Civico 103 n.7

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n. 7 free magazine - Galleria civica di Modena


IL SUONO DELLE COSE THE SOUND OF THINGS

Marco Pierini

Nelle antiche mitologie – da quella greca a quelle celtiche, da quelle nordiche alle orientali – la creazione di uno strumento musicale è evento ricorrente che vede protagonisti dèi e mortali. In ciascuna di queste narrazioni la costruzione dello strumento è invariabilmente connessa alle straordinarie qualità del suono, al suo potere di irretire, ammaliare, addolcire, ridurre l’altro in una condizione di estatica e beata passività. Può sembrare un azzardo andare così tanto a ritroso e scomodare persino la lira di Orfeo o la cetra ricavata da una mascella di pesce da Väinämöinen nell’epopea del Kalevala per introdurre una mostra di strumenti perlopiù ipertecnologici, ma il potere del suono è rimasto quasi immutato e il sentimento di meraviglia che l’ormai attempato Theremin o il giovanissimo Tenori-on (progettato da un artista, Toshio Iwai) ci infondono conserva senza dubbio un’eco del fascino subito, in un tempo senza tempo, da chi ascoltava vibrazioni di corde incantate. 2

In ancient mythology – be it Greek or Celtic, Nordic or Oriental – time after time the creation of a musical instrument is an event which brings together godheads and common mortals. In each of these narratives, the construction of the instrument invariably justifies the extraordinary qualities of the sound, and its power to ensnare and entrance, and subdue the listener to a state of blissful passivity. It may seem something of a long shot, wanting to go so far back as to dust down even lyre of Orpheus, or the kithara made out of a fish jaw by Väinämöinen in the epic poem of the Kalevala, in order to present an exhibition of largely hypertechnological musical instruments, yet the power of sound has remained almost unchanged, and the sense of wonder aroused in us by the now aged Theremin or the brand new Tenori-on (designed by an artist, Toshio Iwai) undoubtedly maintain an echo of that charm once experienced in a timeless time by those listening to the / settembre 2011



Sound Objects mette in mostra alcuni dei frutti migliori della collaborazione fra liutai, ingegneri, musicisti e designers, presentandoli in prima battuta proprio come oggetti sonori, non solo con l’intento di aderire al tema del festivalfilosofia “cose”, ma anche per rimarcare le qualità estetiche degli oggetti in sé, che sempre prescindono dalle competenze e dall’abilità di chi ne fa scaturire il suono. Né si è dimenticato di mostrare gli strumenti in azione attraverso numerosi video selezionati e montati dallo stesso curatore della rassegna Claudio Chianura e di approfondire la loro conoscenza in conversazione con Steve Piccolo, Mario Conte, Luca Reale; al direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi, infine, non si poteva che chiedere una riflessione aggiornata su uno degli oggetti sonori per eccellenza: la radio. Oltre a una rapida memoria della nutrita attività di primavera, questo numero del “civico” fornisce un’agile introduzione a Changing Difference, la mostra d’autunno dedicata a tre grandi artisti americani che hanno indagato da più punti di vista l’identità sessuale maschile e le sue trasformazioni tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta: Jack Smith, Peter Hujar e Mark Morrisroe. La Galleria civica di Modena è particolarmente felice di aver accolto e condiviso il progetto di Lorenzo Fusi, curatore della Biennale di Liverpool, attorno al quale si sono coagulate le forze dell’Assessorato alla cultura della Regione Emilia-Romagna e quelle del fe4

vibrations of enchanted cords. Sound Objects showcases some of the finest results of collaboration projects between luthiers, engineers, musicians and designers, presenting them first and foremost as sound objects, not only with the intention of reflecting the theme of the festivalfilosofia – ‘things’ – but also of underlining the aesthetic qualities of the objects themselves, which stand aside from the skills and abilities of those who draw sound from them. Neither have we overlooked the display of the instruments in action through the screening of numerous videos, chosen and compiled by the curator of the exhibition himself, Claudio Chianura, as well as getting to know them through a series of conversations with Steve Piccolo, Mario Conte and Luca Reale. Lastly, the director of Radio 3, Marino Sinibaldi, could not but provide us with a contemporary reflection on one of the sound objects par excellence: the radio. As well as a brief overview of the wide range of this year’s spring activities, this issue of ‘Civico’ also offers an introduction to ‘Changing Difference’, the upcoming autumn show dedicated to three great American artists who all studied male sexual identity from various points of view, as well as its transformations throughout the period from the ‘60s to the ‘80s: Jack Smith, Peter Hujar and Mark Morrisroe. The Galleria Civica di Modena is particularly happy to host and share this project by Lorenzo Fusi, curator of the Liverpool Biennial, which has also / settembre 2011


stival bolognese Gender Bender, partner della mostra. Il primo sabato d’ottobre, come ormai da tradizione, si terrà in tutta Italia la Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI (Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani). La Galleria civica ha ritenuto opportuno organizzare per quella data – di nuovo assieme alla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, alla Fondazione Fotografia, alla Soprintendenza per i Beni Artistici Storici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia, alla casa d’aste Sotheby’s – la riproposizione di Bid for Build, l’asta destinata alla raccolta di fondi per la ricostruzione organizzata in seguito al terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio scorso, nella cui prima edizione svoltasi il 27 giugno nei locali dell’ex Ospedale Sant’Agostino è stata raggiunta la ragguardevole cifra di 115.000 euro. Un ringraziamento speciale a Paolo Colagrande per il suo racconto, impareggiabile viatico al tema del festivalfilosofia e di Sound Objects. A partire da questo numero, infine, “civico 103” si apre con regolarità al fumetto, grazie a una feconda partnership con il blog Comicom Comunicazione a fumetti, e torna finalmente disponibile anche come applicazione per iPad, nuova nella veste grafica e nelle funzioni e ancor più ricca di contenuti.

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drawn support from the Culture Councillorship of the Emilia-Romagna Regional Council, and that of the Bolognese Gender Bender festival, which will serve as an exhibition partner for this event. The first Saturday of October, as has now become a tradition, will be Contemporary Arts Day throughout Italy, promoted by AMACI (the Association of Italian Contemporary Art Museums). The Galleria Civica has decided to exploit this date – once more in collaboration with the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, the Fondazione Fotografia, and the Superintendency for Historical, Artistic and Ethno-Anthropological Heritage of Modena & Reggio Emilia, and Sotheby’s Auction House – to hold the second Bid for Build: the charity auction aimed at collecting funds for the reconstruction process in the wake of the earthquakes which hit Emilia-Romagna last May, the first edition of which (held on 27th June in the ex-Sant’Agostino hospital) raised the remarkable sum of €115,000. Our special thanks also go to Paolo Colagrande for his short story, the perfect entrée to the theme of the festivalfilosofia and the Sound Objects show in particular. Lastly, from this issue onwards, ‘Civico 103’ opens a regular cartoon strip feature, thanks to a creative partnership with the blog Comicon.it, as well as at last becoming available once more as an iPad app, with a new graphic design as well as a number of new features, offering an even greater range of contents. / settembre 2011



