Maggio 2021
Olimpiadi 1960. Podio fioretto femminile.
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 3, n.5 -2-
Le rubriche
EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il personaggio Il tempo della Grande Mela Incipit Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Nostalgie Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni
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Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo
I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta
DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60
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Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE
Foto Chiara Svilpo
Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
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Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI
SESSUOLOGO E PSICHIATRA è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA
ANDROLOGO E CHIRURGO è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO
DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
ANDREA TOMASINI
GIORNALISTA SCIENTIFICO giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
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Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE
GIORNALISTA SCIENTIFICA classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
GIOVANNI PAOLO MAGISTRI
BIOLOGO Classe 1951, biologo specializzato in patologia generale, si occupa di progettazione di sistemi per la gestione della sicurezza e dell’igiene delle produzioni alimentari. Socio Onorario dell’Associazione PianoLink vive sognando di diventare, un giorno, un bravo pianista.
FLAVIA CAROPPO
GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI
GIORNALISTA Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
MONICA SANSONE
VIDEOMAKER operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
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Sommario -10Generazione F Lo sport ed io: un rapporto confuso e irrisolto Editoriale di Minnie Luongo -16Foto d’autore Quando lo sport fa parte della quotidianità di Francesco Bellesia -18Incipit Sulla luna grazie a Filippide di Giovanni Paolo Magistri -20In primopiano Paralimpiadi, i giochi capaci di cambiare il mondo Di Claudio Arrigoni -20Incursioni Ai ferri corti di Marco Vittorio Ranzoni
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Sommario -27Stile Over Sport? No grazie, a meno che non sia Tai chi chuan di Paola Emilia Cicerone -31In forma Per tenersi in forma occorre essere seguiti da un coach competente dalla Redazione -36Da tener d’occhio G.B. Magistri, pittore e grafico milanese dalla Redazione -37Di tutto e niente Lo “psicolabile” . Un racconto ad hoc per allenare i neuroni di Andrea Tomasini
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Generazione F LO SPORT ED IO: UN RAPPORTO CONFUSO E IRRISOLTO EDITORIALE Diciamocela tutta: pensando allo sport quale comune denominatore di questo numero, ero pressoché certa di agevolare gli amici e le amiche che collaborano al magazine. Manco per niente! A sorpresa, anche chi so per certo svolgere o aver svolto qualche tipo di sport (pure a livello agonistico) ha storto il naso, né ha voluto parlare del tifoso da divano. A questo punto mi è sembrato doveroso affrontare qui nell’Editoriale il mio rapporto con l’attività fisica. Ciò che risulta evidente è la mancanza assoluta di applicazione e costanza, insomma delle basi indispensabili per una persona sportiva. Ma cominciamo dall’inizio. Escludendo subito lo sci e tutto quanto ha a che fare con la montagna, parto col dire che amo smodatamente l’acqua e la spiaggia e il sole e l’azzurro- mare in primis- ma che non ho mai seguito un corso di nuoto (le piscine coperte mi intristiscono e respingono). E qui apriamo una parentesi dolorosa ma necessaria: mio padre, appassionato sportivo, soprattutto di tennis (praticato poi per tutta la vita), a 50 anni aveva perfino inforcato per la prima volta gli sci, facendo morire di invidia la (seconda) moglie che, sulla neve da sempre e iscritta a lezioni di sci fin da bambina, non si capacitava della disinvoltura con cui il marito affrontava le discese anche più ardue. La cosa curiosa è che il mio papà ogni tanto si lascava sfuggire frasi del tipo “Quanto avrei voluto avere una figlia sportiva!”. Ora, non mi vuoi pagare corsi di nuoto o altro, allora insegnami tu e dedicami parte del tuo tanto tempo libero a stare a galla, anche considerato che sei un gran nuotatore... Macché, neppure questo fece mai, e la foto che qui sotto ci ritrae, assieme a mia cugina (la biondina col salvagente e l’acqua salata negli occhi), è un’immagine scattata per caso. Per fortuna zio Felice, il papà della cugina biondina, e instancabile subacqueo, insegnò a entrambe a nuotare; come i pescatori di Camogli facevano con i propri figli, ci spiegò, usò un modo a prima vista traumatizzante ma in realtà estremamente efficace. Dopo averci tenuto una mano sotto il mento per qualche minuto mentre “nuotavamo” a riva e averci convinto che l’acqua ci sosteneva da sola indipendentemente dal suo appoggio, ci portò al largo con una barca, ci legò in vita una corda e ci buttò nel blu.
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Generazione F Certo, o ti traumatizzi a vita e non vuoi più vedere neppure una vasca da bagno, oppure- e fu la nostra esperienza- dopo aver ingurgitato qualche abbondante sorso d’acqua, ci accorgemmo di stare a galla. Era fatta! Ancora oggi mi capita, entrando in acqua, di rivolgere mentalmente un grazie immenso allo zio Felix (purtroppo mancato due anni fa) non solo per questo, ma soprattutto per avermi fatto da papà adottivo, nonostante il mio fosse vivo e vegeto, ma concentrato sulla sua vita, la quale non mi comprendeva. Grazie allo ziastro (così lo chiamavo) imparai a remare, andare in bicicletta, sui pattini, a camminare per chilometri e chilometri ammirando la natura… Non imparai bene nulla di tutto ciò, al contrario di sua figlia che aveva ereditato il Dna sportivo familiare, però mi cimentai in ogni cosa che mi veniva proposta, forse perché incoraggiata e stimolata sempre da una persona paziente che mi amava. Fortunatamente poi, per tutti i pomeriggi delle scuole elementari- dalle 16 alle 19- a me e ai bambini del mio condominio era permesso scendere a giocare in cortile (non usava andare ai giardini o al parco, forse perché in questo modo genitori e nonni potevano controllarci comodamente dalle finestre senza uscire di casa) e lì per tre ore al giorno mi scatenavo in giochi che forse i bambini di oggi non conoscono più: Bandiera, I quattro cantoni, Nascondino. Senza tralasciare palla a volo o rincorrersi per il gusto di correre. Crescendo, alle medie dopo essermi imbucata con un’amica ad un corso di “ginnastica sportiva”, riuscii a seguire una sola lezione prima che scoprisssero che non aevo nessuna scoliosi, requisito necessario per quel corso gratuito, e fui sbattuta fuori. Mio padre non capì (non volle capire) il mio desiderio di sport e finì lì. A scuola, nell’ora di educazione fisica ero comunque bravissima a scalare il “quadro svedese”, tanto che ancora adesso sono sicura di sapere come salire e scendere. Già, perché è una questione di regole e di tecnica: imparato come intrecciare i polsi e il resto, è davvero una goduria. Credo che ora non sia più permesso per ragioni di sicurezza (inoltre, ai nostri tempi, era anche raro predisporre un materasso in caso malaugurato di cadute)… Oltre al quadro ero talentuosa nell’asse di equilibrio e nella “scala”, anche se, per via della mia statura, ero costretta a salire sul predellino prima di agganciarmi al primo piolo.
