MIMMO ROSELLI L I N E A R E
18 maggio – 28 luglio 2007 GALLERIA IL PONTE FIRENZE a cura di Andrea Alibrandi
GALLERIA – EDITORIA – STAMPERIA D’ARTE
50121 Firenze – via di Mezzo 42/b – tel/fax ++39 055 240617 sito web: www.galleriailponte.com – e-mail: info@galleriailponte.com orario 16.00 – 19.30 chiuso lunedì e festivi – catalogo in galleria
35 LE MOSTRE
MIMMO ROSELLI L I N E A R E
testi di / text by
BRUNO CORÀ ROBERT C. MORGAN
EDIZIONI “IL PONTE” FIRENZE
MIMMO ROSELLI LINEARE
Galleria Il Ponte Firenze 18 maggio -28 luglio 2007 a cura di
Andrea Alibrandi testi in catalogo
Bruno Corà, Robert C. Morgan redazione editoriale
Federica Del Re ufficio stampa
Susanna Fabiani
in copertina
Il Ponte Round, 2007
corda di cotone / cotton rope, 19x18x7 m ca. in quarta di copertina
Referenze fotografiche
Torquato Perissi
Traduzione dall’italiano in inglese
Jennifer Franchina Lexis, Firenze
Traduzione dall’inglese in italiano
Giuliana Pinto
Impaginazione computerizzata
Punto Pagina, Livorno Selezioni cromatiche
Screenservice Stampa
Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera
© 2007 EDIZIONI IL PONTE FIRENZE
50121 Firenze - Via di Mezzo, 42/b tel/fax +39 055240617 website: www.galleriailponte.com e-mail: info@galleriailponte.com
MIMMO ROSELLI: I TENDINI DELL’ORGANISMO SPAZIO Bruno Corà Tra le possibili individuazioni epistemologiche ricavabili dall’opera di Mimmo Roselli allestita nella galleria Il Ponte di Firenze col titolo “Round Il Ponte” (2007), ve ne sono almeno tre che possono essere considerate quali aspetti espliciti denotativi, tali cioè che la loro attribuzione non dovrebbe significare eccesso di immaginazione da parte di chi compie l’esperienza sensibile di trovarsi di fronte o addirittura dentro il suo lavoro. Esso, infatti, si manifesta nei luoghi da lui presi in considerazione mediante la collocazione di funi o cavi che, attraversando i siti, vi instaurano idealmente e concretamente una geometria lineare e aerea la quale appare protesa a dar corpo alla distanza esistente tra i punti collegati dall’estensione delle funi. Se questi sono in sintesi i dati basilari delle installazioni di Roselli, che si caratterizzano per una evidente volontà riduzionistica in quanto a mezzi, tornando ai punti qualificanti di esse mi pare ineludibile una prima riflessione. Il lavoro che Roselli da qualche anno elabora si manifesta quale visualizzazione di una tensione di collegamento tra entità topologiche apparentemente distanti o separate. Di fatto, introducendosi in un ambiente qualsiasi, l’azione plastica di Roselli mette in evidenza fenomenologicamente i dati distintivi di esso, producendo con un intervento denotativo più o meno accentuato una spazialità inedita e ineludibile. Di questo effetto dell’azione, conseguente alla posa in opera di funi attraverso l’ambiente – la creazione di una spazialità originata da mutue tensioni – si potrebbe dire che è come se esso mettesse a nudo i nervi stessi dell’entità spaziale, ricavata nell’ambiente intero in cui Roselli ha operato. Il risultato è che anche se ognuno è in grado di 1
muoversi liberamente tra quelle funi, in effetti, non ne può più certo ignorare la presenza, entrandovi in relazione. E dunque la terza riflessione riguarda proprio una imponderabile quanto individualmente diversificata serie di percezioni relative alle possibili relazioni tra sé e quella spazialità. A questo punto si potrebbe affermare che se le prime due considerazioni mettono in gioco soprattutto i sensi, la terza scatena congetture mentali pressoché infinite. Del dispiegamento di tale azione plastica di Roselli sono al corrente da anni, avendo osservato numerosi progetti formulati dall’artista al fine di poterne attuare installazioni specifiche sia in diverse possibili sedi en plein air, sia coinvolgenti l’esterno di architetture e infine l’interno di ambienti come le installazioni compiute in sedi museali o in gallerie private. Dopo tali premesse e al fine di cogliere appieno il senso del lavoro di Roselli, appare opportuno aprire la riflessione a un contesto di fenomenologie e di pronunciamenti, talvolta autorevolmente ineludibili, dal cui confronto l’opera del nostro non potrà che trarne giovamento, distinguendosene e rendendo più evidenti le proprie modalità e proprietà. Una delle esperienze del XX secolo a cui – fatte le debite considerazioni e stabilitene le differenze – possono essere utilmente comparate le opere di Roselli è l’episodio di intervento allestitivo compiuto da Marcel Duchamp nel 1942 per la mostra “First Papers of Surrealism” (14 ottobre – 7 novembre) nei locali del Coordinating Council of French Relief Societes Inc. di New York. L’evento, organizzato da André Bréton e – come annota Arturo Schwarz – dal his twine Duchamp, “Twine è la traduzione letterale di ‘ficelle’ (in francese ‘spago’), un
Arturo Schwarz, Marcel Duchamp – 66 Creative Years, L’uomo e l’arte, Milano, s.d., 60.
