Marzo 2021
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 3, n.3
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Le rubriche
EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il personaggio Il tempo della Grande Mela Incipit Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Nostalgie Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni
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Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo
I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta
DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60
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Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE
Foto Chiara Svilpo
Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
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Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI
SESSUOLOGO E PSICHIATRA è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA
ANDROLOGO E CHIRURGO è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO
DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
ANDREA TOMASINI
GIORNALISTA SCIENTIFICO giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
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Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE
GIORNALISTA SCIENTIFICA classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
GIOVANNI PAOLO MAGISTRI
BIOLOGO Classe 1951, biologo specializzato in patologia generale, si occupa di progettazione di sistemi per la gestione della sicurezza e dell’igiene delle produzioni alimentari. Socio Onorario dell’Associazione PianoLink vive sognando di diventare, un giorno, un bravo pianista.
FLAVIA CAROPPO
GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI
GIORNALISTA Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
MONICA SANSONE
VIDEOMAKER operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
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Sommario -10Generazione F Non parlerò di cani, sia chiaro Editoriale di Minnie Luongo -16Foto d’autore “Strigno” di Francesco Bellesia -18Incipit Io amo LUCA di Giovanni Paolo Magistri -20Incursioni La fregatura di Walt Disney di Marco Vittorio Ranzoni -24Stile Over Maledetti topastri di Paola Emilia Cicerone -27Da tener d’occhio G.B. Magistri, pittore e grafico milanese dalla Redazione
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Sommario -28Di tutto e niente Voglio riprendere a pescare di Andrea Tomasini -30Volontariato & Associazioni Amoglianimali di Minnie Luongo -34Salute Storie di gatti di Paola Esposito -36Scienza Il cavallo e l’uomo di Johann Rossi Mason -42Da leggere (o rileggere) Animali in letteratura di Paola Emilia Cicerone -44Bellezza Allergia agli acari della polvere: come trattarla? Professor Antonino Di Pietro
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Generazione F NON PARLERÒ DI CANI, CHE SIA CHIARO EDITORIALE
“Quanti animali ho in casa? Comprendendo me, 26”. Così, per far colpo, una trentina di anni fa rispondevo quando mi si chiedeva se possedevo animali. E in realtà era vero: un piccolo acquario con 23 pesciolini tropicali (il 23 è il “mio” numero, e quando ne decedeva uno, provvedevo subito a rimpiazzarlo), un cardellino e un cane. Il primo animale a varcare la soglia dicasa fu un cardellino, quando la vendita era ancora consentita. Un giorno ero in compagnia del mio futuro marito (quello del matrimonio che durò legalmente 7 mesi, per intenderci, e anche l’unico che ho avuto, ad essere precisi) in piazza del Duomo a Milano, dove ogni domenica vendevano piante e uccellini; detto fatto ne prendemmo uno. Come lo chiamiamo? “Pasqualino”, propose il fidanzato. In realtà io lo ribattezzai subito Pulcino, detto Pulce. Subito dopo fu la volta dell’acquario, un oggetto che avevo sempre desiderato (e che in seguito ho sempre posseduto, fino all’ultimo trasloco poiché, con sommo dispiacere, non c’è letteralmente spazio nel mio attuale miniappartamento). Comprai il cosiddetto “cubino”, un contenitore quadrato che piazzai al lato del letto, così che svegliandomi al mattino potevo guardar nuotare i miei amati pesciolini, il che mi induceva ad un’operosa tranquillità nell’affrontare la nuova giornata. Pulcino cantava magnificamente e di continuo, a tal punto che, quando dovevo collegarmi in radio per qualche programma, ponevo uno spesso straccio sopra la gabbia, così da fargli credere che fosse notte e, pertanto, fosse ora di dormire. Aveva circa 9 mesi e (forse per via della muta) mi accorsi che stava sempre più spesso sul fondo della gabbia e non sul trespolo (brutto segno), finché col mio fidanzato ci preparammo ad andare in ferie, in auto, fino in Calabria… Stupidamente, invece di affidarlo a qualche amico, lo portammo con noi. Per carità, il mio compagno gli aveva riservato i due sedili posteriori, con i vetri protetti da una fitta rete di bambù che impediva al sole di arrostirlo, e ci preoccupavamo sempre di posteggiare l’auto all’ombra, con un terzo dei finestrini aperti. Nonostante i nostri accorgimenti, tornando da una breve visita alle grotte di Castellana, lo trovammo morto stecchito (mai espressione, ahimè, fu più indicata). Il nostro programma prevedeva un pranzo ad Alberobello e un giro per i famosi trulli. Entrammo in un ristorante ma, una volta seduti, al cameriere che era arrivato a prendere la comanda, all’unisono rispondemmo che non avevamo fame e uscimmo. Guardammo distrattamente un paio di trulli (da allora li collego mentalmente a questo triste episodio) e poi, raggiunto il primo autogrill, seppellimmo Pulcino lì in terra di Puglia, tra i fiori recintati, attenti a non essere scoperti.
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Generazione F Pulcino II arrivò subito dopo, una volta tornati a Milano. Nel frattempo era entrato in vigore il divieto di vendere cardellini puri (per timore che se ne estinguesse la specie), ma si potevano acquistare i cosiddetti “ibridi di cardellino”. Lui cantava in maniera meno squillante ma mi fece compagnia per quattro anni e mezzo. Morì un venerdì sera di Pasqua, mentre lo assistevo e gli parlavo, dopo che ogni vitamina e altro rimedio consigliato non aveva dato risultati. Poi non volli più uccelli da tener chiusi in gabbia per quanto grandi esse fossero e mi concentrai sull’acquario, certa che i pesciolini sarebbero rimasti gli unici animali residenti in casa mia (oltre alla sottoscritta). Devo dire che in quegli anni la mattina, prima di andare al lavoro, avevo un bel da fare: prima c’era da pulire la gabbia (lavoraccio!), rifornire Pulce di acqua fresca e mangime, più insalata e osso di seppia. Poi passavo all’acquario: ai tempi il termostato si regolava manualmente (la temperatura ottimale è fra i 24 e 27 gradi), con fatica certosina contavo e ricontavo i pesci (che, come ho detto, dovevano essere 23, compreso il “pulitore”), mettevo il mangime, riaccendevo la luce all’interno che poi avrei spento la sera (cosa necessaria per tenere in vita i tropicali), toglievo col retino l’eventuale deceduto. Ricordo una brutta mattina di Natale: avvicinatami all’acquario, li trovai tutti a galla. Praticamente li avevo bolliti avendo sbagliato clamorosamente la sera precedente ad impostare il famoso termostato. Fu un colpo: mi sentii un’assassina. Letteralmente. Ma dopo un paio di giorni 23 nuovi pesci erano residenti in casa Luongo: il solito gruppo di neon, più tutti quelli compatibili tra loro. Ecco, come ho anticipato nel titolo di questo Editoriale, non voglio parlare di cani. O meglio, non dei miei. Per questo ho deciso di mettere in copertina una foto di me bambina con Icare, uno splendido cucciolone nero di un fidanzato francese di mia madre. Oltre ad amare i cani, era un uomo educato, colto e, il che non guasta, molto abbiente. In quell’immagine ero davvero felice: ritrovatami da sola per una settimana con Icare e sua mamma Isabelle su un isolotto di proprietà del padrone dei cani (la coppia umana era dovuta tornare in città), mi godevo la natura e la compagnia di Icare, servita e riverita da uno stuolo di cameriere e cuoche che si rivolgevano a me chiamandomi signorina, nonostante non avessi neppure 9 anni, e mi viziavano meravigliosamente. Purtroppo mia madre presentò al fidanzato una sua amica /collega, bruttina ma dolce e soprattutto non avvezza ai capricci da prima donna come la mia genitrice. Risultato: si sposarono e io restai senza cani da coccolare, né autisti che mi riportassero a casa né cuoche cui ordinare manicaretti. Ma questa è un’altra storia. Io mi vanto di essere una dura, mettiamola così, e mi commuovo difficilmente. Eccezion fatta per la perdita dei cani che ho avuto come compagni di vita. Per questo qui di seguito farò una cosa bizzarra, ma che m’impedirà di sbrodolarmi in ricordi e racconti e quant’altro mi dilanierebbe a scrivere nero su bianco. Che cosa farò? Metterò foto, trascrizioni di brani del mio diario (ebbene sì, ho un “diario” da più di 25 anni), post di Facebook, ritagli di giornale. Non trovo altro modo per “non parlare di cani”.