Un quadro svedese
Con queste premesse viene spontaneo pensare che non vedessi l’ora di raggiungere l’età in cui, autosufficiente economicamente, mi sarei potuta dedicare a qualsiasi sport desiderassi. Invece, avvenne una cosa strana. Per anni mi iscrissi a non so più quante palestre ma, dopo una ventina di giorni, e pur avendo pagato la quota per non meno di tre mesi, inspiegabilmente lasciavo per-
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Generazione F dere. Eppure mi piaceva qualsiasi tipo di ginnastica, mi esercitavo con gli attrezzi, amavo yoga e pilates… Ma non più di un mese al massimo. Diedi la colpa alla pigrizia di portarmi dietro il borsone e, soprattutto, al fastidio di vestirmi e rivestirmi in continuazione.
Io in riva al mare: risveglio muscolare Ecco perché l’unica attività fisica che riesco a seguire (anche se non sempre, va’ a capire il motivo) è il risveglio muscolare che d’estate le generose spiagge romagnole offrono ai clienti e a chiunque passi in riva al mare. Solo col costume da bagno, senza vestiti da cambiare, mi ci dedico piacevolmente anche perché, appena finita l’oretta di esercizi, guadagno il mare che è a pochi passi e mi godo il primo bagno della giornata.
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Generazione F
Fra Alberto e Michela, i miei istruttori di Nordic Walking Nell’età adulta il mio rapporto con lo sport è aumentato in discontinuità: mi iscrivo e porto a termine una marcia non competitiva ogni tanto ma poi tutto termina lì. Ad un certo punto ho pensato che l’attività fisica ideale per me fosse il Nordic Walking: nella natura, direttamente in tuta e con le scarpe da ginnastica ai piedi, a camminare per un’ora e mezza, non prima di aver seguito qualche lezione. Ho comprato i bastoncini, i guanti (quasi introvabili della mia taglia), ho trovato due istruttori meravigliosi, poi è successo quel che succede sempre: ho cercato con me stessa qualsiasi alibi per non andare più. Dopo oltre un anno di inattività, mi sono fatta forza e sono ricomparsa (qui sotto la foto che testimonia l’evento), per poi sparire di nuovo. I bastoncini fanno ormai parte dell’arredamento di casa, ma contino a dirmi che un giorno mi serviranno nel parco vicino a casa. Già, perché ho anche la fortuna di avere dei meravigliosi giardini a pochi metri, dove poter andare regolarmente con bastoncini più Holly, la mia cagnolina adorata.
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Generazione F
Che altro? In vacanza sul Mar Rosso mi sono data allo snorkeling, meraviglioso modo per ammirare i fondali marini ma soprattutto pesci dalle forme e dai colori più diversi. E, con pinne boccaglio e maschera, durante quelle lunghe nuotate mi sono sentita in estasi. Letteralmente. Ora, a che punto sono? Al punto che mi piacerebbe - Over più che mai- risolvere il mio rapporto con lo sport, magari con l’aiuto di Paolo Barbera, il direttore tecnico della palestra milanese che compare con me in copertina. Confesso: da anni mi sono sbarazzata anche della cyclette che tenevo in casa ad accumulare polvere (al pari dei bastoncini del Nordic, ma occupando molto più spazio…) In questo numero Venendo alle pagine che seguono, troverete articoli interessanti, sullo sport dal nostro punto di vista. Dando per scontate le Olimpiadi, abbiamo puntato sull’approfondimento dei Giochi paralimpici: caldamente consigliata la lettura dell’articolo dell’amico e collega Claudio Arrigoni, il più accreditato giornalista italiano sull’argomento. Però … se delle Olimpiadi vogliamo ricordare qualcosa, è fori di dubbio che nessuno di noi dimenticherà l’immagine di Muhammad Ali (alias Cassius Clay) quando nel 1996 ad Atlanta, in Georgia, comparve in mezzo allo stadio olimpico come ultimo tedoforo durante la cerimonia d’inaugurazione. Reggeva la fiaccola con la mano destra, mentre sulla sinistra erano più che evidenti i sintomi del Parkinson. Tuttavia, anche così era sempre lui, il campione che aveva pronunciato la famosa frase; “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”. Perché lo sport è sì talento, allenamento, determinazione, ma anche coraggio. Di mostrarsi fragili e vulnerabili. Ma comunque fieri. Proprio come lui, il pugile più grande. “The Greatest”.
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Generazione F
Muhammad Ali, ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta (1996)
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Foto d’autore Quando lo sport fa parte della quotidianità
B/N People Collection – Paese della campagna francese. di Francesco Bellesia https://francescobellesia.it/
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Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
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Incipit SULLA LUNA GRAZIE A FILIPPIDE Come nasce e si evolve il concetto di sport Di Giovanni Paolo Magistri - biologo
Filippide. Statua ad Atene
Il Consiglio d’Europa nel 1992 ha definito lo sport come “Qualsiasi forma di attività fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli”. Fin dalla Preistoria essere atletici equivaleva avere maggiori probabilità di sopravvivenza; le danze tribali, oltre ad assumere significato propiziatorio, sembrerebbero nate per mantenere il fisico in efficienza e in equilibrio anche con necessità improvvise di belligeranza.
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Incipit
Quando l’emerodromo Filippide, dopo un’estenuante corsa, annunciò ad Atene la vittoria sui Persiani nel 490 a.C., certo non si rese conto di aver contribuito a far assumere all’esercizio fisico il significato di sport come fenomeno ad ampia diffusione, influenzando significativamente le moderne Olimpiadi. È assodato che condurre una vita sedentaria non giovi né al fisico né alla mente, ma è altrettanto vero, come asseriva Rodolfo Margaria (1901-1983), insigne luminare di fisiologia umana, che l’esercizio fisico agonistico non procuri benefici; rincorrere un record sembrerebbe giovare più alla sfera psichica individuale, e forsanche per solidarietà, a quella collettiva, che ai complessi meccanismi biochimici della contrazione muscolare. Durante una partita di calcio assistiamo spesso ad infortuni sul campo, alcuni di notevole entità, ma la vittoria finale di uno dei due contendenti rende vincitori tutti i fans, riempiendo i giornali per giorni di notizie al riguardo, e incrementando la vendita di magliette con il numero del giocatore più meritevole. Oggi, il termine “sport” racchiude svariate accezioni, legate a inclinazioni e necessità differenti e del tutto soggettive; è così che per le strade delle metropoli notiamo individui che non avrebbero un solo grammo in eccesso da smaltire, anziani in piena efficienza fisica, di rado soggetti che abbisognano di movimento; tralasciando di citare, per tutti i ceti, le molteplici altre motivazioni di importanza socio-culturale. Insomma, un fenomeno di massa che influenza sia la sfera economica sia quella educativa; un potente strumento di crescita ed emancipazione personale?! Ultimamente si sente utilizzare spesso il termine resilienza ovvero la capacità di un individuo di affrontare e superare un periodo di difficoltà; se da una parte l’uomo preistorico incontrava realmente difficoltà che mettevano a dura prova la sua resilienza, l’uomo moderno, non incontrando i medesimi ostacoli, sente la necessità di crearseli artificialmente attraverso le competizioni sportive. Curioso ed interessante è rilevare come le più importanti conquiste dell’uomo- da quella dello spazio alla scalata dell’Everest, dal primo trapianto di cuore a quello artificiale, dalla prima attraversata atlantica in aereo al Concorde- siano state precedute da eventi sinergici che avevano in comune il superamento di un limite. E allora: grazie Filippide!
