Vivere l'etnografia

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COLLANA DI ANTROPOLOGIA Il corpo dei simboli. Nodi teorici e politici di un dibattito sulle mutilazioni genitali femminili Mila Busoni - Elena Laurenzi Antropologia. Pratica della Teoria nella Cultura e nella Società Michael Herzfeld Vivere l’Etnografia Francesca Cappelletto Comparativa/mente Pietro Clemente - Cristiano Grottanelli Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale.  Volume I: secoli XV-XVII Felice Gambin Tutto è relativo. La prospettiva in Antropologia Bruno Barba


ALLE RADICI DELL’EUROPA

Vivere l’etnografia Mori, giudei e zingari nei paesi del Mediterraneo occidentale Volume I: secoli XV-XVII

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE (Verona, 15ae cura 16 febbraio 2007) di

Francesca Cappelletto a cura di FELICE GAMBIN

SEID


© Copyright SEID Editori 2009 Viale Raffaello Sanzio, 26 – 50124 Firenze e-mail: info@seideditori.it Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione o trasmettere in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senza l’autorizzazione scritta dell’editore. È obbligatoria la citazione della fonte. Editing:

Camilla Damianou

In copertina:

Francesca Cappelletto durante le sue ricerche sui carnevali alpini (St. Oyen, Valle d’Aosta, 1997 – Foto di Enzo Merler)

Impaginazione: gabrielecrobeddu.com Stampa: Free Books s.r.l. - Città di Castello (Pg) Prima edizione digitale 2013 Isbn 9788889473405


Presentazione della collana

L’antropologia è stata per tanti decenni una scienza-pattumiera, una scienza che studiava gli scarti delle altre scienze umane; l’oggetto dei suoi studi sugli scarti altrui l’ ha resa per tanti versi una scienza “ impura”, da osservare magari con interesse ma sempre da una debita distanza. A stretto contatto con i pensieri d’altri, essa ha incorporato tanti concetti e tante logiche in seno al proprio corpus teorico, divenendo così una scienza “bastarda”, che accetta suggerimenti e innovazioni dai gruppi umani più ininfluenti, dalle pratiche apparentemente più effimere. Popoli politicamente insignificanti nell’arena mondiale (i Kwatiutl, i Trobiandesi, i Nuer, i Bororo, i Balinesi…) sono entrati nei pensieri delle centinaia di migliaia di studenti che, ormai nelle Università di tutti i continenti, si sono trovati a sostenere un esame di antropologia; i filosofi dogon, guaranì, winnebago ecc. sono stati chiamati nei suoi testi a dialogare con Parmenide o Aristotele, con Russel o Wittgenstein. La sua natura “bastarda” le ha permesso fin dall’ inizio, pur nelle contraddizioni di tutti gli etnocentrismi in cui si trova immersa, di declinare una posizione critica più o meno esplicita verso l’etnocentrismo stesso che la produceva, dimostrando in continuazione con le proprie etnografie che altri mondi sono possibili, sempre. Ipersensibile ai mutamenti nei rapporti di forza internazionali, interculturali, e intraculturali (in primis quelli di genere), così come alle diverse sensibilità nei rapporti tra uomo e ambiente, l’antropologia nel corso dei decenni ha costantemente rielaborato i propri concetti, i propri approcci e i propri dibattiti. La presente collana intende contribuire in modo sistematico a divulgare questi sviluppi, offrendo lavori di studiosi, italiani o stranieri, che contribuiscano con la loro originalità ad illuminare un tema, a proporre una sintesi, a chiarire un dibattito in corso. In seguito all’entrata in vigore del nuovo ordinamento dell’Università italiana, con l’aumento degli insegnanti di materie antropologiche e con la nascita delle prime lauree in Antropologia, l’esigenza di un potenziamento editoriale della disciplina è imprescindibile. Gli studenti e i docenti devono avere accesso a sempre numerosi e aggiornati sussidi didattici. La speranza del direttore della collana e della SEID Editori è di poter contribuire a questo compito.

