I FORTI E IL SISTEMA DIFENSIVO DEL FRIULI - Marco Pascoli, Andrea Vazzaz

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Andrea Vazzaz è nato a San Daniele del Friuli nel 1985 e risiede a Tarcento. Appassionato ricercatore di storia e di collezionismo militare, volontario nell'8 Reggimento Alpini è attualmente maresciallo. E-mail: andre216@libero.it

In copertina: Installazioni militari del Monte Ragogna. Le cupole del Forte di Monte Ercole (archivio Tiliaventum). La batteria permanente esterna di Monte Festa (archivio Luca Cossa). Il Monte di Ragogna in una panoramica aerea. Particolare di una planimetria con dislocazione per una batteria da 149 B, (Aussme).

13,50

Pascoli - Vazzaz

Si può dire che nella storia di ogni famiglia italiana c’è un pezzo di anima e di corpo lasciato in Friuli. Se nell’inferno di Verdun transitarono i due terzi dei soldati francesi, così in Friuli passarono tutti i cinque milioni di combattenti italiani in quel sacrificio collettivo che fu la Grande Guerra. La memoria storica di ciascuna famiglia è quindi legata al sacrificio dei suoi membri sui campi di battaglia, e il prezzo pagato dalle classi popolari per avere, con il diritto di voto la possibilità di entrare nello Stato italiano democratico. In Friuli combatterono anche tedeschi, austriaci, cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, croati, bosniaci, sloveni: il più vasto ed eterogeneo campo di battaglia della storia europea. Questo libro fa scoprire quei luoghi dimenticati.

I Forti e il sistema difensivo del Friuli

Marco Pascoli nato nel 1985, risiede a Muris di Ragogna. Studente universitario, opera quale esperto storico nel progetto Interreg I luoghi della Grande Guerra, nel cui ambito ha realizzato il Museo di Ragogna, il libro La Grande Guerra nel Friuli Collinare (2007) e altre iniziative tematiche; con il Gruppo di Ricerche e Studi sulla Grande Guerra di TS da anni svolge attività di individuazione di graffiti, targhe e fregi sui campi di battaglia del Primo conflitto mondiale. Per la Gaspari ha curato La Battaglia del Monte Ragogna (2004); e-mail: marco_pascoli@alice.it

Marco Pascoli Andrea Vazzaz

Gaspari

I Forti e il sistema difensivo del Friuli Guide Gaspari

Itinerari nel più grande campo di battaglia della Grande Guerra

La batteria permanente esterna di Monte Festa (archivio Luca Cossa).


I Forti e il sistema difensivo del Friuli


Con il patrocinio e il contributo di

Comune di Tricesimo

Comune di Bordano

Comune di Moggio Udinese

Comune di Chiusaforte

Comune di Fagagna

Comune di Ragogna


Marco Pascoli Andrea Vazzaz

I FORTI E IL SISTEMA DIFENSIVO DEL FRIULI Itinerari sconosciuti nel pi첫 grande campo di battaglia italiano della Grande Guerra

Guide Gaspari


Ringraziamenti - Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito (Roma). - Istituto Storia e Cultura Arma del Genio (Roma). - KriegsArchiv (Wien). - Museo della Grande Guerra di Ragogna. - Generale Alberto Ficucello. - Generale Cesare Damiani. - Sandro Lizzi. - Sanja Cvijanovic. - Marco Rech. - Roberto Machella. - Giacomo Viola. - Paolo Gaspari. - Antonio Scrimali. - Silvana e Aldo Pascoli. - Nives e Giovanni Vazzaz. - Claudia Pascoli. - Miriam Tümová. - Laura Scandiuzzi, Patrick Herbreteau, Federico Mirolo e il Gruppo Speleologico Pradis. - Pietro Gerometta. - Luca Cossa, Davide Tonazzi, Claudio Zanier e Associazione Storica Tiliaventum. - Adriano Gransinich. - Giuseppe Molinaro. - Mirco Daffarra (Sindaco di Ragogna) e Alma Concil (Vicesindaco di Ragogna). - Luciano de Biasio (Sindaco di Pinzano). - Umberto Lenuzza. - Alessandro Tosatto. - Nerina e Vittorino Venchiarutti. - Marco Mantini e Gruppo di Ricerche e Studi sulla Grande Guerra – SAG Trieste

Salvo diversa indicazione le foto sono di Marco Pascoli

Copyright © 2005 Gaspari editore via Vittorio Veneto 49 - 33100 Udine tel. (39) 0432 512 567 tel/fax (39) 0432 505 907 www.gasparieditore.com e-mail: info@gasparieditore.com ISBN 88-7541-045-3


UN PO’ DI STORIA

Indice Una fortificazione chiamata Friuli di Giacomo Viola

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LA LINEA DEL TAGLIAMENTO Gli impianti fortificatori (1870 – 1915) Peculiarità strategiche e militari Note

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ITINERARI E STORIA Come iniziare le escursioni

25 25

Alle sorgenti del Tagliamento Monte Miaron Col Rementera e Forcella Losco I combattimenti del novembre 1917 Note

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Chiusaforte La fortezza Stavoli Curnic Storia del Forte

41 41 49 51

I “Nidi delle aquile” Vualt Sot Cretis Forcella Buia La ritirata degli Alpini

53 53 58 62 66

Resiutta, l’estrema barriera delle Alpi Giulie Monte Stivane e Monte Sflincis Resiutta e il Monte Staulizze La battaglia di Resia nella relazione del col. Alliney di Paolo Gaspari

70 70 73

La sentinella delle Prealpi Monte Festa Monte San Simeone La struttura del Forte L’assedio Note

81 81 87 90 93 97

Lo Sbarramento di Ospedaletto Monte Ercole – Monte Cumieli Il destino di un baluardo

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99 99 104


UN PO’ DI STORIA

La Fortezza di Osoppo Il colle fortificato La millenaria epopea del Castello di Osoppo

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La Linea del Torre Sul Monte Maggiore La caduta di Monte Maggiore e dello sbarramento di Taipana La “Bernadia” Monte Campeon e Monte Faeit Il caposaldo di Tricesimo L’occupazione di Tarcento

117 117

La Testa di Ponte di Ragogna Il Ponte ed i Colli di Pinzano Il Monte di Ragogna Il sacrificio della Brigata Bologna nelle memorie di un protagonista Il campo trincerato austroungarico Il Ponte di Cornino e l’Isolotto del Clapât La Difesa Permanente di Ragogna e di Pinzano Lo sfondamento di Cornino e la resistenza sul Monte di Ragogna Il brillamento del Ponte di Pinzano nel racconto del col. Rocca comandante della brigata Bologna, di Paolo Gaspari

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I Capisaldi della Cintura Morenica Col Roncone, Fagagna, Santa Margherita, Modoletto Il Monte di Buia

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I Forti della Pianura La difesa della Delizia: Sedegliano, Beano, Rivolto, San Martino e Varmo Il passaggio del Tagliamento nell’autunno 1917 La Testa di Ponte di Latisana: Modeano, Rivarotta, Precenicco, Titiano, e Pertegada

172

La tecnica fortificatoria nel Primo Novecento Glossario sintetico di terminologia militare

