N1-2 Anno 3 Generazione Over60

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“ Il bacio” di Gustav Klimt (1907/1908)

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 3, n.1/2

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EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il personaggio Il tempo della Grande Mela Incipit Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Nostalgie Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni

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DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Loungo

I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI Attilio Ortolani

Contatti: Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60

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MINNIE LUONGO Direttore responsabile

Foto Chiara Svilpo

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

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DOTTOR

MARCO

ROSSI

sessuologo e psichiatra è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA

andrologo e chirurgo è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo.

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO

dermatologo plastico presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of Plastic Regenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok- salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA medico veterinario è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI

giornalista scientifico

giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenzecarteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

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PAOLA EMILIA CICERONE giornalista scientifica classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

GIOVANNI PAOLO MAGISTRI biologo Classe 1951, biologo specializzato in patologia generale, si occupa di progettazione di sistemi per la gestione della sicurezza e dell’igiene delle produzioni alimentari. Socio Onorario dell’Associazione PianoLink vive sognando di diventare, un giorno, un bravo pianista.

FLAVIA CAROPPO

giornalista e ambasciatrice della cucina

italiana a New York Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI

giornalista Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond .

MONICA SANSONE videomaker operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

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-10Generazione F Si fa presto a dire arte Editoriale di Minnie Luongo -16Foto d’autore Quando la fotografia diventa arte di Francesco Bellesia -18Incipit Arte … strategia per sopravvivere di Giovanni Paolo Magistri -20Stile Over Arte contemporanea di Paola Emilia Cicerone -22Scienza La Sindrome di Stendhal di Minnie Luongo -24Di tutto e niente La vita con la buccia di Andrea Tomasini

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-26Il tempo della Grande Mela Street Art negli Stati Uniti di Flavia Caroppo -30Da tener d’occhio G.B. Magistri, pittore e grafico milanese dalla Redazione -32News Anna Gerasi, pastrychef che trasforma in “arte” l’arte pasticcera dalla Redazione -34Incursioni El trumbè de la Fera (l’idraulico della Fiera) di Marco Vittorio Ranzoni -38Da leggere (o rileggere) Danzare con i fiori per conoscersi meglio di Paola Emilia Cicerone -40Sentirsi bene I probiotici sono gli stessi, ma la confezione è tutta nuova dalla Redazione

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SI FA PRESTO A DIRE ARTE…. EDITORIALE

In copertina: Foto al Time Warner Center accanto alla gigantesca statua in bronzo "Adamo " di Botero

Già, che cos’è l’arte? Ci hanno provato numerosi studiosi a mettere nero su bianco una definizione, ma la conclusione, a mio modesto parere, è che non può esserci una risposta univoca e universale. Infatti, bisogna considerare che esistono capacità di giudizio e di valutazione più che variabili da individuo a individuo, e soprattutto da epoca a epoca.

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Chissà perché ancora oggi la maggioranza delle persone, davanti al termine “arte”, pensa immediatamente alla pittura e, di conseguenza, a quadri, gallerie e musei: al primo posto senz’altro il Louvre con la Gioconda di Leonardo da Vinci, che è ormai diventata un’icona declinata per ogni fine, pubblicità inclusa.

Agenzia Michele Rizzi & associati, campagna pubblicitaria italiana per l’acqua FERRARELLE, 1981

Ma le forme d’arte riconosciute ufficialmente sono ben sette, in tempi recenti diventate addirittura nove (vedi box). Quindi, che cos’è l’arte? E come stabilire quando ci troviamo davanti a un’autentica opera d’arte? Credo abbia ragione chi afferma che l’arte è un linguaggio in grado di trasmettere emozioni, a prescindere dalle recensioni positive o dalle stroncature che un’opera riceve o riceverà in futuro. Per carità, la figura del critico è importante e fondamentale per apprendere la storia, le tecniche, gli strumenti, il messaggio dell’artista … Non a caso egli di solito analizza l'arte in un contesto estetico o di teoria della bellezza, ponendosi- fra i vari obiettivi-quello di ottenere delle basi razionali per la valutazione e l'apprezzamento dell'arte stessa. La quale, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana, svolta singolarmente o collettivamente, che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza. Ma alla fine della fiera, ciò che ci fa emozionare e scuotere e vibrare è cosa tutta nostra e intima, che spesso non riusciamo a spiegare bene neppure a noi stessi. A me capita soprattutto col cinema, “la settima arte”.

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Sarebbe semplicistico ridurre ciò che provo ad una sorta di partecipazione o di apprezzamento di una pellicola. No, è qualcosa che va molto più in là e molto più in profondo al tempo stesso. Ogni volta che uscivo dal cinema President (i cinefili milanesi ricordano lo stupore nell’accomodarsi in poltrone distanziate come mai prima d’allora), rileggevo la grande scritta che campeggiava all’ingresso e sulla quale, scendendo le scale, si era obbligati a posare lo sguardo. Era riportata una frase di Wim Wenders: “I grandi film cominciano quando usciamo dal cinema”. Quanto è vero e quanto spesso l’ho verificato!

Locandina de “Il settimo sigillo”, capolavoro del regista Ingmar Bergman

In questo numero i collaboratori hanno scritto articoli molto profondi e interessanti, sia pur con la leggerezza che rappresenta la spina dorsale del nostro magazine. Li ringrazio tutti, uno per uno, per le considerazioni espresse. E che dire dell’illustrazione finale di Attilio Ortolani, alias Attor? Sembra un disegno commissionato apposta per l’argomento di cui trattiamo in queste pagine, e invece è l’ennesimo regalo che, ovunque egli si trovi, ci ha voluto fare tramite la generosità di Katja che ci ha messo a disposizione i disegni del suo papà. Un artista, per l’appunto.

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E per tornare su che cosa è “l’arte per ognuno di noi”, desidero qui inserire la foto dell’illustrazione di Lupo Alberto, ad opera dell’amico Guido Silvestri, in arte Silver, che ho casualmente incontrato una settimana fa e che, con un semplice disegno, mi ha riportato indietro di parecchi anni, dando la stura a innumerevoli ricordi e soprattutto emozioni. Come nessun discorso che cominciasse con “ti ricordi?” avrebbe mai potuto fare. E questa è semplicemente arte, frutto del genio di un artista.

