Giulio Turcato. Inventare spazi

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GIULIO TURCATO



GIULIO TURCATO

inventare spazi a cura di

Walter Guadagnini




GIULIO TURCATO inventare spazi a cura di

Walter Guadagnini GALLERIA MILANO - MILANO

26 ottobre 2016 - 5 gennaio 2017

GALLERIA IL PONTE - FIRENZE 13 gennaio - 14 aprile 2017

Un particolare ringraziamento a Paola De Angelis, il cui apporto è stato fondamentale per la realizzazione di questa mostra.

Ufficio stampa Press office Cristina Pariset Susanna Fabiani

Si ringrazia l’Archivio Turcato nella persona di Ettore Caruso per l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini in catalogo, i collezionisti e quanti vi hanno collaborato: Eleonora Acerbi, Luisa e Alessandro Bargiacchi, Gian Pietro Bartolini, Carlotta Francesco e Paolo Bonato, Sandro Franchellucci, Francesca e Antonio Marrese, Stephanie Oursler.

Crediti Fotografici Credits Torquato Perissi Roberto Marossi Redazione editoriale Editorial team Susanna Fabiani Enrica Ravenni Bianca Trevisan Traduzione in inglese English traslation Karen Whittle Grafica Page setting and graph ics Alessio Marolda Impianti e stampa Plates and printing Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera (PI)

© copyright 2016

per l’edizione Gli Ori 51100 Pistoia - Via L. Ghiberti, 6 tel +39 057322607 www.gliori.it info@gliori.it Galleria Il Ponte 50121 Firenze - Via di Mezzo, 42/b tel +39 055240617 fax +39 0555609892 www.galleriailponte.com info@galleriailponte.com Galleria Milano 20121 Milano - Via Manin 13 tel +39 0229000352 fax +39 0229003283 www.galleriamilano.com info@galleriamilano.com ISBN 978-88-7336-641-6


Sommario / Contents

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Inventare spazi. Per Giulio Turcato Walter Guadagnini

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Inventing spaces. For Giulio Turcato

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Indice delle opere / Index of Works

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Nota biografica

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Biographical note

Walter Guadagnini



INVENTARE SPAZI. PER GIULIO TURCATO Walter Guadagnini

“In anticipo, in ritardo, o casualmente persino in accordo con i suoi anni, Turcato non è mai veramente ‘con’ essi”1: è un’acuta considerazione di Fabrizio D’Amico, che riprende peraltro uno dei topoi della critica — ricca nei nomi e spesso profondissima nelle riflessioni, a partire da quelle geniali del sodale Emilio Villa — che ha accompagnato l’artista sin dalla sua prima maturità, alla fine degli anni Quaranta del Novecento. Si guardino ad esempio i primi anni presi in considerazione dalla mostra odierna, sostanzialmente quelli a cavallo tra Cinquanta e Sessanta: nel 1958 è con una sala alla Biennale di Venezia, dove espone 11 opere, tra le quali due versioni del Deserto dei Tartari, diverse Composizioni, tutte del 1958 e, sorprendentemente, due Rovine di guerra del 1949; l’anno successivo è a Documenta II a Kassel — che non è ancora la maggiore rassegna mondiale d’arte contemporanea che sarà di lì a un paio di decenni, ma è comunque già un appuntamento di grande prestigio internazionale — con un Reticolo del 1956 e ancora un Deserto dei Tartari. Nel 1960 è insieme a Pietro Cascella, Piero Dorazio, Gino Marotta, Fabio Mauri, Gastone Novelli, Achille Perilli, Mimmo Rotella e al critico e poeta Cesare Vivaldi nel volume e nella mostra Crack, singolare episodio di anticipazione di molte poetiche della Pop Art da parte di autori che — a parte Marotta, Mauri e Rotella — poco o nulla hanno e avranno a che vedere con quel clima. Nel 1961 ancora un altro raggruppamento, sostenuto da Giulio Carlo Argan, composto nel suo nucleo costitutivo da Consagra, Dorazio, Novelli, Perilli e Turcato che si presenta dapprima — senza nome — alla Galleria Odyssia di Roma, poi alla Bussola di Torino e alla Galleria Pagani del Grattacielo di Milano con l’aggiunta di Fontana, Bemporad, Arnaldo e Giò Pomodoro e l’appellativo di “Continuità” nel titolo della mostra, per concludersi l’anno successivo, ancora a Milano, alla Galleria Levi, con l’aggiunta anche di Tancredi2. Basterebbero questi dati a dire della centralità tangenziale della presenza di Turcato nelle vicende dell’arte del suo tempo: alla Biennale presenta due opere di dieci anni prima, testimoni della complessa stagione nella quale aveva tentato di conciliare l’impegno politico a fianco del P.C.I. con l’affermazione dell’incontrattabile libertà espressiva necessaria all’artista per potersi definire tale. Un tentativo fallito dal punto di vista ideologico, ma che aveva dato frutti straordinari da quello pittorico, come dimostrano su tutti i Comizi del 1949-50. Un capitolo, comunque, la cui matrice figurativa era ancora evidente e che certo doveva risultare disturbante per chi nel corso degli anni Cinquanta aveva ormai assunto Turcato nel novero dei pittori astratti: un fastidio testimoniato del resto già in occasione della Biennale del 1954 da un Guttuso esasperato, incapace di comprendere l’andamento genialmente divagante dell’ormai ex compagno di strada: “Turcato fa un passo avanti e due indietro, due passi avanti e uno indietro, e ciò ormai da anni. Non sarebbe infine il caso di cominciare a tirare le somme? Come mai dai suoi poemetti ‘miciuriniani’, che rappresentarono una nota nuova, lirica e fantastica (Alice nel paese delle meraviglie), dalle vedute di Mosca, dalla allegria dei suoi ‘comizi’ soleggiati, si arriva a queste vetrate ridotte in frantumi, a questa inutile pioggia di banconote che dovrebbero ricoprire un Santo che non c’è?”3. 1. F. D’Amico, La nuova pittura, in F. D’Amico (a cura), Roma 1950-59, cat. Palazzo dei Diamanti, Ferrara 1995-96. 2. Per le vicende di “Continuità” e per il suo inquadramento storico, si veda il recente F.Gualdoni (a cura), 1961. Tempo di continuità, I Quaderni della Fondazione Pomodoro, Milano 2014. 3. R. Guttuso, L’arte è in pericolo, in “Rinascita”, a.XI, n.10, Roma, ottobre 1954. Anche in quell’occasione, Turcato aveva scelto di esporre opere assai diverse tra loro, due versioni di Fabbrica, Ricordo di San

