N1 Anno 4 Generazione Over60

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Gennaio 2022

Broadway Boogie- Woogie. Piet Mondrian, olio su tela (1942-43) Il primo numero del 2022 è dedicato ai colori, che significano anche emozioni e molto altro. Quello sopra è un quadro dipinto da Mondrian negli ultimi anni della sua vita, quando si trovava a New York. L’opera è composta da una quantità di quadrati di colore luminoso e brillante, che sembrano quasi luccicare come in un mosaico. Spariscono così i rigidi reticoli neri, e gli stessi rettangoli dipinti nei quadri precedenti non sono più bordati da una linea nera. Lo scopo è di riprodurre il frenetico ritmo del ballo del Boogie Woogie, riportando alla sua musica ottimista e, anche, ai colori di New York, la città in cui l’artista lo realizzò.

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 4, n.1

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Le rubriche

EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il desco dei Gourmet Il personaggio Il tempo della Grande Mela Incipit Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni

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Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo

I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60

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Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE

Foto Chiara Svilpo

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

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Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI

SESSUOLOGO E PSICHIATRA è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA

ANDROLOGO E CHIRURGO è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO

DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI

GIORNALISTA SCIENTIFICO giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

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Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE

GIORNALISTA SCIENTIFICA classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

GIOVANNI PAOLO MAGISTRI

BIOLOGO Classe 1951, biologo specializzato in patologia generale, si occupa di progettazione di sistemi per la gestione della sicurezza e dell’igiene delle produzioni alimentari. Socio Onorario dell’Associazione PianoLink vive sognando di diventare, un giorno, un bravo pianista.

FLAVIA CAROPPO

GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI

GIORNALISTA Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.

MONICA SANSONE

VIDEOMAKER operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

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Sommario -10Generazione F Tutti siamo più di un colore Editoriale di Minnie Luongo -18Foto d’autore Tavolozza di colori rivisitata di Francesco Bellesia -20Salute Che cos’è la gioia? Accumulare like, realizzare un desiderio … o vedere i 7 colori di un arcobaleno? Di Rosa Mininno -25Sessualità Per un sesso migliore attenzione anche ai colori delle pareti della camera da letto! Dottor Marco Rossi -27Bellezza Con le mascherine si deve dire addio all’amato rossetto? Professor Antonino Di Pietro -31Incursioni Inchiostro Di Marco Vittorio Ranzoni -35il tempo della Grande Mela Un caleidoscopio di colori: è New York vista dal regista Teo Marinakis di Mauro Bossi e Flavia Caroppo

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Sommario -44Stile Over Il colore di un sorriso di Paola Emilia Cicerone -47Il desco dei Gourmet La salumeria del centro di Milano che vende gentilezza cortesia e umanità dalla Redazione -51Da leggere (o rileggere) Anche le emozioni sono colorate Di Paola Emilia Cicerone -55Benessere Dieta e Supradyn Difese 50+: la formula magica per combattere l’invecchiamento del sistema immunitario dalla Redazione -58In movimento In viaggio nelle Marche Gli Erranti -61Di tutto e niente Le forme e i colori del cibo Di Andrea Tomasini -65Volontariato & Associazioni Lasciamoci incantare dall’inverno! dalla Redazione

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Generazione F TUTTI SIAMO PIÙ DI UN COLORE EDITORIALE Una sera di tantissimi anni fa, quando ancora ci si frequentava tra (alcuni) parenti. Finita la cena, rimaste a tavola a piluccare qualcosa e a chiacchierare, io e due mie cugine, sorelle fra loro, giocammo a dire il nome di più persone conosciute associando ad ognuna il loro colore. Venuto il nostro turno, mentre sulla più giovane dopo qualche dubbio concordammo per il rosso, per l’altra e per me non ci furono esitazioni: lei gialla, io turchese. Che cosa voleva dire “essere di un colore”? Per Mariagrazia era semplice: avrebbe scelto questa tinta per ogni cosa, dai vestiti, agli accessori, anche all’arredamento quando possibile. Il turchese con cui io venni definita, e sul quale ero d’accordissimo, suonava invece diverso: era la mia tinta “interiore”, quella che per me significa mare, cielo, serenità… Certo, mi sono vestita (anche) di turchese, associando con cura maniacale sciarpe, orecchini, calze… ed evidentemente questo è, più di tutti, il mio colore, così da volere ostinatamente che la copertina della tesi di laurea fosse turchese (a quei tempi una pretesa assurda, considerato che la scelta si riduceva in pratica al rosso scuro e al verde) . Allo stesso modo convinsi mio nonno a ridipingere i due armadi color porpora che mi erano stati riciclati in dono per la mia stanza; e ricordo nitidamente il giorno in cui nonno Antonio, mescolando con pazienza due bidoni di blu e di bianco, riuscì finalmente a ottenere la tinta perfetta che desideravo .

Un tocco di turchese…

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Generazione F Anche la mansarda al mare l’ho voluta con i pavimenti che ricordano le onde del mare, le piastrelle del bagno azzurro intenso e così via. Forse in una vita precedente sono stata un pesce e amo aprire gli occhi in una sorta di blu dipinto di blu…Chissà.

La vetrinetta della mansarda al mare con gli oggetti a me più cari Per l’abbigliamento è tutta un’altra storia: io, se seguissi l’istinto, mi vestirei solo dei due colori / non colori: il bianco e il nero. E per qualche tempo l’ho anche fatto: rigorosamente una sola di queste tinte (indipendentemente dalla stagione), e in quel periodo minimalista rinunciai anche a qualsiasi orpello o fronzolo inutile, a cominciare dai miei amati orecchini (che ho collezionato in giro per il mondo), concedendomi alle orecchie solo due anellini d’argento con i quali anche dormivo (e dormo tuttora).

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Generazione F Io

io nelle mie due versioni monocromatiche Qui urge una premessa: al contrario della stragrande maggioranza delle donne (e di molti uomini) detesto fare shopping e tanto meno girare per vetrine. Quando non ho più pantaloni o golf, ne compro alcune paia tutte uguali, magari di tinte diverse; per il resto accetto volentieri i regali di amiche che conoscono la mia taglia e i miei gusti in fatto di abbigliamento.

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Generazione F Sì, lo confesso: amerei avere una sorta di divisa. Pantaloni e giacca possibilmente con collo alla coreana, sempre e solo color bianco o nero. Ho letto che esiste un motivo per cui alcune persone cosiddette di successo vestono sempre alla stessa maniera. Pare, infatti, che non dover pensare a che cosa indossare riduce di molto lo stress e aiuta a focalizzarsi solo sulle cose importanti. Semplificare è la parola chiave. Giusto per fare qualche nome: Mark Zucherberg ha detto di sentire l’esigenza di concentrare le proprie energie sulle community di Facebook. E chi non ricorda il dolcevita nero, i jeans e le scarpe da ginnastica di Steve Jobs? E i famosi maglioni blu di Sergio Marchionne? Per non parlare delle giacche della ex cancelliera tedesca Angela Merkel, tutte uguali anche se di colori differenti .

Mark Zucherberg e Steve Jobs

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Generazione F E poi c’è Albert Einstein.

A questo proposito pare non sia vero che possedesse innumerevoli copie dei medesimi abiti. La seconda moglie Elsa teneva moltissimo al suo look (oggi si direbbe outfit) ma, una volta rimasto vedovo, il grande fisico si dimostrò fedele a felpe grigie, abiti di cotone e a sandali (noto il suo odio per i calzini). Fregandosene delle tendenze della moda e, sicuro di sé, senza volerlo creando così un suo stile. Lo so, non sono una persona di successo e non devo preoccuparmi né di Facebook né di Apple né… degli Usa come Barack Obama che rivelò di vestire solo di grigio o di blu, e di non darsi pensiero dell’abbigliamento e di altre piccole decisioni, come che cosa mangiare a colazione. Tuttavia- e, assicuro, non si tratta di pigrizia- anch’io amo vestirmi secondo un mio “stile”. L’importante è sentirmi a mio agio e “riconoscermi” in ciò che indosso.

Sergio Marchionne con un dei suoi inconfondibili maglioni blu

Ad ogni modo c’è anche una spiegazione scientifica: per Daniel Levitin, professore di neuroscienze presso la McGill University di Montreal (Canada) ogni volta che il cervello deve prendere una decisione, indipendentemente dal tipo di scelta, consuma

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Generazione F energia. Nel consumare glucosio, i neuroni non distinguono tra una decisione di poco conto o una che potrebbe risolvere conflitti internazionali. Ma il colore vuol dire anche emozioni, certo, mi si obietterà. Come contraddire questa indubbia verità? Il colore assume un significato molto importante anche in ambito letterario. Se in campo artistico esso è essenzialmente presente perché fa parte dell’opera, in letteratura diventa la chiave di lettura capace di trasmettere tutti gli stati d’animo, le emozioni, i ricordi e i desideri. Impossibile non ricordare qui la poesia di Alda Merini dedicata proprio ai colori . Colori S’io riposo, nel lento divenire degli occhi, mi soffermo all’eccesso beato dei colori; qui non temo più fughe o fantasie ma la penetrazione mi abolisce. Amo i colori, tempi di un anelito inquieto, irrisolvibile, vitale, spiegazione umilissima e sovrana dei cosmici perché del mio respiro. La luce mi sospinge ma il colore m’attenua, predicando l’impotenza del corpo, bello, ma ancor troppo terrestre. Ed è per il colore cui mi dono s’io mi ricordo a tratti del mio aspetto e quindi del mio limite. I colori hanno anche identificato alcuni generi di romanzi: giallo, nero e rosa . Il romanzo giallo è un genere letterario nato verso la metà del XIX secolo, e l’oggetto principale di questo tipo di racconti è il crimine . L’attribuzione dell’accezione “giallo” è dovuta al colore della copertina dei libri con cui la casa editrice che distribuì la collana identificava questa categoria di racconti . I romanzi neri sono un sottogenere dei gialli, ma più cruenti e di norma non orientati a risolvere il mistero . Infine i romanzi rosa, appartenenti alla categoria di letteratura di consumo, hanno come argomenti principali il sentimentalismo e l’amore . Per quanto mi riguarda, io non faccio quasi mai caso ai vestiti delle persone (sono molto più concentrata, invece, sulla voce e i contenuti dei loro pensieri) , mentre – di bianco o nero vestita e possibilmente il più turchese possibile dentro- non mi perdo una sfumatura di tutto ciò che mi circonda, a partire dalla natura e dai suoi colori inimitabili, ai colori che in una città o altrove mi saltano agli occhi, fino ai riflessi, talvolta impercettibili, che la luce assume durante una giornata, o al tramonto, o al momento magico in cui sta per spuntare l’alba. Per me questi sono i soli colori da non farsi mai sfuggire.

