Betti, Mauro. Dipinti 2005.

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MAURO BETTI


MAURO BETTI DIPINTI 2005

22 aprile - 15 maggio 2006

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MAURO BETTI DIPINTI 2005 a cura di

Angela Madesani

MAURO BETTI DIPINTI 2005

In copertina

Kukkoso, 2005 (particolare) TESTO DI

ANGELA MADESANI Referenze fotografiche Torquato Perissi Traduzione in inglese Helen Glave Impaginazione computerizzata Punto Pagina, Livorno Selezioni cromatiche Selecolor, Firenze Stampa Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera

© 2006 EDIZIONI “IL PONTE” FIRENZE

50121 Firenze - Via di Mezzo, 42/b tel/fax +39 055240617 website: www.galleriailponte.com e-mail: info@galleriailponte.com

EDIZIONI “IL PONTE” FIRENZE


Uno sguardo sul mondo: le opere recenti di Mauro Betti È sempre limitativo cercare di dare un’etichetta alla ricerca di un’artista, di fare rientrare i lavori in categorie determinate. Come se si volesse riassumere con una definizione la complessità di un’opera, in una sorta di inutile tentativo di catalogazione. Se nella maggior parte dei casi l’operazione è superflua, in taluni è addirittura scorretta. Così per i recenti lavori di Mauro Betti, nei confronti dei quali il problema della definizione è privo di senso. I suoi dipinti di forma romboidale1o quadrata, in una sorta di richiamo alla figura perfetta per eccellenza, si pensi in tal senso alle riflessioni che su questo tema si sono fatte durante tutta la storia dell’arte e in particolare durante l’epoca rinascimentale2, di primo acchito potrebbero apparire dei dipinti astratti. Ancora meglio dei monocromi in cui appaiono, tuttavia, dei segni, delle indicazioni. La sua, invece, è un’astrazione alla rovescia, che non vuole limitare il proprio perimetro. Nelle sue opere sono segni, piccole icone, scorie, lacerti del figurale che si pongono in aperto dibattito con la materia della monocromia. Quella della tradizione novecentesca. Sebbene non sia intento di Betti citare, ammiccare è come se nel suo lavoro, perfettamente metabolizzati, fosse possibile trovare una serie di momenti che aprono la riflessione sulla storia dell’arte e sul suo significato oggi. Nei suoi dipinti è un repertorio ricco di tracce, appunto, di figurine di diversa natura e derivazione che si pone a confronto con una situazione spaziale che gli dà vita. Sostegno e punto di riferimento. Gli elementi sono protagonisti e vivono dello spazio in cui sono totalmente immersi, da cui in taluni casi paiono affiorare, come da un magma irregolare. Le sue sono comparse, apparizioni. Le scorgiamo in zone marginali del dipinto tali da trasmettere un chiaro senso di spiazzamento. Si tratta di un equilibrio squilibrato. In molti dei suoi dipinti agli angoli sono come delle barrette, si tratta di una scansione spaziale, una sorta di modulo, teso alla misurazione dello spazio. Un argine, un desiderio di segnare, che pare contenere la pittura nella sua dirompenza, nel suo uscire dagli schemi, dagli spazi determinati dall’incombenza del telaio. In tutto questo le sue figure affiorano improvvise e appaiono allo sguardo che le cerca come indici, presenze murali. Mauro Betti è un osservatore attento, si guarda intorno. La sua è un’operazione di filtro, come se raccogliesse tutti i simboli, i segni del suo circostante, per poi scartare quello a cui non è interessato e utilizzare il resto. In questo modo opera una sorta di riassunto, una sintesi, un’essenzializzazione di quelle migliaia di input, che ogni giorno ci vengono offerti in un mondo invaso dalle immagini: televisione, internet, informazione, comunicazione, pubblicità. Ogni giorno siamo sottoposti a una sorta di lavaggio del cervello, a un bombardamento sempre meno interessante, in cui alle immagini è attribuito un significato finalizzato alla persuasione più o meno occulta. Ma questa è storia vecchia ormai di quasi cinquant’anni. La sua è un’operazione di semplificazione complessa. Dove semplificare non è banalizzare, piuttosto alleggerire. Leggerezza da intendersi nel senso in cui la intendeva Italo Calvino nelle Lezioni americane. Per Betti è fondaAnche la forma a rombo è nel cammino della storia dell’arte, si pensi a Mondrian e altri artisti astratti lungo tutto il corso del XX secolo. Mi pare qui opportuno specificare il fatto che il richiamo al Rinascimento e ai calcoli brunelleschiani non si operi in quanto Betti artista fiorentino, piuttosto per sottolineare un cammino, quello continuativo della storia dell’arte. Anzi lui non si sente legato a una tradizione in particolare. Sente di non avere più nulla da riproporre rispetto a questo punto di vista.

