CUSTOMER EXPERIENCE. Vi ricordate dei vostri clienti ?

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N°5 MAGGIO 2014  6,90 + il prezzo del quotidiano. N° 5 2014

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CUSTOMER EXPERIENCE. Come assicurarsi che i clienti continuino a pensare a voi

Vi ricordate dei vostri clienti? Nessuna azione di marketing è più potente del passaparola, quindi manteniamo i contatti con i clienti anche dopo l’esperienza d’acquisto. Ne saremo ricompensati! di Gian Carlo Mocci e Paola Redaelli

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i diamo subito la risposta: sì, vi ricordate dei vostri clienti, soprattutto quando volete qualcosa da loro. Nell’articolo precedente intitolato “I clienti si ricordano di voi?” pubblicato sul numero di gennaio e in quello intitolato “I vostri clienti sono felici?” pubblicato sul numero di marzo de “L’impresa”, abbiamo spiegato come sia essenziale che i clienti siano felici di ricordare, vivere e immaginare le esperienze legate alle interazioni con l’azienda, per migliorare e favorire il riacquisto, il passaparola positivo, la fidelizzazione.

Concentratevi sui benefici Per dimostrare ai clienti che ci si ricorda di loro sempre, dobbiamo concentrarci sui benefici e non sulle caratteristiche dei prodotti o servizi. Le caratteristiche sono ciò che il prodotto fa, i benefici sono ciò che i clienti possono fare con quel prodotto o servizio. Pensiamo al noto esempio per il quale ci si chiede chi sia interessato a una punta per il trapano, un oggetto metallico, della lunghezza di qualche centimetro, con la sommità trattata al tungsteno. Pensiamo che pochi al mondo siano interessati ad una punta da trapano, ma che moltissimi siano interessati a un foro sul muro per appendere un quadro. Ebbene, le aziende spesso spendono milioni di euro per pubblicizzare “punte da trapano” anziché “fori nel muro”. Chi capì questo e ne fece un successo fu Steve Jobs: l’iPod venne pubblicizzato con lo slogan “potrai avere 1.000 canzoni in tasca”, mentre gli altri produttori ancora parlavano di Giga Byte di memoria dei loro lettori MP3. Avere 1.000 canzoni in tasca ti fa sentire importante, ti fa sentire

una persona migliore. Concentrarsi sulle caratteristiche, ossia sullo scopo per cui il cliente dovrebbe usare il prodotto, dimostra ai clienti che pensiamo a loro e ai loro interessi.

Sicuri di sapere cosa significhi Customer Care? Passiamo allora al contatto con il cliente, che avviene tramite il customer care. Per prima cosa, chiediamoci cosa significa fare customer care. Come dice il nome stesso, dovrebbe essere “cura del cliente”, in lingua spagnola viene tradotto con la frase “servizio di attenzione al cliente”: questo rende benissimo il concetto. Spesso, quando un cliente si rivolge al customer care dopo aver interagito con l’azienda, è perché qualcosa poteva funzionare meglio nelle fasi precedenti, che si tratti di una visita al sito internet o a un negozio della catena. Troppo spesso si ritiene che fare customer care significhi rispondere al bisogno momentaneo del cliente per risolvere un problema contingente, ignorandone la storia pregressa e futura. In altri casi, lo si utilizza per attività di vendita, infatti ogni azienda ha in fondo lo scopo di vendere, anche per una no-profit lo scopo finale è vendere qualcosa, un’idea, un oggetto, un servizio, una causa. Il vero obiettivo del customer care, invece, è assicurarsi che il cliente sia felice, perché un cliente felice possiede almeno tre caratteristiche fondamentali: 1. continuerà a comprare dalla stessa azienda; 2. parlerà bene dell’azienda ai suoi amici e colleghi; 3. sarà disposto a pagare qualcosa in più rispetto all’analogo prodotto/servizio di un’altra azienda.

Gian Carlo Mocci è Customer Experience and Market Analysis. NTV – Nuovo Trasporto Viaggiatori. Esperto di Customer Experience, Marketing, CRM e Miglioramento dei Processi

Paola Redaelli è Customer Care Specialist. Esperta di CRM, Email Marketing e Customer Experience

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Pertanto elementi chiave di un buon customer care sono: • dialogare con i clienti curando tutte le fasi della relazione, fornendo un primo approccio piacevole facendolo seguire da interazioni “disinteressate” non legate alla tentata vendita; • individuare bisogni e aspettative e modulare la comunicazione in base a questo, ascoltando cosa il cliente ha da dire senza limitarsi a ipotizzarlo; • verificare che il cliente sia soddisfatto e agire di conseguenza.