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Generazione F

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Generazione F Ultima considerazione: anch’io avevo scritto (più o meno a 19 anni) una poesia intitolata come quella della nota poetessa milanese. Immodestamente ma orgogliosamente la trascrivo qui di seguito perché- ancora oggi- conferma il voler essere e sentirmi turchese.

Colori Ignorerò la tinta del mio cuore fino a quando il cielo non sarà sempre azzurro e quella nuvola non avrà mostrato il suo ultimocolore

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Foto d’autore Tavolozza di colori rivisitata Il mondo dei colori scelto dal nostro fotografo

United Colors. Foto di Francesco Bellesia La foto d’Autore di questo primo mese del 2022 è uno scatto intitolato “United Colors”. La tavolozza del nostro fotografo è una tavolozza rivisitata, che comprende una composizione di colori particolari. Un’immagine che fa pensare a molto altro: anche ai trucchi, all’arte di colorare, a tinte comunque non banali. Non sono né vogliono essere “tutti i colori del mondo”, ma probabilmente quelli preferiti in un determinato momento dall’artista.

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Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.

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Salute CHE COS’È LA GIOIA? ACCUMULARE LIKE, REALIZZARE UN DESIDERIO …O VEDERE I 7 COLORI DI UN ARCOBALENO? Un viaggio tra le emozioni primarie- tra cui la gioia- e le emozioni secondarie Di Rosa Mininno - psicoterapeuta e ambasciatrice della lettura per il centro del libro MiC (Ministero della Cultura), e presidente della Scuola Italiana di Biblioterapia

Rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto: i 7 i colori di un arcobaleno Senza alcun dubbio per me l’emozione della gioia è, alzando gli occhi, vedere un meraviglioso arcobaleno. Vederne uno doppio ancora di più. Una gioia per gli occhi e per la mente. Conoscere poi la formula fisica dell’arcobaleno una gioia che arricchisce la conoscenza dell’ambiente naturale in cui viviamo. La gioia è un’emozione primaria, come la rabbia, la paura, la tristezza, la sorpresa, il disprezzo, il disgusto. → Le emozioni primarie sono universali, innate, non hanno né sesso, né età ed hanno una base biochimica. Sono così da sempre, fin dai tempi dell’uomo primitivo. Sono panculturali. Sono fondate su un meccanismo genetico di espressione. Darwin nel suo libro “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali “ ipotizzava che le emozioni fossero la chiave della sopravvivenza del più forte, in base all’universalità della fisiologia delle emozioni, trasmessa e usata nel corso dell’evoluzione della specie. Troviamo espressioni facciali identiche, ad esempio, per il disgusto nei popoli non “ civilizzati “ e in popoli occidentali o in popoli di altre parti del mondo.

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Salute

La Danza. Henri Matisse (1910). Un dipinto celebre che rappresenta la gioia di vivere

→ Le emozioni secondarie sono una combinazione delle emozioni primarie, legate alla crescita dell’individuo, si sviluppano attraverso le interazioni sociali, con variabili ambientali e culturali. Sono l’allegria, l’invidia, la gelosia, l’ansia, la vergogna, la speranza, la rassegnazione, il perdono, l’offesa, la nostalgia, il rimorso, la delusione. Sono dunque più complesse delle primarie, istintuali, più immediate e funzionali alla sopravvivenza, I centri cerebrali delle emozioni sono il sistema limbico, l’amigdala e l’ipotalamo. Dunque le emozioni hanno una base biochimica. Dobbiamo però fare una distinzione tra emozione, umore e temperamento. L’emozione è transitoria, ben identificabile in risposta alla causa che la determina . L’umore ha una valenza soggettiva e si protrae nel tempo . Il temperamento è l’insieme delle caratteristiche psichiche di un individuo è innato e fondato su fattori genetici .

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Salute Strettissimo è il rapporto mente- corpo. All’attenzione di molti studiosi è l’influenza dei processi mentali ed emotivi sulla salute e sulla malattia. Il concetto di salute è complesso: l’OMS, l’organizzazione Mondiale della Sanità, definisce la salute come un equilibrio tra le dimensioni fisica, psichica e sociale. Non si tratta, dunque, di semplice assenza di una qualsiasi patologia fisica o psichica, ma di un concetto complesso che pone attenzione anche all’ambiente sociale e culturale in cui l’individuo vive e al quale appartiene. Ed è proprio nel circuito mente-corpo la chiave per stare bene e provare emozioni positive, non distruttive. Ci vorrebbe un libro intero per parlare di tutte le emozioni (lo scriverò), ma questo articolo è dedicato alla gioia, un’emozione primaria, innata, universale. Quali sono le molecole della gioia? Le endorfine, l’ossitocina, la serotonina. Sì, il nostro meraviglioso corpo, il nostro meraviglioso cervello, la nostra meravigliosa mente sono in grado di produrre le molecole che ci fanno stare bene. Non abbiamo bisogno di droghe. La gioia è una risposta affettiva positiva ad una situazione, ad un evento, ad una persona, ad un luogo, ad una cosa, ad un pensiero ai quali la persona attribuisce un valore affettivo.

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Salute Il sorriso, che implica l’impiego dei muscoli facciali e oculari, è l’espressione comunicativa universale della gioia, che genera anche una serie di correlati fisici legati al piacere, ma genera anche effetti cognitivi positivi nella persona che la prova. Nel libro di Eliana Liotta “ Prove di felicità. 25 idee riconosciute dalla scienza per vivere con gioia”, proprio per alimentare la plasticità del cervello, stimolare l’equilibrio psicofisico, la creatività, vengono evidenziati studi scientifici in merito all’alimentazione, agli esercizi di respirazione, alle tecniche di meditazione, all’autocontrollo dell’ansia e a molto altro. Gioia è serendipità. La proviamo quando per caso, cercando un’altra cosa, troviamo inaspettatamente quella che avevamo perso o cercato tanto senza trovarla. Ed eccola lì davanti ai nostri occhi. Gioia, ho scritto all’inizio, è guardare un arcobaleno. Non c’era, c’è, scompare. Splendido sempre, affascina grandi e piccoli. E’ sempre comparso così all’improvviso in cielo fin dalla notte dei tempi e quante storie sono nate sull’arcobaleno! Gioia è saltare dentro un raggio di sole in una giornata gelida . Quando eravamo bambini gioia era saltare con le galosce dentro una pozzanghera . E’ incontrare una persona alla quale vuoi bene che non vedi da tanto tempo. Gioia è un cane che ti fa le feste quando torni a casa e ti aspetta . Gioia è una bella canzone che canti assieme a chi canta . Gioia è fare un regalo a chi non se l’aspetta . Gioia è ricevere un regalo che non ti aspetti, all’improvviso, senza una ricorrenza, solo perché chi te lo sta facendo ha piacere di farti un regalo . Gioia è guardare la potenza dell’acqua di una cascata, aprire di prima mattina la finestra e trovare il sole, affacciarsi sul mare o su un bel panorama montano. Gioia è giocare a palle di neve, soprattutto lì dove non nevica quasi mai. Gioia è avere tra le mani un bel libro pop up, che non è solo per bambini, ma anche per noi adulti. Io ne ho un po’, molto belli. Ci vuole maestria per farli. Ne ho anche uno, molto grande, con le poesie del celebre giapponese Katsushika Hokusai. La sua “Grande Onda” esce dal libro. Gioia è un amico che ti chiede di perdonarlo per averti abbandonato . Gioia è la soddisfazione che provi quando hai scritto l’ultima pagina del tuo libro . Gioia è bellezza. Della gioia abbiamo bisogno per vivere, soprattutto in questo momento storico così difficile. E’ un propulsore di vita, una stella cometa come quella che guidò i Re Magi da Gesù Bambino.

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Salute

Esplosione di colori e, perchè no, anche di gioia

Letture di approfondimento: Candace B. Pert , Molecole di emozioni, Ed.TEA 2020 Charles Darwin, L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali, Ed. Bollati Boringhieri, 3° edizione Ekman P. Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Ed. AMRITA, 2008 Eliana Liotta, Prove di felicità. 25 idee riconosciute dalla scienza per vivere con gioia,Ed. La Nave di Teseo.