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Primopiano PARALIMPIADI, I GIOCHI CAPACI DI CAMBIARE IL MONDO Lo sport paralimpico? Un pugno in faccia ai luoghi comuni Di Claudio Arrigoni – giornalista sportivo
Due grandi atleti paralimpici, Alex Zanardi e Bebe Vio, con il giornalista Claudio Arrigini L’ultima volta è stata a Rio de Janeiro. Lì si sono vissuti giorni belli e straordinari. Sono stati quelli estivi della Olimpiade prima, e della Paralimpiade poi. Questa volta a Tokyo (fra pochi mesi, ndr) saranno diversi, ma sempre bellissimi e certamente significativi per quello che sta vivendo il mondo e per il segnale di ripartenza che lo sport può dare . Specialmente quello paralimpico, simbolo di resilienza. Sempre. I Giochi paralimpici fanno cambiare il mondo: la disabilità perde quel “dis” e sa mostrare le abilità. In quei giorni di settembre oramai quasi di cinque anni fa nella “Citade Meravillhosa” c’erano oltre 4300 atleti con ogni tipo di disabilità da tutto il mondo per gareggiare negli stessi impianti dell’Olimpiade che li aveva preceduti ad animare un Villaggio che mostrava, una volta di più, che basterebbe davvero solo la volontà per
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Primopiano rendere accessibili a tutti i luoghi dove vivere. Fu anche una Paralimpiade bellissima per l’Italia. Mai così tante medaglie erano state vinte dagli Azzurri (erano oltre 100 ai Giochi: 106 comprese le guide degli atleti ciechi e ipovedenti) in questo secolo: 39 podi, che hanno portato l’Italia fra le prime dieci nazioni del medagliere. Perché comunque anche i numeri e i successi sono importanti, perché attraverso quelli si ispirano altre persone ad avvicinarsi allo sport paralimpico. I campioni aiutano nella promozione. Accade sempre nello sport, ma in particolare in quello paralimpico. C’è un’idea semplice dietro alla Paralimpiade: giocare. E poi anche divertirsi e gareggiare. Cose che fanno i bambini. Ecco perché per guardare e capire i Giochi paralimpici occorre quello: tornare bambini e quindi sapersi stupire. Sembra tutto scontato nello sport di oggi. In quello paralimpico di scontato c’è poco o nulla. Le luci del grande sport non si spengono dopo i Giochi Olimpici, ci sono atleti altrettanto e forse ancora più grandi: chi con una disabilità fisica (come amputati, para e tetraplegici, cerebrolesi), chi sensoriale (in particolare ipo e non vedenti), ma anche con disabilità intellettiva e/o relazionale. I Giochi Paralimpici e lo sport paralimpico tutto sanno regalare sempre emozioni straordinarie. Il regno dello stupore che si fa emozione. Con campioni immensi. A rappresentarli tutti, in Italia e non solo, c’è Alex Zanardi, che farà il tifo da lontano e rimane il paralimpico azzurro più grande e importante di sempre.
Una guida indispensabile per entrare nel mondo delle Paralimpiadi si deve a Claudio Arrigoni: Paralimpici (prima edizione2006)
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Primopiano Ludwig Guttmann, il medico che da Stoke Mandeville, in Inghilterra, ha per primo pensato, dopo la seconda guerra mondiale, allo sport praticato da chi vive in una condizione di disabilità, voleva che i suoi ragazzi e le sue ragazze in carrozzina giocassero. Che i noiosi esercizi di fisioterapia diventassero divertenti. Che la riabilitazione si trasformasse in una forma di sport. Lo spiegò benissimo. Tanto che quella sua intuizione ha permeato il mondo. La Paralimpiade è il secondo evento sportivo dopo l’Olimpiade per numero di Nazioni e atleti.
A gennaio di quest’anno è uscita l’ultima opera di Arrigoni, dove il giornalista racconta la vita dell’uomo e dell’atleta Zanardi, suo amico da molti anni
Quella che viene considerata la prima Paralimpiade si svolse proprio in Italia, a Roma nel 1960, grazie all’impegno e alle capacità di un altro grande medico, il professor Antonio Maglio, del Centro Inail di Ostia. Un altro grande uomo che ha saputo cambiare il mondo come Guttmann. Lo sport paralimpico è un pugno in faccia ai luoghi comuni. Lì la debolezza si trasforma in forza. Chi lo vede non si accorge più della disabilità. Semplicemente, si appassiona allo sport. Quello che alla fine volevano Guttmann e Maglio. Quello che vogliono gli atleti paralimpici. Non straordinari più di quelli olimpici. Semplicemente: atleti.
Guardare la Paralimpiade vuol dire accorgersi di un mondo che non si immaginava. E fa cambiare “la percezione del mondo”, come disse straordinariamente bene il grande astrofisico Stephen Hawking, immobile sulla sua sedia a ruote e muovendo solo una palpebra, alla cerimonia di apertura di Londra 2012. E’ stato così anche a Rio, in quelli che sono stati definiti i Giochi del cuore; sarà così anche a Tokyo, per quelli che saranno i Giochi del mondo che riparte, per tutti e con tutti, senza discriminazioni .
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Primopiano
Claudio Arrigoni, milanese, è il giornalista italiano più accreditato sullo sport paralimpico. Oltre allo sport, segue le tematiche legate alla disabilità per tv, giornali e web: non a caso, è una delle firme del blog “InVisibili” del Corriere della Sera. Commentatore Rai per i Giochi Paralimpici, ne scrive per La Gazzetta dello Sport, il Corriere della Sera e SportWeek. È stato Direttore Sport di Tele+/Sky e consulente per la comunicazione di Com.Par.To, Comitato organizzatore dei Giochi Paralimpici invernali a Torino. Ha vinto il premio Coni/Ussi 2002, con particolare riferimento all’impegno per la diffusione dello sport paralimpico. L’ultima sua opera, uscita nel gennaio di quest’anno, ripercorre con precisione e sensibilità la vita di Alex Zanardi, amico di Claudio da vent’anni.
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Incursioni AI FERRI CORTI Il coltello: da progenitore dei pugnali da combattimento fino al suo uso nell’arte marziale di una specifica scherma Di Marco Vittorio Ranzoni - giornalista
Collection from Knife Amnesty Mi hanno sempre affascinato, i coltelli. Un po’ tutti, da quelli di uso quotidiano in cucina e a tavola a quelli svizzeri con mille lame e accessori, dai coltelli da contadino a quelli da scout, fino ai pugnali da combattimento. Sono spesso capolavori di artigianato e poi profumano di Storia. Sarà che -se ci pensiamo- non esiste altro oggetto costruito dall’uomo col quale tutti veniamo a contatto quotidianamente in tutto il mondo. Se c’è un manufatto che idealmente raccordi la quotidianità del primo uomo con quella del suo progenitore peloso è proprio il coltello.