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Già, perché già nel 1954 Turcato presentava il suo primo San Rocco, che per altri avrebbe segnato un punto di non ritorno in direzione neo-dadaista, e che invece rimane per lui episodio momentaneamente isolato, salvo poi riapparire dopo un lustro, questa volta in pieno clima novorealista, al quale però ancora Turcato rimane, almeno all’apparenza, indifferente. Anche se, è certo, il giro d’anni a cavallo dei decenni centrali del XX secolo — pochi anni, fino al 1962, in cui tra Roma e Milano tutto pare accadere, tra “possibilità di relazione” e azzeramenti, monocromie e nuove figurazioni, Azimut e Nouveau Réalisme — è comunque svolto sotto l’egida di un accentuato interesse nei confronti degli elementi del mondo reale, che possono entrare a far parte dello strumentario del pittore senza alcuna forzatura degli assunti di base del suo operare. Si spiega così, forse, anche la partecipazione all’effimera, ma quanto mai significativa, avventura di Crack: da un lato, è chiaro che si tratta di un incontro tra eretici rappresentanti di una generazione e mezzo, ai quali Turcato, se non altro per questioni anagrafiche, fa in qualche modo da padre nobile (è il poetico omaggio che gli viene tributato in chiusura del testo introduttivo da Vivaldi, “Turcato, il più disincantato di noi, rotea felice a mezz’aria come un occhio nella sua orbita”)4, dall’altro è la conferma di rapporti istituiti negli anni precedenti in situazioni diverse (con Dorazio ai tempi di “Forma”, ad esempio, con Novelli e Perilli più di recente attraverso “L’Esperienza Moderna”). In ogni caso, però, è anche il sintomo di quella straordinaria capacità di vivere il proprio tempo nella quotidianità degli incontri, dell’essere artista in mezzo ad altri, che in alcune opere di questo giro d’anni (i San Rocco, per l’appunto, e i Tranquillanti) si riflette anche nella realizzazione stessa del dipinto, attraverso l’immissione concreta delle banconote e delle pillole sulla superficie, senza che questo impedisca a Turcato di vivere contemporaneamente, nello studio e fuori dallo studio, altre avventure, poetiche e biografiche. È ancora Vivaldi, nello stesso testo, a certificarlo: “Giulio Turcato ha il profilo giovane, vecchio e lucente delle monete. Per venti lire vi regalerà l’oro che ha trovato in fondo alla sua scodella di zuppa. Ma invano vi romperete le unghie per staccare dalle tele i fogli da mille appiccicati: è moneta fuori corso per chi non sa cavalcare i destrieri dei sogni, per chi non crede nei miracoli. Il demone della contraddizione, il genio dell’improvvisazione, la maschera da pulcinella della pazienza hanno voluto sovrintendere alla nascita delle sue opere. Da sempre e per sempre Turcato è lo sposo dell’aurora; ha avuto, non richiesti, i doni più ambiti. E li ha trasmessi immancabilmente al primo che passava: troppo dovizioso del suo e troppo astuto per trattenersi alcunché”. Il passo da questa modalità espressiva a quella delle Superfici lunari che segnano gli anni Sessanta non è particolarmente lungo: si tratta in effetti dell’ulteriore incarnazione di un penchant avveniristico, di memoria futurista forse, certo d’avanguardia, da sempre presente nel pensiero e nella prassi di Turcato, che trova nell’immaginario di questi anni legato ai miti e all’attualità della conquista dello spazio nuova linfa vitale. E insieme è conferma di quella libertà d’azione che si manifesta anche nella scelta dei materiali, e di quella costante, sebbene mascherata dall’ironia e dall’apparente svagatezza, vicinanza al proprio tempo — da intendersi anche come società, sebbene le sue manifestazioni figurali non tornino più ad apparire in seguito, nemmeno per via di concrete metonimie, nelle opere dell’artista. Nella sostanza, si potrebbe affermare che il passaggio da Crack a Continuità sia l’equivalente del passaggio dalle opere con le banconote e le pillole alle Superfici lunari, una sorta di decantazione della realtà, senza che questa vada a scomparire del tutto (la concretezza della gommapiuma, della materia, è lì a testimoniarlo), ma si appresti a lasciare il primato a una dimensione altra, quella appunto di un continuum spaziotemporale affidato al colore. O per meglio dire, ai colori oltre lo spettro, che non a caso entrano anche nei sincopati, radianti ragionari di Turcato sull’esperienza del dipingere. Scrive l’artista nel 1965: “Nella mia pittura attualmente appare qualche segno o macchia Rocco, Paesaggio atomico e Il merlo, tutti del 1954. 4. C.Vivaldi, Introduzione, in Crack. Documenti d’arte moderna, Ed. Krachmalnicoff, Milano 1960. Una mostra degli autori riuniti in questo volume si tenne alla Galleria Il Canale di Venezia nello stesso anno.