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Sessualità PER UN SESSO MIGLIORE ATTENZIONE ANCHE AI COLORI DELLE PARETI DELLA CAMERA DA LETTO! L’esperto ci indica quali sono le tinte di un ambiente da preferire (e quali quelle da scartare) per fare l’amore Dottor Marco Rossi – sessuologo e psichiatra www.marcorossi.it

Una camera color caramello, l’ideale per un buon sesso! Chi l’avrebbe mai immaginato? Il colore più “erotico” per una camera da letto è il caramello: è quanto risulta da uno studio effettuato dalla catena alberghiera Travelodge. Le coppie che fanno l’amore in stanze color caramello sarebbero molto più portate ad un’intensa attività sessuale, che si traduce ad almeno tre volte la settimana. Da scordare quindi il luogo comune che porta molti a pensare che il rosso, da sempre considerato sinonimo di passione, valga anche come “eccitante”in camera da letto. Al contrario, il rosso parrebbe avere un effetto calmante. A meno che non si soffra di insonnia, è bene evitare anche il blu. Che è invece un ottimo amico del riposo: infatti chi ha dipinto le proprie pareti con questa tonalità dorme in media 7 ore e 52 minuti. Il perché è intuibile facilmente: l’azzurro viene associato a senzazioni di calma e a immagini che ispirano tranquillità (in primis

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Sessualità

Pareti rosse: proibite per far bene l’amore acqua del mare o cielo terso) e, inoltre, è dimostrato che aiuti a mantenere bassa la pressione sanguigna. A favore del relax- ma non del sesso- influiscono anche il verde e il giallo, con una media di sonno notturno di 7 ore e 40 minuti. Bocciato per il sesso anche il color viola, poiché si tratta di una tinta che, specie dopo una giornata intensa di lavoro, rende difficile rilassarsi… figuramoci predisporsi a fare sesso! Vietati anche ilgrigio, accusato di provocare senzazioni di tipo depressivo, e pure il marrone. Se poi non abbiamo denaro né tempo per ritinteggiare le pareti della nostra camera da letto- ”rivalutiamo la vecchia camporella!- esorta Marco Rossi- Amarsi tra la natura e sotto un cielo stellato facilita senza dubbio la creazione della giusta atmosfera erotica”

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Bellezza CON LE MASCHERINE SI DEVE DIRE ADDIO ALL’AMATO ROSSETTO? Assolutamente no: con i giusti accorgimenti e consigli dell’esperto è possibile continuare a truccare le labbra con i colori preferiti Professor Antonino Di Pietro – dermatologo plastico

http://www.dermoclinico.com Da quando esiste l’obbligo di coprire la bocca con le mascherine anti-Covid, molte donne si sentono meno sicure di sé, senza la possibilità di esibire le labbra colorate del rossetto preferito, magari un bel rosso fuoco. Ma, dicono gli esperti, è sbagliato arrendersi e rinunciare a questa parte importante di make-up : basta scegliere i prodotti giusti, ossia quelli che non lasciano residui e che garantiscono una lunga durata. La rivoluzione del rossetto è una declinazione del lipstick che trova nella versione liquido-acquosa con finish opaco l’antidoto perfetto al tanto odiato transfer sulla mascherina. Non si tratta di semplici rossetti fluidi perché le lip tint hanno texture completamente diverse rispetto al classico make-up liquido, con una formulazione a base d’acqua che permette ai pigmenti di penetrare in profondità. Le tinte sono leggere, impalpabili e non creano alcun tipo di strato, per un risultato «zero materia» e una colorazione effetto stained, come se il pigmento fosse inchiostro semitrasparente tatuato sulla pelle.

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Bellezza

Per non nascondere le labbra nè il rossetto… Ma per chi non sa né vuole rinunciare a labbra molto colorate, sono disponibili anche molti validi rossetti liquidi a lunga durata che creano una pellicola sottilissima ad asciugatura rapida, non sbiadiscono né macchiano per gran parte della giornata (fino a un massimo di 24 ore) . L’importante è sceglierli longlasting, ma pure opachi, dato che il finish mat è quello che meglio si asciuga sulle labbra, garantendo così una maggiore tenuta e durata . Prima però è bene sapere che cosa rischiano le labbra sotto la mascherina. «Con la mascherina le labbra soffrono a causa del calore e dell’umidità che alterano il film lipidico, provocandone la disidratazione», spiega il professor Antonino Di Pietro, direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis di Milano- . Inoltre, la mascherina può essere veicolo di infezioni perché il caldo- umido che si forma favorisce il proliferare di batteri e funghi, causando la comparsa degli antiestetici spacchetti laterali . Si tratta delle “perleche”, dette anche cheilite o ragadi . Attorno alle labbra potrebbe, inoltre, aumentare la dermatite seborroica, portando a una dermatite periorale» . Come mantenere allora labbra sane, belle e con rossetto perfetto anche sotto la mascherina? «Innanzitutto è bene evitare di utilizzare le mascherine per molto tempo senza cambiarle . Per le labbra sono consigliabili

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Bellezza trattamenti rigeneranti a base di balsami. Il balsamo è meglio di una crema perché non contiene acqua ed essendo a base grassa riesce a idratare maggiormente. È fondamentale applicare un balsamo prima delle “tinte labbra”: trattandosi di rossetti a base acquosa, infatti, potrebbero rendere poco su labbra screpolate e seccarle ulteriormente, quindi è importante creare una base grassa. Altro importante accorgimento: evitare di passare la lingua sulle labbra, dato che con questo gesto si va a rimuoverne il film lipidico, provocando ulteriore disidratazione».

Le sostanze che aiutano a idratare le labbra e a fissare meglio il rossetto. «Puntate sulla Fospidina, un complesso ricco di fosfolipidi, e sull’aminozucchero glucosamina . Anche il Beta-glucano, uno zucchero naturale, è un ottimo alleato dell’idratazione delle labbra . Come sostanze rigeneranti, giocano un ruolo chiave le ceramidi di origine vegetale, secondo le ultime ricerche in campo dermatologico . Ottime anche le creme con Alukina, un composto attivo che aiuta a ricreare il film lipidico superficiale e ha pure un effetto antinfiammatorio . Per aumentare la durata del rossetto, l’ideale è applicare prima un balsamo a base di Fospidina arricchito con microsfere di acido ialuronico».

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Bellezza E infine, come struccare le “tinte labbra” e i rossetti a lunga durata? «Le tinte labbra e i rossetti liquidi a lunga tenuta sono piacevoli durante il giorno - quando non sbiadiscono né sbavano minimamente - però diventano meno amabili di sera, non appena arriva l’ora di struccarsi . La loro essenza longlasting li rende infatti difficili da rimuovere, dunque è bene procurarsi gli struccanti adatti. Il più valido in questo caso è quello bifasico: composto da una parte acquosa e da una parte oleosa da miscelare assieme appena prima dell’applicazione, elimina ogni traccia di make-up tenace, compreso quello waterproof. Altrimenti risultano ottimi pure l’acqua micellare e gli oli vegetali (primi fra tutti quello di mandorle e di jojoba). Qualsiasi sia la soluzione struccante che sceglierete, non strofinate mai le labbra in maniera energica, ma optate per un trattamento delicato . Appoggiate sulle labbra per circa un minuto un batuffolo di cotone imbevuto di olio vegetale, di struccante bifasico o di acqua micellare . Concludete tamponando e picchiettando le labbra con leggeri movimenti».

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Incursioni INCHIOSTRO Tatuaggi di tutti i tipi, e ormai esibiti a qualsiasi età. Nonostante la recente messa al bando di molti inchiostri colorati, in quanto dannosi Di Marco Vittorio Ranzoni – giornalista

Tatuaggio giapponese (primi del ‘900)

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Incursioni Colorati e non, bellissimi o bruttissimi (ma degustibus, ci mancherebbe), piazzati un po’ ovunque: erano retaggio di ergastolani e marinai e ora catturano gli sguardi su spiagge e campi da gioco. Ormai è quasi più facile contare chi non ne ha nemmeno uno piccolo piccolo. Lo spunto mi viene leggendo che il governo cinese ha proibito ai calciatori di mostrarli e li ha esortati a coprirli o cancellarli: in ogni caso sarà vietato farne di nuovi. I tatuaggi in Cina sono tradizionalmente malvisti, ma negli ultimi tempi sono divenuti popolari tra i giovani, influenzati dalla pratica diffusa in occidente: la preoccupazione del governo è tale da indurre la Federcalcio cinese a spedire i giovani atleti in campi militari per “educazione del pensiero”. Cesare Lombroso, in un suo saggio molto popolare, ne aveva descritto l’uso quasi esclusivo tra i criminali, arrivando a catalogarne le tipologie e la disposizione sul corpo nel celeberrimo volume ‘L’uomo delinquente’, in cui cercava di fornire alle sue teorie una validazione scientifica.

Eppure i tatuaggi nascono nella notte dei tempi: erano diffusi tra gli Egizi e presso l’antica Roma, spesso con significato religioso, per marcare la propria identità spirituale. Sono state ritrovate mummie del 500 A.C. ornate di complessi disegni tatuati. Vietata a fasi alterne dai Romani e poi nel Medioevo dalla Chiesa, la pratica è sopravvissuta anche in clandestinità. Solo la religione musulmana la proibisce.

