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soccombere. E lei era sicurissima, era stata sua mamma. La odiava, sì, con tutto il cuore, e se era stato il signore del piano di sotto, odiava anche lui.
Mise Jessy sul letto, quasi la soffocò di baci e lacrime, finché tra un singhiozzo e l’altro si addormentò.
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A scuola si sfogò, con la maestra e con Marina, la sua compagna di banco, che all’intervallo le chiese: «Non andiamo da tua mamma oggi?»
«No e non ci vado neanche per l’uscita»
«Ma tua mamma ti aspetta da lei, nella sua classe» .
«Oggi mi aspetterà fuori, come tutte le altre mamme, solo che io non sarò contenta di vederla» .
«Pensi che sia stata lei a voler riportare Jessy?»
«Non lo so, papà dice di no, ma io non ci credo» .
«Li hai sentiti parlare?»
«No, non ho sentito niente, stavamo mangiando ieri sera quando me lo hanno detto»
«Può essere vero che non si può nel condominio . Non ci sono altri cani?»
«No, solo Jessy» .
«Mi spiace, non ci siamo riuscite neanche una volta»
«A giocare insieme ai giardinetti? No, neanche una volta» .
Uscì da scuola con la sua classe. Trovò sua madre fuori ad aspettarla: il dispetto meditato non era riuscito, qualcuno l’aveva avvertita, forse la sua maestra, o forse Mafalda, la bidella, che l’aveva vista triste e l’aveva fatta chiacchierare. Non si ricordava neanche cosa le aveva detto, ma non importava, era troppo disperata per arrabbiarsi ancora.
A tavola rimase zitta tutto il tempo. Non mangiò niente, pianse e basta, un lacrimone dopo l’altro sulla testa di Jessy, che le si strinse addosso, come la sua mamma quando l’aveva lasciata, una mattina di agosto, dopo una notte di temporali violenti. Suo padre con uno sguardo impedì gli inutili rimproveri materni.
«Puoi stare a casa con papà, che ha lezione, vado solo io»
«No, io sto con Jessy fino all’ultimo, non te la lascio».
Stava per riprenderla, ma Giovanni la interruppe, con una mano sulla spalla:
«Lascia perdere Angela Chiama un taxi, mi raccomando»
Marianna salì sul taxi come un automa, con Jessy in braccio che dormì per tutto il breve tragitto. La coccolò senza interruzione, pensò solo all’abbandono. Era come se la stessero torturando con un punteruolo infilato nel cuore e rigirato come un cacciavite. Nulla di quanto aveva fantasticato si sarebbe realizzato: crescere