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o punto, che può far diventare il quadro diverso dal colore del fondo — grigio, rosso, bianco chessia. Tale metamorfosi è il principio di un qualcosa che nasce, e non più in modo formalistico, ma in maniera più profonda e intrinseca. Un modo di agire psicologico e non didattico. Un modo addirittura terapeutico, basato direi quasi sull’alienazione. Ci si fa strada sugli altri (quelli di prima e di sempre) con una distensione apparente. Quali sono gli altri: sono quelli che vorrebbero ancora una società con la sua educazione ricattatoria, che va da Dante a Michelangelo. (...) Le libertà espressive, sono di chi se le prende. Quando non c’è lo spazio se ne può inventare un altro. II metodo per inventarlo è già quasi il nuovo spazio”5. Ancora, la superficie è il luogo dell’accadimento che viene narrato quasi come casuale e soprattutto autogenerantesi (i segni, le macchie i punti “appaiono”, come per forza propria), in una dimensione guidata dal principio della metamorfosi, di un divenire che insieme necessita di, e prelude a, uno spazio nuovo, che è quello della pittura da un lato, e del pensiero dall’altro. Lo dice altrimenti Argan nella presentazione alla prima mostra di Continuità, ma certo muovendosi all’interno di un orizzonte comune, almeno in questo momento e su queste tematiche: “l’opposto della rappresentazione o della forma, intese come catarsi, non è il frammento, è il continuo: infatti la forma è limite, il continuo è assenza, indeterminazione del limite. Il problema specifico è di conciliare, se mai possibile, l’assenza del limite con la presenza del valore; ma se l’esistenza è il continuo, il continuo avrà pure un valore”6. Ed è, in fondo, anche una metafora dell’atteggiamento di Turcato nel corso dell’intera sua storia di pittore, con quel rincorrersi circolare di temi e modi che non si arresta mai, che con andamento carsico (un altro titolo ricorrente nella sua produzione è emblematicamente quello di Itinerari) scompare per poi riapparire anni dopo, immutabile e mutato per via di sensibilità pittorica pura (ma anche per via di suggestioni provenienti dall’esterno, piaccia o no ammetterlo), segno dopo segno, colore dopo colore, superficie dopo superficie, fino alla luna.

5. G. Turcato, Metamorfosi, 1965, ora in F.Gualdoni, Giulio Turcato, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2001. 6. G. C. Argan, Continuità, cat. Galleria d’Arte La Bussola, Torino, 12 aprile 1961.

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INVENTING SPACES. FOR GIULIO TURCATO Walter Guadagnini

