Schifano, Mario. Perché io sono

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EDIZIONI “IL PONTE” FIRENZE

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MARIO SCHIFANO


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LE MOSTRE


MARIO SCHIFANO PERCHÉ IO SONO PITTORE testo

Andrea Alibrandi

EDIZIONI “IL PONTE” FIRENZE


MARIO SCHIFANO PERCHÉ IO SONO PITTORE

Galleria “Il Ponte” Firenze 12 maggio –29 luglio 2006 a cura di

SOMMARIO pag. 09

Andrea Alibrandi Mario Schifano «…perché io sono pittore…»

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Tavole

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Susanna Fabiani Nota biografica

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Indice delle tavole

Andrea Alibrandi Si ringrazia la Fondazione Mario Schifano di Roma, nelle persone di Renzo Colombo e Marcello Gianvenuti, per il fondamentale contributo alla realizzazione di questa mostra e tutti coloro che l’hanno resa possibile, in particolare: Piero Albini, Gerardo Bartoli, Luisa e Alessandro Bargiacchi, Gian Pietro Bartolini, Stefano Briccolani, Luigi Cavallo, Margherita e Francesco Cavallo, Carlo De Ferrari, Stefano De Ferrari, Franco Melchionna, Edgardo Oppizio, Enzo Santini. Ufficio Stampa

Susanna Fabiani Referenze fotografiche

Torquato Perissi, Firenze Impaginazione computerizzata

Punto Pagina, Livorno Selezioni cromatiche

Selecolor, Firenze Stampa

Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera © 2006 EDIZIONI “IL PONTE” FIRENZE 50121 Firenze – Via di Mezzo, 42/b tel/fax ++39 055 240617 website: www.galleriailponte.com e-mai: info@galleriailponte.com


Schifano: «...perché io sono pittore...»1 Nella miriade di dipinti che Schifano ha realizzato nel corso della vita il dato tangibile è sempre e comunque il suo essere pittore nell’anima, nel profondo, per sensibilità e naturale inclinazione. Da una simile abilità non si può liberare, comunque affronti la costruzione del dipinto. La facilità con cui afferra e restituisce un’immagine è pressoché illimitata; anche se resa nel modo più corsivo e veloce, solo accennata, prende corpo e diventa opera. In Schifano il dominio sul dipinto è assoluto, quasi non voluto nell’apparente noncuranza del fare, nell’incompiutezza di un discorso abbandonato e risolto ad un tempo. Di questo talento Schifano era consapevole. Non volendo che i suoi dipinti fossero frutto esclusivo di sapiente destrezza, che l’arte si trasformasIl titolo è estrapolato da una frase di un’intervista rilasciata da Schifano nel 1982, dove risponde alla domanda postagli da Meneguzzo riguardo ai grossi limiti che l’artista riscontrava nella pittura: «M.: Allora, Perché continui a fare quadri? / S.: Perché è umano, più umano. Perché io sono pittore. Perché anche come fotografo sono molto pittore».(Conversazione con Schifano, in Marco Meneguzzo, Schifano, cat. mostra, Loggetta Lombardesca, Ravenna, 1982)

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se in mestiere, si fece in lui sempre più prepotente l’esigenza di accrescere incessantemente la valenza concettuale del suo lavoro, che si è sempre andato arricchendo di un’enorme messe di immagini che potevano eccitarne, quale pittore, il desiderio di intendere il mondo. Fu quindi onnivoro di quanto poteva essere spunto per un confronto e una sfida con la sua capacità di renderlo sulla tela. I primi grandi dipinti, con cui Schifano si afferma immediatamente nel panorama artistico, sono i Monocromi, che affondano le radici ancora negli anni ’50 e si sviluppano fino a tutto il 1962. Sono la sua reazione, come quella di altri suoi coetanei in quel momento, alla moda della pittura informale; ormai dominante da anni, si era trasformata in una vera e propria accademia. Il monocromo scaturisce da una necessità primaria, da una precisa scelta di campo: essere dentro al suo tempo, alla contemporaneità. Il monocromo è l’azzeramento delle eccellenze delle pittura, anche di quella informale: il tonalismo, il gesto, la pennellata... Tutto è risolto in una superficie monocolore che annulla, rade al suolo il quadro tradizionalmente inteso: ne è il grado zero. Ma nel violentare o profanare la pittura, nel suo ridurla al silen10

