Corriere del Po 13 - 2016

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Direttore Responsabile: Carlodaniele Caramaschi

Corriere del Po Anno III - n° 13 - Da 27 Giugno al 10 Luglio 2016

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Il Mito di Re Mida

L’oro! Ecco il motore del mondo! Gli Spagnoli al tempo delle Americhe mai scoprirono l’ELDORADO, il mitico paese con le case dal tetto d’oro, invero, avevano trovato altrove. Giungevano in patria i galeoni colmi d’oro. Razziavano i tesori sacri Inca ed Atzechi e li fondevano in lingotti prima d’imbarcarli. In tal modo distrussero una serie d’oggetti d’arte impareggiabile. Soltanto qualche monile emerge da scavi anche d’oggigiorno, gioielli meravigliosi, ma all’epoca in Europa non erano apprezzati, pur essendo opere d’arte cui gli attuali designer tuttora attingono. L’oro, oltre ad essere un mito, è il mostro di tutte le guerre, la sete d’ogni re. MIDA re di Frigia, pregò Giove! Era ebbro di potere, le guerre non finivano mai, i mercenari chiedevano moneta, i forzieri si vuotavano. Invocava così: “Oh Giove, sono un re e sono afflitto da indegni creditori che mi tormentano, le donne del mio harem mi ricusano a mo’ di squattrinato”! Re Mida, come in un sospiro, espresse un desiderio”! Eccolo: “Che possa tramutare in oro ogni cosa che tocco”! Giove lo dissuase con parole dure: “L’oro porta male, non da felicità”.… ma sembrava frase fatta, proferita in genere da chi ne ha troppo o da chi è povero in canna. Avvenne un fatto nuovo! Due viandanti procedevano all’alba verso la città, s’imbatterono in un uomo addormentato ai bordi della strada, lo destarono. Urlava insulti e frasi sconnesse, furono presi a pugni e calci, al punto da scambiarlo per un brigante, dovettero legarlo mani e piedi. Lo posero pancia a basso a dorso di una mula, col capo penzoloni di qua e le gambe di là. Speravano un premio per aver catturato un malvivente, lo portarono al cospetto del re. Ebbero a ricompensa un sacco di bastonate. Chi era l’ignoto personaggio? Mida lo riconobbe: Il dio Bacco! Nientemeno! Avevano malmenato Bacco! Reduce da un’orgia, ebbro di vino, aveva smarrito la strada e s’era addormentato sul ciglio del fosso. Mida lo accolse a corte con tutti gli onori e, dopo un sontuoso banchetto, provvide ad una scorta armata onde guidarlo sull’Olimpo. Bacco lo volle premiare: “Esprimi un desiderio….” Un desiderio? Da anni lo rodeva come un tarlo, lo pungeva come uno strale. Eccolo: “Che divenga oro tutto quanto intendo toccare”! Bacco rimase perplesso ma un dio non ricusa una promessa. Re Mida fu appagato! Fuori di sé per la gioia, passò l’intera mattinata a toccare…. ora una brocca di coccio.... “Uh come splende”!, indi uno sgabello di legno.... “Guarda che bagliori”! Tanto era preso che nemmeno sedette a mensa, gli appariva tempo sprecato, c’erano tante cose da tramutare in oro.... Giunse la notte…. Stremato da tanto d’affare, si sedette. Staccò un acino d’uva e lo portò alla bocca.... Oh guarda un po’.... è diventato d’oro, provò con una mela.... ebbe una fitta ai denti.... gli servirono un pranzo da re... Maledizione, tutto diveniva oro anche al semplice contatto con le labbra. Per farla breve.... re Mida stava per morire di fame.... e di sete, anche l’acqua diveniva oro…. che fare? Si recò all’oracolo ed invocò di nuovo Giove. Ebbe una risposta. Per togliersi di dosso l’aurea maledizione, doveva recarsi in un luogo fuori dal suo regno, ove un fiume di confine impaludava in uno stagno, offrire sacrifici indi fare le abluzioni e dire in preghiera: “D’ora innanzi voglio vivere povero come un mendicante”. Obbedì! Si vide liberato, di nuovo poté mangiare e bere.... ma avvenne un fatto strano.... uscito dall’acqua, come fosse caduta la rogna, una sorta di ruggine si squamava in tante piccole scaglie d’oro, giunte a terra facevano razza tra loro, al punto da coprire l’intero l’arenile. Gli abitanti se n’avvidero e s’avventarono su quelle pagliuzze. Scoppiò la guerra tra due città, entrambe reclamavano il possesso dello stagno che prima era di tutti. Le battaglie erano talmente cruente da divenire un lago di sangue in cui prosperavano sanguisughe grandi quanto un palmo e pesci voraci a mo’ di pirania divoravano i cadaveri dei guerrieri. Giove, stanco di zuffe, mandò un’alluvione che travolse entrambe le città, uno strato di limo coprì l’arenile sì che scomparve la ragione del contendere. Il re Mida? Liberato dal maleficio, visse da povero. Si cibava di rape e radici amare, altro che porpora, vestiva abiti di sacco come un penitente. In un ovile della Frigia era cresciuta una pecora strana, mai se n’era vista una simile, era grande quanto un ciuco. Mida la volle per sé e ricompensò il pastore. In luogo di cavalcare un focoso destriero, si muoveva a dorso di pecora, senza morso né briglia, né sella né speroni. Procedeva così, senza spada né corona, senza scettro e senza scorta. Durante il suo regno mai più s’ebbero guerre. Iniziava in Frigia la vera età dell’oro, “ove l’oro non luccica e non corrompe”.... proprio perché nessuno lo brama. Bello il finale eh! Resta soltanto un rammarico: “Peccato che i re EREMITI esistano soltanto nelle favole”! Giorgio Boldrini