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Incursioni Abbiamo usato i denti e le unghie per millenni finché, magari per caso, un pezzo di selce o di ossidiana scheggiata ci ha spalancato la possibilità di tagliare i rami, scuoiare le prede faticosamente cacciate e difenderci. E da lì, questa straordinaria prolunga del braccio si è prestata agli usi più disparati. E ha sancito l’inizio del nostro potere. Infatti sarà stata subito usata per far del male a qualcuno, magari di un’altra tribù, ma questo fa parte della storia dell’uomo e in fondo tutte le armi, anche le più moderne e micidiali, altro non sono che l’evoluzione di congegni che aumentano la capacità di offendere delle nostre mani. La nascita di armi più efficienti ha certo oscurato l’importanza del coltello come arma, ma una lama è dotazione dei militari di qualunque esercito. E nonostante i materiali siano cambiati e si siano evoluti costantemente, il disegno di base del coltello è rimasto sempre lo stesso. Quello che pugnalò Giulio Cesare è praticamente identico a quello che usiamo per tagliare il pollo. Fabbricato via via con i materiali messi a disposizione dalla natura prima, e dalla tecnica metallurgica poi, passando dall’età della pietra a quella del rame, del bronzo e del ferro, è stato forgiato in miriadi di combinazioni, adattandosi ai più svariati impieghi.
Il pugnale “alieno” trovato nel sarcofago del faraone Tutankhmon Si è scoperto che nel 2600 a.C. gli Egizi erano già in grado di produrre un coltello chirurgico in bronzo. Sempre in Egitto, quando nel 1925, nella Valle dei Re, venne aperto il sepolcro del faraone Tutankhamon, tra le bende della sua mummia fu trovato un pugnale lungo 35 centimetri, con una stupenda impugnatura d’oro e la cui lama perfettamente conservata non mostrava alcun segno di ossidazione. Era posto aderente al corpo del faraone, in vista del suo incontro con l’aldilà. Un papiro del tempo parlava di un “ferro piovuto dal cielo”. Di quale materiale fosse costituita quella lama è rimasto a lungo un mistero, anche perché a quell’epoca gli Egizi non avevano ancora sviluppato la metallurgia del ferro e nell’area non esistevano miniere. Solo di recente un gruppo di studiosi italiani ed egiziani, grazie alla fluorescenza a raggi X, ha potuto stabilire con
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Incursioni certezza che si tratta di metallo alieno, proveniente dallo spazio: un meteorite. Immaginiamo che valore simbolico potesse avere a quei tempi quel pugnale. In Europa si suole far coincidere l’origine della moderna coltelleria con l’anno mille, epoca in cui la produzione dell’acciaio iniziò ad avere un certo sviluppo. Fino al XII secolo non c’erano coltelli individuali sulle tavole, i cibi venivano serviti già in pezzi e ognuno utilizzava la propria lama da caccia o il pugnale per infilzare i bocconi e portarli alla bocca. In Oriente era fiorentissima la produzione di lame ottenute con complesse lavorazioni, ma molte culture orientali, per esempio quella cinese e quella giapponese, abolirono presto il coltello a tavola considerandolo un’arma e non un oggetto destinato alla convivialità. L’Italia ha una grande tradizione, sia di produzione di coltelli in generale che di impiego a scopo militare dell’arma bianca corta: l’abilità nell’arte marziale della scherma di coltello ci era ampiamente riconosciuta in tutta Europa, così come la supremazia dei nostri fiorettisti, spadisti e sciabolatori, in tempo di pace ci ha fruttato innumerevoli medaglie. Il nostro Paese vanta innumerevoli variazioni nella forma e nel disegno dei coltelli a livello regionale e locale, sviluppatesi nei secoli per soddisfare soprattutto le diverse esigenze degli agricoltori alle prese con le differenti colture dello Stivale: probabilmente nella tasca di qualsiasi contadino ha sempre trovato posto un coltello. Ma anche il grande fotografo Henri Cartier-Bresson non andava mai in giro senza un coltello in tasca, il suo amato Opinel. Lo utilizzava per tutto, a volte anche per minacciare le persone che lo infastidivano, visto che non aveva un carattere conciliante. Quando il suo amico e biografo Assouline gli chiese il motivo di questa abitudine, la risposta lapidaria di Cartier-Bresson fu: “Ha mai provato a sbucciare una mela con una Leica?” Si dice che regalare un coltello porti male; antiche tradizioni sostengono che ne verrebbe meno il potere di chi se ne priva, che il filo della lama spezzerebbe inesorabilmente il legame tra offerente e ricevente rimandando in qualche modo alla volontà di separarsi, di rompere una promessa. In certe culture chi riceve in dono un coltello si procura subito una piccola ferita, così da “placare la sete di sangue” della lama e scongiurare future disgrazie. Ma fatta la regola, pare si sia trovato l’inganno: il coltello deve essere simbolicamente “pagato” da chi lo riceve. Anche un centesimo è sufficiente. E infine, il galateo impone di porgere sempre un coltello tenendolo per la lama: si faceva così anche quando, nel Medioevo, si era invitati a casa di amici e prima di mettersi a tavola a mangiare e bere (spesso smodatamente), si consegnavano i pugnali all’ospite. Meglio evitare inutili spargimenti di sangue.
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Stile Over SPORT? NO GRAZIE, A MENO CHE NON SIA TAI CHI CHUAN
Riflessioni controcorrente sul concetto di attività sportiva e di chi la pratica Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
Photo by Braden Collum on Unsplash
Come al solito, è stata una serie televisiva a salvarmi. Qualche giorno fa mi stavo chiedendo come avrei affrontato il tema del mese quando, mentre seguivo una puntata de I Misteri di Murdoch, ho sentito il mio detective preferito esprimere un pensiero che condivido pienamente: “Può divertirmi giocare una partita”, commentava il detective, a margine di un campionato di hockey, “ ma... stare seduto a guardare gli altri che giocano?” Per fortuna non tutti la pensano come noi, altrimenti lo sport professionistico non esisterebbe proprio. Anche se, in effetti, si tratta di una creazione relativamente recente il cui sviluppo - come osserva un altro personaggio della serie - è legato all’evoluzione della società industriale, che ha regalato a un numero crescente di persone un bel po’ di tempo libero e la possibilità di pagare per assistere a un evento sportivo.