zio Schifano ne recupera i valori sostanziali. Niente di più pittorico di queste superfici, la scelta della carta da pacchi, tagliata a quadrati e incollata sulla tela, l’uso dello smalto, steso con rapide pennellate che lo rendono vibrante. La spartizione dello spazio secondo canoni di grande classicità, centinando gli angoli, lasciando una cornice risparmiata all’esterno e/o inserendo una fascia sottostante all’elemento monocromo a mo’ di predella anch’essa monocromatica. L’uso sapiente della sgocciolatura dello smalto, utilizzata con raro equilibrio. Tutto questo e altro ancora fa dei Monocromi di Schifano un monumento alla pittura nella sua intrinseca e massima essenza. Liberata da quanto si può ritenere superfluo, Schifano la riduce a pochi elementi basilari, che esaltano il significato più profondo di ciò che si può soltanto intuire esserne la sostanza. Già in precedenza l’uniformità degli spazi era stata violata da un’iconografia minima di numeri e lettere, ma è nel 1962 che compaiono i primi frammenti segnici che ricollegano i suoi dipinti a un’apparente quotidianità della visione. Sono le schegge delle grandi scritte pubblicitarie, Esso, Coca-cola,... che iniziano a invadere le strade della città: è il primo 11


Nel 1963 compaiono i primi Paesaggi italiani, i Particolari di paesaggio. La visuale si allarga, pare che l’attenzione si sposti verso l’esterno, ma si consolida una proiezione assolutamente mentale. Il Paesaggio è recuperato non dalla natura, ma nella tradizione della pittura e dalla fotografia, sia in presa diretta, sia attraverso i rotocalchi. Il segno delinea, abbozza; il colore interviene rarefatto, scabro, lasciando molte parti risparmiate, quasi casualmente toccate da alcuni schizzi di colore. L’intervento è sempre rapido, privo di ripensamenti, lascia che il non detto risulti più forte e forse anche più significante del segno tracciato sulla tela. I Paesaggi come li definiscono i titoli stessi di Schifano sono anemici: il colore è altro rispetto alla consuetudine; lo stesso termine anemico è traslato rispetto alla raffigurazione di un paesaggio. A questi si collegano gli Incidenti, probabilmente correlati all’attrazione, non subita ma assimilata da Schifano in ambito americano, dei Crash di Wahrol.

Sono stringenti i nessi con l’ambito del Pop internazionale. Ma il percorso di Schifano è molto personale, legato al territorio, al recupero della tradizione pittorica classica italiana, da Piero della Francesca (da cui trae origine il tema dell’Albero o Il vero amore) a Leonardo, al cui ritratto dedica importanti dipinti, ma particolarmente alle Avanguardie storiche. Le figure in movimento sono sagome tratteggiate sul fondo solo preparato che, sovrapponendosi l’una all’altra, si assommano in sequenze ritmicamente scandite, quasi di danza. Queste appaiono per un breve ma intenso periodo sulle sue tele e trovano stretti riferimenti nelle cronofotografie di Muybridge e Marey, con il Nudo che scende le scale di Duchamp, con i collages dadaisti di quest’ultimo, di Man Ray, di Picabia, con la scultura di Brancusi, e il Suprematismo di Maleviˇc. Ma Schifano rivolge il suo slancio espressivo principalmente verso i Futuristi – nei confronti dei quali in quegli anni ha luogo una fondamentale rivalutazione critica ad opera di Argan e Calvesi –: molti gli omaggi a Balla (When I Remember Giacomo Balla, A Balla,...), a Boccioni; in modo particolare nella resa delle figure in movimento, nell’utilizzo di frasi scritte con caratteri tipografici o tracciati a mano seguendo un andamento

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confrontarsi con la comunicazione di massa. I nuovi simboli della realtà con cui gli uomini convivono divengono i soggetti della sua pittura: questa rimane sempre e comunque elemento sovrastante, essi divengono materiali di lavoro, oggetti di un’inevitabile attenzione e attrazione pittorica.