A Piacere Moglia Edizione 2016 una sfilata di moda veramente applaudita e tanti iniziative collaterali un Grazie a tutti Piacere Moglia si è concluso, finalmente è il momento di ringraziare tutti quanti , dalla sfilata Piacere Moda , all'Evento Sens-Azioni, all'aperitivo Motori e Sapori, il Concorso delle Vetrine, e tutti gli altri eventi che ci sono stati in questo week end, una manifestazione bella che apre i cuori. Grazie a Gianni Bellesia che ha presentato in maniera eccelsa la sfilata ed ha prestato i suoi abiti di collezione da sposa, alla stilista Irene Sarzi Amadè, a Maxbel Alberini con Patrizia che hanno vestito tantissimi bambini rendendoli modelli per 1 giorno, ed anche i ragazzi sempre pronti a partecipare, Dieffe Snc con Daniela un vulcano di emozioni con tutte le sue modelle giovani e meno giovani, Teresa Borriello con i suoi divertenti costumi di carnevale e i suoi abiti Fatti Su Misura per Te, Nonsolosposa Abiti da Sposa con il suo abito da sposa moderno ma romantico, Eleonora Tamassia con la linea Maristelle di costumi da bagno meravigliosi, Stefania Bellarmi e Sony Francioli per le acconciature, Francesca Bignardi e Sacchi Paola , Maria Furgeri con Antico Vintage , il Comune di Moglia , La Proloco, tutti i commercianti , After-Radio, l' Uici di Mantova con Mirella Gavioli e Claudio Bina, Pasquale Millevoglie Castaldo, tutti i genitori , le modelle e tutti tutti tuttiiiiii. Grazie mille. Foto di Davide Bellesia

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I Giochi di Una Volta Maria Grazia Gioachin da Via 11 settembre a Suzzara, ci racconta i giochi che usava quando era piccola. Anni poveri anzi, poverissimi quelli, ma era contenta e felice e bastava poco! Leggiamo il suo diario: “Il tempo per giocare era poco, i nostri genitori non avevano la possibilità di prenderci dei giocattoli, così io, mia sorella ed i miei fratelli giocavamo a nascondino, alla carampana (disegnavamo con un carbone tanti quadrati sull’aia e con una scaglia saltavamo questi quadrati fin quando uno di noi vinceva), poi facevamo una pista con la sabbia a forma di biscia e con i tappini delle bottiglie davamo un colpo con le dita e chi arrivava al traguardo per primo vinceva: questi erano i nostri semplici giochi, ma ci divertivamo tanto. Racconto ora come veniva festeggiata la nostra S. Lucia e la Befana. Andavamo a scuola e gli altri bambini raccontavano dei regali che avevano ricevuto: trattorini, macchinine, ruspe, trenino e bambole, mentre noi stavamo ad ascoltare con un po’ di malinconia. La sera prima dell’arrivo di S.Lucia, noi preparavamo il fieno, la crusca e l’acqua per l’asinello, poi andavamo a letto presto e felici perchè al mattino trovavamo i doni. Quella mattina la mamma ci svegliava un po’ prima e diceva: “Bambini alzatevi che è arrivata S.Lucia!” e noi quattro, tutti contenti, giù di corsa per le scale! Sulla tavola trovavamo quattro piatti con i nostri nomi disegnati dalla mamma e dentro ad ognuno c’era un’arancia, due noci, delle castagne secche, i biscotti fatti da lei e i disoccupati (omini di liquirizia presi dal tabaccaio). Eravamo così contenti nel vedere questo piatto pieno.. Poi andavamo a vedere se l’asinello di S.Lucia aveva mangiato, ma la mamma, prima che ci alzassimo, toglieva il fieno e la crusca e noi dicevamo: “poverino il somarello aveva proprio tanta fame!” Noi eravamo felici così, con poco. Attilio Pignata

