Paolo Gaspari Rileggiamo la Grande Guerra ASSOCIAZIONE CULTURALE CLIO
In collaborazione con L’UFFICIO STORICO DELL’ESERCITO ITALIANO
LE BUGIE DI CAPORETTO La fine della memoria dannata
Autorizzazione alla pubblicazione di documenti e mappe dell’Ufficio Storico dello S.M.E. Prot. n. 4220 cod. id. Stor1 Ind. cl. 12.4
Progetto grafico Giovanna Durì Copertina Alfredo Mardero Impaginazione Raffaella De Reggi
Copyright © 2011 Gaspari editore via Vittorio Veneto 49 - 33100 Udine tel. (39) 0432 512 567 tel/fax (39) 0432 505 907 www.gasparieditore.it e-mail: info@gasparieditore.it ISBN 88-7541-179-4
Prefazione di Giorgio Rochat
Paolo Gaspari Rileggiamo la Grande Guerra ASSOCIAZIONE CULTURALE CLIO
In collaborazione con L’UFFICIO STORICO DELL’ESERCITO ITALIANO
LE BUGIE DI CAPORETTO La fine della memoria dannata
Autorizzazione alla pubblicazione di documenti e mappe dell’Ufficio Storico dello S.M.E. Prot. n. 4220 cod. id. Stor1 Ind. cl. 12.4
Progetto grafico Giovanna Durì Copertina Alfredo Mardero Impaginazione Raffaella De Reggi
Copyright © 2011 Gaspari editore via Vittorio Veneto 49 - 33100 Udine tel. (39) 0432 512 567 tel/fax (39) 0432 505 907 www.gasparieditore.it e-mail: info@gasparieditore.it ISBN 88-7541-179-4
Prefazione di Giorgio Rochat
Chi sa combattere è degno di libertà Piero Gobetti I popoli che si fanno vincere nei campi di battaglia, sono i medesimi che si sono già fatti vincitori in quelli del pensiero e della cultura Benedetto Croce Poche cose come il comportamento in guerra contribuiscono a formare l’immagine di un paese non solo agli occhi degli altri, ma anche ai suoi propri Ernesto Galli della Loggia Nella logica formale una contraddizione è il segno di una sconfitta, ma nell’evoluzione della vera conoscenza è il primo passo verso la vittoria A.N. Whitehead Negli insuccessi soprattutto si mostra il vero valore intrinseco di una truppa, dal comandante fino all’ultimo uomo Regolamento tedesco sull’impiego delle grandi unità in guerra Nonostante i chiari ammonimenti della storia, è consuetudine generale di ammettere la superiorità di alcuni eserciti e di alcuni popoli su altri; superiorità militare non nel senso di migliore organizzazione, quale esiste in realtà e che può essere transitoria, ma come superiorità di razza Generale Adriano Alberti Finita la colazione, ispezione ai reggimenti 119 e 121: magnifiche condizioni, splendido materiale umano, nessun paragone possibile con gli slesiani Generale Otto von Below Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito interrogativa tanto in uso presso gli Apuli Carlo Emilio Gadda
Chi sa combattere è degno di libertà Piero Gobetti I popoli che si fanno vincere nei campi di battaglia, sono i medesimi che si sono già fatti vincitori in quelli del pensiero e della cultura Benedetto Croce Poche cose come il comportamento in guerra contribuiscono a formare l’immagine di un paese non solo agli occhi degli altri, ma anche ai suoi propri Ernesto Galli della Loggia Nella logica formale una contraddizione è il segno di una sconfitta, ma nell’evoluzione della vera conoscenza è il primo passo verso la vittoria A.N. Whitehead Negli insuccessi soprattutto si mostra il vero valore intrinseco di una truppa, dal comandante fino all’ultimo uomo Regolamento tedesco sull’impiego delle grandi unità in guerra Nonostante i chiari ammonimenti della storia, è consuetudine generale di ammettere la superiorità di alcuni eserciti e di alcuni popoli su altri; superiorità militare non nel senso di migliore organizzazione, quale esiste in realtà e che può essere transitoria, ma come superiorità di razza Generale Adriano Alberti Finita la colazione, ispezione ai reggimenti 119 e 121: magnifiche condizioni, splendido materiale umano, nessun paragone possibile con gli slesiani Generale Otto von Below Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito interrogativa tanto in uso presso gli Apuli Carlo Emilio Gadda
Indice
Ringraziamenti Un libro è un incrocio tra un viaggio e una creazione, per cui ci sono persone che mi hanno accompagnato e persone che mi hanno fornito, anche inconsapevolmente, degli appigli. Le persone sono tante. Ci sono quelle che mi hanno facilitato la ricerca nell’Archivio storico dello Stato Maggiore, ci sono gli autori della mia Casa editrice con i quali sono in continuo dialogo storiografico e progettuale, ci sono gli amici che hanno letto le bozze e che mi hanno segnalato gli eccessi e gli spigoli, quelli che mi hanno accompagnato sui luoghi della battaglia, quelli che mi hanno dato foto, documenti e precisazioni anedottiche anche minime. Li ringrazio tutti, e particolarmente: Anna Li Volsi Cursi, Lia Di Trapani, Giovanna Zincone, Giuliana Variola, Guido Alliney, Ezio Anzanello, Gianluca Badoglio, Marco Balbi, Giorgio Banchig, Romano Burelli, Lorenzo Cadeddu, Gabriele Cianci, Marco Cioffi, Zeliko Cimpric, Roberto Di Rosa, Alessandro Gionfrida, Mitja Juren, Jacopo Lorenzini, Marco Mantini, Luigi Michelini di San Martino, Alberto Monticone, Mauro Passarin, Nicola Persegati, Paolo Pizzamus, Paolo Pozzato, Claudio Rigon, Giorgio Rochat, Giorgio Seccia, Paolo Scandaletti, Silvo Stok, Claudio Zannier, Antonino Zarcone.
Prefazione di Giorgio Rochat Le nuove fonti per la storia militare italiana Introduzione
15 21 31
Capitolo 1°. L’offensiva annunciata
39
Capitolo 2°. La triade Stato, esercito e popolo secondo Cadorna 1. Cadorna 2. Il popolo 3. Lo Stato 4. L’esercito Note
43 51 54 59
Capitolo 3°. I generali italiani 1. Il generale Capello 2. La resistenza sulla linea avanzata 3. Il generale Cavaciocchi 4. Il generale Badoglio 5. Il generale Montuori 6. Il generale Bongiovanni Note
71 75 79 80 85 89
Indice
Ringraziamenti Un libro è un incrocio tra un viaggio e una creazione, per cui ci sono persone che mi hanno accompagnato e persone che mi hanno fornito, anche inconsapevolmente, degli appigli. Le persone sono tante. Ci sono quelle che mi hanno facilitato la ricerca nell’Archivio storico dello Stato Maggiore, ci sono gli autori della mia Casa editrice con i quali sono in continuo dialogo storiografico e progettuale, ci sono gli amici che hanno letto le bozze e che mi hanno segnalato gli eccessi e gli spigoli, quelli che mi hanno accompagnato sui luoghi della battaglia, quelli che mi hanno dato foto, documenti e precisazioni anedottiche anche minime. Li ringrazio tutti, e particolarmente: Anna Li Volsi Cursi, Lia Di Trapani, Giovanna Zincone, Giuliana Variola, Guido Alliney, Ezio Anzanello, Gianluca Badoglio, Marco Balbi, Giorgio Banchig, Romano Burelli, Lorenzo Cadeddu, Gabriele Cianci, Marco Cioffi, Zeliko Cimpric, Roberto Di Rosa, Alessandro Gionfrida, Mitja Juren, Jacopo Lorenzini, Marco Mantini, Luigi Michelini di San Martino, Alberto Monticone, Mauro Passarin, Nicola Persegati, Paolo Pizzamus, Paolo Pozzato, Claudio Rigon, Giorgio Rochat, Giorgio Seccia, Paolo Scandaletti, Silvo Stok, Claudio Zannier, Antonino Zarcone.