Lupo Alberto nel disegno con dedica. Da Silver, alias Guido Silvestri

E, per finire, la famosa frase ….”ma questo lo sapevo fare anch’io” che nessuno osi pronunciare quando si trova vicino ad una persona che si emoziona davanti all’arte. Ogni tipo d’arte, come ci spiega nel suo pezzo Paola Emilia Cicerone. In fondo, qualsiasi cosa vivente - si legga la rubrica’”Incipit” di Giovanni Paolo Magistri- può essere considerata arte. Ricordiamocelo, per favore, in attesa di tornare sul tema.

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Ma quante sono le arti? Il poeta italiano Ricciotto Canudo nel 1923 comprese tutte le forme artistiche in “sette arti” (poi passate a nove con le aggiunte negli anni sessanta operate dal critico francese Claude Beylie), posizionando appunto il cinema al settimo posto, perché cronologicamente nata dopo le precedenti sei e prima delle ultime due. Ecco quindi racchiuse tutte le arti presenti nel mondo:

1)Architettura 2)Pittura 3)Scultura 4)Musica 5)Poesia 6)Danza 7)Cinema 8)Radio-televisione 9)Fumetto Secondo gli studiosi attuali, però, tale lista è decisamente incompleta, poiché esclude non poche forme artistiche e non tiene conto dell’evoluzione che lo stesso concetto di arte ha avuto nel tempo. Le forme d’arte andrebbero quindi così suddivise: Arti visive: Arti figurative o Belle Arti: Pittura (inclusi il disegno, l’incisione e la grafica digitale) Scultura (inclusi l’oreficeria, l’arte tessile, l’arazzo e l’origami) Architettura Fotografia Scrittura (forma di letteratura) Fumetto Arti uditive Musica Lettura (forma di letteratura) Arti audiovisive Teatro Cinematografia Danza.

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DANZA, LA SESTA ARTE

Spettacolo "Fronteras" al Teatro A. Bonci di Cesena della Scuola di danza Centro de Arte Flamenco (giugno 2019)

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Quando la fotografia diventa arte

Coffee for two

di Francesco Bellesia

https://francescobellesia.it/

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FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e d et e r mi n az i o n e … lascio co mu nqu e parla re le immagini presenti sul mio sito.

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ARTE … STRATEGIA PER SOPRAVVIVERE E se fosse la vita l’unica vera forma d’arte? Di Giovanni Paolo Magistri - biologo È generalmente riconosciuto che nel suo significato più ampio l’Arte può essere definita come “ogni attività creativa dell’uomo che conduce a forme di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza” (E. Treccani). Personalmente, sono invece del parere che dell’arte non siamo in grado di attribuire un significato compiuto; vaghiamo ininterrottamente da centinaia di anni nel tentativo di riconoscerla, le dedichiamo pagine su pagine di pareri contrastanti, percorriamo chilometri per ammirarla o criticarla, a volte riteniamo noi stessi artefici inconsapevoli, ne abbiamo ritualizzato il suo “decesso”, eppure nonostante tutto continuiamo ad averne una grande necessità. Qual è il motivo di questo controsenso, se di controsenso si tratta? Che il “contenitore arte” sia troppo grande per avere una sua formulazione razionale potrebbe essere una prima spiegazione; in esso racchiudiamo principalmente la percezione del nostro vissuto, l’interdipendenza con l’operato dei nostri simili o, come spesso accade, il naufragare nel nostro io. Jules Verne nel 1870 scriveva “Ventimila leghe sotto i mari” allargando il racconto a fantascientifici ambienti acquatici contrariamente al connazionale Victor Hugo che nel medesimo periodo (1862) proponeva il romanzo storico “I Miserabili”, o a Fëdor Dostoevskij che nel 1866 con “Delitto e castigo” dissertava sul tema della liberazione da uno “status quo” non desiderato attraverso la sofferenza. I pittori naturalisti dell’800 proponevano una visione oggettiva della realtà, scevra da personalismi e più attenta ai dati di fatto, mentre di lì a poco Pablo Picasso iniziava un percorso artistico ben differente e- dopo aver visitato le pitture parietali del paleolitico delle grotte di Altamira (Spagna)-ebbe a dire che tutto ciò che ne è seguito era solo “decadenza”.

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Jackson Pollock, pittore minimalista dello scorso secolo, amava esprimersi attraverso pennellate e colate di colore gettate istintivamente sulla tela, mentre Kazimir Malevich esponeva una tela semplicemente bianca.

Jackson Pollock nel suo studio, 1949 Foto di Martha Holmes

Recentemente Christo con la sua installazione, usufruibile dal pubblico, di pontili galleggianti sul lago d’Iseo ha riscosso un successo indiscusso. E quante volte, concedetemi la provocazione, abbiamo sentito critiche in positivo e altrettante negative sul libro “Pinocchio”? Ciononostante i riconoscimenti artistici attribuiti a tutti i casi citati sono di indubbio valore e interesse.

I pontili galleggianti (The Floating Piers) sul lago d’Iseo: l’installazione artistica temporanea (10 giorni in totale) di Christo nell’estate 2016 richiamò circa due milioni di persone

Che cosa distingue allora un’opera d’arte da una che non la si ritenga tale? La domanda pone un dilemma di non facile soluzione fino a condurre inevitabilmente alla conclusione che non esista propriamente una “ratio decidendi et distinguo”. Che si sia relegati, nella maggior parte dei casi e del tempo, a una vita ripetitiva e forsanche monotona è pressoché indiscutibile, ma che tale modo di comportamento sociale sia la risultante utile del nostro successo evolutivo è altrettanto una verità inconfutabile ed espressione di creatività artistica tra le più strabilianti. Ma anche la necessità di uscire dai binari dei comportamenti socialmente consolidati trova significato come tentativo dello sperimentare nuove soluzioni evolutivamente vincenti.Forse è la vita la più straordinaria ed unica vera opera d’arte e ancor più lo è l’unicità di ciascun essere vivente presente, passato e futuro; tutto quanto il mondo del vivente è artefice d’arte.