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modo colloquiale francese per dire amico”1 era stato concepito a beneficio dei bambini e dei prigionieri francesi. In quell’occasione Duchamp, responsabile dell’installazione (ormai documentata in tutte le monografie a lui dedicate o in quelle dedicate alle mostre Surrealiste) sospende nello spazio un miglio (1850 m) di spago2 “per creare una moltitudine di tele di ragno occultanti assai bene sia gli affreschi del soffitto che i dipinti esposti”.3 Va ricordato che dello spago Duchamp aveva fatto uso in forma di gomitolo una prima volta nell’opera A bruit secret (1916). Il ready-made assistito “con rumore segreto” stretto fra due lastre di ottone munite di quattro viti, assieme allo spago nascondeva un piccolo oggetto ‘aggiunto’ nell’interno da Walter Arensberg. Ancorché a causa dell’impiego dello spago, l’allestimento della mostra surrealista del 1942 si possa considerare come un antecedente all’azione costante di Roselli, in realtà la concezione di questo intervento di Duchamp è del tutto diversa rispetto alle intenzioni e all’esito non solo formale delle installazioni di Roselli. Infatti, mentre Duchamp intende produrre un ‘groviglio’ a ragnatela che in parte occulti e renda difficilmente percorribile l’ambiente, Roselli pone la tensione delle sue funi di cotone come elemento plastico unico ed essenziale per la creazione della spazialità nell’ambiente. Al di là di taluni aspetti puramente formali, le due operazioni sono diametralmente opposte. Non diversamente possono essere considerate altre esperienze plastiche pur significative con cui l’opera di Roselli sembrerebbe poter avere – è il caso di dire – qualche legame. Alludo allo Spazio elastico ambiente (1966-67) o allo Spazio curvo (1988-90) di Gianni Colombo. Ma anche in questi casi, alcuni presupposti di fondo delle opere di Colombo, quali l’oscuramento del luogo e la dinamizzazione 2 3
deformante le coordinate lineari elastiche concepite in senso ortogonale tra pavimento, pareti e soffitto o, nello Spazio curvo, l’uso di elementi tubolari di poliestere con motori elettrici, prevedono la partecipazione attiva dello spettatore spesso coinvolto nel funzionamento stesso dell’opera. Per contro, la valenza di coinvolgimento psicologico suscitata dall’opera di Roselli appare assai più moderata e riferibile in particolare a un rapporto percettivo tattile-relazionale privo di qualsiasi intervento meccanico, tale da lasciare il fruitore libero di interagire o meno con essa. Negli ambienti di Colombo, come peraltro in quelli di Fontana, il senso d’isolamento percettivo appare spesso determinante e l’oscurità – quando è prevista – gioca un ruolo psicofisico notevole. Si potrebbe continuare questo esercizio di contestualizzazione dell’opera di Roselli evocando altri esempi che recano in embrione o vistosamente la condivisione di principi comuni tra le opere, in linea storicamente ascendente con i “controrilievi d’angolo” di Tatlin e le opere di Pevsner o in linea discendente con le strutture tensili di Santiago Calatrava e con alcuni giovani artisti come Julia Von Troschke, Alessandro Lupi o Maurizio Anzeri, da poco tempo segnalatisi in questo ambito di esperienze plastiche. Più opportuno invece appare a questo punto segnalare, per potervi tornare e compiere possibili approfondimenti, quegli aspetti per i quali l’opera di Roselli appare singolare e in via di conseguire sviluppi complessi e del tutto rimarchevoli. A partire dall’installazione triangolare a tre ordini di funi disassate Round Il Ponte (2007) e dalle altre compiute in queste stesse ore nel Museo Archeologico di Firenze e nel giardino retrostante, dal titolo Il filo (2007) e Spazi praticabili (2007), si avverte che la prima preoccupazione di Roselli è rendere percepibile
quelle entità invisibili ma esistenti che coniugano il pensiero dell’osservatore, la proiezione prospettica del suo sguardo, i flussi di energia presenti attorno e a partire da ciascuno di noi, con i legami e le connessioni implicite tra le cose e le persone con i luoghi. La ‘continuità’ spaziale di cui si erano rese consapevoli le opere di Rosso e Boccioni, e in modi non meno efficaci quelle di Fontana e Melani, riaffiora negli “spazi praticabili” di Roselli. Ciò appare sia nei lavori attorno agli alberi (con sei o otto linee di funi che affondano nel terreno), sia nel collegamentocamminamento dispiegato attorno alle vetrine dei vasi attici e corinzi a decorazione geo-
metrica, nelle tre sale successive del museo fiorentino. Quelle di Roselli, infatti, sono installazioni-tensioni che sollecitano soprattutto la vis immaginativa a introdursi in una spazialità che ancora prima che fisica è di esponenza disegnativa e mentale, pertanto induttiva di rapporti assoluti e primari trasmissibili sulla realtà di luoghi sempre diversi e tuttavia, in precedenza, da lui interiorizzati. Le opere di Roselli innervano lo spazio conferendogli un attributo relazionale che sancisce una volta in più, se ce ne fosse bisogno, la profonda valenza etica del suo lavoro. Vocabolo Pecorata, maggio 2007
Arturo Schwarz, in una didascalia all’opera scrive “seize mille de ficelles”. Marc Partouche, Marcel Duchamp, Images en Manœuvres Editions, Marseille, 1991, 97.
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MIMMO ROSELLI: THE TENDONS OF SPACE AS AN ORGANISM Bruno Corà Among the possible epistemological identifications we can discern in the work by Mimmo Roselli installed in the Galleria Il Ponte in Florence entitled “Round Il Ponte” (2007), there are at least three to consider explicit denotative aspects. Anyone participating in the sensitive experience of standing in front of or even inside his work needs no excessive feats of imagination for attributing these. It is, in fact, all manifested in the sites he adopts for placing his cables or strings which, crisscrossing the environments, instill them ideally and concretely with a linear and aerial geometry seemingly intended to embody the distance existing between the points linked by the extension of the ropes. If these are, summarily, the basic facts of Roselli’s installations, characterized by an evident will for reduction of his means, the first reflection seems to me inescapable and requires a good look at their qualifying points. Roselli’s work in recent years seems to be the visualization of a tension of connection between apparently distant or separated topological entities. In fact, presented in any sort of ambiance, Roselli’s plastic action highlights the distinctive elements of the setting, in phenomenological terms, by producing a new and inescapable spatiality through the use of a more or less accentuated denotative interventions. We could say about this effect of the act, a result of the placing of cords throughout the environment – thereby creating a spatiality originating from mutually beneficial tensions – that it is as if it revealed the actual nerves of the spatial entity obtained in the entire setting in which Roselli works. The result is that even if anyone is capable of freely moving through those cords, he certainly cannot ignore their presence and 1
thereby enters into a relationship with them. So, the third reflection regards precisely an imponderable and individually diversified series of perceptions related to the possible relationships between the self and that spatiality. At this point we could say that if the first two considerations entail the senses above all, then the third unleashes almost infinite mental speculations. I have been following these plastic actions by Roselli for years, having seen numerous projects formulated by the artist for installing specific works both in various possible outdoor settings where he involves them with his architectural installations, and in museums or private galleries, in spaces indoors. After such premises and having acquired a full grasp of the sense of Roselli’s work, it would seem appropriate for us to open our reflections onto the context of phenomenology and assertions, at times authoritatively inescapable, from whose comparison with the work by this artist can only benefit by becoming distinct and making his own methods and characteristics more evident. One of the experiences of the 20th century to which – once the proper considerations have been made and the its differences established – Roselli’s works can be usefully compared is the event which Marcel Duchamp performed in 1942 when installing the show, “First Papers of Surrealism” (October 14 –November 7) at the Coordinating Council of French Relief Societies Inc. offices in New York. That event was organized by André Bréton and – as Arturo Schwarz notes – by his twine, Duchamp. “Twine” is the literal translation of the French word “ficelle,” a colloquial way of saying “friend” (in French),1 and the show was
Arturo Schwarz, Marcel Duchamp – 66 Creative Years, L’uomo e l’arte, Milan, undated, p. 60.