Prefazione di Giorgio Rochat Le nuove fonti per la storia militare italiana Introduzione
15 21 31
Capitolo 1°. L’offensiva annunciata
39
Capitolo 2°. La triade Stato, esercito e popolo secondo Cadorna 1. Cadorna 2. Il popolo 3. Lo Stato 4. L’esercito Note
43 51 54 59
Capitolo 3°. I generali italiani 1. Il generale Capello 2. La resistenza sulla linea avanzata 3. Il generale Cavaciocchi 4. Il generale Badoglio 5. Il generale Montuori 6. Il generale Bongiovanni Note
71 75 79 80 85 89
8
Paolo Gaspari
Capitolo 4°. Il piano d’attacco tedesco 1. Fuoco e movimento 2. La qualità più nobile del comandante 3. La Relazione ufficiale austriaca e il piano di Below e Krafft 4. I generali austriaci 5. Caporetto doveva essere preso da nord 6. Il compito della 12a divisione del generale Lequis Note
97 98 99 104 109 110
Capitolo 5°. L’ambiguità di von Below e Krafft 1. L’unica divisione tedesca dell’ala destra 2. Il vero piano di sfondamento di Below e Krafft 3. Le migliori truppe tedesche poste all’ala sinistra 4. Larghezza-profondità e dispersione-concentrazione Note
115 118 119 122
Capilolo 6°. La potenza di fucoco 1. L’artiglieria 2. Le artiglierie nella conca di Tolmino: 280 contro 1.178 3. I particolari della sorpresa strategica 4. La questione delle artiglierie del corpo d’armata di Badoglio 5. La contropreparazione Note
125 126 127 129 134
Capitolo 7°. L’asse di manovra contro la 19a divisione 1. L’astuzia di von Below 2. Il fuoco di accompagnamento vicino 3. I Comandi e la provenienza delle truppe tedesche 4. L’asse di manovra della 14a armata Note
141 146 150 154
Capitolo 8°. L’aviazione italiana a Caporetto 1. La forza aerea sul fronte orientale 2. La ricognizione aerea prima del 20 ottobre 3. La ricognizione alla vigilia dell’offensiva e le forze austro germaniche 4. La situazione aerea della battaglia del 24 Note
157 160 161 164
Indice
Capitolo 9°. La sera del 23 ottobre sulle linee italiane 1. Le “conseguenze” dell’iprite sulla sinistra dell’Isonzo, davanti a Tolmino 2. Lo schieramento della brigata Spezia sullo Jeza 3. Una trincea da rifare 4. Gli alpini del colonnello Salvioni all’estremità dell’ala destra 5. A destra della 19a divisione 6. Gli ordini di Badoglio il 23, il colonnello Dainoni e la brigata Taro a Costa Raunza e a Costa Duole Note
9
167 173 177 181 187 189
Capitolo 10°. La preparazione della 19a divisione 1. Il generale Villani dall’alto dell’Albero Bello 2. L’esigua densità di difensori della 19a divisione 3. L’attacco allo Jeza del 3° Jäger del colonnello von Rango Note
193 198 199
Capitolo 11°. L’inizio della battaglia dello Jeza 1. Le armi automatiche italiane e quelle tedesche 2. Il 126° reggimento del colonnello Corso 3. Il racconto del maggiore Ronchey sullo Jeseniak 4. Il combattimento sullo Ieseniak del battaglione del cap. Gatti Il racconto del tenente Mario Carusi Il racconto del capitano Gritti La versione tedesca della presa dell’Albero Bello 5. Gli aspiranti ufficiali Note
203 206 210 218 219 223 228 231
Capitolo 12°. Lo sfondamento sulla Madonnina e Cemponi 1. All’Osservatorio del Varda vhr con il colonnello Sciarra 2. Chi sfondò la ridotta Cemponi? 3. La Madonnina del maggiore Brancatelli La difesa di un tenente di complemento 4. Dov’è il maggiore Giachino? 5. Maiores pinnas nido extendisse: la storia di Todde 6. Auribus teneo lupum: la resistenza durante il pomeriggio 7. La versione dell’attacco del gen. Krafft von Dellmensingen Note
237 247 256 263 267 271 275 277
8
Paolo Gaspari
Capitolo 4°. Il piano d’attacco tedesco 1. Fuoco e movimento 2. La qualità più nobile del comandante 3. La Relazione ufficiale austriaca e il piano di Below e Krafft 4. I generali austriaci 5. Caporetto doveva essere preso da nord 6. Il compito della 12a divisione del generale Lequis Note
97 98 99 104 109 110
Capitolo 5°. L’ambiguità di von Below e Krafft 1. L’unica divisione tedesca dell’ala destra 2. Il vero piano di sfondamento di Below e Krafft 3. Le migliori truppe tedesche poste all’ala sinistra 4. Larghezza-profondità e dispersione-concentrazione Note
115 118 119 122
Capilolo 6°. La potenza di fucoco 1. L’artiglieria 2. Le artiglierie nella conca di Tolmino: 280 contro 1.178 3. I particolari della sorpresa strategica 4. La questione delle artiglierie del corpo d’armata di Badoglio 5. La contropreparazione Note
125 126 127 129 134
Capitolo 7°. L’asse di manovra contro la 19a divisione 1. L’astuzia di von Below 2. Il fuoco di accompagnamento vicino 3. I Comandi e la provenienza delle truppe tedesche 4. L’asse di manovra della 14a armata Note
141 146 150 154
Capitolo 8°. L’aviazione italiana a Caporetto 1. La forza aerea sul fronte orientale 2. La ricognizione aerea prima del 20 ottobre 3. La ricognizione alla vigilia dell’offensiva e le forze austro germaniche 4. La situazione aerea della battaglia del 24 Note
157 160 161 164
Indice
Capitolo 9°. La sera del 23 ottobre sulle linee italiane 1. Le “conseguenze” dell’iprite sulla sinistra dell’Isonzo, davanti a Tolmino 2. Lo schieramento della brigata Spezia sullo Jeza 3. Una trincea da rifare 4. Gli alpini del colonnello Salvioni all’estremità dell’ala destra 5. A destra della 19a divisione 6. Gli ordini di Badoglio il 23, il colonnello Dainoni e la brigata Taro a Costa Raunza e a Costa Duole Note
9
167 173 177 181 187 189
Capitolo 10°. La preparazione della 19a divisione 1. Il generale Villani dall’alto dell’Albero Bello 2. L’esigua densità di difensori della 19a divisione 3. L’attacco allo Jeza del 3° Jäger del colonnello von Rango Note
193 198 199
Capitolo 11°. L’inizio della battaglia dello Jeza 1. Le armi automatiche italiane e quelle tedesche 2. Il 126° reggimento del colonnello Corso 3. Il racconto del maggiore Ronchey sullo Jeseniak 4. Il combattimento sullo Ieseniak del battaglione del cap. Gatti Il racconto del tenente Mario Carusi Il racconto del capitano Gritti La versione tedesca della presa dell’Albero Bello 5. Gli aspiranti ufficiali Note
203 206 210 218 219 223 228 231
Capitolo 12°. Lo sfondamento sulla Madonnina e Cemponi 1. All’Osservatorio del Varda vhr con il colonnello Sciarra 2. Chi sfondò la ridotta Cemponi? 3. La Madonnina del maggiore Brancatelli La difesa di un tenente di complemento 4. Dov’è il maggiore Giachino? 5. Maiores pinnas nido extendisse: la storia di Todde 6. Auribus teneo lupum: la resistenza durante il pomeriggio 7. La versione dell’attacco del gen. Krafft von Dellmensingen Note
237 247 256 263 267 271 275 277
10
Paolo Gaspari
Capitolo 13°. Le resistenza degli alpini del colonnello Salvioni 1. Il colonnello Salvioni e il X Gruppo alpino contro le truppe da montagna austro ungariche 2. L’attacco 3. Il contrattacco del capitano Feltrinelli e del capitano Miglio 4. Una montagna per un battaglione 5. Il combattimento dell’estrema ala destra della 19a divisione 6. L’attacco al Cukli e gli obici da 149 7. Gli alpini del Vicenza e il capitano Ermanno 8. La versione austro-tedesca dell’attacco allo Zible-Krad 9. La resistibile avanzata dell’ala marciante della 14a armata Note Capitolo 14°. Può esistere l’onore collettivo senza quello degli individui? 1. Il reggimento bavarese della Guardia punta di lancia dell’Alpenkorps sul Kolovrat 2. Lo schieramento della brigata Taro 3. Il racconto del colonnello Danioni 4. L’attacco tedesco e la difesa italiana a Costa Duole 5. La difesa italiana a Costa Raunza 6. Il Württembergisches Gebirgsbataillon e la leggenda di Rommel 7. Il ritiro delle mitragliatrici sulla riva destra dell’Isonzo 8. L’occasione perduta dal Leib-Regiment la sera del 24 9. Il colonnello Maggia comandante della brigata fantasma 10. I combattimenti sul Monte Piatto Note Capitolo 15°. I combattimenti sul fronte di Plezzo e sul Monte Nero 1. Il generale Arrighi e la brigata Friuli 2. L’attacco con i gas e la difesa italiana Note Capitolo 16°. La sorpresa dello sfondamento a Caporetto 1. L’obiettivo della 12a divisione slesiana 2. Il fuoco delle batterie italiane 3. Il destino del capitano Maio e della 1035a compagnia mitragliatrici 4. Le forze contrapposte sulla sinistra dell’Isonzo Note
289 291 297 301 303 309 310 313 320
325 330 333 341 344 353 362 366 368 378
387 393
403 408 409 413
Indice
11
Capitolo 17°. Lo sfondamento lungo le due rive dell’Isonzo 1. Il fortino Teresa e il fortino Uberta 2. Il colonnello Offredi e il suo Stato Maggiore a Volarje 3. La resistenza italiana sul rio Gabrje 4. La resistenza dei sottotenenti della 1a compagnia del 156° 5. L’irresistibile avanzata “a valanga” sulla destra del fiume 6. Il combattimento sul Vodil del battaglione De Rosa 7. L’attacco alla Caltanissetta sul Mrzli Il racconto del maggiore Van den Heuvel Note
419 422 425 429 433 435 444 457
Capitolo 18°. La seconda linea italiana di Selisce 1. L’attacco alla seconda linea di Selisce 2. L’inchiesta del generale Ragni sui cinque reggimenti della 46a divisione 3. Il colonnello Bruno e il combattimento di Selisce 4. La scelta del colonnello Bruno 5. La disperata difesa del II/156° del maggiore Fazzini 6. Gli ufficiali subalterni dell’Alessandria 7. Il combattimento di Kamno Note
465 468 476 485 489 493 499