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Generazione F
Da Facebook: 26 agosto, Giornata mondiale del cane. Non ho certo bisogno di postare le foto dei cani della mia vita per ricordarli, però lo faccio volentieri: ecco MISTER, OTTO, HOLLY. Con loro sono invecchiata (e sto vieppiù invecchiando) ma soprattutto grazie a loro ho trovato spesso un motivo per alzarmi dal letto e riprendere a vivere.
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Generazione F
19 dicembre 1997
Uno dei miei miti, Luca Goldoni, scriveva così del suo cane: “Secondo me, ha capito la mia filosofia: che gli voglio bene in cambio di nulla”. P. S. Pensare che ora siamo “amici” su FB…
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Generazione F
Mister, boxer trovato abbandonato a pochi mesi. Grazie a lui ho scoperto un (il?) mondo
Otto, bassotto viaggiatore, nato il mio stesso giorno e mese , con me per 14 anni
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Generazione F
Lei. Semplicemente lei. P. S. Probabilmente non sono la dura che voglio far credere a me stessa. Come dimostra anche il fatto che, non disponendo di un giardino (né di un autogrill a portata di mano) conservo le ceneri di Mr e Otto in due anonimi vasetti bianchi posti fra i libri. Insomma, loro sono ancora e sempre con me. Né potrebbe essere diversamente. Quanti animali siamo al momento in casa? Quattro: oltre ai due defunti, la sottoscritta e la meravigliosa Holly. No, non ho parlato di cani, è chiaro..
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Foto d’autore
STRIGNO ( un cigno realizzato con stringhe da scarpe) di Francesco Bellesia https://francescobellesia.it/
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Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
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Incipit IO AMO LUCA Quando è apparso l’antenato dell’uomo? Un calcolo che fa venire i brividi… di Giovanni Paolo Magistri – biologo Solo a pensarci fa venire i brividi: LUCA (Last Universal Common Ancestor) l’antenato comune che ha dato origine ad ogni forma di vita e conseguentemente a tutti gli appartenenti al regno animalia, sembrerebbe, secondo le più recenti indagini, avere circa 4,3 miliardi di anni (Weiss et al., 2016/ Nature Microbiology). Dividendo 4,3 miliardi di anni per un valore medio di sopravvivenza di 80 anni, almeno nei Paesi economicamente avanzati, otteniamo 53.750.000 individui che, tenendosi per mano, formerebbero una fila che avvolgerebbe due volte l’equatore terrestre. Il regno animalia si frammenta in phylum e sub phylum; quest’ultimo annovera i vertebrati ovvero le principali classi a noi più familiari: anfibi, uccelli, pesci, mammiferi, rettili. “Amo gli animali”, spesso si sente dire nelle Photo Karen Lau on Unsplash innumerevoli trasmissioni televisive mentre l’ospite innamorato tiene al guinzaglio la povera bestia con tanto di pelo cotonato; “io non mi nutro di animali”, è il ritornello di molti che di lì a poco consumeranno una tartina al caviale; “io soffro nel vedere gli animali immortalati per puro vanto estetico”, mentre rileviamo che ai piedi il sofferente indossa calzature di camoscio. Generalmente tendiamo a manifestare affezione nei confronti dei nostri simili o a noi più vicini parenti biologici; cani e gatti sono entrati nella nostra vita come animali da compagnia, utilizzati per celare o scaricare nella maggior parte dei casi le nostre frustrazioni. Contrariamente e a ragion veduta lottiamo per tenere lontani ratti e scarafaggi e d’estate usiamo spropo-
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Incipit sitati quantitativi di insetticidi per evitare che zanzare, pappataci e altri insetti ematofagi ci rendano la vita impossibile e a volte anche minacciata. La pet therapy è riconosciuta come efficace cofattore di cura. Con essa è evidente l’importanza di un equilibrio psicofisico per il benessere del nostro organismo ma, guarda caso, generalmente non è realizzata utilizzando animali lontani dalla nostra posizione tassonomica, ovvero i mammiferi. Personalmente credo che se si conoscesse in modo meno superficiale la storia evolutiva dei viventi anche il lombrico sarebbe un abilissimo therapeutic pet. Innumerevoli sono gli esempi di utilizzo di animali con fini socio-economici: cani guida per non vedenti, per la ricerca di dispersi, fino a ieri per faticosi lavori agricoli o per il trasporto di cose e persone, per la comunicazione a distanza, la caccia e molti altri ancora. L’assoggettazione degli animali è comunque in tutti i casi evidenziati un aspetto ineluttabile e pone un interrogativo che dovrebbe trovare necessariamente risposta nell’organizzazione sociale delle popolazioni: utilità degli animali o elevazione degli stessi a rango homo similare? In un mondo sempre più popolato è triste constatare come l’abbandono, la solitudine dell’individuo abbia assunto un aspetto di accettabilità sociale; compensare la carenza affettiva supplendola con un vicario a noi simile sembrerebbe il rimedio proposto da una società sempre meno attenta alle esigenze del singolo individuo: prezzo del passaggio da homo sapiens a homo socialis (Herbert Gintis and Dirk Helbing, Review of Behavioral Economics, 2015). LUCA ha affrontato un’incessante trasformazione casuale premiata dalla selezione naturale del più adatto ed è sorprendente constatare che l’uomo esiste sul nostro pianeta da un tempo relativamente breve: immaginando di ridurre a 24 ore il tempo trascorso dall’inizio della solidificazione del magma terrestre, i più diretti antenati dell’uomo sono apparsi solamente nell’ultimo minuto della ventiquattresima ora, e solo negli ultimi secondi il mammifero homo ha iniziato a manifestare curiosità verso la natura circostante.
E al centro Luca...