188 194

Aggiornamenti alla seconda edizione

195

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PREFAZIONE

Una fortificazione chiamata Friuli

La Grande Guerra, segnò profondamente la memoria storica degli italiani. Il friuli divenne uno dei grandi campi di battaglia europei con strutture militari di diverso genere di cui oggi rimangono numerosi resti su tutto il territorio. Una fondamentale importanza nelle strategie dei comandi italiani venne assegnata, ancor prima che il conflitto iniziasse, alla Linea del Tagliamento, dalla sua sorgente fino allo sbocco del fiume nell’ Adriatico. A partire dai primi anni del '900, lungo questo asse vennero costruiti forti, ricoveri militari, campi trincerati, caserme e strade che rappresentarono un complesso sistema di difesa da eventuali attacchi provenienti da nord e da est. Dal 1907 il governo Giolitti concedette cospicui aumenti per le spese dell'esercito e della marina. Ciò permise una crescita dei vari contingenti, nuove adozioni di armi pesanti e cannoni più moderni, uno sviluppo consistente delle fortificazioni al confine est, quello con l'Austria. É certamente curioso pensare che, mentre da un lato l'Italia aveva firmato a Vienna un accordo proprio con l'Austria e la Germania, nel maggio del 1882 (la Triplice Alleanza) – fino a pochi anni prima del conflitto continuasse a firmare convenzioni per collaborazioni militari di diverso genere con Austria e Germania –, dall'altro lato iniziava a costruire un sistema di fortificazioni per proteggersi da rischi provenienti da quei paesi. L’uso militare di questo territorio non era una novità per il Friuli che, fin dall'antichità, venne considerato una specie di Linea Maginot italiana, pur nelle diverse fasi storiche e con i diversi mezzi bellici utilizzati. Si potrebbe dire che il Friuli "nacque" come fortificazione. Soprattutto se pensiamo al significato della fondazione di Aquileia nel 181 a.C. come colonia latina che aveva lo scopo di frenare ogni attacco proveniente dalle Alpi e, allo stesso tempo, di fissare con sicurezza la presenza romana in questa zona. Che cosa rappresentò, poi, nel periodo di Giulio Cesare la fondazione di Tricesimum (Tricesimo: luogo fortificato a 30 miglia da


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PREFAZIONE

Aquileia), di Forum Julii (Cividale) e di Julium Carnicum (Zuglio) se non creare proprio una rete complessa e articolata di difesa degli sbocchi alla pianura friulano-veneta che apriva le porte al resto d'Italia e a Roma? Il turbolento periodo medioevale vide in Friuli la costruzione di una fitta rete di castelli in aree strategicamente importanti. Durante l’inglobamento nella Repubblica di Venezia si iniziò nel 1593 la costruzione della fortezza di Palmanova, un vero e proprio baluardo e argine soprattutto contro il pericolo turco, ma anche contro eventuali attacchi di potenze confinanti come l'Austria. Se dunque ricordiamo Aquileia, i castelli medioevali, la città fortezza di Palmanova e ne sottolineiamo ancor oggi il loro valore storico e culturale, dovremo far altrettanto per quelle fortificazioni costruite in preparazione di quella che passerà alla storia come la Grande Guerra. Ritengo perciò che l'operazione culturale realizzata dai giovani ricercatori Marco Pascoli e Andrea Vazzaz, sostenuta dall'editore Paolo Gaspari, sia stata necessaria anche perchè non ci presenta in modo meccanico e tecnicistico la Linea dei forti del Tagliamento. Gli autori, dopo una puntuale parte generale, inseriscono infatti, nelle singole schede dei forti l'itinerario escursionistico che ci permette di raggiungerli inserendoli nel loro reale contesto ambientale. Vi è inoltre una precisa anche se sintetica ricostruzione storica che ne narra l'origine, le fasi della costruzione e presenta i combattimenti che in qualche modo interessarono una parte di tali strutture. Il libro ci conduce così in un viaggio spazio-temporale dall'area carnica fino a Codroipo e a Latisana nella Bassa Friulana. Possiamo dunque raggiungere luoghi e strutture militari dei quali poco o nulla conosciamo, toccando dal vivo alcuni segni concreti di quella terribile guerra. É certo anche questo uno strumento molto utile per favorire un turismo che sappia riconoscere e valorizzare il patrimonio ambientale e storico. Lungo le vie indicate dal testo potremmo ad esempio domandarci se sia possibile che almeno in alcuni casi più significativi i forti possano essere recuperati o restaurati per attività di tipo storico e turistico. In alcuni casi, per la verità, sono state poste le premesse per raggiungere questo obiettivo. Così, lo stesso forte di Osoppo, singolare esempio di sovrapposizione nel tempo di diverse architetture e strutture difensive militari, è stato ristrutturato dopo il


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I FORTI DEL FRIULI

ALLE SORGENTI DEL TAGLIAMENTO

Le vallate del Piave e del Tagliamento hanno sempre rivestito una grande valenza strategica. I valichi che consentono la comunicazione tra i due bacini sono il Passo della Mauria e la Sella Ciampigotto. Sulle alture circostanti, ovvero sullo spartiacque veneto-friulano, si imperniò quindi il fronte avanzato destro dell’articolato Ridotto Cadorino che estendeva la propria giurisdizione sino alla testata del Tagliamento. La stessa effettiva collocazione geografica e il ruolo storico ricoperto suggeriscono l’inserimento di questi baluardi in un contesto “di cerniera” con la difesa permanente del Tagliamento.

Monte Miaron

P) Partenza. 1) Postazioni per artiglierie. 2) Caverna blindata. 3) “Ricovero Miaron”. 4) Vetta del M. Miaron.


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I FORTI DEL FRIULI

Vie d’accesso: il Passo della Mauria è raggiungibile da Tolmezzo lungo la S.S. 52 che passa per Ampezzo e Forni di Sopra, oppure dal Cadore lungo l’analoga rotabile. Tempi di percorrenza: dal Passo della Mauria; all’area del Ricovero Miaron ore 1,30; visita dei fortilizi, un’ora circa; dal ricovero alla cima del M. Miaron, ore 1,30. Difficoltà: per arrivare al fortilizio ed esplorarlo non ci sono difficoltà. L’ascensione alla vetta, q. 2.132 m., di notevole interesse paesaggistico, è invece riservata a escursionisti esperti risultando faticosa e alquanto esposta (I grado). Note: molto interessante sarà una breve visita al guado che attraversa il Tagliamento in prossimità di Vico, a Forni di Sotto. Il viottolo che s’inoltra verso il fiume per superarlo e indirizzarsi in Val Poschidea fu sistemato nel 1917 al fine di permettere il transito del Tagliamento e di rifornire gli apprestamenti difensivi che si volevano edificare in loco. Là dove sorgeva il ponticello resta un evidente fregio risalente al 1917 accompagnato dall’effige dello Stellone d’Italia e del 2° Reggimento Genio Pontieri. La targa riporta le iniziali “TPP”, riferite al Tenente Pietro Pozzo, in forza nel reparto. Dal Passo della Mauria, si imbocca la strada sterrata (segnavia CAI 325) che risale lentamente le pendici settentrionali del M. Miaron. La carrareccia, snodandosi con ampi tornanti in una fitta pineta, presenta inequivocabilmente le tracce della sua origine militare: gli ordinati muretti di contenimento, le innumerevoli piazzole, il lastricato emergente rivelano che l’opera rappresentava la principale via di rifornimento per la sovrastante area fortificata. Giunti a q. 1.480, l’attenzione è richiamata da una casamatta blindata sita nei pressi di una grande piazzola; Fregio dei genieri presso il guado di Vico .