Capitolo 19°. La difesa di Caporetto 1. La progressione dei reggimenti della 12a divisione nel vuoto trovato in fondovalle Isonzo 2. Idersko e l’estrema difesa di Caporetto Note Capitolo 20°. I combattimenti la sera del 24 ottobre. 1. All’ala destra della 14a armata austro germanica 2. La ritirata dal Mrzli del maggiore Van den Heuvel 3. Il colonnello Duranti a Passo Zagradan contro il distaccamento Rommel e il Leib Regiment 4. La difesa degli alpini del colonnello Salvioni all’ala destra della 19a divisione 5. L’ala sinistra austro-tedesca orientata verso Cividale Note
507 512
521 525 527 538 544
Capitolo 21°. Il combattimento sullo Jeza degli alpini del Val d’Adige la sera del 24 1. Le ultime riserve del generale Villani 549 2. Il generale Villani e il maggiore Michel 553 a 3. La 258 compagnia del tenente Bini al contrattacco 559
10
Paolo Gaspari
Capitolo 13°. Le resistenza degli alpini del colonnello Salvioni 1. Il colonnello Salvioni e il X Gruppo alpino contro le truppe da montagna austro ungariche 2. L’attacco 3. Il contrattacco del capitano Feltrinelli e del capitano Miglio 4. Una montagna per un battaglione 5. Il combattimento dell’estrema ala destra della 19a divisione 6. L’attacco al Cukli e gli obici da 149 7. Gli alpini del Vicenza e il capitano Ermanno 8. La versione austro-tedesca dell’attacco allo Zible-Krad 9. La resistibile avanzata dell’ala marciante della 14a armata Note Capitolo 14°. Può esistere l’onore collettivo senza quello degli individui? 1. Il reggimento bavarese della Guardia punta di lancia dell’Alpenkorps sul Kolovrat 2. Lo schieramento della brigata Taro 3. Il racconto del colonnello Danioni 4. L’attacco tedesco e la difesa italiana a Costa Duole 5. La difesa italiana a Costa Raunza 6. Il Württembergisches Gebirgsbataillon e la leggenda di Rommel 7. Il ritiro delle mitragliatrici sulla riva destra dell’Isonzo 8. L’occasione perduta dal Leib-Regiment la sera del 24 9. Il colonnello Maggia comandante della brigata fantasma 10. I combattimenti sul Monte Piatto Note Capitolo 15°. I combattimenti sul fronte di Plezzo e sul Monte Nero 1. Il generale Arrighi e la brigata Friuli 2. L’attacco con i gas e la difesa italiana Note Capitolo 16°. La sorpresa dello sfondamento a Caporetto 1. L’obiettivo della 12a divisione slesiana 2. Il fuoco delle batterie italiane 3. Il destino del capitano Maio e della 1035a compagnia mitragliatrici 4. Le forze contrapposte sulla sinistra dell’Isonzo Note
289 291 297 301 303 309 310 313 320
325 330 333 341 344 353 362 366 368 378
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Capitolo 17°. Lo sfondamento lungo le due rive dell’Isonzo 1. Il fortino Teresa e il fortino Uberta 2. Il colonnello Offredi e il suo Stato Maggiore a Volarje 3. La resistenza italiana sul rio Gabrje 4. La resistenza dei sottotenenti della 1a compagnia del 156° 5. L’irresistibile avanzata “a valanga” sulla destra del fiume 6. Il combattimento sul Vodil del battaglione De Rosa 7. L’attacco alla Caltanissetta sul Mrzli Il racconto del maggiore Van den Heuvel Note
419 422 425 429 433 435 444 457
Capitolo 18°. La seconda linea italiana di Selisce 1. L’attacco alla seconda linea di Selisce 2. L’inchiesta del generale Ragni sui cinque reggimenti della 46a divisione 3. Il colonnello Bruno e il combattimento di Selisce 4. La scelta del colonnello Bruno 5. La disperata difesa del II/156° del maggiore Fazzini 6. Gli ufficiali subalterni dell’Alessandria 7. Il combattimento di Kamno Note
465 468 476 485 489 493 499
Capitolo 19°. La difesa di Caporetto 1. La progressione dei reggimenti della 12a divisione nel vuoto trovato in fondovalle Isonzo 2. Idersko e l’estrema difesa di Caporetto Note Capitolo 20°. I combattimenti la sera del 24 ottobre. 1. All’ala destra della 14a armata austro germanica 2. La ritirata dal Mrzli del maggiore Van den Heuvel 3. Il colonnello Duranti a Passo Zagradan contro il distaccamento Rommel e il Leib Regiment 4. La difesa degli alpini del colonnello Salvioni all’ala destra della 19a divisione 5. L’ala sinistra austro-tedesca orientata verso Cividale Note
507 512
521 525 527 538 544
Capitolo 21°. Il combattimento sullo Jeza degli alpini del Val d’Adige la sera del 24 1. Le ultime riserve del generale Villani 549 2. Il generale Villani e il maggiore Michel 553 a 3. La 258 compagnia del tenente Bini al contrattacco 559
12
4. La difesa notturna dello Jeza dell’aspirante Barucchi 5. Un generale sconfitto, il suicidio di Villani 6. Il Comando Supremo e il comando della 2a armata Note Capitolo 22°. Pro domo teutonica 1. Il generale Berrer di Riga 2. Berrer a Tolmino 3. Riga e Tannenberg: la manovra per ala 4. L’evoluzione tattica tedesca 5. Da Riga a Caporetto: la dotazione dele mitragliatrici individuali La forza del prestigio dei generali tedeschi Note Capitolo 23°. Das grosse tief Heucheln (la Grande Dissimulazione) 1. Die Teutonisch Lüge e l’auto denigrazione italica 2. Le contraddizioni del Diario di Otto von Below e della ricostruzione storica di Konrad Krafft von Dellmensingen Note Capitolo 24°. La nascita e la fine della leggenda di Caporetto 1. Il fiato corto della 12a divisione slesiana 2. Il camuffamento e una facile vittoria senza onore 3. L’uscita di scena della 12a divisione 4. Le due facce della leggenda di Caporetto 5. Il tenente generale Montuori a Caporetto 6. La passeggiata tedesca secondo Montuori e il procedimento parallelo degli Stati Maggiori tedesco e italiano 7. La fine della leggenda di Caporetto o finis damnatio memoriae 8. Il movimento socialista e la guerra 9. Ironia della storia e forza della memoria 10. Niente fatti, niente eroi, niente patriottismo, niente orgoglio 11. Fare di una sconfitta un epos Note Le forze contrapposte tra Plezzo e Tolmino il 24 ottobre 1917 Toponomastica a confronto Abbreviazioni Glossario Indice dei nomi
Paolo Gaspari
562 566 570
577 580 581 586 590 595
601 605
613 616 621 623 626 633 635 641 648 653 655
663 673 674 675 681
A Valentina
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4. La difesa notturna dello Jeza dell’aspirante Barucchi 5. Un generale sconfitto, il suicidio di Villani 6. Il Comando Supremo e il comando della 2a armata Note Capitolo 22°. Pro domo teutonica 1. Il generale Berrer di Riga 2. Berrer a Tolmino 3. Riga e Tannenberg: la manovra per ala 4. L’evoluzione tattica tedesca 5. Da Riga a Caporetto: la dotazione dele mitragliatrici individuali La forza del prestigio dei generali tedeschi Note Capitolo 23°. Das grosse tief Heucheln (la Grande Dissimulazione) 1. Die Teutonisch Lüge e l’auto denigrazione italica 2. Le contraddizioni del Diario di Otto von Below e della ricostruzione storica di Konrad Krafft von Dellmensingen Note Capitolo 24°. La nascita e la fine della leggenda di Caporetto 1. Il fiato corto della 12a divisione slesiana 2. Il camuffamento e una facile vittoria senza onore 3. L’uscita di scena della 12a divisione 4. Le due facce della leggenda di Caporetto 5. Il tenente generale Montuori a Caporetto 6. La passeggiata tedesca secondo Montuori e il procedimento parallelo degli Stati Maggiori tedesco e italiano 7. La fine della leggenda di Caporetto o finis damnatio memoriae 8. Il movimento socialista e la guerra 9. Ironia della storia e forza della memoria 10. Niente fatti, niente eroi, niente patriottismo, niente orgoglio 11. Fare di una sconfitta un epos Note Le forze contrapposte tra Plezzo e Tolmino il 24 ottobre 1917 Toponomastica a confronto Abbreviazioni Glossario Indice dei nomi
Paolo Gaspari
562 566 570
577 580 581 586 590 595
601 605
613 616 621 623 626 633 635 641 648 653 655
663 673 674 675 681
A Valentina
Prefazione di Giorgio Rochat
“Alcuni reparti del IV Corpo abbandonarono posizioni importantissime senza difenderle. Cadorna a Roma, mattina del 25 ottobre”. “Circa 10 reggimenti arresisi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale combatterò fino all’ultimo. Cadorna a Roma, sera del 25 ottobre”. “…. la mancata resistenza di reparti della II Armata vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico…. Bollettino del Comando supremo di Cadorna diffuso il 27 ottobre”. “L’esercito cade non sotto i colpi del nemico esterno, ma sotto i colpi del nemico interno, per combattere il quale ho inviato al governo quattro lettere che non hanno ricevuto risposta. Cadorna a Roma. 27 ottobre”.
Queste folgoranti dichiarazioni di Cadorna non avevano alcuna base concreta. Il primo successo dell’offensiva austro-tedesca fu la distruzione dei collegamenti telefonici dalla prima linea italiana ai comandi arretrati grazie
Prefazione di Giorgio Rochat
“Alcuni reparti del IV Corpo abbandonarono posizioni importantissime senza difenderle. Cadorna a Roma, mattina del 25 ottobre”. “Circa 10 reggimenti arresisi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale combatterò fino all’ultimo. Cadorna a Roma, sera del 25 ottobre”. “…. la mancata resistenza di reparti della II Armata vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico…. Bollettino del Comando supremo di Cadorna diffuso il 27 ottobre”. “L’esercito cade non sotto i colpi del nemico esterno, ma sotto i colpi del nemico interno, per combattere il quale ho inviato al governo quattro lettere che non hanno ricevuto risposta. Cadorna a Roma. 27 ottobre”.