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Pittura parietale del paleolitico. Altamira (Spagna)


ARTE CONTEMPORANEA "Quel quadro? Ma lo potevo fare anch'io ..." Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica Magari non ci piace ammetterlo, ma siamo in molti ad aver pensato, osservando un’opera di arte contemporanea, “lo potevo fare anch’io”. Una frase così diffusa che il critico Francesco Bonanni ne ha fatto il titolo di un breve saggio (Lo potevo fare anch'io. Perché l'arte contemporanea è davvero arte, Mondadori 2017). Di fronte a certe installazioni ci siamo sentiti come Alberto Sordi e Anna Longhi, impagabile coppia di sempliciotti alle prese con la biennale di Venezia in un episodio del film Dove vai in vacanza? So bene di che cosa parlo, essendomi trovata letteralmente a convivere, per una decina d’anni, con l’arte contemporanea. Grazie alla decisione di mio padre di aprire a Firenze una galleria d’arte, o meglio un Centro Culturale destinato a dare spazio a giovani artisti che non volevano assoggettarsi alle regole del mercato. Una formula che, abbinata al carattere originale di mio padre, sembrava fatta apposta per attirare creatività e bizzarrie, oltre a suscitare qualche perplessità nell’adolescente convenzionale e votata agli studi classici che ero allora. Con l’arte, d’altronde, avevo sempre avuto qualche problema, generato da una combinazione di idee chiare, gusti precisi e scarsa diplomazia. Nei primi anni delle scuole medie, lusingata da un insegnante di disegno incuriosito dalla mia passione per il colore, avevo perfino accarezzato l’idea di iscrivermi al liceo artistico. Un’ambizione frustrata dalla mia incapacità di disegnare una linea dritta, e da una nuova docente per cui l’unica forma espressiva legittima era la copia dal vivo. E pur essendo cresciuta nella culla del Rinascimento ho sempre trovato più intrigante - oltre all’arte classica per cui ho da sempre una passione - il Medio Evo, le chiese gotiche o i mosaici bizantini. Senza, ovviamente, trattenermi dall’esprimere le mie opinioni, anche quando erano decisamente controcorrente, anzi soprattutto allora. Ho scoperto poi di non essere un caso isolato: la difficoltà a digerire le novità, anche in campo artistico, fa parte della natura umana, e molte opere che oggi piacciono a tutti al loro apparire hanno suscitato reazioni negative: è stato così per i La Galleria di Claudio Cicerone ritratta in un quadro di Stefano Benedetti

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quadri degli Impressionisti, mentre qualche secolo prima Caravaggio aveva dato scandalo col realismo delle sue immagini sacre. E non parliamo solo di pittura. La prima del balletto La sagra della primavera del compositore russo Stravinskij fu interrotta dagli spettatori inferociti, e la stessa Tour Eiffel, che oggi è il simbolo di Parigi ha provocato all’epoca della sua costruzione il tipo di critiche oggi riservate ai grattacieli più avveniristici. Il che dovrebbe quanto meno indurci a maggior prudenza quando osserviamo un’opera d’arte: non significa che dobbiamo farcela piacere per forza, ma potrebbe aver senso sospendere il giudizio, prendersela comoda, cercare di fare amicizia con modalità espressive che a prima vista ci lasciano perplessi. Per quanto mi riguarda, io in quel mondo mi sono trovata da un giorno all’altro, e fu subito ovvio che il rapporto con la galleria di famiglia non sarebbe stato facile, anche Mio papà Claudio con Renzo Battiglia perché avevo la sensazione che quei giovani artisti poco più che ventenni fossero più in sintonia di me con mio padre. Eppure, la convivenza più o meno forzata con quadri, sculture o installazioni mi ha portato a guardarle, apprezzarne alcune, sviluppare un gusto personale inevitabilmente controcorrente. Per cui sono rimasta allergica a Picasso, ma oggi riesco ( e probabilmente devo ringraziare mio padre e i suoi amici artisti) ad apprezzare Fontana o le opere di Burri ,a trovare affascinanti le sculture mobili di Calder e in generale a esplorare con piacere mostre di arte contemporanea, in particolare quelle in cui le opere non sono appese al muro ma sono oggetti da attraversare o toccare ( la mia passione per Marina Abramovic meriterebbe una riflessione a parte). Tanto che qualche anno fa ho fatto pace con le mie esperienze adolescenziali, organizzando con l’aiuto dei ragazzi di allora - ormai Over come me - una pagina Facebook ( www.facebook.com/CentroAperA) e una mostra dedicate a quella esperienza.

La Pleureuse di Pablo Picasso (1939)

E ormai so bene che non lo posso fare anche io: come scrisse Bruno Munari, “quando qualcuno dice: questo lo so fare anche io, vuol dire che lo sa rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima”. Anche se ammetto di avere, un giorno lontano, sfidato l’amica artista con cui stavo visitando il Museum of Modern Art di New York a dirmi, senza leggere l’eventuale cartellino, se gli oggetti posati nell’angolo di una sala fossero un’installazione o qualcosa lasciato lì dalla donna delle pulizie. E, ancora oggi, mi capita d chiedermi se si possa parlare di arte quando per capirlo bisogna leggere un cartellino...