“In advance, late or randomly even on a par with his time, Turcato was never really ‘with’ it”:1 is a shrewd consideration by Fabrizio D’Amico, who moreover takes up one of the topoi of the criticism — from a raft of names and often with the deepest of reflection, starting from the ingenious thoughts of his friend Emilio Villa — which accompanied the artist right from his early adulthood at the end of the 1940s. To take a look, for example, at the first years dealt with in today’s show, substantially the years between the 1950s and 60s: in 1958 he had a room at the Venice Biennale, where he exhibited 11 works, amongst which two versions of the “Deserto dei Tartari” [Desert of the Tartars], various “Composizioni” [Compositions], all from 1958, and, surprisingly, two “Rovine di guerra” [War ruins] from 1949; the year after he was at “Documenta II” in Kassel, which was not yet the great world-class contemporary art show that it would become a couple of decades later, but nevertheless was already a highly prestigious international appointment, with a “Reticolo” [Reticulum] from 1956 and then a “Deserto dei Tartari”. In 1960, together with Pietro Cascella, Piero Dorazio, Gino Marotta, Fabio Mauri, Gastone Novelli, Achille Perilli, Mimmo Rotella and the critic and poet Cesare Vivaldi, he was included in the volume and exhibition “Crack”, a singular episode anticipating many Pop Art poetics by artists who — apart from Marotta, Mauri and Rotella — had or would have very little or nothing to do with that current. In 1961, he was part of another set of artists, sponsored by Giulio Carlo Argan, consisting of the core group of Consagra, Dorazio, Novelli, Perilli and Turcato. First presenting themselves — nameless — at Galleria Odyssia in Rome, they then appeared at the Bussola in Turin and Galleria Pagani del Grattacielo in Milan, with the addition of Fontana, Bemporad, Arnaldo and Giò Pomodoro, and the word “Continuità” [Continuity] in the exhibition title, before rounding up the experience the following year, again in Milan, at Galleria Levi, with the further addition of Tancredi.2 By itself, this data would be enough to speak of the orbital centrality of Turcato’s presence in the artistic happenings of his time: at the Biennale he presented two works from ten years earlier, the complex period when he had attempted to reconcile his political engagement alongside the Italian Communist Party (PCI) with the assertion of a nonnegotiable freedom of expression, which he considered vital to deserve the name of artist. Ideologically speaking a failure, the attempt had however given extraordinary fruits from the pictorial point of view, as shown in all the “Comizi” [Rallies] from 194950. Nevertheless, the figurative scheme of this period still remained evident, which must have been disturbing for those who at that point during the 1950s had placed Turcato in the category of abstract painters: an annoyance already outed on occasion of the 1954 Biennale by an exasperated Guttuso, incapable of understanding the ingeniously wandering tendency of his by-now ex-travelling companion: “Turcato takes one step forward and two steps back, two steps forward and one step back, and he’s been doing it for years now. Would it not now finally be the case to start to take stock? Why on earth do we go from his poetic ‘Michurin’ works, on a new, lyrical and fantastical note (Alice in Wonderland), the views of Moscow, his gleeful, sunny ‘Comizi’, to these shattered panes of glass, and this useless shower of bank notes which are supposed to cover a Saint that isn’t there?”3 1. F. D’Amico, La nuova pittura, in F.D’Amico (ed.), Roma 1950-59, cat. Palazzo dei Diamanti, Ferrara 199596, own translation. 2. For the sequence of events concerning “Continuità” and its historical setting, see the recent F. Gualdoni (ed.), 1961. Tempo di continuità, I Quaderni della Fondazione Pomodoro, Milan 2014. 3. R. Guttuso, L’arte è in pericolo, in “Rinascita”, XI, no.10, Rome, October 1954, own translation. On that