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Direttore Responsabile: Carlodaniele Caramaschi Editore: Carlodaniele Caramaschi D.I. Stampa: Stamperia S.c.r.l. Parma Sede: Via D . Corbari, 1 - Buzzoletto di Viadana (MN) Reg. Trib. MN - 1/2014 345.0633342 Carlo - 327.2564168 Katia - 345.4185917 Oriella Collaboratori e Amici: Marco Cagnolati, Giorgio Boldrini, Luigi Mignoli, Attilio Pignata, Gianni Bellesia, Vanna Bozzolini, Marina Lombardi, Mariangela Corradini, Emanuele Marazzini, e tutti coloro che ci inviano articoli e/o Poesie da pubblicare, GRAZIE!!! Distribuzione: Casalmaggiore (Casalbellotto, Roncadello, Valle e Vicomoscano); Borgoforte; Campitello, Canicossa e Cesole di Marcaria; Commessaggio; Dosolo (Correggioverde e Villastrada); Gazzuolo; Gonzaga (Bondeno e Palidano); Moglia; Motteggiana (Sailetto e Villa Saviola); Pegognaga; Pomponesco; Sabbioneta (Breda Cisoni e Villa Pasquali); San Benedetto Po (Portiolo); Suzzara (Sailetto e San Prospero), Viadana (Banzuolo, Bellaguarda, Buzzoletto, Casaletto, Cavallara, Cicognara, Cizzolo, Cogozzo, Salina, San Matteo e Squarzanella); Boretto (Santa Croce); Brescello; Gualtieri (Pieve Saliceto); Guastalla (Pieve, San Giacomo, San Martino e Tagliata); Luzzara (Casoni, Codisotto e Villarotta); Poviglio; Reggiolo (Brugneto, Villanova). Avvertenza Legale: Tutte le pubblicità prodotte da Carlodaniele Caramaschi D.I. per il Corriere del Po sono di proprietà esclusiva dello stesso, pertanto è assoultamente vietata la riproduzione aanche parziale senza preventivo consenso. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge.