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Incursioni

Principessa di Ukok, monti Altai, mummia di 2.500 anni fa Molti militari, ma anche gente comune dei popoli rivieraschi soggetti alle scorribande ottomane, si facevano tatuare il simbolo della croce, così da assicurarsi una sepoltura in terra consacrata, in caso di morte violenta. E i marinai di tutti i tempi ne portano di distintivi per facilitare il riconoscimento dei corpi ritrovati in mare a seguito di naufragi. In Europa è notizia recente la messa al bando di molti degli inchiostri colorati usati dai tatuatori, perché potenzialmente dannosi . In Italia ci sono 7 milioni di persone tatuate e -secondo i dati dell’istituto Superiore di Sanità- nel 90% dei campioni analizzati si rilevano livelli di cromo superiori alla soglia di sicurezza . Rischi a parte, dando per assodate le raccomandazioni di rivolgersi a centri controllati, resta un fenomeno che ha assunto dimensioni importanti. Si tengono fiere internazionali dove artisti della ‘macchinetta’ dipingono veri capolavori sulla pelle dei loro modelli. Io ho un ricordo del servizio militare, dove un commilitone sardo aveva iniziato una fruttuosa attività notturna di tatuatore sui generis nei bagni della camerata. Senza alcuna competenza, senza nessun presidio igienico, ma con piglio autorevole, scarnificava in maniera rudimentale spalle e avambracci utilizzando una serie di pennini. Sì, quelli che ancora negli anni sessanta

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Incursioni

Cannucce calligrafiche e pennini si infilavano sulla cannuccia e si intingevano nell’inchiostro dell’ampolla rotonda incassata nel banco. Ho visto nascere immagini di ancore, croci e cuori mischiati al sangue. Un unico colore, il blu. Quello di una boccetta di inchiostro Pelikan che una notte un insensibile ufficiale di picchetto sequestrò al nostro amico, che finì in punizione . Lasciando anche opere incompiute, che di sicuro troneggiano ancora sulla pelle di molti ultrasessantenni come ricordo del CAR alla caserma Turinetto di Albenga. E’ vano chiedersi se uno sghiribizzo di gioventù possa poi diventare un ingombrante rimorso: ormai ci si tatua a tutte le età. Unica accortezza che mi sento di condividere: si facciano in punti che hanno probabilità di rimanere un po’ tonici col passare degli anni: una farfalla a vent’anni può diventare un grosso ventaglio sbilenco, dopo un po’ . Che poi, a pensarci, va bene lo stesso : basta non entrare nel catalogo di Lombroso .

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Anche i tatuaggi invecchiano… spesso prima di noi!


il tempo della Grande Mela UN CALEIDOSCOPIO DI COLORI: È NEW YORK VISTA DAL REGISTA TEO MARINAKIS Come viene usato il colore per raccontare storie nei film? In un’intervista le risposte a molte domande a riguardo di Mauro Bossi* e Flavia Caroppo (giornalista, nostra corrispondente da New York) La nostra psicologia è intrinsecamente influenzata dal colore che ci circonda, ma che cosa significa per noi il colore? Come possono toni e sfumature, o anche bianchi e neri, trasmettere idee, emozioni, sensazioni? E come viene usato il colore per raccontare storie nei film? In esclusiva per GenerAzione Over 60, lo scrittore e attore Mauro Bossi, istriano di nascita e Newyorkese d’adozione, l’ha chiesto a Teo Marinakis, pluripremiato regista e direttore della fotografia, a ridosso dell’uscita del suo nuovo film “Vivo”. Teo, dato che a New York vivi e lavori, guardi la città con occhi diversi, e soprattutto tramite l’obiettivo della cinepresa. Quali sono i colori della Grande Mela che ti ispirano dal punto di vista creativo?

Il regista Teo Marinakis fotografato da Arfan Ghani

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il tempo della Grande Mela La città è vista da molti come una giungla di cemento ma, per chi la conosce come me, il colore è ovunque. Prendete Times Square per esempio, e le sue luci artificiali che cambiano in continuazione. In pochi isolati raggiungete Central Park e vi ritrovate immersi nella natura, in un contrasto estremo tra il verde dei prati e le luci al neon che vi siete lasciati alle spalle. E poi basta girovagare per la città per ritrovarsi all’improvviso davanti a vere e proprie esplosioni di colore. Come i giganteschi murales dell’incredibile artista di strada Kobra. Insomma, quando si tratta di New York, si può davvero trovare un assaggio di tutto. Ci vuole solo un po’ spirito d’esplorazione.

Due esempi della street art di Kobra

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il tempo della Grande Mela Il tuo ultimo film, Vivo, sta spopolando in tutti i Festival. Che ruolo gioca il colore in questa tua pellicola? Vivo è davvero un film “di” New York, la città e i suoi colori sono fondamentali per raccontare la storia. Vivere qui non è facile, questa città può davvero risucchiarti sino all’ultima goccia d’energia, e tutto può sembrare molto grigio. Così accade al protagonista, Dom, che nel corso della film deve affrontare una serie di sfide che lo metteranno alla prova. Fino a quando trova l’ispirazione, e finalmente anche il colore rientra nella sua vita. Abbiamo pianificato l’uso del colore molto meticolosamente per mostrare le emozioni del giovane immigrato con il sogno della musica. Una delle cose più importanti, per me, era mostrare il mondo attraverso gli occhi di Dom e far diventare tutto più luminoso a mano a mano che lui stesso diventa più ottimista sul futuro.

La locandina del film Vivo, di Teo marinakis

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il tempo della Grande Mela Come hai scelto i set delle riprese e che impatto hanno sulla combinazione di colori? Abbiamo girato in tutta New York: da Harlem a Fire Island, fino a Forest Park nel Queens. Qui abbiamo ripreso la “sequenza forestale”. Volevo una location che assomigliasse davvero ad una foresta, ma senza dover lasciare la città. Abbiamo esplorato diversi parchi cittadini e abbiamo scoperto che a Forest Park ci si può perdere e immergere come si farebbe in una vera e propria foresta. In altre scene volevo catturare il paesaggio urbano e ho scoperto che il quartiere di East Harlem racchiude perfettamente quello che avevo in mente. La scena della foresta supera lo stereotipo di un film “di” New York; ce la racconti? La scena della foresta è simbolica, non volevo fosse un posto nel quale fosse riconoscibile la città, né che avesse altri riferimenti geografici. Volevo rappresentare il “posto felice” di un personaggio, quel luogo a metà tra l’onirico e il reale, dove Dom viene trasportato ogni volta che le cose intorno a lui non vanno bene. Un luogo pieno di natura e di un senso di pace. Un luogo verde. Che cosa ha portato il colore verde alla tua scena? Ha dato al personaggio principale un senso di sicurezza e conforto che ricorda l’infanzia, poiché è nel suo posto felice. Generalmente, nei film, i colori possono essere usati per rappresentare temi diversi. Qui ho usato il verde per rappresentare l’infanzia, un’età nella quale è richiesto un grado inferiore di maturità, nella quale è consentito sbagliare (per imparare) e le difficoltà non sono poi così insormontabili. Anche se sono cresciuto in città, per me il verde in qualche modo è il colore dell’infanzia, vista la sua associazione con la natura. Per gli abiti ho scelto il celeste, il giallo, il viola e l’arancione, creando così una tavolozza complementare che, per contrasto, fa emergere i personaggi in una scena “monocromatica”.

Una scena dal film VIVO di Teo Marinakis, girata a Forrest Park, nel quartiere del Queens (a nord di Manhattan).

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il tempo della Grande Mela Per trasformare la realtà che ti circondava e adattarla al tuo copione hai lavorato con l’illuminazione? Con il design del set? Hai incontrato qualche sfida? Qualche? Tante! (Ride). A differenza delle grandi produzioni, per Vivo abbiamo lavorato molto con la luce naturale. Voi pensate che le scene che vedete nei film di Hollywood siano state girate così come sono nella vita reale? Ovviamente no! La maggior parte delle scene sono meticolosamente illuminate, persino il buio e le ombre sono ottenute sapientemente dagli addetti alle luci. Nel cinema Verite, in quello che di Dogme 95, e nelle produzioni con un budget limitato accade esattamente l’opposto. Ed è questo il percorso che abbiamo preso per VIVO. Ho scelto di illuminare artificialmente solo certe scene che richiedevano colori o contrasti specifici, lasciando che la luce naturale guidasse il mio lavoro, quello della troupe e degli attori. Il che significa anche che abbiamo dovuto girare ad orari impossibili, a volte. Ammetto però di aver anche usato saltuariamente le luci per aiutare la luce naturale. Di che colore hai avuto bisogno per illuminare artificialmente? Uno dei colori principali che abbiamo usato all’interno dell’appartamento è il viola, che ha una bella caratteristica illusoria. Può essere molto etereo, e volevo usarlo per l’appartamento del protagonista, in modo da poterlo associare al suo stato mentale. La soluzione che ho trovato è stata quella di utilizzare le lucine RGB che cambiano colore, le stesse che si possono trovare in qualsiasi stanza di un adolescente di oggi, o nei bar di Korea Town qui a New York.

Ancora dal film VIVO: tramite l’uso di luci LED RGB viola il regista Teo Marinakis rappresenta uno stato d’animo del protagonista.

