Rosaria Iazzetta SANDWICH
Galleria E23
Rosaria Iazzetta SANDWICH a cura di Stefano Taccone 20 gennaio – 23 febbraio 2016 Galleria E23, Napoli
Photo Danilo Donzelli Edizioni Galleria E23 Marzo 2016
Galleria E23 via T. G. Blanch, 23 - 80143 - Napoli infoe23@gmail.com www.eventitre.net
Rosaria Iazzetta SANDWICH a cura di Stefano Taccone 20 gennaio – 23 febbraio 2016
Galleria E23, Napoli
SANDWICH Da ormai quasi vent’anni Rosaria Iazzetta, tramite diversi media – fotografia e scultura innanzitutto; da un certo punto in poi anche la scrittura, ma tendenzialmente sempre più aperta e vogliosa di sperimentare nuove soluzioni –, costruisce i suoi spesso ironici ma sempre accorati discorsi-denuncia intorno alle emergenze della società, con particolare riferimento, specie negli ultimi anni, al suo martoriato territorio. Proprio quest’ultimo è più che mai al centro dell’ampio percorso che l’artista, nativa di Mugnano – cittadina posta poco più a nord di Napoli – propone presso la Galleria E23, onde rilanciare una scottante questione che, avendo avuto, grazie ai movimenti popolari di denuncia, il suo l’exploit nel 2013-2014 – biennio durante il quale il problema viene portato alla ribalta dei media e la politica è costretta a dare l’idea di mettere in atto soluzioni concrete, malgrado esse si rivelino naturalmente di pura facciata –, sembra ormai, due anni dopo (2016), caduta nel dimenticatoio, malgrado, di contro, le emergenze siano tutt’altro che rientrate. Rosaria pensa dunque al progetto anche nella prospettiva di fornire una piccola scossa – per quanto è possibile ai limitatissimi strumenti delle arti visive – che possa aiutare a tirare fuori il movimento dall’impasse in cui le circostanze lo hanno cacciato. Da qui il proposito di abbinare al consueto momento espositivo almeno un giorno di incontro pubblico in mezzo alle opere stesse, animato dalle relazioni di numerosi soggetti a vario titolo esperti e coinvolti nella questione dei rifiuti tossici in Campania ed aperto agli eventuali contributi dei cittadini dei comuni interessati e di tutti i convenuti. Io stesso, scrivendo in qualità di curatore, auspico che la mostra divenga «anche una piattaforma ove confrontarsi, coordinarsi, uno sprone a mobilitarsi sempre più numerosi contro chi mortifica la vita e brucia il futuro». «Non è mai un documento della cultura senza essere insieme un documento della barbarie»1, sostiene notoriamente Walter Benjamin – concetto che in verità, come si è visto, Rosaria sembra avere assai
1
W. Benjamin, Sul concetto di storia, 1950, trad. it., Einaudi, Torino, 1997, p. 31.
chiaro fin dai tempi di International Meat. Così qualora lo sviluppo industriale del Nord Italia durante gli anni del boom economico ed oltre potesse assimilarsi alla cultura, senz’altro lo smaltimento selvaggio dei rifiuti tossici nel Sud Italia costituirebbe la sua controparte di barbarie. Sandwich, il titolo scelto da Rosaria per parlare di tale catastrofe, replica evidentemente la sua struttura dualistica: allude all’interramento dei rifiuti tossici secondo l’espressione adoperata dal pentito Carmine Schiavone, ma anche all’esempio scelto dal biologo statunitense Bruce Lipton per illustrare il percorso delle sostanze nutritive attraverso la membrana cellulare per arrivare alla cellula e quindi perpetuare la vita. Seguendo il filo di tale contraddizione è concepita l’opera emblema – ed omonima - della mostra, un finto sandwich – costruito con materiali solo parzialmente commestibili, eppure non troppo stranamente comunque appetitoso, benché sollecitazioni del genere siano tutto sommato incidentali rispetto al messaggio che Rosaria intende lanciare – ripieno di olive, che nella descrizione di Lipton lascerebbero trapassare liquidi, come puntuale ricostruzione dell’oggetto che rende l’esperimento possibile. L’opera che materializza in termini più crudi ed eloquenti l’essenza della tragedia campana è però senz’altro Metalli pesanti, ove un tavolo in legno accoglie cinque cubi in ferro che vanno a bucare altrettanti organi umani in terracotta – intestino, cervello – o ceramica – polmone, esofago-tiroide, stomaco –, evidentissima – ma anche efficacissima – allusione alle principali tipologie tumorali da metalli pesanti. La rigorosa geometria – così diversa dalla consueta trasfigurazione in direzione dell’organico che Rosaria impartisce, come sappiamo, al suo materiale preferito – e la freddezza cromatica, simboli di una forza disumanizzata che a sua volta si fa soggetto disumanizzante – in quanto appunto annichilimento dell’umano attraverso il suo nefasto potere di alterarli il flusso vitale fino ad interromperlo, dandogli la morte –, contrastano con il disteso biomorfismo e le cromie per lo più tendenti al caldo – o al candido – dei cinque organi, malgrado il loro piglio comunque alquanto anestetizzato, da lezione di anatomia. Tutela dell’ambiente, l’opera più imponente, quella prepotentemente posta al centro del vasto ambiente della E23, consta di tre sculture dalle consuete fattezze, ma più inquiete che mai nel loro rapportarsi ad un ramo rinsecchito di alloro posto in orizzontale – come un morto – a costituire quasi un inciampo per il loro sbilenco stare allerta e deambulare