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conceived as a benefit for French children and prisoners. Duchamp, on that occasion the person responsible for the installation (documented in all the publications on the artist and to the exhibitions on Surrealism), suspended a mile of twine2 in space to create numerous spider webs which concealed both the frescoes on the ceiling and the paintings hanging on the walls.3 It must be remembered that Duchamp had used a ball of twine once before in his work, With Hidden Noise (1916). The assisted ready-made “with a secret noise,” a ball of string pressed by two brass plates held together by four screws, which hid a small object that Walter Arensberg ‘added’ inside. Even if, because of the use of the twine, the installation of the 1942 Surrealist show can be considered a precursor of Roselli’s persistent acts, the concept of Duchamp’s intervention is, in fact, completely different in its intentions and from the not only formal results of Roselli’s installations. In fact, while it was Duchamp’s intention to produce a tangle of spider webs partly concealing and making it difficult to go through the space, Roselli places the tension of his cotton strings as a unique plastic element essential to the creation of a sense of space in the setting. Beyond certain purely formal aspects, the two operations are diametrically opposed. In the same way, we can consider other significant plastic experiences with which Roselli’s work seems to have – we could say – something of a connection. I am referring to Elastic Space Ambiance (1966-67) and Curved Space (1988-90) by Gianni Colombo. But, even in these cases, certain basic premises of Colombo’s works, such as a darkening of the room and the deforming dynamics of the elastic linear coordinates conceived in a octagonal sense between the floor, walls and ceiling or, in Curved Space, the use of tubular polyester 2 3
elements with electric motors, foresee the viewer’s active participation often involved in the functioning, itself, of the work. In contrast, the quality of psychological involvement prompted by Roselli’s work seems much more moderate and particularly refers to a tactile-relational relationship lacking any mechanical part which thereby leaves the viewer free to interact or not with the work. In Colombo’s rooms, as in those by Fontana too, the sense of perceptive isolation often seems determining, and the darkness – when it is included – plays a prominent psychophysical role. This exercise of contextualizing Roselli’s work could go on, and we could mention other examples of works whose common principles are shared, in an historically ascending line with Tatlin’s “corner counter-reliefs” and Pevsner’s works, or in a descending line, with the tensile structures by Santiago Calatrave and with those of other young artists such as Julia Von Troschke, Alessandro Lupi or Maurizio Anzeri, recently a participant in this area of plastic experiences. It would seem more appropriate, at this point, for us to call attention to those aspects for which Roselli’s works seem singular and on their way towards achieving complex and completely remarkable developments, so that we can return to them and consider them in greater depth. Starting with the triangular installation, Round Il Ponte (2008), based on three orders of unaligned cords, and with the other works achieved at the same time in the Archeological Museum in Florence and in the garden behind it called The Twine (2007) and Frequentable Spaces (2007), we notice that Roselli’s principal attention is directed towards making perceptible those invisible but existing entities that join the viewer’s thoughts, the perspective projection of his regard, the fluxes of energy
present around and starting with each of us, with the links and connections implicit between the things, persons and the sites. The spatial “continuity” of which the works by Rosso and Boccioni showed an awareness, and those by Fontana and Melani in ways none the less efficient, once again surface in Roselli’s “frequentable spaces.” This is apparent both in the works around the trees (with six or eight lines of cord that disappear into the ground) as well as in the connection-pathway which unfolds around the glass cases of Attic and Corinthian vases with their geometrical decorations in the three adjacent rooms inside the Florentine museum. Roselli’s installations-tensions prompt, above all, the
Arturo Schwarz wrotein “sixteen thousand twines” in a caption for a picture of the work. Marc Partouche, Marcel Duchamp, Images en Manœuvres Editions, Marseille, 1991, p. 97
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imaginative vis [force] of entering a space that even before being physical is to be considered in terms of mentality and design, and therefore is a stimulant for absolute and primary relationships which can be transmitted to the reality of ever-different sites which the artist has nevertheless previously grasped inwardly. Roselli’s works bestow nerves to spaces, lending them the attribute of relationships which, once again and were it necessary, confirms the profound ethical quality of his work. Vocabolo Pecorata, May 2007 translation by Jennifer Franchina
MIMMO ROSELLI: LIGHTNESS IN THE ROUND Robert C. Morgan “Above all I hope to have shown that there is such a thing as a lightness of thoughtfulness, just as we all know that there is a lightness of frivolity. In fact, thoughtful lightness can make frivolity seems dull and heavy.” Italo Calvino “We need to choose a new way to perceive the world, a way that is going to be more delicate and clear, less violent, with more empty space and with more silence to be able to listen to a possible dialogue between ethics and aesthetics.” Mimmo Roselli
Since becoming acquainted with the work of Mimmo Roselli in the summer of 2002, I have had the occasion to view several of his installations, entitled Rounds. I have seen them at various sites in Europe, Eastern Europe, and in New York. I have studied their linear construction not only through direct observation, and frequently recall their exorbitant, nearly invisible lightness. I read the concept of the Round as a reduction: an intentional object existing within an intentional space. By investigating their syntactical parameters – linguistically, physically, and emotionally – they allow the observer or participant to engage in a conceptual reconstruction of how the work was conceived and executed. The Rounds employ dynamic straight lines in space, through the use of materials such as steel cables or nylon cords, which are most often affixed to three walls. The lines appear to move outward and inwards in a triangular relationship, always in proximity to one another. Rather than overload the space, Roselli offers the viewer a reduction of repeated elements that incite a feeling of compelling silence. Whether the
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Rounds are situated in an architectural context as in the projects he did for the Heidelberg Kunstverein and the Chelsea Art Museum (both in 2002) or presented as an outdoor installation as he did for the 2003 Biennale di Venezia, his concept precisely synthesizes construction with meditation. As for the former, I am reminded of the paintings from the abstract, pre-productivist period by the Russian Rodchenko; and for the latter I think of the nuances achieved by Malevich in his whiteon-white “desert” series toward the end of Suprematism. In terms of his own work, I attribute the creative genesis of the Rounds – his Cosmogonia – to a small painting, entitled Giro, from his Officium series (1995-2002). Once again, attributes of the constructive and the meditative seem to collide. It is like a point in time where the repetition of fine lines moves diagonally across the corners and sides of a small square canvas drawn over a shallow white field of paint. Roselli brings attention to the manner in which attributes of space and time find equal bal-