Suzzara e i Suzzaresi come sono cambiati in Trent’Anni

Intervista a Gianni Semighini Presidente del Centro Sociale

Nel 1998 sulla Voce di Mantova a firma di Vanni Buttasi apparve una intervista al parroco dell’Immacolata” di Suzzara Don Lino Boselli, il quale analizzava la vita sociale, politica e culturale della città. Don Lino dichiarò che questa viveva umanamente e socialmente due percorsi paralleli che solo di rado si incontravano. Si trattava della lettura di un parroco presente nella sua città da 30 anni. Presidente Bigi, dopo quasi vent’anni dalla scomparsa di Don Lino, conferma i due percorsi paralleli o Suzzara è cambiata? La premessa. Grazie per aver pensato a me ma non capisco l’accostamento con Don Lino, che conoscevo ma che non frequentavo. Gli riconoscevo un ruolo positivo come persona e come mission nella nostra città, ma la sua visione era sicuramente diversa dalla mia per formazione, cultura, ruolo e appunto mission. Questo anche per dire che non comprendo il significato dal suo punto di vista, della analisi della vita sociale, politica, culturale, dei due livelli (?)che raramente si incontravano. Gianni, dopo quasi vent’anni dalla scomparsa di don Lino, conferma i due percorsi paralleli o Suzzara è cambiata? 30 anni fa a Suzzara, corrispondeva al vero, il fatto che chi guidava la città era un partito con i suoi dirigenti donne e uomini democraticamente eletti. Ci si credesse o meno, rispettosi delle regole che in libertà ci si era dati. Sicuramente molti difetti ma anche pregi ed onestà, e tutto sommato un rispetto reciproco e la consapevolezza che si lavorava per il bene comune, con grande attenzione ai meno abbienti e con al centro la cultura del lavoro sia verso i lavoratori che verso le imprese. Ed era ovvio che con la spinta ideologica che ci sosteneva e che veniva confortata ogni giorno in tanti luoghi della comunità, vi era una forte e positiva tensione politica. Dove c’è apertura, ricerca, democrazia c’è sempre tensione politica. Don Lino diceva che i rapporti politici erano sempre improntati a grande tensione. E’ passata una generazione: come sono oggi tali rapporti? Sono passate due generazioni e dal punto di vista politico sono passati secoli. Faccio fatica a seguire i passaggi politici di merito che diversamente da quei decenni oggi, sono rapidissimi. I rapporti politici di oggi intrisi dai veleni berlusconiani, sono per me sconcertanti. Non mi interessa il passato, ma spero si possa recuperare al più presto, anche perché allo stato molto poco è il valore degli ideali di riferimento che ci dovrebbero tenere insieme solidali. E questo sia dentro i partiti o fra quel poco che ci resta. Spesso si evidenziano posizioni individuali e personali, a volte figlie di rancori, ecc. Da questo punto di vista si vive oggi un momento difficile, ma sono fiducioso che la ricerca in atto da parte di alcuni giovani se è intellettualmente onesta, possa portare a risultati importanti. Alcuni decenni fa – tra gli anni ’60 e gli anni ’70 dal punto di vista culturale vi era una molteplicità di offerte culturali con una discreta risposta da parte della comunità. Qual è lo stato della cultura oggi a Suzzara? l’ offerta culturale da noi è sempre stata presente. Fra alti e bassi sempre presente anche per merito di figure proprio suzzaresi, di un buon livello culturale che prima ed ora fanno le loro battaglie per promuovere elaborare realizzare cultura, ricercare consensi e risorse per produrre cultura. Dove non c’è questo c’è il nulla. Non esiste alternativa a questa fatica. Don Lino disse che non accettava di avere una parrocchia che cammina su binari paralleli con due comunità che non si incontrano: “Spero, diceva, che nel futuro questi due binari si incontrino”. Secondo Lei a cosa si riferiva? Dopo 30 anni i binari stanno ancora lì e di che tipo sono? Suzzara è una comunità positiva. Sono fiero di farne parte. Tutti i giorni mi incontravo e mi incontro con persone, valori, condizioni, sentimenti, associazioni, e così via con le quali mi confronto ascolto, e si va avanti. Una comunità che mantiene nonostante la “crisi lunga e profonda” un tessuto industriale e un mondo operaio positivo. Sicuramente si può fare di più. Siamo una comunità molto aperta che non scorda la sua memoria, valori e conosce quando vuole, gli strumenti della partecipazione, vedi l’ultimo episodio la folla in piazza Garibaldi piena, in solidarietà e condanna con i fatti di Parigi. Vedi le larghe partecipazioni ai momenti come il 25 aprile, 1° maggio, ecc. Torniamo ancora più indietro: nel 1986 in una intervista a cura di Maurizio Guandalini, Don Lino disse che a Suzzara mancava l'entusiasmo, la voglia di fare, la fiducia nel futuro; era pure scomparso il senso della gratuità del fare, il mettersi a disposizione degli altri. Tu Gianni che sei un suzzarese impegnato nella cultura, cosa pensa, in piena libertà, dei suzzaresi di oggi (mi riferisco ai nativi ovviamente)? Penso ed è probabile, che il mio osservatorio non veda a sufficienza lontano per verificare se c’è sufficiente entusiasmo, la voglia di fare, la fiducia di un diverso futuro. Ma appunto ho un’età che non vede molto in là; penso che le nuove generazioni siano loro che devono ricercare , trovare e dagli un senso un indirizzo partendo appunto dalle attuali condizioni e non da quelle che io vivevo e per ciò ho fiducia .Nel mondo del volontariato ci sono difficoltà, si anche qui , crisi di partecipazione e di, a mio parere, ricambio generazionale; però come si fa a non vedere comunque le tantissime iniziative che il volontariato con le sue associazioni realizza. Sono tutti suzzaresi che con una amministrazione comunale, che sempre ha avuto un attenzione particolarmente positiva in questa direzione. Infine, la domanda più difficile: come sarà Suzzara fra una o più generazioni, comprendendo in tal caso anche i numerosi stranieri, di diverse culture e religioni, che saranno ormai abitanti stabili della città? E’ una domanda da farsi a mia figlia. Spero che sia a misura di quelle generazioni che verranno. E spero coscientemente che facciano a loro modo di Suzzara, una comunità ovviamente punto di riferimento non solo per se, come mi pare lo sia stata negli ultimi150 anni. Consapevoli che siamo ormai una comunità multietnica e lo saremo sempre più e quindi ragionare su questi problemi e farli diventare una risorsa un’opportunità. Altri l’hanno già fatto. Senza pregiudizi nel rispetto delle idee e degli ideali di tutti, delle religioni e di chi una religione non ha. Applicare la Costituzione e rispettarla. Attilio Pignata



