Sentire e condividere

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Sentire e condividere Componenti psicologiche e correlati biologici dell’empatia Anna Maria Meneghini

SEID


© Copyright SEID Editori 2010 Via Antonio Giacomini, 26 – 50132 Firenze e-mail: info@seideditori.it Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione o trasmettere in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senza l’autorizzazione scritta dell’editore. È obbligatoria la citazione della fonte. In copertina:

Michelangelo Buonarrotti, Prigione detto l’Atlante, Galleria dell’Accademia (Firenze).

Editing e Impaginazione: gabrielecrobeddu.com Stampa: Tipografia Tappini - Città di Castello (PG) Prima edizione digitale 2013 Isbn 9788889473412


A Guido Sala



«La ragione è la vela, ma la passione è lo zefiro». (Bain, citato da Galati, 2002, p. 222)

«Per spiegare questo concetto di risonanza, il professore-poeta disse: “È quello che favorisce l’empatia o la compassione. Senza risonanza non può esservi comprensione, né vera conoscenza. Ma la risonanza richiede che tu [e qui mi rivolse uno sguardo penetrante] usi sia il sentimento che il pensiero. In realtà il più essenziale è il sentimento, perché senza di quello si rimane invischiati nelle illusioni”». (Wikan, 1992)



INDICE

PRESENTAZIONE

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INTRODUZIONE

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CAPITOLO 1 UNA QUESTIONE ANTICA: DAL BIOLOGICO AL MENTALE 1.1. Affetti, intersoggettività e relazione

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1.2. Due livelli di analisi 1.2.1. Il passato… 1.2.2. …il presente… 1.2.3. …il futuro

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CAPITOLO 2 IL MONDO DEGLI AFFETTI 2.1. L’interesse per le emozioni

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2.2. Che cosa è un’emozione? 2.2.1. Come si rileva la presenza di un’emozione

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2.3. Altri costrutti affettivi 2.3.1. Umore e temperamento 2.3.2. I sentimenti: la posizione di Antonio Damasio

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2.4. Esistono diversi tipi di emozioni? 2.4.1. Le emozioni di base

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SENTIRE E CONDIVIDERE

2.4.2. Le emozioni complesse 2.4.3. Le emozioni culturalmente specifiche

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2.5. Il ruolo dei processi di valutazione dello stimolo 2.5.1. La Teoria Componenziale delle Emozioni di Klaus R. Scherer 2.5.2. La Teoria delle Emozioni Differenziate di Carroll E. Izard

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2.6. Parole e significati

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2.7. Gli affetti come guida

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CAPITOLO 3 CORPO ED EMOZIONE: REAZIONI COMPORTAMENTALI ED ESPRESSIONI FACCIALI 3.1. Emozione, corpo e modificazioni muscolo-scheletriche

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3.2. La reazione emotiva

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3.3. Un passo indietro nel tempo: la teoria di William James

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3.4. La proposta teorica di Joseph LeDoux 3.4.1. Il modello delle due vie 3.4.2. Oltre la reazione: l’azione

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3.5. Emozioni ed espressioni facciali 3.5.1. L’ipotesi del feedback facciale: la teoria periferica rivisitata 3.5.2. Gli studi di Paul Ekman sulle espressioni delle emozioni di base 3.5.3. Le critiche all’universalità delle espressioni emotive

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CAPITOLO 4 LE EMOZIONI E I PROCESSI DI REGOLAZIONE 4.1. La regolazione delle emozioni

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4.2. Origine degli studi sulla regolazione delle emozioni

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4.3. La regolazione cognitiva delle emozioni 4.3.1. Rivalutazione e soppressione

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4.4. La regolazione automatica delle emozioni 4.4.1. Regolazione automatica adattiva e non adattiva

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4.5. Questioni aperte 4.5.1. Il problema dell’interazione tra le varie componenti 4.5.2. La questione dell’ampiezza delle modificazioni 4.5.3. Differenze tra emozioni 4.5.4. Processi collegati

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4.6. Gli studi sulla regolazione emotiva nei bambini

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4.7. Risultati da studi di neuroimaging 4.7.1. La regolazione cognitiva 4.7.2. La regolazione automatica

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Indice

CAPITOLO 5 IL POTERE COMUNICATIVO DELLE ESPRESSIONI EMOTIVE 5.1. La funzione comunicativa

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5.2. Espressioni facciali e comunicazione delle emozioni 5.2.1. Un’abilità molto precoce 5.2.2. L’importanza del feedback materno per lo sviluppo affettivo 5.2.3. L’importanza dell’apprendimento e del contesto nella decodifica dell’informazione emotiva 5.2.4. Il concetto di universalità minimale

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5.3. Il valore emotivo della voce e dei gesti

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5.4. Espressioni emotive come stimolo emotivamente rilevante?