ance in a single work. The silent aspect of his work remains compelling in contrast to the more outward constructivist desire to locate a dynamic pulse in art. Yet Roselli makes both happen synchronically from a new perspective and in relation to another point of view. Each time the scale changes, ever so slightly, as the materials may change from compressed wire to synthetic cords, thereby offering another possibility for viewing the work based on the given context of the site. To read the Rounds as purely spatial is one kind of visual experience. By adding the dimension of time, one may see them in a new light from what the phenomenologists call “transcendent perception.” By making space and time into a combined space/time, as did the Bauhaus artist Moholy-Nagy, Roselli comes closer to the truth of relativity. The Rounds emit the possibility for moving through a galaxy of space/ time in which the perception of these accelerating visual rhythms denotes something close to Husserl’s “internal time-consciousness.” On the premises of the Round – and I am thinking specifically of the Round installed in Chelsea (2002) – the corporeal eye floats against a gravitational field while inciting linear striations to move into flight, and into the fourth dimension: the relativist present. The relativist present suggests another form of lightness. When space loses its relationship to time, it becomes oppressive. In ancient times, as Paul Tillich observed in The Theology of Culture (1964), Greek myths existed in the space of the gods who inhabited Mt. Parnassus, while the common people who lived and worked in the Agora existed somewhere else. Myth (space) and History (time) were rarely, if ever, synchronized. Furthermore, the oppressive design of Hellenistic architecture was relentless, absolute, and unmoving. Functional mobility was sacrificed for the benefit of asserting external dominance. Some would suggest that spatial obsessiveness is a sign of fas-
cism or decadence. In contrast, Modernism intended to correct the spatial misgivings of past design – at least on a theoretical level. As new technologies advanced to assist in the realization of utopia in the Age of Industry, and dystopia in the Age of Information, it became increasingly evident that weight is not limited either to material or immaterial concerns. As Calvino makes clear: lightness is a state of mind. And so, for Roselli, lightness became a concept that moves human beings beyond the dominant oppression of theory into the experiential domain of weightless clarification. The issue of decoration or ornament may be evoked in some of the Rounds, especially in reference to interior rooms perhaps more than in exterior gardens. This is interesting, if not worth considering in relation to the lobby of the Heidelberg Kunstverein (2002). I doubt that the decorative has any conscious connection to Roselli other than in the way it relates theoretically to the concept of an installation (an issue that has challenged artists ranging from Daniel Buren to Sol LeWitt for decades). One may raise the question: If an installation does not decorate, then precisely what does it do? In the case of Roselli, I believe his installations serve as the manifestation of a (conceptual) thought process. This is further evident in a work that precedes the Rounds, entitled Lots of Bricks (2000-2002). A series of 50 small thinly colored canvases, measuring 25 X 25 centimeters, each one posits a unique inscription using barely visible lines that traverse through each square. To see all 50 of these mounted on the wall in a horizontal format exceeds the hedonism of decoration and suggests instead a hermetic code through the manipulation of surface space. They appear as arteries, nerves, or veins, reduced to an investigation where these precise, yet indeterminate lines virtually define the meaning of visual space as propositions that may echo even the boldest poetic experiments of Mallarme.
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In that the entry to the Heidelberg Kunstverein is a functional place, the tripartite arrangement of steel cables overhead operate as integral to the architecture. There are documentary photographs that show the activity of people – both employees and visitors – from a vantage point above the reception desk near the entry station. Rather than being isolated from the diurnal affairs of the museum, the Round offers the space a kind of structural encounter. It becomes part of the architecture, yet separate from it. The temporal aspect of the installation is diagonal and dynamic as one may associate with the constructivists. But as the title suggests, the linear elements repeat themselves. They move around the room simulating the simple musical expression of a rondo. There is no exact stopping place; rather there is a continuum of movement. If there were only two walls involved (instead of three), as in the early “conceptual” monofilament pieces by Robert Barry (1968-69), where a single, nearly invisible nylon thread is stretched overhead from one wall to another, the visual impression (and concept) would be very different. In Barry’s case, whether you saw the thread was incidental to the fact that it was there as a conceptual action without a visible component. In essence, Barry was interested in invisible art. For Roselli, the effect of a dynamic silence in space/time is generally enacted through the complexity of the tripartite arrangement. On the other hand, Roselli’s installation is as much about the concept of altering the presence of the readymade site through space/ time. In addition, his discrete placement of the cables or cords is a meditation within time, that is, within its own structural dynamic. This further suggests a connection to the kind of activity or absence of activity that transpires at the site on a routine basis. Rather than what the American architectural critic, Lewis
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Mumford, used to call a “humdrum” activity, the Rounds are an intervention that intuitively holds a segment of space within time, and reversibly, distills time from within that space. Roselli’s intervention suspends whatever other practical or functional aspect that has been assigned. As viewers, we are transformed into ambulatory participants, as we examine the place in which the intervention has occurred. We reinvestigate the structural premises and the environs that identify the place and the history of what it once was. In the latter case, I refer specifically to a rambling old storage warehouse, used decades ago by a printing company in Lodz, Poland. For the Lodz Biennial (2004), Roselli was invited to install a Round at ground level in one of these vast, darkly lit warehouse spaces. All of this has curious consequences for the current exhibition of two interrelated installations in Florence: one at the “Il Ponte” Gallery, and the other in the Archaeological Museum. The two parts of the exhibition are entitled “LINEARE.” As the artist has explained, the title is a double entendre. It refers to the use of “line,” but also to a quality associated with someone who is “straight-forward.” Roselli enjoys the resonant meaning of the title and believes it characterizes what he is striving for in his practice as an artist. In the case of “LINEARE,” the precise measurement of the points plays a fundamental role in determining where the cables are inserted and in establishing how the configuration of lines will appear. The larger, more complex installation at “Il Ponte” involves a long rectangular space in which the walls are marked either as point A, B, or C. The points are then divided into left and right sections where the cables are inserted directly into the wall. The length of the Round at “Il Ponte” – given the elongated shape of the gallery – reveals a tight relationship between the directionality of the space and visual force of the lines within it.