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Incursioni LA FREGATURA DI WALT DISNEY La geniale rappresentazione degli animali da parte dello zio Walt spesso ci ha impedito di considerare l’ecosistema nel suo insieme Di Marco Vittorio Ranzoni - giornalista Animalista è un termine che non mi è mai piaciuto. Chi non si dichiara tale odia il regno animale? E chi si ammanta del termine lotta forse a spada tratta per rispettarlo e conservarlo? Non so perché, ma sono allergico alla parola: mi sembra descriva gente che per salvare un randagio butterebbe a mare un bambino. E’ che siamo un po’ tutti figli di Walt Disney. Nei suoi cartoni animati ha riprodotto magistralmente le movenze e le espressioni di una moltitudine di animali, dai più comuni ai più esotici, ma ha anche attribuito loro sentimenti e comportamenti tipicamente umani, generando in noi bambini qualche fraintendimento. Ci ha fatto intravedere un mondo meraviglioso e ha stimolato sana curiosità che spesTopolino e Minnie, i due topi umanizzati creati so nei ragazzi è sfociata nell’approfondimento delle scienze naturali, presupposto basilare per poter indal genio di Walt Disney (1901-1966) serire correttamente gli esseri viventi nel contesto più ampio di ecosistema. Un ottimo punto di partenza per iniziare un affascinante viaggio nei segreti della natura, insomma. Con qualche ipocrisia di fondo. Credo non sia corretto disconoscere i naturali confini che separano e differenziano l’uomo dagli altri animali. Dico altri per non dimenticare mai che siamo animali anche noi e che il primato che ci distingue (ammesso che lo faccia in senso positivo) è puramente merito di una spinta evolutiva che in tempi relativamente recenti ci ha premiato più di altre specie. Ci sarebbe molto da discutere sul fatto che l’Homo sapiens si sia più adattato a vivere sul pianeta terra di una blatta, ma questa è un’altra storia. Chiunque abbia un cane o un gatto sa benissimo che da subito si stabilisce un legame affettivo fortissimo che ci fa considerare la bestiola come parte integrante della nostra famiglia, al pari dei figli e del nonno. Su questo non si discute; noi proiettiamo moltissimo del nostro portato emotivo sui nostri beniamini e ne siamo ampiamente ricompensati. Resta da definire il rapporto uomo-animale al di fuori della sfera intima e affettiva. Non si discute che,
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Incursioni in quanto coinquilini dello stesso pianeta, dovremmo salvaguardare al massimo il patrimonio naturale che compone la biodiversità perché questa è alla base della vita e presupposto imprescindibile per la nostra sopravvivenza, ma ancora per un po’ nulla ci vieta di trarre da loro qualche vantaggio: in fondo da millenni coltiviamo le piante e alleviamo gli animali a scopo alimentare. Intendiamoci, è un dato di fatto che si dovrà ridurre l’impronta ecologica dell’uomo sul pianeta, ma se non si applica un po’ di gradualità si cade facilmente vittima di crociate da salotto. Un certo ambientalismo molto di moda è tipico dei Paesi ricchi come il nostro: non possiamo pretendere analoga e tempestiva adesione da parte di chi ha da poco debellato la fame o si sta avviando sulla strada di uno sviluppo economico che solo ora noi stiamo mettendo in discussione e rinnegando, almeno a parole. In fondo l’uomo ha da tempo immemore sancito il proprio dominio sugli altri animali cacciandoli, allevandoli e utilizzandoli a proprio vantaggio. Qualche battaglia persa contro topi, scarafaggi e zanzare è un bel vulnus alla sua autostima, ma tant’è, c’est la vie. Nel lungo periodo ha senz’altro ragione Bill Gates quando afferma che non mangeremo più carne di allevamento, ma ammassi di cellule animali coltivate in vitro: al di là dell’etica, l’allevamento di bestiame presto diventerà insostenibile per il consumo di suolo, di acqua e per l’emissione di gas serra, ma ci vorrà tempo. E dato che soltanto un vegano duro e puro si può permettere di dissertare della antica abitudine di nutrirsi di animali morti (non si accettano mangiatori di spaghetti alle vongole, sushi, frittate e gelati alla crema), dobbiamo cercare di capire chi siamo e dove vogliamo andare. Anche le levate di scudi verso quei popoli che hanno abitudini alimentari per noi deprecabili e barbare, le trovo un tantino stonate. So di attirarmi gli strali di molti, ma è un fatto che ci siano Paesi di millenaria cultura dove i conigli sono intoccabili animali da compagnia e si cucina la carne di cane senza particolari turbe, così come da noi si mangiano impunemente i cavalli e gli asini, le rane e le lumache. Tanto prima o poi gli insetti li mangeremo tutti, checchè se ne dica. E qui, nei distinguo che facciamo sempre tra specie, un vero e proprio razzismo animalista, si cela l’ipocrisia più grande, quella di considerarne sacrificabili alcune e altre no.
Talpa senza pelo (eterocefalo glabro), roditore della famiglia Bathyergidae
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Incursioni
L’aggressività degli animali nella realtà La caccia è demonizzata e ci sono tanti buoni motivi per questo. Ma dopo aver visto da vicino come si ottiene la carne di pollo negli allevamenti industriali, non trovo così mostruoso abbattere un fagiano liberato da piccolo nei boschi e cresciuto sempre nel suo ambiente naturale fino a quel giorno, servirlo a tavola con le patate ed evitare così l’uccisione di un pollastro che sarebbe vissuto quasi senza avere aria da respirare per tutta la vita. Alla fine il bilancio sarebbe identico: un pollo. E la pesca dilettantistica? Molti animalisti non fanno una piega di fronte a un fritto di mare o un’orata al cartoccio: perché non dovrei andare a trote in Val Badia? E poi tutto questo amore per gli animali spesso si riduce nell’ammaestrarli, renderli giocattoli senza dignità, cosa che dal punto di vista di chi ama gli animali è volgare e svilente, quasi che ridurre una povera bestia al ruolo di pagliaccio sia qualcosa di accettabile. Il web è pieno di filmati di scimmiette vestite da damine e cagnolini con abiti da carnevale… Pratichiamo da secoli la selezione genetica sui cani inventandoci razze mai viste che soddisfino i nostri capricci: dal combattimento alla cerca nelle tane, dalla corsa alla guardia.
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Incursioni Nei bovini stressiamo la produzione di carne o di latte (un secolo fa le lattifere producevano dieci litri di latte al giorno, oggi trenta); per tacere dello scempio degli allevamenti dei volatili da carne, delle ovaiole e dei suini. Tempo fa qualcuno mi raccontava (ed era serio), come per il cavallo non fosse una forzatura o una sofferenza farsi inchiodare ferri sugli zoccoli, tenere in mezzo ai denti un morso d’acciaio, farsi caricare sulla groppa un sacco di patate di 80 chili e muoversi a comando ad andature innaturali: “E’ nato per questo” (cit.). Noi fatalmente dividiamo il Regno in animali di serie A e di serie B. I ‘pucciosi’ da una parte (maledetto Walt Disney); ragni, lombrichi e scarafaggi dall’altra. E pensare che senza lombrichi saremmo già tutti morti da un pezzo. Diciamo allora che siamo un po’ tutti “animalisti del distinguo” e comunque è purtroppo abbastanza raro vedere gente che si rapporta agli animali rispettando al cento per cento la loro naturale indole, quasi fosse solo roba da etologi, tipo Lorenz e Morris. A proposito di scienza: c’è il grande capitolo della sperimentazione animale; lì come la mettiamo? Tutti a invocare vaccini, farmaci e valvole cardiache bio, ma poi si sfasciano i laboratori e si minacciano i ricercatori, come se odiassero gli animali . Dato che sono biologi, magari li amano nel modo più giusto. Alla fine, volendo estremizzare, l’unica via per essere davvero coerenti sarebbe imitare quei monaci giainisti che stanno immobili per timore di calpestare qualche minuscola e innocente creatura. Loro sì, che sono animalisti davvero e possono puntare il dito. Ma non lo fanno, loro, perché sono avanti e hanno capito che l’animale uomo va un po’ compatito.