Queste folgoranti dichiarazioni di Cadorna non avevano alcuna base concreta. Il primo successo dell’offensiva austro-tedesca fu la distruzione dei collegamenti telefonici dalla prima linea italiana ai comandi arretrati grazie
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Paolo Gaspari
a un fuoco d’artiglieria ben preparato e efficace, cui si aggiunsero il dominio del cielo e la rapida penetrazione in profondità delle colonne attaccanti. Anche i comandanti italiani più vicini al fronte persero il contatto con le loro truppe: il caso fin troppo noto è quello di Badoglio, chi lo accusa dimentica che lo stesso accadde a tutti i comandanti di divisione e corpo d’armata, come pure a Capello e Cadorna. Per il Comando supremo era già difficile coordinare le notizie precarie e incomplete sui risultati crescenti della progressione austro-tedesca; non era però possibile avere notizie attendibili su come si erano comportate le truppe sopraffatte, se e come si erano battute. E infatti ebbero immediato corso le più diverse voci di fuga e tradimento di singole brigate, poi rivelatisi infondate. Cadorna non ebbe dubbi sin dall’inizio, non aveva bisogno di notizie attendibili sui combattimenti in corso, che il collasso del suo Servizio informazioni non gli poteva dare. La sua fu una reazione politica cui non serviva una conferma concreta, le truppe avevano tradito, lui non aveva sbagliato, la colpa era del governo. I contrasti tra alti comandi e governi furono una costante in tutte le nazioni in guerra, ma nessun comandante come Cadorna giunse a assumere un atteggiamento così critico verso il suo governo, fino a attribuirgli prima l’insuccesso delle grandi offensive dell’estate 1917 e poi il disastro di Caporetto. Abbiamo già citato quanto scriveva il 27 ottobre: “L’esercito cade non sotto i colpi del nemico esterno, ma sotto i colpi del nemico interno, per combattere il quale ho inviato al governo quattro lettere che non hanno ricevuto risposta”1. Al governo italiano si poteva semmai rimproverare di avere dato troppo a lungo fiducia a un generale incapace di capire la dimensione di massa della guerra e gli straordinari sacrifici che chiedeva ai soldati senza riconoscimenti, né alcuna cura per la loro dura vita in trincea. Anche in Francia ci vollero due anni per accantonare il generale Joffre dopo i suoi successi del 1914. Va comunque ricordato che dinanzi alle grandi vittorie tedesche della primavera 1918 i generali francesi e inglesi non diedero la colpa ai loro soldati. Caporetto come tradimento, “sciopero militare”, un tema dilagato tra le maglie di una censura consenziente. L’inno più noto della Grande Guerra, la Canzone del Piave, scritto alla fine dell’estate 1918, dopo la prima strofa ben conosciuta, diceva: “Ma in una notte trista / si parlò di tradimento... per l’onta consumata a Caporetto”2. Quando la censura venne meno, i movimenti popolari di protesta radicale contro la guerra e la dura gestione di Cadorna non durarono oltre l’estate 1919; poi s’impose la soluzione sugge-
Prefazione
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rita dalla Commissione d’inchiesta su Caporetto: non più tradimento, ma Caporetto come cedimento delle truppe dovuto alla loro stanchezza, al malgoverno che ne avevano fatto i comandi, uno sfruttamento eccessivo senza un’adeguata cura delle loro esigenze. Nessuna indagine sulla battaglia, né sulle ragioni del successo nemico. Soltanto cedimenti parziali, presto riscattati dalla riscossa sul Piave e sul Grappa, poi dalle vittoriose battaglie del 1918. Una versione politica varata dal presidente Nitti nel settembre 19193 e poi rimasta indiscussa per decenni, con critiche minori e la consacrazione patriottica del regime fascista tra grandi monumenti e cerimonie di massa. Nessuna possibilità di ricerche scientifiche, gli archivi militari restavano chiusi4 e la dignitosa Relazione ufficiale dell’esercito, edita in molte diecine di volumi, si interruppe negli anni Trenta dinanzi a Caporetto, il volume sulla rotta fu pubblicato nel 1967 senza grandi novità. Rimasero soltanto le polemiche tra i grandi generali, in particolare Badoglio pagò la fortunata carriera che aveva fatto con Diaz e poi con Mussolini con accuse unilaterali e eccessive sul suo ruolo a Caporetto. Anche gli studi di Pieri e Bencivenga su Caporetto degli anni Trenta, poco conosciuti perché rifiutavano la retorica del regime, affrontavano la battaglia con maggiore respiro, con attenzione alla dimensione complessiva, ma restavano ancorati all’analisi dell’offensiva e poi della rotta, senza poter approfondire il comportamento delle truppe5. Infine il primo studio specifico dopo la fine del regime fascista, La battaglia di Caporetto di Alberto Monticone del 19556, forniva una ricostruzione dettagliata della battaglia, ancora oggi fondamentale, doveva riconoscere che le fonti disponibili non erano sufficienti per le prime giornate, ma escludeva “nel modo più assoluto un fenomeno di sciopero militare o comunque di mancata resistenza delle truppe”. La critica più recente, diceva, “è pienamente concorde nel ritenere pura leggenda una simile interpretazione”. Il dibattito sulla Grande Guerra si riaprì alla fine degli anni Sessanta con i volumi dirompenti di Forcella e Monticone sulla giustizia militare e di Mario Isnenghi sulla cultura della guerra7, un nuovo clima politico che rimetteva in discussione le certezze patriottiche tradizionali (basti citare la ri-scoperta della prigionia di 600.000 militari italiani8) e poi la progressiva apertura degli archivi militari, quello centrale dell’Ufficio storico dell’esercito, ma anche nuovi archivi locali e personali. E nei decenni successivi il ricupero progressivo della storiografia austriaca, con la traduzione di testi settoriali e una nuova collaborazione tra studiosi italiani, austriaci, tedeschi
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Paolo Gaspari
a un fuoco d’artiglieria ben preparato e efficace, cui si aggiunsero il dominio del cielo e la rapida penetrazione in profondità delle colonne attaccanti. Anche i comandanti italiani più vicini al fronte persero il contatto con le loro truppe: il caso fin troppo noto è quello di Badoglio, chi lo accusa dimentica che lo stesso accadde a tutti i comandanti di divisione e corpo d’armata, come pure a Capello e Cadorna. Per il Comando supremo era già difficile coordinare le notizie precarie e incomplete sui risultati crescenti della progressione austro-tedesca; non era però possibile avere notizie attendibili su come si erano comportate le truppe sopraffatte, se e come si erano battute. E infatti ebbero immediato corso le più diverse voci di fuga e tradimento di singole brigate, poi rivelatisi infondate. Cadorna non ebbe dubbi sin dall’inizio, non aveva bisogno di notizie attendibili sui combattimenti in corso, che il collasso del suo Servizio informazioni non gli poteva dare. La sua fu una reazione politica cui non serviva una conferma concreta, le truppe avevano tradito, lui non aveva sbagliato, la colpa era del governo. I contrasti tra alti comandi e governi furono una costante in tutte le nazioni in guerra, ma nessun comandante come Cadorna giunse a assumere un atteggiamento così critico verso il suo governo, fino a attribuirgli prima l’insuccesso delle grandi offensive dell’estate 1917 e poi il disastro di Caporetto. Abbiamo già citato quanto scriveva il 27 ottobre: “L’esercito cade non sotto i colpi del nemico esterno, ma sotto i colpi del nemico interno, per combattere il quale ho inviato al governo quattro lettere che non hanno ricevuto risposta”1. Al governo italiano si poteva semmai rimproverare di avere dato troppo a lungo fiducia a un generale incapace di capire la dimensione di massa della guerra e gli straordinari sacrifici che chiedeva ai soldati senza riconoscimenti, né alcuna cura per la loro dura vita in trincea. Anche in Francia ci vollero due anni per accantonare il generale Joffre dopo i suoi successi del 1914. Va comunque ricordato che dinanzi alle grandi vittorie tedesche della primavera 1918 i generali francesi e inglesi non diedero la colpa ai loro soldati. Caporetto come tradimento, “sciopero militare”, un tema dilagato tra le maglie di una censura consenziente. L’inno più noto della Grande Guerra, la Canzone del Piave, scritto alla fine dell’estate 1918, dopo la prima strofa ben conosciuta, diceva: “Ma in una notte trista / si parlò di tradimento... per l’onta consumata a Caporetto”2. Quando la censura venne meno, i movimenti popolari di protesta radicale contro la guerra e la dura gestione di Cadorna non durarono oltre l’estate 1919; poi s’impose la soluzione sugge-
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rita dalla Commissione d’inchiesta su Caporetto: non più tradimento, ma Caporetto come cedimento delle truppe dovuto alla loro stanchezza, al malgoverno che ne avevano fatto i comandi, uno sfruttamento eccessivo senza un’adeguata cura delle loro esigenze. Nessuna indagine sulla battaglia, né sulle ragioni del successo nemico. Soltanto cedimenti parziali, presto riscattati dalla riscossa sul Piave e sul Grappa, poi dalle vittoriose battaglie del 1918. Una versione politica varata dal presidente Nitti nel settembre 19193 e poi rimasta indiscussa per decenni, con critiche minori e la consacrazione patriottica del regime fascista tra grandi monumenti e cerimonie di massa. Nessuna possibilità di ricerche scientifiche, gli archivi militari restavano chiusi4 e la dignitosa Relazione ufficiale dell’esercito, edita in molte diecine di volumi, si interruppe negli anni Trenta dinanzi a Caporetto, il volume sulla rotta fu pubblicato nel 1967 senza grandi novità. Rimasero soltanto le polemiche tra i grandi generali, in particolare Badoglio pagò la fortunata carriera che aveva fatto con Diaz e poi con Mussolini con accuse unilaterali e eccessive sul suo ruolo a Caporetto. Anche gli studi di Pieri e Bencivenga su Caporetto degli anni Trenta, poco conosciuti perché rifiutavano la retorica del regime, affrontavano la battaglia con maggiore respiro, con attenzione alla dimensione complessiva, ma restavano ancorati all’analisi dell’offensiva e poi della rotta, senza poter approfondire il comportamento delle truppe5. Infine il primo studio specifico dopo la fine del regime fascista, La battaglia di Caporetto di Alberto Monticone del 19556, forniva una ricostruzione dettagliata della battaglia, ancora oggi fondamentale, doveva riconoscere che le fonti disponibili non erano sufficienti per le prime giornate, ma escludeva “nel modo più assoluto un fenomeno di sciopero militare o comunque di mancata resistenza delle truppe”. La critica più recente, diceva, “è pienamente concorde nel ritenere pura leggenda una simile interpretazione”. Il dibattito sulla Grande Guerra si riaprì alla fine degli anni Sessanta con i volumi dirompenti di Forcella e Monticone sulla giustizia militare e di Mario Isnenghi sulla cultura della guerra7, un nuovo clima politico che rimetteva in discussione le certezze patriottiche tradizionali (basti citare la ri-scoperta della prigionia di 600.000 militari italiani8) e poi la progressiva apertura degli archivi militari, quello centrale dell’Ufficio storico dell’esercito, ma anche nuovi archivi locali e personali. E nei decenni successivi il ricupero progressivo della storiografia austriaca, con la traduzione di testi settoriali e una nuova collaborazione tra studiosi italiani, austriaci, tedeschi