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l’area era adibita a deposito di munizioni e di viveri, come si può intuire dalla vicina presenza di alcune caverne e di altri resti rilevanti poco sopra. Proseguendo per una mezz’ora, ci si imbatterà in un bivio a q. 1.650; prima di seguire le indicazioni per il “Ricovero Miaron” è conveniente puntare verso sinistra per un comodo tracciato militare sino ad arrivare sull’ampio spiazzo che guarda la Val Tagliamento. Ivi si nota un lungo muro, intervallato da minuscole riservette, ai cui lati spiccano due scalinate in cemento che salgono ai rispettivi punti di osservazione. La raffinata

Miaron, postazione per batteria permanente in barbetta.

struttura, atta originariamente allo schieramento di una batteria di medio calibro, quindi ridimensionata in favore di quattro obici da 75mm, è completata dai blindati vani laterali. Il sito, avvolto da labili trinceramenti per difesa ravvicinata, è localizzato in un rilievo dominante la sottostante vallata. In caso di attacco nemico proveniente da tale direzione i pezzi schierati avrebbero potuto agevolmente colpire le truppe avanzanti. Ritornando al bivio precedente di q. 1.650, si segue l’agevole mulattiera indirizzata al “Ricovero Miaron”; poco prima di giungervi, ove il percorso risulta scavato nella viva roccia, si evidenzia sulla sinistra una caverna blindata il cui ingresso è parzialmente ostruito da una successiva opera muraria. Ci si può incuneare nel complesso sotterraneo organizzato su due camere terminali. Esse fungevano da polveriera, essendo caratterizzate dal tipico rialzo centrale e da resti lignei che svelano l’esistenza delle intercapedini indispensabile per isolare gli esplosivi. In dieci minuti di cammino si arriva poi al Ricovero Miaron a q. 1.703 m. Esso è caratterizzato da muri maestri eretti magi-


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stralmente in pietra intagliata e da una copertura blindata, ripristinata nel contesto del Vallo Littorio – linea approntata negli anni ’30 in funzione antitedesca–. La costruzione, senz’altro non adeguatamente blindata per resistere a pesanti cannoneggiamenti, poteva essere utilizzata come efficiente acquartieramento per un centinaio di soldati. Nei tre stanzoni interni sono visibili le tracce di stufe, brande e una botola che dà in una vasca interrata adibita a recupero acque. Il ritrovamento più interessante è però apprezzabile su un ingresso del ricovero: si tratta di una piastra marmorea sulla quale sono incisi il nominativo del tenente Mario Baroni, le indicazioni del reparto, 56° Fanteria, e della data 1915, anno di morte dell’ufficiale. Il complesso del Miaron fu voluto dal capitano Pecco, responsabile dell’intero settore, sin dal 1909. Nel 1910 ebbero inizio i lavori, costati 71.000 £ inclusa la strada del Col Rementera. Tutto il sistema, diretto dal capitano Vitale in forza al 9° Reggimento Artiglieria da Fortezza, doveva assolvere funzioni di segnalazione e indicazione di eventuali obbiettivi ai vicini forti, in particolare alle potenti cannoniere del Monte Tudaio. Durante la guerra, la posizione fu smobilitata, i pezzi trasportati sulla linea arretrata di Sasso Croera; si annovera, però, lo scavo di un trinceramento in zona Passo della Mauria-Col Magnente.

Il Ricovero Miaron ricavato dall’originale casamatta blindata che costituiva la principale installazione dell’omonima area fortificata.


Il panorama che spazia dal M. Antelao al M. Popera è davvero splendido e non può non invitare gli escursionisti più esperti ad affrontare la sovrastante cuspide rocciosa del M. Miaron. Dal forte si stacca, tra mughi e ghiaie, il sentiero CAI 327. Alla base della parete si punta in un canalone che incide profondamente la vertiginosa cresta. Rimontarlo direttamente, ponendo particolare cautela a non far precipitare sassi (sconsigliabile l’ascensione a gruppi numerosi di persone), per superare un salto sulla destra (I – II grado) e proseguire lungo il sempre più ripido orrido; raggiunta la testata del burrone, la traccia del sentiero si inerpica per strette cenge, in ambiente aspro e selvaggio, di grande suggestione. Prestando vigile attenzione a non scivolare su terreno friabile ed esposto, si insiste per il sentiero conquistando l’affilata cresta nord del M. Miaron. La si risale, mantenendosi a sinistra, e, attraverso un ultimo aereo e spettacolare passaggio sul filo del crinale, si guadagna la panoramica vetta. Ricovero Miaron: lapide in onore del Tenente Mario Baroni, caduto durante il primo anno di guerra.

Sulla cresta terminale di Monte Miaron (foto G. Vazzaz).


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Col Rementera e Forcella Losco

P) Partenza. 1) Trincee e piazzole. 2) Riservetta blindata. 3) Magazzino di Forcella Losco e targa d’epoca. 4) Ricovero Val d’Inferno e lapide originale.

Vie d’accesso: il posteggio è individuabile a qualche centinaio di metri oltre il valico di Cima Ciampigotto in direzione Lorenzago. Alla Sella Ciampigotto si accede tramite la comoda rotabile montana di Val Pesarina, il cui inizio è a Ovaro. Tempi di percorrenza: fino al Col Rementera, ore 0,40; da questo alla Forcella Losco, ore 0,20; per raggiungere la caserma Val d’Inferno necessitano altri 30 minuti. Difficoltà: facile camminata alpina. Note: gli alpinisti più pratici potranno integrare il percorso con l’ascensione delle vicine vette di Monte Brentoni, conquistabi-


Le vestigia del magazzino di Forcella Losco; sullo sfondo il M. Antelao.

li mediante facili vie in roccia (I – II grado). Imboccata la strada militare che si dirama sulla destra del posteggio, si sale lievemente tra il rado bosco d’alta quota. Da subito emergono le peculiarità tipiche delle opere risalenti al periodo antecedente la Prima Guerra Mondiale, quali poderosi muraglioni in pietra e varie lavorazioni. La mulattiera, ultimata nell’ultimo decennio dell’800, rimontava la forra della Piova lambendo un grande casermone in località Antoia, distrutto durante le operazioni di controguerriglia nel 1944. Non appena si scorge il primo bivio, si svolta sulla destra verso la cuspide tondeggiante del Col Rementera. Sorpassate due riservette in roccia, si apre la spianata sommitale del rilievo, tutto punteggiato da scavi di trincea e da altri elementi difensivi. Sull’anticima settentrionale, ove termina l’altro ramo della carrareccia prebellica, si reperisce una terza polveriera, abbellita da un elegante architrave in pietra. All’interno spiccano le basi su cui erano sistemate le travi lignee necessarie per il mantenimento delle munizioni nelle idonee condizioni di bassa umidità. Sulle posizioni di Col Rementera, allestite tra il 1910 e il 1912 (con un dispendio di £ 26.000, sommati alle precedenti 71.000 £ stanziate in comunanza col Miaron ed all’ulteriore cifra di 48.000 £ richiesta dal Ricovero d’Antoia), non si registra alcuna installazione di cannoni in quanto si tese a sviluppare un ampio campo trincerato – già programmato per un eventuale presidio d’artiglieria utile per assicurare una solida difesa al settore di Razzo – determinante il collegamento strategico tra i bacini del Tagliamento e del Piave. Dopo aver visitato i vari trinceramenti tra le cimette del Col Rementera, ovvero quota 1.910 m e quota 1.907 m, ci si ripor-