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Stile Over
Photo by Sam Knight on Unsplash Personalmente, resto dell’idea che alcune attività - praticare uno sport ma anche mangiare, e altro che lascio alla vostra immaginazione - possano essere divertenti se praticate in prima persona, molto meno se le vediamo praticare ad altri. In realtà, per buona parte della mia vita anche lo sport praticato mi ha lasciato indifferente: miopia e goffaggine, abbinate a uno spirito scarsamente competitivo, mi hanno tenuta lontana da squadre e squadrette, e i tentativi delle mie insegnanti di educazione fisica di trovare “lo sport giusto per me” hanno prodotto scenette che se si fossero verificate in epoca di social mi avrebbero sicuramente reso famosa. Come quando sono rimasta immobile ai blocchi di partenza perché talmente concentrata sull’idea di dover partire di corsa al segnale convenuto, che quando il cervello è arrivato a registrare il segnale stesso, le altre erano già arrivate al traguardo. Ma anche il lancio del peso può diventare uno sport ad alto rischio, se riesci a farti sfuggire di mano l’oggetto in questione tirandotelo praticamente sui piedi… Dopo questi exploit, sono passati decenni prima che io mi arrischiassi a praticare una qualche attività fisica. E anche allora non si è trattato di uno sport nel senso convenzionale del termine: a rigore di termini il Tai chi chuan che pratico da anni con soddisfazione non è uno sport, ma un’arte marziale interna. Però mi ha permesso, alle soglie dell’età matura, di provare il piacere di un’attività fisica anche confrontandomi con altri, di fare pace con l’idea di disputare qualche garetta per principianti, e perfino di emozionarmi sentendo chiamare in pista “l’atleta Cicerone” .
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Stile Over Mi sono persa qualcosa? E’ probabile: per molti di noi lo sport ha un ruolo importante, e d’altronde fa parte della nostra storia da millenni. Nell’antichità le competizioni erano legate soprattutto all’addestramento militare o a ricorrenze religiose, anche se già nella Roma imperiale i circenses fatti soprattutto di combattimenti tra uomini o con animali - qualcosa che oggi stenteremmo a definire sport- erano uno spettacolo apprezzato. Più avanti, tra il Medioevo e il Rinascimento, hanno cominciato a diffondersi i giochi con la palla, antenati di quelli moderni e finalmente accessibili anche alle classi popolari. L’idea moderna di sport - e il termine stesso, derivato dal francese - nascono in Gran Bretagna nel diciannovesimo secolo, e sempre verso la fine dell’800 comincia a diffondersi lo sport professionistico, nascono le prime società sportive e, nel 1896, la prima olimpiade moderna. Molto diversa da quelle attuali, se si pensa che nella prima edizione furono ammesse solo nove discipline, contro la trentina delle ultime Olimpiadi. Perché l’idea stessa di sport è destinata ad evolvere, pensiamo alle attività oggi classificate come tali, ma anche all’apertura allo sport paraolimpico che valorizza la capacità di mettersi in gioco e superare i propri limiti personali a prescindere dal risultato assoluto. Ma forse la rivoluzione più radicale nel mondo dello sport viene dalla partecipazione crescente delle donne: anche se ci sono attestazioni di gare femminili nell’antica Grecia- i giochi Erei o Heraia, dedicati alla dea Hera - per secoli gran parte delle attività sportive sono state riservate ai maschi, anche per l’impossibilità di praticarle col tipo di abbigliamento imposto alle donne. Solo dall’inizio del ‘900 le atlete hanno cominciato a inserirsi in questo mondo, un’escalation che si è rapidamente trasformata in una valanga. Anche se il fondatore delle Olimpiadi moderne De Coubertin riteneva che il ruolo delle donne fosse soprattutto “quello di incoronare i vincitori”, dopo presenze sporadiche nelle precedenti edizioni alle Olimpiadi di Berlino del 1936 furono istituite competizioni femminili, che videro tra l’altro il successo dell’italiana Ondina Valla. Ma ancora nel 1967 la statunitense Kathy Switzer riuscì a partecipare alla maratona di Boston, all’epoca preclusa alle donne, solamente perché si era registrata come “K.V. Switzer”, e a completare la corsa grazie alla solidarietà dei compagni di gara, nonostante il direttore di gara (Trebisonda) Ondina Valla, prima donna italiana a vincere una medaglia d’oro ai Giochi l’avesse strattonata per allontanarla dal circuito.
olimpici (Berlino, 1936)
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Stile Over Oggi ci sono migliaia di atlete brave e famose, anche se in alcune discipline come il calcio lo sport femminile è ancora considerato ”di secondo piano”, e i compensi sono nettamente inferiori a quelli per gli uomini. Personalmente, lo sport guardato continua a lasciarmi freddina: apprezzo il pattinaggio artistico o la ginnastica, che trovo però più affini alla danza che allo sport, o il Concorso Ippico cui mi legano il mio amore per i cavalli e molti ricordi di infanzia. Mail resto è noia… Sono del tutto refrattaria ai giochi con la palla, e a qualunque sport contempli l’uso di mezzi con ruote. Oltre ad essere allergica ad ogni forma di tifoseria, soprattutto perché non ho ben capito per quale ragione una casuale contingenza geografica dovrebbe orientare le mie simpatie….
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In forma Per tenersi in forma occorre essere seguiti da un coach competente Informazione promozionale A cura della Redazione Dietro la sua scrivania, nell’ufficio della palestra milanese, c’è scritto Nothing is impossible. E davvero niente è impossibile per chi possiede la grinta e la costanza di Paolo Barbera, 48enne di Prato che dedica la sua vita, oltre che alla famiglia, allo sport e “al piacere scoperto nell’allenare le persone e godere dei loro risultati”. Il curriculum di Paolo è da paura: Coordinatore Federale di Triathlon, Ironman Certified Coach, Fondatore di Active Kids, un centro medico specializzato nell’educazione alimentare e nella programmazione e gestione dell’allenamento sportivo, è Direttore Tecnico di TRI60 un training center dedicato a ciclismo, triathlon, corsa e nuoto, aperto a Miano a fine 2017, in via Domenico Cucchiari 4. Maratoneta e Multi Ironman finisher, collabora con le più prestigiose riviste di settore su temi di allenamento, educazione alimentare e preparazione fisica. Nei prossimi numeri con lui ci addentreremo in questioni via via più tecniche, ma ora vediamo come il nostro coach è riuscito negli ultimi anni Per fare attività non c’è età, ad accompagnare tante persone in un percorso anche cominciando da zero che le ha portate dall’essere sedentarie e con problemi di peso e salute a persone sane, attive e in forma. Perché Generazione Over60 ha deciso di seguire lui e i suoi consigli? In primo luogo perché sono parecchi i professionisti non più giovani che trovano difficoltoso recarsi con regolarità in palestra, presi da impegni che spesso non sono programmabili e quindi inficerebbero i risultati di un qualsiasi allenamento che, perché dia risultati- a qualsiasi livello- deve essere regolare continuo.
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In forma
Paolo Barbera mostra ad una cliente il programma personalizzato E qui entra in gioco il coach Barbera che, grazie alla piattaforma “TrainingPeaxs”, segue a distanza il cliente, non permettendogli di saltare neppure un allenamento. Perciò, nel nostro caso, non si tratta di diventare campioni di Triathlon, ma di riuscire a seguire un percorso personalizzato, senza l’alibi di non avere tempo per fare attività fisica. Cominciamo allora a conoscere meglio Paolo Barbera riportando le sue sacrosante considerazioni sul legame indissolubile fra salute e attività fisica. ATTIVITA’ FISICA & SALUTE Sono ormai tanti anni che si è consolidata la certezza di quanto sia importante l’attività fisica per la salute. In seguito al notevole incremento dell’obesità a livello mondiale (“Globesity”) e di tutta una serie di malattie legate alla sindrome metabolica, lo sport è diventato il miglior strumento per curare e prevenire la maggior parte dei problemi di salute. L’attività sportiva è il farmaco più potente che hai a disposizione.