Leonardo Piasere



indice

Leonardo Piasere Presentazione

pag. IX

Bronisław Malinowski Introduzione a Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva

»

Jean-Pierre Olivier de Sardan La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

» 27

Leonardo Piasere L’etnografia come esperienza

» 65

Unni Wikan Oltre le parole. Il potere della risonanza

» 97

Carla Bianco L’osservazione

» 135

George E. Marcus L’etnografia nel/del sistema-mondo. L’affermarsi dell’etnografia multi-situata

» 155

Katharina Schramm “Voi ce l’avete, la vostra storia. Giù le mani dalla nostra!”  Dell’essere respinti sul campo

» 181

Francesca Cappelletto Vivere l’etnografia. Osservazioni sul rapporto medico-paziente

» 199

VII

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Presentazione Leonardo Piasere

Francesca Cappelletto è morta il 24 febbraio 2007. Fra i lavori che la stavano allora impegnando vi era la cura del presente volume. “Impegnare” è una parola opaca: da tempo riusciva a lavorare solo qualche ora al giorno, ma riuscire a mantenere quello spazio era una lotta quotidiana tra una volontà incrollabile e un male insopprimibile. Francesca amava il suo lavoro, amava l’antropologia, e negli ultimi anni aveva sempre lottato per poter continuare a tenere i corsi all’Università, a studiare, a scrivere, a mantenere rapporti epistolari con colleghi di tutto il mondo. Era, se si può, diventata ancora più esigente con se stessa, e proponeva saggi a riviste internazionali prestigiose, pur prevedendo l’immancabile, a volte impegnativa, revisione che le richiedevano i reviwers. Anche quando non concordava con le richieste di correzione, per lei era una sfida e la riscrittura non la spaventava. Era “tosta”, come si dice, nonostante il filo di vita che le restava. Francesca amava l’etnografia, un amore che le era stato istillato fin dai suoi studi all’Università di Firenze dalla sua Maestra, la prof.ssa Carla Bianco, un amore che si intensificò durante il suo percorso successivo di formazione e di lavoro nelle Università di Chapell Hill (North Carolina), di Napoli, di Lione, di Verona. Un amore che si incorporò in lei durante le sue ricerche sul campo, specie quelle svolte a Bagolino, nelle Prealpi bresciane, e a Sant’Anna di Stazzema, in Toscana. Era talmente etnografa che le venne quasi spontaneo pensare di “etnografarsi”, di buttare giù delle osservazioni e delle riflessioni sulla sua vita da malata, sulla sua vita completaIX