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1. ZOOT VII, 2005, sintetici su tela, 121×111 cm

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mentale riuscire a giungere al cuore, al nucleo delle cose, come se avesse bisogno di misurare il circostante per ingurgitarlo, farlo suo e quindi rielaborarlo. Del resto la lettura dei manifesti, delle immagini che lo circondano e il loro conseguente riutilizzo è una pratica che ha segnato tutto il novecento dalle prime avanguardie in poi. Ma il suo interesse non è nei confronti delle zone colte del secolo che ci ha preceduto, quanto nei confronti della cultura materiale, della quotidianità. La sua attenzione è anche verso le persone e i loro schemi comportamentali. Per le zone monocrome del dipinto Betti utilizza dei colori volutamente artificiali, il più delle volte esasperati: verde acido, arancione, rosa fuxia. Colori innaturali che, tuttavia, troviamo ogni giorno sul nostro cammino: nelle vetrine dei negozi, sulle pagine a colori dei rotocalchi, negli scaffali del supermercato. Sono i nostri colori di riferimento come il terra di Siena lo era per Simone Martini. Ancora una volta la partenza della sua ricerca è da rintracciare nel mondo. Quella di Betti non è astrazione lirica, che va a toccare le corde dell’emozione e del sentimento, piuttosto sembra guardare con interesse a quanto è stato fatto negli ultimi quaranta anni dalla Pop Art al graffitismo. In cui la riproposizione diviene, quasi automaticamente, trasformazione. Betti è affascinato dalla densità segnica di un Gastone Novelli per esempio. Il suo è un lavoro che va oltre un ambito prettamente artistico, anche se il mezzo, la pittura è per eccellenza un medium dell’arte. La storia dell’arte è per lui una sedimentazione, un substrato a cui non si fa riferimento in maniera diretta. Sulle sue tele sono come macchie di umidità, che rimandano alle tracce lasciate dal passare del tempo sui muri. Si tratta di un escamotage tecnico. Betti lavora su tela grezza, senza preparazione, onde evitare di creare una pellicola tesa a assorbire lo smalto. La superficie non deve essere omogenea, a Betti non interessa creare una zona perfetta, magari respingente. Il suo è come un intonaco che registra il passaggio del tempo e delle cose. In questo modo viene a crearsi una stratificazione, il passaggio delle campiture, quattro o cinque, lascia la memoria dell’azione compiuta, che va a sovrapporsi a quanto già c’era. Il suo desiderio è quello di inquinare la monocromia, di dare vita a un disturbo. Betti parte dallo spazio della pittura per porsi in contrapposizione, ma anche in relazione allo spazio circostante. Così da creare un ritmo intrinseco a ogni opera che vive di vita autonoma. La sua è una rinuncia alla tridimensionalità, sebbene la citi nelle sue figure. È uno svuotamento, come se la risucchiasse. Nei suoi lavori è l’affermazione dei concetti, ma anche il suo contrario. Betti instilla il beneficio del dubbio. Nessuna affermazione di verità. Sebbene lavori sulla banca dati iconografica che ci circonda non c’è nel suo lavoro nessun intento sociale, tantomeno rivoluzionario. Il suo, in tal senso la similitudine con un atteggiamento dell’artista antico, è un attendere quotidiano alle cose, un dedicarvisi senza risparmio. Si tratta di una ricerca privata. L’esterno offre degli stimoli che vengono puntualmente rielaborati all’interno. È un ragionamento individuale a proposito del pubblico. Non ci sono messaggi espliciti, ma neppure impliciti: Betti era, è e resta un pittore. Febbraio 2006

