Dicembre 2023
E se fosse Babbo Natale a scrivere ai bambini di tutto il mondo?
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 5, n.12
-2-
Le rubriche
EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il desco dei Gourmet Il personaggio Il tempo della Grande Mela Comandacolore Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni
-3-
Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo
I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta
DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60
-4-
Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE
Foto Chiara Svilpo
Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
-5-
Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO
presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
ANDREA TOMASINI GIORNALISTA SCIENTIFICO
giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
-6-
Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE GIORNALISTA SCIENTIFICA
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
FLAVIA CAROPPO GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA
CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA
Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e
Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.
MONICA SANSONE VIDEOMAKER
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
-7-
Sommario -10Generazione F La mia letterina da Over a Gesù Bambino Editoriale di Minnie Luongo -15Foto d’autore Preparativi con ironia di Francesco Bellesia -17Stile Over Desideri e auspici tra Natale e il Nuovo Anno di Paola Emilia Cicerone -20Per approfondire Te piace ‘o presepe’? Di Federico Maderno -26Da leggere (o rileggere) Il tè di Natale Di Amelia Belloni Sonzogni
-8-
Sommario -33In movimento Presepe o Babbo Natale? Gli erranti -37Dal nostro archivio La Festa dei 7 pesci Di Flavia Caroppo -40Da leggere (o rileggere) Controglossario di Medicina Di Paola Emilia Cicerone -44Benessere A che cosa servono i “batteri buoni”? dalla Redazione
-9-
Generazione F LA MIA LETTERINA DA OVER A GESÙ BAMBINO EDITORIALE Quelli che alla nostra età chiamiamo desideri o auspici rappresentano le richieste (molto dettagliate, peraltro) che da bambini scrivevamo nella letterina indirizzata a Gesù Bambino. Che cosa ci vieta di farlo anche oggi? Bene, questa sarebbe la mia e, disponendo oggi di quantità imbarazzante di foto, più che con le parole ci terrei a spiegare esattamente i miei desiderata con immagini . Caro Gesù Bambino, ciò che desidero è un qualcosa di apparentemente semplice, in realtà assai difficile da esaudire. Ma come diceva il buon Walt (Disney) “se puoi sognarlo puoi farlo”. E allora, con la sfrontatezza dei bambini, vengo ad esporti ciò che vorrei. Il mio desiderio è rivivere, tale e quale, la vigilia del Natale 2017. Chiara, la mia amica più cara e più affidabile nonostante sia anche la più giovane, sapendo che il giorno 25 sarei stata sola, decise di lasciare andare avanti la famiglia a Domodossola e di trascorrere il 24 con me. Con il suo enorme trolley (ma oltre alla piastra per capelli che cos’altro di tanto ingombrante riescono a infilarci le giovani donne?) da Rimini arrivò a casa mia e seguimmo un programma preciso, dove il cibo la faceva da padrone…
-10-
Generazione F Prima ci fu un aperitivo a City Life, compresa una tratta sulla nuova linea viola del metro, cui seguì un altro aperitivo in zona Duomo, con le guglie della cattedrale a pochi metri.
Quindi di volata al cinema Odeon per “La Ruota delle meraviglie” , il film appena uscito di Woody Allen.
-11-
Generazione F Durante la proiezione potevamo farci mancare enormi cartocci di nachos e salsa?
Non sia mai, nonostante a casa avessi imbandito un tavolo ricolmo di prelibatezze, che gustammo tutte, senza tralasciarne nessuna. Poi, sotto l’albero, aprimmo i regali (anche Holly ricevette il suo, naturalmente) e parlammo e ridemmo fino alle tre di notte.
-12-
Generazione F
-13-
Generazione F Dopo sole quattro ore Chiara si alzò, afferrò il suo pesantissimo trolley per andare a prendere il treno e ricongiungersi ai familiari per il pranzo natalizio. Io? Guadagnai il letto, spensi il cellulare e mi addormentai felice in quello che fu-e per ora resterà- il più bel Natale della mia vita. In compagnia di un’amica vera e del mio cane.
Ecco, caro Gesù Bambino, c’è la possibilità di ripetere un giorno così, ma esattamente così? Grazie!