Un falco in picchiata
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Stile Over MALEDETTI TOPASTRI … che da sempre mi hanno rubato il cuore. Assieme a tutti i roditori, pantegane comprese … Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica “Maledetti topastri!” Chi è stato piccolo negli anni ’60 ricorderà il grido di battaglia del gatto Jinxie, costantemente a caccia dei topolini Pixie e Dixie in un popolare cartone animato di Hanna-Barbera. E, in effetti, la reazione della maggior parte degli umani di fronte a topi ratti e simili non è molto diversa. Mentre chi scrive, per i roditori ha sempre avuto un’insana passione, scarsamente condivisa dalle amiche. Ricorderò sempre quando, sedute a cena nei tavoli all’aperto di una trattoria romana, esclamai contenta “Guarda, un topolino!” all’amica seduta con me, con un minimo di preCredit Henry Lai Unsplash occupazione dovuta solo al timore che qualcuno facesse male alla creaturina - un ratto di discrete proporzioni - e rimasi colpita di fronte al suo strillo spaventato: evidentemente, avevamo visto due animali diversi. Da quando ricordo, ho sempre trovato i roditori animali interessanti. Da bambina ho avuto e sfrenatamente amato cavie e soprattutto criceti, furbi intelligenti e dotati di un solido caratteraccio. Il preferito tra i miei, dotato di una tenera pelliccia rosa e di un temperamento da pitbull, aveva imparato ad aprirsi da solo la porta della gabbia costringendoci a blindarla per evitare fughe: devo a lui – ribattezzato Claudio come mio padre – uno dei grandi dolori della mia infanzia, quando rientrando a casa dopo un ricovero in ospedale, lo trovai morto, vittima della distrazione degli adulti che non si erano ricordati di nutrirlo, un ricordo che ancora oggi mi fa stare male. Ma a me i roditori piacciono tutti, dal cincillà più morbidoso alla più lurida pantegana, a quelli di cui ho scoperto solo di recente l’appartenenza alla categoria. Come le marmotte, che adoro, e i meravigliosi istrici, passando per una folta galleria di piccoli personaggi dotati di occhi vispi, caratterino vivace e in genere manine prensili. In effetti ho l’imbarazzo della scelta , visto che a quest’ordine appartiene il 43% circa delle specie di mammiferi esistenti, un successo dovuto probabilmente a una combinazione di taglia minuscola,
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Stile Over rapido ciclo riproduttivo e capacità di adattarsi ad una grande varietà di ambienti e di alimenti. Una caratteristica, quest’ultima, che i roditori condividono con noi, e questo potrebbe aiutare a spiegare la diffidenza con cui spesso li guardiamo. Rafforzata, nel caso di alcune specie come topi e soprattutto ratti, dal fatto che non disdegnano di saccheggiare le nostre riserve alimentari e potrebbero trasmettere malattie. Un timore che si è sviluppato soprattutto negli anni dell’urbanizzazione e della rivoluzione industriale, quando la scarsa igiene ha affollato di ratti le città che si stavano popolando senza controllo. Non è forse un caso che i ratti, arrivati in Europa nel medioevo provenienti dall’Asia , facciano di solito la parte dei cattivi mentre nelle favole Credit Nick Fewing Unsplas della tradizione, da quelle di Fedro e di Esopo, i topolini erano personaggi simpatici. Come sono in genere nei cartoni animati che li vedono protagonisti frequenti, senza dimenticare altre tradizioni: in Cina il topo è un animale associato con la forza, il fascino, e l’aggressività e anche in India è un simbolo di forza e intelligenza, mentre in genere ai ratti- con l’eccezione del delizioso protagonista di Ratatouille -è attribuita la parte dei cattivi. E se è vero che la loro presenza in città può creare problemi - si calcola che a New York e Londra ci siano più ratti che umani - non posso fare a meno di provare orrore al pensiero che li sterminiamo senza nessuna delle cautele che la moderna sensibilità ci impone di adottare per molti animali che decidiamo di sacrificare. Incluse le legioni di roditori che muoiono per la scienza - assieme ai conigli rappresentano quasi il 90% degli animali da esperimento - o che per la scienza nascono, visto che la produzione di animali geneticamente modificati per riprodurre modelli di patologie umane ha oggi un ruolo importante nella ricerca. Nel mio piccolo, visto che di questo scrivo, cerco quando posso di sostituire l’anonimo “modelli animali” col nome della specie che è stata sacrificata per la ricerca di cui parlo, a testimonianza della gratitudine che dobbiamo a queste bestiole. Che poi, chi l’ha deciso quali animali sono carini e da compagnia – tra i roditori, scoiattoli e cincillà in genere piacciono a tutti, anche se esistono, soprattutto nei paesi anglosassoni, allevamenti di ratti da compagnia -e quali devono fare schifo, o esser sacrificati senza uno sguardo di compassione? È come se i roditori riassu
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Stile Over messero la nostra ambiguità nei confronti del mondo animale...Eppure sappiamo che i ratti, probabilmente i meno amati della categoria assieme alle nutrie, sono animali assai intelligenti e socializzabili. Sulla mitezza dei criceti, avendone avuti, ho qualche dubbio, ma continuo a trovarli adorabili. Certo, amo anche i cani e - un po’meno - i gatti, e nel mio cuore ci sarà sempre un posto per il pony Romeo. Ma di fronte a codine, pelliccette e manine il mio cuore batte più forte. E ricordo con gioia il giorno in cui un improvvido commerciante di animali mi sfidò a infilare una mano in una grande teca che conteneva miriadi di minuscoli topolini bianchi: pensava di propormi una prova di coraggio; per me fu un momento di piacevole emozione …
Il criceto: l’animale più amato dall’autrice di questo articolo
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Da tener d’occhio G. B. MAGISTRI, PITTORE E GRAFICO MILANESE
“I gatti di Mede Lomellina”. Acquerello.
Questi sono gatti particolari. Realizzati ad acquerello negli anni tra il 1960 e il 1962, periodo in cui la famiglia Magistri soggiornò a Mede Lomellina (Pv), ritraggono dei felini randagi che al bisogno trovavano cibo e conforto in casa di Giovanni Balilla Magistri. Opere e informazioni nel sito a lui dedicato: https://gbmagistri.org/ Per arrivare preparati alle celebrazioni del 2022, in occasione del cinquantenario della scomparsa di questo artista a cui il Comune di Milano, qualche anno fa, ha voluto dedicare una via.
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Di tutto e niente VOGLIO RIPRENDERE A PESCARE Nella vita bisognerebbe essere sia trota sia pescatore. Per non perdere l’attenzione per ogni piccola cosa Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico Voglio riprendere a pescare. Sono anni che ho smesso di fumare e non ho ripensamenti o sofferenze per la decisione presa. Ripenso però all’impalpabilità di un piacere che quando diventa un vizio produce dipendenza e indifferenza. Invece, vorrei tanto riprendere ad andare a pesca. Una volta, dopo un pomeriggio passato a pescare trote in un torrente in Umbria, ormai sera, ci siamo fermati a prendere una birra prima di far ritorno a casa. Birra e patatine. “Fai anche tu come me, che mangi le patatine per aumentare la sensazione di sapido in bocca per poi render più piena e soddisfacente la sorsata di birra, che placa il salato e finisce amara lascando la bocca fresca?”. Si - lo faccio anche io. Un fatto di gusto, di piacere. Che nasce dal contrasto, un felice abbinamento basato su esperienza e ascolto.