IL SERPENTE DI KIRCHER Paolo Colagrande

Mi chiamano Idiòfono, impropriamente, perchè soffro dalla nascita di una forma di ossessione sonora, non riconosciuta dalla medicina ufficiale anche se non posso dirlo con sicurezza non avendo mai avuto il coraggio di parlarne a uno specialista, quindi per adesso è un’autodiagnosi non professionale e magari arbitraria, e anche la definizione del disturbo non ha basi né vanità scientifiche. Per non cadere in facili equivoci va detto che la musica c’entra solo marginalmente, diciamo che la musica arriva dopo, e non è neanche detto che arrivi: l’ossessione sonora si nutre di sensazioni pre-musicali che richiamano la teoria del movimento degli astri, secondo la filosofia antica rimodellata nei sistemi provvisori e girevoli della mia testa contestualizzata nel momento presente, in maniera che il mondo diventa una specie di scenografia acustica dove ogni singolo attore, ma anche ogni singola esperienza anche secondaria o diciamo bagattellare è un suono fisico originario e ermetico, non codificabile né decodificabile coi metodi di codifica e decodifica conosciuti: un po’ come un codice a barre, o un codice fiscale o un’impronta digitale, o un DNA o anche un’anima, per chi è pratico, però letto con l’infezione mutevole e contingente del ricevente, che sarei poi io stesso. E c’è poco da scherzare su questo discorso – lo dico nel caso che qualcuno avesse l’indelicatezza di scherzarci sopra non avendo evidentemente capito la gravità della questione – perchè l’ossessione sonora mi ha sempre creato molti intralci nel cosiddetto traghettare quotidiano e anche molti problemi nel generale viaggio dello stare al mondo, e qui non sto a spiegare tutti gli intralci e i problemi nel dettaglio, perchè il discorso diventerebbe lungo e mi hanno raccomandato di non dilungarmi. 7

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Per maggior chiarezza si può dire che per ogni cosa che capita di vedere o sentire, e per ogni persona che passa sui binari o sulla rotta di questo viaggio, anche velocemente o per sbaglio, e per ogni cosa che quella persona fa o dice, e delle volte anche per quel che non fa e non dice, c’è sempre un suono con un suo colore e una sua cadenza e una sua intensità e i suoi chiaroscuri di gradevolezza o sgradevolezza, e questo suono, che come ho detto è un suono fisico acustico non un riverbero metafisico o ideale, diventa proprio quella cosa stessa o quella persona stessa o quel fatto stesso, o quel discorso stesso, non so se riesco a rendere l’idea, e magari svanisce subito, come un odore esposto all’aria aperta, ma lascia sempre un solco trasparente, una specie di sigillo etico invisibile, se l’espressione non disturba, che poi si immagazzina dentro una memoria d’archivio nascosta secondo me in una regione ancora sconosciuta del cervello, ma è meglio non osare certe ipotesi perché in fondo non è importante, la regione del cervello interessata. Se prima ho detto che il suono ossessivo sembra liberamente tratto dalla teoria filosofica del movimento degli astri, dove un motore supremo dirige l’armonia delle sfere cosmiche, non l’ho detto per spacconeria ma perché mi sembra la soluzione più plausibile e anche, è giusto ammettere, per la suggestione di un celebre disegno del matematico seicentesco Atanasio Kircher, che ho visto per la prima volta sulla copertina del sussidiario delle elementari e che per l’appunto raffigurava il cosmo come strumento di musica percorso da un serpente simboleggiante la forza vitale. E siccome certe immagini, quando vanno a chiamare percezioni primitive, diventano degli archetipi personali, il disegno di Atanasio Kircher ormai è un archetipo personale da almeno trentacinque anni, anche per le ragioni che sto per dire. Trattandosi di un’ossessione presente dalla nascita, e su questo sono sicuro perché non c’è un punto di inizio cronologico localizzabile, ho trovato presto un modo per conviverci grazie a un approccio per così dire dialettico e intermodale basato sull’ascoltare e sull’assecondare i sintomi, che però nel corso degli anni ha forse aggravato il problema o forse l’ha meglio disvelato come si suol dire nella sua sfaccettatura più problematica. Dall’età diciamo puberale ho cominciato a ricercare o imitare i suoni che mi arrivavano, o che mi ritornavano (per esempio quando rivedevo una persona e quindi risentivo il suo suono), con dispositivi empirici o anche inventando gli strumenti con materiali di reimpiego o usando impropriamente oggetti che casualmente mi venivano a misura di mano, come il coperchietto dei posaceneri sui treni, o la maniglia ballerina di una finestra, o il rivestimento bilaminato che si staccava dal banco di scuola, o i bicchieri e le posate a tavola, o le ringhiere delle scale, o le scarpe di gomma sul marmo lucido, se avete presente le voci. 8

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Ora però, per arrivare allo snodo della storia, succede il fatto importante: dover comprare un regalo, ma non un regalo qualunque, un regalo per la Gioia Fumanti che mi piaceva e che con un po’ di buona volontà reciproca poteva diventare la mia morosa, ma è bene specificare anche se spiace ammetterlo che sono sempre stato poco adatto alla pratica delle morose e questo ho l’impressione che sia uno dei tanti riflessi svantaggiosi dell’ossessione sonora che mi influenza la vita nelle azioni pratiche e nelle relazioni interpersonali a far tempo dalla nascita. Ad ogni modo questa donna che mi piaceva e aveva diciannove anni come me e si chiamava Gioia Fumanti, ormai si può dire il nome perché son fatti vecchi, la conoscevo di vista e di nome perchè la vedevo girare nel corridoio del liceo in ricreazione di solito in compagnia della sua amica Delia, che invece piaceva al mio amico Aldo Somenzari il quale girava sempre con me nello stesso corridoio e ci eravamo confessati queste passioni. E infatti il pretesto del regalo non era la solita ricorrenza come fosse un compleanno o un santo una festa comandata, ma un impegno preso proprio con Somenzari: cioè, che io sarei diventato moroso della Gioia Fumanti e lui della Delia; e da lì poi si fantasticava. Somenzari, lo dico con tutto il rispetto e l’attaccamento, era anche lui poco adatto alla pratica delle morose per ragioni più che altro di difettosa estetica fisica su cui però non è corretto soffermarsi perchè la cosa importante da dire qui, per riprendere il filo del discorso, è che trovare un regalo adatto a una che potrebbe diventare la tua morosa ma che non conosci non è facile come dirlo, e io dopo aver passato in rivista tutti i possibili oggetti entrando anche timorosamente nei negozi dove mi facevano domande indelicate come: è per un compleanno? un onomastico? che occasione sarebbe?, mi sono ritrovato un po’ per caso dentro una bottega con forte odore di polvere, vaniglia e coriandolo che vendeva articoli in stile liturgico etnico archeologico e fra le molte cose esposte sui banchi c’era un attrezzo che sembrava un transistor di quelli che si vedono dalla vetrina degli armadi nei laboratori di fisica, invece era uno strumento a percussione diretta con quattro note prodotte da delle lamelle credo di rame inchiodate a un finto guscio di legno attraversato da un serpente di ferro praticamente uguale a quello del disegno di Atanasio Kircher che sfiorava le lamelle di rame nella fase di vibrazione e una specie di piccola pedaliera a due pedali, forte e piano, azionabili con le dita. La signora del negozio, che era vestita come una sacerdotessa babilonese ma aveva un accento marcato autoctono paesano molto complice, mi aveva detto che era un prezioso antenato del glockenspiel capace di riprodurre la cantilena delle aquile della Colombia britannica in tonalità maggiore, e altre cose tipo che la percussione regolare alternata delle lamelle che lambiscono la pancia del serpente riproduce le cadenze di una danza primitiva del 9