che diviene parte integrante della costruzione del dipinto, in un procedimento simile all’uso delle parole in libertà nella grafica futurista. Il ritorno ad un’immagine figurata non è il richiamo ad una ripresa dal vero, quanto la rilettura di una tradizione artistica, dei suoi passaggi fondamentali che, diventati icone, rievocano una realtà assolutamente mediata dalla mano e dalla storia dell’uomo. L’interesse non per la rappresentazione, ma per un richiamo culturale, emotivo a una situazione, a un evento lo ritroviamo codificato in un amplio corpus di opere, che prendono avvio fra il 1964 e il 1965, dedicate appunto al Futurismo, un futurismo citando i titoli, rivisitato a colori, in bianconero... Ma l’emblema utilizzato da Schifano per riferirsi al movimento rivoluzionario e a quanto di esso si può vagheggiare, è una vecchia e famosa foto del 1912 del gruppo futurista a Parigi (Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini), che nelle sue mani diviene la sagoma, ritagliata nel cartone del gruppo di personaggi fotografati, su cui spruzzare il colore in positivo o negativo. È un reperto che richiama alla memoria un mondo. Così si muove tutto il lavoro di Schifano, attraverso un nucleo limitato di allestimenti scenici che, reiterati nei dipinti, diventano dei topoi. 14

In questi anni inizia ad impiegare sia inserimenti di porzioni in plexiglas colorato, modellate come campiture cromatiche incollate sulla tela, sia delle vere e proprie coperture o teche, sempre in plexiglas colorato, fumé, striato o zigrinato, in cui vengono inserite le opere. L’utilizzo di questo diaframma distorce ulteriormente l’immagine, la rende ancora più lontana, trasferendola in una dimensione onirica, in cui la definizione delle sagome, dei contorni, la concretezza dei colori, la loro effettiva esistenza diventano più difficili da distinguere. La sua tensione verso un linguaggio visuale contemporaneo è sempre e comunque costruita attraverso rappresentazioni mediate della realtà: sia tramite le fotografie – in particolar modo polaroid, al cui scatto Schifano si dedicò con inesauribile continuità, facendone un impiego quanto mai spasmodico –, sia attraverso le immagini del videotape e della cinepresa,2 che gli davano la possibilità di frantumare la realtà in una sequenza di particelle individuabili, arrestate come per incanto. Tra il 1964 e il 1969 Mario Schifano realizzò un numero tuttora imprecisato di cortometraggi e una trilogia di lungometraggi.

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La produzione successiva 1966-68, si concentra sulla serie delle Oasi, Tuttestelle; altri elementi si affacciano fra le icone di Schifano. La palma, le stelle, realizzate sempre attraverso l’uso di silhouette in cartone, la cui impronta viene riportata sulla tela spruzzandovi il colore, conquistano spazio all’interno dei Paesaggi; vi si è voluto leggere una dimensione disgiunta dall’impegno sociale. Questi sono invece gli anni della contestazione, cui del resto rimanda in modo assai tangibile l’immagine di tre operai cinesi che, nella serie Compagni compagni, tengono falce e martello. Sul valore dell’impegno politico e pubblico di queste opere e di Schifano stesso si è molto discusso, interpretandoli come una dichiarazione d’engagement. Forse in parte lo sono, ma sostanzialmente rispecchiano il clima di quegli anni, il Sessantotto. Schifano ha sempre preso posizioni politiche come uomo, non come pittore, la pittura rispecchia certamente l’uomo, ma non può intervenire sostanzialmente nell’azione politica, come ha più volte sostenuto nelle sue interviste: non cambia il mondo. Sul finire degli anni Sessanta realizza i primi Televisori. Il fluire delle sequenze televisive, viene bloccato attraverso un’istantanea scattata al televisore e questa 16

è poi trasferita, attraverso un procedimento di impressione fotomeccanica, sulla tela emulsionata. L’immagine, tradotta in un bianconero sgranato, dai contorni erosi e imperfetti, fortemente contrastato, dove le zone maggiormente luminose risultano bruciate, cioè prive di impressione e quelle in ombra nere, viene poi riletta dall’artista con l’uso di colori all’anilina, privi di densità e corpo, simili a un acquarello molto carico. Le tele vengono poi confezionate in teche in plexiglas fumé, che restituiscono appunto il senso di un fotogramma visto sullo schermo. Schifano seleziona, fra gli innumerevoli scatti realizzati di fronte al video, le immagini più svariate che, in questo complesso procedimento, pur risultando alterate e fortemente deformate, mantengono una sottile linea di contatto con l’imperversante mondo televisivo, quello del cosiddetto “villaggio globale”. «Naturalmente ciò che mi interessava non era la cultura della TV, ma la cultura dell’immagine della televisione».3 Gli anni Settanta, dopo quelli di grande euforia del decennio precedente, che hanno visto l’esplosioConversazione con Schifano, in Marco Meneguzzo, Schifano, cat. mostra, Loggetta Lombardesca, Ravenna, 1982