A star sul torrente, risalendolo con cautela per non spaventare le trote e anche per sentirsi parte dell’ambiente che rispetto, i pensieri e il silenzio accompagnati dai gesti che sono attenti ma anche istintivi, a volte quasi automatici. Tendi ad esser tutt’uno con il bersaglio - là dove lanci la mosca immaginando possa esserci la trota in caccia, posandola sull’acqua come se fosse naturale lo sfarfallio dell’esca artificiale che hai scelto per sedurre il pesce e indurlo all’attacco. Una particolare miscela di attenzione, consapevolezza dell’attimo, ritmo del gesto, azione e reazione. Si sta concentrati e attenti, ma anche assenti rispetto a tutto il resto del consueto - per esser tutt’uno con il torrente, le trote, gli alberi, il vento. Non c’è distrazione, è assoluta partecipazione al mondo in cui si è, mediante le scelte e i gesti che si compiono con intenzioni attente e consapevoli. Le cose che ti circondano hanno tutte significato e i tuoi gesti hanno senso - anche
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Di tutto e niente se poi è difficile raccontare tutti i tuoi pensieri, cosa di conscio e di inconscio s’affaccia e s’addensa nella mente... Non ricordo quante trote presi e rilasciai in quel pomeriggio, ricordo però la chiacchiera sulla birra e anche come proseguì. Sempre in quel bar, quella stessa sera: “E a te capita mai che ti accendi una sigaretta, pensi ad altro e quando l’hai finita ti accorgi di averlo fatto distrattamente, quasi senza accorgertene, senza averne tratto né piacere né appagamento per cui finisce che la spegni insoddisfatto, quasi infastidito?”. Sì - succede (va) anche a me. Come sul torrente si sta attenti a tutti i piccoli segni, sia visivi che uditivi - che insetti ci sono, in che fase della loro vita sono, che mosca scegliere (la taglia, il dressing), il diametro del finale, i nodi, come scorre l’acqua, quanto è limpida e profonda, se ci sono microcorrenti o rigiri, lo spazio per il lancio, la velocità e l’attesa, la luce e l’ombra, l’attimo giusto per posarla e per incocciare il pesce quando bolla sulla mosca, il recupero, il rilascio- occorrerebbe provare a prestare attenzione a tutte le piccole cose per riuscire a esser sia pescatore sia trota nella vita di tutti i giorni, predisponendosi a trascorrerla non con indifferenza. È un periodo davvero difficile, ma non vorrei giungere alla fine senza essermi accorto di gioie e dolori, albergando solo stizzita insoddisfazione …
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Volontariato & Associazioni AMOGLIANIMALI La Onlus del dottor Cervia aiuta concretamente gli animali in difficoltà di Minnie Luongo
Mauro Cervia con Luna, il suo inseparabile border collie Quando abbiamo fondato il nostro magazine, non ho avuto dubbi: la rubrica dedicata agli animali avrebbe avuto il nome della Onlus presieduta dall’amico Mauro Cervia, noto medico veterinario, che ha vaccinato, curato e operato anche i miei due ultimi cani: Otto e Holly. In realtà conoscevo Mauro da una vita, ma non immaginavo di quanto fosse bravo e amasse sul serio gli animali, fino al giorno in cui ho avuto bisogno di rivolgermi d’urgenza a un chirurgo per il mio bassotto, che aveva ingurgitato di tutto: bigodini dal parrucchiere, monetine per la strada e, soprattutto, pericolosissimi pezzetti di vetro al bar, recuperati da un bicchiere rotto. Ricordo Mauro che uscì ridendo dalla sala operatoria con una bacinella piena di tutto ciò che aveva tolto dalla pancia di Otto, dicendo “Guarda quanta roba ho trovato! Ma tu dai da mangiare a ‘sto povero cane?” Da allora Cervia è il mio Vet. Ironico e apparentemente distratto nei rapporti con gli umani, è in real-
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Volontariato & Associazioni tà il miglior dottore per cani e gatti che necessitano di una diagnosi, di una cura, di una coccola. Ma sa anche trovare le parole giuste al telefono, quando tu sei fuori città e devi prendere una terribile decisione al volo, per spiegarti perché – se davvero gli vuoi bene- è ora di lasciar andare per sempre il tuo compagno peloso. Caro Mauro, quella mattina d’estate uscii dallo studio della veterinaria del mare con in mano un guinzaglio e nel cuore una sofferenza lancinante, ma grazie a te sapevo di aver fatto la cosa giusta. Grazie! Forse non ti ho mai ringraziato per questo… (M. L.) Mauro Cervia è figlio d’arte : il padre Mario è stato pioniere della professione veterinaria dedicata ai piccoli animali . Giornalista, è autore di diversi libri, tra cui “Mario il veterinario della vecchia Milano”, “Caneterapia”, “Ricette da ulular di gioia”, ed è anche autore del fumetto “Il cane Gino e l’etologia a fumetti”, pubblicato per anni sul Corriere dei Piccoli. La Onlus Amoglianimali è stata fondata nel novembre 2006 da Mauro Cervia e Fabio Borganti, due medici veterinari milanesi. Gli scopi principali: la tutela dei diritti degli animali e la salvaguardia del loro benessere. Cervia & Co si impegnano per aiutare gli animali più sfortunati: soprattutto quelli ospiti di canili e gli animali di proprietà di persone anziane o meno abbienti L’Associazione fornisce aiuto sul territorio per sterilizzare gratuitamente i cani randagi, laddove gli enti preposti abbiano bisogno di un ausilio per contenere il fenomeno sempre più allarmante dei cani in gruppi vaganti e aggressivi. “Gli amici dell’Associazione, molti dei quali di grande notorietà, rappresentano la nostra vera fonte di energia- sottolinea Mauro Cervia, presidente di Amoglianimali-; è impossibile nominarli tutti: basti dire che possiamo contare su illustri personaggi del mondo dello sport, dello spettacolo e della cultura. CHE COSA ABBIAMO FATTO “Per sostenere i propri progetti Amoglianimali, oltre a confidare nell’aiuto dei suoi amici e sostenitori, organizza eventi a scopo benefico per la raccolta di fondi. Offriamo costantemente assistenza veterinaria, vaccini, medicinali di qualsiasi genere e trattamenti chirurgici a cani e gatti custoditi in vari canili e gattili, oltre ad animali di persone bisognose, il tutto completamente a nostre spese. Abbiamo regalato una cisterna per l’impianto idrico ad un canile fuori Benevento, del tutto privo di acqua. Grande rilevanza è l’aver fornito il canile dell’isola di Pantelleria di una piccola sala operatoria attrezzata di materiale di prima necessità, andando personalmente -per più anni, durante il periodo estivo- a sterilizzare i cani e ad offrire le cure sanitarie agli ospiti del canile e ai cani e ai gatti adottati. Inoltre, abbiamo dato una mano all’associazione Onlus “I miei Amici “- Gruppo Zampe Sarde di Ghilarza” a costruire un nuovo canile, un grande progetto per portare una speranza a centinaia di cani in una zona che richiede enorme aiuto in questo campo.
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Volontariato & Associazioni Siamo fieri, anche, di essere riusciti a far sequestrare centinaia di cuccioli nel Mantovano allevati in condizioni pietose e, probabilmente, destinati alla vivisezione. In questo caso, abbiamo seguito il processo e testimoniato fino ad ottenere una nuova sistemazione per i cani.
Numerosi gli spot televisivi realizzati. Tra questi: “Abbandonare gli animali non è di moda” “Quando lo adotti è per sempre” “Ovunque andrai non abbandonarlo mai” “Un cane fa bene alla salute” “Fai la cuccia giusta- Sostieni i nostri minirifugi”
http://www.amoglianimali.org/
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Volontariato & Associazioni CHIACCHIERANDO CON MAURO CERVIA Essendo questo numero dedicato al mondo animale, non potevo non approfittare per fare due chiacchiere con i mio Vet. Questa volta al dottor Cervia ho posto tre domande: L’amore per gi animali nasce con noi o si può imparare? Qual è il peggior errore che i proprietari di cani compiono? Come scegliere un cane che faccia compagnia ad una persona Over, soprattutto in questo periodo di Covid in cui ci è praticamente imposto di stare da soli? Per conoscere le risposte cliccate qui sotto e seguirete la breve intervista sul nostro canale Youtube. (il video non è il massimo, ma riuscire a interrompere Mauro mentre lavora è un’impresa…
https://youtu.be/i_4AXvwATTU
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Salute STORIE DI GATTI La mia personale pet therapy ha avuto come protagonisti tanti e unici mici Di Paola Esposito – psicologa, psicoterapeuta Da piccola, quando mi balenava nella mente il pensiero di avere accanto a me un animale domestico, lo allontanavo velocemente, perché l’idea che mi rattristava maggiormente era la loro breve vita, e di conseguenza il pensiero di dover accettare la loro morte. Chissà, forse intuivo che troppe volte negli anni successivi avrei dovuto lasciare andar via persone e animali a me cari. Da grande sono riuscita a superare la paura della perdita e, con l’aiuto di una persona speciale, mi sono avvicinata al mondo dei gatti, animali meravigliosi e dall’aspetto fiero. Ho trascorso ore ad osservarli: affettuosi, eleganti, agili, bellissimi.
“Una strega in paradiso” è un meraviglioso film over60. Qui Kim Novak col gatto Cagliostro
Conoscendoli, ho concluso che la caratteristica principale del loro essere è l’autonomia. Questa loro indipendenza mi ha fatto pensare alla possibilità di amare, ma nello stesso tempo alla capacità di rimanere autonomi: i gatti amano senza remore, ma lasciano spazio alla loro integrità e a quella dell’altro. Questi animali pelosi, sempre pronti a fare le fusa, ci insegnano il valore dei legami affettivi, ma anche il valore della libertà di amare e di ricevere amore. Tanti sono stati i gatti che mi hanno accompagnato negli ultimi venti anni, ognuno diverso dall’altro. E ho scoperto che, come le persone, anche i gatti hanno uno specifico carattere: molto diversi tra loro, femmine e maschi sono caratterizzati da tratti specifici. Le femmine non amano molto la compagnia di altre femmine, perché spesso si pongono in un atteggiamen-
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Salute to di rivalità; i maschi, invece, sono molto remissivi con loro, sentendosi senza dubbio “il sesso più forte”. La prima gatta che ho incontrato e con cui ho condiviso un pezzetto di vita si chiamava Vichi. Vichi era una gatta nera, piccola e dal pelo morbidissimo; con le persone mostrava un carattere dolcissimo, mentre con i suoi simili era molto aggressiva, non amava intrusi, in casa doveva essere l’unica gatta e, se capitava di incrociare un altro gatto, si arrabbiava moltissimo, perché lei doveva essere la sola. Vichi era la regina della casa, insomma, e nessun altro/a doveva mettere in discussione questo primato. I ricordi per me più belli sono quelli in cui la gatta Vichi si acciambellava sulle mie gambe, coperta dal libro che leggevo; e lei sembrava gradire, oltre il mio calore, anche quella leggera pressione del libro su di lei. Dopo Vichi sono entrati nella mia casa, e di conseguenza nella mia vita, altri gatti: Cesare, Polly, Arturo, Nerone ...tutti animali che mi hanno insegnato che è possibile amare senza chiedere niente in cambio. Quando guardo i loro occhi ho la percezione che vedano oltre, come se dietro lo sguardo dei gatti ci sia un infinito; spesso li trovo che osservano apparentemente nel vuoto. Mi chiedo in quegli istanti che cosa stiano fissando. Sono felice di aver condiviso tanti momenti della mia giornata con animali che mi piace definire “magici”. Condivido volentieri anche un ricordo triste e toccante, che ha contribuito ancora una volta a farmi comprendere la grandezza e la meraviglia di questi piccoli animali. In un pomeriggio d’estate, dopo un paio di mesi di sofferenza, le condizioni di salute del gatto Nerone precipitarono in modo repentino, fino purtroppo a lasciarci. Sono stata con lui accarezzandolo e parlandogli fino alla fine, tra le lacrime e un’enorme tristezza. Accanto a Nerone e me, per tutto il tempo, c’era anche suo fratello Arturo, che pochi istanti prima che il suo compagno morisse, fece uno scatto repentino all’indietro, come se avesse visto la morte con gli occhi. Spesso ho ripensato a questo comportamento, che ha confermato in me la convinzione che i gatti vedano ben al di là di ciò che noi umani riusciamo a percepire. Il tempo trascorso con i gatti, in tutti questi anni, è stato un tempo di qualità perché trascorso con chi solo apparentemente è diverso da noi, ma nella realtà ci assomiglia più di quanto riusciamo ad immaginare.
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Scienza IL CAVALLO E L‘UOMO Una passione che può spiegare solo chi la prova. Proprio come l’autrice dell’articolo Di Johann Rossi Mason – giornalista medico scientifico
La relazione tra cavallo e uomo è antica probabilmente quanto l’umanità stessa, anche se all’inizio il nobile quadrupede fu un pasto ghiotto per le popolazioni nomadi delle steppe di Asia ed Europa. Solo con l’avvento della pastorizia e l’inizio della domesticazione animale gli “stolti bipedi” capirono che solo le gambe snelle del cavallo potevano colmare la sete di ignoto e di conquista.
La passione per il cavallo coinvolge l’8% della popolazione
Prima di addomesticare gli animali era necessario catturarli, costruire spazi adatti per rinchiuderli. Nel Paleolitico l’uomo non sapeva ancora fabbricare lacci o funi( il nodo appare oltre il Neolitico). E sin qui le difficoltà pratiche di contenimento di un animale selvaggio e della sua indole più pura. Esiste poi una differenza non banale tra addomesticamento come coercizione e la “domesticazione”, che è un processo psichico che include in qualche modo la volontà dell’animale a rinunciare a qualcosa della propria natura, per accedere alla relazione e al contatto con
l’umano. Il mutamento nel cervello dell’animale deve essere così consolidato e continuo da essere trasmesso anche alla sua discendenza. Dapprima impiegato come animale da tiro, è presto evidente che le sue più ampie potenzialità si possono sviluppare se montato. Imparate le tecniche di allevamento della doma l’uomo si elevò, letteralmente. A cavallo tutto diventava
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Scienza possibile in quella che si è rivelata un’alleanza durata millenni. Miracolo divenuto possibile grazie all’indole coraggiosa del cavallo e alla sua adattabilità ad ogni clima e terreno. Praticamente ogni epoca e ogni civiltà ha avuto una razza che l’ha contraddistinta: dall’asciutto degli Assiri, il perfetto e nevrile arabo, il barocco del 600, l’americano resistente, lo spagnolo votato alla guerra. Tanto bello e nobile da diventare anche oggetto di culto religioso per gli sciiti. L’animale deve capire quello che vogliamo da lui per poter rispondere adeguatamente. Ci chiede di guidarlo e trasferirgli una guida sicura. L’equitazione non è un’attività per incerti o indecisi. Viaggi, caccia, commercio, posta, guerra…Il cavallo era sempre presente, tanto che in Grecia comparvero i primi manuali per Cavalieri come il Peri Ippikes di Senofonte. E’ in ambito militare che si scrive gran parte della relazione tra cavallo e uomo, ma a metà del XVIII secolo le scuole di equitazione militari addestravano i cavalli ad eseguire piroette ed acrobazie che possiamo ancora vedere nella scuola spagnola di Vienna, che però si rivelano inadatte alle esigenze dei conflitti. Fu così che Federico il Grande crea una cavalleria capace di affrontare i terreni più impervi e caricare travolgendo, letteralmente, gli avversari. Si tratta di un nuovo modo di usare il cavallo in battaglia che rivela i limiti dell’assetto del cavaliere in sella e che Monsieur d’Auvergne, che guida la scuola militare di Parigi, si impegna a cambiare modificando la posizione del cavaliere in sella, rendendola più naturale e maneggevole per gli usi militari. La nascita di quella che chiamiamo “equitazione” è un’arte complessa che prevede l’adattamento reciproco a forze ed equilibri fisici prima, e psichici poi. E sottolineo equilibrio: una qualità mentale fondante per chi vuole andare a cavallo. Dobbiamo infatti pensare che un cavallo pesa mediamente 450 kg, rispetto ai 75 di un maschio adulto medio. Un concentrato di forza e potenza che l’uomo può gestire solo con l’intelligenza. Eppure vedo ancora cavalli montati come motociclette, senza che il cavaliere si sforzi di capire che tipo di ‘individuo’ ha sotto di sé. Se la Rivoluzione Francese fa tabula rasa delle scuole di equitazione sacrificando anche il maneggio di Versailles, Napoleone ne intuisce il valore e dal 1806 ne istituisce ben undici, tra cui quelli di Rennes e Saint Germain. E’ in questo periodo che emerge la figura del conte d’Aure che viene nominato scudiero capo nella prestigiosa scuola di Saumur (che, per inciso, darà il nome ad una borsa di Louis Vuitton a forma di sella). D’Aure ha l’intuizione di una equitazione che segua la morfologia del cavallo specialmente nel salto e grazie ad un intenso lavoro in campagna destinato a diventare perfezione sotto l’impulso di un italiano. C’è da dire che in Italia nel 17° e nel 18° secolo non si erano sviluppate scuole di equitazione. Fu Carlo Felice nel 1824 a fondare a Pinerolo una scuola di equitazione militare che fu affidata al Tenente del Genio Cesare Paderni, che fece bene ma fu poi esonerato per motivi di ostilità da parte degli ufficiali di grado superiore al suo. E’ il 1886 quando alla scuola militare di Modena si presenta un aspirante di cavalleria. Il giovane livornese
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Scienza Federico Caprilli viene dichiarato non idoneo dalla commissione medica a causa di un rapporto sfavorevole tra la lunghezza di tronco e gambe. Ma quando un destino è scritto non c’è nulla da fare: si materializza un posto vacante per cui viene ammesso. Una “coincidenza” destinata a cambiare la storia dell’equitazione. Si distingue immediatamente per coraggio e passione e le sue gesta sportive diventano note in tutto il paese. E’ la fiducia del colonnello Berta a permettergli di gettare le basi di un nuovo modo di montare a cavallo, tecnica che mise a punto osservando per ore i movimenti da terra alle varie andature. Se sino a quel momento si saltava portando il peso sulle reni per liberare gli anteriori, Caprilli capovolse il paradigma e portò il peso in avanti assecondando il salto e risparmiando sofferenze all’animale. Il metodo che lo rese famoso nel mondo mirava ad adattare il cavaliere al cavallo e non viceversa (anche se i francesi mostrarono una diffidenza per il metodo, salvo poi doversi arrendere alla sua superiorità). E’ sulle basi gettate dal geniale italiano (morto tra l’altro in sella per un aneurisma a 39 anni) che si evolve l’equitazione sportiva che vede l’Italia brillare grazie al talento di nomi che sono entrati nel mito: Piero e Raimondo D’Inzeo, medaglie d’oro nel salto ad ostacoli alle Olimpiadi del 1960 prima, e Graziano Mancinelli poi. Con l’avvento della ferrovia, del motore a scoppio e delle armi pesanti, il cavallo perde molti dei suoi ruoli tradizionali, ma il legame con l’uomo (e la donna) è ormai indissolubile e rimane saldo nella pratica medica ed agonistica. La passione per il cavallo coinvolge 3,2 milioni di praticanti (pari all’8% della popolazione). Quello di chi scrive più che un amore è un ‘imprinting’ , pari a quello che lega i piccoli anatroccoli al primo oggetto animato dopo la schiusa. (Lorenz insegna). * Si ringrazia Romina del Re della Galleria d’Arte Perera per aver fornito il volume “Il cavallo e l’uomo” di Luigi Gianoli (Longanesi, 1967)
La Regina Elisabetta con il presidente Ronald Reagan
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Scienza
L’equitazione, se si gode di buona salute e soprattutto non si soffre di mal di schiena, si può praticare dall’infanzia fino all’età matura … e ora parliamo di me “L’aria del paradiso è quella che soffia tra le orecchie di un cavallo” (antico proverbio arabo) La mia storia personale con il cavallo inizia a 4 anni. Ero con mia madre a Villa Borghese a Roma e stavamo riposando su un plaid dopo aver fatto un picnic e giocato a palla, rincorrerci e fare le capriole sull’erba, attività che non disdegno nemmeno ora che ho spento 50 candeline.. Probabilmente lei era sfinita mentre io mi nutrivo di tutto quel verde che da sempre è per me fonte di piacere e di energia. Accadde però qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita per sempre: passarono a pochi metri da noi due carabinieri a cavallo. Dalla posizione in basso in cui ero e data la statura di una 4enne i due animali devono essermi sembrati ancora più alti e maestosi. I militari indossavano la divisa da equitazione e un mantello nero, aperto su una spalla, che
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Scienza accarezzava il dorso del cavallo. Inutile dire che nel cuore di quella bimba si accese una attrazione destinata a diventare un amore indelebile. A casa non smettevo più di raccontare a mia nonna quello che avevo visto con gli occhi ancora pieni di stupore per la grandezza e la bellezza perfetta di quella immagine. Il dado era tratto. Un solo attimo e il mio destino era segnato per sempre nel solco degli zoccoli e dei manti di ogni foggia e colore. Dovetti aspettare a lungo per poter coronare il sogno di montare su un cavallo vero, sette anno per la precisione. Ciò che potevo fare, e che era oggetto di contrattazioni degne di un capo di stato, era di chiedere di guidare il calesse che noleggiavano nella stessa Villa Borghese. Trainati da volenterosi pony che già a 8 anni lanciavo a tutta velocità nei viali del parco che ospitava la celeberrima Piazza di Siena. Il tutto con mia madre che si stupiva di come un soldo di cacio dai lunghi capelli biondo cenere avesse tanta determinazione. Quello che non ricordava è che la passione per i cavalli attraversava come una sottile linea rossa la nostra famiglia e che, andando indietro nel tempo, le mie cugine più grandi parlavano con un senso di deferenza e ammirazione della zia Anna, elegante ed austera amazzone della quale si ricorda la passione per i cavalli come tratto distintivo. Devo ringraziare mia madre che pur non avendo in quel periodo grandi risorse economiche capì che i cavalli erano la mia unica ragione di vita e fece immani sacrifici ma mi iscrisse al prestigioso circolo ippico della cittadina dove eravamo andate ad abitare. Vivevo e respiravo solo per montare, trottare, saltare. Tutto quello che facevo era solo un intermezzo tra un’ora di equitazione e l’altra dove mi perdevo a strigliare il cavallo di turno, passavo in rassegna ogni ospite delle scuderie, munita di mele e carote, giocando con ciascuno di cui conoscevo nome, pregi, vizi e caratteristiche. Una passione che non mi ha mai abbandonato e che non si è tradotta in una carriera sportiva ma in un luogo mentale di pace. Quando sono agitata o turbata l’unica cosa che riesce davvero a calmarmi è chiudere gli occhi e pensare alla vestizione del cavallo: la testiera infilata con garbo e rispetto, le redini appoggiate sul dorso, il sottosella aggiustato con precisione, la sella posta con delicatezza mentre sai che dovrai stringere di più il sottopancia in campo. E mentre vesti il cavallo per il lavoro senti che lui è felice di uscire e di spezzare la noia della scuderia e di ritrovare gli odori della terra e del prato, del trifoglio appena spuntato, profumatissimo e goloso. Dopo anni di maneggio oggi la mia dimensione è quella più intima delle passeggiate in libertà: mare e campagna, montagna, in relax a guardare insieme il panorama da una prospettiva diversa, con carezze e parole sussurrate perché ai cavalli si sussurra, mai si grida. Per me montare a cavallo è salire di un livello nel rapporto con la natura, entrare in uno stato di concentrazione assoluta, quello che i neuroscienziati chiamano ‘flusso’, è diventare una cosa sola con l’animale e averne il controllo e la collaborazione senza coercizioni. Se pensate che il mio giorno più bello sia quello di una gara o di un concorso siete sulla strada sbagliata: niente carriera agonistica per me, ma un episodio è marchiato nel mio cuore. Nel 1998 andammo a Cortina con quello che stava per diventare mio marito. C’era tantissima neve e trovammo un circolo ippico aperto. Ho sempre pantaloni e stivali con me quando viaggio. Un istruttore mi portò a cavallo nei boschi, nel silenzio
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Scienza in cui si udiva solo il crepitio di qualche ramo spezzato, e il suono ovattato nei passi dei nostri cavalli che affondavano nella neve. Un’ esperienza unica perché solo pochi giorni dopo scoprii di essere in attesa di mia figlia che, nella mia immaginazione, è stata influenzata magicamente da questa esperienza. La mia con i cavalli è la storia di un amore inossidabile e di una attrazione con la consapevolezza di poter alimentare la mia sete di vento e criniera per molti anni ancora. Se la schiena lo permette è uno sport che è possibile praticare sino a tarda età così come testimoniano anche la Regina Elisabetta II e Camilla Parker, quest’ultima ancora cavallerizza attiva. Il mio istruttore storico, il Capitano Tacchella, ha montato sino ad oltre 80 anni (e vissuto sino a 100), e mi auguro di poter fare lo stesso anche se avrò bisogno di una scaletta per salire e scendere in sicurezza, nonostante abbia sempre trovato il metodo di “dare la gamba” molto più elegante.
Johann Rossi Mason, giornalista medico scientifico e autrice dell’articolo, ama i cavalli da quando era una bimba di soli 4 anni. Una passione che l’aiuta a raggiungere la concentrazione assoluta: il cosiddetto “flusso”, come lo chiamano i neuroscienziati
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Da leggere (o rileggere) ANIMALI IN LETTERATURA Cani, gatti e anche cavalli raccontati attraverso i secoli, in tutto il mondo Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
La copertina di un libro immortale Zanna Bianca
Gli animali domestici ci accompagnano da migliaia di anni: logico che si siano conquistati un posto nella letteratura: si tratta soprattutto di cani, a cominciare da Argo, l’anziano cane di Ulisse che riconosce il padrone arrivato a Itaca sotto mentite spoglie per compiere la sua vendetta e subito dopo muore, stremato dagli anni e forse dall’emozione senza che Ulisse, costretto a mantenere l’incognito, possa fargli un’ultima carezza. Una scena dolorosa e così vicina alla nostra sensibilità che è difficile immaginarla lontana nei secoli. Poi, certo, gli animali sono simboli potenti che aiutano a raccontare qualità e difetti degli umani, dalle favole di Fedro ed Esopo ai bizzarri animali che popolano Alice nel paese delle meraviglie, alla Fattoria degli animali di George Orwell, allegoria della rivoluzione sovietica dove i cani incarnano le forze della repressione. Senza dimenticare Il gatto nero, un racconto di Edgar Allan Poe in cui i felini personificano la cattiva coscienza del protagonista o il celeberrimo Moby Dick, dove la lotta tra il capitano Achab e la balena bianca -in realtà un capodoglio - simboleggia il conflitto tra il bene e il male.
Ma proprio la grande letteratura americana è stata capace di dare spazio ad animali veri: tra i personaggi a quattro zampe spiccano Zanna Bianca e Buck, il protagonista del richiamo della foresta. Un lupo che è anche un po’ cane, e un cane irresistibilmente attratto dalla natura selvaggia, raccontati - pur nello scenario crudele della corsa all’oro tra lo Yukon e il Klondike- con un amore e una sensibilità che li rendono indimenticabili. Come indimenticabile, in modo del tutto diverso, è Bauschan, il protagonista del racconto di Thomas Mann Cane e Padrone. Siamo lontani dagli scenari eroici raccontati da London. Bauschan è un cane da caccia, un piccolo meticcio appartenuto nella realtà al grande scrittore tedesco che ne racconta l’evoluzione da goffo cucciolo a fedele accompagnatore del padrone in lunghe passeggiate sulle rive dell’Isar. Ma soprattutto Baushan è, come spesso sono i cani nella realtà, un esempio di gioia di vivere che ispira
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Da leggere (o rileggere) all’autore sagge riflessioni sul valore dei semplici piaceri della vita, tanto che l’etologo Konrad Lorenz, nel suo saggio E l’uomo incontrò il cane, definì il racconto come “la più bella descrizione dell’animo canino”. Per trovare personaggi felini altrettanto accattivanti bisogna andare in Francia dove Colette, lei stessa grande amante dei gatti, ne ha descritte le caratteristiche nella quadrilogia di Claudine ma soprattutto nei suoi Dialoghi di bestie e nel racconto La gatta, dove una micia di razza certosina diventa la vera rivale in amore della protagonista umana. Oppure in Inghilterra, anche se Il libro dei gatti tuttofare di T.S.Eliot è più noto per avere ispirato il musical Cats che per le sue acute descrizioni in versi della psicologia felina. Ma uscire dalla letteratura per spaziare tra musica cinema e televisione ci porterebbe troppo lontano. Anche se non si può non ricordare come gli animali, domestici e non, abbiano sempre occupato un posto speciale nella letteratura per l’infanzia, da Bambi vita di un capriolo di Felix Salten - da cui è stato tratto il celebre film della Disney - alla favola triste de Il cucciolo di Marjorie Rawlings, anch’ essa tradotta in film, fino al successo di Lassie, che prima di diventare protagonista di un successo cinematografico e di una serie infinita di telefilm - ma questa è un’altra storia - è stata raccontata da Eric Knight in un fortunato romanzo del 1938.
Colette tra i suoi amati gatti
Una citazione a parte merita Black Beauty Autobiografia di un cavallo, il romanzo di Anna Sewell che nell’800 inaugurò il filone delle storie dedicate ai cavalli e alle loro padroncine, e che ha il pregio di dare voce al protagonista equino e ai suoi sentimenti, e di attirare l’attenzione sul (mal)trattamento degli animali con una sensibilità che ne ha fatto uno dei libri più letti e amati di tutti i tempi. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma vale la pena di ricordare che in tempi non remoti un cane è stato addirittura venerato come santo. Si tratta di (Saint) Guinefort, un levriero vissuto in Francia nel tredicesimo secolo: la leggenda narra che il padrone dopo aver ucciso il cane, sospettandolo ingiustamente di aver aggredito il suo bambino, ne celebrò l’innocenza facendogli costruire un monumento funebre sul quale si verificarono alcuni miracoli, tanto che l’animale fu venerato e identificato con un santo umano, diventando oggetto di una devozione che è proseguita fino agli anni ’30 del secolo scorso.
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Celebre scultura di Thomas Mann con Bauschan (in Baviera)
Bellezza ALLERGIA AGLI ACARI DELLA POLVERE: COME TRATTARLA? Impercettibili all’occhio umano, questi microscopici insetti possono provocare fastidi e complicazioni non indifferenti Professor Antonino Di Pietro – dermatologo plastico http://www.dermoclinico.com
Un acaro visto al microscopio L’allergia alla polvere, una delle più diffuse e comuni, può essere scatenata dagli “acari della polvere”, piccoli insetti impercettibili all’occhio umano- per la precisione, si tratta di microscopici artropodi, appartenenti a diverse specie- che si nascondono in diversi ambienti. Per imparare a riconoscere le punture di acari o una potenziale allergia bisogna fare attenzione a vari fattori. Per cominciare, dove si annidano gli acari? Possono proliferare in ambienti domestici caldo-umidi, così come in materassi, cuscini, tappezzeria, rifiuti organici, asciugamani non correttamente puliti o sanificati. Si sviluppano negli ambienti di casa perché si nutrono di cellule morte e forfora; tuttavia, in alcuni casi, per cibarsi possono
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Bellezza mordere direttamente anche gli esseri umani. Le loro punture si manifestano con dei piccoli pomfi arrossati e pruriginosi, molti vicini tra loro, che in caso di allergia causano anche rash cutaneo. Un ambiente infestato di acari può portare, inoltre, ad altri sintomi come occhi arrossati, congestione nasale con starnuti frequenti e anche asma. Ci sono particolari consigli da seguire per le persone allergiche? Purtroppo l’eliminazione totale degli acari è impossibile, proprio perché le dimensioni di questo insetto sono minuscole e impercettibili. Possiamo però rendere il nostro ambiente domestico meno accogliente per questi esseri. In particolare, è bene utilizzare l’aspirapolvere per le pulizie di casa, al posto della scopa tradizionale. Grazie alla tecnologia delle nuove scope elettriche, infatti, è possibile risucchiare più efficacemente anche dai tappeti un’alta percentuale di esemplari di acari. Sempre consigliato arieggiare quotidianamente gli ambienti e, quando possibile, anche materassi, cuscini e biancheria. Opportuno, infine, lavare tappezzeria e biancheria da letto minimo a 60 gradi per poter uccidere tutti gli acari presenti. Per eliminare gli acari del letto esistono particolari materassi in puliuretano o gommapiuma che sono più efficaci nella lotta anti-acaro, così come coprimaterassi e federe composti da un trama di tessuti più fitta, in grado di prevenire la proliferazione di acari e il loro annidamento . Attenzione anche in caso di animali domestici, soprattutto all’acaro del gatto che si nasconde nelle orecchie di questo felino, che diventa un ambiente favorevole alla sua proliferazione, causando all’animale un’infiammazione e un fastidio costante, più il successivo contagio di alcuni ambienti della casa . Nel caso in cui sulla pelle comincino a comparire delle punture di acari è opportuno recarsi subito dal dermatologo per verificare che la diagnosi sia corretta e che non si tratti di una comune puntura di insetto. La terapia solitamente è breve ed è consigliata con alcune pomate a base di permetrina o ivermectina o zolfo. Nel caso in cui il paziente dovesse essere allergico, allora è opportuno ricorrere ad una cura con antistaminici per prevenire rash cutanei e, nei casi più gravi, uno shock anafilattico. Tuttavia, con una diagnosi e un intervento tempestivo il problema è facilmente risolvibile.
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