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Lazio meridionale smarrita in una dimensione eterna o anche escatologica, infatti utilizzata nei riti funebri neonatali, e altre cose ancora molto coinvolgenti ma io da un certo momento ho smesso di ascoltare la signora e ho cominciato ad ascoltare lo strumento mettendogli vicino l’orecchio, con la mia solita modalità di ricerca, per entrare per così dire nella catena di trasmissione del segnale, dove mi sembrava proprio di trovare il suono preciso della Gioia Fumanti però con una contaminazione sinistra che avevo interpretato come un segnale propiziatorio per l’impegno preso con Somenzari. E siccome quando entro nella modalità di ricerca del suono il tempo passa in modo incontrollato, e infatti quando alla fine della ricerca avevo alzato gli occhi avevo ritrovato la sacerdotessa babilonese dietro il banco che stava occupandosi di altre cose sbirciandomi con una certa impazienza, mi sono accorto che era passata un’ora e forse più e allora un po’ anche per vergogna avevo subito comprato l’antenato del glockenspiel. Ma le cose non vanno mai così entusiasticamente come nei progetti, e gli orizzonti che vedi sono bugiardi nove volte su dieci. Per dire che quello strumento senza nome non è mai arrivato alla Gioia Fumanti e non per chissà quali ragioni strane, solo per un responsabile ripensamento del suono e della sua contaminazione sinistra studiata meglio durante il tragitto verso casa e a casa stessa, in camera mia: un ripensare che mi aveva messo un po’ il morale a terra, e anche il morale a terra ha un suo suono fisico, con timbri e toni diversi a seconda delle contingenze, un suono che alle volte ti insabbia e ti soffoca, e lì, una volta deciso che il suono delle quattro note accarezzate dal serpente e modulate dalla pedaliera a dita non c’entrava niente con nessuna vicenda amorosa e forse non c’entrava niente con niente che potesse incrociare la rotta del mio viaggio, e d’un tratto mi è anche arrivato il suono della faccia della Gioia Fumanti che scantona via dispregiativamente da me e dallo strumento, ho rinunciato a tutto il progetto, e per praticità ho anche smesso da quel giorno di vedere e intravedere la Gioia Fumanti nel corridoio. Lo strumento l’ho venduto il pomeriggio stesso a Somenzari con un modesto sconto: gli ho ripetuto tutto quello che mi aveva raccontato la sacerdotessa babilonese aggiungendo qualcosa di mia fantasia grossolana, come le fonosimbologie dei riti esquimesi e dei batak di Sumatra, i suoni maschili e i suoni femminili nei canti dei Sioux e dei pastori Gikuyu dell’Africa orientale della Nuova Guinea e i suoni naturali ecoantropologici abruzzesi, e Somenzari si è convinto a comprarlo. E facendo l’azzardo che io invece non ho avuto il coraggio di fare a causa dell’insabbiamento del morale e per vocazione rinunciataria, si è presentato davanti alla Delia in persona: non so cosa le abbia detto, ma le mie parole erano già un bel bagaglio di argomenti, se solo 10

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era stato un po’ attento. E la Delia a un certo punto ha disteso la ruga interrogativa che aveva sulla fronte e ha aperto un sorriso prudente e con le dita ha sfiorato le note le quali hanno sfiorato il serpente e adesso sarà quasi trent’anni che sono insieme, han fatto un sacco di figli e praticano sesso metodico anche a distanza di tanti anni e lo strumento metallofono antenato del glockenspiel è sul comò in tinello, ogni tanto la Delia lo tocca e sorride alla faccia di Somenzari che quando sorride sembra una vecchia radio. Io invece son sempre qui, sempre con l’ossessione sonora, e non c’è da scherzare su questo discorso, praticamente uguale ad allora da tanti punti di vista, tutto il giorno in mezzo a questa scenografia a raccogliere e leggere e imitare come posso i suoni del paese e delle persone che girano sui binari o sulla rotta di un viaggio; e qualcuna di queste persone la conosco ancora, e mi riconosce, mi chiama da lontano: Idiòfono, mi chiama, ma impropriamente, infatti io non rispondo.

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KIRCHER'S SNAKE Paolo Colagrande

They call me Idiophone – wrongly – because ever since birth I have suffered from a sort of sound obsession, not recognised by official medicine, even though I can’t be absolutely sure about that as I have never had the courage to talk about it to a specialist, and so for the moment, mine is perhaps a non-professional and entirely arbitrary self-diagnosis, and even the definition of my affliction doesn’t really have any scientific basis or vanity. Just so as not to get caught up in facile misunderstandings, it should be pointed out that music is only a marginal part of it all; we might say that music comes into it later, if indeed it comes into it at all: the sound obsession feeds off pre-musical sensations more akin to the theory of the movement of the stars, according to the ancient philosophy, remodelled in the provisional and gyrating systems of my head, contextualised in the present moment, in such a way that the world becomes a sort of acoustic stage on which each actor, and also each experience, even secondary ones, or let’s say collateral ones have their own original and hermetic physical sound, not codable nor decodable through known methods of de/codification: it’s a bit like a barcode, or a national insurance number or a fingerprint, or DNA or even a soul, for those in the know, but read through the ever-changing infection of the receiver, meaning me myself. And this is a serious issue – I’m saying this in case anyone were thoughtless enough to joke about it, obviously not having understood the seriousness of the situation – because my sound obsession has always caused me a whole lot of problems in so-called everyday life and indeed in general during my journey through life, and I’m not going to go into 13