DON CARLO GNOCCHI NEL 60° DELLA MORTE SFIDANDO LA LEGGE DEL SUO TEMPO FU IL PRIMO DONATORE DI ORGANI

Il 1° marzo 1956 i funerali furono grandiosi in Duomo a Milano per partecipazione e commozione, celebrati dall’arcivescovo Montini. Quattro alpini a sorreggere la bara, altri a portare sulle spalle i piccoli mutilatini in lacrime, centomila persone nella cattedrale e nella grande piazza antistante. L’intera città a tributargli onore e affetto, i negozi erano chiusi, saracinesche abbassate, chiese segnate a lutto. Si era spento verso la sera del 28 febbraio, nella clinica Columbus di Milano, dove era stato posto sotto la tenda ossigeno e per completare la sua vita donata fino all’estremo, aveva donato i suoi occhi per un trapianto di cornea a due ragazzi ciechi, Silvio Colagrande ed Amabile Battistello, quando ancora in Italia questo tipo di intervento non era ancora regolato dalla legge. Prima di morire, in dialetto milanese aveva raccomandato la sua eredità: “amis ve racomandi la mia baracca ...”. Fu questo il suo accorato appello sul letto di morte. Era nato a San Colombano al Lambro, vicino a Lodi, il 25 ottobre 1902. Il padre Enrico aveva un avviato laboratorio di marmi, mentre la mamma Clementina Pasta era sarta in paese. Rimasto orfano del padre all’età di cinque anni, Carlo si trasferisce a Milano con la madre e i due fratelli Mario e Andrea. Non molto tempo dopo entrambi i fratelli moriranno di tubercolosi. Alla scuola del cardinale Andrea Ferrari, entrò nel seminario di Milano e nel 1925 venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo Tosi: la sua prima Messa il 6 giugno a Montesiro. Dopo una lunga assistenza data ai giovani in oratorio a Cernusco e a Milano a san Pietro in Sala, il cardinale Schuster lo chiamò per la direzione spirituale per gli studenti dell’Istituto Gonzaga di Milano. In questo periodo don Gnocchi studia intensamente e scrive brevi saggi di pedagogia. Sul finire degli anni ‘30 il Cardinale Schuster gli affidava l’incarico dell’assistenza spirituale degli universitari della Seconda Legione di Milano, che comprendeva in buona parte studenti dell’Università Cattolica. Dopo che nel 1940 l’Italia era entrata in guerra, don Gnocchi si arruola come cappellano volontario nel battaglione “Val Tagliamento”; degli alpini. La sua destinazione è il fronte greco albanese. Terminata la guerra, a partire dal 1945 comincia a prendere forma concreta quel progetto di aiuto ai sofferenti pensato negli anni della guerra: Don Gnocchi viene nominato direttore dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio (Como), e accoglie i primi orfani di guerra e i bambini mutilati. Iniziò così l’opera che porterà Don Carlo a guadagnare sul campo il titolo più meritorio di “padre dei mutilatini”. Numerosi i suoi testi di pedagogia del dolore dell’infanzia. Nel 1949 l’Opera di Don Gnocchi ottiene un primo riconoscimento ufficiale: la “Federazione Pro Infanzia Mutilata”, da lui fondata l’anno precedente per meglio coordinare gli interventi assistenziali nei confronti delle piccole vittime della guerra, viene riconosciuta ufficialmente con Decreto del Presidente della Repubblica. Vengono aperti nuovi collegi: Parma (1949), Pessano (1949), Torino (1950), Inverigo (1950), Roma (1950), Salerno (1950) e Pozzolatico (1951). Nel 1951 la “Federazione Pro Infanzia Mutilata”; viene sciolta e tutti i beni e le attività vengono attribuiti al nuovo soggetto giuridico creato da Don Gnocchi: la “Fondazione Pro Juventute”, riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica l’1 febbraio 1952. Oggi la Fondazione conta 120 centri di riabilitazione e recupero in nove regioni e assiste 3500 persone ogni giorno. Il 25 ottobre 2009, a Milano il rito di Beatificazione, il cui motto “Accanto alla vita sempre”. Luigi Mignoli