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Paolo Gaspari
e sloveni. Rinviamo alla brillante sintesi di Labanca e al volume complessivo di Isnenghi e Rochat9. E però Caporetto rimane un tema spesso affrontato con pregiudizi e superficialità dagli storici italiani non specialisti e ancor più da quelli stranieri, che hanno poco interesse per la guerra italiana, molti continuano a parlare di Caporetto come disastro sulla base di due soli testi, il grande romanzo storico di Hemingway, Addio alle armi10 e le memorie sul campo del tenente Rommel11. Uno storico illustre delle due guerre mondiali, John Keegan, ha scritto su Caporetto pagine vergognose per sciattezza12, purtroppo non è affatto l’unico. Sull’altro versante, il rinnovamento degli studi sulla guerra italiana non si estendeva alla sua dimensione militare, i nuovi apporti settoriali restavano limitati a un ambito nazionale. E infatti manca tuttora uno studio comparato del successo austro-tedesco di Caporetto con le grandi offensive tedesche del 1918 in Francia, gli straordinari successi conseguiti con le stesse tecniche di Caporetto. Caporetto dibattito sempre aperto. In questo volume Paolo Gaspari riparte quasi da zero, con la ricostruzione dettagliata dei primi due giorni della battaglia, lo sfondamento in profondità dell’offensiva austro-tedesca che determinò la crisi dello schieramento italiano e poi la rotta. Combattimenti di cui poco o nulla seppero i comandi italiani, abbiamo già detto del collasso delle comunicazioni, né maggiori notizie avevano gli studiosi successivi, salvo studi settoriali. Il merito di Gaspari è di utilizzare due fonti di grande ricchezza. Prima le testimonianze raccolte dalla Commissione d’inchiesta su Caporetto, finora poco valorizzate. E soprattutto le deposizioni degli ufficiali reduci dalla prigionia, una novità assoluta. L’esercito e il governo avevano ben poco interesse per i militari caduti in prigionia, lasciati senza assistenza, in condizioni che ne favorirono l’elevata mortalità, denunciata nel 1993 da Giovanna Procacci. Secondo le regole del tempo, all’esercito interessava soltanto il comportamento degli ufficiali al momento della resa; quando costoro rientravano dalla prigionia dovevano redigere una relazione dettagliata sulle circostanze della loro cattura, con un quadro della situazione, le forze in campo, i combattimenti e quanto altro valesse a chiarire il loro comportamento e giustificare la resa. Una documentazione di prima mano finora ignorata, difensiva, ma controllabile (le relazioni si incrociano), quindi largamente attendibile e ricca di particolari. Una fonte ritrovata da Gaspari nell’archivio dell’Ufficio storico dell’esercito, che gli permette di darci una nuova ricostruzione dello sfonda-
Prefazione
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mento austro-tedesco, i due primi e decisivi giorni della battaglia, che fa giustizia di leggende infamanti e polemiche pretestuose. Un grande salto di qualità. Caporetto rivisitata e ricostruita dal basso sulle testimonianze dei comandanti delle truppe travolte. Che non tradirono, né rifiutarono di combattere, fecero quanto permettevano il loro addestramento e le posizioni infelici su cui erano schierate. Furono sopraffatte dalle nuove tecniche offensive austro-tedesche, che i comandi italiani non avevano saputo prevedere e contrastare. Lo stesso accadde alle truppe anglo-francesi travolte dalle grandi offensive tedesche della primavera 1918, un disastro addebitato ai comandi, senza accuse di tradimento o scarsa combattività alle truppe. Una nota che ripeto ancora una volta, continua a farmi male la scelta di Cadorna di accusare le sue truppe di disfattismo e tradimento. Un comandante dovrebbe assumersi la responsabilità anche delle disfatte, non soltanto la gloria dei successi. Caporetto come battaglia persa nei primi due giorni, lo sfondamento austro-tedesco finalmente documentato da Gaspari. Che non poté essere contenuto né arrestato per ragioni note che sono ripercorse nel volume: la proiezione offensiva dello schieramento italiano, il collasso dei comandi, la mancanza di riserve, infine il rilievo montuoso del campo di battaglia che permetteva alle truppe austro-tedesche di prendere alle spalle lo schieramento italiano. E infatti Caporetto come battaglia non si arresta qui, prosegue nel disastro della ritirata e poi nella vittoriosa battaglia d’arresto sul Piave e sul Grappa. Caporetto sotto una luce nuova, la fine della leggenda delle ragioni politiche della sconfitta diffusa e strumentalizzata nei decenni successi con molte varianti. Caporetto come sconfitta militare di grande portata, ma non diversa per comportamento delle truppe dalle tante altre battaglie della guerra. Grazie a Paolo Gaspari per averlo documentato.
NOTE ALLA PREFAZIONE 1.
Secondo tradizione, l’alto comando degli eserciti in guerra fu denominato Gran Quartiere Generale, o formule equivalenti. Soltanto Cadorna scelse la denominazione di Comando Supremo, senza riguardo al re, comandante supremo di esercito e marina, né al governo, che aveva la responsabilità della guerra dinanzi al paese. Non è necessario ricordare che Cadorna non aveva alcun titolo per criticare la politica interna del governo con le quattro lettere citate, né per rifiutare ogni controllo del suo operato, anche con gesti insultanti come il divieto al ministro Bissolati di entrare nella zona di guerra.
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e sloveni. Rinviamo alla brillante sintesi di Labanca e al volume complessivo di Isnenghi e Rochat9. E però Caporetto rimane un tema spesso affrontato con pregiudizi e superficialità dagli storici italiani non specialisti e ancor più da quelli stranieri, che hanno poco interesse per la guerra italiana, molti continuano a parlare di Caporetto come disastro sulla base di due soli testi, il grande romanzo storico di Hemingway, Addio alle armi10 e le memorie sul campo del tenente Rommel11. Uno storico illustre delle due guerre mondiali, John Keegan, ha scritto su Caporetto pagine vergognose per sciattezza12, purtroppo non è affatto l’unico. Sull’altro versante, il rinnovamento degli studi sulla guerra italiana non si estendeva alla sua dimensione militare, i nuovi apporti settoriali restavano limitati a un ambito nazionale. E infatti manca tuttora uno studio comparato del successo austro-tedesco di Caporetto con le grandi offensive tedesche del 1918 in Francia, gli straordinari successi conseguiti con le stesse tecniche di Caporetto. Caporetto dibattito sempre aperto. In questo volume Paolo Gaspari riparte quasi da zero, con la ricostruzione dettagliata dei primi due giorni della battaglia, lo sfondamento in profondità dell’offensiva austro-tedesca che determinò la crisi dello schieramento italiano e poi la rotta. Combattimenti di cui poco o nulla seppero i comandi italiani, abbiamo già detto del collasso delle comunicazioni, né maggiori notizie avevano gli studiosi successivi, salvo studi settoriali. Il merito di Gaspari è di utilizzare due fonti di grande ricchezza. Prima le testimonianze raccolte dalla Commissione d’inchiesta su Caporetto, finora poco valorizzate. E soprattutto le deposizioni degli ufficiali reduci dalla prigionia, una novità assoluta. L’esercito e il governo avevano ben poco interesse per i militari caduti in prigionia, lasciati senza assistenza, in condizioni che ne favorirono l’elevata mortalità, denunciata nel 1993 da Giovanna Procacci. Secondo le regole del tempo, all’esercito interessava soltanto il comportamento degli ufficiali al momento della resa; quando costoro rientravano dalla prigionia dovevano redigere una relazione dettagliata sulle circostanze della loro cattura, con un quadro della situazione, le forze in campo, i combattimenti e quanto altro valesse a chiarire il loro comportamento e giustificare la resa. Una documentazione di prima mano finora ignorata, difensiva, ma controllabile (le relazioni si incrociano), quindi largamente attendibile e ricca di particolari. Una fonte ritrovata da Gaspari nell’archivio dell’Ufficio storico dell’esercito, che gli permette di darci una nuova ricostruzione dello sfonda-
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mento austro-tedesco, i due primi e decisivi giorni della battaglia, che fa giustizia di leggende infamanti e polemiche pretestuose. Un grande salto di qualità. Caporetto rivisitata e ricostruita dal basso sulle testimonianze dei comandanti delle truppe travolte. Che non tradirono, né rifiutarono di combattere, fecero quanto permettevano il loro addestramento e le posizioni infelici su cui erano schierate. Furono sopraffatte dalle nuove tecniche offensive austro-tedesche, che i comandi italiani non avevano saputo prevedere e contrastare. Lo stesso accadde alle truppe anglo-francesi travolte dalle grandi offensive tedesche della primavera 1918, un disastro addebitato ai comandi, senza accuse di tradimento o scarsa combattività alle truppe. Una nota che ripeto ancora una volta, continua a farmi male la scelta di Cadorna di accusare le sue truppe di disfattismo e tradimento. Un comandante dovrebbe assumersi la responsabilità anche delle disfatte, non soltanto la gloria dei successi. Caporetto come battaglia persa nei primi due giorni, lo sfondamento austro-tedesco finalmente documentato da Gaspari. Che non poté essere contenuto né arrestato per ragioni note che sono ripercorse nel volume: la proiezione offensiva dello schieramento italiano, il collasso dei comandi, la mancanza di riserve, infine il rilievo montuoso del campo di battaglia che permetteva alle truppe austro-tedesche di prendere alle spalle lo schieramento italiano. E infatti Caporetto come battaglia non si arresta qui, prosegue nel disastro della ritirata e poi nella vittoriosa battaglia d’arresto sul Piave e sul Grappa. Caporetto sotto una luce nuova, la fine della leggenda delle ragioni politiche della sconfitta diffusa e strumentalizzata nei decenni successi con molte varianti. Caporetto come sconfitta militare di grande portata, ma non diversa per comportamento delle truppe dalle tante altre battaglie della guerra. Grazie a Paolo Gaspari per averlo documentato.
NOTE ALLA PREFAZIONE 1.
Secondo tradizione, l’alto comando degli eserciti in guerra fu denominato Gran Quartiere Generale, o formule equivalenti. Soltanto Cadorna scelse la denominazione di Comando Supremo, senza riguardo al re, comandante supremo di esercito e marina, né al governo, che aveva la responsabilità della guerra dinanzi al paese. Non è necessario ricordare che Cadorna non aveva alcun titolo per criticare la politica interna del governo con le quattro lettere citate, né per rifiutare ogni controllo del suo operato, anche con gesti insultanti come il divieto al ministro Bissolati di entrare nella zona di guerra.
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2. Nella versione successiva questi versi vennero attenuati, parlare di tradimento contrastava con l’esaltazione della Grande Guerra vittoriosa. Vedi A. V. Savona e M. L. Straniero, Canti della Grande Guerra. Garzanti, Milano 1981; e Fortunato Minniti, Il Piave, Il Mulino, Bologna 2000. E tuttavia Caporetto come “sciopero militare” dovuto all’incapacità delle gerarchie militari e del governo liberale rimase come tema ricorrente del ventennio fascista, seppure subordinato alla glorificazione ufficiale. 3. Per gli aspri dibattiti del 1919, poi il superamento delle fratture tra liberali giolittiani e interventisti e nazionalisti, con la ricomposizione del fronte patriottico, si veda Giorgio Rochat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, 1919-1925, Laterza, Bari 1967. 4. Anche per Piero Pieri, grande storico militare, autore di studi di vario taglio sulla guerra che aveva combattuto. Ne ricordo la testimonianza personale, quando volle studiare le battaglie del 1918 fu fermato da un intervento politico, “la vittoria non si discute”. 5. I contributi maggiori di Piero Pieri su Caporetto sono ristampati nel suo volume La prima guerra mondiale 1914-1918. Studi di storia militare, a cura di Giorgio Rochat, Ufficio storico dell’esercito, Roma 1986. Lo studio di Roberto Bencivenga, La sorpresa strategica di Caporetto, introvabile perché edito nel 1932 presso una piccola tipografia romana, è stato ristampato dall’editore Gaspari, così come il volume di Pieri e quello citato appresso di Monticone, Udine 1997-1999. 6.
Alberto Monticone, La battaglia di Caporetto, Studium, Roma 1955, ristampa Gaspari, Udine 1997.
Le nuove fonti per la storia militare italiana
7.
Enzo Forcella e Alberto Monticone, Plotone d’esecuzione, I processi della prima guerra mondiale, Laterza, Bari; Mario Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Laterza, Bari 1970, ristampe presso Il Mulino, Bologna.
8. Per oltre 70 anni le ricerche sulla guerra hanno ignorato la prigionia, le cifre sui prigionieri italiani, circa 600.000 restavano sepolte negli archivi, così come le loro grandi perdite, circa 100.000 morti, e la documentazione di come il governo e Cadorna avessero rifiutato loro ogni assistenza. Soltanto nel 1993 Giovanna Procacci le ha riscoperte con il suo volume Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra, Editori Riuniti, Roma. 9.
Nicola Labanca, Caporetto. Storia di una disfatta. Giunti, Firenze 1997; Mario Isnenghi e Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, Milano 2000, ora Il Mulino, Bologna 2008, con ampia discussione bibliografica.
10. Per i suoi meriti letterari e per la fama dell’autore, Addio alle armi è l’opera più nota a livello internazionale sulla guerra italiana. Si tratta però di un romanzo, non di un volume di memorie, anche se Hemingway fu davvero in Italia nel 1918 in un reparto di ambulanze di volontari americani, fu anche ferito. Per queste vicende si veda Giovanni Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos sui campi di battaglia della Grande Guerra, Mursia, Milano 1980. La rotta di Caporetto raccontata da Hemingway è una efficace ricostruzione di seconda mano, non molto diversa dalle notizie e leggende diffuse in Italia nel primo dopoguerra. 11. Rommel fu il brillante vice-comandante di uno dei migliori battaglioni tedeschi, dal trionfo di Caporetto all’insuccesso sul Piave. Le sue memorie di guerra furono pubblicate negli anni Trenta come testo sull’impiego dei minori reparti per le scuole dell’esercito tedesco. Le traduzioni successive (Fanterie all’attacco, Longanesi, Milano 1972), hanno indotto gli studiosi più superficiali a attribuire a Rommel un ruolo assai superiore alle sue possibilità nel successo dell’offensiva austro-tedesca. 12. John Keegan, La prima guerra mondiale, Carocci, Roma 2000. Keegan racconta la rotta di Caporetto in termini drammatici sulla base dei volumi di Hemingway e Rommel. Tutto però si aggiusta quando arriva “un contingente straniero, in gran parte britannico” (in realtà 6 divisioni francesi e 5 inglesi, che entrarono in linea quando le truppe italiane avevano già vinto la battaglia di arresto). “Gli italiani si riorganizzarono e, liberi dalla spietata dittatura di Cadorna, ripresero coraggio. Ma la vera difesa del loro paese fu sostenuta da francesi e inglesi che avevano trasferito notevoli contingenti sul fronte italiano subito dopo il disastro di Caporetto e riuscirono a mantenervi una forza consistente per tutto il 1918” (in realtà 3 divisioni inglesi e 2 francesi nell’estate 1918, rispetto a 50 divisioni italiane). Fu così possibile respingere l'offensiva austriaca del 24 giugno (sic), poi “con un massiccio aiuto francese e britannico gli italiani riuscirono a riattraversare il Piave”. In realtà sul Piave c’erano una divisione francese, che non riuscì a avanzare, e due britanniche, che si portarono bene.
La gloria militare! Quanti giovani hanno compiuto sacrifici inimmaginabili per raggiungere il sogno dell’azione da prode. Essere eroici, dimostrare inconfutabilmente il proprio valore, suscitare ammirazione per i propri meriti, essere impavidi, portare sulla giubba le decorazioni dell’azione che da soli s’era compiuta e che nessun altro avrebbe potuto mai più togliere. Non erano certamente sogni questi da uomini della plebaglia. Combattere in battaglia era prerogativa delle classi d’alto sentire, dell’aristocrazia innanzitutto, ma poi, con l’allargamento della partecipazione alla res publica delle altre classi, anche dell’alta borghesia. Il coraggio, qualità essenziale dei militari, non era ahinoi esclusiva virtù dei rampolli blasonati, per cui fu giocoforza ammettere che l’addestramento all’audacia dovesse essere esteso anche più in giù, ai ceti medi, e poi più in giù ancora, fino alle classi popolari. Caporetto ha finora oscurato questa possibilità di gloria militare per le classi popolari italiane. La storia assai raramente si fa “estrema” – per usare un termine cinematografico – ma, quando ciò accade, è molto difficile poter disporre di tante testimonianze, di tanti angoli visuali, di tanti particolari, spesso illuminanti, che facciano giustizia di reticenze, mascheramenti, “dimenticanze” e permettano di ricostruire una storia “corale” in cui accanto ai comandanti ci
Introduzione
Lo storico è un ricercatore sui generis, ad egli sono preclusi gli esperimenti nel senso più completo del termine1. Esiste tuttavia un laboratorio storiografico in cui il ricercatore di storia militare deve verificare il grado di attendibilità delle fonti che utilizza. Ci sono dei dati certi, “duri”, precisi, misurabili, ma freddi, che danno ad esempio la certezza quantitativa dei cannoni usati, la loro efficienza e l’addestramento dei serventi, e i dati “molli” che ne sono il rovescio come, ad esempio, i piani elaborati dai capi degli Stati Maggiori, gli stati d’animo o le cognizioni tattiche consolidate negli ufficiali, ecc. Troppo spesso sono stati i dati molli ad avere maggior valore e i dati duri sono serviti da indicatori ai fatti molli2. Ciò è successo nell’interpretazione della battaglia di Caporetto. Si è dato un gran valore a elementi che poco o nulla avevano a che fare con la vicenda militare della battaglia3, o si sono privilegiati gli aspetti legati ai capi militari, senza verificarli con le fonti d’archivio, e le conseguenze di questa falsata interpretazione dei fatti ha comportato un danno enorme sull’autostima da parte degli italiani. Nell’accanimento antimilitarista, rivendicazionista e pacifista dei partiti di massa – il Socialista e il Popolare – nati nel dopoguerra mercé l’estensione del suffragio universale maschile come doveroso premio per il sacrificio collettivo compiuto, si vide la conprova della versione dei capi militari e poli-
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tici che avevano quasi tutti condiviso l’interpretazione dei fatti del famoso Bollettino di Cadorna del 28 ottobre 1917: “La mancata resistenza di reparti della 2a Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare sul sacro suolo della Patria. La nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini e i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti. Il valore dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battaglie combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra, dà affidamento al Comando supremo che anche questa volta l’esercito, al quale sono affidati l’onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il proprio dovere. Firmato: Cadorna”. L’importanza del Bollettino con cui Cadorna scaricò la responsabilità di una sconfitta militare sui soldati è enorme. Si potrebbe dire che da questo Bollettino nacque la Leggenda Nera di Caporetto, una memoria dannata, con questi tre corollari. 1°) Poiché i soldati non sono altro che cittadini in armi, ne consegue che gli italiani sono infidi e vigliacchi, pronti ad arrendersi o a fuggire per sottrarsi al massimo sacrificio che si può chiedere a un cittadino, quello di rischiare la vita per la patria. 2°) I soldati fecero bene a ribellarsi; sottolineando così la loro presa di coscienza di reietti in uniforme. Questa visione trovò la sua migliore espressione letteraria nel libro di Curzio Malaparte, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti. Il sistema per spiegare Caporetto usato da molti storici italiani, privi dei sistemi di analisi della storia militare, è stato quello di applicare alla Grande Guerra i parametri e i criteri della storiografia politicosociale, o dell’antropologia culturale, ottenendo quello stesso risultato a cui pervennero alcuni famosi scienziati del Settecento nel momento in cui la teoria dell’ibridazione passò dalla botanica alla zoologia, senza una chiara idea sulla delimitazione delle specie. Accadde così che il famoso RenéAntoine Ferchant de Rèamur affermasse che “i conigli possono fecondare le galline, producendo così polli ricoperti di pelo”. Snobbando l’histoire bataille di Caporetto, la storiografia italiana ha causato la mancata trasmissione della realtà dei fatti accaduti quel 24 ottobre 1917, e il radicamento di una verbosa valutazione politica, con effetti nefa-
Introduzione
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sti sulla coscienza di sé di un popolo e, quello che di più conta, sulla sua fierezza4. Già nel Bollettino del Comando Supremo l’incongruità della spiegazione dello sfondamento è, per uno storico di questioni militari, palese già nella sua formulazione testuale. Quando si parla di “reparti” si sarebbe dovuto dire “intere divisioni”, perché con il termine reparti s’intendono un paio di battaglioni o al più un reggimento e per uno sfondamento di quelle dimensioni – una ritirata di 100 km – la défaillance “di reparti” era irreale. Si avrebbe dovuto scrivere “alcune divisioni” – 20.000 uomini –, ma così sarebbe stata palesemente non credibile l’accusa. La fuga è il sinonimo dell’assenza o della carenza dello spirito militaresco; è la metamorfosi di una forza organizzata e obbediente in una folla priva di potenza ed energia e combattività, ma soprattutto è l’appiattimento della catena di comando e della solidarietà, per cui unico scopo di questa folla è l’autoconservazione, l’unica meta è sparire, sfuggire, sottrarsi. La fuga è il segno del collasso di un reparto, ma un reparto è formato anche da un certo numero di ufficiali superiori e subalterni, nonché da sottufficiali, educati al senso dell’onore – le cui regole rappresentavano spesso il senso di tutto un vivere. La fuga della “folla” sarebbe stata possibile solo se questi ufficiali non avessero l’ascendente sui soldati. In altre parole se un reparto si fosse dato alla fuga disordinata, la colpa sarebbe stata soprattutto degli ufficiali. Come si vedrà, nella battaglia del 24 ottobre non mancarono ufficiali di fanteria – Van den Heuvel, Corso, Danioni, ecc. –, che seppero mantenere la coesione dei reparti e applicarono spesso la nuda coercizione per quei singoli soldati che tentavano di svignarsela. Che il comportamento della truppa dipendesse da quello degli ufficiali – avere o non avere un forte senso di responsabilità nei confronti dei propri soldati come singoli individui –, era una cosa ben nota ai generali e agli Stati Maggiori. La leadership militare dipende dalla capacità degli ufficiali d’imporsi ai subordinati con la propria competenza professionale e “tecnica” unita alla dedizione ai propri uomini in quanto tali (umanità unita alla “tecnica”). Avendo una divisione circa 300 ufficiali, l’affermazione di Cadorna, se presa alla lettera, avrebbe significato – essendo almeno tre le divisioni (30.000 uomini) coinvolte nello sfondamento – che ben 800 ufficiali del suo esercito non avevano avuto la capacità di fermare le fughe e le defezioni. Ciò era al di fuori di qualsiasi realistica ipotesi in quanto: 1°) per le famose “Circolari Cadorna” ogni ufficiale poteva sparare a suo giudizio su
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tici che avevano quasi tutti condiviso l’interpretazione dei fatti del famoso Bollettino di Cadorna del 28 ottobre 1917: “La mancata resistenza di reparti della 2a Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare sul sacro suolo della Patria. La nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini e i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti. Il valore dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battaglie combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra, dà affidamento al Comando supremo che anche questa volta l’esercito, al quale sono affidati l’onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il proprio dovere. Firmato: Cadorna”. L’importanza del Bollettino con cui Cadorna scaricò la responsabilità di una sconfitta militare sui soldati è enorme. Si potrebbe dire che da questo Bollettino nacque la Leggenda Nera di Caporetto, una memoria dannata, con questi tre corollari. 1°) Poiché i soldati non sono altro che cittadini in armi, ne consegue che gli italiani sono infidi e vigliacchi, pronti ad arrendersi o a fuggire per sottrarsi al massimo sacrificio che si può chiedere a un cittadino, quello di rischiare la vita per la patria. 2°) I soldati fecero bene a ribellarsi; sottolineando così la loro presa di coscienza di reietti in uniforme. Questa visione trovò la sua migliore espressione letteraria nel libro di Curzio Malaparte, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti. Il sistema per spiegare Caporetto usato da molti storici italiani, privi dei sistemi di analisi della storia militare, è stato quello di applicare alla Grande Guerra i parametri e i criteri della storiografia politicosociale, o dell’antropologia culturale, ottenendo quello stesso risultato a cui pervennero alcuni famosi scienziati del Settecento nel momento in cui la teoria dell’ibridazione passò dalla botanica alla zoologia, senza una chiara idea sulla delimitazione delle specie. Accadde così che il famoso RenéAntoine Ferchant de Rèamur affermasse che “i conigli possono fecondare le galline, producendo così polli ricoperti di pelo”. Snobbando l’histoire bataille di Caporetto, la storiografia italiana ha causato la mancata trasmissione della realtà dei fatti accaduti quel 24 ottobre 1917, e il radicamento di una verbosa valutazione politica, con effetti nefa-
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sti sulla coscienza di sé di un popolo e, quello che di più conta, sulla sua fierezza4. Già nel Bollettino del Comando Supremo l’incongruità della spiegazione dello sfondamento è, per uno storico di questioni militari, palese già nella sua formulazione testuale. Quando si parla di “reparti” si sarebbe dovuto dire “intere divisioni”, perché con il termine reparti s’intendono un paio di battaglioni o al più un reggimento e per uno sfondamento di quelle dimensioni – una ritirata di 100 km – la défaillance “di reparti” era irreale. Si avrebbe dovuto scrivere “alcune divisioni” – 20.000 uomini –, ma così sarebbe stata palesemente non credibile l’accusa. La fuga è il sinonimo dell’assenza o della carenza dello spirito militaresco; è la metamorfosi di una forza organizzata e obbediente in una folla priva di potenza ed energia e combattività, ma soprattutto è l’appiattimento della catena di comando e della solidarietà, per cui unico scopo di questa folla è l’autoconservazione, l’unica meta è sparire, sfuggire, sottrarsi. La fuga è il segno del collasso di un reparto, ma un reparto è formato anche da un certo numero di ufficiali superiori e subalterni, nonché da sottufficiali, educati al senso dell’onore – le cui regole rappresentavano spesso il senso di tutto un vivere. La fuga della “folla” sarebbe stata possibile solo se questi ufficiali non avessero l’ascendente sui soldati. In altre parole se un reparto si fosse dato alla fuga disordinata, la colpa sarebbe stata soprattutto degli ufficiali. Come si vedrà, nella battaglia del 24 ottobre non mancarono ufficiali di fanteria – Van den Heuvel, Corso, Danioni, ecc. –, che seppero mantenere la coesione dei reparti e applicarono spesso la nuda coercizione per quei singoli soldati che tentavano di svignarsela. Che il comportamento della truppa dipendesse da quello degli ufficiali – avere o non avere un forte senso di responsabilità nei confronti dei propri soldati come singoli individui –, era una cosa ben nota ai generali e agli Stati Maggiori. La leadership militare dipende dalla capacità degli ufficiali d’imporsi ai subordinati con la propria competenza professionale e “tecnica” unita alla dedizione ai propri uomini in quanto tali (umanità unita alla “tecnica”). Avendo una divisione circa 300 ufficiali, l’affermazione di Cadorna, se presa alla lettera, avrebbe significato – essendo almeno tre le divisioni (30.000 uomini) coinvolte nello sfondamento – che ben 800 ufficiali del suo esercito non avevano avuto la capacità di fermare le fughe e le defezioni. Ciò era al di fuori di qualsiasi realistica ipotesi in quanto: 1°) per le famose “Circolari Cadorna” ogni ufficiale poteva sparare a suo giudizio su
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chiunque si arrendesse o abbandonasse la linea e siccome i plotoni di 30-40 uomini erano comandati quasi esclusivamente da ufficiali aspiranti o da sottotenenti – e le compagnie di 150-200 uomini da capitani o tenenti – non sarebbe mai potuto accadere che centinaia di soldati si potessero arrendere o che fosse loro permesso di abbandonare la linea. Anche perché nei punti obbligati di passaggio nelle retrovie c’erano i carabinieri e reparti di cavalleria con compiti di polizia militare, senza contare che c’erano altri ufficiali e soldati di 2a e 3a linea alla distanza di due-tremila metri dalla 1a: nessuno avrebbe potuto lasciare impunemente il proprio posto. Prova ne sia che a Passo Zagradan gli ufficiali fecero accompagnare dal plotone arditi gli artiglieri che avevano abbandonato le batterie del Kolowrat a rioccuparle e che il comandante dei carabinieri del IV corpo d’armata dichiarò che non aveva visto, a parte quelli delle salmerie, soldati in fuga dalla zona dei combattimenti. Fu quindi un preconcetto delle classi dirigenti politiche e militari il fattore che rese credibile una stupidaggine come quella che fanti codardi e vili potessero determinare la rottura di un fronte tenuto da due milioni di uomini. Il vero problema è quello di capire come mai, con varie modalità e forme, si è creduto fino ad oggi a un Caporetto prototipo dell’inaffidabilità delle classi popolari avulse per loro natura dal “senso dello stato” e sostanzialmente non patriote. Senza la conoscenza delle questioni inerenti la storia militare non si possono quindi spiegare gli avvenimenti storici, né una guerra, né, tanto meno, una battaglia. 3°) La leggenda nera su Badoglio, Capello e Cadorna. Badoglio con le sue 13 pagine mancanti dalla Relazione della Commissione d’Inchiesta; Badoglio e “la trappola di Volzana”; Badoglio che aveva dato ordine di aprire il fuoco solo al suo comando e che poi scompare, ecc. ecc. Capello che non esegue gli ordini, ecc. In sostanza un attacco ai capi di Stato Maggiore, della 2a armata, e del XXVII corpo d’armata, come i responsabili della sconfitta, per le loro beghe. Tutte queste sfaccettature della leggenda nera di Caporetto furono possibili in quanto non si tentò di ricostruire nei dettagli l’insieme della battaglia. Ci si basò su prove indiziarie e sul preconcetto dell’italiano popolo non guerriero e di generali imbelli. Mancando la ricostruzione dei fatti reali, queste leggende poterono continuare a essere alimentate con spiegazioni politico-sociali che nulla aveva-
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no a che vedere con la realtà. Ne è una prova che buona parte degli storici stranieri presero per buona la versione “cadorniana” – sostanzialmente non contraddetta dalla Commissione d’inchiesta che appurò il cattivo governo degli uomini del capo di S.M. generale, ma non avanzò un’altra interpretazione del comportamento delle truppe –, per cui storici militari di fama come John Keegan, professore di storia militare alla Royal Military Academy Sandhurst, può scrivere nel 2001 senza tema di cadere nel ridicolo: “il disastro di Caporetto minò la reputazione dell’esercito italiano che non riuscì a riconquistarla nemmeno nella seconda guerra mondiale. Da allora ci si fa beffe comunemente e a buon mercato delle doti militari degli italiani”5. Nel secondo volume della Relazione della Commissione d’inchiesta su Caporetto pubblicata nel 1919, la Commissione, scartata l’ipotesi di Caporetto come tradimento, sposò l’ipotesi del cedimento delle truppe dovuto alla loro stanchezza e al malgoverno che ne avevano fatto i comandi, allo sfruttamento eccessivo senza alcun riguardo alle loro esigenze. Cedimento riscattato dalla riscossa sul Piave e sul Grappa e poi nelle vittoriose Battaglia del Solstizio e dell’ottobre 1918. Ancora una versione politica. Rimanevano in ombra le vere cause militari dello sfondamento del 24 ottobre 1917 e l’infinita tenacia delle truppe e dei comandanti nelle numerose battaglie della ritirata con l’unica eccezione del combattimento di Pozzuolo compiuto dalla cavalleria, corpo d’élite, fedele alla monarchia e all’onore, che veniva così esplicitamente a contrapporsi alla massa gaglioffa, infida, senza il senso del dovere, senza amore di patria. E che scappa. In realtà non scappò.
NOTE ALLA INTRODUZIONE 1.
C. Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 296, 297.
2.
P. Burke, Sociologia e storia, Mulino, Bologna 1982, p. 47.
3.
A. Gibelli, La fabbrica della guerra, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
4. M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia d’Italia, Laterza, Bari 2001, pp. XIXXIII, 118, 167, 174. G. Zincone, Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e le vie della società civile, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 45-68, 188-206. 5.
J. Keegan, La prima guerra mondiale. Una storia politico-militare, Carocci 2001.
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chiunque si arrendesse o abbandonasse la linea e siccome i plotoni di 30-40 uomini erano comandati quasi esclusivamente da ufficiali aspiranti o da sottotenenti – e le compagnie di 150-200 uomini da capitani o tenenti – non sarebbe mai potuto accadere che centinaia di soldati si potessero arrendere o che fosse loro permesso di abbandonare la linea. Anche perché nei punti obbligati di passaggio nelle retrovie c’erano i carabinieri e reparti di cavalleria con compiti di polizia militare, senza contare che c’erano altri ufficiali e soldati di 2a e 3a linea alla distanza di due-tremila metri dalla 1a: nessuno avrebbe potuto lasciare impunemente il proprio posto. Prova ne sia che a Passo Zagradan gli ufficiali fecero accompagnare dal plotone arditi gli artiglieri che avevano abbandonato le batterie del Kolowrat a rioccuparle e che il comandante dei carabinieri del IV corpo d’armata dichiarò che non aveva visto, a parte quelli delle salmerie, soldati in fuga dalla zona dei combattimenti. Fu quindi un preconcetto delle classi dirigenti politiche e militari il fattore che rese credibile una stupidaggine come quella che fanti codardi e vili potessero determinare la rottura di un fronte tenuto da due milioni di uomini. Il vero problema è quello di capire come mai, con varie modalità e forme, si è creduto fino ad oggi a un Caporetto prototipo dell’inaffidabilità delle classi popolari avulse per loro natura dal “senso dello stato” e sostanzialmente non patriote. Senza la conoscenza delle questioni inerenti la storia militare non si possono quindi spiegare gli avvenimenti storici, né una guerra, né, tanto meno, una battaglia. 3°) La leggenda nera su Badoglio, Capello e Cadorna. Badoglio con le sue 13 pagine mancanti dalla Relazione della Commissione d’Inchiesta; Badoglio e “la trappola di Volzana”; Badoglio che aveva dato ordine di aprire il fuoco solo al suo comando e che poi scompare, ecc. ecc. Capello che non esegue gli ordini, ecc. In sostanza un attacco ai capi di Stato Maggiore, della 2a armata, e del XXVII corpo d’armata, come i responsabili della sconfitta, per le loro beghe. Tutte queste sfaccettature della leggenda nera di Caporetto furono possibili in quanto non si tentò di ricostruire nei dettagli l’insieme della battaglia. Ci si basò su prove indiziarie e sul preconcetto dell’italiano popolo non guerriero e di generali imbelli. Mancando la ricostruzione dei fatti reali, queste leggende poterono continuare a essere alimentate con spiegazioni politico-sociali che nulla aveva-
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no a che vedere con la realtà. Ne è una prova che buona parte degli storici stranieri presero per buona la versione “cadorniana” – sostanzialmente non contraddetta dalla Commissione d’inchiesta che appurò il cattivo governo degli uomini del capo di S.M. generale, ma non avanzò un’altra interpretazione del comportamento delle truppe –, per cui storici militari di fama come John Keegan, professore di storia militare alla Royal Military Academy Sandhurst, può scrivere nel 2001 senza tema di cadere nel ridicolo: “il disastro di Caporetto minò la reputazione dell’esercito italiano che non riuscì a riconquistarla nemmeno nella seconda guerra mondiale. Da allora ci si fa beffe comunemente e a buon mercato delle doti militari degli italiani”5. Nel secondo volume della Relazione della Commissione d’inchiesta su Caporetto pubblicata nel 1919, la Commissione, scartata l’ipotesi di Caporetto come tradimento, sposò l’ipotesi del cedimento delle truppe dovuto alla loro stanchezza e al malgoverno che ne avevano fatto i comandi, allo sfruttamento eccessivo senza alcun riguardo alle loro esigenze. Cedimento riscattato dalla riscossa sul Piave e sul Grappa e poi nelle vittoriose Battaglia del Solstizio e dell’ottobre 1918. Ancora una versione politica. Rimanevano in ombra le vere cause militari dello sfondamento del 24 ottobre 1917 e l’infinita tenacia delle truppe e dei comandanti nelle numerose battaglie della ritirata con l’unica eccezione del combattimento di Pozzuolo compiuto dalla cavalleria, corpo d’élite, fedele alla monarchia e all’onore, che veniva così esplicitamente a contrapporsi alla massa gaglioffa, infida, senza il senso del dovere, senza amore di patria. E che scappa. In realtà non scappò.
NOTE ALLA INTRODUZIONE 1.
C. Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 296, 297.
2.
P. Burke, Sociologia e storia, Mulino, Bologna 1982, p. 47.
3.
A. Gibelli, La fabbrica della guerra, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
4. M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia d’Italia, Laterza, Bari 2001, pp. XIXXIII, 118, 167, 174. G. Zincone, Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e le vie della società civile, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 45-68, 188-206. 5.
J. Keegan, La prima guerra mondiale. Una storia politico-militare, Carocci 2001.
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Il fronte dell’Isonzo e della Carnia con il confine nel 1915, le ferrovie, le strade e le altezze dei monti
Introduzione
Il fronte della 2a armata con lo schieramento al 20 ottobre 1917. Come si vede il centro nodale della difesa dell’ala sinistra dell’armata era Cividale. Se il nemico fosse arrivato rapidamente a Cividale, sarebbe stato alle spalle delle divisioni sulla Bainsizza
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Il fronte dell’Isonzo e della Carnia con il confine nel 1915, le ferrovie, le strade e le altezze dei monti
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Il fronte della 2a armata con lo schieramento al 20 ottobre 1917. Come si vede il centro nodale della difesa dell’ala sinistra dell’armata era Cividale. Se il nemico fosse arrivato rapidamente a Cividale, sarebbe stato alle spalle delle divisioni sulla Bainsizza
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Capitolo 1°. L’offensiva annunciata
Le trincee, le strade, le dorsali e le altezze sul fronte Tolmino-Caporetto (sopra) e nel tratto a sud di Tolmino-Santa Lucia, Costa Duole-Doblar (sotto), al centro e all’ala sinistra dello schieramento della 14a armata austro germanica. Nel tratto Costa Raunza-Costa Duole-JezaDoblar era schierata la 19a divisione del XXVII corpo d’armata del gen. Badoglio, mentre davanti a Tolmino era schierata la 46a divisione del IV corpo d’amata del gen. Cavaciocchi
Nel luglio 1917 gli austro ungheresi potevano vantarsi d’aver concluso vittoriosamente la guerra contro i russi e contro i serbi. Non erano state rose e fiori, ma entro pochi mesi tutto l’esercito avrebbe potuto concentrarsi contro il nemico più tenace, l’italiano. Tuttavia il cancelliere tedesco von Bethmann e il conte Czernin, presidente del Consiglio austriaco, erano convinti che sull’onda della rivoluzione russa, anche nei due imperi si sarebbero avute delle rivoluzioni perché la situazione alimentare all’interno e le enormi perdite in battaglia, in una guerra in cui non si vedeva fine, avrebbero prima o poi fatto crollare il fronte interno. I comandi militari erano d’altro avviso: prima che ciò si realizzasse, gli Alleati sarebbero stati costretti ad aprire delle trattative. Ai primi di aprile l’imperatore Carlo I e il conte Czernin erano andati a Homburg a parlare con il Kaiser e con Bethmann, redigendo insieme un documento, segreto, per le condizioni di pace nel caso di una favorevole soluzione della guerra. Tuttavia, proprio in luglio s’era tenuta a Parigi una riunione dei capi politici e militari dell’Intesa ove Francia e Inghilterra avevano chiesto all’Italia di pronunciare due grandi offensive, una in agosto e l’altra in ottobre, per alleggerire la pressione sul fronte russo e su quello occidentale. Cadorna, capo dello Stato Maggiore dell’Esercito, non aveva acconsentito a quella di
Finito di stampare presso Poligrafiche San Marco, Cormons (GO) nel mese di settembre 2011