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ne di Schifano come artista, in continuo rapporto con l’esterno attraverso un incessante e costruttivo dibattito, sono un periodo di isolamento e di chiusura, attraversato da una profonda crisi artistica e personale. Durante questi anni sviluppa soprattutto una pittura in serie, con opere quali Al mare o Quadri equestri. Il suo lavoro si è sempre svolto per nuclei di idee che sviscera attraverso sequenze di dipinti, quasi che l’idea generatrice possa ricavarsi non dalla singola opera ma dalla loro lettura complessiva. Su questi temi ritorna poi in maniera assillante e incessantemente replicata. Sono cicli pittorici costruiti su immagini ampiamente verificate negli anni Sessanta, ma ricondotte a un livello quasi elementare. Rese attraverso un impianto strutturale e un intervento cromatico ridotti ai minimi termini. Questi elementi si trasformano in effigi delle sue opere, dove gli elementi linguistici, sempre più compendiati, vengono quasi esautorati; e la possibilità espressiva diventa sempre più difficile, quasi ad alzare l’asticella del suo quotidiano disagio a dipingere sulla propria pittura. Il suo essere comunque pittore lo spinge incessantemente fino alla fine a far scontrare la sua pittura con i mezzi di comunicazione di massa. Come scrive 18

Bonito Oliva: «Per lui essere moderno significa adattare tale mezzo (la pittura), con tutta la sua storia aurea, al carattere quantitativo della nostra epoca. Per questo ne ha accompagnato l’uso mediante un’accanita sperimentazione e contaminazione linguistica...».4 Le sue esperienze fotografiche, cinematografiche, nonché l’insieme delle immagini carpite alla televisione, ai rotocalchi, alla pubblicità fanno parte del suo interesse verso tutte le forme di comunicazione e il suo sforzo è quello di fare della pittura il medium di una contemporaneità, la cui unica vera realtà è quella televisiva. Istanti, incontri, situazioni, volti, silhouette si rincorrono nello spazio pittorico, dove rapide pennellate, ricche di sapienza, definiscono e annullano le immagini, provocando ulteriori suggestioni in un altalenante gioco di rimandi e ricordi. Qualunque elemento vi trova collocazione, nessuno è predominante, né esistono gerarchie, essi si offrono come punto di partenza alla sua immaginazione, che li rielabora e reinventa. Si costruisce col segno, si inventa con il colore che cancella il dato e gli si sovrappone. Ma è il pensiero che si fa pittura, la sublima elevandola a concetto e la riscatta dalla maestria manuale. 4

Bonito Oliva, Schifano Opere 1957-1997, Milano 1998 19


Nel decennio successivo, dal 1980 al 1990 e in parte fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1998, il piacere della pittura diventa preponderante. Inizia a dipingere i cicli di Architetture, Biplani e Orti botanici: sono opere in cui la materia pittorica prende corpo, vigore, spesso arricchita dall’uso del colore acrilico strizzato direttamente dal tubetto. La struttura del disegno, la costruzione grafica sempre fondamentali nell’impianto di Schifano vengono riassorbiti, quasi cancellati in questo pastoso agglomerato di pennellate vorticose e voraci. Un tripudio di colori assordanti si combinano con veemenza e velocità inattesa sulla tela, talvolta con cesure e incastri stridenti, talvolta invadono la cornice e la rendono parte del dipinto. Una frenesia creatrice di sapore bacchico, dominata dai verdi, dagli ocra, dalle terre, pare muoversi direttamente dalla visione della natura, che diventa elemento centrale. Una natura a portata di mano, anzi di sguardo, penetra nella nostra vita introducendosi in casa attraverso lo schermo televisivo. Restando comodamente in poltrona, il mondo ti raggiunge, interi continenti ti assalgono, i paesaggi più lontani ed esotici diventano parte della tua esistenza casalinga. È una natura straripante, rigogliosamente vitale, così soverchiante che occlu20

de qualunque profondità percettiva, proiettandosi in un primo piano assoluto. Riscatto della pittura su tutto: dal suo azzeramento iniziale si crea una nuova pittura che, stemperata in un’immagine sempre più rarefatta e corsiva, procede attraverso dei simulacri di se stessa, per concludersi nella incondizionata «voluttà» di un’assordante dichiarazione d’amore verso la materia pittorica. Andrea Alibrandi