Attenzione a personalizzare Stabilito che si deve dimostrare al cliente che ci si ricorda di lui anche in maniera “disinteressata”, bisogna capire come farlo. Un elemento importante da personalizzare è la comunicazione, prestando attenzione al fatto che la personalizzazione è talvolta confusa con la possibilità di scelta. Ad esempio, nel campo delle automobili, poter scegliere tra 2.000 colori della carrozzeria e 300 rivestimenti per i sedili non è personalizzazione ma possibilità di scelta, altrimenti detta autopersonalizzazione. La vera personalizzazione è offrire in maniera propositiva un prodotto o servizio utile al cliente senza che questi lo chieda. Sempre nel caso delle automobili, personalizzazione è offrire un sistema di lettura vocale degli sms ricevuti sul telefonino, mentre si guida, appena saputo che l’acquirente ha un figlio neopatentato! Dobbiamo inoltre considerare che talvolta i clienti non apprezzano offerte/promozioni personalizzate del tipo “speciale per te” o

Contact policy Abbiamo parlato di contattare i clienti, ascoltarli e proporre le cose giuste. A questo punto però si pone il quesito del ritmo e degli strumenti con cui farlo. Ovviamente non esistono regole universali, tanto dipende dal mercato di riferimento di ogni azienda. Si possono però stabilire alcuni concetti chiave. Per prima cosa bisogna stabilire un numero massimo di contatti mese/anno accettati ricordandosi che contattare troppo è peggio che non contattare mai. Esasperare di contatti un cliente produce l’effetto contrario a quello voluto e farà si che il cliente non voglia saperne più niente di voi. Come seconda cosa bisogna definire il metodo di contatto: per comunicare un’offerta straordinaria di breve durata ci si può servire di un sms, per convogliare un messaggio più complesso è meglio la mail. Infine, se volete lasciare un’idea emozionale del vostro brand/prodotto, la “vecchia” cara lettera cartacea potrebbero essere una buona scelta. In ogni caso solo un attento monitoraggio degli effetti delle comunicazioni vi può dire se siete sulla strada giusta. 2

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”sulla base dei tuoi precedenti acquisti”. Questo perché il cliente può pensare che ci sia qualche “trucco” in un’offerta che l’azienda ha predisposto appositamente per lui, ad esempio uno sconto applicato su un prezzo preventivamente maggiorato. Quando invece il cliente ha la possibilità di “cogliere al volo” un’offerta generica, si sente più sicuro, perché pensa di essere stato “più furbo” dell’azienda e “grazie alla sua bravura” è riuscito a cogliere quell’offerta.

Ogni cliente ha il servizio che si merita Una modalità semplice di segmentare i prodotti/servizi personalizzati è di dividerli, considerando sia quanti/quali clienti ne usufruiranno sia il costo aziendale per la loro erogazione.

Semplificando diciamo che ci saranno: servizi per tutti; per molti ma non per tutti; per pochi; per pochissimi. È evidente che per fare questo sono indispensabili adeguate attività di segmentazione della base clienti e di posizionamento dell’azienda, o dei suoi brand, sul mercato.

Prendere o lasciare Esiste poi un aspetto discusso e complesso della relazione con il cliente: ogni contatto che noi abbiamo con loro, ogni mail o volantino o lettera che spediamo, ogni telefonata che facciamo ha un costo. È quindi corretto continuare a contattare sempre tutti i clienti? Oppure è meglio decidere, ad un certo punto della relazione, di ignorare i clienti che non sono più profittevoli? Se è vero che il cliente ha usufruito dei nostri servizi/prodotti una volta potrebbe rifarlo altre volte, è altresì vero che, se dopo un adeguato lasso di tempo, questo non è successo, forse dobbiamo chiederci se continuare a considerarlo cliente e tenerlo


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“a bordo”. Questa dolorosa decisione di “abbandonare” un cliente può anche essere un’occasione di contatto per un’ultima volta, avvisandolo che quello sarà l’ultimo contatto, a meno che lui non ci indichi esplicitamente di volere ancora proseguire la “relazione”. La decisione di “abbandonare” un cliente deve tenere conto di almeno due elementi: la propensione alla raccomandazione e lo share of wallet. Nel primo caso, un cliente può dare un modesto ritorno diretto ma un enorme ritorno indiretto, ad esempio perché parla bene di noi a un target influente, aiutando l’azienda ad acquisire nuovi clienti. Nel secondo, caso dobbiamo considerare il concetto di share of wallet, per cui il cliente spende poco con noi ma molto con i competitor, quindi ha un elevato potenziale.