-14-
Foto d’autore PREPARATIVI CON IRONIA
“Addobbi con curiosi” (foto Francesco Bellesia)
-15-
Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
-16-
Stile Over DESIDERI E AUSPICI TRA NATALE E IL NUOVO ANNO Se oggi da Over quale sono dovessi scrivere una letterina a Babbo Natale, il mio augurio sarebbe senza dubbio questo: salute e serenità al pianeta, e naturalmente a tutti voi che ci leggete Di Paola Emilia Cicerone –giornalista scientifica Archiviate le letterine di Natale, possiamo cominciare i preparativi per il Capodanno, con l’ansia che l’evento inevitabilmente comporta. Si ha un bel ricordare che i calendari sono un’invenzione umana, poco significativa a livello planetario. Tanto che, se diamo un’occhiata in giro, scopriamo che di calendari ce ne sono svariati, e apparentemente non viviamo neanche tutti nello stesso anno: secondo gli ebrei, per dire, siamo nel 5784, mentre il calendario cinese ci colloca nel 4720.
Riproduzione della Piedra del Sol, un calendario azteco del XV secolo
-17-
Stile Over Senza contare che per molti di noi, a prescindere dal luogo di nascita, l’anno comincia davvero quando finiscono le vacanze estive e si torna a scuola o al lavoro. Ma queste riflessioni non ci impediscono di percepire l’importanza della scadenza in arrivo. Che inevitabilmente ci richiede di prendere impegni – chi non ha mai compilato, almeno mentalmente, la lista dei cambiamenti esistenziali da avviare a partire da gennaio? – ma anche di formulare auspici per il mondo che ci circonda. Che forse sono la versione adulta dei lunghi elenchi di desideri che i bambini scrivono in attesa del Natale. E che ormai, almeno per un altro anno, resteranno tra i ricordi assieme alla diatriba tra sostenitori del presepe e tifosi dell’albero di Natale .
Calendario del 1845 con i mesi da gennaio a marzo
-18-
Stile Over Che poi, a pensarci bene, letterine indirizzate a chi? Oggi Babbo Natale va per la maggiore, mentre quando ero piccola io, il destinatario più gettonato era probabilmente Gesù Bambino. Che per me, come Babbo Natale, era relegato nel mondo delle favole (anche se mia madre, con perfetta incoerenza, mi suggeriva tutte le sere di recitare una preghierina all’Angelo custode). In più la scuola Montessori che frequentavo aveva un’impronta saldamente laica, e l’unica letterina che eravamo invitati a compilare era un biglietto di poche righe, corredato da una foto, in cui facevamo ai nostri genitori gli auguri e qualche promessa destinata a cadere presto nel dimenticatoio. In ogni modo io adoravo – e adoro- le festività: decorazioni, luci, persone care in arrivo e cose buone da mangiare sono un mix irresistibile. E poi certo c’erano i regali, in genere azzeccati senza bisogno di letterine : a portarli, lo sapevo bene, erano i miei genitori, e il mio unico cruccio era di non essere mai riuscita a sorprenderli quando, a tarda sera, li sistemavano sotto l’albero per farmeli trovare al mattino. Ma questi sono ricordi d’infanzia; per gli adulti il problema vero si presenta adesso, al momento di formulare i desideri, e i buoni propositi, per il nuovo anno. Che sarà, lo diciamo ogni volta, migliore del precedente: che cosa sarebbe la nostra vita senza la speranza? Si brindava in tempo di guerra, figurarsi oggi che le notizie più drammatiche arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo, o dai confini dell’Europa . E che il gradevole tepore che segna queste giornate poco invernali ci induce a dimenticare che siamo nel mezzo di una catastrofe climatica senza precedenti, di cui non abbiamo ancora cominciato a vedere le conseguenze più serie .
Nasa- Apollo 8
Personalmente, sono poco portata a esprimere auspici che mi riguardino e resto fedele alla massima “non esprimete desideri, potrebbero avverarsi”, anche se non posso negare di sperare in salute e serenità per me stessa e per le persone cui voglio bene. Ecco, forse “salute e serenità” è l’augurio migliore, che mi piacerebbe estendere al pianeta e a quanti, umani e non, lo abitano. Mi capita a volte di guardare foto o immagini che mostrano quanto il nostro pianeta sia infinitamente piccolo rispetto all’Universo. E mi chiedo perché gli abitanti di questa piccola scheggia di terra sparata nel nulla non riescano a goderne le bellezze senza devastarle, e a vivere in pace alleandosi per affrontare i problemi che inevitabilmente si presenteranno.