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detail here about all these hindrances and problems, because otherwise the whole thing would start to drag on and I’ve been told to keep it short. For the sake of clarity, we could say that for everything we might see or hear, and for every person who shuffles along the tracks of this journey, even if they only pass by quickly or by mistake, and for everything that that person does or says – and sometimes even for what they don’t do or say – there’s always a sound with its own colour and cadence, its own intensity, its degree of pleasantness or unpleasantness, and this sound (which as I said is a physical sound, not a metaphysical or ideal reverberation) becomes that very thing, or that very act, or that very utterance; I don’t know if that’s enough to render the idea, and of course it might just disappear immediately, like a smell in the open air, but it still always leaves a transparent furrow, a kind of invisible ethical seal, if you will pass the term, which then gets stored inside an archive memory which I suppose is still hidden in an as-of-yet unknown part of the brain, but it’s best not to hazard certain hypotheses because ultimately it’s not important whatever part of the brain it is. Even though I said before that the obsessive sound seems to be loosely based on the philosophical theory of the movement of the stars, in which a supreme mover guides the harmony of the cosmic bodies, I wasn’t trying to show off; I only said it because it seems to me to be the most plausible explanation and also – it must be said – due to the evocation of a renowned 17th-century mathematician, Athanasius Kircher, who I saw for the first time on the front cover of a textbook at primary school and who in fact depicted the cosmos as a musical instrument through which a snake moved, symbolising the force of life. And seeing as certain images, when they evoke primitive perceptions, can become personal archetypes, that drawing by Athanasius Kircher has been a personal archetype now for at least 35 years, also for the reasons that I’m about to explain. Being an obsession present from birth, and I’m absolutely sure about this because there is no chronologically definable starting point, I soon found a way to live with it thanks to an approach, as it were, dialectic and intermodal, based on listening to and even encouraging the symptoms, yet which over the course of the years has perhaps made the problem worse, or perhaps it has just made it more apparent, we might say, or has simply made its most problematic aspects emerge. Starting from about the age of puberty, I began to seek out or imitate the sounds that came to me, or that came back to me (for example, where I saw someone again and their sound would also be heard again too), using empirical devices or even inventing instruments with makeshift materials, or making an inappropriate use of objects which 14

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I happened upon, like the lid of those ashtrays on trains, or the wonky handle of a window frame, or the sound of the Formica covering when detached from the wood of a school desk, or the glasses and cutlery at table, or the banisters along the stairway, or rubber-soled shoes on shiny marble, if you know the voices I mean. Now, however, to get to the heart of the story, the important thing happened: I had to buy a present, but not just any old present; a present for Gioia Fumanti who I really liked, and who – with a bit of reciprocal good will – might even have become my girlfriend, but it’s as well to point out here, even if I don’t really like to admit it, that I’ve never been very skilled where girlfriends are concerned, and I rather fear that this is just one of the many disadvantageous consequences of my sound obsession, which has influenced my life in practical issues and in interpersonal relationships ever since I was born. Be as it may, this female who I liked and who was 19 years old, just like me, and whose name was Gioia Fumanti – we can name names now because it all happened such a long time ago – I knew by sight and name because I saw her wandering around the corridor at school during break time, usually together with her friend Delia, whom my friend Aldo Somenzari liked, and in fact it was him who always used to hang around that same corridor and then Aldo and I had confessed our secret passions to each other. And in fact the pretext of the present was not the usual event like a birthday or a public holiday, but it was part of a promise made between me and Somenzari: that I would become Gioia Fumanti’s girlfriend and he Delia’s; and after that life would be a dream. Somenzari – I must say with all due respect and affection – was also not very suited to girlfriends for reasons down more than anything to his aesthetic shortcomings, on which I do not wish to dwell because the most important thing to say here, to pick up where I left off, is that finding a present suitable for a girl that might become your girlfriend but whom you don’t actually know is easier said than done, and after having gone through all the possible objects, even timidly entering shops where they asked me indelicate questions like, “Is it for a birthday? A namesake? What sort of occasion is it?” And then I found myself more or less by chance in a little shop with a strong smell of vanilla and coriander which sold articles in the liturgical/ethnical/archaeological style, and among the many things on show on the shelves there was a device which looked like one of those transistors that you sometimes see in the vitrine of physics laboratories, but in actual fact it was a direct percussion instrument with four notes produced by some blades, copper I think, and nailed to a fake wooden box crossed by an iron snake, practically identical to that drawing by Athanasius Kircher, brushing against the copper blades as they vibrated, and a pair of little 15

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pedals, loud and soft, which you could press down with your thumbs. The lady in the shop, who was dressed like a Babylonian high priestess but who had a reassuringly strong local accent, had told me that it was a precious ancestor of the glockenspiel, capable of reproducing the song of the eagles of British Colombia in major keys, and other things like that the regular alternating percussion of the blades that brushed against the belly of the snake would reproduce the cadence of a primitive dance of southern Latium, lost in an eternal or even eschatological dimension, used in the funeral rites of stillborns, and other far more involving things, but at a certain point, I stopped listening to the lady and started listening to the instrument, bringing it up to my ear, with my usual sound research approach, in order to enter, as it were, the transmission chain of the signal, where I seemed to find the exact sound of Gioia Fumanti yet with a sinister overtone, yet which I had interpreted as a good omen for maintaining my commitment with Somenzari. And seeing as when I enter sound-research mode, time passes uncontrollably, and in fact when I finally raised my gaze once more and found the Babylonian high priestess behind the counter dealing with other things, casting impatient glances at me, I suddenly realised that an hour or more had gone by, and so partly out of a sense of embarrassment, I immediately purchased that ancestor of the glockenspiel. But things never really go as swimmingly as they do at the planning stage, and the horizons you see before you are unreliable nine times out of ten. In other words, that strange nameless instrument never reached Gioia Fumanti, and not for whoknows-what strange conjecture, but merely due to a level-headed reconsideration of the sound and its sinister overtones which I studied more carefully on the way home and once at home, in my room: a reconsideration which had taken the wind out of my sails somewhat, and even windless sails have a physical sound, with different tones and timbres on the basis of the circumstances; a sound which sometimes runs you aground and suffocates you, and there, once it had been decided that the sound of the four notes caressed by the snake and modulated by the thumb pedals had absolutely nothing to do with any question of love, and perhaps had nothing to do with anything at all that might cross my path along my journey, and all of a sudden I even heard the sound of Gioia Fumanti’s face, snorting scornfully at me and the instrument, and so I gave up on the whole project, and that meant no more hanging around in the corridor capturing glimpses of Gioia Fumanti during breaks from that moment on. I sold the instrument that same afternoon to Somenzari with a small discount: I repeated to him everything that the Babylonian high priestess had told me, adding a few things from my own rather coarse imagination, like the 16

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phono-symbols of Eskimo rituals and those of the batak of Sumatra, the male and female calls in the Sioux songs and those of the Gikuyu shepherds of Western Africa and New Guinea, and the eco-anthropological natural sounds of the Abruzzi, and Somenzari made up his mind to buy it. And willing as he was to take the risk that I didn’t have to courage to take, due to the grounding of my morale and depleted sails, he walked right up to Delia herself: I don’t know what he said to her, but everything that I had said to him was already a good starter, if he had been paying attention properly. And that puzzled frown on Delia’s forehead smoothed at a certain point, and a cautious smile trickled across her lips as her fingers plucked the notes which stroked the serpent, and now they must have been together for almost 30 years, and they’ve had loads of kids and they still have sex methodically even after so many years, and the metallophone instrument, ancestor of the glockenspiel, is on the dresser in the living room, and every now and then Delia touches it and smiles at Somenzari’s face, because when he smiles he looks like an old radio. Instead here I am to this day, me and my sound obsession, and that is nothing to be snuffed at, being practically the same as then in so many ways, spending all day in the midst of this scenography, gathering and reading and imitating sounds of the landscape as best I can, and of those people who shuffle along the tracks of my journey. I still know some of these people, and they recognise me, calling me from far away: “Idiophone,” they call, but wrongly. And in fact I don’t even answer them.