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il tempo della Grande Mela Quella di cambiare il colore dell’ambiente circostante (in questo caso a New York) in base agli stati d’animo del personaggio e a ciò che sta accadendo nella storia è una delle caratteristiche che, secondo la critica, ti contraddistinguono. Questo raccontare per mezzo dei colori lo fai sin dal tuo primo cortometraggio, Cabourg, che ha vinto il premio per la scelta del pubblico all’Hip Hop film festival. Che cosa volevi comunicare in quel film? In quel film, che parla di un gruppo di rapper che vanno in una villa francese per celebrare la fine del loro tour europeo, ho abbinato specifici colori e luci alle diverse parti della storia. Il film inizia presto, durante la giornata, con tutta la band e l’entourage che si divertono e festeggiano. Poi la luce naturale del giorno si trasforma nei bellissimi colori dell’ora d’oro, al tramonto. Queste sono le scene con gli arancioni vivi e i rosa mozzafiato, poco prima che tutto diventi scuro e scenda la notte. Proprio quando la storia si trasforma in un thriller e i personaggi iniziano a scomparire. A questo punto abbiamo un set molto più scuro, e i colori che prima erano molto luminosi e caldi ora diventano freddi, fiochi e opachi. La scena è la stessa e così pure il design del set, ma sono la luce e i colori che fanno vedere tutto in prospettiva diversa. Poi ho usato altri “trucchi”, come una tenda giallo senape e una carta da parati gialla che indica la progressiva instabilità mentale di uno dei personaggi.

Nel pluripremiato film Cabourg, Teo Marinakis utilizza il giallo per indicare lo scivolamento del protagonista verso la pazzia. Prendiamo un colore specifico: il blu del cielo d’estate a New York. Puoi dirmi come lo si usa nel cinema o quello che rappresenta per te personalmente. Interessante scelta di colore… In genere noi associamo il blu con i cieli tersi e le giornate di sole. Ma quando il blu è usato nella pellicola è per rappresentare gli ambienti freddi. Quando giriamo in un luogo molto freddo, il grado di colore è portato verso una tavolozza analoga blu. Al contrario di una tavolozza più rossa,

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il tempo della Grande Mela che è associata ad un ambiente più caldo. Ma il cielo blu può anche essere il colore complementare perfetto alla maggior parte dei toni della pelle, creando il classico look “arancione e verde acqua”. Perché dici che la temperatura è associata a colori specifici nel cinema? La temperatura del colore nella pellicola è un aspetto molto importante della cinematografia, e viene misurata in gradi Kelvin. Girare all’esterno (luce del giorno) o all’interno (con le luci al tungsteno) dà risultati diversi con luci diverse. Per esempio, se giriamo una scena all’interno con una telecamera diurna e luci gialle, sembrerà arancione. L’ideale è quello di girare una scena con una tavolozza di colori il più possibile neutra ed equilibrata. La ripresa di una scena avviene in un cosiddetto “spazio colore registro”, in cui cerchiamo di memorizzare la maggior quantità di informazioni sul colore in un file video. L’immagine così girata appare molto grigia ma poi, in post-produzione, l’esperto del colore inserirà i dettagli relativi alle diverse tonalità, modificando così l’immagine fino ad arrivare al risultato finale voluto dal regista.

Sopra: Prima (a sinistra) e dopo (a destra) la modifica del grado di colore di una scena; dal film di Teo Marinakis Il vaso di Pandora

È in questo momento che entra in gioco l’arte del regista. Tu hai una capacità speciale, quella di mettere insieme i colori giusti per creare sia la realtà esteriore che il mondo interiore dei tuoi personaggi. I tuoi colori, dice la critica, sono la proiezione all’esterno delle loro emozioni. Parliamo quindi del rosso. Cosa significa per te come regista? La maggior parte delle persone ha una nozione preconcetta del colore rosso. Si pensa subito all’amore e alla passione, a film come American Beauty. Ma il rosso può anche simbolizzare il pericolo, la violenza, la rabbia. Pensate alla scena del club in Irreversible di Gasper Noe, dove tutto è rosso e c’è un estremo atto di violenza.

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il tempo della Grande Mela Può cambiare anche il colore di un personaggio? Sicuramente. Ecco a cosa ci riferiamo come colori di transizione. Non deve necessariamente essere il personaggio stesso che cambia colore, anche se potrebbe essere. Può anche essere uno spostamento costante in qualsiasi aspetto del colore come il contrasto o la saturazione che cambiano in tutta la pellicola. Quali sono altri aspetti della relazione tra colore e personaggi di un film? A volte associamo un colore specifico a un personaggio specifico: lo si può fare attraverso i loro vestiti, o l’ambiente in cui vivono, o persino attraverso il loro colore dei capelli, che può essere utilizzato per significare cose diverse. Qual è una regola che non dovresti mai infrangere sul colore nel cinema? Ci sono molte regole generali nel cinema che sono importanti da conoscere anche per infrangerle in modo creativo e mirato. Quello che non si dovrebbe mai fare per quanto riguarda il colore è accontentarsi di ciò che si ha. Sperimenta sempre diverse tavolozze, toni, combinazioni di colori fino a trovare ciò che si adatta alla storia che stai cercando di raccontare. Il regista

Il regista Teo Marinakis dietro le quinte di un video musicale. Fotografia di Jolie Chen.

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il tempo della Grande Mela Teo Marinakis è cresciuto a Santiago del Cile da madre brasiliana e padre argentino. Ha studiato cinema e televisione alla NYU’ Tisch school of the Arts di New York, dove vive e ha fondato la società di produzione indipendente OOOF & The Walrus. Il suo film Cabourg ha vinto il premio Audience Choice Award all’Hip Hop Film Festival di Harlem. Scoprite di più sul suo sito web, o sulla sua pagina instagram

Il film Quest’anno Teo sta preparando l’uscita del suo nuovo film, VIVO, che racconta l’esperienza di un giovane immigrato che sogna di sfondare nel mondo della musica. Bloccato in un circolo vizioso di delusioni e lavori senza sbocco, il protagonista lotta per non perdere l’ispirazione e non mollare, cercando la forza per rimanere a New York e continuare a sognare.

Poster ufficiale del film VIVO, del regista Teo Marinakis

L’autore Mauro Bossi è un attore e scrittore newyorkese che lavora per il cinema, il teatro e la televisione. La sua più recente performance, L’ultimo uomo al mondo, è stata messa in scena a fine ottobre in una performative space a Hell’s Kitchen, New York. Potete scoprirne di più sulla sua pagina Instagram @maurotomorrow

L’attore, autore e sceneggiatore Mauro Bossi è nato in Istria.

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Stile Over IL COLORE DI UN SORRISO Per illuminare un volto basta sorridere, e ne risentirà anche il nostro stato d’animo. Come dimostrano ricerche e progetti autorevoli Di Paola Emilia Cicerone –giornalista scientifica

Il prima e il dopo di un sorriso Come cambia la nostra espressione quando sorridiamo? Forse non ce ne rendiamo conto, ma diventiamo davvero una persona diversa. Ne ho avuto l’ennesima conferma pochi giorni fa, imbattendomi in So I asked them to smile ( Poi gli ho chiesto di sorridere http://www.soiaskedthemtosmile.com/ ), un progetto fotografico realizzato dal fotografo australiano Jay Weinstein: ritratti scattati soprattutto in India, ma anche in altri paesi, che mostrano il “prima” e “ dopo” di uno stesso volto. Sfogliandoli ci si rende conto che basta un sorriso a trasformare espressioni cupe e apparentemente ostili in apertura, gentilezza, comunicativa . Tutto è cominciato nel 2013 a Bikaner nel Rajasthan : il fotografo era rimasto colpito da un volto, ma l’espressione minacciosa dell’uomo l’aveva dissuaso dallo scattare

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Stile Over e si era dedicato ad altri soggetti presenti, fino quando lo sconosciuto non si era deciso a rivolgergli la parola : “Fotografa anche me ! ”, aveva chiesto, e il fotografo, di rimando : “Sorridi !” Ma lasciamo la parola a Weinstein : “In quel momento la sua faccia si trasformò, irradiava calore umano, gli occhi brillavano mostrando un senso dell’umorismo di cui non mi ero accorto, persino la postura si era ammorbidita”, racconta il fotografo. “Ho deciso allora che il mio prossimo progetto sarebbe stato documentare gli effetti di un sorriso sul volto di uno sconosciuto, ricreare l’atteggiamento mentale con il quale lo guardiamo e mostrare come un sorriso basti a trasformare le nostre convinzioni”. E le foto lo confermano; d’altronde lo sappiamo: il sorriso ha un effetto rassicurante così potente da passare anche attraverso il telefono: se sorridete l’interlocutore se ne accorgerà dal tono di voce.

Anche i neonati sorridono: all’inizio si tratterebbe secondo gli esperti di una semplice reazione fisiologica che poi diventa un’espressione con intenti comunicativi. In realtà non sappiamo bene come il gesto di scoprire i denti, che per la maggior parte delle specie animali ha un intento aggressivo, sia diventato per gli umani un segnale di benevolenza: secondo alcuni antropologi potrebbe dipendere dal fatto che mostrare i denti senza spalancare la bocca è anche tra alcuni primati un segno di sottomissione. Comunque sia, resta il fatto che solo gli umani sorridono davvero, anche se chi possiede un cane o un gatto tende a pensare che il proprio beniamino possa in determinate occasioni fare un sorrisetto. Che non manca mai di

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Stile Over intenerirci : lo conferma la passione per il Quokka, un piccolo marsupiale ribattezzato “l’animale più felice del mondo» perché la sua espressione appare sorridente, indipendentemente dal suo stato d’animo e da qualche abitudine discutibile, come quella di lanciare i propri cuccioli ad eventuali predatori per salvarsi .