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LA SINDROME DI STENDHAL Davanti a troppa arte si può anche star male, come dimostra un disturbo psicosomatico analizzato e studiato dalla scienza Di Minnie Luongo - giornalista scientifica Lo so. La Sindrome di Stendhal viene anche indicata come “sindrome di Firenze”, ma per me resta e resterà quella di Venezia. Perché una cosa è sentirne parlare o leggerne la descrizione dei sintomi sui libri, un’altra è assistere a persone che ne vengono colpite. Bisogna risalire al pomeriggio luminoso di una ventina d’anni fa mentre, ammassata in un vaporetto che attraversava la città lagunare, ammiravo silenziosamente il panorama incredibile che offre Venezia, come sempre restandone affascinata. Fonte: Shutterstock Improvvisamente una coppia di turisti tedeschi di mezza età (praticamente, quella che ho io ora), prima lei e subito dopo il suo compagno, cominciarono a piangere sommessamente e mostrare segni di difficoltà respiratoria. Chiesi subito che cosa fosse successo, come stavano, che cosa potevo fare. La signora in un italiano stentato ma comprensibile, singhiozzando, mormorò: “E’ tutto troppo bello. Ogni volta che torno non riesco a sopportare tutta questa bellezza”. Assicuratami di non essere finita su qualche Candid Camera, ci volle poco per rendermi conto che la coppia accanto a me soffriva del disturbo psicosomatico che per primo aveva descritto lo scrittore francese MarieHenri Beyle- noto come Stendhal- che, in un viaggio in Italia nel 1817, particolarmente colpito dalle opere contenute nella Basilica di Santa Croce a Firenze, si sentì così male da dover uscire dalla chiesa per recuperare il respiro e calmare l’agitazione. Queste le sue parole: “Durante il mio Grand Tour d’Italia, mi trovavo a Firenze, e come al solito non avevo potuto trattenermi dal girellare per il centro ad ammirarne l’infinita bellezza. Entrai nella chiesa di Santa Croce, e dopo un po’ iniziai a sentirmi male. Il cuore mi batteva forte, provavo vertigini, capogiro. Tutte quelle opere di straordinaria fattura, così compresse in uno spazio limitato, erano davvero troppo per un amante dell’estetica come me. Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati.Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”. - 22 -

Basilica di Santa Croce (Firenze)


Il disturbo fu individuato e analizzato per la prima volta nel 1977 dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini, che descrisse alcuni casi di turisti stranieri in visita a Firenze colpiti da episodi acuti di sofferenza psichica ad insorgenza improvvisa e di breve durata. Inoltre, la studiosa verificò come l’incontro con l'opera d'arte e in particolar modo con il "Fatto Scelto", ossia un particolare dell'opera sul quale la persona concentra tutta la sua attenzione, possa richiamare alla mente particolari vissuti personali e, quindi, conferire all'opera quel particolare e personale significato emozionale responsabile dello scatenamento della sintomatologia psichica. E l'interpretazione psicoanalitica della sindrome proposta dalla Magherini, riletta alla luce delle recenti scoperte sui neuroni- specchio e dei meccanismi relativi alla simulazione incarnata, può non apparire un costrutto totalmente privo di fondamento scientifico. Come è stato dimostrato che provare un’emozione e osservare la stessa emozione provata da altri attivano la stessa struttura neurale, così tali meccanismi potrebbero essere utilizzati per spiegare l'empatia o fenomeni come l'identificazione proiettiva. In pratica, oggi possiamo affermare che la sindrome di Stendhal è una affezione psicosomatica che si manifesta in soggetti particolarmente sensibili o non nel pieno vigore fisico, che si trovano al cospetto di grandi opere, il più delle volte racchiuse in uno spazio contenuto, come può essere una galleria d’arte o un museo: l’intensità estetica della loro presenza condensata, pertanto, avrebbe un effetto moltiplicato sull’osservatore. I sintomi principali si possono così riassumere: agitazione e ansia unite a malesseri diffusi quali tachicardia, palpitazioni, difficoltà respiratorie e sensazione di svenimento. Possibili anche nausea e vertigini seguite da attacchi di panico, allucinazioni, amnesia temporanea. Anche il cinema si è occupato di questo disturbo, con un film del 1996 diretto da Dario Argento e scritto assieme alla psichiatra Graziella Magherini (musiche del maestro Ennio Morricone), intitolato proprio “La sindrome di Stendhal”. https://youtu.be/Ro8BF51_tnI Lo scrittore francese Marie-Henri Beyle, Non esiste soltanto la sindrome di Firenze, ma anche quella di noto come Stendhal(1783 – 1842) Parigi e di Gerusalemme, che ricalcano comunque le medesime premesse e condizioni che scatenano il malessere. Tuttavia, per la sottoscritta essa resta “la sindrome di Venezia” in quanto, almeno in una certa misura, anch’io venni sconvolta dall’intensità e dall’unicità di due persone colpite da eccessiva bellezza.

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LA VITA CON LA BUCCIA Non a caso si dice “scritto ad arte”. Ecco un articolo che spiega questa espressione Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

Sussurrato inconsapevolmente, affiora alla bocca tutto d’un fiato. Ma ci pensi che intensità emotiva, che mondo, che quotidiano, che storia... Cucinare, accudire, spesa, apparecchiare, sparecchiare, piatti, stendere, osservare, pensare cosa fare, misurare con l’orologio, scandire i tempi. Non dormire pena il timore del sonno, crollare dal sonno quando a volte non è il momento. Il buio della notte. La necessità della luce accesa. Collegarsi al web, vedersi da lontano, interagire a prescindere dal luogo, progettare. Leggere, studiare, sbobinare, sottolineare, appuntare, scrivere sul quaderno e sul taccuino e anche al pc, disattendere, divagare, desiderare. Foto di Francesco Bellesia

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Bere vino -anche- perché serve, è rosso come il sangue della terra e ha una storia biologica e biografica, locale e fisica. Serve a radicarsi e a celebrare. Immaginare, sognare, sperare, accendere e attizzare il fuoco, mentre un altro si affievolisce -lo vedi e te ne rendi conto. Occorre dosare legna, spazio, aria. Usare pinze, attizzatoio, ago, flebo, deflussore, qualche compressa, i colliri. Pentole, forno, coltello, tagliere. Coperchio. Frullatore ad immersione. Cucchiaio. Poi ci sono i tentativi, gli insuccessi e i fallimenti, il burro d’arachide -superfood mai comprato prima-, la crema -alleata di ogni volta- i legumi che ci son sempre piaciuti e poi il pesce. Da ultimo anche certi integratori “iper” (di calorie, di proteine) con l’ottovolante emotivo dell’addensante. La quantità e qualche successo che sembra un sogno che si realizza e l’espressione sui nostri volti che cambia –si vede e si sente quanto. Fuori, faticose, là stanno le lontananze fisiche che sono prossimità del cuore. Dentro, intensi, abitano qui i sorrisi, le carezze, i litigi, le discussioni, i ricordi, i rinfacci, gli errori, le cose belle e anche -inevitabilmente- le cose brutte. Comunque sono le tante parole tra noi che siamo restati in due - un malloppo. Raccolgo tutto. Anche la sua storia di vita... Dal 1 gennaio un anno concluso in più. Speranza e fragilità - la vita con la buccia.