ta al bivio già incontrato, per dirigersi a Sella Losco. Qui, alcuni ruderi catturano l’attenzione del ricercatore. Essi sono i residui del magazzino eretto nel 1907 a supporto della principale installazione ove si concluderà l’itinerario. Sull’ingresso della diroccata struttura, di non grandissime dimensioni, spicca l’importante epigrafe in onore di Fausto Bianchi, capitano del 7° Reggimento Alpino caduto il 18 novembre 1915 a Cima Val Piana. È interessante rilevare come ogni fortilizio dell’area fosse caratterizzato da una targa, risalente agli anni della Grande Guerra, dedicata a un militare deceduto al fronte. Ritornati sullo spartiacque della Forcella Losco, segnato da notevoli solchi trincerati miranti il Passo Lavardet, si diverge sulla destra per un’evidente mulattiera. Sorpassata l’iniziale scarpata franosa, il largo tracciato acquista quota sulle ripidi pendici sud-orientali di Monte Losco. La via termina sul roccioso cocuzzolo di quota 1.872, delineato da grandi ruderi militari. Si tratta delle vestigia del Ricovero di Val d’Inferno, innalzato nell’anno 1892 dagli Alpini Zappatori del 7° Reggimento. L’ampia caserma, posta in un luogo insolitamente esposto a guardia di eventuali provenienze dalla Val Pesarina o dalla Val Frison, poteva accogliere 135 uomini in quattro vani principali ed era rifornita di approvvigionamento idrico. Ciò che resta dell’antico edificio, incendiato nella Seconda

La targa affissa sui ruderi del magazzino di Forcella Losco.

L’epigrafe ricordante l’ufficiale Tito Cecchet emerge tra le decadenti murature dell’antico ricovero.


Le dirute vestigia della caserma “Val d’Inferno” situata a quota 1.882.

Guerra Mondiale, conserva la preziosa targa che volle ricordare l’eroismo del capitano Tito Cecchet, ufficiale del 7° Alpini deceduto a San Osvaldo il 18 aprile 1916.

I combattimenti del novembre 1917 “È indispensabile per la sicurezza della IV Armata che la comunicazione Fella-Mauria sia solidamente interdetta al nemico – 29 ottobre 1917, Gen. Cadorna”. Il laconico comunicato, scritto dal generalissimo mentre si decidevano i destini ultimi dell’esercito italiano, ben sintetizza la grande responsabilità che ricadeva sulle posizioni che guarnivano Passo della Mauria. Di tali siti, solo il costone del Miaron risultava fortificato, nonostante l’artiglieria ivi situata fosse stata dirottata sin dal 1915 verso altra destinazione, smobilitando de facto il forte. Nel 1917 la posizione chiave del Passo della Mauria era protetta solo dall’inattivo Forte Miaron a meridione, mentre sulle cime settentrionali non vi era alcun serio apprestamento militare. Nonostante la centralità tattica del Passo della Mauria fosse stata studiata fin dal 1909 – allorché il progetto del Forte Miaron venne ratificato in quanto quel settore rappresentava l’estrema destra del sistema cadorino, che sarebbe stato particolarmente vulnerabile in caso di attacco portato dalla Valle del Tagliamento – lo Stato Maggiore non ritenne poi più possibile che potesse tornare utile nel corso della guerra. Miopia militare imperdonabile. Puntualmente tale eventualità si verificò nell’autunno 1917, in quella dolorosa cornice conosciuta come Rotta di Caporetto. Il 2 novembre, mentre il battaglione Tolmezzo e altri reparti


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La testata del Tagliamento ed i monti circostanti, sui quali infuriò la battaglia del novembre ’17.

della 26a Divisione stavano combattendo disperatamente al Passo Pura e la gran parte della medesima divisione si stava ritirando verso la testata della Val Tagliamento e il Passo Rest, il I Corpo, dipendente dalla 4a Armata1, era ancora schierato sulle linee avanzate del Comelico. Ulteriori ritardi, causati soprattutto dall’indecisione che il generale di Robilant dimostrò nel ritirare i propri contingenti così saldamente appostati, aggravarono la situazione, esponendo l’intero I Corpo d’Armata all’incombente rischio d’accerchiamento. Un atteggiamento in merito al quale Cadorna, il 7 novembre, si pronunziò: “Questa sera sono ancora in pena per il I Corpo della 4a Armata: ma Robilant, al quale ho mandato l’ordine di ritirarsi nella notte tra il 26 e il 27 ottobre, mi ha sistematicamente disobbedito sino al 3 novembre; oggi, se io fossi stato ancora in carica, lo avrei destituito”2. Al contingente di sinistra, comandato dal colonnello Morelli, venne dunque affidata la retroguardia; il 5 novembre raggiunse le posizioni tra Forcella Losco e Forcella Scodovacca – quest’ul-

Al centro, il Capitano Pecco durante una supervisione in Cadore (archivio Cossa).


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tima, presidiata dagli Alpini Volontari del Cadore, dai Battaglioni Monte Assetta e Monte Nero, non verrà mai assaltata dagli imperiali. Si andava così configurando una linea approntata a difesa degli importanti valichi della Mauria e Ciampigotto, entrambi scavalcati da rotabili sufficienti a consentire il passaggio di corposi reparti. Contemporaneamente, il I Corpo d’Armata, avendo appena iniziato il movimento di ritirata, si ritrovava ancora imbottigliato a nord, all’altezza di Santo Stefano di Cadore, pressato dal XX Corpo austriaco. Se i soldati di Morelli, già decisamente provati dai combattimenti e dalle faticose marce forzate che un ripiegamento ordinato richiedeva, avessero capitolato sui crinali della Mauria, la totalità del I Corpo d’Armata italiano (decine di migliaia di uomini) sarebbe stata inesorabilmente aggirata e costretta alla resa. Il 6 novembre scattò l’attacco austriaco, portato dai nuclei d’assalto della 94a Divisione austroungarica e del Gruppo Fasser, destinato ad infrangersi dinnanzi alla solida resistenza che i bersaglieri del 16°, dell’11° e del 7° Reggimento organizzarono sul Passo della Mauria sulle Selle Ciampigotto e Losco. I difensori erano coadiuvati da scarse artiglierie, da comunicazioni inaffidabili tra i vari capisaldi e da trinceramenti approssimativi. Gli avversari austriaci godevano invece di una fiammeggiante esaltazione, di ben maggiori appoggi d’artiglieria, della superiorità numerica e, come non bastasse, del vantaggio meteorologico: in quei giorni, infatti, le dorsali risultavano avvolte da una fitta nebbia che favoriva gli attaccanti. Mentre l’intero settore che dai Monfalconi correva sino al M. Brentoni vedeva le truppe della Carnia resistere pugnacemente, la sottostante Alta Val Piave si presentava come un’immane colonna umana che lentamente scendeva a sud. È facile immaginare quale triste sorte si sarebbe rovesciata su quelle migliaia di soldati nel caso di mancata resistenza alla sinistra idrografica del Piave, tenuta evidentemente dagli uomini del Morelli, le cui armi individuali rappresentavano l’unica speranza di salvezza per la fiumana che transitava pochi chilometri a ponente. All’alba del 7 novembre, le imperial-regie divisioni 94a e 92a rinnovarono l’attacco al Passo della Mauria, a Forcella Losco e al Col Rementera; nonostante la fitta nuvolaglia che impediva