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In forma La ricerca scientifica ha indagato su quali siano i livelli corretti di attività fisica che ti permettano di tenere lontani i problemi di salute e di rimanere in forma. L’ideale è cominciare a fare sport per il piacere di farlo e non dopo aver avuto dei problemi o la esplicita richiesta del tuo medico. Cerca sempre di giocare in anticipo e non aspettare che sia tardi. Se fai sport da anni hai già un’idea di quello che puoi fare e di quali sono i tuoi limiti. Ma se parti da zero e non sei più un ragazzino devi iniziare per gradi, e capire qual è il sistema migliore per te in termini di frequenza, intensità, durata etc.
Il nostro coach con Justine Mattera, 50 anni invidiabili, che ha rivelato: “Il segreto è lo sport”
Una regolare attività fisica e a maggior ragione un allenamento strutturato e continuo sono associati a numerosi benefici per la tua salute fisica e mentale. Riducono il rischio di sviluppare malattie dell’apparato cardiocircolatorio, ictus, diabete di tipo 2 e alcune forme di cancro. Abbassano la pressione sanguigna e svolgono un ruolo importante nel controllo del peso. Per i meno giovani aiutano a preservare la massa magra e la resistenza ossea. Tra le scoperte degli ultimi anni sicuramente sono da sottolineare tutti i benefici a livello psicologico ed emotivo in termini di riduzione di ansia e disturbi depressivi. La maggior parte degli studi sembra aver raggiunto la conclusione che per dare degli stimoli efficaci al tuo organismo devi fare almeno 150’ di attività fisica moderata la settimana . Nel complesso, quindi, circa due ore e mezzo che puoi spalmare su 4 o 5 sessioni di attività (allenamento) .
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In forma Se inizi a fare sport partendo quasi da zero o ricominci dopo tanti anni di pausa devi inizialmente concentrarti solo sul volume senza andare alla ricerca della prestazione o dell’alta intensità. Nessuno studio ha dimostrato la necessità in questa fase di sviluppare una quantità del lavoro ad intensità molto alta. Pertanto, se è vero che i lavori ad alta intensità hanno un ruolo importante nel tuo programma di allenamento strutturato e finalizzato al raggiungimento di obiettivi precisi, in una fase di restart invece non è necessario. Potrebbe far aumentare non solo il rischio di infortunio ma anche la percezione di fatica e di difficoltà a raggiungere il target dell’allenamento. Concentrati in questa fase nel piacere di riprendere controllando non solo l’intensità ma anche il volume complessivo. La distribuzione dei diversi tipi di intensità (bassa, moderata, alta) dipende ovviamente dal livello di fitness che hai o che comunque avevi prima della sospensione dell’attività. Perché se è vero che in una fase di ripresa non devi spingere subito sull’acceleratore, è anche vero che un’ attività svolta ad un livello troppo basso non è in grado di produrre stimoli allenanti e quindi neanche particolari benefici in termini di salute e di riduzione e controllo del peso. Da dove cominciare Una volta che hai deciso di cominciare ad allenarti e hai individuato degli spazi nella tua settimana da dedicare a questo devi decidere che cosa e come farlo. La soluzione più semplice è sicuramente la corsa (camminata) perché richiede poco tempo, poca attrezzatura ed è quindi economica e alla portata di tutti. Chi parte da un forte sovrappeso dovrà sostituirla con la camminata o con una pedalata leggera, sia indoor che outdoor.
Assieme è meglio!
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In forma A qualunque livello è utile un piano o un modello di allenamento . Il piano deve essere adatto alle tue possibilità, esigenze e attitudini . L’importante è che rispetti i requisiti minimi che ti ho fatto vedere . Se dividi i 150 minuti settimanali in 5 sessioni da 30 minuti poi dovrai decidere che cosa fare ogni volta . Se sei proprio all’inizio potrai dividere i 30 minuti in 6 lavori da 5 minuti intervallati da una breve pausa . O tre lavori da 10 minuti e così via fino ad arrivare a coprire i 30 minuti in modo continuo . L’ideale sarebbe distribuire il carico complessivo nei diversi giorni della settimana . Tuttavia, se nei giorni lavorativi hai meno tempo a disposizione, puoi concentrare una buona parte dell’attività fisica nel week end senza perdere i benefici complessivi . Buona regola in questi casi è imparare a gestire bene anche l’alimentazione in base all’attività svolta. Devi imparare a limitare le calorie complessive, suddivise nei diversi macronutrienti, in base al tuo consumo giornaliero. L’inizio o la ripresa dell’attività fisica deve innescare un circolo virtuoso. Quello che devi cambiare è lo stile di vita nel suo complesso. Non ha senso fare 30’ di attività fisica al giorno se dedichi il resto della giornata alla totale sedentarietà, al consumo di bevande zuccherate e cibo spazzatura (junk food). Cerca di lavorare a 360 gradi. Limita il più possibile il tempo che passi a guardare la televisione, usare il computer seduto in macchina o alla scrivania. Qual è il modo migliore per misurare e tracciare l’attività fisica? Il sistema più semplice per iniziare è il contapassi. Tuttavia, dopo un periodo iniziale in cui si cerca di aumentare quotidianamente il computo giornaliero, si arriva ad una situazione di stallo in cui non è più possibile aumentare . La soluzione migliore è un programma motorio individualizzato che sia vario e stimolante. Uno dei motivi per i quali siamo riusciti negli anni ad ottenere risultati importanti anche con chi iniziava da zero e magari con qualche patologia è che noi li abbiamo gestiti come degli atleti. Volumi e intensità inferiori. Ma il compito quotidiano studiato su misura per te non mancherà mai e ti aiuterà a rimanere concentrato sul tuo percorso e a non perdere di mira l’obiettivo finale.
Bene: abbiamo compreso che non è mai troppo tardi per fare sport e, contemporaneamente, prendersi cura della propria salute. Poter contare su un coach (in presenza o a distanza? È comunque fondamentale, anche per avere la spinta giusta quando la pigrizia prevale o vorremmo vedere troppo in fretta i primi risultati significativi del nostro lavoro. Paolo Barbera e il suo staff sono la risposta giusta!
Tri60 Advanced Training; via Domenico Cucchiari 4, Milano. Tel. 02-83906360 https://www.tri60.it
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Da tener d’occhio G.B. MAGISTRI, PITTORE E GRAFICO MILANESE
Preparazione per una regata velica . Dipinto olio su tela (1970) E sempre a proposito di sport, per chi ama le regate a vela, competizioni contraddistinte da precise regole e svariati termini (il cui significato esatto spesso è conosciuto solo dagli appassionati), ecco una bella immagine dipinta da Giovanni Balilla Magistri. Un’immagine che sa di sole, azzurro, acqua, vento.
Info e altro sul sito https://gbmagistri.org/
ERRATA CORRIGE. Nel numero scorso per errore a pag 42- nella prima riga, facendo riferimento all’autore del primo logo del Saggiatore- abbiamo scritto Giovanni Paolo Magistri al posto di Giovanni Balilla Magistri. Ci scusiamo con il figlio dell’artista e con i lettori.