Tempi di equilibrismi. Foto di Francesco Bellesia

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STREET ART NEGLI STATI UNITI In tempo di Covid l’arte dei murales sboccia ovunque più prepotente che mai Dalla nostra corrispondente a New York Flavia Caroppo – giornalista Ormai è quasi un anno che musei e gallerie di tutto il mondo hanno chiuso le loro porte; questa pandemia ci ha tolto anche la bellezza. E mentre aspettiamo (chiusi in casa o quasi), che Mister Covid (e i suoi fratelli) allentino la morsa per poter riportare un po’ di normalità nelle nostre vite, negli Stati Uniti, da una costa all’altra, i paesaggi urbani si stanno modificando. Veri e propri capolavori di street art sbocciano quasi quotidianamente sui muri nudi e sulle assi di legno che nascondono le vetrine dei tanti, troppi negozi chiusi. Da Los Angeles a Chicago, da Philadelpia a Boston, passando -ovviamente- per New York, chi si avventura in strada per andare al lavoro o a fare la spesa, per una passeggiata o un po’ di esercizio, e perfino per andare a farsi vaccinare, può trovarsi di fronte a scene incredibili, immagini gigantesche, vivide, realistiche, che fino al giorno prima, o quasi, non esistevano. Scene che da quel momento in poi, invece, esisteranno per decenni, ritagliate sui muri e scolpite nella memoria. Non come simbolo di "Ambulance Station" di Damien Mitchell, murales all'interno di ribellione e anticonformismo, come accadeva negli una caserma di pompieri di Brooklin anni ‘70 e ‘80 (del secolo scorso), ma nel tentativo di cancellare, per sovrapposizione, la realtà con il realismo. Il brutto col bello. E ci riesce bene Damien Mitchell, l’artista australiano (ma Newyorchese d’adozione), che ha trasformato i muri di interi isolati (desolati) di Brooklyn con le sue immagini tanto realistiche quanto ispirazionali. Come “Ambulance Station”, la scena che decora l’interno di una caserma dei Vigili del Fuoco di Williamsburgh, che detiene il triste record del più alto numero di vittime di Covid-19 tra i soccorritori. La scopro quasi per caso, mentre cerco un’altra opera di Mitchell, il gigantesco murales dedicato agli scienziati e agli immunologi. Un grazie alto almeno tre metri e lungo dieci, che ha completamente cambiato faccia alle squallide (fino a poche settimane fa) tavole di compensato che celavano un palazzo in attesa di essere demolito, a due passi dall’ingresso del pronto soccorso di uno degli ospedali della zona. Due ambulanze sullo sfondo e, in primo piano, due vigili del fuoco-soccorritori, una donna dai lineamenti afroamericani e un uomo bianco dai capelli scuri, porgono un orsetto di pelouche a una bambina con una

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fascia macchiata di sangue stretta attorno alla fronte (un richiamo al tipico look dei nativi americani), a fermare i lunghi capelli scuri. Semplice, diretto, inclusivo, disarmante nel suo realismo e carico di significato, questo inaspettato gioiello di street art fa bene allo spirito e alla vista. Fa riflettere, e fa anche riempire gli occhi di lacrime ai notoriamente coriacei abitanti di questa zona, da anni piagata dal fenomeno dello spaccio di droga e teatro di innumerevoli regolamenti di conti fra gang rivali.

Damien Mitchell è solo uno dei tanti artisti che fanno parte del progetto Beautify Earth (“Abbellire la Terra”), un’iniziativa no-profit concepita e originariamente finanziata da Evan Meyer. Nel 2012, quasi per scommessa, Meyer ad altri artisti californiani si impegnarono con la città di Santa Monica promettendo di risollevare le sorti di una delle principali arterie della città, Lincoln Boulevard, allora soprannominata "Stinky Lincoln” (“Lincoln la puzzolente”), che era diventata dimora di homeless, drogati e criminalità varia ed eventuale. 1st Street green (Damien Mitchell) per il progetto "Beautiful Earth"

Evan Meyer volle dimostrare che, con l’arte, chiunque è in grado di creare un cambiamento e che la ricompensa di restituire alla comunità è intrinsecamente la più alta forma di retribuzione. Beautify Earth è ora un movimento internazionale che utilizza strategie collaudate e set di valori per portare attenzione, arte, colore e amore ovunque nel mondo. «Il progetto è nato con lo scopo di rendere il mondo un luogo più luminoso e stimolante», racconta Meyer, «Dando potere agli artisti metropolitani e trasformando in tele muri, recinzioni, cantieri, palazzi e persino il selciato, ogni strada può creare un'esperienza di gioia invece di renderci tristi o, peggio, farci paura”. Effettivamente nelle grandi metropoli se ci si guarda intorno non si può fare a meno di notare come la maggior parte dello scenario urbano sia ormai in scala di grigio. Anche in una città viva e vibrante come New York, se si escludono gli accenti delle brown stones, i tipici edifici dai mattoni rossi, il panorama è blando, mono-tono, o degradato. Ma se la realtà urbana (messa spietatamente in evidenza dalla scomparsa del muro

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colorato di turisti a causa del virus) è abbastanza scoraggiante, l'opportunità è altrettanto emozionante, l’ispirazione si cela ovunque e la “tela” a disposizione dell'artista è pressochè infinita. È tutto il mondo. Tutto il degrado del mondo: muri commerciali e pubblici, scuole, rampe delle autostrade, centraline elettriche, semafori, lampioni, edifici pubblici in rovina, vicoli, cassonetti, bidoni della spazzatura. E ancora, e ancora. Meyer e i suoi colleghi l’hanno dimostrato: l'arte è in grado di creare il cambiamento. «La peggior scelta di colore che si possa fare è il colore dell’abbandono”, dice l’artista affettuosamente soprannominato “il nonno” dalla tribù di Beautify Earth. «La street art trasforma un quartiere in una comunità e poi infonde responsabilità sociale e orgoglio nella comunità stessa. L’arte ha la capacità di ispirare, mutando i musi lunghi e l'apatia in sorrisi e ispirazione».