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CAPITOLO 6 L’IMITAZIONE MOTORIA 6.1. L’imitazione motoria 6.1.1. Nei bambini 6.1.2. Negli adulti

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6.2. Il mimetismo motorio delle espressioni emotive 6.2.1. Lo studio di Eric J. Moody e collaboratori 6.2.2. Il mimetismo motorio di espressioni emotive nei bambini molto piccoli CAPITOLO 7 DAL CONTAGIO EMOTIVO ALL’EMPATIA 7.1. Il contagio emotivo 7.1.1. Il contagio emotivo in età adulta 7.1.2. Contagio emotivo e meccanismi difensivi

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7.2. Lo sviluppo dell’empatia 7.2.1. Empatia parallela

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7.3. Dall’empatia parallela all’empatia partecipatoria

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CAPITOLO 8 COS’È L’EMPATIA? IL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOLOGIA 8.1. La storia del concetto 8.1.1. L’empatia diviene un fenomeno di interesse per la psicologia 8.1.2. Empatia emotiva e empatia cognitiva 8.1.3. La multidimensionalità dell’empatia

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8.2. Tre costrutti collegati ma diversi

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8.3. Empatia di tratto e empatia di stato

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8.4. Empatia e fattori individuali 8.4.1. Proiezione e introiezione 8.4.2. Non vedere per non farsi coinvolgere

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8.5. Empatia e differenze di genere 8.5.1. Empatia: una caratteristica femminile? 8.5.2. Differenze di genere e influsso culturale 8.5.3. Differenze di genere e componenti dell’empatia 8.5.4. Differenze di genere e motivazione ad empatizzare 8.5.5. “Emozioni maschili”, “emozioni femminili” 8.5.6. Differenze di genere e tendenza all’imitazione 8.5.7. Empatia ed aggressività

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8.6. Empatia e caratteristiche del contesto 8.6.1. Empatia e fattori situazionali facilitanti 8.6.2. Il tipo di emozione espressa dal target 8.6.3. Il grado di somiglianza e il tipo di relazione con il target

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8.7. Condividere le emozioni con vissuto piacevole

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8.8. Verso un’idea del contagio emotivo come precursore

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8.9. Per riassumere: cos’è e cosa non è l’empatia

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CAPITOLO 9 POSSIBILI CORRELATI BIOLOGICI DEL CONTAGIO EMOTIVO: I NEURONI SPECCHIO 9.1. Cosa sono i neuroni specchio

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9.2. Un fondamentale cambiamento di prospettiva

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9.3. Un “vocabolario d’atti”

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9.4. I neuroni specchio nell’uomo 9.4.1. Neuroni specchio ed emozioni

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CAPITOLO 10 L’EMPATIA E I CONTRIBUTI DELLE NEUROSCIENZE 10.1. L’empatia attraverso la lente delle neuroscienze

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10.2. Mettersi nei panni degli altri

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10.3. La differenziazione tra sé e altro

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10.4. Evitare di essere travolti dalle emozioni dell’altro

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10.5. I costi dell’empatia 10.5.1. Studi sulla condivisione del dolore

183 185

10.6. Quando il target è cooperatore o competitore

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10.7. Il contagio come precursore

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10.8. Imitazione, neuroni specchio e riconoscimento delle emozioni

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10.9. Empatia e conoscenza incarnata 10.9.1. Neuroni specchio speciali 10.9.2. Simulazione incarnata e intersoggettività

195 195 196

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Indice

CAPITOLO 11 RICONGIUNGERE DUE LIVELLI DI ANALISI 11.1. Dall’attivazione neurale al fenomeno mentale della condivisione

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11.2. Alcuni tentativi di integrazione 11.2.1. Il modello proposto da Jean Decety e Claus Lamm 11.2.2. La posizione teorica di Douglas Watt 11.2.3. Il Sistema di Molteplicità condivisa