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I say already, because already in 1954 Turcato presented his first “San Rocco” [Saint Rocco]. While for others this would have marked a point of no return in the direction of neo-Dadaism, for him for the moment it instead remained an isolated episode, before reappearing five years later, this time in the midst of the neo-Realist period, to which, to all appearances at least, Turcato again remained indifferent. Yet there is no doubt that he lived the period around the central decades of the twentieth century — the few years, until 1962, when everything seemed to be happening in Rome and Milan, among “Possibilità di relazione” [Possibilities of Relation] and the Zero movement, monochromes and new figurations, Azimut and Nouveau Réalisme — influenced by an accentuated interest in elements of the real world, which were able to become part of his set of painter’s tools without in any way forcing the underlying assumptions of his work. Perhaps this also explains his participation in “Crack”, an adventure as fleeting as it was significant: on one hand, this experience was clearly a meeting of the heretical representatives of a generation and a half, for whom Turcato, if only for biographical reasons, somehow acted as a father figure (this is the poetic homage attributed to him at the end of the introductory text by Vivaldi, “Turcato, the most disenchanted of us, twirls happily in midair like an eye in its orbit”);4 on the other hand, it was a confirmation of the relationships established in different situations in previous years (with Dorazio at the time of “Forma”, for example, or more recently with Novelli and Perilli through “L’Esperienza Moderna”). In any case, however, it was also the symptom of his extraordinary capacity to live his time through those everyday situations of meeting people, being an artist in the midst of others, which in some works from this period (that is, the “San Rocco” and the “Tranquillanti” [Tranquilizers] works) is also reflected in the very realization of the painting itself, through the actual placement of the bank notes and the pills on the surface. Yet this did not prevent Turcato from living other poetic and biographical adventures at the same time, inside and outside his studio. It was again Vivaldi, in the same text, who confirmed this: “Giulio Turcato has the young, old and shining profile of coins. For twenty lire he’ll give you the gold he has found in the bottom of his soup bowl. But there’s no point breaking your nails to take off the thousand lire notes stuck to the canvases: this money is out of circulation for those who are not able to mount the steed of dreams, for those who don’t believe in miracles. The demon of contradiction, the genius of improvisation, the joker’s mask of patience wanted to supervise the birth of his works. Turcato has always been and will always be the spouse of the dawn; without asking, he has had the most desired gifts. And every time he has transmitted them to the first passer-by: too dutiful to his own and too astute to keep any of them”. The step from this mode of expression to the “Superfici lunari” [Moon Surfaces] that marked the 1960s was not particularly long: indeed it was another embodiment of a penchant for the future, of futurist memory perhaps, definitely avant-garde, always present in the thought and practice of Turcato, who found new life blood in the imaginary of this era, linked to the myth and reality of conquering space. And it was also the confirmation of that freedom of action shown in his choice of materials, and of that constant closeness to his time — also meant as society, however disguised it may have been by irony and an apparent heedlessness. However, hereafter this would not be shown by any figures in the artist’s work, not even by way of concrete metonyms. In substance, it can be asserted that the passage from “Crack” to “Continuità” was the equivalent of the passage from the works with bank notes and pills to the “Superfici lunari”. It was a sort of decantation of reality, although reality did not disappear altogether (the concreteness of foam rubber, of the material, is there to testify to it), but it prepared to occasion too, Turcato had chosen to exhibit a selection of quite different works: two versions of “Fabbrica” [Factory], “Ricordo di San Rocco” [Memory of Saint Rocco], “Paesaggio atomico” [Atomic Landscape] and “Il merlo” [The Blackbird], all from1954. 4. C. Vivaldi, Introduzione, in Crack. Documenti d’arte moderna, Ed. Krachmalnicoff, Milan 1960. A show of the artists collected in this volume was held at Galleria Il Canale in Venice in the same year.

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leave the leading role to another dimension, that of a space-time continuum entrusted to colour. Or to put it better, to the colours beyond the spectrum, which tellingly also entered Turcato’s syncopated, radiant reasonings on the experience of painting. The artist wrote in 1965: “At the moment, the odd sign or mark or dot appears in my painting which can make the picture different from the background colour, whether it be grey, red or white. This metamorphosis is the beginning of something that is born, and no longer in a formalistic manner, but in a more profound and intrinsic way. A psychological and not didactic way of acting. A therapeutic way even, I’d say based almost on alienation. I’m making headway over the others (the ones before, the ones that have always been there) with apparent ease. Who are the others: they’re the ones who’d still like a society with its blackmailing education, which goes from Dante to Michelangelo. (...) Freedom of expression belongs to those who grasp it. When there is no space, you can invent another. The method to invent it is almost the new space already.”5 And then, for Turcato the surface was the place where the thing happened, narrated almost as if it were random and above all selfgenerating (the signs, marks and dots “appear”, as if by their own force), in a dimension guided by the principle of metamorphosis, of a becoming that both needs and heralds a new space: the space of painting on one hand, and of thought on the other. Argan put it another way in the presentation to the first exhibition of “Continuità”, but he was definitely moving within a common horizon, at least in this instance and on these themes: “the opposite of representation or shape, meant as catharsis, is not the fragment, but the continuum: indeed the shape is the limit, the continuum absence, indeterminacy of the limit. The specific problem is to reconcile, if at all possible, the absence of a limit with the presence of value; but if existence is the continuum, the continuum will have a value too.”6 And, in the end, this was also a metaphor for Turcato’s attitude throughout his career as a painter, as he endlessly chased themes and methods round in circles, which flowed underground (another title that emblematically recurs in his oeuvre is “Itinerari” [Itineraries]) to then reappear years later, immutable and mutated through his pure painterly sensitivity (but also owing to suggestions from the outside, whether we like to admit it or not), sign after sign, colour after colour, surface after surface, as far as the moon.

5. G. Turcato, Metamorfosi, 1965, now in F. Gualdoni, Giulio Turcato, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2001. 6. G. C. Argan, Continuità, cat. Galleria d’Arte La Bussola, Turin, 12 April 1961.

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1. Superficie malata, 1957, olio e tecnica mista su tela, 70x100 cm



2. Superficie malata, 1961, olio e tecnica mista su tela, 100x60 cm



3. Tranquillanti, 1961, olio e collage su tela su legno, su tela, 61,5x70 cm



4.Tranquillanti, 1961, olio, sabbia e collage su tela su legno, su tela, 58x65 cm



5. Tranquillanti, 1968, olio e tecnica mista su tela su legno, 48x58 cm



6. Tranquillanti, (primi anni anni Settanta), olio, sabbia e collage su tela, 50x70 cm



7. Superficie lunare (metĂ anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma, 160x120 cm



8. Superficie lunare, (metĂ anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma, 173,5x126 cm



9. Superficie lunare, 1968, olio e smalto su gommapiuma, 43x70,5 cm



10. Superficie lunare, 1968, assemblage, olio e tecnica mista su gommapiuma su legno e masonite, 105x117x90 (diam) cm



11. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma, 60x80 cm



12. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma su legno, diam 100 cm



13. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma su telaio in legno, 60x80 cm



14. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma, 160x300 cm



15. Superficie Lunare, (fine anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma su tavola, 100x100 cm



16. Superficie lunare, (fine anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma, 50x90 cm



17. Superficie lunare, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma su legno, 73x102 cm



18. Itinerari, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma, 70x100 cm



19. Itinerari, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 70x100 cm



20. Itinerari, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 70x100 cm



21. Itinerari, 1972, olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 70x100 cm



22. Itinerari (Gommapiuma argento), (primi anni Settanta), olio smalto e sabbia su gommapiuma su tela, 80x100 cm



23. Dittico blu, 1973, olio e tecnica mista su gommapiuma, 152x244,5 cm




INDICE DELLE OPERE / INDEX OF WORKS

1. Superficie malata, 1957, olio smalto e sabbia su tela, 70x100 cm Flaminio Gualdoni, Giulio Turcato, Silvana Editoriale, Milano, 2001, p. 49

2. Superficie malata, 1961, olio smalto e sabbia su tela, 100x60

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 53 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

3. Tranquillanti, 1961, olio e collage su tela su legno, su tela, 61,5x70 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 52 Giorgio De Marchis, Giulio Turcato, Giampaolo Prearo Editore, Milano, 1971, s.i.p. esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

4. Tranquillanti, 1961, olio, sabbia e collage su tela su legno, su tela, 58x65 cm

Provenienza Galleria Martano (reg. n. 34), Torino; Galleria Il Ponte, Firenze; Collezione privata, Firenze Andrea Alibrandi, Giulio Turcato, La pelle della pittura, Edizioni Il Ponte, Firenze, 2003, t. 5 e p. 64 esposizione: Giulio Turcato, La pelle della pittura, Galleria Il Ponte, Firenze, 12 aprile-21 giugno 2003

5. Tranquillanti, 1968, olio e tecnica mista su tela su legno, 48x58 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 72 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

6. Tranquillanti (primi anni anni Settanta), olio, sabbia e collage su tela cm 50x70 7. Superficie lunare (metà anni Sessanta), olio su gommapiuma, 160x120 cm

Giorgio De Marchis, Giulio Turcato, Giampaolo Prearo Editore, Milano, 1971, s.i.p. Giovanni Carandente (presentazione di), M. Padovan (testi di), Giulio Turcato opere dal 1954 al 1973, ‘XVI Festival dei Due Mondi’, Palazzo Ancaiani, Spoleto, giugno - luglio 1973 s.p.i. Antonio Capaccio, Giulio Turcato. Bozzetti per Petrassi, Brecce per l’Arte Contemporanea (in collaborazione con il Teatro dell’opera di Roma), Roma, 2004, p. 32 e quarta di copertina Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 60

8. Superficie lunare (metà anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma, 173,5x126 cm Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 84 Antonio Capaccio, Giulio Turcato. Bozzetti per Petrassi, Brecce per l’Arte Contemporanea (in collaborazione con il Teatro dell’opera di Roma), Roma, 2004, p. 36 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

9. Superficie lunare, 1968, olio e smalto su gommapiuma, 43x70,5 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 64 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016


10. Superficie lunare, 1968, assemblage, olio e tecnica mista su gommapiuma su legno e masonite, 105x117x90 (diam) cm Antonio Capaccio, Giulio Turcato. Bozzetti per Petrassi, Brecce per l’Arte Contemporanea (in collaborazione con il Teatro dell’opera di Roma), Roma, 2004, p. 31 Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 71 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

11. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma, 60x80 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 69 Antonio Capaccio, Giulio Turcato. Bozzetti per Petrassi, Brecce per l’Arte Contemporanea (in collaborazione con il Teatro dell’opera di Roma), Roma, 2004, p. 34 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

12. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma su legno, diam 100 cm Giorgio De Marchis, Giulio Turcato, Giampaolo Prearo Editore, Milano, 1971, s.i.p. Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 80 Antonio Capaccio, Giulio Turcato. Bozzetti per Petrassi, Brecce per l’Arte Contemporanea (in collaborazione con il Teatro dell’opera di Roma), Roma, 2004, p. 36 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

13. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma su telaio in legno, 60x80 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 73 Antonio Capaccio, Giulio Turcato. Bozzetti per Petrassi, Brecce per l’Arte Contemporanea (in collaborazione con il Teatro dell’opera di Roma), Roma, 2004, p. 33 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

14. Superficie lunare, 1969, olio e tecnica mista su gommapiuma, 160x300 cm

Giorgio De Marchis, Giulio Turcato, Giampaolo Prearo Editore, Milano, 1971, s.i.p. Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 74 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