Non sembra che questo cane sorrida? Jonathan Daniels (Unplash) D’altra parte sappiamo anche bene che un sorriso può essere falso: un’analisi approfondita è stata realizzata da Paul Ekman, lo psicologo statunitense che ha studiato il riconoscimento delle emozioni (e ispirato la serie televisiva Lie to me). Ekman ne ha classificato diversi tipi, e tra questi l’unico sorriso genuino è il cosiddetto “sorriso Duchenne” dal nome del medico francese che l’ha descritto per primo: un sorriso che non muove solo le labbra, ma anche le guance e i muscoli intorno agli occhi, tanto da far apparire le rughette di espressione. E da permetterci di cogliere il sorriso del nostro interlocutore, anche se indossa la mascherina. Personalmente non ho mai amato molto sorridere, forse per timidezza o perché non ho denti bellissimi. Lo sanno bene gli amici che cercano di ottenere da me un’espressione decente prima di scattarmi una foto. Chi mi è più vicino ha scoperto da tempo che una vecchia, banalissima barzelletta - “ Pierino entra in un caffè. Splash”- funziona praticamente sempre. Quando invece sono da sola, e devo mostrarmi in video o in foto con un’espressione accettabile, mi sforzo di ridere, e dopo un po’ ottengo il risultato voluto. E mi sento anche meglio: è dimostrato, scientificamente, che le espressioni facciali non sono solo lo specchio del nostro stato d’animo, ma possono condizionarlo.

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Stile Over E anche i sorrisi fasulli fanno bene, come confermano diversi studi, alcuni dei quali realizzati chiedendo ai soggetti coinvolti nell’esperimento di reggere una matita tra i denti, in modo da atteggiare le labbra a un sorriso senza alcuna connotazione emotiva. Per quanto mi riguarda, d’ora in poi quando ho voglia di sorridere darò un’occhiata al sito di Weinstein: risultato assicurato

Paola E. Cicerone, l’autrice di questo articolo, in una foto del 2009

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Il desco dei Gourmet ©GABRIELE REINA

©GABRIELE REINA

LA SALUMERIA DEL CENTRO DI MILANO CHE VENDE GENTILEZZA CORTESIA E UMANITÀ Informazione promozionale a cura della Redazione

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Il desco dei Gourmet Sono stati due anni difficili, anzi difficilissimi, in primis per la pandemia, che purtroppo non sembra ancora essere alle nostre spalle. Per fortuna a Milano c’è un negozio che ogni giorno ha pensato non solo a vendere salami, formaggi e varie specialità culinarie, ma ha venduto- e continua a vendere- una merce ben più preziosa che consiste in gentilezza, cortesia, umanità. Il merito va alle risorse umane della ditta Zoppi & Gallotti, che hanno saputo essere concretamente disponibili, regalando sempre ai clienti un sorriso unito ad umanità . E, spesso, ringraziandoli per la loro fedeltà e anche per la pazienza necessaria quando i tempi di attesa si dilatavano per rispettare le necessarie misure anti Covid: uso delle mascherine, distanziamento fra le persone, obbligo di entrare in negozio non più di un certo numero per volta... “Possiamo parlare di due squadre che lavorano in sintonia- dice Giuseppe Zoppi- : la “mia” è quella che opera in negozio al reparto della vendita dei prodotti, senza dimenticare chi è alla cassa e chi è in ufficio. Insomma, vendiamo anche emozioni. Gastronomiche ma non solo”.

Giuseppe Zoppi e il team del reparto vendita

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Il desco dei Gourmet La seconda squadra, capitanata da Carlo Gallotti, lavora in cucina, per il reparto produzione: “ Qui si parlano diverse lingue: oltre all’italiano, anche il cinese e il singalese. Un grazie particolare anche ai nostri fattorini, indispensabili per la nostra attività”.

Carlo Gallotti con la squadra del reparto produzione Via privata Cesare Battisti 2, Milano Tel. 02/5512898. Per ordini e richiesta di preventivi potete scrivere una e-mail a: info@zoppiegallotti.com

Sito Internet: http://www.zoppiegallotti.com

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Da leggere (o rileggere) ANCHE LE EMOZIONI SONO COLORATE Ecco un libro che è in realtà un viaggio illustrato, da “gustare” con gli occhi e “sfogliare” col cuore Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

La gioia (illustrazione di Geraldine de Leòn)

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Da leggere (o rileggere) Avete presente Inside out, il film animato del 2016 che raccontava le emozioni trasformandole in veri e propri personaggi che interagivano con la giovane protagonista? ( https://youtu.be/9gw44qCRgjg) Emoziònati libro esperienziale, firmato a più mani dalle psicologhe Laura Bongiorno Letizia Ferrante e Giusi Morabito ( www.ibs.it/emozionati-libro-esperienziale-libro-vari/e/9788893414814) ci propone qualcosa di simile, con la differenza che questa volta i protagonisti del viaggio alla ricerca delle emozioni siamo noi. Che non si tratti di un saggio nel senso tradizionale del termine risulta chiaro fin dal titolo: quello di cui parliamo non è un libro “sulle” emozioni , ma un libro “con” le emozioni, le nostre, quelle che ci piacciono e anche quelle che ci mettono a disagio.

La copertina del libro. (Algra Editore)

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Da leggere (o rileggere) Alla base del percorso per imparare a capirle c’è la pratica Mindfulness, condivisa dalle autrici, che ci aiuta a vivere con quello che c’è, imparando ad accettarlo. Nato da una serie d’incontri dedicati alle emozioni - rabbia, paura, tristezza, vergogna, invidia, gioia - Emoziònati non è un manuale da leggere con un ordine prefissato. Ogni capitolo è autonomo e originale anche nello stile per rispettare l’individualità delle autrici, ma tutti sono caratterizzati dal fatto che non si tratta mai solo di leggere: ci sono esercizi da fare, pratiche meditative da ascoltare, e poi ci sono i disegni di Geraldine de Leon, immagini intense che fanno parte dell’esperienza.”Guardarle chiedendoci che impressione ci fanno e cosa significano per noi è una parte del percorso”, ricordano le autrici, sottolineando che non c’è un modo giusto di leggere questo libro: “L’unica raccomandazione è quella di utilizzare nella lettura rispetto e gentilezza per te, dandoti il permesso di prendere ciò che ti serve“. Un approccio incoraggiante anche se poi gli esercizi ci accompagnano in un percorso impegnativo che ci aiuta a riconoscere il valore delle emozioni che consideriamo più sgradevoli, come la rabbia o l’invidia. Il problema, spiegano le autrici, è che oggi viviamo in una cultura rivolta alla produttività, alla competizione, alla velocità. E facciamo fatica a dare spazio a emozioni che generano un vissuto spiacevole. Come la tristezza, che invece dovrebbe far parte della nostra esperienza umana, o la paura con cui dobbiamo imparare a convivere, evitando che il ricordo del passato o le ansie per quello che potrebbe succedere aumentino il nostro malessere. Quanto alla rabbia, capire che è un’emozione utile non significa esprimerla liberamente, ma rispettarla e imparare a comunicare quello che non ci va bene evitando di esplodere. E perfino l’invidia che tanto ci mette a disagio può avere riflessi positivi, se si trasforma in una sana competizione per ottenere ciò che abbiamo scoperto di desiderare accettando il rischio del confronto. Senza dimenticare la gioia, preziosa quanto difficile da contattare: una sensazione di apertura e di leggerezza che può nascere anche da piccoli momenti speciali ( come Le cose che piacciono a me di cui cantava Julie Andrews in Tutti insieme appassionatamente https://youtu.be/T4JaZ1MmuGA ) e che ci rende più creativi e più socievoli , oltre ad avere effetti positivi sulla nostra salute .

Il consiglio delle autrici per leggere questo volume

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Da leggere (o rileggere) Arrivati alle ultime pagine si ha la sensazione che le emozioni non siano più dei costrutti astrusi, ma delle presenze familiari . E le psicologhe chiudono il loro percorso (lasciando pagine libere in cui il lettore può raccontare la sua esperienza, e se vuole trasmetterla alle autrici) proprio con l’invito a prendere un tè assieme alle nostre emozioni, accettandole per quello che sono e imparando a conviverci.