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ogni visibilità, l’attacco fu tenacemente respinto dai bersaglieri. A ciò contribuirono le fortificazioni del Miaron e di Forc. Losco – Col Rementera che da posizione sopraelevata colpivano il fianco degli assaltatori austriaci, costretti a fermarsi dinnanzi alla reazione del presidio. Gli esploratori nemici, seguiti da rilevanti formazioni, riuscirono lo stesso giorno 7 a salire la Val Calda e la Costa Sapeit, occupando il Passo di Landro, il Col Pioi e il Col Rosolo. La caduta di tali rilievi che si ergono tra il Passo della Mauria e la Sella Ciampigotto troncò i collegamenti tra i due principali centri della resistenza italiana, esponendo pericolosamente le rispettive fronti settentrionali e meridionali. Il battaglione Tolmezzo si schierò subito tra il Col Magnente e il Col Torondo nel tentativo di scongiurare l’accerchiamento ai bersaglieri impegnati alla Mauria. Gli alpini del Tolmezzo venivano reclutati interamente tra le vallate carniche e tra i colli friulani; molti giovani nativi dell’Alta Val Tagliamento poterono salutare le proprie famiglie durante la ritirata stessa. Da segnalare, ad onore di quella irriducibile gioventù in armi, che nessun alpino colse l’occasione di imboscarsi tra gli abitati natii… anzi, alcuni di essi, ritardatasi più del dovuto tra gli affetti familiari, allorché le avanguardie nemiche occuparono i propri paesi, riuscirono a sfuggirle per rientrare nei ranghi del battaglione. E la grande “famiglia” del Tolmezzo si ricoprì di gloria pure sul Col Magnente ove tenne duro sino al giorno successivo, quando, l’8 novembre, si ritrovò completamente circondata. Gli arditi del battaglione, tra cui la 69a compagnia al comando del leggendario capitano Giuseppe Garrone, riuscirono nella fuga verso Lorenzago mentre il resto del battaglione veniva fatto prigioniero. Il parroco di Forni di Sopra rammenta nel suo diario: “sono stanchi, avviliti, affamati… Uno mi dice che da tre giorni non ricevono rancio, solo la buona gente ha dato loro qualche cosa... un altro mi racconta che diversi suoi compagni sono caduti sfiniti lungo la strada, uno ne trovo in un fosso, non so se riposa o dorme il sonno eterno…”. Il sacrificio del Tolmezzo permise alla guarnigione di Col Rementera e di Forcella Ciampigotto il disimpegno attraverso la Val Piova, allo sbocco della quale venne però in buona parte catturata, data la intempestiva distruzione del ponte di Pelos, che pregiudicò il buon esito della ritirata. Sul versante meri-


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dionale, invece, i bersaglieri della Mauria si accorsero la mattina dell’8 Novembre 1917 di come gli Imperiali fossero piombati alle loro spalle da nord-ovest, aggirandoli. I pochi superstiti del 52° e del 27° Battaglione Bersaglieri, comandati dai maggiori Dezzani e Jannone, rifiutando la resa, puntarono su Lorenzago e, dopo un cruento combattimento, riuscirono a sfondare l’accerchiamento nemico nei pressi della Casa Cantoniera, ove una squadra s’immolò sino all’ultimo uomo per guadagnare la strada della ritirata. Anche la guarnigione del Miaron riuscì a sganciarsi sfilando al fianco meridionale del nemico, attraverso gli impervi ghiaioni e i fitti boschi di Chiole. La battaglia della Mauria terminò nel momento in cui le poche centinaia di soldati, reduci del valoroso Gruppo Morelli, si ricongiunsero alle colonne che stavano ritirandosi lungo la Val Piave. Questo combattimento fu erroneamente sottovalutato dalla storiografia inerente al primo conflitto mondiale. La resistenza del Gruppo Morelli, sorretta nell’arco di tre determinanti giornate, non solo rallentò l’incalzante inseguimento nemico, offrendo alle Grandi Unità della 4a Armata un maggior spazio temporale utile alla riorganizzazione post–ritirata; ma, fatto ben più importante, garantì al I Corpo d’Armata, l’unica possibilità di salvezza dall’inesorabile accerchiamento nemico.

Note

1) La 4a Armata, composta da circa 400.000 uomini, comandata nel 1917 dal gen. Mario Nicolis di Robilant, presidiava l’intera fronte dolomitica, tra la Val Sugana e il Monte Peralba (Alpi Carniche Occidentali). 2) La 26a Divisione era originariamente aggregata al 12° Corpo d’Armata autonomo, schierata a difesa della Zona Carnia tra il Monte Peralba e il Monte Rombon (Alpi Giulie). Nell’autunno 1917 le truppe della Carnia erano agli ordini del generale Tassoni, il quale, traslocando, durante la prima fase della ritirata il proprio Comando a Maniago ben fuori dai monti si ritrovò completamente disinformato e incapace di imprimere disposizioni tempestive ai propri gregari.


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I FORTI DEL FRIULI GLOSSARIO SINTETICO DI TERMINOLOGIA MILITARE

Affusto: sostegno di una bocca da fuoco, rigido o a deformazione. Avancorazza: protezione in ghisa indurita applicato all’orlo dei pozzi in calcestruzzo in modo da avvolgere il diametro della cupola. Barbetta: lungo eminente sul terrapieno di una fortificazione o su una cresta montuosa sul quale si collocano i pezzi di artiglieria allo scoperto, senza cannoniere. Barbetta protetta o corazzata era invece sinonimo di cupola corazzata. Calibro: diametro interno della canna di un’arma espresso in cm o mm. Cannoniera: apertura nella parete di un’opera corazzata o nella roccia attraverso la quale sparava un pezzo. Era detta minima quando il foro coincideva esattamente con l’ampiezza del settore di tiro verticale ed orizzontale. Caponiera: elemento difensivo sporgente dalla scarpa di una parete del forte utilizzata per la difesa ravvicinata. Casamatta: vano o edificio con feritoie e aperture per poter tirare verso l’esterno. Talora usato come sinonimo di caserma o alloggiamento. Cofano: elemento difensivo in casamatta ricavato o sulla gola o nella controscarpa, con le feritoie rivolte al fossato e collegato da un corridoio al forte. Controscarpa: parete di fronte alla scarpa. Culla: parte del pezzo dove appoggia la bocca da fuoco , munita spesso di scudo d’acciaio e di freni idraulici per controllare il rinculo del colpo. Sulla culla scorre la canna dopo aver sparato il colpo. Cupole corazzate: installazione atta al posizionamento dei pezzi, normalmente in acciaio Gola: lato del bastione rivolto verso l’interno della difesa. Indicava genericamente il retroforte e serviva a far affluire rifornimenti e rinforzi al riparo. Il suo fossato era propriamente la via di questo afflusso. Poterna: apertura praticata sotto le mura per comunicare tra l’esterno e l’interno di una fortezza. Nei forti moderni indicava un passaggio sotterraneo che comunicava con le postazioni esterne al forte. Postierla o pusterla: passaggio ricavato nelle mura delle fortezze medievali che comunicava col fossato a pelo d’acqua. Nei forti moderni indica una porta di servizio con l’esterno dell’opera. Ramparo: terrapieno costruito in modo che servisse da recinto alla fortezza. Riservetta: locale dei forti destinato a deposito di munizioni. Scarpa: parte a zoccolo della fortezza a muro inclinato posto alla base di una parete per rinforzare la cinta muraria. Squadre di servizio: squadre di artiglieri che servivano i pezzi. In genere il numero dei soldati variava da 5 a 6 serventi più un capopezzo per ogni bocca da fuoco. Tagliata: difesa costruita su una strada allo scopo di sbarrarla. Traditor: postazione nascosta o mimetizzata situata in posizione atta a difendere repentinamente il forte, colpendo l’attaccante in modo inaspettato. Volata: parte anteriore della bocca da fuoco opposta alla culatta. In pratica era l’apertura del cannone da cui usciva il proiettile.


