nella quale muore nel 1956 poco dopo la sua liberazione. È grazie a Caroline Mignot e gabriel gómez Plana, all’Associació Helios gómez, da loro fondata, che la sua figura ha cominciato ad essere riscattata dall’oblio in cui era caduta durante i lunghi decenni della dittatura di Franco. Pure l’intervento di chi scrive si sofferma su Helios gómez autore di saggi, romanzi e testi poetici, attività a cui si dedicò soprattutto negli anni della detenzione nel carcere Modelo di Barcellona. egli scrisse più di un centinaio di poesie riunite in alcuni quaderni rimasti inediti fino al 2006: poesia di denuncia sociale e poesia memoriale che rinviano spesso, nei temi e nei titoli, ai quadri ad olio surrealisti esposti nella galleria Arnaiz di Barcellona. nelle sue poesie s’intrecciano varie linee di ispirazione, in particolare ha un ruolo essenziale il mondo gitano così come viene descritto da garcía lorca. Se le opere grafiche degli anni trenta illustrano le ingiustizie e gli orrori del fascismo, il tema gitano è il cuore pulsante delle sue poesie. il mondo gitano viene colto in una dimensione mitica. Un mondo gitanizzato dove le radici gitane, il loro ruolo fondativo, effettivamente mitico nella costruzione della civiltà occidentale ed europea, vengono rivendicate con fierezza. Al contrario di Helios gómez, nota e familiare al pubblico europeo è la figura di tahar Ben Jelloun. laura Colombo espone il complesso percorso dello scrittore marocchino di Fez sullo sfondo dell’intricato rapporto della Francia con l’altrove. l’opera di questo autore è permeata da un dualismo tra le due lingue e le due culture, francese e araba, che egli non cessa però di far incontrare, sui diversi piani del romanzo, della letteratura per l’infanzia, del giornalismo, della saggistica e di molti altri generi letterari. ne esce il ritratto di un intellettuale impegnato, che dal suo prestigio trae la possibilità di misurarsi con i più spinosi temi dei rapporti tra i due mondi, dal razzismo all’emarginazione, dando voce, soprattutto nei suoi ultimi testi, alle problematiche della migrazione, dell’esilio e dell’accoglienza, alla condizione degli immigrati in Francia. il tutto in una scrittura fortemente marcata dall’immaginario orientale quanto dall’avanguardia occidentale, una prosa fantastica e cruda, in cui la pregnanza del messaggio convive sempre con la ricerca formale. dagli immaginari di tahar Ben Jelloun alla letteratura della migrazione in italia. l’arrivo anche nella penisola italiana, negli ultimi trent’anni, di migranti in numero sempre più consistente dai paesi del Maghreb, ha XiX
Alle rAdiCi dell’eUroPA
costretto a ridefinire lo spazio letterario italiano con la pubblicazione negli anni novanta dei primi testi della letteratura della migrazione. lo studio di nora Moll analizza due scrittori algerini che usano l’italiano come lingua di espressione artistica: Amara lakhous e di tahar lamri. leggendo i loro romanzi è possibile riflettere sull’apporto della letteratura della migrazione alla trasformazione di quella italiana in senso interculturale e transnazionale. essa non ha soltanto valore di testimonianza del difficile percorso del migrante verso l’integrazione ma rappresenta una straordinaria opportunità per considerare la pluralità delle culture intrecciate nelle molteplici identità e alterità di ciascuno. la peculiarità del Mediterraneo come spazio complesso e continuo di scambio di culture, di incontri e di scontri drammatici, è al centro dell’intervento di rachid Mountasar sull’opera teatrale dello scrittore marocchino Ahmed ghazali: Le mouton et la baleine. Scritta per onorare la memoria di una ventina di marocchini morti durante l’attraversamento dello Stretto di gibilterra, l’opera mette in scena, nello spazio di una nave da cargo russa che ne ha recuperato i corpi, l’incontro tra due mondi, alla vigilia della festa del sacrificio del montone consumato in mezzo ai cadaveri da un clandestino entrato in Francia parecchi anni prima e ora diretto in