Potremmo vivere in pace, serenamente, noi umani e gli altri animali. Non sarebbe bello? E tanto più logico rispetto a un mondo inquinato da violenza, guerre e aggressioni di ogni genere? Se volessi fare un augurio sarebbe proprio questo: salute e serenità al pianeta, e naturalmente a tutti voi.
-19-
Per approfondire TE PIACE ‘O PRESEPE’? Il racconto esilarante di un presepe realizzato con proporzioni spropositate, cui però il destino riservò la brutta sorpresa di essere demolito prima della sua inaugurazione Di Federico Maderno – scrittore Decidemmo, quell’anno, di trascorrere il Natale nella casa di campagna . Era la prima volta che accadeva . L’atmosfera era propizia per passare le giornate in assoluto riposo, rintanati in casa : faceva freddo ed erano tempi in cui non ci si stupiva se le nevicate si valutavano a palmi e non a centimetri . L’idea originale era quella di preparare il solito presepe di un paio di metri quadrati. Un po’ di montagne con qualche casetta piazzata in maniera precaria sui fogli marroni accartocciati e i pastori accorrenti alla capanna, sistemati rigorosamente in ordine di altezza per creare l’illusione della prospettiva. Avevamo portato il materiale necessario, stipato in quattro scatole ed avvolto nei giornali, per prevenire i possibili danni causati dal trasporto. L’allestimento avrebbe richiesto un paio di ore ed una collocazione discreta, magari in un angolo dell’ingresso, dove avrebbe dato ben poco fastidio. Ma era destino che quella volta le cose andassero diversamente. Saranno state le rimembranze dei Natali di quando ero fanciullo, sarà stata la presenza di due nipoti di pochi anni, inevitabilmente entusiasti. Certamente, giocò un ruolo decisivo la laurea in ingegneria conseguita da poco. Mi prese una strana mania di grandezza, la voglia di divertirmi e di stupire. – Liberatemi la sala, ché faccio il presepe! – dichiarai, quando mancavano quattro giorni alla mezzanotte fatidica. – Come, la sala?! – protestò qualcuno, in famiglia. – Non ti basta un angolo del tinello o del corridoio? La sala da pranzo, va detto, era una stanza di notevoli dimensioni ed era in quel momento a completa disposizione, giacché si era deciso di non utilizzarla e di concentrare il riscaldamento sul resto della casa – No, non mi basta. Ne faccio uno nuovo, strabiliante. Avevo già lo sguardo perso nei ricordi di presepi meccanici visitati da centinaia di fedeli. – Ma cosa vuoi fare? – Lo faccio con l’acqua che scorre davvero. Sono stufo di quei rigagnoli falsi, sbilenchi, di carta stagnola che si solleva ad ogni refolo d’aria. Provarono a dissuadermi, ma ormai mi aveva colto il demone della creatività. Il primo passo fu procurarmi la forza motrice. Andai a colpo sicuro: sapevo che in cantina dovevano esserci due motorini elettrici recuperati da piccoli ventilatori. Aspettavano solo di essere riutilizzati e quella era l’occasione giusta. Ne applicai uno al mulino ed ovviamente l’accoppiamento diretto ricreava l’effetto centrifuga costringendo la ruota ad un numero impressionante di giri. Allora, tramite un rocchetto ed un elastico
-20-
Per approfondire robusto demoltiplicai la trasmissione. Le pale, a quel punto, giravano ad una velocità accettabile e l’effetto era garantito. Certo, era il mulino a far scorrere l’acqua e non viceversa, ma per un osservatore non troppo puntiglioso l’estetica poteva dirsi salva. Ecco, avrei dovuto fermarmi a quel punto. Ce n’era abbastanza per far fare “Ohhhh” a qualche vicino in visita di cortesia e a soddisfare il mio ego ingegneristico. Invece, scoprii di avere in cantina anche un tubo trasparente, di grosso diametro. Tagliato longitudinalmente e sistemato a formare delle anse aggraziate, sarebbe stato ideale per formare un piccolo rivo. Sulle sue sponde, una barriera