Angela Madesani

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A look at the world: the recent works of Mauro Betti Trying to label an artist and fit his or her work into rigid categories is always a limiting exercise. Summing up the complexities of a work in a single definition amounts to an attempt to catalogue. If in most cases this is needless, in others it would simply be wrong. And so it is with Mauro Betti’s recent works, for which any definition would be pointless. In their hint of the perfect figure, a topic which has been relentlessly reflected upon throughout the history of art and in particular during the Renaissance, his rhomboid or square paintings could at first sight appear abstract. Or rather, monochromes which nevertheless, show signs, point the way. This, however, is abstraction in reverse, refusing to be limited by perimeters. In his works there are signs, small icons, slag, figural fragments, which engage in an open debate with the monochrome – that of the twentieth century tradition. While there is no intent on Betti’s part to make citations or hints, there are, in his perfectly metabolized work, elements which provoke reflection on the history of art and its meaning today. His paintings present a repertoire of outlines and figures, of different kinds and origins, which interact with the spatial context that gives them life, support, a point of reference. These elements are the protagonists; they are completely immersed in the surrounding space from which some emerge as from irregular magma. There are extras, apparitions. We notice them in the outer areas of the painting and they throw us off-guard. This is balance unbalanced. In the corners of many of his paintings there are what look like small bars – these form a rhythm, a kind of modulor, for measuring space. They form a levee, a border, which seems to keep the painting from breaking the rules, from bursting out of the frame which confines it. In all of this his figures appear suddenly, presenting themselves to the eye, which seeks them out like an index, a wall. Mauro Betti is an astute observer. He looks around him. His work acts as a filter, gathering all the symbols and signs of his surroundings, getting rid of the one that’s of no interest, using the rest. The result is a kind of summary, the bare essentials from a daily input of images: from television, internet, information, communication, advertising. Every day we are brainwashed, bombarded with things that interest us less and less, images whose main aim is subliminal persuasion. But this is an old story - almost fifty years old. This is simplifying, in a complex way. Buy to simplify does not mean to render banal; rather, it means to lighten, as Italo Calvino would have it in Lezioni americane. For Betti it is immensely important to reach the heart, the nucleus of things; he needs to weigh up what is around him in order to digest it, make it his, and reprocess it. On the other hand, reading posters and images and recycling them went on throughout the twentieth century, from the early avant-garde on. But his interests lie less with the cultured areas of the previous century than in dealing with the material culture of daily life. He also focuses on people and their behaviour patterns. For the monochrome areas of the painting Betti uses deliberately artificial colours, mostly rather loud: acid green, orange, shocking pink - unnatural colours which we nevertheless come across daily: in shop windows, on the coloured pages of glossy magazines, on supermarket shelves. These are our colour references, just as the earth of Siena was Simone Martini’s. Yet again, the beginnings of his quest can be traced back to the world.

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Betti’s is not a lyrical abstraction which plucks the chords of emotion and sentiment; instead it looks with interest at what has been done during the last forty years from Pop Art to graffiti art. Revival leads, almost automatically, to transformation. Betti is fascinated by the density of signs in a Gastone Novelli for example. His work goes beyond the strictly artistic although painting is the art medium par excellence. The history of art is for him, the basis: it underpins his work without there being any direct reference to it. On his canvas it appears like damp marks on a wall – a reminder of the passing of time. This is a technical subterfuge. Betti works on his raw canvas, with no preparation, to avoid creating a film which absorbs the enamel. The surfaces must not be homogenous for Betti is not interested in creating a perfect, perhaps repellent area. He makes a kind of intonaco which records the passing of time and things. He creates layers: four or five backgrounds which leave a memory of finished action, each lying on top of what went before. His wish is to pollute the monochrome, to create a disturbance. Betti begins with the space of the painting to then oppose it, just as he does with the space that surrounds him. Thus each work has its own intrinsic rhythm and lives its own independent life. He abandons three-dimensionality, although there is some reference to it in his figures. He empties, swallows up. His work affirms the concepts, but also the opposite. Betti instils the benefit of the doubt and he makes no claim to veracity. He works on the iconographic data bank which surrounds us without social or revolutionary intent. He attends daily to things, he devotes himself to them relentlessly and in this way he adopts the attitude of the oldfashioned artist. This is a private quest. The outside offers stimulus which is then processed inside. An individual reflection on the public domain. There are no explicit messages, but no implicit ones either. Betti was, and still is, a painter. February 2006

Angela Madesani

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2. KUCCOSO, 2005, sintetici su tela, 110Ă—101 cm