202 203 205 209

11.3. Una sintesi delle principali questioni ancora aperte

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11.4. Considerazioni finali e prospettive future

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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PRESENTAZIONE

Quella che compendia e racconta questo volume è una lunga storia che, con difficoltà e fortune alterne, si è dipanata per decenni, ha attraversato paesi, discipline, settori di ricerca, sensibilità culturali e scientifiche diverse. Protagonista di questo irto e intrigante cammino è l’empatia: un processo intraindividuale che permette agli individui di comprendere e condividere le emozioni degli altri, cogliendo il mondo dalla loro prospettiva e attraverso i loro vissuti; un processo interindividuale che, nell’ambito di una relazione, consente di aprire finestre di condivisione di pensieri e di accesso al reciproco mondo emotivo; un processo sociale che interviene nel modulare le interazioni nei gruppi, migliorandone la coesione, la comunicazione e la cooperatività, limandone gli attriti, nutrendo la reciproca accettazione e integrando le diversità. L’empatia è il filo che intesse il nostro mondo di pensieri e sentimenti con quello di coloro che ci circondano nelle nostre piccole grandi vicende quotidiane, di coloro con cui condividiamo tempi e luoghi, di chi amiamo, di chi abbiamo amato e di chi ameremo, o di chi, semplicemente, incontriamo per pochi attimi. È per questo che, indipendentemente dalla prospettiva da cui la si consideri, non si può che condividere la definizione funzionale proposta da Martin L. Hoffman: l’empatia è la colla che rende il vivere sociale possibile. Esiste una mole davvero imponente di studi multidisciplinari a supporto di tale affermazione. Non a caso: la centralità dell’empatia nella vita degli individui, la necessità di comprendere con accuratezza le sfumature, gli antecedenti e le conseguenze del fenomeno, è stata percepita trasversalmente a molteplici discipline e settori di ricerca della XIII


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letteratura psicologica (su tutti, la psicologia dello sviluppo e dell’educazione, la psicologia clinica, la psicologia sociale e del lavoro), un percorso che ha impegnato psicoterapeuti nella loro pratica clinica, educatori, formatori, operatori ed insegnanti nella loro pratica professionale. Idee, costrutti, modelli, spesso più simili di quanto non potessero sembrare, si sono rincorsi e mescolati tra laboratori universitari, studi di analisti, nidi e scuole per l’infanzia, comunità educative, servizi sociali e studi di consulenza. Una prospettiva storica ricca e sfaccettata, in buona parte ancora sorprendentemente attuale, che il volume ricostruisce inserendola nel più complesso contesto del “mondo degli affetti”, deputando, dunque, particolare attenzione agli aspetti più affettivi dei processi di condivisione delle emozioni. Un ambito di studio di grande interesse, quello dell’empatia, soprattutto in virtù della sua rilevanza nella mediazione delle condotte sociali. Non solo umane, sia chiaro. Esiste, infatti, una lunga tradizione di ricerca che ha innestato lo studio dei processi di condivisione delle emozioni in una prospettiva biologico-evoluzionistica, dimostrando in modo convincente come i processi di condivisione delle emozioni rivestano un ruolo importante in numerose specie. I fondamenti biologici dell’empatia, negli ultimi dieci anni, hanno imboccato una nuova strada: arrivare alla radice “biologico-funzionale” dei processi empatici, rintracciando quali meccanismi neurologici e fisiologici intervengono, o si innescano, nel momento in cui si prova empatia per il vissuto di un altro individuo. In altre parole, mentre una persona esperisce dentro di sé l’emozione di un altro, cosa avviene nel suo organismo a livello neurofisiologico? La risposta di uno dei settori di ricerca più promettenti delle neuroscienze, che concerne lo studio dei neuroni specchio, è che in qualche modo l’individuo la riproduce “mimandola” dentro di sé, vivendo in prima persona l’emozione dell’altro. È questa “embodied simulation” (così come viene definita da Gallese, un pioniere nell’ambito delle ricerche sui neuroni specchio) a sigillare insolubilmente l’esperienza emotiva dell’empatia - che, nel vissuto soggettivo, potremmo definire un incontro di “anime” - con il suo substrato neurofisiologico. Lo studio dell’empatia sembra dunque rinvigorire l’unione tra “anima e corpo”, su cui la scienza, dopo Cartesio, ha incessantemente continuato a interrogarsi. Certo, il panorama è molto complesso, le domande aumentano al crescere delle risposte e il “composto” di processi biologici/fisiologici e processi mentali/ psichici è ben lungi dall’essere svelato. Tant’è che, in questa impetuosa pioggia di recenti lavori pubblicati sull’argomento, è talora difficile per il lettore interessato superare la specificità dei numerosissimi contributi. Essi, inoltre, possono apparire come un accostamento di argomenti eccessivamente specifici e diversificati, in cui il raffinato livello di analisi molecolare sembra difficilmente ricontestualizzabile e comprensibile ad un livello concettuale sovraordinato. In altre parole, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un mosaico ricco, affascinante ma frammentario, di cui le troppe tessere mancanti non consentono di venire a capo. Il rischio, come accadeva al tormentato e disilluso protagonista del sonetto Alla XIV