15. Superficie Lunare, (fine anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma su tavola, 100x100 cm

Provenienza Galleria Arco d’Alibert, Roma; Galleria Il Ponte, Firenze; Collezione Hotel Il Guelfo Bianco, Firenze

16. Superficie lunare blu, (fine anni Sessanta), olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 50x90 cm Provenienza Galleria Massimiliano Mucciaccia, Roma; Collezione privata, Roma esposizione: Giulio Turcato. Metamorfosi, Galleria Massimiliano Mucciaccia, Roma, 22 ottobre-15 gennaio 2011 Giulio Turcato. Metamorfosi, a cura di Sivia Pegoraro, Roma, 2010, pp.86-87

17. Superficie lunare, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma su legno, 73x102 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 102 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016


18. Itinerari, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma, 70x100 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 24 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

19. Itinerari, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 70x100 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 94 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

20. Itinerari, 1970, olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 70x100 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 170 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

21. Itinerari, 1972, olio e tecnica mista su gommapiuma su tela, 70x100 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 126 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

22. Itinerari (Gommapiuma argento), (primi anni Settanta), olio smalto e sabbia su gommapiuma su tela, 80x100 cm

Provenienza Galleria Arco d’Alibert, Roma; Galleria Il Ponte, Firenze; Collezione privata, Sesto Fiorentino (FI) esposizione: Giulio Turcato, La pelle della pittura, Galleria Il Ponte, Firenze, 12 aprile-21 giugno 2003 Andrea Alibrandi, Giulio Turcato, La pelle della pittura, Edizioni Il Ponte, Firenze, 2003, t. 17 e p. 67

23. Dittico blu, 1973, olio e tecnica mista su gommapiuma, 152x244,5 cm

Flaminio Gualdoni, ibidem, p. 134 esposizione: Giulio Turcato. Dalla forma poetica alla pittura di superficie. Opere scelte dal 1945 al 1991, a cura di Eleonora Acerbi e Marzia Ratti, con la collaborazione di Cristiana Maucci, CAMeC, La Spezia 6 febbraio - 9 ottobre 2016

IMMAGINI NEL TESTO pp. 5-6. Giulio Turcato nel suo studio di via Margutta 48, Roma, 1960 p.8 Giulio Turcato nel suo studio di Via Margutta 48, Roma, 1958 p.12 Giulio Turcato a Montecavo, Roma, 1983 p. 63 Giulio Turcato alla Biennale di Venezia, 1966 pp. 72-73 Giulio Turcato e Lucio Fontana alla Biennale di Venezia, 1966


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NOTA BIOGRAFICA

Giulio Turcato nasce a Mantova nel 1912. Si forma a Venezia alla Scuola d’arte, al Liceo Artistico e alla Libera Scuola di Nudo, dove in seguito insegnerà disegno alla Scuola di Avviamento Professionale. I suoi primi lavori di nature morte e paesaggi sono del 1926 e la prima partecipazione ad una mostra collettiva risale al 1932. Nel 1937 si trasferisce a Milano: qui collabora come disegnatore con l’architetto Giovanni Muzio e nel 1940 espone in una collettiva alla Galleria Grande. Tra il 1942 e il 1943 torna a Venezia, dove insegna, e partecipa alla XXIII Biennale d’Arte. Nel 1943 si trasferisce definitivamente a Roma e partecipa alla IV Quadriennale. Il 1945 lo vede tra fondatori dell’“Art Club” con Prampolini, Fazzini, Jarema, Savelli, Mafai, Corpora, Consagra e Perilli. L’anno successivo a Varsavia partecipa all’ Esposizione d’Arte Italiana Contemporanea e aderisce al manifesto della “Nuova secessione artistica Italiana”. Nel 1947 costituisce con Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerini e Sanfilippo “Forma 1”, primo gruppo astrattista romano, e quindi firma il manifesto del Formalismo. Nel 1948 espone alla XXIV Biennale di Venezia e al II Salon des Beaux Arts a Parigi. Con Quasimodo, Ginzburg, De Grada, Fiore e Treccani è a Varsavia per il “Congresso per la pace”. Nel 1949 tra le molte esposizioni partecipa alla XX Century Italian Art al Museum of Modern Art di New York e gli viene dedicata una personale alla Galleria del Naviglio a Milano. Nel 1950 gli viene conferito un premio alla Biennale di Venezia. Nello stesso anno con Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti entra nel gruppo degli “Otto”, con cui partecipa di nuovo, nel 1952, alla Biennale di Venezia. Dalla metà degli anni Cinquanta ha importanti personali alla Galleria del Naviglio di Milano, alla XXV Biennale di Venezia, alla Galleria La Tartaruga di Roma, alla XXIX Biennale di Venezia e al Grattacielo di Milano. Prende parte a una mostra collettiva al Carnegie Institute di Pittsburgh, partecipa al Guggenheim International Award di New York e a Documenta II di Kassel. Nel 1960 entra nel gruppo “Continuità”, attività documentata da diverse esposizioni. Nel 1961 alla Galleria Il Canale di Venezia presenta le prime composizioni con Tranquillanti; alla Biennale di Venezia del 1966 propone le Superfici Lunanari. Degli anni Settanta ricordiamo numerose personali, tra cui quelle alla Schubert di Milano, alla Barozzi di Venezia e Milano, alla Martano di Torino, alla Segno di Roma, ancora alla Biennale di Venezia, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, all’Istituto Italiano di Cultura di New York e al Museo d’arte Moderna di Bucarest. La sua fervida attività espositiva prosegue nel decennio successivo, come in occasione dell’antologica al PAC di Milano e della retrospettiva a alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e successivamente, negli anni Novanta, a Cà Pesaro di Venezia. Dopo la sua morte, sopraggiunta nel 1995 a Roma, le sue opere continuano ad essere esposte in mostre presso istituzioni, musei e gallerie. Nel 2012, per il centenario della nascita, è stata allestita al Museo di arte Contemporanea di Roma la mostra Giulio Turcato. Stellare, excursus di oltre venti anni della sua produzione artistica. Nel 2016 al CAMEC di La Spezia si tiene Turcato. Dalla Forma Poetica alla pittura di superficie.