Firenze, maggio 2006

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TAVOLE


1. Particolare del segno di energia bianca, 1962 smalti su tela preparata con carta da pacchi, 160Ă—140 cm


2. Piazze signorili smalti su tela preparata con carta da pacchi, 120Ă—120 cm


3. La nuvola, 1965 carboncino e smalti su tela, 100Ă—80 cm

4. Inizio del tubo, 1968 smalti e vernici a spruzzo su tela, 100Ă—70 cm


5. Senza titolo (Televisore), 1970 smalti e aniline su tela emulsionata, in teca di plexiglas fumĂŠ, 80Ă—115 cm


6. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70 smalti su tela, 100×200 cm


7. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70, smalti su tela, 100×120 cm

smalti su tela, 200×100 cm

8. Senza titolo (Palma), prima metà anni ‘70


8. Senza titolo (Palma), prima metà anni ‘70 smalti su tela, 200×100 cm

7. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70, smalti su tela, 100×120 cm


9. Grande nuvola, prima metà anni ’70 smalti su tela preparata con carta da pacchi, 99,5×229,5 cm


10. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70, smalti su tela, 75×96 cm

11. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1976, aniline e smalti su tela, 60×100 cm


12. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1973/78, aniline pastelli e smalti su tela, 70Ă—100 cm

13. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1979/80, smalti su tela, 75Ă—100 cm


14. Senza titolo (Paesaggio anemico), seconda metà anni ’70 smalti e aniline su tela, 100×107 cm

15. Senza titolo (Finestra), 1978/79 vernici a spruzzo e smalti su tela, 138×104,5 cm


16. Senza titolo (Futurismo rivisitato), 1979/80, vernici a spruzzo su tela, 70×100 cm

17. Futurismo rivisitato, seconda metà anni ‘70, vernici a spruzzo su tela, 65×90 cm


18. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1979, smalti su tela, 115×156 cm

smalti e aniline su tela, 180×100 cm

19. Senza titolo (Palma), fine anni ’70


18. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1979, smalti su tela, 115×156 cm

19. Senza titolo (Palma), fine anni ’70 smalti e aniline su tela, 180×100 cm


20. Senza titolo (Acquario), 1979, acrilici e smalti su tela, 103Ă—131 cm

21. Senza titolo (Quadro equestre), 1979/80, smalti e aniline su tela, 90Ă—98 cm


22. Oasi senza oasi, 1981 acrilici, smalti e vernici a spruzzo su tela, 203Ă—319 cm


23. Sempreverde, prima metà anni ‘80 27. smalti e acrilici su tela, 100×100cm

24. Senza titolo (Energia), 1982 26. acrilici e smalti su tela, 210×100 cm


25. Senza titolo (Figura), 1981 smalti e cosmetici su tela preparata con fogli di carta, 100Ă—100 cm

26. Senza titolo (Palma), 1985 acrilici e smalti su tela con cornice dipinta, 61Ă—51 cm


APPARATI DOCUMENTARI


Nota biografica Mario Schifano nasce in Libia (Homs) nel 1934, dove vive solo i primi anni dell’infanzia. Arrivato a Roma con la famiglia nel dopoguerra, senza una forte predisposizione verso l’istruzione scolastica, lavora restaurando vasi e disegnando planimetrie di tombe per il Museo Etrusco di Valle Giulia, mestiere che apprende dal padre restauratore archeologico. Attività che abbandona con l’incalzare della sua passione per la pittura, che viene presentata per la prima volta in un’esposizione alla Galleria Appia Antica di Roma nel 1959, presentato da Emilio Villa, con opere che rientrano nella cultura informale, caratterizzate da gestualità e spessore materico. Con la mostra del 1960 alla Salita, presentata da Pierre Restany: Cinque pittori romani Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano, Uncini l’artista inaugura una fervida stagione che durerà più di un decennio, in cui sarà alla ribalta della critica con riconoscimenti quali il Premio Lissone (Lissone, 1961) e il Premio Fiorino, La nuova Figurazione (Firenze, 1963). La sua pittura si indirizza verso una monocromia 59