Dialogare, Informare, Coinvolgere Stabilito il perché, il cosa, e il canale attraverso cui dimostrare al cliente che vi ricordate di lui, bisogna definire il linguaggio con cui farlo. Molte aziende hanno la presunzione di credere che il Cliente sappia le cose che loro vogliono che sappia. Magari solo perché hanno mandato una email, o hanno fatto la pubblicità, o più semplicemente perché “come fanno a non saperlo, lo sanno tutti!”. Questo vale per le caratteristiche dei servizi offerti, per le offerte commerciali, ma anche per le modalità di uso del prodotto o di fruizione del servizio. Peccato però che spesso i clienti ignorino molte cose di un’azienda, ma ne conoscano molte altre riguardanti le aziende concorrenti. Se è quindi importante informare continuamente, in tempi diversi e canali diversi, è altresì importante rendere partecipi i clienti delle cose che accadono. Ad esempio, che ci sono delle migliorie nel servizio a seguito di richieste/suggerimenti, avere la possibilità di comunicare un messaggio del tipo “lo abbiamo fatto grazie a voi” è estremamente gradito. Allo stesso modo sono molto apprezzate tutte le iniziative di co-creazione, ove il cliente, o potenziale tale, ha un ruolo attivo nella definizione del prodotto o servizio, nel trovare nuove modalità di utilizzo, o magari nel sceglierne il nome.

Nps, questo sconosciuto Negli ultimi anni molte aziende nel mondo hanno iniziato a preoccuparsi di un indice, l’Nps (Net Promoter Score). Ma di che si tratta? E perché è importante? L’Nps, introdotto da Fred Reichheld della Bain & Company nel 2003, permette di valutare in modo neutro la propensione dei clienti a promuovere un determinato brand. Si calcola come differenza tra la percentuale di clienti definiti promoter (ossia coloro che parleranno bene del brand) e i detractor (ossia colore che ne parleranno male). La domanda che si pone al cliente è “con quale probabilità suggeriresti XXX ad amici e parenti?”, con a disposizione una scala da 0 a 10, dove i detractor vanno da 0 a 6 e i promoter da 9 a 10. Non è un indicatore miracoloso, ma è utile, purché venga “maneggiato con cautela”, vi è infatti almeno una cosa da tenere bene a mente, ossia che è influenzato da molteplici fattori, pertanto spesso non esiste la causa della diminuzione/aumento ma una serie di concause e quindi la sua interpretazione è da farsi con il supporto di altre informazioni e Kpi. È importante valutare la propensione a parlar bene di un’azienda in quanto il passaparola è più efficace ed economico di qualunque azione di marketing che si possa inventare, anche perché come diceva qualcuno: “la metà dei soldi che spendo in pubblicità sono buttati, il fatto è che non so di quale metà si tratti”.

La reputation è tutto Sorge spontanea una domanda, perché mettere in piedi un customer care che dialoghi con i clienti, ne risolva i problemi e continui a relazionarsi con loro anche senza uno scopo finale di acquisto immediato? La risposta è semplice: dobbiamo dimostrare al cliente la sua importanza per noi, perché viviamo nell’epoca della condivisione dove il passaparola è tutto. Internet, i social media, le continue interazioni con persone di tutto il mondo hanno reso la reputazione di un’azienda il suo asset più importante. E se ci vogliono anni per costruire una reputazione sono sufficienti minuti, o dettagli, per comprometterla. Immaginate di trascorrere una giornata in una spa, tutto rilassante e perfetto ma alla fine avete sete e vi accorgete di non avere la possibilità di bere un bicchiere d’acqua. State certi che molti ricorderebbero dell’intera esperienza solo l’assenza dell’acqua da bere e la racconterebbero a tante, tante persone. L’impresa n°5/2014

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