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Di tutto e niente LO “PSICOLABILE” . UN RACCONTO AD HOC PER ALLENARE I NEURONI … e poi c’è la palestra per la mente, la ginnastica forse più utile per chi ha 60 anni: età dopo la quale è fisiologica una certa perdita di neuroni cerebrali Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico
Photo by Jorg Karg on Unsplash L’edicola è una di quelle grandi, ha addirittura la porta per entrare, che ora in epoca Covid sta sempre chiusa e reca la scritta: “Si accede solo indossando la mascherina e uno per volta”. Sorge sul marciapiede prospicente una rotonda. Dietro c’è un parcheggio e un prato che degrada, in prossimità del quale, spostato di poco, un recinto con un cancello che ospita cani e padroni – i primi a scorrazzare, gli altri a chiacchierare . A destra, guardando l’edicola, sta una parte dei palazzoni - le torri- di Tor Bella Monaca. A sinistra una strada che finisce nel nulla va verso dei campi, con una sfilza di cassonetti dell’immondizia addossati al marciapiede. Volendo in fondo puoi svoltare a destra, per cui tecnicamente, sebbene la via s’arresti bruscamente, non è una strada senza uscita. Di fronte ai tanti cassonetti là assiepati, stavano parcheggiati in seconda fila due camion AMA, quelli grigi per la raccolta dei rifiuti.
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Di tutto e niente
All’angolo, dall’altro lato della stessa strada, riprende la teoria delle altre alte torri in cemento di edilizia popolare a delimitare fino alla fine una via parcheggio – è un’altra strada che finisce nel nulla, s’arresta. Da là in poi solo campi, prati verdi con qualche sentiero, pochi alberi. Se imbocchi quella via in macchina, per uscirne puoi solo ripercorrerla in senso inverso. Questo fatto che la strada finisca nel niente e che dietro a queste torri il nulla dei prati s’estenda quasi per fatti propri, ignorando le costruzioni, l’asfalto, il cemento – questo fatto mi dà la sensazione di essere in un avamposto dell’urbanizzazione proteso nella campagna in cui, come se si fosse dei coloni, è difficile vivere abitando lo spazio e il tempo di una transizione momentanea lasciata incompiuta. Più in là, parecchio più in là, sorgono altri agglomerati di costruzioni che rappresentano, dopo l’intervallo di questa vallata non edificata, la prosecuzione di Roma verso i Castelli. Siamo ai limiti, ma dentro l’area metropolitana, che non si capisce dove finisce e forse neanche dove inizia. Da qui il centro è così lontano che parlare di periferia è privo di senso – quando non sai dove stai, il centro non sei più neanche tu.
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Di tutto e niente
Photo by Yunming Wang on Unsplash Come al solito ero in ritardo. Ho fatto la rotatoria, ho parcheggiato davanti all’edicola e sono sceso rapido per acquistare i quotidiani. Il fatto che fosse tardi mi aveva messo addosso fretta, ma non sufficiente per esser distratto. Mi accorgo che c’era come un assembramento – non ressa, ma certo più gente del solito attorno all’edicola. Non sono più i tempi che per compare il giornale facevi la fila, perché la domenica tutti disponevano di più tempo. Il tempo ora è tanto e per via della pandemia si è anche dilatato, ma forse leggere i giornali non so a quanti ancora vada. Più facile avere la tele sempre accesa – meno impegnativo e più rapido. Per tutto, tutti si va comunque di fretta. Le file si tollerano poco – si ha ansia di non perder tempo in coda e poi lo si accumula per trascorrerlo nella noia, lamentandosene. Si agisce sempre distolti da altro. Poi però qualcosa si deve pur fare. Stando tutto questo tempo dentro casa, magari molti hanno colto l’occasione per rinnovare e “far ordine”, espressione con cui non s’intende altro che realizzare nei fatti un elenco che includa le cose che restano dentro ed escluda le altre –che vengono alla fine buttate fuori. Ordine è pulizia e nettezza mentale, rasoio che taglia via non il superfluo, ma l’inutile e ciò che è la risulta dell’atto di consumo – lo scarto, il rifiuto.
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Di tutto e niente In realtà non ho idea se Covid abbia prodotto un aumento dei rifiuti urbani, ma se fosse così meno male che là ci son tutti quei cassonetti che quasi mai ho visto vuoti. Indugio un attimo per capire e mi guardo attorno. In prossimità dell’edicola erano tutti con mascherine sul viso, parecchi con nessun quotidiano o rotocalco in mano, e c’era anche chi ai giornali non era palesemente interessato. Erano tutti là per quello che stava accadendo – magari per poterlo raccontare come fatto del giorno, la notizia di cui parlare a pranzo, a casa, di ritorno… Non tutti stavano in prima fila sfrontatamente . C’era anche chi usava l’edicola per guardare da posizione riparata cosa stava accadendo dietro, poco più in là, come curiosi che per discrezione o timore vogliano vedere restando protetti . Mi sono accorto da piccole cose che qualcosa stava succedendo e che le persone che stavano là attorno erano richiamate da qualcosa . La mia sensazione è diventata certezza quando ho visto che tra di loro c’era anche il giornalaio . Non è la mia edicola, non è la mia zona, ma sono fisionomista : credo lo sia anche il giornalaio, giacché, appena mi ha visto mi ha salutato da dove stava ed è rientrato subito dietro il bancone . Anche lui era uscito per guardare e commentare. Il più stanziale di tutti sul luogo dell’accadimento, nessuno può dire la sua meglio di lui, iniziando il racconto dal principio . Un giornalaio che sta sulla notizia, finalmente. Siccome non capivo cosa stesse succedendo, chiedo – oltre ai soliti giornali- informazioni, facendo cadere con ostentata indifferenza: “Ma …che è successo?”. “Niente - fa lui ridendo- uno psicolabile che si è accampato là dietro con le sue cose e che non vuole che portino via l’immondizia. Ha fatto il diavolo…”. Esco dall’edicola e vado anche io a sbirciare “là dietro”, senza però esser contagiato dalla ilarità con cui mi era stato riferito cosa stava accadendo.