E, a proposito di ispirazione e sorrisi, non ha fatto in tempo a diventare la prima vice-presidente donna degli Stati Uniti che Kamala Harris ha già conquistato il suo posto sui muri del Lower East Side di Manhattan, culla della gran parte dei movimenti socio-culturali che hanno rivoluzionato il mondo (dal punk-rock alle rivendicazioni LGBT). La notte tra il 6 gennaio e il 7 gennaio, mentre a Washington stavano raccogliendo i cocci dell’incivile assalto al Palazzo del Campidoglio, il suo volto sorridente è apparso, evidenziato da un alone rosa fuxia (che a noi italiani ricorda una -sventuratacampagna di sensibilizzazione sui rischi dell’AIDS in voga alla fine degli anni 80) sovrapposto all’originale manga della principessa Leia Organa, eroina della saga di Guerre Stellari. Kamala Harris, neovicepresidente Usa, in un murales di Manhattan

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DOVE SI TROVANO I MIGLIORI MURALES? E a proposito di Street Art, in Rete si trova un sito molto recente che elenca le 14 città al mondo “migliori” per chi ama questo tipo di arte. Eccolo: https://blog.musement.com/it/14-citta-tra-le-migliori-del-mondoper-la-street-art/ Stando a questo sito, New York è al quarto posto: “Queens era il cuore della scena street art di New York, ma un progetto immobiliare ha distrutto tutto e gli artisti si sono diretti a Bushwick, a Brooklyn che da allora è diventato una mecca internazionale della street art. L’atmosfera è un po’ come quella di Williamsburg: studi, gallerie d’arte, caffè accoglienti e bar e ristoranti super trendy dove quasi tutto è eco-chic. Harlem è un altro posto perfetto per vedere alcune belle opere”. Volete sapere quale posizione occupa la nostra capitale? L’ultimo! E comunque c’è da dire che l’arte da noi abbonda ovunque, senza bisogno di murales.

Per i più curiosi, ecco l’elenco completo delle quattordici metropoli da visitare per gli appassionati amanti di Street Art:

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

Melbourne (Australia) Lisbona (Portogallo) Buenos Aires (Argentina) New York (USA) Parigi (Francia) Los Angeles (USA) Città del Messico (Messico) Città del Capo (Sudafrica) Istanbul (Turchia) Delhi (India) Berlino (Germania) Valencia (Spagna) Londra (Inghilterra) Roma (Italia)

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G.B. Magistri, pittore e grafico milanese

Autoritratto di G. B. Magistri (1970)

“Dipingeva anche quando non dipingeva” : parliamo di Giovanni Balilla Magistri, pittore, grafico, illustratore, una figura di rilievo nella pittura del ‘900. Ecco il suo autoritratto in età matura, dipinto a olio su tavola. Altre opere e informazioni nel sito a lui dedicato, https://gbmagistri.org/ . Un’opportunità per ripercorrerne la carriera artistica , in vista delle celebrazioni previste nel 2022 per il cinquantenario della scomparsa.

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G.B. Magistri, pittore e grafico milanese

“Ratto delle Sabine”(1970). Olio su tela, cm 160 x 120, collezione privata

Proseguiamo a conoscere le opere dell’artista milanese Giovanni Balilla Magistri (al quale il capoluogo lombardo nel 2004 ha dedicato una via, dalle parti di piazzale Lodi), con questo “Ratto delle Sabine”- tecnica olio su tela- , dalle dimensioni importanti, che danno modo di osservare al meglio i particolari della pittura. Info e altro sul sitohttps://gbmagistri.org/ Un artista davvero eclettico da approfondire, in attesa delle celebrazioni previste per il prossimo anno, in occasione del cinquantenario della scomparsa di un pittore e grafico che amava ripetere “Sarà il Tempo a giudicare il mio operato pittorico, forse un giorno mi noterà”.

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Anna Gerasi, pastrychef che trasforma in “arte” l’arte pasticcera Per la prima volta il cioccolato diventa scultura classica ed entra nei musei con la “CioccoAlata” Dalla Redazione

"Vittoria CioccoAlata", 58 kg di peso e oltre un metro d'altezza

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Anche la pasticceria può diventare arte quando l’abilità del creatore si fonde – è il caso di dirlo, visto che parliamo di cioccolato- con la dolcezza della materia prima. Ci riferiamo alla riproduzione in cioccolato fondente della Vittoria Alata, ribattezzata Vittoria CioccoAlata, creata dalla maestra pasticcera Anna Gerasi per celebrare il ritorno a Brescia della statua dopo un lungo restauro realizzato presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Un omaggio alla scultura bronzea che dall’epoca del suo ritrovamento nel 1826 è considerata una delle opere più rappresentative della statuaria romana, oltre che uno dei simboli di Brescia. “Il cioccolato non è un sostituto dell’amore, ma è l’amore ad essere il sostituto del cioccolato”, ha commentato la creatrice della scultura, omaggio alla città che si prepara a festeggiare il rientro della prestigiosa statua, presentata ufficialmente qualche giorno fa presso il Palazzo della Loggia per diventare la protagonista della stagione culturale proprio in occasione della progressiva riapertura dei musei https://www.vittorialatabrescia.it/


Anna Gerasi, maestra cioccolatiera e imprenditrice, mentre lavora alla grande statua di cioccolato Anna Gerasi, PastryChef, Maestra Cioccolatiera e imprenditrice- alla guida con il fratello Gianpaolo della storica Pasticceria Piccinelli dal 1862” http://pasticceriapiccinelli1862.com/ ha messo al servizio la sua abilità nel lavorare uno dei materiali più difficili dell’arte della pasticceria per creare a sculture di grandi dimensioni: per realizzare la Vittoria CioccoAlata, che è alta oltre un metro e pesa 58 kg, di cui 18 per lo scheletro in ferro e 40 di cioccolato, ci sono voluti tre mesi di lavorazione e oltre 400 ore di lavoro. La scultura è stata consegnata a Palazzo Loggia, dove rimarrà (finché le temperature lo permetteranno) protetta da una teca nel salone Vanvitelliano. Una creazione che vuole essere la prima di una collaborazione con il mondo museale e artistico, con particolare attenzione all’arte scultorea e al rigore creativo dell’alta pasticceria italiana.