Presentazione

scienza di Poe, è quello di perdersi in un dedalo di sconfortanti domande che la conoscenza fa scaturire ogni qual volta prova a “svelare” i piccoli e grandi misteri della natura e a carpire il significato di ciò che ci circonda. È molto utile, allora, poter avere a disposizione un volume come Sentire e condividere: componenti psicologiche e correlati biologici dell’empatia, aggiornato e scorrevole, che sintetizzi in modo efficace i contributi sull’argomento, tracciandone le linee guida e offrendoli anche al lettore meno esperto in una forma gradevole e comprensibile, senza tuttavia rinunciare a quelle sfumature che ne valorizzino l’importanza a livello scientifico e che mettano in luce le criticità e le discrepanze fra i diversi contributi. Un altro aspetto di cruciale rilevanza nello studio sull’empatia e, al contempo, difficilmente sintetizzabile, riguarda la possibilità di coglierla nella sua complessità intrinseca (perché, come si notava nelle prime righe, essa coinvolge processi intraindividuali, interindividuali e sociali) che si snoda attraverso i paletti e i landmarks di discipline diverse (psicologiche, neuropsicologiche, biologiche), che, tuttavia, negli studi sull’empatia stanno integrandosi come probabilmente in nessun altro campo delle scienze psicologiche. Proprio in tale direzione, questo manuale si profila come un valido strumento per integrare questo complesso quadro multidisciplinare e restituire all’esperienza empatica la complessità che le appartiene, attraverso una modalità espressiva tanto chiara e scorrevole, quanto rigorosa dal punto di vista scientifico. Quella che racconta il libro di Anna Maria Meneghini è una lunga storia, dicevamo. Una storia che merita di essere raccontata ed ascoltata non solo da scienziati e ricercatori, ma anche da psicologi, educatori e operatori del sociale, studenti, che un domani potranno tradurre questo ricco bagaglio di conoscenze in strumenti operativi, in grado di tornar loro utili ogni qualvolta incontreranno lo sguardo dell’altro. Paolo Albiero

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INTRODUZIONE

Il tema della convergenza tra risultati provenienti dalle neuroscienze e risultati provenienti dalla psicologia è un tema di indubbia attualità: le scoperte scientifiche sul funzionamento del cervello, che si sono succedute in maniera sempre più incalzante negli ultimi decenni, hanno convogliato l’attenzione di numerosi scienziati sull’interrogativo se la mente possa trovare fondamento nel corpo e come ciò avvenga, una questione rispetto alla quale, con i mezzi più o meno limitati a seconda dell’epoca, l’umanità da sempre si interroga. Premesso che ancora non si è giunti ad una spiegazione soddisfacente del problema del possibile passaggio dal substrato biologico ai processi mentali, al momento attuale sono in molti a sostenere l’ipotesi del fondamento corporeo della mente, grazie alla mediazione del cervello. Sembra che sia giunto il momento in cui l’“enigma” possa essere risolto: oggi, infatti, siamo in una posizione privilegiata rispetto al passato in quanto disponiamo di tecnologie altamente sofisticate che consentono di osservare l’attivazione di singoli neuroni o di singole aree cerebrali mentre il soggetto è impegnato in attività che da sempre chiamiamo mentali (linguaggio, memoria, sogno, ecc.). La sollecitazione a pervenire ad una spiegazione scientifica e non metafisica del mistero del legame tra biologico e mentale e l’interesse per la tematica dell’integrazione dei dati provenienti da ambiti e livelli di indagine diversi, ha portato alla nascita, alla fine del secolo scorso, di nuovi approcci di studio multidiscipinari: le Neuroscienze Cognitive, Affettive, Sociali e la Neuropsicoanalisi. Le Neuroscienze Cognitive, le prime in ordine storico ad essersi distinte come disciplina di integrazione di due diversi approcci allo studio della mente, hanno 1