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Nelle pagine seguenti si propongono determinati aggiornamenti scaturiti da ricerche effettuate nei periodi successivi all’uscita della Prima edizione di questo libro. Per motivi di spazio, non è qui possibile offrire le numerose inedite notizie storiche così accumulate. Presentiamo perciò al lettore una sezione tesa a integrare o correggere certe lacune del testo originale, assieme alle relazioni di due ulteriori itinerari. Questi riscoprono “nuove” fortificazioni permanenti e sono qui descritti nell’ottica di segnalare tutti gli impianti fortificati facenti parte del regio sistema difensivo del Friuli. Integrazioni Pag.19. Nota: in realtà, a Venzone non esisteva all'epoca una passerella vera e propria (che sarà edificata negli anni successivi al conflitto) ma un guado effettuato con delle zattere-traghetto. Pag. 90 - Nota: in ordine all’altro osservatorio legato funzionalmente al Forte di Monte Festa, ovvero il sito di Forcella Amariana (Monte Forcella quota 1108 m, sul crinale nord-est dell’Amariana, presso il locale Ricovero), non esistono vestigia riconoscibili sul terreno: per chi intendesse visitare il sito, il sentiero non oppone difficoltà ed offre una visuale meritevole verso il Canal del Ferro e il sottostante Fiume Tagliamento. Durante la Grande Guerra, a Forcella Amariana risultava impiantata una stazione ottica dotata, secondo le relazioni depositate all’USSME, di un “apparato nominativo” in casotto di legno.

La Valle del Tagliamento presso Carnia e lo sbocco di Gemona dall’osservatorio di Forcella Amariana; l’altura in alto a sinistra ospita il Forte di Monte Ercole.


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La stazione doveva assicurare i collegamenti ottici tra la Val Fella e la Piazzaforte dell’Alto Tagliamento, oltre a fungere da punto di osservazione per il Forte di Monte Festa, riguardo al settore del Canal del Ferro. Pag 154 – Nota: in merito allo scatto riprodotto a fondo pagina, il raffronto con altre foto storiche porta a dedurre che l'immagine Il sito ove non sia stata scattata sul Ponte di Cornino, esisteva nonostante le somiglianze paesaggistiche, l’impianto di bensì nel settore di Codroipo. pompaggio idrico del Forte di Pag. 155- Nota: ricerche successive hanno svelato che la maggior parte delle trincee del Col Roncone. Monte Ragogna venne costruita nell’anno 1916, nell’ambito dei lavori di difesa arretrata voluti dal Comando della Zona Carnia, rispetto alla quale il Monte Ragogna rappresentava l’estrema propaggine sud orientale (vedi Marco Pascoli, La Grande Guerra nel Friuli Collinare – Comune di Ragogna, 2007). Pag. 166 – Nota: in un vano interno del forte di Col Roncone, piano terra, è reperibile il sito ove funzionava l’impianto idraulico, presso il quale sono ancora evidenti le iscrizioni che individuavano le valvole relative alle pompe interne. Pag 167 – Nota: sul cemento della rampa che L’iscrizione induceva al ponte levatoio del Forte di presente nei pressi del Forte di Fagagna, l’occhio attento rileva il graffito Fagagna. lasciato da un giovanissimo lavoratore civile, probabilmente impiegato nei lavori di miglioIl Forte di ramento qui effettuati dal Regio Esercito negli Fagagna. anni bellici: Rigolli G., classe 1904.


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L’appostamento di Monte Brancot P) Partenza 1) Appostamento del M. Brancot. 2) Cresta del M. Tre Corni. 3) Caverne. A) Arrivo. Vie d’accesso: il tragitto escursionistico ha il punto di partenza presso Braulins e quello d’arrivo poco a monte di Interneppo: necessarie due auto data la significativa distanza chilometrica che intercorre fra i due luoghi. Tempo di percorrenza: da Braulins all’appostamento posizionato tra il M. Brancot e il M. Palantavins, ore 3.00; da qui alla vetta del M. Tre Corni, ore 0:30; discesa al punto d’arrivo, ore 2:00. Difficoltà: escursionistiche; prestare attenzione ad alcuni punti esposti lungo la cresta del Tre Corni. Note Dalle ultime case di Braulins ci si innalza per comoda mulattiera (segnale CAI ) e in una manciata di minuti si guadagna una selletta tra la dirupata Quota 252 e i contrafforti del Monte Brancot. Ivi, il sentiero continua diritto tagliando sottoroccia il pendio: merita tuttavia effettuare una digressione sia sulla sinistra per visitare la suggestiva Chiesetta di San Michele dei Pagani (vicino alla quale passava il vecchio itinerario di salita, ora inagibile), che sulla destra per esplorare i resti dei trinceramenti italiani sulla vicina Quota 252, dominante il Ponte di Braulins. Tali solchi assunsero parte attiva nella difesa del Ponte durante la Battaglia di Caporetto, dal 29 ottobre al 4 novembre 1917.Apprezzati gli interessanti siti, s’insiste attenendosi alle marcature bianco-rosse della mulattiera, la quale prima traversa a mezza costa donde prendere quota con strette serpentine.


Il Ponte di Braulins dal sentiero diretto al Monte Brancot.

All’altezza dei 500 metri di quota, dove un tempo esistevano degli stavoli, il viottolo cede il passo ad un più faticoso sentiero che va a sfociare nella Forchia di quota 847, sul cui rovescio sopravvivono ruderi di antichi edifici rurali. Tosto, snodandosi su terreno alquanto erto ma non pericoloso, si guadagna in circa 20 minuti la panoramica cima del Monte Brancot, cadente sulle acque del Tagliamento. Sul pianoro sommitale, fronte nord-ovest, emerge qualche vestigia del posto di osservazione costruito negli anni antecedenti la Grande Guerra e riportato pure nella cartografia militare austriaca successiva al 1914. Dalle decadenti murature, una mulattiera parallela alla traccia CAI s’avventura verso la forcella incavata tra la cima del Brancot e quella del Monte Palantavins. Ivi, si scopre il grosso delle infrastrutture allora edificate dal Regio Esercito. Trattasi d’una casermetta blindata, parzialmente diroccata, volta ad ospitare diverse decine di soldati e costituente la base del presidio deputato all’osservatorio del Monte Brancot. Il sito, nato per garantire ai Forti di Osoppo e del Monte Festa il controllo diretto del territorio circostante Gemona, veniva rifornito da Trasaghis mediante una mulattiera ricavata tra i costoni nord-occidentali. Essa, alternativa agli attuali sentieri CAI, si rivela inagibile in quanto parzialmente scomparsa: il percorso immediatamente precedente la forcella rappresenta l’ultimo segmento di quell’itinerario militare. Per quella via, secondo il Diario della Piazzaforte Alto Tagliamento (USSME), il 2 marzo 1917 salì per una “ricognizione” anche il Maggiore Generale Comandante della Piazza, assieme al suo Comandante dell’Artiglieria.