(Fonte: Ufficio Stampa Pasticceria Piccinelli dal 1862)

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El trumbè de la Fera (l’idraulico della Fiera) Con nonno Tino alla scoperta della Fiera Campionaria, del Velodromo Vigorelli e, soprattutto, degli artisti di Holiday on Ice Di Marco Vittorio Ranzoni - giornalista Io di nonni ne ho avuti in dotazione come tutti, ovviamente, due. Di nonno Cesare ho già detto, quello da parte di madre si chiamava Ernesto, detto Tino. Lui e la nonna Carla abitavano in via Vetere e fu così che mio papà conobbe mia mamma, che allora era impiegata alla Edison: erano vicini di casa. Il nonno Tino era un idraulico e termotecnico, alla maniera di una volta: nessun titolo di studio, ma tanta pratica e passione. Con il fratello e alcuni operai aveva una ditta di installazione e manutenzione ed era il fornitore ufficiale della Fiera di Milano. Il suo ufficio era in mezzo ai padiglioni e per me quello era il Paese delle Meraviglie. Aveva una Fiat 600 Multipla con il solo sedile anteriore montato perché dietro era piena di attrezzi. A me faceva ridere perché era grigia come un topo e poi non aveva il cofano davanti e sembrava sempre di andare a sbattere col muso. Ma il nonno Tino guidava pianissimo. Durante i fine settimana stavo con lui e la nonna Carla e dato che in Fiera c’era sempre qualche Nonno Tino tra due ballerine di Holiday on Ice emergenza o qualche manifestazione, lui spesso mi portava con sé. Si entrava dalla porta presidiata dalle guardie in divisa che - per un gioco al quale si prestavano sempre volentieri - facevano il saluto militare mettendosi sull’attenti. Poi mi perquisivano per finta e mi trovavano sempre una pistola giocattolo che, ad opportuno controllo, risultava regolarmente denunciata perché ero un agente dell’FBI. Da lì si entrava in quello che agli occhi di un bambino era un mondo di fiaba. Prima tappa obbligata la scultura della Lupa capitolina che allatta Romolo e Remo: io dovevo infilare la mano tra le fauci della lupa e se non mi mordeva potevamo entrare. Entravamo sempre.

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Il nonno Tino lì dentro era una vera autorità e lo salutavano tutti perché era lui che assicurava il riscaldamento dei padiglioni della Fiera e tutte le funzionalità idrauliche. Lo chiamavano spessissimo anche la notte per le emergenze e la nonna Carla si arrabbiava e diceva sempre che dovevano metterci una bomba, in quella maledettissima Fiera. Lui non fiatava nemmeno, si vestiva rapidissimo e in un baleno era fuori di casa. Il fatto era che suo fratello e suo socio, il furbastro, almeno così diceva la nonna, abitava in una villetta fuori Milano, mentre il nonno Tino aveva preso casa apposta vicino alla Fiera e quindi era lui che doveva trottare ad ogni chiamata. In effetti, il fratello del nonno in fiera io non l’ho mai visto. Lui era responsabile anche degli impianti del velodromo Vigorelli e lì mi lasciava arrampicare sulla curva parabolica della pista: era quasi in verticale, di legno lucidissimo e mi divertivo a fare lo scivolo. Ci andavamo sempre quando era vuoto, Il mio "test" d'ingresso alla Fiera Campionaria di Milano tranne alcune volte che mi portava durante le gare. Così ho delle foto con Antonio Maspes, sette volte Campione del Mondo di ciclismo su pista, che stava fermo immobile sulla bicicletta coi piedi infilati nei pedali per tempi lunghissimi, prima della partenza, mentre io stavo imparando solo allora a stare in equilibrio precario sulla mia Dei blu nel piazzale di Santa Rita. In inverno arrivavano a Milano gli artisti di Holiday on Ice: era uno show di pattinaggio e il nonno preparava il ghiaccio sulla pista e in quei giorni era sempre impegnatissimo fino a sera tardi. La nonna Carla era intrattabile, in quei giorni, più che durante la Fiera Campionaria che pure allora durava quindici giorni. E uno dei motivi, secondo me, era che il nonno si faceva sempre fotografare nei camerini con le ballerine. A me sembravano tutte altissime e bellissime, coi costumi con le piume e le gambe chilometriche. Forse sembravano alte perché avevano i pattini, ma era un bel vedere. Parlavano tutte inglese e il nonno non capiva niente, ma loro sorridevano sempre. Io andavo con lui durante il giorno, alle prove, uno spettacolo intero la sera credo di non averlo mai visto. Poi, sempre dall’America, era il turno della pallacanestro degli Harlem Globetrotters: erano tutti neri e altissimi e sembravano dei giocolieri, facevano impazzire gli avversari rubandogli la palla e tiravano a canestro da distanze pazzesche. C’era un giocatore, me lo ricordo perché si chiamava Lemon, che era il più

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bravo di tutti. Mi feci iscrivere da mio papà a un corso di minibasket, ma non ero molto portato e poi ero un tappo e non ero neanche nero. Durante la Fiera Campionaria pioveva sempre, a Milano. Il nonno mi portava in giro per il padiglione Meccanica, il suo preferito: lì c’erano macchine enormi e rumorosissime e lui mi spiegava come funzionavano. Forse sarà per quello che anni dopo sarei andato al Feltrinelli a studiare da Perito meccanico. Era il 1968 e ho una foto del nonno davanti al LEM, il modulo spaziale che sarebbe stato usato come base per la prima passeggiata degli astronauti sulla luna. Mi fece credere che lo aveva costruito lui e per un pelo non ci feci una figuraccia a scuola. Al nonno Tino piacevano molto gli scherzi. Quand’ero da questi nonni io non facevo mai i compiti, ero sempre in giro col nonno Tino. Per questo, quando la domenica sera mi riportava a casa a volte bisticciava con nonno Cesare. Una volta gli disse ridendo, in dialetto milanese: “Ma dai, sciur Cesare, è mica meglio un asino sano che un dottore all’ospedale?” e lui si arrabbiò ancora di più. Un po’ per finta, però. L’altra passione del nonno erano i treni. La nonna non si capacitava del perché, ogni volta che prendevano in affitto una casetta per le vacanze, sia che fosse sul lago Maggiore o nelle campagne del varesotto, era sempre in vista di una stazione ferroviaria. In quei pomeriggi, dal balcone o da una finestra, il nonno Tino osservava i treni con un binocolo, assorto. E sorrideva. Mio nonno accanto alla riproduzione del modulo spaziale LEM