SENTIRE E CONDIVIDERE

l’obiettivo di far dialogare i dati neuroscientifici e psicologici relativi ai processi cognitivi. I neuroscienziati, gli psicologi e i filosofi che in esse si riconoscono tentano di rispondere a domande come: quali sono i correlati biologici di funzioni come la memoria, il pensiero, il linguaggio, la presa di decisioni, ecc.? Ciò, attraverso la costruzione di paradigmi sperimentali che spieghino il funzionamento di tali sistemi. Per quanto riguarda le Neuroscienze Affettive, l’intento è lo stesso, muta solo l’oggetto di interesse: esse sono un ambito di studio scientifico che si occupa delle basi neurali dei processi affettivi e sociali negli esseri umani e negli animali, spaziando tra livelli di analisi molecolare, neurale e comportamentale, in riferimento a tutto l’arco della vita e a popolazioni sia cliniche che non cliniche (Schmidt, 2003). I lavori di scienziati come Joseph LeDoux, Jaak Panksepp, Antonio Damasio e Richard J. Davidson sui circuiti neurali delle emozioni hanno sicuramente tracciato e prospettato importanti e interessanti percorsi di studio e di sviluppo in questo campo. Solms e Turnbull (2004) sottolineano come spesso si utilizzi in modo “infelice” la dicitura Neuroscienze Cognitive per indicare anche gli studi sul sistema emotivo e motivazionale. Gli autori, infatti, si pongono nella prospettiva teorica che vede le emozioni come un sistema della personalità indipendente rispetto ai sistemi cognitivi, sebbene spesso, soprattutto nell’individuo adulto, i due possano lavorare di concerto (Izard, 2009). La confusione potrebbe, almeno in parte, avere ragioni storiche: le Neuroscienze Cognitive, infatti, sono state le prime ad essersi costituite come ambito di studio, in un periodo della storia della psicologia in cui si cominciava a prestare attenzione alla mente principalmente come elaboratore di informazioni, dopo anni di auge del comportamentismo. Secondo Davidson (2000), all’inizio della “rivoluzione cognitivista”1 l’idea degli studiosi poggiava sulla convinzione che analisi scientifiche e computazionali sarebbero riuscite a fornire elementi importanti sul funzionamento mentale, e tali analisi si adattavano in modo particolare alle elaborazioni di tipo cognitivo: i sentimenti, perciò, non erano presi in considerazione quale possibile oggetto di studio scientifico. La più sorprendente evidenza di tutto questo è l’assenza di ogni riferimento alle emozioni nei lavori classici delle Scienze Cognitive e delle Neuroscienze Cognitive, lavori che, come quello di Ulrich Neisser (1967), hanno contribuito a definirne il campo. Nel tempo, proprio a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’importanza dei sentimenti è stata rivalutata e un atteggiamento nuovo ha portato a considerare il ruolo che questi potrebbero avere a livello di meccanismi base della cognizione. Uno dei principali segni di tale cambiamento è venuto da due lavori (Davidson e Irwin, 1999; Davidson e Sutton, 1995), in cui si parla appunto di Neu1 Come osserva Legrenzi (1982), di Psicologia Cognitivista si parla solo a seguito della pubblicazione del lavoro di U. Neisser Cognitive Psychology nel 1967, ma l’orientamento cognitivista era già presente in psicologia nel periodo precedente, anche se questi studiosi continuavano a ritenersi neo-comportamentisti.