Vivere l’etnografia

mente rimescolata dai suoi andirivieni dentro e fuori dagli ospedali, dai suoi rapporti con le medicine, con le analisi mediche, con i medici. Una parte di quelle riflessioni, che mostrano come Francesca abbia “vissuto l’etnografia” fino all’ultimo, costituiscono ora il capitolo settimo del presente volume. E toccano il cuore. Come spiegava nelle poche righe dell’Introduzione al presente volume che aveva avuto il tempo di abbozzare, “in questa raccolta sono presentati testi di antropologi contemporanei che riguardano la filosofia della ricerca etnografica mettendo al centro il significato dell’esperienza vissuta dall’antropologo con la comunità dei sui interlocutori. Con l’eccezione del saggio di Marcus che parla di orientamenti teorici dell’etnografia nel sistema mondiale, tutti gli articoli sono riflessioni sull’etnografia e insieme resoconti di esperienze dirette. Il tratto distintivo dell’etnografia nelle concezioni degli antropologi (in questo diversi da altri scienziati sociali) riguarda la centralità del vivere con la gente di cui si vogliono studiare le relazioni sociali. Durante questa permanenza si stabilisce un fattore comune di comprensione tra sé e le persone con cui interagisce. Nasce infatti un rapporto in cui si intrecciano le reti di significato della cultura dell’etnografo e dei suoi soggetti”. Il tema della “condivisione da parte dell’etnografo dell’esperienza narrativa dei suoi interlocutori”, in particolare, era il tema che Francesca voleva affrontare in un articolo, pure per questa raccolta, che è rimasto incompiuto, e che in futuro troverà forse spazio in un’altra pubblicazione. Sentendo le narrazioni da parte dei sopravvissuti e dei famigliari delle persone trucidate nell’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema (una delle ricerche che più l’avevano coinvolta negli ultimi dieci anni: vedi Cappelletto 1996, 1998, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006), Francesca si chiedeva fino a che punto sia possibile per un etnografo “condividere”, e questo tanto più quando si tratta di sofferenze lasciate macerare nella memoria: “Non è stato facile per me chiedere loro di parlare e così di soffrire, letteralmente, di fronte a me, e io di fronte a loro”. Può l’etnografo condividere la sofferenza? Questo problema della condivisione tra l’etnografo e i suoi interlocutori attraversa tutta la storia dell’etnografia. Per questo Francesca decise di cominciare la raccolta con la famosa Introduzione ad Argonauti del Pacifico occidentale di Malinowski, del 1922, il saggio fondatore dell’etnografia moderna. Ma il volume non vuole tracciare la storia dell’etnografia, e passa da Malinowski ad alcune delle più recenti riflessioni sul lavoro sul campo. Quello che manca nel volume è proprio l’etnografia malinowskiana che non riflette su se stessa. Sappiamo che Malinowski con l’Introduzione aveva costruito l’etnografia moderna e sappiamo che Malinowski, in modo postumo, col suo Diary pubblicato nel 1967, aveva distrutto la sua stessa etnografia. L’etnografia riflessiva, che nasce in sordina ma già in modo chiaro con un articolo di Judith Okely


Presentazione

del 1975, costituirà una parte importante della nuova etnografia contemporanea. Essa si ricostruirà sulle macerie malinowskiane ma sempre a partire dal problema della tensione alla condivisione di quel “qualcosa” che aveva portato Malinowski a piantare la propria tenda “nel centro del villaggio”. Senza dichiararlo, qualche antropologo ha preso a prestito questa frase di Proust: “Credo sia oggi troppo grande il numero delle persone che passano il tempo a contemplare il proprio ombelico, quasi fosse il centro del mondo” (1963, p. 382).

Nelle intenzioni di Francesca la presente raccolta rappresenta una piccola selezione di contributi che, tenendo in considerazione la svolta riflessiva, ma lasciando al contempo la massima importanza al momento dell’esperienza etnografica, e quindi alla relazione che si crea pur con tutte le sue ambiguità tra ricercatore e soggetti della ricerca, rifuggono dagli eccessi di quelle etnografie post-malinowskiane che sono tese, appunto, a concentrarsi esclusivamente o quasi sull’ombelico dei propri autori .

Riferimenti Cappelletto F. 1996, La memoria del distante: i massacri nazi-fascisti nei racconti dei sopravvissuti di paesi diversi, “L’Uomo”, vol. IX, n. 1. – 1998, Memories of Nazi-Fascist massacres in two Central Italian villages, “Sociologia ruralis”, vol. LXIII, n. 2. – 2002, Memoria ed emozioni: I racconti dei sopravvissuti alle stragi naziste in comunità toscane (primavera-estate 1944), in M. L. Meoni, a cura, Culture e mutamento sociale. Per Carla Bianco: studi e testimonianze, Montepulciano, Le Balze. – 2003, Long term memory of extreme events: from autobiography to history, “Journal of the Royal Anthropological Institute”, n. s., vol. 9. – 2004, Resentment as a social emotion. Political affiliation, social networks and forms of remembrance: Nazi-Fascist massacres in Italy during World War II, Paper presented at the 8th Biennal Conference of EASA, Vienna, 8-12 September; Workshop Facing the former enemy: memories of war and war crimes (Convenors: Francesca Cappelletto and Anne Friederike Müller). – (ed.), 2005, Memory and World War II. An Ethnographic Approach, Oxford, Berg. – 2006, Social relations and war remembrance: Second World War atrocities in rural Tuscan villages, “History and Anthropology”, vol. 17, n. 3.

XI


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