Ma erano sempre vacanze brevissime, giusto una piccola pausa prima di tornare al suo vero grande Amore, la Fiera di Milano.

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Harlem Globetrotters 1968

Holiday on Ice a Milano 1966 Holiday on Ice a Milano 1966

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Danzare con i fiori per conoscersi meglio Un percorso di guarigione attraverso la “sesta arte” raccontato da Joyce Dijkstra Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

La danza è una forma di arte speciale per chi assiste, ma soprattutto per chi la pratica, vivendo in prima persona le emozioni trasmesse dalla musica e dalle coreografie. Un’emozione che diventa più intensa quando non è proposta come spettacolo, ma come percorso di meditazione o di guarigione. Quando parliamo, insomma, di una danza che si ricollega alle radici più profonde di questa forma espressiva: come quella che racconta Joyce Dijkstra in questo saggio dedicato alle danze dei fiori di Bach (Il gesto del fiore, Ventura edizioni). Conosco e seguo Joyce da più di venti anni, ho danzato con lei e seguito i suoi corsi di formazione: quelle raccontate in questo libro sono danze speciali, che restano nel cuore. Nate dall’intuizione di Anastasia Geng, che ha collegato le musiche e le semplici coreografie della sua Lettonia con le essenze floreali proposte dal dottor Edward Bach. Danzarle può regalare benessere e serenità, ma anche la possibilità di incontrare la cultura dei paesi baltici, la passione dei quei popoli per la natura l’arte e la musica, che ha permesso loro di mantenere viva la propria identità durante l’occupazione sovietica (in questo video un esempio di una delle danze più note e amate, Elm, la danza dell’olmo: www.youtube.com/watch?v=mySte09CCTM Nel saggio l’autrice ripercorre la storia di queste danze e insieme il suo incontro con Anastasia, un evento apparentemente casuale che ha segnato la sua vita e che l’ha spinta a portare le danze dei fiori di Bach in Italia, e ora a proporle in un libro a chi volesse utilizzarle nei propri gruppi. Leggere queste pagine significa entrare in un mondo di danze semplici, fatte non per esibirsi ma per conoscere meglio noi stessi e le nostre emozioni, profonde ma adatte anche ai bambini: tra i diversi contributi presenti nel libro ce n’è uno di un’insegnante elementare, allieva di Joyce, che racconta la propria esperienza. Anni di insegnamento e formazione hanno portato Joyce ad arricchire il proprio percorso: oggi alle danze dei fiori si affiancano movimenti e gestualità da lei elaborati, ma anche le danze del ciclo “Viaggio verso la

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guarigione”, create dalla tedesca Amei Helm negli stessi anni in cui Anastasia completava le sue danze, e dedicate soprattutto alle donne che hanno bisogno di ritrovare forza e stima in se stesse: “Sono in un viaggio di guarigione, sto andando a casa verso me stessa” . dicono le parole di una delle sue danze più note. Il gesto del fiore è dunque un manuale e, al tempo stesso, la storia di tre maestre, coreografe e creatrici, Joyce Dijkstra, Anastasia Geng e Amei Helm: tre donne che hanno dedicato la vita alla danza come strumento di benessere e di cura. (chi fosse interessato al lavoro di Joyce Dijkstra, in attesa che si concluda l’emergenza Covid e riprendano le attività dal vivo, può visitare il suo sito (https://danzemeditative.com ) o leggere il suo primo libro Nella danza sei tu; La spiritualità e la cura nelle danze meditative (Ancora edizioni 2019).

La danzaterapeuta olandese Joyce Dijkstra , autrice del libro

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I probiotici sono gli stessi, ma la confezione è tutta nuova Informazione promozionale A cura della Redazione Ciò che sembra solo un piccolo cambiamento, molto spesso è il risultato di scelte e strategie mirate. E’ il caso del “piccolo grande” lancio che ha dato il via al 2021 per Yakult: l’introduzione anche in Italia della nuova confezione in cartone, molto elegante e pratica. Il pack ha dimensioni ridotte, è più resistente di quello in plastica, protegge le 6 bottigliette poste su due file, ed è facilmente impilabile in verticale sia sullo scaffale del punto vendita, sia all’interno del frigorifero di casa, ed è connotato da una grafica più accattivante e comunicativa. La praticità è data anche da una maggiore facilità dell’apertura della confezione, attraverso una apposita linguetta. Resta invariata la formulazione di Yakult, bevanda a base di latte scremato con i suoi 20 miliardi di fermenti probiotici L. casei Shirota, che favoriscono l’equilibrio della flora intestinale. Una piccola grande rivoluzione per Yakult, con l’obiettivo non solo di venire incontro come sempre alle esigenze dei consumatori più fedeli, che da anni supportano l’azienda, ma anche di raggiungere e conquistare coloro che non hanno ancora provato le tre varietà di prodotto: Yakult Original (ricetta originale, gusto classico), Yakult Plus (con fibre e vitamina C), Yakult Light (con vitamina D ed E). Se “la scienza è una cosa grande”, come recita l’ultimo spot pubblicitario targato Yakult, altrettanto grande è la cura e l’attenzione dell’azienda verso i consumatori, che passa anche attraverso la realizzazione di questa La nuova confezione in cartone, a minor impatto ambientale e facilmente impilabile

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nuova pratica confezione. https://yakult.it/


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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI


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