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Introduzione

roscienze Affettive. Una delle ragioni per cui, per comprendere le basi cerebrali dei processi mentali complessi, è necessario considerare entrambe, sia cognizione che emozione, secondo Davidson (2003; 2000), è che gli innumerevoli circuiti dell’uno e dell’altro sistema sono fortemente interconnessi. D’altra parte è ormai impensabile sostenere, in generale, l’idea di circuiti neurali che “lavorano” in uno stato di segregazione. Per quanto riguarda le strutture encefaliche che entrano in gioco negli affetti, lo stesso sistema limbico, ritenuto in passato la sede delle emozioni, comprende strutture critiche per le funzioni cognitive (ad esempio l’ippocampo). E la medesima affermazione si può fare nei riguardi dei processi emotivi, rispetto alle regioni corticali (ad esempio la corteccia prefrontale), un tempo identificate come il “luogo” dei pensieri. Il gelido vento della cold cognition è stato spazzato via dalla “brezza” del riconoscimento da parte delle Neuroscienze Cognitive della funzione cruciale delle emozioni, e da quella delle Neuroscienze Affettive, che hanno affermato l’inestricabile collegamento tra cognizione e emozioni2. Le Neuroscienze Cognitive e Affettive, dunque, hanno come obiettivo la spiegazione del comportamento e dei processi mentali attraverso il ricorso a metodi multilivello che integrano 1) misure di comportamenti, di vissuti e di risposte fisiologiche; 2) descrizioni dei meccanismi di elaborazione dell’informazione e 3) i loro substrati neurali. L’obiettivo è di giungere ad una spiegazione integrata dei fenomeni mentali e comportamentali. Sullo stesso versante opera un’altra disciplina di recente costituzione che con le Neuroscienze Cognitive e quelle Affettive, in particolare, ha molti punti di incontro. Si tratta delle Neuroscienze Sociali che puntano la loro attenzione sui comportamenti relazionali dell’uomo e su come questi siano importanti per lo sviluppo del cervello sin dalla nascita. Esse partono dall’assunto della plasticità cerebrale, grazie alla quale ogni cervello è in continuo cambiamento per l’opera di modellamento dell’esperienza: le esperienze relazionali rivestono un ruolo molto importante in questa continua costruzione (Cozolino, 2008). Ma Neuroscienze Cognitive, Affettive e Sociali non sono le uniche discipline a tentare un’integrazione di questo tipo. Più o meno negli stessi anni in cui si iniziava a parlare di Neuroscienze Affettive, in un’atmosfera che Solms e Turnbull (2004, p. 334) definiscono «clima di mutua ostilità» tra il mondo delle neuroscienze e il mondo della psicoanalisi, si forma un gruppo di esponenti delle due “fazioni” con la finalità di avviare studi interdisciplinari. Il gruppo si è sempre più allargato fino a quando, nell’anno 2000, un congresso, svoltosi a Londra e promosso da studiosi di fama internazionale, ha decretato la nascita di una nuova 2 L’affermazione, liberamente tradotta da un lavoro di Davidson (2000) dal titolo significativo di Cognitive Neuroscience needs Aff ective Neuroscience (and vice versa), incluso nel Millennium Issue di Brain and Cognition, richiama quanto scriveva qualche anno prima LeDoux in riferimento alle scienze cognitive che venivano etichettate come la nuova scienza della mente: «una mente senza emozioni non è affatto una mente, è solo un’anima di ghiaccio: una creatura fredda, inerte, priva di pensieri, di paure, di affanni, di dolori o di piaceri» (LeDoux, 1998, p. 27).