così come una sorta di raccordo. Come le tre sculture che popolano la personale del 2011 incarnano la corruzione di colui che dovrebbe proteggere la comunità, mettendo a sua disposizione i propri talenti e non sfruttandoli esclusivamente a fini di egoistico tornaconto, così queste nuove tre sono per Rosaria figure di una custodia scellerata, malriposta. «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza», proclama il Creatore nel primo libro della Bibbia, «e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Per quanto passi come questi siano stati frequentemente interpretati come all’origine della sconsiderata volontà di potenza dell’uomo sulla natura, quasi come i prodromi del tecnocentrismo occidentale che dimentica ogni valore non strumentale della natura – e della sua natura stessa –, non vi è chi non veda che dominare non solo non implica di per sé il mortificare e tanto meno il distruggere, ma quest’ultima ipotesi entra in palese contraddizione con l’ingiunzione divina. Dio elargisce un privilegio all’uomo, ma anche una ulteriore responsabilità e che l’uomo sia libero di violare i patti eppure non esente dalle conseguenze di tale violazione lo si scopre solo qualche rigo più avanti con l’episodio del peccato dei progenitori. Così ora la natura offesa compie una sorta di controtorsione offendendo a sua volta, rigettando sulla pelle dell’uomo tutta la nocività che egli primariamente riversa sulla sua. Da qui l’immagine di fastidioso disequilibrio, di situazione non pacificata che l’opera viene a suggerire, peraltro in deliberato cortocircuito con le parole del titolo. Una possibile riconciliazione è quella che evoca, vice versa, Innesti, un insieme di quattordici giovanissimi alberelli di agrumi in vaso sui quali sono sottoposti appunto alla pratica contenuta nel titolo svariati oggetti, soprattutto di fattura umana – senza disdegnare scelte che nella loro coloritura kitsch, connotazione cui da sempre Rosaria tende ad attingere con una certa sapienza, conferiscono una nota di ironia e quindi di buona speranza –, ma anche di pertinenza animale – il nido e il corallo – o minerale – una pietra levigata. In ogni caso sempre a richiamare l’azione umana nel loro essere incongruamente associati ad un corpo vegetale. Tra i manufatti una statuina di Padre Pio, una piccola elica, uno sgargiante pappagallo di gesso… L’opera vuole costituire insomma una sorta di controaltare rispetto a Tutela dell’ambiente, campeggiandole peraltro affianco. Essa addita cioè un’attitudine sana e responsabile dell’uomo, cui non è vietato di costruire, inventare, modificare a suo
piacimento e per il suo piacimento, ma guai a smarrire il contatto con il proprio ecosistema, guai a recidere le sue radici con ciò che lo nutre e da cui ha avuto origine. Non a caso qui le radici degli alberelli affondano tutte decisamente nel terreno, a differenza del grande ramo attiguo, rimosso per sempre dall’apparato vitale di cui era membro e quindi ormai pura materia senza flusso biologico che l’attraversi. Il dualismo morte-vita ispira anche due più piccole sculturine, dalle cui cavità si scorge rispettivamente del materiale combusto e dei bulbi: se il primo risalta naturalmente nella sua sterilità, nel suo essere scevro di potenza in seguito ad un atto – potremmo dire prendendo in prestito celebri categorie aristoteliche –, i secondi costituiscono figure assai peculiari di potenza che reclama onde attualizzarsi. Vi è infine il video bla,bla,bla…, a rappresentare il momento di più intensa critica politica, di più decisa connotazione attivista, conferendo in verità un significato più marcato e chiaro in tal senso all’intero progetto. Facendo propri i metodi del détournement situazionista, magari mediato da prodotti televisivi italiani di grande successo come Blob, esso si presenta infatti come un compulsivo, astuto, graffiante montaggio di brani tratti da svariate trasmissioni di approfondimento sull’attualità, ove compaiono politici ed amministratori più o meno noti, a diverso titolo implicati nella questione della Terra dei fuochi, ma si odono anche i dati agghiaccianti – tonnellate di rifiuti sversati, percentuali territoriali di morti per cancro… – di cui essa consta. L’algida, terrifica oggettività di tali cifre entra in stridente collisione con il pressappochismo fuori luogo, l’ostruzionismo verbale, il malcelato divincolarsi di fronte alle domande scottanti degli esponenti politici responsabili del dissesto. Memorabile l’affermazione del ministro della salute Beatrice Lorenzin, la quale non dà che l’idea di voler annacquare la faccenda nel momento in cui sente il bisogno di ricordare che una dieta non equilibrata è la prima causa di tumori a livello mondiale. Stefano Taccone
Š Galleria E23, marzo 2016