Le autrici del libro “Emoziònati”

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Benessere DIETA E SUPRADYN DIFESE 50+: LA FORMULA MAGICA PER COMBATTERE L’INVECCHIAMENTO DEL SISTEMA IMMUNITARIO Informazione promozionale A cura della Redazione

Repetita iuvant, dicevano i latini. E questa affermazione è più che mai valida oggi quando si parla di sistema immunitario e delle modifiche che esso subisce nel corso della nostra vita. Con l’invecchiamento del corpo, infatti, invecchia anche il sistema immunitario che, nella maggioranza delle persone senior, va incontro ad alterazioni che le rendono meno in grado di rispondere alle varie sfide. Tra i numerosi cambiamenti dell’organismo con l’avanzare dell’età, vi è anche l’alterazione del microbiota intestinale, un ecosistema molto complesso in cui risiede il 70% del nostro sistema immunitario. Nei soggetti più anziani

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Benessere si viene così a creare uno sbilanciamento tra batteri che naturalmente abitano il nostro organismo; in particolare, aumentano quelli potenzialmente nocivi, (clostridi) a sfavore di quelli «buoni», (bifidobatteri) che sono fra i principali regolatori del sistema immunitario intestinale. Ciò comporta una maggiore suscettibilità alle malattie, rendendo questa fetta della popolazione (sempre più numerosa) maggiormente indifesa. Supradyn Difese 50+ con i suoi 5 miliardi di probiotici vivi Bifidobacterium animalis HN019, vitamina B12 ad alto dosaggio, niacina e zinco, è stato appositamente formulato per supportare il sistema immunitario dai 50 anni in su. Un mix di micronutrienti e uno specifico ceppo probiotico per un prodotto adatto a rispondere ad un’esigenza specifica per una popolazione che necessità di una maggiore protezione. Fino a qualche anno fa era raro sentir parlare, oltre che di sistema immunitario, anche di altri argomenti correlati come, per esempio, i micronutrienti. Per fortuna oggi abbiamo a disposizione esperti in grado di dare risposte chiare ed esaurienti, come Michela Barichella, Medico Dietologo e Professoressa presso l’Università degli Studi di Milano, alla quale chiediamo delucidazioni circa la loro importanza per gli over 50. “I micronutrienti, vitamine e minerali hanno un ruolo essenziale per migliorare il sistema immunitario e nel contrastare l’invecchiamento. Dopo i 50 anni vi sono diverse variazioni della condizione nutrizionale, come per esempio il cambiamento della composizione corporea, l’aumento della massa grassa a discapito della massa magra, alterazioni metaboliche e, soprattutto nella popolazione femminile, alterazioni ormonali. Nella donna i 50 anni corrispondono normalmente alla menopausa che comporta un diminuzione di estrogeni, spesso associata ad una calo dell’umore e un abbassamento delle difese immunitarie. Inoltre, all’aumentare dell’età corrisponde un rischio maggiore di avere ipovitaminosi e deficit nutrizionali, dovuti sia alle cattive abitudini alimentari, ma spesso anche alle terapie farmacologiche che aumentano assieme all’età”. Sentiamo spesso parlare dell’importanza dello zinco. Anche qui chiediamo all’esperta di chiarire la sua funzione per l’organismo degli over50. “Lo zinco, nello specifico, agisce sulla cosiddetta terza linea di difesa immunitaria costituita da linfociti e anticorpi, promuovendone lo sviluppo e la funzionalità. Mentre la vitamina B12 ha un’azione importante sui globuli rossi, combatte la stanchezza e migliora le difese immunitarie, agendo direttamente sul midollo osseo, aumentando la produzione di globuli bianchi, le cellule che ci proteggono da agenti esterni patogeni come virus e batteri” . Ultime ma non meno importanti sono le abitudini alimentari che possono adottare i senior, preziose per contrastare il naturale processo di invecchiamento. La dietologa consiglia di seguire un’alimentazione, antiossidante, in grado di ridurre lo stato infiammatorio e favorire il buon funzionamento del sistema immunitario. Niente di meglio che adottare la Dieta Mediterranea, ricca di antiossidanti e di tutti i macro e micronutrienti necessari al sistema immunitario e in grado di ridurre i grassi, saturi, di origine animale .

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Benessere Infine, bisogna tener presente che vitamine e minerali migliorano le difese immunitarie e permettono all’organismo di combattere meglio l’attacco sferrato da agenti esterni patogeni : per questo motivo si consiglia una dieta varia ricca di frutta e di verdura di stagione. Tutte le volte che non si soddisfano i fabbisogni nutrizionali con la dieta è bene ricorrere alla supplementazione nutrizionale, sempre con il consiglio del proprio medico o del farmacista.

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In movimento IN VIAGGIO NELLE MARCHE Dalle profondità delle grotte di Frasassi alla scoperta della chiesa dentro una grotta. Fra colori e materiali che si rincorrono in un incessante turbinio visivo Gli Erranti Questo mese le nostre peregrinazioni ci portano nelle profondità della terra, e precisamente alle Grotte di Frasassi che si trovano in comune di Genga (Ancona) all’interno del Parco Naturale regionale della gola della Rossa e di Frasassi. Queste grotte carsiche, uno dei percorsi sotterranei più grandiosi e affascinanti del mondo, sono entrate nei percorsi turistici abbastanza di recente: le prime ricerche di cui si ha notizia risalgono al 1948, mentre la vera e propria scoperta ad opera del gruppo speleologico del CAI di Ancona è datata 25 settembre 1971, e l’apertura al pubblico di parte dei percorsi è del 1974. Al momento della scoperta gli speleologi non si resero subito conto della vastità della grotta: solo dopo essersi calati e aver illuminato la grotta principale restarono sbalorditi dall’imponenza del sito, la cui esplorazione è proseguita negli anni successivi con sempre nuove scoperte.

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In movimento Oggi parte della grotta, che mantiene tutto l’anno una temperatura costante di 14 gradi, è visitabile con percorsi organizzati, cui si aggiungono visite guidate per le scuole e percorsi speleologici per i più avventurosi (info https://www.frasassi.com/).

Stalattiti all’interno delle Grotte Si potranno così ammirare formazioni calcaree che si sono sviluppate nel corso dei millenni stimolando la fantasia degli speleologi, che le hanno “battezzate” in maniera curiosa. Tra le stalattiti e le stalagmiti più famose ricordiamo i “Giganti”, il “Cammello” il “Dromedario” e l’”Orsa”, così chiamati per la forma che ricorda questi animali, la “Madonnina”, la “Spada di Damocle” (la più grande delle stalattiti con i suoi 7,40 m di altezza e 150 cm di diametro), le “piccole cascate del Niagara”, la “Fetta di pancetta” di colore rosa chiaro e la “Fetta di lardo” in calcite bianca, l’”Obelisco” che troneggia con i suoi 15 metri di altezza al centro della Sala 200, il “Castello delle Streghe” e le “Canne d’organo”, concrezioni conico-lamellari che risuonano se colpite dall’esterno.

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In movimento Ma in una regione meravigliosa come le Marche sarebbe un peccato limitarsi alla visita delle grotte. Tanto più che poco lontano sorge in uno scenario fiabesco l’imponente abbazia romanica di san Vittore delle Chiuse, risalente all’XI sec, una delle più importanti testimonianze dell’architettura romanica in questa regione. Nel cenobio dell’abbazia si trova inoltre il Museo speleopaleontologico e archeologico di Genga che custodisce reperti trovati nella zona, tra cui il famoso ittiosauro, un rettile marino lungo circa tre metri vissuto nel giurassico superiore, circa 150 milioni di anni fa. Ma le sorprese non sono finite: tornando verso il paese di Genga incontriamo un percorso in salita di circa 800 metri ma ben lastricato, che porta a un piccolo gioiello in stile neoclassico che papa Leone XXII, originario di Genga, decise di edificare nel 1828 all’interno di una grotta, su disegno dell’architetto Giuseppe Valadier. Ribattezzato Tempio del Valadier, il santuario, all’interno del quale si trova una copia della Vergine con bambino di Antonio Canova (si può ammirare l’originale al Museo di Genga), fa parte dell’eremo di Santa Maria Infra Saxa: le sue forme ottagonali in travertino bianco creano un magico contrasto con il colore scuro delle pareti rocciose.

Alla destra del santuario si trova, addossato alla parete rocciosa, il Santuario della Madonna di Frasassi o Santa Maria Infra Saxa, un piccolo luogo di culto fondato intorno al 1029 da monache Benedettine, che ancora oggi accoglie le preghiere di coloro arrivano quassù.

Percorsi all’interno di quelle che si sono rivelate Grotte sempre più ampie

E dopo queste visite culturali possiamo concederci un po’ di svago andando per cantine alla scoperta della Strada del Verdicchio di Jesi o di Matelica, che inizia proprio a Genga.

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Di tutto e niente LE FORME E I COLORI DEL CIBO Gesti quotidiani che riportano l’autore a ricordare minuziosamente gli insegnamenti ricevuti in famiglia per non fare gradini nel pane, né scalette sul prosciutto Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

Ieri sera mi sono fatto le costine di maiale al forno. Nella teglia ho anche messo delle cipolline e condito tutto con rosmarino e sale grosso. Niente olio in cottura. Mentre lascio dentro il forno la cena a cuocersi mi verso un calice di vino e mi preparo un antipasto con una fetta di pane di Montebibico -filone ricevuto in dono- su cui strofino dei pomodorini a pendola e aggiungo olio nuovo di Marfuga. Nulla di articolato ma solo di delicato . Pane pomodoro e olio buono. Il pane lo conservo dentro la federa. E’ quello cotto a legna e fatto con lievito madre dura e va curato. Uso la prima fetta che è un po’ più dura e secca delle successive,