Marocco alla ricerca delle proprie radici. il legame tra violenza e sacro in uno spazio isolato dal mondo, in qualche modo ancora vergine, testimonia che tutto è ancora possibile e che l’uomo può regredire verso l’animalità ma anche aprirsi a nuove possibilità di incontro con l’altro. tra le espressioni artistiche delle comunità minoritarie un posto particolare è rappresentato dall’attività circense. Paola trevisan indaga il legame fra alcune reti parentali Sinte e la storia del circo italiano, un rapporto difficile da documentare, spesso sottaciuto sia dagli stessi circensi (sinti e non sinti) sia dagli studiosi del settore. la rilettura di testimonianze raccolte da alcuni studiosi e parallele ricerche etnografiche consentono di considerare le omissioni e le strategie del silenzio come una pratica che contraddistingue i rapporti tra saltimbanchi sinti e società maggioritaria fin dalla seconda metà dell’ottocento, periodo nel quale i sinti del nord italia hanno cercato di rendersi invisibili in quanto zingari, presentandosi prima come girovaghi e, in un secondo momento, come artisti. Proprio l’importanza attribuita dai circensi ai legami familiari ha consolidato le unioni matrimoniali tra le diverse componenti del mondo della piazza (sinti e non sinti) dando luogo a una presentazione di sé rispetto alla società maggioritaria (ai fermi) basata soltanto sull’essere artisti. XX
dentro la soglia: mori, giudei e zingari
Un intervento, quello di Paola trevisan che, come quelli qui presentati sulle altre espressioni artistiche delle comunità minoritarie, indica il bisogno di prendere atto delle molteplici umanità che costituiscono le ampie e stratificate radici dell’europa, radici troppo spesso negate nella loro complessità dalle comunità maggioritarie, talora rese intenzionalmente invisibili o mai esplicitamente affermate dai membri di quelle minoritarie. difficile congedare un volume che è anche il sigillo di una serie di incontri organizzata con cadenza annuale (2007, 2008, 2009) e che ha raccolto lo sguardo plurale di numerosi studiosi. incontri che hanno visto la partecipazione di volta in volta sempre più numerosa di studenti, dottorandi e colleghi, ma anche di cittadini veronesi che sono convenuti alle affollate sessioni. nel consegnare tra le mani del lettore gli interventi presentati al convegno, desidero esprimere il mio sentito ringraziamento a quanti si sono adoperati per la sua riuscita. voglio ricordare il contributo dato dalla Facoltà di Scienze della Formazione, dal dipartimento di romanistica, dal dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale, dalla Scuola di dottorato di Studi umanistici, dalla Cooperativa sociale Azalea. Un sentito ringraziamento a Jorge Hevia, addetto culturale dell’Ambasciata di Spagna in italia, e all’onorevole nerio nesi, presidente dell’Associazione Culturale italia e Spagna. ringrazio i professori Mario longo e gian Paolo Marchi, presidi rispettivamente della Facoltà di Scienze della Formazione e di lingue e letterature Straniere, e le professoresse roberta Facchinetti, direttrice del dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale, e Silvia Monti, direttrice del dipartimento di romanistica, che hanno avuto la gentilezza di presiedere l’inaugurazione del convegno. non posso tralasciare di ringraziare daniela Brunelli, per avere reso possibile l’allestimento negli spazi della Biblioteca “Arturo Frinzi” della prima mostra italiana dell’opera di Helios gómez, nonché gli artisti che hanno dato vita all’emozionante spettacolo al teatro Filippini. Un ringraziamento particolare devo a Paola Bellomi che ha elaborato l’indice dei nomi e ha contribuito all’editing. gratitudine, infine, a Silvia Monti, a leonardo Piasere, a Paola Ambrosi per la complicità che ha consentito di dare vita anche al terzo convegno sulle radici dell’europa. l’augurio è che occasioni di confronto e di discussione come quelle organizzate in questi anni si possano presto ripetere e con periodicità regolare.
XXi