realizzata su carte incollate su tela. L’opera viene trattata come schermo sul quale compaiono lettere, segni e le nuove immagini pubblicitarie, a partire soprattutto dalla fine del 1962. Personali e partecipazioni a collettive in spazi privati e pubblici e in manifestazioni in Italia (Roma, La Tartaruga, 1961; Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1966 e L’Attico, 1967; Milano, L’Ariete, 1963 e Studio Marconi, 1965; Venezia, XXXII Biennale, 1964; San Marino, V Biennale, Oltre l’Informale, 1963 e VI Biennale, 1965; ) e all’estero (New York, Sidney Janis Gallery, The New Realists, 1962; Parigi, Sonnabend, 1963; Pittsburgh, Carnegie Institute, 1964; Biennale, San Paolo del Brasile, 1965; Tokyo, National Museum of Modern Art, 1967) evidenziano l’attività intensa dell’artista che caratterizza questo decennio, in cui si annoverano anche importanti viaggi in America (1962 e fine ’63 inizio ’64), dove viene a contatto con la Pop Art, con l’opera di Franz Kline, Jim Dine, e ne rimane affascinato. Schifano lavora per fasi tematiche, questi (dal ’63) sono gli anni dei Paesaggi anemici, dove il dato naturale viene rappresentato attraverso una antece-

dente immagine riprodotta (e non da un’esperienza vissuta direttamente), richiamata tramite allusioni spezzate in segni frammentati. Sono gli anni della frequentazione del Caffè Rosati, dove si riunisce il gruppo della “Scuola di piazza del Popolo”, con gli amici coinvolti in continui dibattiti. Dal ‘64-’65, dedica una serie di famose opere al Futurismo, dove l’immagine, ripresa dalla fotografia del gruppo futurista a Parigi nel 1912 (Boccioni, Severini, Carrà, Russolo, Marinetti), ripropone le figure come sagome evocate dalla memoria sotto pannelli di perspex colorati. In Schifano l’attenzione alla tecnologia e alla riproduzione di immagini, la dimensione contemplativa verso la città, la musica, la pubblicità, la fotografia, si confondono con la cinematografia. Le sue sperimentazioni in tal campo iniziano nella prima metà degli anni Sessanta, durante i quali realizza alcuni cortometraggi, un lungometraggio (Anna Carini vista in agosto dalle Farfalle, Studio Marconi, 1967) ed una trilogia di film, Satellite, Umano non umano, Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani.

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I primi anni Settanta si aprono con i Televisori, tele


emulsionate dove vengono riportate immagini estrapolate dal video e sottoposte a interventi di colore alla nitro. Immagini della sua Musa ausiliaria (la televisione), con interventi pittorici e fotografie ritoccate a mano, saranno successivamente protagoniste di una mostra itinerante in Brasile (Fundacao Memorial da America Latina, 1996), a Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, 1997), all’Avana (Fondazione Wilfredo Lam, 1998) e a Città del Messico (Museo de Arte Carillo Gil, 1998). L’impegno in mostre personali e collettive, soprattutto in Italia (Roma, Studio Soligo, 1970, Palazzo delle Esposizioni, X Quadriennale; Parcheggio di Villa Borghese, Contemporanea, 1973, curata da Achille Bonito Oliva; Parma, La Steccata, 1973 e Università degli Studi, 1974; Napoli, Lia Rumma, 1973; Bologna, Galleria Nazionale di Arte Moderna, 1976; Venezia, XXXVIII Biennale, 1978; Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 1979), prosegue –eppur meno efficace, per le crisi esistenziali di cui l’artista è preda dalla fine degli anni Sessanta – fino a siglare i due decenni a venire. Dopo questi anni tormentati (molte volte arrestato per detenzione ed uso di droga e trattenuto in ma-

nicomio), Schifano si propone con opere che, oltre a ripensare i grandi artisti delle avanguardie storiche, da Magritte a de Chirico, Boccioni, Picabia, Cézanne, ricalcano le sue stesse opere degli anni Sessanta. L’artista quasi al volgere del nuovo decennio ritorna in maniera operativa a una pittura tradizionalmente intesa, ricca di gestualità e di materia. Il colore con tutto il suo incanto cromatico riconquista la superficie del quadro, mentre basilare diventa il soggetto Natura. L’attenzione della critica – si citano per tutti Maurizio Calvesi e Germano Celant – fa sì che la sua presenza in importanti esposizioni non solo in patria (Roma, Palazzo delle Esposizioni, Arte e Critica, 1980; Venezia, XL Biennale, 1982 e XLI, 1984; Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea, 1989; Milano, Palazzo della Triennale, 1995; Verona, Palazzo Forti, 1997) ma di nuovo anche, e soprattutto negli anni Novanta, all’estero (Parigi, Centre Pompidou, Identité italienne, 1981; San Francisco, Museo Italo Americano, 1985; Oporto, Museo di Arte Contemporanea, 1986; Francoforte, Kunstverein, 1987; Londra, Royal Academy, 1989; Bruxelles,

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Palais des Beaux Arts, 1989; New York, Solomon Guggenheim, 1994; Beijing, International Exhibition Center, 1997) sia vivace. Tra queste esposizioni, per l’attenzione al mondo preistorico, al fenomeno naturalistico – sempre riprodotto e filtrato dalla memoria – che caratterizza l’attuale ricerca di Schifano, si evidenziano quelle a Venezia (Palazzo delle Prigioni Vecchie, Naturale sconosciuto, 1984), Aosta (Tour Fromage, 1988), Parigi (Galerie Maeght, 1988), Saint Priest (Centre d’Art Contemporain, 1992). La sensibilità alle tragedie che l’umanità vive (dall’ecologia, alle guerre, alla solitudine dell’individuo) si esplica nel suo attivismo sociale, finanziando molte volte gruppi di lavoro e studio con il denaro ricavato dalla vendita delle sue opere. Nel 1994 è ad Asmara a realizzare opere fotografiche in una missione a favore di bambini. Nel 1997 viene insignito del Premio San Giorgio di Donatello per le vetrate policrome della cripta di Santa Croce a Firenze, per il settimo centenario della costruzione. Muore nel 1998 a Roma e due anni dopo Venezia gli rende omaggio alla Biennale con una grande esposizione. 64

Elenco opere 1. Particolare del segno di energia bianca, 1962

smalti su tela preparata con carta da pacchi, 160×140 cm

sul retro firmato e titolato Provenienza Galleria Gian Enzo Sperone, Torino Collezione privata, Firenze Bibliografia Sandra Furlotti (a cura di), Jim Dine, Roy Lichtenstein, Morris Louis, Michelangelo Pistoletto, Robert Rauschemberg, Mario Schifano, Frank Stella, Cy Twombly, Andy Warhol, Gian Enzo Sperone, Torino 1975, illustrato

2. Piazze signorili

smalti su tela preparata con carta da pacchi, 120×120 cm sul retro firmato, titolato e datato 1962 Provenienza Galleria d’Alessandro - Ferranti, Roma (etichetta sul telaio) Collezione privata, Prato Esposizioni Achille Bonito Oliva (a cura di), La pittura come macchina del desiderio: M. Schifano 1960/62, cat. Mostra, 1975, Ugo Ferranti, Roma (non illustrato)

3. La nuvola, 1965 carboncino e smalti su tela, 100×80 cm firmato e datato in basso al centro Provenienza Studio Marconi, Milano (timbro sul telaio) Collezione privata, Prato 65


Bibliografia A.C. Quintavalle (a cura di), Mario Schifano. Catalogo dell’antologica, Istituto di Storia dell’Arte, Università degli Studi, Parma, 1974, illustrato

Provenienza Galleria Giraldi, Livorno Galleria Il Ponte, Firenze Collezione privata, Firenze

4. Inizio del tubo, 1968

8. Senza titolo (Palma), prima metà anni ‘70

smalti e vernici a spruzzo su tela, 100×70 cm

sul retro firmato, titolato e datato Collezione privata, Firenze

5. Senza titolo (Televisore), 1970

smalti e aniline su tela emulsionata, in teca di plexiglas fumé, 80×115 cm

sul retro firmato in basso al centro Provenienza Associazione culturale Break, Roma Collezione Giancarlo Tonelli, Terni (etichette sul telaio) Collezione privata, Firenze

6. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70 smalti su tela, 100×200 cm

firmato in alto a destra Provenienza Galleria Giraldi, Livorno Galleria Il Ponte, Firenze Collezione privata, Firenze

smalti su tela, 200×100 cm sul retro firmato Provenienza Galleria Giraldi, Livorno Galleria Il Ponte, Firenze Collezione Hotel Il Guelfo Bianco, Firenze

9. Grande nuvola, prima metà anni ’70

smalti su tela preparata con carta da pacchi, 99,5×229,5 cm

sul retro firmato e titolato Collezione privata, Prato

10. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70 smalti su tela, 75×96 cm firmato in basso al centro Provenienza Collezione privata, Milano

11. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1976 aniline e smalti su tela, 60×100 cm

7. Senza titolo (Paesaggio anemico), prima metà anni ‘70 smalti su tela, 100×120 cm

firmato in alto a destra

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firmato al centro a destra Provenienza Finarte-Rizzoli, Milano Galleria Il Ponte, Firenze Collezione privata, Milano

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12. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1973/78 aniline pastelli e smalti su tela, 70×100 cm

firmato in basso a sinistra Provenienza Emilio Mazzoli, Modena (iscritto sul telaio) Collezione privata, La Spezia

13. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1979/80 smalti su tela, 75×100 cm

firmato al centro a destra Provenienza Collezione privata, Milano

14. Senza titolo (Paesaggio anemico), seconda metà anni ‘70 smalti e aniline su tela, 100×107 cm

firmato in basso a destra Provenienza Collezione privata, La Spezia

firmato Provenienza Galleria Il Ponte, Firenze Collezione Hotel Il Guelfo Bianco, Firenze

17. Futurismo rivisitato, seconda metà anni ‘70 vernici a spruzzo su tela, 65×90 cm firmato in basso a destra Esposizioni Galleria Il Mappamondo, Milano, gennaio 1982 Provenienza Collezione privata, Milano

18. Senza titolo (Paesaggio anemico), 1979 smalti su tela, 115×156 cm

firmato in basso a destra Provenienza Collezione privata, Milano

19. Senza titolo (Palma), fine anni ‘70

15. Senza titolo (Finestra), 1978/79

vernici a spruzzo e smalti su tela, 138×104,5 cm firmato in basso a destra Collezione privata, La Spezia

16. Senza titolo (Futurismo rivisitato), 1979/80 vernici a spruzzo su tela, in teca di plexiglas colorato, 70×100 cm firmato al centro sul retro

smalti e aniline su tela, 180×100 cm

firmato in basso a destra Provenienza Collezione privata, La Spezia

20. Senza titolo (Acquario), 1979 acrilici e smalti su tela, 103×131 cm firmato in basso a sinistra Provenienza Collezione privata, La Spezia

21. Senza titolo (Quadro equestre), 1979/80 smalti e aniline su tela, 90×98 cm

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firmato in basso al centro Esposizioni Galleria Il Mappamondo, Milano, gennaio 1982 Provenienza Collezione privata, Milano

22. Oasi senza oasi, 1981

acrilici, smalti e vernici a spruzzo su tela, 203×319 cm sul retro firmato Collezione privata, Firenze

iscritto: X Gerardo d’accordo Provenienza Collezione privata, La Spezia

26. Senza titolo (Palma), 1985

acrilici e smalti su tela con cornice dipinta, 61×51 cm

sul retro firmato Provenienza Collezione privata, La Spezia

23. Sempreverde, prima metà anni ‘80 smalti e acrilici su tela, 100×100cm

sul retro firmato e titolato Provenienza Galleria Faustini, Firenze (etichetta sul retro) Collezione privata, Firenze

24. Senza titolo (Energia), 1982

acrilici e smalti su tela, 210×100 cm

sul retro firmato e datato Provenienza Collezione privata La Spezia

25. Senza titolo (Figura), 1981

smalti e cosmetici su tela preparata con fogli di carta quadrettata incollati, in teca di plexiglas colorato, 100×100 cm firmato in basso a sinistra sul retro

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Questo volume a cura di Andrea Alibrandi è stato stampato dalla Tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera per i tipi delle Edizioni “Il Ponte” Firenze Firenze, maggio 2006


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