Estate Giugno di messi bionde, prati di verdeggianti onde, pioppi in svettanti filari, sguardi di paesi fluviali. Gli argini in erbe rigogliose, di gelsomini le siepi odorose. Sabbiose rive,brillanti d’argento, il fiume grande increspato dal vento. Silenti meriggi della pianura, voli muti di falco nella calura. Tutto è calmo, tutto è lento. Nel cono d’ombra, rallenta anche il tempo. Marina Lombardi

Il Solstizio d'Estate è conosciuto dalle antiche tradizioni celtiche con il nome di Litha. I festeggiamenti iniziavano il 20 di giugno per terminare solo tre giorni dopo ed erano caratterizzati da balli e canti continui con lo scopo di celebrare il miracolo della vita. È a tutti gli effetti la festa del sole, il quale viene celebrato in base alle credenze dei singoli popoli. Idruidi durante la notte del 21 giugno si recavano a cogliere le gemme che la terra offre spontaneamente, come simbolo di protezione che li avrebbe accompagnati per tutto l'anno. È una notte considerata magica, durante la quale tutto può accadere. Chiudiamo gli occhi quindi ed esprimiamo un desiderio a mezzanotte! Attenzione però all'erba di San Giovanni. Secondo una leggenda, chi inciampa sulle sue radici durante il Solstizio d'Estate, si troverà a vagare nel regno delle fate! Un'usanza molto antica, forse nota alle nostre nonne, è quella di appendere delle foglie di Iperico fuori dalla porta di casa, per proteggerla dalle energie negative. Cosa accade nel cielo durante il Solstizio d'Estate? Al di là delle leggende e delle credenze popolari che, per quanto affascinanti rimangono sempre oltre il velo che separa realtà e immaginazione, qualcosa nel cielo del 21 giugno accade veramente. È il giorno in cui la terra, girando intorno al sole, si va a posizionare nel punto più settentrionale rispetto a lui. Nonostante la distanza sia maggiore rispetto a quella assunta durante l'inverno, è proprio durante il Solstizio d'Estate che i raggi arrivano dritti sul terreno, offrendoci così il picco massimo del caldo e della luce. Da questo momento l'astro sembra fermarsi. Fino al 24 giugno sorge e tramonta sempre nello stesso punto. Ecco che da questo fenomeno deriva il nome di “Solstizio” che significa “Sole Stazionario”.

Il fanciullo ingordo

Vicino ad un piccolo fiume verde smeraldo, circondato da una bella piantagione di spinaci, abitava Nicky, un grazioso bimbo di 8 anni, coi suoi nonni materni. A lui non piacevano gli spinaci, ma vedeva crescere un giorno per giorno è sempre di più i suoi cuginetti Cody e Felix che vivevano in una casetta di legno poco distante da lui, infatti ogni giorno loro portavano a casa molti spinaci, riempiendo una grossa cariola. Cibandosi in modo particolare di queste rigogliose foglie, i cuginetti diventavano sempre più alti e robusti. Un giorno Nicky decise di raccogliere in riva al fiume quei portentosi spinaci, ne riempi una grande cesta che portò alla nonna e se li fece cucinare. Convinto di diventare subito grande ne mangiò talmente tanti da farsi venire un terribile mal di pancia e rimase a letto per cinque giorni. "La sua ingordigia lo aveva punito" ma da quel giorno iniziò a mangiare spinaci a piccole porzioni e dopo qualche mese diventò forte bello più che mai!!! Mariangela Corradini



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