Paolo Colagrande ha pubblicato i romanzi Fìdeg (Alet), Premio Campiello opera prima 2007 e finalista Premio Viareggio 2007, Kammerspiel (Alet), Dioblù (Rizzoli). Ha pubblicato racconti sulle riviste Panta, Linus, Satisfiction, e su varie antologie. E’ tra i fondatori de L’accalappiacani, settemestrale di letteratura comparata al nulla (Deriveapprodi).

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Paolo Colagrande is author of the novel Fìdeg (published by Alet, winner of the Campiello prize for first novels in 2007, and shortlisted for the Viareggio Prize in 2007), Kammerspiel (published by Alet), and Dioblù (published by Rizzoli). He has published short stories in the magazines Panta, Linus, Satisfiction, as well as in a number of anthologies. He is one of the founding members of L’accalappiacani, a seven-monthly magazine of literature compared to nothing. (Deriveapprodi).

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SOUND OBJECTS OVVERO LE COSE CHE SUONANO OR THINGS THAT MAKE A NOISE

Claudio Chianura

In un certo senso, tutte le cose hanno un loro suono. Anzi, non in un certo senso: tutte le cose hanno veramente un loro suono. Quando Tom Waits (innamorato del lavoro di Harry Partch, geniale inventore di musica e strumenti) afferma che l’asse del cesso che si abbassa può avere un suono più interessante di quello di una batteria da 7.000 dollari, non scherza affatto! E la sua musica sta lì a dimostrarlo. Quando John Cage infila fra le corde di uno Steinway qualche puntina da disegno, pezzi di gomma, chiodi e altro ancora, suggerisce che i suoni di questi oggetti hanno pari dignità con quelli di un pianoforte a coda. 19

In a certain sense, all things make a noise of their own. Or rather, not in a certain sense: all things really do make a noise of their own. When Tom Waits (a keen follower of the work of Harry Partch, brilliant inventor of music and instruments) states that a toilet seat being lowered can make a more interesting sound than a $7,000 drum kit, he’s not kidding! And his music backs him up on this point. When John Cage takes a Steinway and sticks drawing pins, pieces of rubber, nails and other things between the wires, he suggests that the sounds of these objects have the same dignity as those of a grand piano. / settembre 2011


E dopo il pianoforte preparato, ecco il brano di silenzio, puro ascolto dell’ambiente, degli eventi atmosferici, delle cose che ci circondano. La costruzione di strumenti musicali è sempre stato un tentativo di enfatizzare e ‘migliorare’ il suono di cose preesistenti, il suono di una pietra, di un pezzo di legno, di un tubo o di una lastra di metallo. Un oggetto che suona diventa fatalmente uno strumento musicale, anche se occorre talvolta del tempo, uno scatto d’immaginazione, un uso prolungato che ne affermi tutta la legittimità. Il sassofono non è entrato nei conservatori da molto tempo, e parecchi strumenti musicali 20

And after his ‘prepared piano’, we have his famous silence, listening to the environment, atmospheric phenomena, and other things around us. The construction of musical instruments has always been an attempt to emphasise and ‘improve’ the pre-existing sound of things: that of a stone, of a piece of wood, of a tube or a sheet of metal. An object that makes a sound is destined to become a musical instrument, although this may sometimes require time, a stroke of imagination or its prolonged use over time in order for its complete legitimacy to be asserted. It took a long time for the saxophone to make its way into the con/ settembre 2011


non ci entreranno mai. Tutto è divenuto ormai troppo veloce per attendere una qualche forma di riconoscimento che appare sempre meno essenziale. Paolo Conte suona il kazoo, altri il cajon, e poi Theremin, basso stick, jew’s harp (il nostro scacciapensieri)… Cose, strumenti, meccanismi. Poco importa. Quello che resta, e s’impone, è la magia del suono che può scaturire dal più semplice degli oggetti sonori, l’ineffabile incantesimo di un piccolo carillon, la sorprendente delicatezza di una kalimba. E più semplice è l’oggetto, più si avvicina a una semplice ‘cosa’ elementare, più ci viene la voglia di provare a suonarlo. Ecco, in fondo il ritorno alla cosa è un ritorno al riparo, un modo per ricominciare daccapo. John Lennon disse una volta: non sono un virtuoso dello strumento, ma sono un artista e se mi date un basso tuba ne tirerò fuori qualcosa. La continua invenzione di nuovi strumenti musicali, anche ai nostri giorni, anche attraverso l’elettronica, ha un po’ questo sapore di innocenza, di curiosità, di continua riscoperta e di gioco. È così che dovremmo avvicinare ogni strumento musicale, come un bambino che scopre un giocattolo nuovo.

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servatories, and there are many other musical instruments that will never make it. By now everything has become too fast to wait for some form of recognition which appears ever less indispensible. Paolo Conte plays the kazoo, others play the cajon, the Theremin, the stick bass, Jew’s harp (or jaw harp)… Things, instruments, mechanisms. It doesn’t really matter. What counts, and which comes to the fore, is the magic of the sound which may emerge from the simplest of sound objects, the ineffable charm of a tiny carillon, or the surprising delicacy of a thumb piano. And the simpler the object is, the closer it comes to being a simple and elementary ‘thing’, the more we are tempted to try and play it. Basically, the return to the thing is about going back to basics, a way of starting all over again. John Lennon once said, “I’m not technically good, but I’m an artist. If you give me a tuba, I’ll bring you something out of it.” The continuous invention of new musical instruments, even these days through the use of electronics, has something of this taste of innocence, of curiosity, of ongoing rediscovery and playfulness. And in the end this is how we should approach every musical instrument: like a child discovering a new toy.

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GLI OSPITI DI SOUND OBJECTS GUESTS

Steve Piccolo Musicista, compositore, artista, curatore e docente, ha iniziato la sua carriera nel 1970 come bassista esibendosi a New York in spazi dedicati all’arte. Ha esposto in numerosi musei e gallerie, tra cui Kitchen, Franklin Furnace, Environ, Squat Theater, PASS, La Mama, Issue Project Room, The Stone (tutti a New York, dal 1979 al 2010), Documenta 8 Kassel (1987), MAMCO di Ginevra (2003), Palazzo del-

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le Papesse di Siena (2003, 2005, 2007), FRAC Bretagne (2004), Triennale di Milano (2004-05-07-09), Berlin Jazz Festival (1981 e 2005), Technical Breakdown Copenhagen (2005-06), Biennale di Venezia (con WPS1, 2005), ArtBasel Miami (2006), Performa di New York (2007), Istanbul Biennial (2007), Body Process Arts Festival di Istanbul (2007), Metropolitan Museum di New York (2009), Tirana