Photo by Brandon Green on Unsplash
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Di tutto e niente Nel lembo di prato non lontano dai cassonetti che stanno sulla via dove erano parcheggiati i due camion per la raccolta dei rifiuti, c’erano quattro poliziotti in uniforme e quattro operatori ecologici in tuta da lavoro arancione, tutti con le mascherine sul viso e gli occhi rivolti verso il basso . A terra lo “psicolabile” con il suo accampamento. Guardando per intero la scena mi sono accorto solo allora della volante del 113 parcheggiata di sbieco, e di altri curiosi che da differenti punti dintorno osservavano quello che stava accadendo. Forse erano stati i netturbini ad aver chiamato la polizia. Ho immaginato che forse il secondo camion della nettezza urbana era stato chiamato dai colleghi, per provare a spiegare a quel signore che stava sul materasso che loro dovevano svuotarli quei cassonetti ….e sgomberare, ….e portar via tutte quelle cose buttate a terra, anche quelle di cui lui si era circondato, e… sì, anche il materasso su cui stava, e forse anche quelle buste che stavano accanto al suo giaciglio – a distanza le vedevo piene e colorate, ma non certo di cose nuove o pulite o fragranti. Mi ero fatto l’idea che le avesse disposte intorno a sé per personalizzare quello spazio -così delimitato e abbellito, lo aveva reso il suo posto. Ho sempre trovato curioso e fastidioso, quasi uno spreco o comunque un inganno, che la plastica colorata rendesse variopinti e quasi allegri anche i rifiuti. Da dove guardavo, la luce del sole impreziosiva la scena: tutti sembravano finalmente occuparsi di lui che stava nel suo alloggiamento temporaneo
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Di tutto e niente –l’accampamento, con quanto riteneva opportuno e bello aver con sé- allestito per avere tutto a portata di mano. Lo “psicolabile” come un uomo del paleolitico – se non cacciatore, di certo raccoglitore. Aveva assemblato una collezione di cose non casuali, scelte e messe insieme gradualmente, man mano che aveva proceduto nel suo vagare e nel suo vivere – che per lui coincidevano. A poterle esaminare avrebbero raccontato della sua storia più di quanto lui stesso non abbia voglia di dire a voce. Quotidianamente, ogni sera, ovunque fosse giunto –mi sono immaginato- riassestava quella narrazione esteriore di sé. Da dentro le buste la disponeva nello spazio per la notte, come un tentativo di mondo domestico. Rassicurato, s’addormentava e si risvegliava circondato dalle stesse cose… cose che parlavano con lui di lui. Adesso invece guardie e netturbini volevano sottrargliele e per di più indurlo ad andare via. Ma via da dove? Quale fosse la natura del contendere, mi sembrava stesse diventando sdrucciolevole. Stava andando in scena un’azione congiunta di polizia e nettezza urbana, il servizio comunale espletato dai netturbini. Non avevo mai notato la continuità lessicale – netturbini sono coloro che si occupano di raccogliere i rifiuti solidi dalla città ripulendone le vie. Città pulita è quella senza rifiuti visibili – perché raccolti e portati altrove, smaltiti, resi invisibili- dove visibili sono solo le cose accolte, incluse, ordinate. In realtà il posto che si era scelto stava già ai margini. Un prato tra le ultime torri prima di una vallata verde. A chi mai potesse dar fastidio è difficile da spiegare. Poi, le sue cose: un po’ le aveva trovate nei cassonetti, qualcuna forse era carità ricevuta, qualche altra magari ce l’aveva anche quando stava a casa – quando aveva una casa. Queste ultime non dovrebbero dar scandalo. I doni ricevuti per alleviare la vita in strada neanche – cose donate per farlo stare un pochino meglio. E quelle che aveva preso da “per terra” o dai cassonetti, trovate abbandonate, gettate, rifiutate. Per lui che viveva come rifiutato costituivano l’arredo del quotidiano abitato da viandante. Se nessuno le aveva più volute, perché a lui, cui invece piacciono o servono, non è consentito tenerle? E se buttano le sue cose, che ne sarà poi di lui? Se le trattano come rifiuti, lui anche è rifiuto? “Questo è colorato”, dice. Che fregatura il colore – penso- confonde e attira. Distoglie. “Ma che ci fai?”, chiedono poliziotti e netturbini incalzandolo, un po’ canzonatori e un po’ incuriositi, per indurlo a ragionare come loro. “Nulla, ma mi piace”. Aveva iniziato a sentirsi rifiutato anche nel gusto di possedere qualcosa di inutile – era messo in discussione il poco che aveva, sulla base dell’utilità dell’oggetto, anzi della cosa. Si era serrato in sé. Star fuori rispetto all’ordine degli altri – la nettezza…è una scelta affilata: o dentro o fuori. Lui stava fuori, infatti aveva dormito qui sul prato, sopra quel materasso che prima era un rifiuto abbandonato accanto ai cassonetti, ma poi lui spostandolo sin lì ne aveva fatto il suo letto, per riposare. Provano a convincerlo. Ma ora non risponde più, ha smesso. Osserva la cosa colorata, la luce del sole la impreziosisce. La tiene in mano, la protegge dalla bruttura di chi non capisce – né lui, né la cosa. Gli è restata, a sostenerlo nella sua povertà, la curiosità del bello. Per lui che manca di tutto il necessario, l‘inutile è la ricchezza, purché sia bello. Non serve un oggetto completo, è sufficiente un pezzo di una cosa. Ma è colorato, ma è bella…
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Di tutto e niente Si stava svolgendo un tentativo di dialogo fatto di incomprensioni. Lui non aveva fretta, però. C’è il sole ed è domenica mattina. I poliziotti invece dovevano finire il turno, i netturbini anche. Tornare a casa… I curiosi non hanno mai fretta, son lì per vedere come va a finire. S’erano assiepati per guardare lo psicolabile senza vedere, anzi fraintendendo quello che stava accadendo: uno che difendeva lo spazio che stava occupando con i rifiuti che si portava appresso era la bizzarria che andava in scena. Illogico. Sì, forse. Ma non incomprensibile… Chi scuote la testa, chi riprende la definizione del giornalaio e commenta, rassicurato dalla differenza, ribadendo: “è psicolabile”. L’etichetta reca la composizione del prodotto confezionato, della situazione. Lui tace, afferra le buste, serra in sé le sue cose, si sente incalzato dagli sguardi, dallo spazio, dalle forze dell’ordine e dal pubblico che sta sempre con la maggioranza. Se sono rifiuti da gettare – se quello che lui ha sono rifiuti che la nettezza urbana per decoro e pulizia deve portare via, se lui non può difendere quello che ha… allora lui? Le forze dell’ordine, quale ordine? E la polizia perché? Forse è per lui…? Lo psicolabile era prossimo ad esser travolto dalla forze dell’ordine delle cose. Il suo silenzio era l’istinto animale che gli stava rendendo tutto attorno allarmante e pericoloso e chiaro, incalzandolo sotto la luce tiepida del sole di domenica mattina. Non mi è stato possibile restare e condividere con il pubblico, che era intanto cresciuto, lo spettacolo della pulizia del luogo e il ristabilimento dell’ordine - l’esecuzione di quanto necessario e il compimento, con successo, dell’intera operazione. Non mi veniva per nulla da ridere a veder lo psicolabile perdere di nuovo tutto, aggrappato vanamente a quanto aveva temporaneamente accumulato per poi esser risucchiato nella logica delle cose ordinate. I giornali ormai li avevo presi, la notizia del giorno –amaraneanche l’avrei dovuta poi leggere. Quella roba in cronaca neanche s’affaccia. Era quindi diventato per me tempo di affrettarsi, di andarmene. Nel pomeriggio, dopo pranzo, a casa, quando è iniziato a piovere ci ho ripensato, sentendo l’acqua cadere e vedendola rigare i vetri della finestra della camera da letto. Ho messo un maglione, chè sentivo freddo.
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Immagini e fotografie
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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI