N7/8 Anno 5 Generazione Over60

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Luglio Agosto 2023

-2Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 5, n.7/8
“L’enigma dell’ora”. Olio su tela di Giorgio de Chirico (1911)

Le rubriche

EDITORIALE

“Amoglianimali”

Bellezza

Da leggere (o rileggere)

Da vedere/ascoltare

Di tutto e niente

Il desco dei Gourmet

Il personaggio

Il tempo della Grande Mela

Comandacolore

Incursioni

In forma

In movimento

Lavori in corso

Primo piano

Salute

Scienza

Sessualità

Stile Over

Volontariato & Associazioni

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Generazione Over 60

DIRETTORE RESPONSABILE

Minnie Luongo

I NOSTRI COLLABORATORI

Marco Rossi

Alessandro Littara

Antonino Di Pietro

Mauro Cervia

Andrea Tomasini

Paola Emilia Cicerone

Flavia Caroppo

Marco Vittorio Ranzoni

Giovanni Paolo Magistri

Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI

Attilio Ortolani

Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com

Issuu: https://issuu.com/generazioneover60

Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60

Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60

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Generazione Over 60

MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.

Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.

Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

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Foto Chiara Svilpo

Chi siamo

DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA

è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO

è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI GIORNALISTA SCIENTIFICO

giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

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Chi siamo

PAOLA EMILIA CICERONE GIORNALISTA SCIENTIFICA

classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.

Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

FLAVIA CAROPPO GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA

CUCINA ITALIANA A NEW YORK

Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA

Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.

COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.

MONICA SANSONE VIDEOMAKER

operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

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Sommario

-10Generazione F Quante (troppe) cose da dire sul tempo che passa! Editoriale di Minnie Luongo

-14Foto d’autore Un cronografo per misurare il tempo di Francesco Bellesia

-16Bellezza

Trasformare i lineamenti del viso non riporta indietro nel tempo! Professor Antonino Di Pietro

-17Incursioni Cronofobia Di Marco Vittorio Ranzoni

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Il tempo della Grande Mela

Il Tempo: Un’elusiva battaglia tra Passato, Presente e Futuro Di Flavia Caroppo

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Sommario

-25Stile Over

Il tempo tra scienza e poesia di Paola Emilia Cicerone

-29Di tutto e niente Toccare e sentire il tempo Di Andrea Tomasini

-32Per ricordare

Una giornata ad Arenzano

Di Amelia Belloni Sonzogni

-35Dal nostro archivio

ll curioso caso di Benjamin Button dalla Redazione

-37Da leggere (o rileggere) «E godiamocelo!»

Di Amelia Belloni Sonzogni

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Generazione F

QUANTE(TROPPE) COSE DA DIRE SUL TEMPO CHE PASSA!

EDITORIALE

Già, io che odio fare le scalette di ciò che devo scrivere (anche quando è necessario per l’indice di un libro o per un articolo), in questo caso- l’argomento mi ha sempre coinvolto tanto, incredibilmente fin da bambina quando, a soli 7 anni, realizzai che anche la mia vita aveva una data di scadenza e pertanto mi conveniva vivere il più intensamente possibile ogni momento- (facile a pensare, più che dirsi naturalmente), in questo caso dicevo, mi ero stranamente preparata a buttare ciò che intendevo dire. Punto per punto. Fu allora che lessi sulla pagina Facebook del nostro Andrea Tomasini una post che, partendo dalla sua vita quotidiana, diceva tutto sul tempo. Dopo avergli chiesto il permesso, ho pensato quindi di trascrivere per l’Editoriale del numero della rivista che chiude la stagione estiva le sue parole. Eccole: I dispositivi e il tempo dell’anziana genitrice

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Generazione F

Da un po’ l’anziana genitrice è concentrata – comprensibilmente, forse- sulla misurazione del tempo che scorre nel suo quotidiano. Ma non riesce a leggere il quadrante dell’orologio e per questo non lo indossa più al polso ed è la ragione per cui chiede spesso che ora è.

Un tempo l’ora esatta era scandita fuori di casa da un tempo collettivo, cadenzato delle campane del campanile o da quelle della torre del municipio, che riferendo dello stesso orario del giorno e della notte, suggerivano tempi simbolicamente differenti. In giro per la città del traffico e del commercio c’erano gli orologi pubblici che dichiaravano l’ora cui basarsi per ritmi e incombenze basate su scambi non solo simbolici ma anche pratici. Qua intorno non ci son campane così prossime da esser sentite. L’anziana genitrice ormai fa fatica anche a distinguere i numeri, e quindi l’ora esatta sullo schermo del cellulare – dispositivo che comunque non ha mai voluto imparare a usare. “Si, ha squillato, e allora? Se vogliono mi richiamano”, diceva quando le facevo notare anni addietro che non era riuscita a rispondere e che forse accettare di imparare come si fa avrebbe agevolato la vita e le relazioni. Ma questo è il passato. Lo smartphone da almeno un anno è diventato un suo “nuovo” oggetto feticcio e ora lo vuole sempre accanto, notte e giorno. L’applicazione killer del suo smartphone ormai coincide con il fare in modo tale da illuminare lo schermo -sia con il sole, sia con la luna-: così va persuasa di monitorare lo stato della sua cecità dovuta al glaucoma e al suo pregresso autolesionistico comportamento. Se vede o comunque percepisce il chiarore, riesce a uscire dalla sua oscurità trovando momentanea pace. Il fatto è che a volte, quando lo accende, tiene rivolto a sé il dorso, non percepisce luce e ne deriva un tonfo nel percepito profondo buio dovuto solo al verso con cui impugna il telefono e non al nervo pallido o al lavorio oscurante della pressione oculare. Qualche mese fa accendeva e scorgeva l’ora, ora s’accontenta del bagliore. Comunque, è un sistema di misurazione di sé e di se stessa in relazione al suo mondo.

Altro strumento per lei essenziale e vitale è la radio. Questo però da sempre. Ragioni antiche. Maturate da ragazza, forse anche da bambina. Durante la guerra. Suo padre era imbarcato nei sommergibili. La radio era la voce che giungeva di lontano. Suoni e parole. Le faceva compagnia, perché colma gli spazi vuoti fatti di silenzio. Esiste un punto sulla linea della sintonia ove collocarsi in ascolto – che non è sentire, ma prestare attenzione. In passato non si faceva altro, seduti attorno alla grande radio, quando parla. Poi la radio diventa portatile e l’anziana genitrice la conduceva con sé da una stanza all’altra. Una presenza fissa e necessaria –di suoni e parole fanno compagnia mentre si fa altro. Un sottofondo necessario – come la luce, il sole che entra dalle finestre con le serrande alzate, le lampadine che contrastano il buio. La radio è sempre accesa, ma l’emittente sfugge alla sintonia, per cui non so quante volte la ricolloco sulla stazione desiderata. Lo stesso accade con le lampadine. Dorme con la luce – da sempre. Complice un racconto di sommergibilisti –colleghi di mio nonno che nella Palermo dell’immediato dopoguerra, invitati a tavola per cena, dopo raccontavano e ricordavano di commilitoni morti dentro al mezzo piombato nell’abisso – “quando poi si spengono le luci a bordo, è il segno che il tempo è finito e attendi la conclusione”. Da quella sera sempre la luce accesa, la notte. Il timore del black-out elettrico è sempre stato compensato a casa da una fornitura abbondante di fiammiferi e candele per “far luce, nel caso”

Ha sempre la radio accanto, che tiene comunque accesa, ma che poi a seconda dei momenti silenzia. Non

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Generazione F

usa il tasto on-off. Agisce sul volume – lo azzera quando ciò che sente le dà noia, lo alza riconferendo il diritto di parola alla trasmissione in onda in quel momento se quello che ascolta è di suo gradimento. In verità ormai tende a fare in modo simile anche con gli esseri umani, cambiando bruscamente discorso quando il dialogo prende piega non gradita.

La radio da oltre un anno assolve anche a un’altra funzione: la utilizza per capire, misurare e collocarsi nel tempo che passa: non con il solo il segnale orario, bensì avvalendosi dell’accurata conoscenza del palinsesto di RadioUno e RadioDue che le consente di orientarsi. Legge nelle trasmissioni radiofoniche il tempo in cui vive e ci si colloca. Curioso, ma la ancorano al quotidiano, scandendo le fasi del giorno.

La tivù la tiene spenta, ormai. Anzi, il fatto che strutturalmente per fruirla la si debba anche guardare le marca la gravosa condizione di non vedente – che poi è stata per tutta la vita la sua grande paura. Curiosamente, gli audiolibri non li ha mai sopportati perché marcano il fatto dell’ascolto che non è lettura – leggere è possibile se vedi.

Un nuovo dispositivo s’è aggiunto, recentemente, ai misuratori di tempo – sebbene abbia altra funzione e si collochi nella logica dei segmenti anziché nel flusso continuo delle cose: il contaminuti.

Ora dentro casa, quando la si aiuta a spostarsi da una stanza all’altra, oltre a cellulare e radio vuole aver con sé il timer che cucinando si utilizza per definire la durata di una cottura. Per misurare il tempo che passa, il contaminuti va a ritroso. Se son 13 i minuti di cottura dei rigatoni, la tacca di indicazione la collochi in avanti sino a dove è segnato 13 e la molla, opportunamente tarata, s’incarica di far tornare indietro la tacca fino allo zero, tornando all’inizio.

Il timer è un dispositivo che consente di temporizzare un’azione mediante il conto alla rovescia. L’anziana genitrice ne fa un uso bizzarro: lo impiega in concomitanza con attività necessarie che deve compiere le pesano. Ad esempio quando deve fare l’aerosol. Ora che ne deve fare ben 4 al giorno, è tutto un programma. Hai voglia a dirle che la somministrazione dei farmaci nebulizzati non è scandita dal timer, e che si non conclude con il segnale sonoro del dispositivo bensì con l’esaurimento del liquido nell’ampolla dell’apparecchio dell’aerosol…

“Mettilo a mezz’ora, a me comunque mi aiuta”.

In contemporanea, vicino al timer azionato tiene la radio accesa, il cellulare accanto alla radio sul tavolo e comunque, con frequenza da goccia che cade, chiede che ora è.

Vuole il timer con sé anche quando va a letto nel pomeriggio, dopo pranzo – cosa che deve fare, ma cui oppone insofferenza simile a quella con cui affronta l’aerosol. Accanto al cuscino chiede la radio, sotto al cuscino dalla parte in cui è voltata domanda se è stato posizionato il cellulare e accanto anche il timer contaminuti, che però stavolta non chiede di programmare perché sa che la durata del riposo prescritto eccede le potenzialità di programmazione del timer, che sta là simbolicamente, come simbolo della sua protesta contro il necessario, per immaginare di poter dire “io” anche nel tempo che le scorre via.

Il tempo “usato” per fare cose controvoglia è come se lo vedesse sottratto, rubato al resto del suo tempo.

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Generazione F

Mi son persuaso che il motivo per cui vuole il timer è connesso al funzionamento di questo dispositivo –semplicemente perché realizza un conto alla rovescia.

E’ come se volesse esser rimborsata del tempo speso nel fare una cosa che detesta. Il contaminuti torna indietro e si ricongiunge con l’inizio- una restituzione dei tredici minuti trascorsi se a “tredici” il termine era stato puntato. E come leggere un testo, un libro dalla fine risalendo dall’ultima parola dell’ultima pagina in basso a destra e procedere verso sinistra, risalendo “La freccia del tempo” – “.idrat opport iamro odnauq o otserp opport o – otailgabs otnemom len otavairra onos ehc ,ortned oi E”.

Occorre abilità per riuscire, carattere per abituarsi, voglia di comprendere. L’enjeux è pur sempre la percepita urgenza del tempo, desiderio di ottenere compensazione per qualcosa che sfugge, che manca: desiderio è la mancanza dei “sidera”: il cielo è coperto e senza le stelle visibili non si può tracciare la rotta, se si vuol continuare a navigare…

Ecco. Ora è evidente che nessuna scaletta avrebbe fatto sì che io potessi dire qualcosa che uguagliasse la scrittura e i contenuti del nostro Andrea Tomasini. Pertanto, ancora grazie e buona lettura a tutti!

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Foto d’autore

UN CRONOGRAFO PER MISURARE IL TEMPO

Con un titolo che sottolinea la sua consueta autoironia, il nostro Francesco Bellesia ha qui fotografato il proprio polso che sfoggia un elegante cronografo a carica manuale. Uno “scrittore del tempo“ (questo il significato letterale del termine cronografo), comunque accompagnato da braccialetti vari- esattamente come vediamo portare a molti ragazzi- perché la generazione 0ver60 non ha età quando si tratta di scegliere il proprio stile.

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“L’Invecchiamento della mano” è il titolo di questo scatto

Foto d’autore

FRANCESCO BELLESIA

Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.

Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.

Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.

Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.

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Bellezza

TRASFORMARE I LINEAMENTI DEL VISO NON RIPORTA INDIETRO NEL TEMPO!

Con poche frasi, ancora una volta, il nostro professor Antonino Di Pietro riassume il suo pensiero: si può frenare l’invecchiamento restando però nella propria età

Professor Antonino Di Pietro – dermatologo plastico

http://www.dermoclinico.com

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Incursioni

CRONOFOBIA

Il nostro tempo personale è una quantità finita e pure brevissima. C’è chi ci pensa poco, chi mai e chi fin troppo spesso, come l’autore e come moltissimi di noi

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Non c’è una nozione che ci condizioni tanto quanto il tempo . A pensarci, è pazzesco: ci offre una precisa idea di successione, di evoluzione delle nostre vicende e di quello che siamo in grado di percepire del mondo attorno a noi, è un riferimento che ci permette di stabilire se un evento è occorso prima o dopo di un altro, indipendentemente dal luogo nel quale questi avvengano.

Un regalo e una condanna, dato che abbiamo la consapevolezza che il nostro tempo personale è una quantità finita e pure brevissima. C’è chi ci pensa poco, chi mai e chi fin troppo spesso, come me.

Del resto, è uno dei temi più affrontati dai filosofi di ogni tempo e tutte le religioni sono nate e prosperano nell’umana illusione di poterlo combattere, il tempo, piegandolo alla speranza di una illusoria eternità che non potremmo mai descrivere se non ricorrendo a qualche goffa iconografia. Paradisi, piramidi e preghiere non esisterebbero, se pensassimo alla nostra vita come a un film con la scritta “the end”, quando si accendono (pardon) si spengono le luci.

Potrebbe venirci in soccorso la teoria della relatività di Einstein, che nega l’esistenza di un tempo assoluto, come se ognuno avesse invece una propria misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo . Naaaa…, io non ci arrivo a capirla, questa cosa, e resto a guardarmi le macchie sulle mani come se - esatto - non ci fosse un domani.

Per citare Sant’Agostino: “ Cosa è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegare a chi lo chiede, non lo so ”

Incursioni -18-

Praticamente tutta la nostra vita è un palleggiare tra memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro. Del tempo crediamo di fare uso, ma alla fine dobbiamo solo subirlo, anche se con le aberrazioni tipiche del nostro essere umani ipertecnologici .

I più giovani forse non si rendono ben conto di quanto questa dimensione sia stata compressa e stravolta nel breve volgere di qualche decennio. Ci siamo talmente assuefatti alla logica del ‘just in time’ ad ogni costo, imposto dalle nuove tecnologie, da non renderci conto di essere virtualmente schiavi della gestione del tempo. Senza addentrarsi in un passato più lontano, dove per avere contezza di un fatto accaduto in un’altra città potevano passare settimane o mesi, giova ricordare che quando iniziai io a lavorare scrivevo lettere a penna su un foglio, lo passavo alla segretaria che lo batteva a macchina sulla carta intestata facendone una copia su una velina con la carta carbone. Dopo la firma si metteva il foglio in una busta e lo si spediva. E sto parlando degli anni ’80, mica del Rinascimento. Insomma, c’era tutto il tempo per valutare e riflettere atten -

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Incursioni

tamente su ciò che si stava per dire e anche per gestire l’ansia dell’attesa della risposta. Eppure, si facevano trapianti di cuore e gli astronauti si erano già stufati di andare sulla luna. Ma mentre con le cuffie ascoltavamo cassette nel Walkman, all’orizzonte si stagliava già minacciosa la sagoma del personal computer e in pentola bolliva a fuoco lento il WWW.

Tenendo conto che i meccanismi neurobiologici del Marco ragazzo dovrebbero essere non dissimili (al netto di un mio fisiologico decadimento) da quelli del Marco sessantenne, diventa pazzesco che oggi si possa pretendere un tempo di risposta misurato in nanosecondi e andare nel panico se non si vede la spunta di whatsapp appena tolto il dito dallo smartphone. Ma l’adattabilità e l‘elasticità della mente umana non ha limiti. Finché non va in tilt.

Che poi, a ben pensarci, più che mancanza di tempo, che quello volendo si trova sempre se ci si tiene, mi pare mancanza di pazienza.

“ Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, inorridire, commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi. Le scuse per non fermarci a chiedere se questo correre ci rende felici, sono migliaia, e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle”. Tiziano Terzani

Incursioni -20-

il tempo della Grande Mela

IL TEMPO: UN’ELUSIVA BATTAGLIA TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

Ieri è storia… domani è un mistero… oggi è un regalo ed è per questo che si chiama presente. Le parole di “Kung-Fu Panda”, contengono una saggezza sorprendente e toccano un nervo profondamente radicato nella psiche umana: la nostra relazione con il tempo.

Di Flavia Caroppo – giornalista, corrispondente da New York

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Courtesy of Matteo Poletti blog

il tempo della Grande Mela

Come molte verità universali, la frase pronunciata dal Maestro Oogway, la tartaruga del film a cartoni animati Kung-fu Panda (che pare, però, essere stata pronunciata da Eleanore Roosevelt qualche decina di anni prima) è una di quelle affermazioni che molti danno per scontata, senza realmente fermarsi a riflettere sulla sua essenza.

In realtà la nostra incapacità di vivere nel presente è una lotta con cui tutti possiamo identificarci.

Vivere nel presente: una sfida per molti di noi

“Anche i ricchi piangono”, era il titolo di una famosa telenovela degli anni ’80, e non importa essere ricchi o poveri, belli o diversamente belli, giovani o giovani over 60 , ciascuno di noi è spesso preda di rimpianti o nostalgici ricordi del passato, oppure siamo ansiosi e preoccupati per il futuro.

Questa tendenza non è solo filosofica, ma ha radici scientifiche. Dal punto di vista neurologico, infatti, il nostro cervello è cablato per prevedere il futuro basandosi sul passato. Questo era essenziale per la nostra sopravvivenza quando dovevamo anticipare pericoli come animali predatori. Tuttavia, in un’epoca moderna, questo ci tiene ancorati a momenti che non esistono più o che non sono ancora avvenuti, impedendoci di vivere appieno l’attimo presente, il “qui e ora”.

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Jackie Stallone, mamma di Sylvester, a vent’anni (a sinistra) e a circa 70 (a destra).

il tempo della Grande Mela

Percezione del Tempo e Età

Come percepiamo il tempo varia in base alla nostra età. Durante l’infanzia e l’adolescenza, sembra che il tempo si muova lentamente. Ve lo ricordate quando l’attesa per un compleanno, Natale o una vacanza sembrava interminabile? Da bambini e adolescenti, ci sentiamo intrappolati in una sorta di limbo, con la sensazione che diventare adulti sia un processo infinitamente lento.

Al contrario, a partire dai 40 anni, molti riferiscono che il tempo “voli”, con giorni, mesi e anni che passano in un batter d’occhio. Tipo che cominciate a pensare al pranzo di Natale mentre state ripulendo il frigo portatile usato per il pranzo di ferragosto.

Questa percezione alterata è dovuta in parte al modo in cui il nostro cervello elabora nuove esperienze rispetto alle routine consolidate. Ogni nuova esperienza da giovani sembra rallentare il tempo, mentre la routine dell’età adulta lo accelera.

Anche le esperienze emotive, inoltre, possono distorcere la nostra percezione del tempo. Gli attimi di gioia possono sembrare effimeri, mentre i momenti di dolore possono sembrare interminabili. Eppure, è questa stessa elasticità che ci ricorda la potenza e il mistero del tempo stesso.

La Ricerca della Giovinezza Eterna

E poi c’è la battaglia culturale con il tempo, simbolizzata in modo preminente da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, la storia di un uomo che rimane giovane mentre un ritratto nascosto invecchia e porta i se -

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Mickey Rourke, il super sexy protagonista di 9 settimane e mezzo, negli Anni ’80 (a sinistra) e nel 2020 (a destra)

il tempo della Grande Mela

gni della sua corruzione e peccato. Questa ossessione riflette la nostra riluttanza collettiva ad accettare la natura transitoria della vita.

Oggi non è più il caso di ricorrere a polverosi quadri nascosti in cantina. L’avvento della chirurgia plastica ha offerto a tutti la promessa di una sorta di “Fontana della Giovinezza”, dando la possibilità di combattere i segni ineluttabili del tempo e di mantenere un aspetto giovane.

Nel corso degli anni, la chirurgia plastica è passata dalla correzione di deformità a procedure eletto-cosmetiche che promettono di ritardare o persino invertire l’invecchiamento.

La ricerca di un aspetto senza tempo

Facelift, blefaroplastica, liposuzione, filler e iniezioni di botox sono solo alcune delle procedure richieste da coloro che cercano di catturare e conservare la loro giovinezza a tutti i costi.

Per alcuni, la chirurgia plastica è un mezzo per riguadagnare la fiducia in se stessi, migliorando aspetti del corpo con cui non si sono mai sentiti a proprio agio. Per altri, può rappresentare una risposta alla pressione sociale che glorifica la giovinezza e stigmatizza l’invecchiamento.

La rappresentazione dei media delle celebrità “senza età”, che appaiono impermeabili al tempo, ha ulteriormente intensificato questo desiderio di giovinezza. Ma a volte la ricerca ossessiva di un aspetto giovane può portare a decisioni impulsive e risultati innaturali. Molti attori e attrici, sotto la pressione di rimanere eternamente giovani, si sono sottoposti a procedure estetiche estreme, a volte con risultati disastrosi. Date un’occhiata alle immagini qui sopra!

Jackie Stallone, mamma di Sylvester, a vent’anni (a sinistra) e a circa 70 (a destra).Mickey Rourke, il super sexy protagonista di 9 settimane e mezzo , negli Anni ’80 (a sinistra) e nel 2020 (a destra)

Il tempo è… relativo!

Il tempo ha affascinato filosofi, scienziati e artisti per secoli. Albert Einstein una volta ha scherzato dicendo che “Il tempo è ciò che accade quando nient’altro accade”. Douglas Adams, autore di “Guida galattica per gli autostoppisti”, ha osservato: “Il tempo è un’illusione. L’ora del pranzo, doppiamente tanto”.

E ancora ad Albert Einstein è stata attribuita la seguente battuta: “Quando una ragazza ti siede sulle ginocchia per cinque minuti, ti sembrerà cinque secondi. Ma se metti la mano su una stufa per cinque secondi, ti sembrerà cinque ore. Questo è il tempo relativistico.”

La Ricetta della Giovinezza Eterna

Nonostante la nostra ossessione per ritardare l’invecchiamento, la vera ricetta della giovinezza eterna non risiede nelle creme o negli interventi chirurgici. Piuttosto, si trova nel vivere pienamente il momento presente , nel coltivare relazioni sincere, nel ricercare esperienze che arricchiscono l’anima; abbracciando ogni esperienza, ogni emozione e ogni lezione che la vita ci offre.

Poiché, come ci ricorda Kung-Fu Panda, il presente è veramente un regalo. E forse, accettando questo dono, possiamo trovare una sorta di eternità nel qui e ora.

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Stile Over

IL TEMPO TRA SCIENZA E POESIA

Realtà con cui facciamo i conti ogni giorno, il tempo lineare è solo una delle possibili interpretazioni

Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Non posso pensare al tempo, o meglio all’idea di tempo, senza che mi tornino alla mente i versi del Belli che amava citare un amico carissimo, oggi purtroppo scomparso. Sento ancora la sua voce che declama, dando il giusto accento romanesco alla lingua del poeta, “La morte sta anniscosta in ne l’orloggi”. E’ un verso de La golaccia , dedicata alla fragilità dell’esistenza umana, e prosegue: “E ggnisuno pò ddí: ddomani ancora/ Sentirò bbatte er mezzoggiorno d’oggi”. (Qui il testo completo https://poesieromanesche.altervista.org/ index.php/Poetiscrittori/sonetto/980/giuseppe-gioacchino-belli-la-golaccia )

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“La persistenza della memoria”- o “Gli orologi molli”- Salvador Dalì (1931)

Stile Over

Eppure il tempo è una realtà con cui facciamo i conti ogni giorno. E se scienza e filosofia dibattono ancora sul concetto scientifico/filosofico di tempo, nel tentativo di misurarlo ci cimentiamo da anni, aiutati dagli astri che scandiscono ritmi apparentemente immutabili cui rispondono la terra e gli organismi viventi . Sì, perché il nostro organismo percepisce in qualche modo il passare del tempo, tanto che la cronobiologia è una disciplina sempre più studiata con potenziali ricadute terapeutiche . E da migliaia di anni i nostri antenati hanno osservato i ritmi del sole della luna o dei pianeti costruendo allo scopo opere imponenti : è molto probabile che Stonehenge fosse un gigantesco orologio, e non è l’unico esempio di questo genere .

Poi, certo, c’è il problema che il tempo lineare, quello cui pensiamo istintivamente noi, con un “prima“ e un “dopo”, è solo una delle possibili interpretazioni, mentre per molte culture orientali il tempo ha un andamento ciclico , estraneo alla nostra cultura . con l’eccezione dei “corsi e ricorsi “ della storia di cui parlava Giovan Battista Vico - ma ben presente nella tradizione indiana e buddista.

Resta il fatto che nella nostra percezione quotidiana il tempo è una realtà mutevole: basti pensare a come viviamo i dieci minuti di attesa di un autobus, paragonati agli stessi minuti trascorsi con una persona cara prima di una separazione. E per noi Over è sempre più frequente la sensazione che il tempo acceleri inesorabilmente: ricordo bene che fosse inverno, e ora fa caldo, che fine ha fatto la primavera? Sono appena finite le vacanze di Pasqua e già siamo pronti a pensare al Natale? Per chi poi, come me, lavora nei giornali ci

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Stile Over

sono i comunicati stampa che anticipando ogni scadenza per tenere conto dei tempi di confezione dei giornali, obbligandoti a pensare alla riapertura delle scuole prima che queste siano finite e ai malanni autunnali quando il problema più urgente sembra essere quello di evitare un colpo di calore, per non parlare dell’onnipresente - e da me detestata - remise en forme che comincia a colpevolizzarci imponendo inutili sacrifici per sfoggiare un corpo da spiaggia quando ancora stiamo mangiando l’uovo di Pasqua . In questo caso, per inciso, è facile reagire rispondendo, come le femministe americane, “ per avere un corpo da spiaggia basta avere un corpo, e andare alla spiaggia” .

Quello cui è impossibile sfuggire sono le foto pubblicate sui social in cui amici ignari di provocarti un trauma esibiscono figli e figlie sorridenti sull’altare o alla cerimonia di laurea, quando li immaginavi al massimo - e ancora una volta, chi ha rubato quegli anni? Dove sono finiti? - sui banchi delle elementari. E come se non bastasse, ci sono le gazzette on line che mostrano “com’erano e come sono” personaggi di varia fama, con immagini che incrinano qualsiasi nostra certezza. Fino a ieri, per dire, ero convinta che Julio Iglesias fosse un signore di mezza età dal fascino un po’ datato, oggi ho scoperto che ha quasi ottanta anni e che il signore di mezza età, per essere precisi, è suo figlio Julio Jr.

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Julio Iglesias,che compirà 80 anni il prossimo 23 settembre

Stile Over

E Sarah Jessica Parker, l’amata Carrie di Sex & the City, come fa a essere sposata dal 1997? Si è fidanzata all’asilo? E invece no, anche lei, classe 1965, si avvicina a essere un’altra splendida “Over”.

Insomma, non c’è più religione, e soprattutto non c’è più tempo. Forse dovremmo guardare agli antichi greci, che distinguevano tra il tempo cronologico - Kronos appunto, impersonato da un anziano e un po’ inquietante padre degli dei - e il tempo qualitativo, o Kairos, ossia il momento felice, quello che ci regala opportunità . Che ci sono sempre, anche se qualcuno ci ricorda che, insomma, è quasi ora di preparare i regali di Natale.

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Sara Jessica Parker, classe 1965

Di tutto e niente

TOCCARE E SENTIRE IL TEMPO

La rete di rughe, grinze e solchi profondi lasciati dal tempo sulla pelle dell’“anziana genitrice” inducono l’autore a riflessioni delicate complesse e poetiche

Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

C’è la questione di quale senso abbia il predominio Simmel diceva la vista, nella vita della metropoli. Dove l’olfatto invece è sopito – se cammini per i vicoli di Spoleto , nonostante la desertificazione del centro storico avverti ancora gli aromi che s’espandono oltre la finestra aperta e se sei sensibile, attento e immaginativo, indovini cosa mangerà chi abita in quell’appartamento.

Nella metropoli solo fumi e gas, nella cappa del traffico. L’ udito qui non ha particolari opportunità di raffinarsi – per lo più coglie rumori e indifferenza come sordità di fondo . Il gusto tende a omologarsi in una mediocrità per cui il carattere marcato del tipico e l’espressività fantasiosa dell’esotico vengono addomesticati in egual misura per esser fruiti senza che ci si debba confrontare con sapori imprevisti e difficili : senza cioè che se ne possa riconoscere temperamento e natura accogliendoli con stupore e sorpresa Niente voli pindarici – si procede per compromessi gustativi, evitando le note alte come quelle basse . Un reiterato giro di do .

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Di tutto e niente

Resta il tatto – che pure ha una parte anche nel gusto : pensa alla piacevolezza della croccantezza, che è un po’ il tatto sulla lingua. Il tatto, in un mondo in cui la parte preponderante dell’esperienza è di seconda mano…

Mi viene in mente il Barthes della Citroen DS, la seduzione della levigatezza. Per amor di contrasto penso alla bellezza delle rughe d’espressione, sedimentazione e stampa sul volto di come hai reagito alla vita nel corso della tua esistenza . Mi piace sentirle sotto le dita, sfiorandole leggermente per cogliere linee, incroci e irregolarità. Mi balocco nell’idea che questo sia un frottage capace di rivelarmi un’intimità biografica che nessuna parola saprebbe restituirmi. Ripercorrendone la trama con le dita, pelle a pelle combacia e così conosco e riconosco – me e te. La forza del tempo e la bellezza del temperamento diventano carattere impresso ed espresso sulla pelle, vuoto e pieno come in una lettera a stampa che risalta su carta preziosa . Posso avviarmi lungo tragitti che sulla carta geografica del tuo corpo sono avvertibili, segnati come sentieri da percorrere ammirando gli scorci, evitando le scorciatoie, indugiando quando stanco, procedendo secondo curiosità. Quante storie accarezzandoti posso conoscere e vivere, anche quelle in cui io ancora non c’ero.

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Di tutto e niente

Quando faccio la doccia all’anziana genitrice la insapono con cura . Le mani attingono sapone e strofinano il corpo. Poi la sciacquo bene, badando bene di non lasciar alcun residuo di detergente. Asciugo con un telo di spugna le spalle strofinando accuratamente; invece, procedo con delicatezza in altre parti del corpo, secondo evidente opportunità. Passo un po’ di deodorante sotto le ascelle e poi le spalmo la crema idratante per il corpo, al fine di tenere elastica la pelle e, là dove è più sottile e sollecitata dalle posture assunte a maggior attrito, ridurre il prurito e prevenire piaghe. Quello che l’acqua e il sapone dissimulano, il passaggio della mano con la crema evidenzia . Ci sono tratti del corpo, in particolare i due avambracci e poi parte delle gambe – ma soprattutto tra gomito e polso- di porzioni di pelle che sembrano per grinzosità e consistenza quasi pelle conciata, appena pendula ma con la consistenza prossima a un cuoio morbido. Raggrinzita com’è ho il timore che non s’idrati quasi più. Al massimo si lucida. Ma non per questo desisto, anzi. Passo e ripasso e passo ancora con la crema per render morbida la pelle dell’avambraccio.

A toccarla, la sensazione è davvero particolare. Una rete di rughe, grinze e solchi profondi inscritti dal tempo in un caos concentrato su tratti di pelle prossimi alle mani che sembra riprodurre l’imprevedibilità della vita . Un cretto che iscrive memoria procedendo per assenze istituzionalizzate.

Difficile dimenticare…

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UNA GIORNATA AD ARENZANO

Non so risolvere l’eterno dilemma tra rimorsi o rimpianti, e neppure prendere una posizione, ma so che il tempo trascorso, in un caso o nell’altro, impone di non sbagliare più.

Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice

I colori a Levanto questa mattina sono quasi sgargianti, nitidi e in contrasto, come un quadro di Matisse o Van Gogh, rari per essere il 7 agosto.

Sul verde dei rilievi, dalle gradazioni smeraldine ai riflessi argentati e cangianti degli ulivi, vince il mare: un insolito zaffiro, un blu scuro denso caldo, spicca sotto il cielo celeste del mattino presto. L’aria fresca, pulita, odora di mare mosso appena passato, onda che si calma e si allunga. Qualche increspatura bianca si alza qui e là, come glassa di zucchero.

Superiamo il casello in direzione Genova.

Da qualche tempo, quello per Arenzano è un viaggio breve e gioioso: «Che bello!» è il pensiero di tutti noi che ci ritroveremo là.

Ora lo sento meglio di sempre il bene nell’abbraccio di mio cugino Carlo, che mi aspetta a casa sua. È lo stesso, immediato e spontaneo, che mi aveva avvolto una domenica di una visita inaspettata. Studiava per un esame all’università, sulle orecchie le cuffiette con la musica classica per indurre maggiore concentrazione; lo zio gli aveva toccato la spalla con la mano: «Guarda chi c’è». Era apparsa la gioia in volto a vedermi, le braccia si erano aperte e richiuse attorno a me tanto strette da lasciarmi quasi senza fiato.

Leggo su un pannello elettronico la segnalazione di un incidente – veicolo in fiamme – per fortuna sulla corsia opposta. Poche centinaia di metri dopo, il fuoco è lì a divampare sotto controllo. Non ci sono ostacoli sulla nostra strada. Corre la costa ligure di levante alla nostra sinistra, i colori sono ancora più intensi, le tonalità leggermente diverse, ancora più piene.

Arriviamo nei tempi previsti, con i nostri cestini, i prodotti dell’orto da assaggiare, i sorrisi e i saluti lanciati dalla tromba delle scale in attesa che l’ascensore ci avvicini.

Si apre la porta, si rinnova l’abbraccio.

Sulla soglia di casa, Amelia; no, non io, lei, la mia omonima cugina; io sono un po’ più piccola (Amelietta), aria di famiglia nei nostri lineamenti, il sorriso ad accogliere e accudire, la riservatezza come habitus, gli stessi modi buoni e ospitali della zia.

E il Giatt – il nostro cane “manigoldo” – manifesta gradimento con generosi e inopportuni battesimi sui muretti del terrazzo. Che imbarazzo…

«Non è casa, senza un cane che gironzola» : lo dice e lo pensa Carlo e, come tutti noi presenti, lo dico e

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Per ricordare

Per ricordare

penso anch’io, mentre Giatt esplora ovunque, quasi sulle tracce di Romola e Nerina che in questa casa, su questo terrazzo hanno vissuto insieme e hanno giocato con me; e poi solo Nerina, e poi Baia che ha conosciuto Pedro.

Saluti, chiacchiere, un bagno prima di pranzo…

Ero troppo piccola per averne un ricordo, ma la calligrafia di papà sul retro della fotografia lo documenta: Arenzano – agosto 1959 . Passavo quell’anno le vacanze nella stessa pensione in cui papà andava da piccolo, correvo con i cuginetti sulla stessa spiaggia, lì di fronte, e – pare – la prontezza ardimentosa faceva ancora parte del mio carattere: infatti il nonno scriveva, ironico, a mia madre di essere al corrente del fatto che le davo «delle lezioni di certi verbi della lingua italiana». Sorrido e al tempo stesso rabbrividisco al pensiero della reazione materna: ipotizzo irritazione e dispetto, quasi rivedo l’occhiataccia fulminante, risento la reprimenda.

Però, che caratterino Amelietta allora; perso nel tempo, temo.

Incurante dell’abito, le calze arrotolate, un palloncino per giocare e in mano due biscotti, stretti, da non mollare: quante ne avrò combinate, ancora? E quanti giochi e bagni avrò condiviso con Carlo e Amelia?

La giacca di papà è ripiegata sulla sponda della sedia, come faceva lui. Quel giorno dunque era con noi, arrivato da Milano o in partenza per tornarvi, lui che dopo neppure una settimana scriveva: «Mi sembra un secolo che non vedo la trappolina» e ripeteva raccomandazioni sulla necessità di non espormi al sole nelle ore calde, di prevenire possibili danni alle mie sensibili tonsille, di intervenire senza indugi al solo accenno di

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Per ricordare

un malessere («Mio fratello mi ha detto che lì c’è un bravo pediatra, chiamalo subito»); lui al quale mancavo: «Mi sembra che Amelia si sia un po’ dimenticata del suo paparotti»; lui quel giorno della foto era con me, con quasi tutti noi che siamo qui oggi sul terrazzo di fronte a l mare di Arenzano

Lo so, avrebbe voluto ci fossero altre estati come quella, lì, tutti insieme. Non è capitato.

Diverse determinazioni, scelte, strade; destini? Solo fino a un certo punto.

Rimpiango il tempo perduto nel seguire una rotta che avrei potuto invertire – questo mi rimprovero – invece di lasciarmi trascinare dalla corrente. Però, quando un gorgo pericoloso ha provato a risucchiarmi, ho attinto alle forze giuste, ho cercato l’appiglio e l’ho trovato: loro c’erano e ora, questo conta, ci sono. «Che bello ! »

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Arenzano

Dal nostro archivio

EDITORIALE

Ripropongo qui un mio Editoriale di oltre tre anni fa dove affrontavo l’argomento “tempo“. Le mie considerazioni restano le stesse, se non ancor più rafforzate, e pertanto le trascrivo volentieri in questo numero. (M. L.)

C’è un film che mi affascina: “ll curioso caso di Benjamin Button”. Un orologio con le lancette al contrario è legato al sortilegio di un bambino che nasce anziano e, giorno dopo giorno, ringiovanisce. Il film del 2008, diretto da David Fincher e basato sul racconto di Francis Scott Fitzgerald, è ambientato a New Orleans alla fine della Grande Guerra. Il protagonista è un neonato che nasce con le sembianze e le patologie di un novantenne e, crescendo, pian piano, anno dopo anno, ringiovanisce. “Il curioso caso di Benjamin Button” insegna che il tempo è una convenzione umana . Sono i tempi interiori, quelli di cui parlava Proust in Alla ricerca del tempo perduto , che scandiscono il ritmo della vita, dell’amore e delle trasformazioni della mente, che non è sempre in sintonia con quelle del corpo e del fisico .

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Dal nostro archivio

Perciò il bilancio di quest’ultimo anno verte sulle domande “chi sono, mi piaccio, che cosa posso fare per stare sempre meglio con me stessa e con gli altri?” Già nell’editoriale dell’ultimo numero del 2019 proponevo un anticonvenzionale “Che Natale sei? ”invece dell’usurato “Che Natale fai?”. A maggior ragione iniziamo quest’anno chiedendoci chi siamo. Io, evviva l’immodestia, sono diventata ancor più meravigliosamente leggera, curiosa, ilare e anche “palpitante”. L’hanno già detto in tanti, ma val la pena di ricordarlo: la magia o la biologia non possono nulla sulle leggi del cuore, e sul fatto che l’uomo possa impadronirsi del tempo, plasmandolo, vincendolo, senza sconfiggere l’ineluttabilità della morte, ma conquistando i propri giorni uno ad uno nella vita. Amando, soffrendo, ridendo. Anche chiedendo aiuto. Ciò che avevamo ritegno di esternare da giovani, è questa la bella notizia, non è tabù. SIAMO noi Generazione F Fortunati, folli, fighi più che mai . Auguri !

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A Santa Maria del Fiore a Firenze c’è un orologio che “va al contrario”: ci sono 24 ore, scritte in numeri romani, in ordine crescente ma antiorario (Paolo Uccello, 1442)

Da leggere (o rileggere)

«E GODIAMOCELO!»

Vi propongo una «nota a margine», tratta dal mio omonimo blog, su un saggio di «cronosofia» uscito di recente.

Sarà stato il cognome, Chabot che mi riporta (per assonanza con Chabod) a interpretazioni storiche studiate come fossero romanzi, sarà stato il mio complesso rapporto con il tempo, scandito troppo spesso dall’ansia, sarà stato il titolo – Avere tempo – capace di scatenare un attacco bulimico… non so di preciso cosa mi abbia indotto a leggere questo saggio .

Di sicuro hanno avuto un peso la serietà della ricerca e dell’analisi garantite da Treccani e un istintivo bisogno di cura, in un momento della vita in cui mi sembra sempre di non essere in tempo.

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Da leggere (o rileggere)

Non ne ho o lo uso con poca consapevolezza?

Metafisico e concreto, quotidiano nelle minuzie della vita come nei momenti topici, il tempo è un soggetto “tutto”: è difficilissimo da analizzare, in equilibro tra banalità e paradosso. Non importa quanto tempo, ma quale.

La qualità è «il business del secolo»; mi piacerebbe si potesse usare un parametro diverso dall’economico, ma mi rendo conto di sbagliare io.

Sarebbe bello che la qualità, del tempo e di tutto, diventasse l’affare del secolo per migliorare le vite, tutte le vite, sottraendole a schiavitù, soprusi, ingiustizie, abusi . Quali saranno i tempi, verranno i tempi in cui si realizzerà questo «affare»? Che brutta parola, però: concreta, certo; realistica, purtroppo; ma brutta.

Il tempo che resta: non ho mai provato a tradurlo in immagine; l’autore lo vede come una barca piena di sabbia, a volte grande come una chiatta, a volte più modesta, ma sempre con la variabile indeterminabile del futuro e la monotona cadenza della sabbia che cade con lo stesso ritmo . Il pensiero intanto va, in giro per i fatti suoi, refrattario a qualsiasi costrizione, inalienabile e generatore di tempo e di mondi con un loro tempo

Come quelli della signora Dalloway, di Virginia Woolf, suggerisce l’autore.

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Da leggere (o rileggere)

«Vivere al ritmo del tempo spontaneo» è un lusso che ho raggiunto; ne ho totale coscienza quando sono in mare, quando giro nell’orto e me ne occupo; mi rendo conto di godere del tempo della natura

L’ora d’oro, l’ora blu, lo scandire del campanile ancora dotato di campane che oscillano, il portare a termine un compito in un lasso più breve rivelano ciò che si è.

Già: chi sono, e soprattutto, cosa divento?

Consumo un prodotto dell’orto che ho seminato e visto crescere?

Sto sublimando il tempo.

Vivo un’atarassia che non rende?

Sarà...

«L’esistenza si sperimenta essendo liberi di distillare il tempo che più conviene»: forse non tutti i giorni, ma ci sono molto vicino.

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Virginia Woolf

Da leggere (o rileggere)

Allora perché l’ansia non mi passa?

Non minimizzo abbastanza il peso del tempo?

Necessità, scelte, libertà, tempo: avere tempo significa «decidere liberamente di dedicare il tempo che ho a questo o a quel progetto». Smetti dunque di litigare con te stesso/a, scegli e rinuncia, segui il tuo temperamento, muoviti al suo ritmo.

E se me lo dicevi prima, diceva un noto cantautore.

Pare che nella vacanza – in senso etimologico – «si schiuda la gioia di esistere»: nucleo concettuale delle filosofie della privazione, in antitesi con la Modernità. Le civiltà, gli schemi, cicli e linee temporali, gli uni nelle altre, fino alla spirale che cresce senza cambiare: queste sono le immagini della dinamica del tempo cui ricorre l’autore; ogni epoca ha la propria spirale, sempre in curva, avvolta sul divenire irreversibile.

C’è un appiglio? Un punto fermo?

Misurare la durata, forse; e storicizzarla: una storia della quantificazione del tempo, una storia del rapporto con il tempo, l’evoluzione dei concetti di fato, progresso, iper-tempo, scadenza e occasione. Ma l’uomo del progresso, che crede di possedere la natura, che sogna di «essere il signore del tempo», che lo conta alla rovescia cercando di evitare la scadenza, di essere in orario, di apparire sullo schermo in tempo: quanto è ridicolo, soprattutto di fronte al contrattempo che gli si para davanti!

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Anxiety di Pedro Figueras (da Pixabay)

Da leggere (o rileggere)

Credito, debito, crescita economica, percezioni ed effetti del lockdown appena vissuto, teoria delle ultra-forze, ingiustizie, depredazioni ambientali, la scadenza che incalza il pianeta, l’afuturalgia che affligge le nuove generazioni invece degli anziani: di fronte a tutto ciò – dice l’autore – gli intellettuali hanno la responsabilità di ripensare il futuro. Imminenze ambientali, necessità di un punto di incontro tra ecologia e tecnologia, di mescolare i tempi, di ri-orientare il progresso percependone la dialettica, la capacità di individuare il kairos , il momento giusto, l’occasione: tutto impone la necessità dell’azione e decreta «il tempo del superamento della filosofia, che ha fatto quello che poteva per capire, ma conosce anche i limiti della comprensione».

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Harold Llodyd (foto di Perlinator da Pixabay)

Da leggere (o rileggere)

Blaise Pascal (unknown; a copy of the painting of François II Quesnel, which was made for Gérard Edelinck en 1691 – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12193020)

Erriamo nei tempi che non sono i nostri : è la citazione di Blaise Pascal che apre il saggio. E godiamocelo! è, invece, l’esortazione dell’autore che conclude il saggio .

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Immagini e fotografie

Copyright

Dove non espressamente indicato le foto o le immagini presenti attualmente nella rivista sono situate su internet e costituite da materiale largamente diffuso e ritenuto di pubblico dominio.

Su tali foto ed immagini la rivista non detiene, quindi, alcun diritto d’autore e non è intenzione dell’autore della rivista di appropriarsi indebitamente di immagini di proprietà altrui, pertanto, se detenete il copyright di qualsiasi foto, immagine o oggetto presente, oggi ed in futuro, su questa rivista, o per qualsiasi problema riguardante il diritto d’autore, inviate subito una mail all’indirizzo generazioneover60@gmail.com indicando i vostri dati e le immagini in oggetto.

Tramite l’inserimento permanente del nome dell’autore delle fotografie, la rimozione delle stesse o altra soluzione, siamo certi di risolvere il problema ed iniziare una fruttuosa collaborazione.

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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI

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