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Art Center (2011). Molti dei suoi progetti sono stati realizzati in collaborazione con il musicista e sound artist giapponese Gak Sato. Marino Sinibaldi Direttore di Radio 3 dal 2009, giornalista, autore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi ha condotto, in RAI, le trasmissioni “Antologia”, “Fine secolo”, “Note azzurre”, “Lampi”, “Senza rete”, “Supergiovani”, “Tema”, e ha collaborato a “La storia siamo noi”. È stato ideatore e conduttore della trasmissione “Fahrenheit” su Rai Radio 3. Insieme a Gad Lerner e a Luigi Manconi ha pubblicato alcuni saggi sul movimento degli studenti e la contestazione degli anni Sessanta e Settanta. Ha collaborato con la rivista “Ombre Rosse” e successivamente 23

ha co-fondato la rivista “Linea d’ombra” e pubblicato “Pulp. La Letteratura nell’era della simultaneità” (Donzelli, 1997). Ha collaborato con Natalia Ginzburg nella stesura di: “È difficile parlare di sé. Conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi” (Einaudi, 1999). Mario Conte Musicista, produttore, e sound-designer. Inizia la sua carriera nel 1988 come membro della indie band napoletana Panoramics, collabora quindi con diversi artisti ed etichette italiane e straniere nel campo del pop e della musica elettronica/alternative. La sua attitudine alla sperimentazione e all’innovazione lo porta nel 2008 a creare “Hello Dj?” una performance interattiva realizzata unicamente con cellulari, dove il pubblico / settembre 2011


può intervenire modificando l’esecuzione. Da qui nascono il collettivo “Phone Jobs” (2009), che si interessa di arte multimediale e nuove tecnologie applicate alla musica e al video, e anche uno spettacolo realizzato esclusivamente con iPhones. È co-fondatore dell’etichetta indipendente Zoff82 con sede a Berlino. Luca Reale Si occupa di fotografia e di progetti audiovisivi. Si dedica alla realizzazione di film indipendenti di media lunghezza. Collabora con il regista Dino Viani in un continuo “quattro mani” in ripresa e montaggio. Tra i suoi ultimi lavori: “The Secret”, “La Madonna del Monte” (esposto durante i 100 giorni per J. Beuys alla 52a Biennale di Venezia), “Un giorno delle Nazioni Unite” e “Altro Ancora”. 24

Steve Piccolo A musician, composer, artist, curator and teacher, he began his career in 1970 as a bass player, performing in New York in various arts venues. He has displayed his work in a great number of museums and galleries, such as the Kitchen, Franklin Furnace, Environ, Squat Theater, PASS, La Mama, Issue Project Room, The Stone (all in New York, between 1979 and 2010), Documenta 8 Kassel (1987), MAMCO in Geneva (2003), Palazzo delle Papesse in Siena (2003, 2005, 2007), FRAC Bretagne (2004), Milan Triennial (2004-05-07-09), the Berlin Jazz Festival (1981 and 2005), Technical Breakdown Copenhagen (2005-06), the Venice Biennale (with WPS1, 2005), ArtBasel Miami (2006), Performa in New York (2007), the Istanbul Biennial (2007), Body Process / settembre 2011


Arts Festival of Istanbul (2007), the Metropolitan Museum of New York (2009), and the Tirana Art Center (2011). Many of these projects were created in collaboration with the Japanese musician and sound artist Gak Sato. Marino Sinibaldi General Director of Radio 3 since 2009, journalist, author and presenter of radio and television programmes, he has presented (for the RAI) “Antologia”, “Fine secolo”, “Note azzurre”, “Lampi”, “Senza rete”, “Supergiovani” and “Tema”, as well as collaborating with “La storia siamo noi”. He was the creator and presenter of the “Fahrenheit” transmission on Rai Radio 3. Together with Gad Lerner and Luigi Manconi, he published a number of essays on the student protest movements of the ‘60s and ‘70s. He contributed to the magazine “Ombre Rosse” before going on to co-found the magazine “Linea d’ombra” and publish “Pulp. La Letteratura nell’era della simultaneità” (Donzelli, 1997). He also collaborated with Natalia Ginzburg on the book “È difficile parlare di sé. Conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi” (Einaudi, 1999).

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Mario Conte Musician, producer, and sound designer. He began his career in 1988 as a member of the Neapolitan indie band Panoramics, before going on to collaborate with various Italian and foreign artists and record labels in the fields of pop and electronic/ alternative music. His approach to experimentation and innovation led him in 2008 to create ‘Hello Dj?’, an interactive experience created exclusively using mobile phones, in which the audience could intervene to modify the course of the performance. This was to form the basis of the ‘Phone Jobs’ group (2009), dealing with multimedia art and new technologies applied to music and video, as well as a show created through the sole use of iPhones. He is co-founder of the independent label Zoff82 based in Berlin. Luca Reale Deals with photography and audiovisual projects. His work revolves around making mid-length independent films. He collaborates with the director Dino Viani on a continuous ‘four-handed’ approach to shooting and editing. His latest works include: “The Secret”, “La Madonna del Monte” (shown during the 100 days for J. Beuys at the 52nd Venice Biennale), “Un giorno delle Nazioni Unite” and “Altro Ancora”.

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BID FOR BUILD Cristiana Minelli

Il 20 e il 29 maggio scorsi due violente scosse di terremoto hanno sconvolto il territorio dell’Emilia-Romagna, devastato abitazioni, chiese, scuole, ospedali, aziende, capannoni, industrie, e ucciso decine di persone. Sulla cartina delle zone colpite non è impossibile mappare luoghi cancellati, simboli identitari di intere comunità scomparsi, qualcuno, forse, per sempre. Mentre è in corso la ricostruzione e proprio quando è necessario l’aiuto di tutti, anche le istituzioni pubbliche devono proseguire la gara di solidarietà. Per questo la Galleria civica di Modena, la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena-Fondazione Fotografia in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia hanno 27

On 20th and 29th May this year, two violent earthquakes shook the territory of Emilia-Romagna, destroying homes, churches, schools, hospitals, warehouses, factories, as well as killing dozens of people. On the map of those areas hardest hit, we may pinpoint many places that have been wiped out, places that embodied the identities of entire communities, some of which, perhaps, for good. Although the reconstruction process is already underway and while help is needed from everyone, it is up to public institutions to lead the way where solidarity is concerned. For this reason, the Galleria civica di Modena, the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena-Fondazione Fotografia in collaboration with the Superintendency for Historical, Artistic and Ethno-Anthropological Herit/ settembre 2011


convocato un nuovo appuntamento con Bid for Build, l’asta benefica a favore della ricostruzione in Emilia-Romagna. Sabato 6 ottobre alle 18.30 nella sala grande di Palazzo Santa Margherita in occasione dell’ottava edizione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, saranno messe all’asta opere d’arte per finanziare la ricostruzione nei territori colpiti dal terremoto. L’evento, che segue quello che si è tenuto all’ex Ospedale Sant’Agostino il 27 giugno scorso in occasione del quale sono stati raccolti 115 mila euro, si avvale come il precedente della preziosa collaborazione della Casa d’Aste Sotheby’s. Filippo Lotti, amministratore delegato di Sotheby’s batterà all’asta per la maggior parte opere su carta di maestri italiani del ventesimo secolo: paesaggi, nature morte, autoritratti, bozzetti di scena e studi architettonici. Fra i tanti, solo per citarne alcuni, andranno all’incanto lavori di Afro, Arcangelo, Roberto Barni, Lucio Del Pezzo, Fortunato Depero, Piero Dorazio, Marcello Jori, Giacomo Manzù, Gianmarco Montesano, Ennio Morlotti, Gastone Novelli, Enrico Prampolini, Gino Severini, Luigi Veronesi. Il ricavato sarà interamente destinato alla ricostruzione di quelle strutture – scuole, biblioteche, circoli o centri di aggregazione – che operano nell’ambito della cultura e della didattica. Si potrà scaricare il catalogo dai siti web 28

age of Modena & Reggio Emilia have arranged a new appointment with Bid for Build, the charity auction designed to raise funds for the reconstruction process in Emilia-Romagna. On Saturday 6th October at 6.30pm in the Main Hall of Palazzo Santa Margherita, on the occasion of the eighth edition of the Giornata del Contemporaneo promoted by AMACI, works of art will be put up for auction in order to help finance the reconstruction of those territories hit by the recent earthquake. The event, following that held at the exSant’Agostino Hospital on 27th June this year, and thanks to which €115,000 was raised, will also make use of the much valued collaboration of Sotheby’s Auction House. In fact, Filippo Lotti, CEO of Sotheby’s, will personally oversee a range of items going under the hammer which have been donated by artists and collectors, most of which are paper-based works by 20th-century Italian masters: landscapes, still life images, self-portraits, scene sketches, and architectural studies. Among the many items up for sale, there are works by Afro, Arcangelo, Roberto Barni, Lucio Del Pezzo, Fortunato Depero, Piero Dorazio, Marcello Jori, Giacomo Manzù, Gianmarco Montesano, Ennio Morlotti, Gastone Novelli, Enrico Prampolini, Gino Severini, Luigi Veronesi to name but a few. All the proceedings of the sales will be entirely / settembre 2011


di Fondazione Fotografia (www.fondazionefotografia.it) e Galleria civica di Modena (www.galleriacivicadimodena. it) e fare un’offerta anticipata compilando i moduli disponibili on line. Le opere saranno in visione il 4, 5 e 6 ottobre nella sala grande di Palazzo Santa Margherita, in corso Canalgrande 103 a Modena. Giovedì 4 ottobre dalle 15.00 alle 19.00, venerdì 5 ottobre dalle 10.30 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 e sabato 6 ottobre dalle 16.00 alle 18.00.

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devolved to those structures – schools, libraries, circles or community centres – operating within the field of culture and teaching. The auction catalogue will be published on the websites of the Galleria civica di Modena (www.galleriacivicadimodena.it) and of the Fondazione Fotografia (www.fondazionefotografia.it). It will also be possible to make an advance bid by filling out a form soon to be made available online. On 4th, 5th and 6th October in the Main Hall of Palazzo Santa Margherita, in corso Canalgrande 103, Modena, the works will be on public view. Opening times are: Thursday 4th October from 3 pm until 7 pm; Friday 5th October from 10.30 am to 1 pm and from 3 pm until 7 pm; Saturday 6th October from 4 pm until 6 pm.

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CHANGING DIFFERENCE QUEER POLITICS AND SHIFTING IDENTITIES

Serena Goldoni

Candy Darling aspetta il suo destino sul letto di morte; posa languida, capelli ben curati, trucco perfetto. Mark Morrisroe posa davanti all’obiettivo per il suo amante, ostentando un fisico androgino già consumato da una vita estrema. Un ballerino in calzamaglia rosa, un’odalisca, una mummia, assieme a una folla di freaks e di esseri antropomorfi si muovono in un Eden sfacciatamente kitch e lontano anni luce da ogni moralismo e senso del pudore. Una corte bizzarra composta da questi e altri personaggi popolerà la Galleria civica di Modena a partire dal 20 ottobre grazie a Changing Difference, mostra 31

Candy Darling awaits her destiny on her deathbed: a languid pose, hair carefully done up, make-up flawless. Mark Morrisroe poses before the lens for his lover, flaunting an androgynous physique, worn down by a life on the edge. A ballet dancer in pink tights, an odalisque, a mummy, along with a host of other freaks and anthropomorphic beings, all move through a blatantly kitsch garden of Eden, light years from any sense of moralism or shame. A bizarre selection of these and other figures will fill the Galleria civica di Modena from 20th October thanks to Changing Difference, an exhibition dedi/ settembre 2011



dedicata al lavoro di Peter Hujar, Mark Morrisroe e Jack Smith, protagonisti della cultura underground americana tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. La tripla personale accompagna il pubblico in un percorso attraverso i generi – maschile, femminile e transgender – e gli orientamenti sessuali – eterosessualità, omosessualità e bisessualità – mettendo in luce quanto questi autori siano stati profondamente influenzati da un mondo che in quegli anni emergeva sempre di più dalla clandestinità mostrando sfacciatamente tutte le sue contraddizioni e tutta la sua tragicità con l’approssimarsi dell’AIDS, malattia che implacabilmente colpirà tutti e tre gli autori. Peter Hujar (1934-1987), uno dei più influenti fotografi americani di questi anni, è presente a Palazzo Santa Margherita con 35 fotografie in bianco e nero tra cui spiccano i ritratti di artisti, intellettuali e personaggi gravitanti nel circuito di concerti, feste e drag shows della scena newyorkese degli anni Settanta. La sua sensibilità e l’attenzione per i dettagli gli permettono di far emergere in ogni suo scatto la bellezza nel banale e la grazia nella dissoluzione. Tutta l’opera di Hujar è intrisa di un profondo senso di fragilità e da una consapevolezza sulla condizione mortale dell’uomo, come dimostrano le fotografie dei resti umani sepolti nelle catacombe di Palermo (1963). Le 235 opere di Mark Morrisroe (1959 -1989) allestite alla Palazzina dei Giar33

cated to the work of Peter Hujar, Mark Morrisroe and Jack Smith, protagonists of American underground culture between the ‘70s and ‘80s. This triple solo show will accompany the audience in an itinerary through the genders – male, female and transgender – and the various sexual orientations – heterosexuality, homosexuality and bisexuality – highlighting how these artists were profoundly influenced by a world which at that time was coming ever more out of the underground, unashamedly celebrating all its own contradictions also in the face of the advent of AIDS, which sooner or later was to take the lives of all three artists. Peter Hujar (1934-1987), one of the most influential American photographers of his day, is featured in Palazzo Santa Margherita with 35 black and white photographs including portraits of artists, intellectuals and other figures revolving around the circuit of concerts, parties and drag shows on the 1970s New York scene. His sensitivity and attention to detail allow him to bring out the beautiful in the everyday and the grace in the dissolution of all his shots. All of Hujar’s work is characterised by a profound sense of fragility and a strong awareness of the mortal condition of man, as shown by his images of human remains buried in the catacombs of Palermo (1963). The 235 works by Mark Morrisroe (1959 -1989) displayed at the Palazzi/ settembre 2011


dini, forniscono una panoramica della produzione radicale e innovativa della sua breve carriera. Il suo lavoro resta inscindibilmente legato alla sua vita e alla sua morte. Le polaroid e i negativi manipolati graficamente ne fissano ogni attimo significativo; prostituti, amici e amanti diventano i soggetti prediletti della sua produzione artistica che si dipana in un racconto melodrammatico e vivacemente decadente che si conclude in una scena finale che immortala inesorabilmente l’oltraggio inflitto al suo corpo dalla malattia. Atmosfere oniriche e allucinate che rievocano i film surrealisti degli anni Venti e Trenta, personaggi stravaganti e trasgressivi fanno parte dell’opera di Jack Smith (1932-1989). Filmmaker e fotografo tra i più noti della scena underground newyorkese, Smith ha profondamente influenzato una intera generazione di artisti e registi. I suoi cortometraggi tanto quanto le fotografie, che sembrano frammenti di quell’universo messo in pellicola, mescolano icone pop, soggetti holliwoodiani classici, orientalismo, pornografia e filmografia d’essay. Gli attori sono uomini e donne che mescolano il maschile e il femminile ottenendo un risultato indecifrabile in scenari di lussuria e marcato edonismo. L’opera di Hujar, Morrisroe e Smith, intensa, tragica e spesso ironica mette in luce i rischi che il fondere arte e vita comporta, facendo trasparire le proble34

na dei Giardini provide an overview of the radical and innovative production which characterised his brief career. His work remains indissolubly bound to his life and death. The graphically manipulated Polaroids and negatives capture every significant moment; male prostitutes, friends and lovers are the preferred subjects of his art, which develops through a melodramatic and thoroughly decadent tale which comes to a head in the final scene, inexorably immortalising the damage inflicted on his body by the illness. Wild and dreamlike atmospheres which evoke the surrealist films of the ‘20s and ‘30s, extravagant and transgressive characters are all to be found in the works of Jack Smith (1932-1989). One of the best known filmmakers and photographers of the New York underground scene, Smith had a profound influence on an entire generation of artists and directors. His short films, just like his photographs, which look like fragments of that universe captured on film, mix together pop icons, classic Hollywood subjects, Orientalism, pornography and art-house films. The actors are all men and women who blend together male and female aspects to offer an indecipherable result against a backdrop of lust and unbridled hedonism. The intense, tragic and often ironic works of Hujar, Morrisroe and Smith highlight the risks entailed by mix/ settembre 2011




matiche più autentiche, come il rifiuto di essere normalizzati, istituzionalizzati o trasformati in qualcosa di esotico. La mostra, a cura di Lorenzo Fusi, è organizzata e coprodotta dalla Galleria civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, in partnership con il festival internazionale Gender Bender.

ing art and life, thus underlining the most authentic of issues, such as their such as their refusal to be ‘normalised’, institutionalised or transformed into something exotic. The exhibition, curated by Lorenzo Fusi, is organised and co-produced by the Galleria civica di Modena and the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena with the support of the Councillorship for Culture of the Emilia-Romagna Regional Council, and is a joint venture with the international Gender Bender festival.

Changing Difference Queer Politics and Shifting Identities Palazzo Santa Margherita e Palazzina dei Giardini corso Canalgrande, Modena 20 ottobre 2012-27 gennaio 2013 mer-ven 10.30-13.00 15.00-18.00 sab, dom e festivi 10.30-19.00 lunedì e martedì chiuso ingresso gratuito

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DÉJÀ-VU PHOTOGALLERY ESTATE / SUMMER 2012



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GASP! LE STRIP DI CIVICO 103 A CURA DI / CURATED BY STEFANO ASCARI E / AND COMICOM.IT

IN QUESTO NUMERO Donald Soffritti (Ferrara, 1967) si diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1990 e entra nelle scuderie Disney nel 1997 disegnando storie e copertine per Topolino e Witch. Parallelamente collabora, tra gli altri, con Kico, Rat-Man, Vasco Comics, Alienor, Toutou & Cie, Superheroes Decadence, Les Quatre Quarts e il recente Bienvenue chez les Corses et bonne chance! Reclutato da Roberto Corradi inizia a collaborare all’inserto satirico il Misfatto del Fatto Quotidiano. Attualmente con lo sceneggiatore Giorgio Salati disegna Bookbugs, una strip di carattere culturaletecnologico in uscita mensilmente sulla rivista digitale PreTesti di Telecom Italia.

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IN THIS ISSUE Donald Soffritti (Ferrara, 1967) graduated from the Academy of Fine Arts in Bologna in 1990 and joined the Disney team in 1997, drawing stories and covers for the Italian Mickey Mouse and Witch. At the same time, his other collaborations included those with Kico, Rat-Man, Vasco Comics, Alienor, Toutou & Cie, Superheroes Decadence, Les Quatre Quarts and the more recent Bienvenue chez les Corses et bonne chance! After being recruited by Roberto Corradi, he began to contribute to the satirical column il Misfatto, part of the daily paper Il Fatto Quotidiano. Together with the screenwriter Giorgio Salati, he is currently drawing Bookbugs, a cultural-technological comic strip published monthly as part of Telecom Italia’s online magazine PreTesti. / settembre 2011


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numero / number 7 anno / Year II settembre / September 2012 free magazine della Galleria civica di Modena registrazione del Tribunale di Modena n. 2017 del 24.11.2010 direttore responsabile / editor in chief Marco Pierini

progetto grafico / graphic design Greco Fieni traduzioni / translations Bennett Bazalgette-Staples ufficio stampa esterno / off-site press office CLP, Milano hanno collaborato a questo numero / in collaboration with Stefano Ascari, Claudio Chianura, Paolo Colagrande, Silvia Ferrari, Serena Goldoni, Cristiana Minelli, Francesca Mora, Marco Pierini, Gabriella Roganti crediti fotografici / photo credits Piero Chianura (cover), Elisabetta Claudio (p. 12), Emmanuele Coltellacci (pp. 38, 40), Luca Monzani (p. 29) Francesca Mora (pp. 41, 42), Paolo Terzi (pp. 43, 45) Strip a cura di Comicom.it

Galleria civica di Modena direttore / director Marco Pierini coordinamento generale / executive manager Gabriella Roganti curatrici / curators Silvia Ferrari Serena Goldoni responsabile allestimenti / exhibition design manager Fausto Ferri amministrazione / administration Isabel Sandri ufficio stampa / press office Cristiana Minelli comunicazione-design / communication-design Greco Fieni segreteria generale / general secretary Daniela Rinaldi segreteria / secretary Paola Carrubba

pre-press e stampa / printed by Amilcare Pizzi, Milano

allestimenti / exhibition design Giuseppe De Bartolo Daniele Diracca Matteo Orlandi

si ringraziano / thanks to Michelina Borsari, Paolo Colagrande, Fondazione Fotografia, Donald Soffritti

archivio fotografico e documentazione / photo archive and records Francesca Mora

in particolare si ringraziano / thanks to gli artisti, i galleristi e i collezionisti che hanno contribuito alla realizzazione di Bid for Build

stage / interns Sara Lutti Galleria civica di Modena

© 2012 Galleria civica di Modena e Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI) © gli autori per i testi © gli artisti e i fotografi per le immagini L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare

corso Canalgrande 103 41121 Modena ITALIA tel. +39 059 2032911 fax +39 059 2032932 www.galleriacivicadimodena.it galcivmo@comune.modena.it facebook.com/galleriacivicadimodena twitter.com/GalCivModena museo associato AMACI www.amaci.org


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