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Di tutto e niente rispetto alle quali funge da protezione di umidità e fragranza. Faccio per affettarlo e mi accorgo che i gesti che compio sono quelli che mi ha insegnato mio padre – l’apprendistato del gusto lo devo all’attenzione alla natura e al lavoro dell’uomo che a casa ho respirato, stando a tavola tutti insieme. “Non fare i gradini” era una frase che valeva per il filone quando l’affettavo, e la variante “non fare le scalette” vigeva quando stavo imparando ad affettare il prosciutto. “Attento a come tagli il formaggio” – era l’altra e, quando era stagione, “non scavare l’anguria…”. Fin tanto che non avessi imparato come fare correttamente mi dava indicazioni con l’intento di evitare questi errori. Una volta chiesi finalmente spiegazione di tutta questa insistenza, che mi appariva un’apprensione ingiustificata rispetto al modo con cui trattavo pane prosciutto formaggio e frutta. Ero piccolo ma erano cose che avevo l’autorizzazione a fare. D’altronde quando si apparecchiava ognuno partecipava all’allestimento della tavola e alle attività accessorie. Erano gli anni in cui nel primo cassetto della credenza stavano le salviette di stoffa, ciascuna piegata da ognuno di noi nel suo portatovagliolo – sia per ordine sia perché non si scambiassero. Il parmigiano si grattugiava al momento (compito mio), poco prima di metterlo a tavola, togliendolo dalla carta oleata in cui era avvolto, la stessa con cui il pizzicagnolo faceva il Affettare il prosciutto: un gesto cartoccio nel quale confezionava le olisolo apparentemente semplice ve. Poca era la plastica nelle confezioni, e ancor meno diffuso era l’usa e getta – anzi, su quel “getta” gravavano percezioni e scrupoli di spreco, immaginando possibili riusi di tante materiali o contenitori che erano pensati e allestiti per un unico utilizzo. Mi ricordo che c’era anche il bicchiere preferito di ciascuno – nonno mi diceva che voleva quello stretto e lungo perché così non gli entrasse dentro il naso, per evitare di bagnarselo bevendo . Lo confesso solo ora e all’epoca non dissi nulla : per un po’ usando il mio bicchiere, del tutto normale nella foggia, un bicchiere da cucina, ricordo che feci particolare attenzione per bere senza bagnarmi il naso. Poi compresi la presa in giro e non ci ho pensato più fino a ieri sera affettando il pane.

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Di tutto e niente Differentemente dal tono scherzoso di nonno – che comunque voleva davvero sempre quel bicchiere- l’attenzione a che non facessi gradini nel pane, scalette sul prosciutto e non “rovinassi” il formaggio era un punto su cui mio padre insisteva con affetto e pazienza, correggendomi e mostrandomi come fare. Tagliando la fetta, se ne avessi voluto meno non dovevo interrompere a metà, strappandola . Più semplicemente, avrei potuto realizzare una porzione di pane meno grande aumentando l’inclinazione diagonale del coltello, tagliando più dalla parte della sommità o della pancia del filone – una fetta “inclinata” che non si sarebbe interrotta a metà, lasciando il taglio piatto . Per il prosciutto era più complesso. Occorreva pensare al coltello come all’archetto che si muove sul violino – mi diceva scherzando- con movimenti rapidi fluidi ma brevi, sempre mantenendo anche la pressione della lama di piatto sul taglio, per andar dritti e non ferire il prosciutto, sempre iniziando dal suo estremo e venendo verso la zampa. Nel caso del formaggio la cosa si risolveva nell’opportuna quantità di crosta e di interno che andava tagliata per servirsene, senza far diagonali che aumentassero l’esposizione della pasta interna .

Anche tagliare bene il formaggio ha regole precise Sì, ma perché? Intanto il rispetto per questi alimenti, che “a farli bene ci vuole tempo, sapienza e fatica, per cui nulla doveva esser sprecato”. In verità non era parsimonia, si trattava di ammirata considerazione attenta per i gesti e i tempi che avevano consentito al pane di lievitare e diventar così buono nel forno; per la pazienza usata negli almeno 18 mesi attesi che quella coscia di maiale, salata in giornate di tramontana di due inverni precedenti, e poi condita con il pepe, diventasse prosciutto; per il lavoro necessario perché il latte appena munto opportunamente scaldato e sapientemente manipolato con sale e caglio prendesse la for-

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Di tutto e niente ma del formaggio da cui mi stavo servendo, staccandone una fetta. “Quando tagli pensa a chi l’ha lavorato, a quante cose sapeva, a come le ha impiegate, al suo tempo e alla sua fatica”. Era un momento naturalmente importante – si principiava impiegando il giusto coltello. Non era cerimoniosa solennità, ma il modo naturale di renderne grazie, anche per il fatto di esser tutti lì a gustarne insieme. Poi c’era anche la curiosità di sentirne i profumi, le consistenze e i sapori – magari trovando differenze e similitudini con gli stessi alimenti di altri anni e altri momenti, ricordandoli e discorrendone con del buon vino a sostegno di memoria e parole versato nei bicchieri (e anche del vino c’era da parlare e godere) . Insomma, si prestava attenzione a quello che condividevamo e mangiavamo, ed era cosa che ne accresceva il gusto perché era consapevole, comunitario – ci connetteva alla terra e ai suoi saperi da cui derivavano quei prodotti- e affatto casuale. Tutta questa attenzione, vissuta però senza cerimonie, come assolutamente naturale e semplice aderenza rispetto alle cose e al cibo, si riverberava anche nel modo con cui andavano tagliati pane, prosciutto, formaggio, ma non era feticismo rispetto all’alimento, che comunque se trattato bene durava di più e in miglior condizione. “Devi stare attento a come tagli pensando a chi viene dopo di te”, mi spiegò mio padre. “Se tagli male il pane, chi viene dopo di te lo trova secco. Se fai i gradini nel prosciutto, chi viene dopo di te non può fare fetta regolare e sottile e con la giusta quantità di grasso e magro, e per questo è meno buona. Se non tagli correttamente il formaggio, quando arriva l’ultimo trova solo la crosta. Non è giusto. Devi pensare a chi viene per ultimo e fare che lui abbia quello che hai avuto tu”. Stamattina riprendendo dalla federa il filone di pane per far colazione, con il coltello in mano adotto la cura appresa, anche e forse soprattutto senza sapere chi sarà che viene dopo di me. Che buono il sapore del pane quando è tagliato per rispettare chi viene ultimo!

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Volontariato & Associazioni LASCIAMOCI INCANTARE DALL’INVERNO! Arriva da un’Associazione di volontariato un bel suggerimento per ammirare i tanti colori della stagione invernale Di Minnie Luongo – giornalista scientifica

Uno dei più suggestivi scatti all’interno del video

Sul blog il video di sole immagini dedicate all’inverno! E’ di questo mese un cambio di consegne all’interno di AVO, Associazione Volontari Ospedalieri: Elena Bellani succede a Francesco Colombo (divenuto presidente Avo Lombardia) come presidente AVO Milano.

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Volontariato & Associazioni

Elena Bellani, presidente AVO Milano Una tra le tante iniziative già messe in atto dalla neopresidente riguarda un video che nasce da un suggerimento di Letizia Espanoli, formatrice d’eccellenza. “Si tratta di una chat di soli scatti fotografici- spiega Elena Bellani-. Nessuna parola, ma immagini incentrate sui fantastici colori dell’inverno per esprimere che cosa si ha nel cuore in un determinato momento e quali sensazioni stiamo provando: tristezza, gioia, solitudine…”. Infatti, non è vero che soltanto l’estate ci regali colori e sfumature cromatiche indimenticabili: anche l’inverno è in grado di offrire scatti che influiscono e “colorano” le nostre emozioni. Qualunque esse siano.

Fiori d’inverno con l’immancabile Stella di Natale

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Volontariato & Associazioni “In sintesi-dice Bellani- desidero aprire questa chat sia al Gruppo di Ascolto, sia a quello del PS dell’Ospedale San Giuseppe, e questo sarà un modo per sentirci sempre più uniti, anche al di fuori dal servizio: così da conoscerci meglio e continuare una conoscenza trasversale che, a mio parere, è sempre più importante per questa nuova AVO”. Da parte nostra, ci auguriamo che questo video sia tramesso per pazienti e familiari nelle sale d’attesa delle strutture ospedaliere e, ancor più, all’interno delle RSA: tante belle immagini piene di colore e di positività affinché le persone che vivono in Residenze Sanitarie Assistenziali riescano, almeno per qualche minuto, a sentirsi meno sole e lasciarsi andare alle emozioni…

Una delle tante belle immagini invernali

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Volontariato & Associazioni L’Associazione Volontari ospedalieri nasce nel 1975 e oggi è presente in 19 Regioni con circa 23.000 volontari. Per offrire calore umano, sostegno, dialogo. In una parola: aiuto. E, qui sotto, un numero telefonico prezioso per le tante persone, sempre più numerose, che si sentono sole:

Letizia Espanoli : ” Alleno persone ed organizzazioni alla qualità della vita sempre possibile”

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Immagini e fotografie

Copyright Dove non espressamente indicato le foto o le immagini presenti attualmente nella rivista sono situate su internet e costituite da materiale largamente diffuso e ritenuto di pubblico dominio. Su tali foto ed immagini la rivista non detiene, quindi, alcun diritto d’autore e non è intenzione dell’autore della rivista di appropriarsi indebitamente di immagini di proprietà altrui, pertanto, se detenete il copyright di qualsiasi foto, immagine o oggetto presente, oggi ed in futuro, su questa rivista, o per qualsiasi problema riguardante il diritto d’autore, inviate subito una mail all’indirizzo generazioneover60@gmail.com indicando i vostri dati e le immagini in oggetto.

Tramite l’inserimento permanente del nome dell’autore delle fotografie, la rimozione delle stesse o altra soluzione, siamo certi di risolvere il problema ed iniziare una fruttuosa collaborazione.

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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI


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