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Alcuni mesi più tardi, nei tragici giorni di fine ottobre ed inizio novembre 1917, ben più operativo fu l’impiego delle artiglierie: presso la forcella, vennero infatti postati i cannoni della 21a Batteria da Montagna. Essi, come rammenta il comandante del loro 24° Gruppo, Maggiore Frondoni, contribuirono Particolare della casermetta in maniera determinante a rintuzza- del Brancot. re gli attacchi tedeschi sferrati contro le difese di Braulins dall’11° Reggimento Jager (Tenente Colonnello Bettendorf). Rievocate così le principali vicende storiche del suggestivo luogo ove sostiamo, oggi avvolto da un fitto alone di silenzio ed oblio, possiamo continuare verso la vetta più alta del massiccio, il Monte Palantavins. Indi, ci avviamo verso il rilievo più settentrionale, il Monte Tre Corni. E’ il tratto più spettacolare, che si svolge su un’affilata cresta erbosa (attenzione poco prima del Tre Corni, passaggio aereo!) da cui si schiude un eccelso scenario sull’intero Alto Friuli. Molto particolare emerge la visuale verso le opere corazzate di M. Festa e di M. Ercole, perfettamente osservabili. Dal Monte Tre Corni si cala lungo l’inclinata dorsale nord (massima cautela in presenza di ghiaccio), godendosi il brillare delle verdi acque del Lago di Cavazzo. Oltrepassati alcuni facili intagli franosi, si cavalca il dosso del Monte Navarunt oltre il quale ci si avvia in netta discesa verso l’arrivo. Segnaliamo che poco prima di concludere l’itinerario, sulla destra, l’appassionato può identificare alcune caverne costruite durante la Grande Guerra nel contesto della linea difensiva volta a chiudere la Sella di Interneppo (vedi pagina 88).

La cresta del Monte Tre Corni.


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Le polveriere di Colloredo di Montalbano

P) Punto di partenza 1) Polveriere blindate in caverna Vie d’accesso: il punto di partenza è localizzato presso Laibacco, frazione di Colloredo di Montalbano, situato poco a nord del Capoluogo stesso, a lato della strada provinciale Osovana; si assume come riferimento la segnaletica naturalistica riconoscibile all’inizio di una carrareccia che si diparte dalla periferia est di Laibacco, a circa 500 metri dal centro, in vista del Castello di Colloredo. Tempi di percorrenza: dal punto di partenza alle polveriere 15 minuti; visita ai manufatti, 20 minuti; rientro, 15 minuti. Difficoltà: nessuna; portarsi appresso una torcia per esplorare gl’interessantissimi sotterranei. Note: Dai pressi della Chiesa di Laibacco, guardando il Castello di Colloredo, si svolta a sinistra per una carrareccia che si “avventura” nelle campagne verso Vendoglio. Oltrepassato un impianto di segnaletica naturalistica, si prosegue diritti per circa mezzo chilometro. Tosto, si incontra un “quadrivio”: una traccia si abbassa nella vallata laterale a destra (direzione castello), lo sterrato principale insite diritto, una mulattiera sale sull’altura evidente a sinistra e una straducola aggira all’estrema sinistra tale collina. Ci si avvia lungo quest’ultima sino ad un ulteriore incrocio, donde si continua per la via di destra. Con breve passeggiata possiamo Uno dei poderosi ingressi blindati raggiungere un sito estremaalla polveriera di Colloredo.


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mente interessante e sconosciuto: le locali polveriere della Grande Guerra. Esse si aprono sulla destra, addossate alle pendici nord del succitato rilievo. Le polveriere constano in due gallerie comunicanti, caratterizzate da imbocchi poderosamenL’interno della polveriera. te blindati e rifiniti con cura architettonica. I corridoi sotterranei accedono entrambi alla grande stanza interna deputata ad ospitare le munizioni d’artiglieria. Oltre a ciò, poco più avanti si rivelano anche degli ampi spiazzi artificiali – notevoli le murature di sostegno – evidentemente volti ad offrire il sito adeguato per qualsivoglia tipologia di deposito. Queste imponenti infrastrutture, edificate durante i primi anni bellici (secondo le testimonianze raccolte ed in virtù delle peculiarità costruttive), assumevano un ruolo ausiliario rispetto alla bat- Dal corridoio di accesso del sotteria permanente di Modoletto, terraneo… situata nelle campagne immediatamente a sud di Colloredo. I forti del Friuli: da teatri di battaglia a luoghi di incontro Nel corso del periodo trascorso dall’uscita della prima edizione di questo libro (2005) ad oggi (2008), numerosi siti fortificati sono stati oggetto di interventi volti alla valorizzazione in chiave turistica e non solo. Tale diffusa attività viene sviluppata con gli obiettivi di salvaguardare delle preziose realtà storiche e di trasformare gli ex teatri di battaglia in luoghi di incontro fra i cittadini delle nazioni europee, allora nemiche, ora impegnate in un comune percorso di crescita e cooperazione unitaria. Di seguito, si riporta l’elenco dei forti friulani coinvolti da tali progetti al febbraio 2008:


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la Fortezza di Chiusaforte: nell’ambito di un progetto comunitario, è stata ripulita e risulta tuttora soggetta a lavori di ripristino, accompagnati da altre iniziative quali la creazione di un centro multimediale e la pubblicazione di materiale divulgativo. Il Forte di Monte Ercole (Gemona): oggetto di alcuni lavori di manutenzione e ripulitura. La Fortezza di Osoppo: l’intero Colle di Osoppo, sul quale si trovano anche i siti risalenti alla Prima guerra mondiale, è percorso da un Museo all’aperto che tocca le principali. vestigia; chi sia interessato a seguire una visita guidata al comprensorio, peraltro ottimamente curato, può contattare la Pro Loco di Osoppo – 0432.974161 – prolocoosoppo@libero.it il Forte di Monte Lonza sulla Bernadia (Tarcento): il cantiere di ripristino del forte, destinato ad ospitare un centro di studi affiancato da ristorante panoramico, è in corso d’opera. Il progetto, di carattere comunitario, è seguito dal Comune di Tarcento. la Testa di Ponte di Ragogna: sul Monte di Ragogna, verso le Rive del Tagliamento, sull’Isolotto del Clapàt e in zona Forgaria quattro itinerari storico-escursionistici toccano i luoghi storicamente più significativi, evidenziati da un’ampia rete di cartellonistica specifica. A Ragogna è visitabile il Museo della Grande Guerra, aperto ogni martedì e giovedì dalle 15:30 alle 18:00. Vi si segnala la possibilità di visite guidate su prenotazione e di richiedere presso il Comune le pubblicazioni progettuali. Sito internet: www.grandeguerra-ragogna.it - referente: marco_pascoli@alice.it - 348.0134637. Il responsabile del progetto comunitario “I luoghi della Grande Guerra nel Friuli Collinare” si individua nel Comune di Ragogna – 0432.957255. il Forte di Col Roncone (Rive d’Arcano): oggetto di lavori tesi alla riqualificazione infrastrutturale da parte del Comune di Rive d’Arcano. il Forte di Fagagna: recentemente, in virtù dell’impegno profuso dalla locale Sezione ANA, è stato ripulito e reso visitabile. Si segnala infine che la casermetta del Monte Miaron e i ricoveri pressi Forcella Buja e Punta di Montemaggiore tuttora sono fruibili quali bivacchi alpini, mentre l’area del Forte di Santa Margherita è stata demilitarizzata e trasformata in centro d’aggregazione sociale.


Gaspari editore Via Vittorio Veneto 49 - 33100 Udine Tel. 0432 512.567 • Fax. 0432 505.907 www.gasparieditore.com e-mail: info@gasparieditore.com Lorenzo Cadeddu Filippo Castagnoli MONTE GRAPPA TU SEI LA MIA PATRIA Storia e itinerari escursionistici

Il Monte Grappa prima della Guerra; gli avvenimenti; il ripiegamento; l'organizzazione difensiva; l'attacco austriaco al Grappa; la battaglia d'arresto; la battaglia del Solstizio; la battaglia di Vittorio Veneto; importanza militare del Grappa; Le strade; le escursioni Guide Gaspari; 11,5x21, ISBN 88-7541-115-8; 200 ill. in b.n. e a col., pp.180, € 13,50 Corrado Callegaro Paolo Gaspari Roberto Tessari IL CAMPO DI BATTAGLIA DEL PIAVE I. Il Montello. Storia e itinerari escursionistici

Santa Croce, “Città Ragazzi del ‘99”, il Cippo degli Arditi, il Sacello di Baracca testimoniano l’importanza strategica di questa collina, la veemenza della lotta e nel contempo evocano episodi entrati nell’immaginario collettivo e tutto ci sussurrerà storie: ... Il Cap. Caretta sgozzato mentre difende il suo gruppo di batterie di bombarde, i difensori di Casa Serena, il XXVII Reparto d’Assalto a Casa Bianca, la scomparsa del Gen. Bolzano von Kronstadt, gli Arditi al Piave... Guide Gaspari; 11,5x21,ISBN 88-7541-111-5; 280 ill. a colori e b.n., pp.228, con una piantina di 80x40 cm. che illustra gli itinerari del Montello € 13,50 Mitja Juren Nicola Persegati Paolo Pizzamus IL CARSO DIMENTICATO 1°. LE TRE SPALLATE AUTUNNALI DEL 1916 Storia itinerari ed escursioni

Nel rovente agosto del 1916 le brigate italiane, dopo il ripiegamento austriaco seguito alla caduta della piazzaforte di Gorizia, affrontarono lo spalto orientale del Vallone, per riprendere il contatto con l'avversario. La sesta battaglia dell’Isonzo, la più grande offensiva lanciata dal Regio Esercito sul fronte dell’Isonzo dall’inizio del conflitto. I bombardamenti furono di un’intensità mai riscontrata prima. Al grande parco delle artiglierie della 3a Armata italiana furono affiancati per la prima volta i raggruppamenti di batterie di bombarde per il loro battesimo di fuoco in grande stile. La nuova arma dal tiro curvo, un micidiale mortaio da trincea, dilaniava i grovigli di filo spinato oltre a inquadrare con i suoi proiettili le trincee più anguste, diverrà la grande protagonista nelle future offensive del 1916 e 1917 sul Carso di Comeno. Guide Gaspari; 11,5x21, ISBN 88-7541-109-3; 300 ill. a colori e b.n., pp.228, € 13,50


Marco Mantini VIAGGIARE NELLA STORIA Dall’Adriatico al Passo di Monte Croce Carnico Guida ai luoghi e ai percorsi della Grande Guerra in Friuli Venezia Giulia Contiene la traduzione degli itinerari in tedesco, inglese e una breve presentazione in lingua polacca. È la guida al più grande campo di lotta della Grande Guerra. Le Alpi Giulie e Carniche ma soprattutto il Carso assistettero a dodici cruente battaglie, mentre la zona di pianura si trasformò nella grande retrovia al servizio delle armate italiane. Il conflitto trasformò il paesaggio in un unico, vastissimo, museo all’aperto. Questa guida offre lo spunto all’ospite del Friuli VeneziaGiulia per visitare questo particolare museo e ripercorrere quei luoghi diventati patrimonio comune della Storia europea. Guide Gaspari 11,5x21, ISBN 88-7541-044-5;160 ill. in b.n. e a col., pp.240, € 13,00

Nicola Persegati BATTAGLIE SENZA MONUMENTI PANOVITZ, SAN MARCO E VERTOJBA Itinerari sconosciuti in Slovenia alla riscoperta delle imprese degli arditi di Bassi A est di Gorizia il sistema difensivo austriaco bloccò ogni velleità dei Comandi italiani di giungere per quella via nella pianura di Lubiana. La zona del Panowitz-San Marco e Vertojba, ricca di boschi e acque, divenne spoglia come il Carso e teatro di furibonde battaglie. Costone degli Ovoli, Belpoggio, Cuore – tutte località dal nome bucolico – divennero carnai per i fanti che cercavano di superare quelle formidabili trincee. Fu proprio per rompere quello schieramento che vennero impiegate le prime compagnie degli arditi costituite prima a Pradis di Cormòns e poi a Sdricca di Manzano... Guide Gaspari 11,5x21,ISBN 88-7541-040-2; 112 ill. a colori e b.n., pp.156, con i tracciati delle varie trincee e gli itinerari € 12,00

Seconda edizione aprile 2008


Andrea Vazzaz è nato a San Daniele del Friuli nel 1985 e risiede a Tarcento. Appassionato ricercatore di storia e di collezionismo militare, volontario nell'8 Reggimento Alpini è attualmente maresciallo. E-mail: andre216@libero.it

In copertina: Installazioni militari del Monte Ragogna. Le cupole del Forte di Monte Ercole (archivio Tiliaventum). La batteria permanente esterna di Monte Festa (archivio Luca Cossa). Il Monte di Ragogna in una panoramica aerea. Particolare di una planimetria con dislocazione per una batteria da 149 B, (Aussme).

13,50

Pascoli - Vazzaz

Si può dire che nella storia di ogni famiglia italiana c’è un pezzo di anima e di corpo lasciato in Friuli. Se nell’inferno di Verdun transitarono i due terzi dei soldati francesi, così in Friuli passarono tutti i cinque milioni di combattenti italiani in quel sacrificio collettivo che fu la Grande Guerra. La memoria storica di ciascuna famiglia è quindi legata al sacrificio dei suoi membri sui campi di battaglia, e il prezzo pagato dalle classi popolari per avere, con il diritto di voto la possibilità di entrare nello Stato italiano democratico. In Friuli combatterono anche tedeschi, austriaci, cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, croati, bosniaci, sloveni: il più vasto ed eterogeneo campo di battaglia della storia europea. Questo libro fa scoprire quei luoghi dimenticati.

I Forti e il sistema difensivo del Friuli

Marco Pascoli nato nel 1985, risiede a Muris di Ragogna. Studente universitario, opera quale esperto storico nel progetto Interreg I luoghi della Grande Guerra, nel cui ambito ha realizzato il Museo di Ragogna, il libro La Grande Guerra nel Friuli Collinare (2007) e altre iniziative tematiche; con il Gruppo di Ricerche e Studi sulla Grande Guerra di TS da anni svolge attività di individuazione di graffiti, targhe e fregi sui campi di battaglia del Primo conflitto mondiale. Per la Gaspari ha curato La Battaglia del Monte Ragogna (2004); e-mail: marco_pascoli@alice.it

Marco Pascoli Andrea Vazzaz

Gaspari

I Forti e il sistema difensivo del Friuli Guide Gaspari

Itinerari nel più grande campo di battaglia della Grande Guerra

La batteria permanente esterna di Monte Festa (archivio Luca Cossa).


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