At the Archaeological Museum the cables are built around the rectangular structure of four pillars in the center of the space. Roselli considers his installation at Galeria 9 in Prague (2005), in which strong diagonals emanate between wooden beams and clay walls, as a prototype for this one. Although the cables move in and out of the rectangular space at the Archaeological Museum, they move at various oblique angles as if to disrupt the cubic container between the pillars. The issue of decoration returns again here. Influenced by some of the geometric designs on the ancient pottery, Roselli has incorporated these elements into drawings and glass floor pieces that appear inside the designated space of the Round. Does the context determine whether these designs are decorative or conceptual or possibly both? In addition to the interior structure, the artist has a separate linear installation outdoors in the garden of the Museum which he refers to as “Spazio Praticabile” or, which Roselli defines as “space
where you can go in, space where you can see how to go in, space where you can meet someone, space divided in spaces as your soul.” Presumably, it is within the spaces of the soul that one goes in search of art; or could it be the other way around? Can art exist in a posthuman environment where the existence of the soul goes without notice? Roselli offers a delicate response, more than a solution. His art touches on many of the confounding problems that are hidden beneath the surface of this question. But to recognize that there is something beneath the surface assumes that aesthetics and ethics are still able to incite a discourse. This has happened in the past, and it may happen again. But the future begins with the space/time of the present, the relativist present, and the solidarity where Mimmo Roselli finds himself today. New York, February 2007
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MIMMO ROSELLI: LEGGEREZZA NEL ROUND Robert C. Morgan “(…) spero innanzitutto d’aver dimostrato che esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.” Italo Calvino “(…) Abbiamo bisogno di cercare un nuovo modo per guardare il mondo, un modo più leggero, un modo più trasparente, un modo meno aggressivo, con più spazi vuoti, con più silenzio per ascoltare un possibile dialogo fra etica ed estetica”. Mimmo Roselli
Da quando ho conosciuto il lavoro di Mimmo Roselli, nell’estate del 2002, ho avuto modo di vedere diverse sue istallazioni, denominate Rounds. Le ho viste situate in vari luoghi in Europa, in Europa orientale, a New York. Ho studiato la loro costruzione lineare, non solo attraverso l’osservazione diretta, e ne ho richiamato spesso alla mente la straordinaria, quasi invisibile leggerezza. Io leggo il concetto di Round in termini di riduzione: un oggetto intenzionale che esiste all’interno di uno spazio intenzionale. Investigandone i parametri sintattici – dal punto di vista linguistico, fisico, emozionale – l’osservatore, o partecipante, è messo in condizione di impegnarsi nella ricostruzione concettuale del modo in cui il lavoro è stato concepito ed eseguito. I Rounds utilizzano linee rette dinamiche nello spazio, realizzate con materiali come cavi d’acciaio o corde di nylon, che sono molto spesso fissate a tre pareti. Le linee sembrano muoversi verso l’interno o verso l’esterno in una relazione triangolare, sempre l’una in prossimità dell’altra. Piuttosto che sovraccaricare lo spazio, Roselli offre allo spettatore
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una riduzione fatta da elementi ripetuti che suscita sentimenti di un silenzio che avvince. Sia che i Rounds siano situati in un contesto architettonico, come nei progetti per il Kunstverein di Heidelberg e per il Chelsea Art Museum (entrambi del 2002), o siano presentati come una installazione in esterno, come in occasione della Biennale di Venezia del 2003, il concetto che li sottende è una sintesi precisa di costruzione e meditazione. Il primo di questi termini mi ricorda le pitture del periodo astratto, pre-produttivista del russo Rodchenko; il secondo mi fa pensare alle nuances realizzate da Malevich nel suo bianco-su-bianco della serie dei “deserti” verso la fine del Suprematismo. Per quanto riguarda lo specifico lavoro di Roselli, io attribuisco la genesi creativa dei Rounds – la sua Cosmogonia – ad un piccolo dipinto intitolato Giro, appartenente alle serie Officium (1995-2002). Ancora una volta gli attributi del costruttivo e del meditativo sembrano collidere. È come un punto nel tempo nel quale la ripetizione di linee sottili si muove diagonalmente oltre le angolature ed i lati di una
piccola tela quadrata, tracciata sopra una trasparente e chiara campitura. Roselli richiama l’attenzione sul modo in cui gli attributi spaziali e temporali trovano un bilanciato equilibrio in ciascun singolo lavoro. L’aspetto silente del suo lavoro rimane in pressante contrasto con il più esternalizzato desiderio costruttivista di collocare nell’arte una pulsazione dinamica. E tuttavia Roselli li fa accadere entrambi in sincronia, da una nuova prospettiva ed in relazione ad un nuovo punto di vista. In ogni momento la scala cambia, e sempre così lievemente, come se i materiali potessero mutare, dal cavo alle corde sintetiche, offrendo così un’altra possibilità di vedere il lavoro in base al contesto costituito dal luogo. Leggere i Rounds come spazio puro costituisce di per sé una particolare esperienza visiva. Aggiungendo la dimensione del tempo, li si possono vedere in una nuova luce, quella che la fenomenologia chiama “percezione trascendente”. Ponendo lo spazio e il tempo in una dimensione spazio/temporale che li coniuga, come ha fatto l’artista del Bauhaus Moholy-Nagi, Roselli si accosta alla verità della relatività. I Rounds trasmettono la possibilità di muoversi attraverso una galassia spazio/ temporale in cui la percezione di questi ritmi visivi in accelerazione denota qualcosa di prossimo alla “consapevolezza del tempo interno” di Husserl. Sulle strutture del Round – ed io sto pensando specificatamente al Round installato a Chelsea (2002) – la vista fluttua contro un campo gravitazionale mentre striature lineari incitano a muoversi in volo, e nella quarta dimensione: il presente relativizzato. Il presente relativizzato suggerisce un’altra forma di leggerezza. Quando lo spazio perde la sua relazione con il tempo, diviene opprimente. Nell’antichità, come osservava Paul Tillich in The Theology of Culture (1964), i miti Greci esistevano nello spazio degli Dei che abitavano il Monte Parnaso, mentre la gente comune, che viveva e lavorava nell’Agorà,
esisteva altrove. Il Mito (lo Spazio) e la Storia (il Tempo) erano raramente, per non dire mai, sincronizzati. Inoltre lo stile dell’architettura ellenistica era rigido, assoluto e inamovibile. La mobilità funzionale era sacrificata a vantaggio dell’affermare il proprio dominio sull’esterno. Si potrebbe suggerire che la ossessività spaziale è un segno di fascismo o decadenza. Il Modernismo al contrario intese correggere le preoccupazioni spaziali dello stile precedente, almeno a livello teorico. Con il progredire delle nuove tecnologie al servizio della realizzazione dell’utopia nell’Era Industriale, e della distopia nell’Era dell’Informatica, è divenuto sempre più evidente che la pesantezza non è circoscritta a questioni di materia o non materia. Come Calvino ha reso evidente: la leggerezza è uno stato della mente. E così, per Roselli, la leggerezza è divenuta un concetto che sospinge gli esseri umani aldilà della dominante oppressione della teoria, verso il dominio esperienziale di un fare chiarezza attraverso sottrazione di peso. Alcuni dei Rounds possono evocare il tema della decorazione o dell’ornamento, soprattutto quelli situati in interno piuttosto che quelli collocati negli spazi esterni. Questo è interessante, anche se non vale per il Round situato nell’ingresso del Kunstverein di Heidelberg (2002). Io non credo che il decorativo abbia qualche connessione conscia con il lavoro di Roselli, se non perchè si collega teoricamente al concetto di installazione (un tema, questo, che ha sfidato per decenni gli artisti, da Daniel Buren a Sol LeWitt). Ci si potrebbe chiedere: ma una installazione, se non decora, cosa fa precisamente? Nel caso di Roselli io credo che le sue installazioni costituiscano la manifestazione di un processo di pensiero (concettuale). Questo è particolarmente evidente in un’opera che precede i Rounds, intitolata Lots of Bricks (2000-2002). Una serie di 50 piccole tele dipinte con velature di colore, della misura di 25 cm per 25, ognuna delle quali
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presenta una singola iscrizione, utilizzando linee appena visibili che attraversano ogni quadrato. Vederle tutte e cinquanta disposte orizzontalmente sul muro travalica l’edonismo della decorazione e suggerisce invece un codice ermetico attraverso la manipolazione dello spazio della superficie. Esse appaiono come arterie, nervi o vene, riconducibili entro una ricerca in cui queste linee precise e tuttavia indeterminate definiscono virtualmente il significato dello spazio visivo, come proposizioni che possono echeggiare anche i più arditi esperimenti poetici di Mallarmè. Dal momento che l’entrata al Kunstverein di Heidelberg è un luogo funzionale, la aerea disposizione tripartita dei cavi d’acciaio opera integrandosi con l’architettura. Vi sono documentazioni fotografiche, effettuate da un punto di vista sopraelevato sopra il banco della reception vicino all’entrata, che mostrano l’attività della gente, sia impiegati che visitatori. Anziché isolarsi dalle attività quotidiane del museo, il Round offre lo spazio per una sorta di incontro strutturale. Diviene parte dell’architettura, pur distaccandosene. L’aspetto temporale dell’installazione è diagonale e dinamico, se lo si volesse associare con il costruttivismo. Ma come suggerisce il titolo, gli elementi lineari si ripetono. Si muovono intorno alla stanza simulando (evocando) il semplice andamento musicale del rondò. Non vi è un esatto punto di arresto; piuttosto, vi è un continuum di movimento. Se fossero utilizzati solo due muri (invece di tre), come nei primi lavori concettuali di Robert Barry, costituiti da monofilamenti, dove un singolo filo di nylon quasi invisibile si distende,in alto, da una parete all’altra, l’impressione visiva (ed il concetto), sarebbero molto diversi. Nel caso di Barry, che tu vedessi il filo era incidentale rispetto al fatto che esso fosse proprio là in quanto azione concettuale, senza una componente visiva. In sostanza Barry era interessato ad un’arte invisibile. Per Roselli, l’effetto di silenzio dina-
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mico nello spazio/tempo è in genere ottenuto attraverso la complessità della disposizione tripartita dei cavi. D’altro canto l’installazione di Roselli implica anche il concetto di una alterazione del luogo nel suo esistere così com’è, attraverso la dimensione spazio/tempo. Inoltre, il suo modo discreto di disporre i cavi e le corde è una meditazione entro il tempo, cioè entro la sua propria dinamica strutturale. Questo suggerisce ancora di più una connessione con il genere di attività, o di assenza di attività, che di consueto respira nel luogo. Più che quella che il critico americano di architettura, Lewis Mumdford, era solito chiamare un’attività “humdrum” (ripetitiva), i Rounds sono un intervento che intuitivamente trattiene un segmento di spazio nel tempo, e reversibilmente, distilla il tempo dall’interno di quello spazio. L’intervento di Roselli sospende qualsiasi altro aspetto pratico o funzionale sia stato assegnato a quello spazio. Da spettatori, nel momento in cui esaminiamo il luogo in cui l’intervento ha avuto luogo, noi siamo trasformati in partecipanti attivi. Riscopriamo le coordinate strutturali e l’ambiente che identificano il luogo, e la storia di come esso era in passato. In quest’ultimo caso, mi riferisco in particolare ad un ampio, vecchio magazzino di stoccaggio, usato decenni addietro da una tipografia a Lodz, in Polonia. Per la Biennale di Lodz (2004) Roselli era stato invitato ad installare un Round al piano terreno di uno di questi spazi vasti e luminosi nella loro oscurità. Tutto ciò ha singolare rilievo per la attuale esposizione a Firenze di due installazioni correlate: una alla Galleria “Il Ponte”, l’altra al Museo Archeologico Nazionale. Le due parti di cui si compone l’esposizione sono intitolate “LINEARE”. Come spiega l’artista, il titolo ha un doppio significato. Si riferisce all’uso della “linea”, ma anche al concetto di “rettitudine”.
A Roselli piace la polisemia del titolo che a suo parere coglie l’intento che egli persegue nella sua pratica artistica. first Arcale award for international criticism in Salamanca, Spain. He is a Professor at Pratt Institute in Brooklyn, New York. Nel caso di “LINEARE” la scelta esatta dei punti gioca un ruolo fondamentale nel determinare dove i cavi debbano essere inseriti e nello stabilire come apparirà la configurazione delle linee. L’installazione a “Il Ponte”, grande e complessa, coinvolge un lungo spazio rettangolare sui cui i muri sono contrassegnati i punti A, B o C. Dai punti si dipartono quindi, o verso destra o verso sinistra, dei gruppi di cavi inseriti direttamente nel muro. La lunghezza del Round a “Il Ponte” – data la forma allungata della galleria – rivela una stretta relazione tra la direzionalià dello spazio e la energia visiva delle linee al suo interno. Al Museo Archeologico i cavi sono disposti intorno alla struttura costituita dalle quattro colonne al centro dello spazio. Roselli ha qui presente come prototipo la propria installazione della Galleria 9 di Praga (2005), nella quale possenti diagonali si tendevano tra i pilastri di legno e le pareti di argilla. Sebbene i cavi si muovano fra l’interno e l’esterno dello spazio rettangolare del Museo Archeologico, essi si dispongono secondo angoli obliqui diversi, a frantumare il contenitore cubico delimitato dalle colonne. Qui torna il tema della decorazione. Influenzato da alcune delle forme geometriche disegnate sul vasellame antico, Roselli ha incorporato questi elementi
nei disegni posti nelle teche di vetro che si trovano all’interno dello spazio designato dal Round. È il contesto a determinare se queste configurazioni sono decorative, concettuali o ambedue le cose? Oltre alla struttura in interno, Roselli ha un’altra installazione lineare all’esterno del Museo, nel giardino, che egli ha intitolato “Spazio Praticabile” o, come Roselli lo definisce “uno spazio in cui puoi addentrarti, uno spazio dove puoi vedere come andarci dentro, un spazio in cui puoi incontrare qualcuno, uno spazio diviso in spazi, come la tua anima.” Probabilmente, è proprio in questi spazi dell’anima che si va in cerca dell’arte; o forse è vero il contrario? L’arte può esistere in un ambiente post-umano in cui l’esistenza dell’anima scorre senza cura? Roselli offre con delicatezza una risposta, più che una soluzione. La sua arte tocca molti dei problemi che ci confondono, nascosti sotto la superficie di questo interrogativo. Ma riconoscere che qualcosa è nascosto sotto la superficie presuppone che l’estetica e l’etica siano ancora capaci di stimolare un dialogo. Questo è accaduto nel passato e potrebbe accadere ancora. Ma il futuro comincia con la dimensione spazio/ tempo del presente, il presente relativizzato e il concetto di solidarietà dove oggi Mimmo Roselli si situa. New York, febbraio 2007 traduzione di Giuliana Pinto
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TAVOLE
1. Le stanze di Priamo – 1994 Sala Consiliare del Comune di Monteciccardo, Monteciccardo (Pesaro) rame/ copper, 10×5 m ca. (installazione permanente)
2. Heidelberger Round – 2002 Heidelberger Kunstverein, Heidelberg (Germania) corda in cotone / cotton rope, 20×15×9 m ca.
3. Chelsea Round – 2002 Chelsea Art Museum, New York (USA) corda in cotone / cotton rope, 22×19×10 m ca.
4. S. Agostino Round – 2003 Chiesa di S.Agostino (GAMeC), Bergamo (Italia) corda in cotone / cotton rope, 35×30×27 m ca.
5. Round Thetis – 2003 Spazio Thetis, Arsenale di Venezia, Venezia (Italia) corda in fibra acrilica / acrilic rope, 20×18×7 m ca. (installazione permanente)
6. Round Lodz – 2004 I Biennale Polacca, Lodz (Polonia) corda in cotone / cotton rope, 25×23×14 m ca.
7. Drawing Space – 2005 Kentler International Drawing Space, New York (USA) segno inciso sulle 4 pareti, 12 mq. ca.
8. Uno spazio praticabile – 2005 Galerie 9, Praha, (Rep. Ceca) corda in cotone / cotton rope, 30 mc ca.
9. Da li a qui – 2005 Galerie Bayer & Bayer, Praha (Rep. Ceca) monofilamento in nylon / fishing line, 15 mc ca.
10. Un Km di linee di più – 2005 Open Air Museum, Museum Arterra, Berndorf/Wien (Austria) 7 installazioni, corda in fibra acrilica / acrilic rope, 1300 m ca. ognuna delle installazioni di 35×40×25 m ca. (1 installazione permanente)
11. Passaggi – 2006 Artosfoundation, Nicosia (Cipro) corda in cotone / cotton rope, 25×1×0.7 m ca. (installazione permanente)
12. Spazio praticabile 2 – 2007 Giardino del Museo Archeologico, Firenze (Italia) 2 installazioni, corda in cotone / cotton rope, ognuna delle installazioni 30 mc ca. 13. Spazio praticabile 3 - 2007 Giardino del Museo Archeologico, Firenze (Italia) installazioni, corda in cotone / cotton rope, ognuna delle installazioni 15 mc ca.
14. Il Filo – 2007 Sale del Museo Archeologico, Firenze (Italia) corda in cotone / cotton rope, 100 m lineari ca.
15. Il Ponte Round – 2007 Galleria il Ponte, Firenze (Italia) corda in cotone / cotton rope, 19×18×7 m ca.
Note biografiche Susanna Fabiani Mimmo Roselli nasce a Roma nel 1952 e all’età di dieci anni si trasferisce a Firenze, dove vive e lavora. Nella seconda metà degli anni Sessanta compie gli studi classici al Liceo Michelangiolo e al medesimo tempo entra nello studio dello scultore Vanni Cortecci, la cui conoscenza lo porta a dedicarsi alla pittura (mezzo tra le sue prime esperienze espressive), e alla scultura, impostando sulla tela dei paesaggi, suo grande interesse, e sviluppando il tema “Uomo e società” che sarà basilare per il suo percorso d’artista. Dagli anni Settanta – all’inizio dei quali si annovera la sua prima personale in territorio fiorentino – alla metà degli anni Ottanta, realizza la serie “Le acque - La terra” (1974-84) dove la materia pittorica si avvale di un colore molto diluito, tenue, vicino alla trasparenza, distribuito in poche pennellate attraverso stratificazioni di velature che vanno a caratterizzare la superficie, spesso nelle tonalità del rosa, azzurro e giallo dorato alla maniera del Beato Angelico e con rimandi – in quanto sensibile all’antico – alla tecnica dell’affresco di tradizione toscana. Nella seconda metà degli anni Ottanta lavora anche a Venezia, sviluppando un rapporto con la cultura orientale, relativo in particolar modo al valore del “vuoto” con la serie pittorica “Il vuoto-il pieno”: vuoto di spazio, vuoto di materia caratterizzano le sue tele dove lo stesso spazio rimanda ad un modus mentale, di potenza meditativa. Nel 1986 espone a “il Traghetto”. La mostra a Stuttgart del 1988 alla Bund Deutscher Kunstler Galerie da avvio ad un rapporto molto saldo con la cultura artistica tedesca, che riconosce fortemente la qualità della sua ricerca, la sua contemporaneità. Mette mano alla serie “Borderline” analizzando il concetto di “confine”, confine del vuoto, segno e fondo: «…quello che sta sul confine è caratterizzato da estrema instabilità e possiede una capacità, la forza del cambiamento». Per Roselli, che fa propri il pensiero di una valenza morale dell’arte, il potere ed il dove-
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re dell’artista attraverso l’arte di operare sulla “coscienza”, questi sono anni molto significativi per l’immensa esperienza umana che connota e connoterà la sua vita d’artista. Nei frequenti viaggi in Sud America (dal 1985), viene a contatto con realtà sociali marginali soprattutto Bolivia e Brasile, dove non solo espone il proprio lavoro ma anche svolge azione di volontariato e cooperazione internazionale. Sia in America che in Italia si dedica alla pittura murale, operando insieme a collettività di persone in maniera interattiva, rendendosi promotore di un messaggio sociale con la creazione e fruizione della stessa opera artistica. È da ricordare il suo lavoro presso una delle Comunità Guaranì in Bolivia (1988) con “Ascensione”; presso la Comunità della favela di S. Marta, a Rio de Janeiro (Brasile, 1991) con “Por uma favela”; in Italia presso la Comunità di anziani a Villa Solaria a Sesto Fiorentino (Firenze, 1992) con “Flussi d’incontro”. Roselli da sempre si confronta internazionalmente con le più disparate comunità e culture, viaggiando per il desiderio di dialogo e scambio, cercando di penetrare in profondità stili e valori. Le sue attività e pratiche artistiche nelle favelas brasiliane ne sono prova, mirate come sono a stabilire delle relazioni, a mostrare delle strade, dei possibili percorsi. Gli anni ’90 lo vedono dedicarsi con continuità alla realizzazione di una serie di esposizioni che hanno luogo non solo in Europa (Italia, Svizzera, Repubblica Ceca, Germania, anche in collaborazione con artisti come Herbert Mehler e Ivan Ouhel), ma anche negli Stati Uniti (San Francisco, Chicago, S. Monica etc,) e in America Latina – principalmente curate da Irma Arestizabal – (Bolivia, Brasile, Argentina, Venezuela). In quegli anni il suo iter d’artista si impreziosisce sempre più di progetti, di conoscenze con artisti dei più diversi paesi, di viaggi e di attività artistiche non solo pratiche ma anche teoriche. È ideatore del progetto “Artisti in viaggio”,
Biographical Notes Susanna Fabiani artisti internazionali negli studi (1994, Bagno a Ripoli/ Firenze). Si interessa molto del rapporto “Arte e Ospedale” che affronta anche in collaborazione con artisti quali Poul Gernes ed Ettore Spalletti, sia direttamente con progetti di intervento artistico, che curando simposi internazionali come quello tenutosi a Firenze nel 1998 e pubblicazioni (come il succitato virgolettato, ed. Gli Ori), e tenendo seminari e conferenze (si citi “Arte visiva e Ospedali”) in molte città americane (La Paz, New York, Buenos Aires). Negli anni più recenti si approfondisce, grazie anche a ripetuti soggiorni e mostre a New York, la sua frequentazione di artisti come Michael Goldberg, Lynn Umlauff, Robert Ryman, Taadaki Kuwaiama,etc. È presente nelle più importanti fiere d’arte (Colonia, Chicago, Basilea) e si svolgono in maniera
costante sue esposizioni personali e collettive in gallerie e Musei, fra le quali ricordiamo quelle di Monaco (Kunstbunker Tumulka, 1998-99),Buenos Aires (Centro Cultural Recoleta, 1999), Hyvinkaa (Contemporary Art Museum,1999), La Paz (Museo Nazionale di Arte, 2001), Heidelberg (Kunstverein, 2002), New York (Chelsea Art Museum, 2002), Bergamo (GAMeC, 2003), New York (Holland Tunnel, 2003), Lodz (I Biennale, 2004), New York (Kentler International Drawing Center, 2005), Berndorf /Vienna (Museum Arterra; Kunsthistorishe Museum, 2005), Praga (Galerie Bayer & Bayer e Galerie 9, 2005), Vienna (Palais Epstein, 2006), Nicosia (Artosfoundation, 2006), Tarija (Museo Francisco Miguel Marì, 2007), Firenze (Galleria il Ponte, 2007; Museo Archeologico,2007), confermando la collocazione di Mimmo Roselli nel panorama artistico internazionale.
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Mimmo Roselli was born in Rome in 1952; at the age of ten he moved to Florence, where he lives and works. In the late Sixties he attended the Liceo Michelangiolo classical secondary school, while at the same time frequenting the studio of the sculptor Vanni Cortecci. This acquaintance led him to devote himself to painting (the medium of his first expressive experiences) and sculpture, transferring to canvas his passionate interest in landscape and evolving the theme of “man and society” which was crucial to his artistic career. From the Seventies – in the early years of which he had his first one-man show in the Florentine territory – to the mid Eighties he produced the cycle “Le acque - La terra” (Waters-Earth) (1974-84) where the pictorial matter featured a highly dilute and delicate colour verging on the transparent, distributed in just a few brushstrokes through stratifications of glaze that characterise the surface, often in shades of pink, blue and golden yellow, in the manner of Beato Angelico and referring back – being sensitive to the antique – to the fresco technique of Tuscan tradition. In the second half of the Eighties he also worked in Venice, developing a relationship with oriental culture, particularly in relation to the significance of the “void”, in the pictorial cycle “Il vuoto-il pieno” (Empty-Full): voids of space and voids of matter characterise his paintings, where the space itself refers back to a mental mode of meditative potency. In 1986 he displayed at “il Traghetto”. The exhibition at the Bund Deutscher Kunstler Galerie in Stuttgart in 1988 launched a close-knit relation with the German artistic culture that distinctly appreciated the quality of his research and its contemporary quality. He set to work on the “Borderline” cycle, analysing the concept of border, the borderline of the void, sign and background: “…what exists on the borderline is characterised by extreme instability and possesses the capacity, the force of change”.
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For Roselli, who assumed the concept of a moral valency in art, the artist’s capacity and duty to work upon “conscience” through art, these were highly significant years for the immense human experience which has always marked his life as an artist. In his frequent journeys to South America (from 1985) he has come into contact with marginal social realities, especially in Bolivia and Brazil, where he not only displays his art but also performs voluntary work and actions of international co-operation. In both America and Italy he also devotes himself to mural painting, working in an interactive manner with groups of people, and making himself the spokesman for a social message through the creation and exploitation of the artistic work itself. We ought to mention his work at one of the Guaranì communities in Bolivia (1988) with the “Ascensione” (Ascension); and in the community of the Favela of Santa Marta, in Rio de Janeiro (Brazil, 1991) with “Por uma favela”; in Italy at the community of senior citizens in Villa Solaria in Sesto Fiorentino (Florence, 1992) with “Flussi d’incontro” (Flows of meeting). Roselli has always measured himself at international level with the most diverse communities and cultures, travelling for the love of dialogue and exchange, seeking to probe the depths of different styles and values. His activities and artistic endeavours in the Brazilian favelas are proof of this, aimed as they are at establishing relations, pointing up paths and possible routes. The 90s found him devoting himself with constancy to the realisation of a series of shows that took place not only in Europe (Italy, Switzerland, the Czech Republic and Germany, also in collaboration with other artists such as Herbert Mehler and Ivan Ouhel), but also in the United States (San Francisco, Chicago, Santa Monica etc.) and in Latin America – mostly curated by Irma Arestizabal – (Bolivia, Brazil, Argentina, Venezuela). In these years his artistic progress was increasingly enhanced by projects, acquaintance with
artists from other countries, travels and artistic activities that were not only practical, but also theoretical. He conceived the project “Artisti in viaggio” (Artists on Tour), international artists in the studios (1994, Bagno a Ripoli/ Florence). He also became increasingly engaged with the “Arte e Ospedale” (Art and Hospital) relationship, which he explored also in collaboration with artists such as Poul Gernes and Ettore Spalletti, both directly through projects of artistic intervention, and by curating international symposia such as that held in Florence in 1998, and publications (such as that cited above published by Gli Ori), and holding seminars and conferences (for example, “Arte visiva e Ospedali” (Visual Arts and Hospitals) in many American cities (La Paz, New York, Buenos Aires). In more recent years, as a result of repeated sojourns and shows in New York, he has also intensified his frequentation of artists such as Michael Goldberg, Lynn Umlauff, Robert Ryman, Taadaki Kuwaiama, etc.
He is present at the most important art fairs (Cologne, Chicago, Basle) and has had a constant stream of one-man and collective shows in galleries and museums, among which we would mention those of Munich (Kunstbunker Tumulka, 1998-99),Buenos Aires (Centro Cultural Recoleta, 1999), Hyvinkaa (Contemporary Art Museum,1999), La Paz (Museo Nazionale di Arte, 2001), Heidelberg (Kunstverein, 2002), New York (Chelsea Art Museum, 2002), Bergamo (GAMeC, 2003), New York (Holland Tunnel, 2003), Lodz (I Biennale, 2004), New York (Kentler International Drawing Center, 2005), Berndorf /Vienna (Museum Arterra; Kunsthistorishe Museum, 2005), Prague (Galerie Bayer & Bayer and Galerie 9, 2005), Vienna (Palais Epstein, 2006), Nicosia (Artosfoundation, 2006), Tarija (Museo Francisco Miguel Marì, 2007), Florence (Galleria il Ponte, 2007; Museo Archeologico,2007), which confirm the position of Mimmo Roselli on the international art scene.
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Questo volume a cura di Andrea Alibrandi è stato stampato dalla Tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera, per i tipi delle Edizioni “Il Ponte” Firenze Finito di stampare a Firenze nel maggio duemilasette