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SENTIRE E CONDIVIDERE

disciplina: la Neuropsicoanalisi. Obiettivo primario della Neuropsicoanalisi sembra quello di trovare fondamento scientifico e biologico ai principi psicoanalitici, e freudiani in particolare, cercando quindi di spiegare con i moderni strumenti di ricerca ciò che è ancora attuale della grande produzione teorica sviluppata da clinici e studiosi di orientamento psicoanalitico sul funzionamento mentale. Le posizioni rispetto alla nuova disciplina sembrano essere varie e divergenti. Alcuni (i sostenitori) ritengono che la psicoanalisi avesse «ormai raggiunto i suoi limiti» (Solms e Turnbull, 2004, p. 337) e che fosse il momento di ricongiungere psicoanalisi e biologia come auspicato da Freud (1913). Altri (i contrari, per lo più) sostengono che l’istituzione della nuova area di studio è il tentativo, da parte di coloro che hanno sposato l’orientamento psicoanalitico, di riscattarsi dall’accusa di essersi arroccati entro una disciplina che non vuole emanciparsi da principi datati, cercando insomma nei dati neuroscientifici elementi per avvalorare o smentire concetti come Io, Inconscio, Preconscio, ecc., in uno strenuo tentativo di salvare l’impianto teorico psicoanalitico ormai superato. Qualunque sia il focus di studio, ciò che accomuna questi quattro nuovi approcci interdisciplinari (Neuroscienze Cognitive, Affettive, Sociali e Neuropsicoanalisi) è senza dubbio il tentativo di far comunicare discipline diverse che per anni hanno proceduto su binari indipendenti senza considerare con sufficiente forza cosa stava emergendo nel resto del mondo scientifico. Sono aperture al confronto senz’altro positive che vanno promosse e sostenute perché potrebbero portare ad un vero e decisivo arricchimento delle nostre conoscenze sull’uomo. Di tale avviso sembra anche Eric R. Kandel (1999, p. 666, citato da Merciai e Cannella, 2009, p. 4): «Vedo piuttosto un confluire tra di loro della psicoanalisi, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze in cui ogni disciplina influenza il pensiero delle altre e insieme riescano a sviluppare una scienza più efficace del comportamento umano». Cosa, dunque, questi nuovi approcci di studio possono dirci su un fenomeno quale l’empatia che è l’oggetto di trattazione di questo lavoro? Esistono, per l’empatia, dei punti di contatto tra risultati delle neuroscienze e quanto gli psicologi hanno teorizzato sul vissuto e sul comportamento empatico? Per esempio, i recenti risultati che scaturiscono dalla sperimentazione sui correlati neurali del sistema motorio possono far luce sul fenomeno dell’empatia considerando la componente motoria/espressiva dell’emozione? Se sì, come? L’empatia sembra un fenomeno che si adatta in modo particolare agli approcci di integrazione, essendo un fenomeno affettivo con componenti cognitive, ma soprattutto un costrutto nel quale potrebbe essere implicata una qualche forma di rispecchiamento. Gli avanzamenti più recenti sul funzionamento del cervello, infatti, mettono in luce proprio questo processo come uno dei possibili meccanismi di cui si avvale il nostro cervello per produrre comportamenti efficaci nell’interazione con l’ambiente esterno: molti lavori (ad esempio: Decety e Lamm, 2006; Watt, 2007) tentano di conciliare i differenti livelli di analisi del costrutto dell’empatia, includendo descrizioni in senso evolutivo, descrizioni 4


Introduzione

provenienti dalle Neuroscienze Cognitive, dalle Neuroscienze Affettive e dalla psicologia. I loro autori, alla pari di altri citati sopra, sono convinti dell’utilità di gettare un ponte tra i diversi livelli, compito proprio delle Neuroscienze Sociali, e che il tema dell’empatia non solo offra un’opportunità speciale e un ambito privilegiato in questo senso, ma anche che sia fondamentale per raggiungere una migliore comprensione del comportamento umano. Collegare psicologia e Neuroscienze fornisce un duplice vantaggio: da un lato, si ha l’opportunità di indagare i processi neurali che sottostanno all’empatia avvalendosi della guida di quanto ha detto la psicologia sul fenomeno empatico e, dall’altro, la psicologia potrebbe trarre beneficio dai dati delle neuroscienze che possono contribuire a chiarire modelli provenienti dall’ambito psicologico tra loro contrastanti (Cozolino, 2008; Decety e Lamm, 2006). Nel presente lavoro l’intento è quello di evidenziare quanto di più rilevante la comunità scientifica (nell’uno e nell’altro ambito) ha elaborato sul tema delle emozioni e dell’empatia, per poi passare ad una riflessione sulla tendenza empatica che segua il pensiero e le ipotesi di coloro che in questi anni hanno cercato di conciliare gli apporti della psicologia e delle neuroscienze. In altre parole, partendo dall’assunzione dell’empatia come fenomeno primariamente affettivo che ci mette in relazione con l’altro, si è cercato di intravedere (attraverso le teorie e i modelli finora proposti) quale ruolo possa avere il rispecchiamento neurale a livello di aree motorie nell’attivazione del processo empatico e quindi nel suscitare la condivisione dei sentimenti, favorendo la relazione interpersonale.

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