3. ZOOT VIII, 2005

Sintetici su tela, 100Ă—100 cm


4. CIOP II, 2005

Sintetici su tela, 110Ă—110 cm


5. CIOP, 2005

Sintetici su tela, 121Ă—121 cm


6. ZOOT, 2005

Sintetici su tela, diagonale 155 cm


7. ZOOT III, 2005

Sintetici su tela, diagonale 155 cm


8. ZOOT VI, 2005

Sintetici su tela, diagonale 169 cm


9. MOZ, 2005

Sintetici su tela, diagonale 141 cm


10. ZOOT II, 2005

Sintetici su tela, diagonale 155 cm


NOTA BIOGRAFICA Mauro Betti nasce nel 1951 a Cascina (PI), qui segue i corsi dell’Istituto d’Arte, per poi diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove tuttora insegna. Dopo un primo periodo in cui si occupa principalmente del design di oggetti e mobili, dai primi anni Ottanta si dedica esclusivamente alla pittura. In questo primo periodo lavora esclusivamente sulla carta, con matite, pastelli e cere, di cui presenta una prima esposizione nel 1984 alla Galleria Il Ponte di Firenze. Prosegue su questa linea per quasi tutti gli anni Ottanta, affronta poi la tela, prima attraverso la materia della pittura ad olio, in seguito attraverso smalti sintetici, mastici e collage di tessuti su tela. Durante questi anni il suo lavoro viene presentato attraverso quattro cataloghi monografici alla Galleria Il Ponte, con cui partecipa anche alle Fiere di Milano e di Bologna. Esposizioni 1984 (p) Galleria Il Ponte, Firenze (c) Idea, Medium, Forma, Comune di Cascina (PI) 1985 (c) Idea, Medium, Forma, Casa della Cultura, Sesto F.no (FI) 1987 (p) Palazzo Ghibellino, Empoli (FI) 1988 (p) Galleria Il Ponte, Firenze (c) Opere su carta, Galleria Il Ponte, Firenze (c) Etica della ricerca estetica. Otto autori alla Galleria Il Ponte (Firenze) 1990 (c) Artisti alla Badia Fiesolana, Istituto Universitario Europeo di Fiesole (FI) 1992 (p) Galleria Il Ponte, Firenze (p) Libreria Modi d’Arte, Ferrara 1994 (p) Galleria L’Ariete, Bologna 1995 (c) Galleria Il Ponte, Firenze 1996 (c) Grandi Formati, Galleria Il Ponte, Firenze 1997 (p) Galleria Il Ponte, Firenze 1998 (c) Quattro autori, Galleria Il Ponte, Firenze 1998 (p) Galleria Liba, Pontedera (PI) 1999 (c) Galleria Parchitelli, Firenze 2000 (c) Pittura di materia in Italia nel XX secolo, Galleria Il Ponte, Firenze 2001 (c) MiArt, Milano (c) Galleria Tornabuoni, Pietrasanta (LU) (p) Galleria Tornabuoni, Firenze (c) Bianco, Bianco, Bianco, Galleria Palladio, Udine 2002 (p) Galleria Il Ponte, Firenze (c) MiArt, Milano 2003 (c) MiArt, Milano 2004 (c) ArteFiera, Bologna (c) Puzzle, Galleria Il Ponte, Firenze (c) MiArt, Milano 2005 (c) ArteFiera, Bologna (c) MiArt, Milano (c) The Artcard, Sharajah Art Museum, Emirati Arabi Uniti (c) Camminare in arte, Scandicci (FI) 2006 (c) MiArt, Milano Personali (p) e Collettive (c)

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Bibliografia G. Caldini, Sequenze d’immagini, presentazione in catalogo, 1984 D. Pasquali, Arterama mensile, n° 9 – 10, 1984 D. Pasquali, Eco d’Arte, n° 53, 1985 D. Pasquali, Annuario Eco d’Arte, 1985 D. Pasquali, Contemporart, anno II, n° 6, 1985 D. Pasquali, Annuario Comed, n° 14, 1987 G. Segato, Finestre sull’immaginario, presentazione in catalogo, 1988 S. Sperandio, Il colore dei campi, in La Città, Firenze 17-III-1988 S. Sperandio, Otto pittori alla Galleria Il Ponte, in La Gazzetta, Firenze 8-XII-1988 G.D. Semeraro, in La Repubblica, Firenze 14-XII-1988 T. Paloscia, La nuova pittura contro l’effimero, in La Nazione, Firenze 4-XII-1988 L.Vinca Masini, presentazione in catalogo, 1992 A. Alibrandi, presentazione in catalogo, Firenze 1992 R. Vitali, in Mongolfiera, n° 103, 1994 D. Bellotti, in Il Resto del Carlino, Bologna 9-II-1994 V. Dehò, in Juliet, art magazine, n° 67, 1994 L. Baldin, presentazione in catalogo, 1997 L. Bernardi, presentazione in catalogo, 1998 C. Leoni, in Titolo, anno IX, n° 28, inverno 1998-99 M. Pizziolo, presentazione in catalogo, 2002 S. Loria, in City, Firenze, 12-III-2002 S. Loria, in City, Firenze, 29-III-2002 A. Spiezia, Fantasia e gioco impastati in colori di sogno, in La Voce di Firenze, 19-XI-2002 A. Alibrandi, presentazione in catalogo, ArteFiera, Bologna 2005 EGEA, casa discografica per realizzazione copertina del cd L’amico del Vento, presentato alla Stazione Leopolda, Firenze, 2005 A. Malesani, Uno sguardo sul mondo: le opere recenti di Mauro Betti, presentazione in catalogo, 2006

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Questo volume a cura di Andrea Alibrandi è stato stampato dalla Tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera, per i tipi delle Edizioni “Il Ponte” Firenze Firenze, marzo 2006


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