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BIOGRAPHICAL NOTE

Giulio Turcato was born in Mantua in 1912. He was educated in art and life drawing in Venice at the Scuola d’arte, Liceo Artistico and Libera Scuola di Nudo, and he would later teach drawing at the post-elementary Scuola di Avviamento Professionale. His first still life and landscape paintings are from 1926 and his first participation in a group exhibition dates from 1932. In 1937 he moved to Milan: here he worked as a draughtsman with the architect Giovanni Muzio and in 1940 he exhibited in a group show at Galleria Grande. Between 1942 and 1943 he came back to Venice, where he taught, and took part in the XXIII Art Biennale. In 1943 he moved permanently to Rome and participated in the IV Quadriennale. In 1945 he was one of the founders of the “Art Club” with Prampolini, Fazzini, Jarema, Savelli, Mafai, Corpora, Consagra and Perilli. The following year in Warsaw he took part in the Exhibition of Contemporary Italian Art and joined the manifesto for the “Nuova Secessione Artistica Italiana”. In 1947 he set up “Forma 1”, the first group of abstract artists in Rome, with Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerini and Sanfilippo, and then signed the Formalism manifesto. In 1948 he exhibited at the XXIV Venice Biennale and at the II Salon des Beaux Arts in Paris. He went to the “Peace Conference” in Warsaw with Quasimodo, Ginzburg, De Grada, Fiore and Treccani. Among the many shows, in 1949 he took part in XX Century Italian Art at the Museum of Modern Art in New York and he was given a solo show at the Galleria del Naviglio in Milan. In 1950 he was awarded a prize at the Venice Biennale. In the same year, he entered the “Otto” group with Afro, Birolli, Corpora, Moreni and Morlotti, taking part in the 1952 Venice Biennale with them. Starting in the mid-1950s, he held important solo shows at Galleria del Naviglio in Milan, the XXV Venice Biennale, Galleria La Tartaruga in Rome, the XXIX Venice Biennale and Grattacielo in Milan. He took part in a group exhibition at the Carnegie Institute in Pittsburgh, and participated in the Guggenheim International Award in New York and Documenta II in Kassel. In 1960 he entered the “Continuità” group, whose activities were documented in various exhibitions. In 1961 he presented the first compositions with Tranquillanti [Tranquillizers] at Galleria Il Canale in Venice; at the 1966 Venice Biennale he proposed his Superfici Lunari [Moon Surfaces]. Numerous solo shows can be remembered from the 1970s, amongst which the ones at the Schubert in Milan, Barozzi in Venice and Milan, Martano in Turin, Segno in Rome, again at the Venice Biennale, Palazzo delle Esposizioni in Rome, the Italian Cultural Institute in New York and the Museum of Modern Art in Bucarest. His fervid exhibition activities continued during the next decades, such as on occasion of the anthology at the PAC in Milan and the retrospective at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome, and later, in the 1990s, at Cà Pesaro in Venice. Since his death, in 1995 in Rome, his works have continued to be exhibited in shows in institutions, museums and galleries. In 2012, for the one hundred-year anniversary since his birth, the show Giulio Turcato. Stellare was put on at the Museo di Arte Contemporanea in Rome, featuring over twenty years’ of his artistic oeuvre. Turcato. Dalla Forma Poetica alla pittura di superficie was held at CAMEC in La Spezia in 2016.

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Finito di stampare nell’ottobre duemilasedici dalla tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera per i tipi de Gli Ori di Pistoia in occasione della mostra Giulio Turcato. Inventare spazi organizzata dalla Galleria Il Ponte, Firenze e dalla Galleria Milano, Milano



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