di muschio avrebbe occultato il bordo di plastica rendendo assai verosimile la scena. Tutto il sistema poteva essere alimentato dalla pompa ad immersione che l’estate creava in giardino lo spruzzo centrale di un piccolo laghetto. La recuperai dalla cantina e procedetti con qualche esperimento. Pareva facilmente utilizzabile, ma la sua portata, per quanto regolata al minimo, riversava sul torrentello un volume d’acqua spaventoso. Una prima prova sparò un pastore ad alcuni metri dalla sua postazione ed allagò gran parte della stanza. L’accaduto suscitò un’ilarità incontrollabile, tanto che faticai non poco a convincere i due pargoli che per quanto divertentissima quell’esperienza non andava ripetuta. Fu lampante che l’unica soluzione era quella di suddividere il getto in più utenze, tramite una serie di tubetti ben dissimulati sotto l’allestimento. Persi il controllo, lo ammetto. Tutta quella portata a disposizione scatenò le peggiori fantasie progettuali. I torrentelli diventarono tre. Partivano dalla finta roccia sullo sfondo e si snodavano verso l’osservatore, per andare infine a scaricarsi in maniera occulta nella vaschetta di alimentazione. Lungo quei canali sorsero alcuni strani opifici alimentati ad acqua (si
-21-
Per approfondire trattava ovviamente delle solite casette di pastori riciclate per l’occasione) e l’economia stessa della zona sembrò concentrarsi su quell’inaspettata risorsa. Felici sembravano le lavandaie, prima costrette ad accontentarsi di pozze di quella maledetta stagnola. I portatori d’acqua, che una volta vagavano inebetiti con i loro secchi sistemati alle estremità di un basto di legno, parevano aver trovato un senso alla loro vita. Paperette e anatre che a decine riempivano un sacchettino riservato agli animali vissero un momento di gloria. Alcune, costruite con una plastica leggera e dunque galleggianti, venivano trasportate lungo gli alvei e si dovette costruire una specie di griglia per intercettarle e rimetterle verso monte. Altre andarono a popolare il laghetto del mulino. Scoprimmo così che i vortici creati dal motorino ne spingevano ogni tanto qualcuna sotto la ruota, condizione che le proiettava violentemente in avanti. L’effetto era certo meno
pirotecnico
dell’allagamento
del presepe, ma ci indusse ad un piccolo campionato di abbattimento dei pastori, al termine del quale si scoprì che “l’anatra col becco venato” non aveva rivali. Alcuni cammelli, altre volte utilizzati per nobilitare la scena nei pressi della natività, furono collocati sulle sponde dei corsi d’acqua. Il tacchino zoppo, che notoriamente riusciva a rovesciarsi senza alcun apparente intervento esterno, finì inevitabilmente in uno dei rivi e trasportato a valle fu lasciato al suo destino
-22-
Per approfondire Perfino il “castello” tornò in auge. Si trattava di una struttura di cartapesta di rara maestosità e dotata di una torre di stile vagamente gotico. Da anni, per questa sua incongruenza architettonica e pur mantenendo un posto tra il materiale inscatolato del presepe, era bandito da ogni allestimento. Ma era dotato di un ponte ad arco sotto il quale si poteva installare una piccola luce, perfetta per esaltare lo scorrere dell’acqua. Fu collocato in alto, esageratamente, come mai avrebbe potuto sperare, e da sotto l’arcata illuminata lasciò riversare a valle uno spruzzo potente e disordinato, ché di cascata propriamente non si poteva parlare. La maledetta pompa (almeno lei avrebbe potuto accorgersi di quanto stava accadendo e limitare il suo temperamento) pareva in grado di alimentare ogni ulteriore derivazione. Trascorsero, in questa follia idraulica, almeno tre giorni. Il presepe aveva raggiunto proporzioni spropositate ed era ridotto ad un acquitrino gocciolante; rivi e sorgenti spuntavano da tutte le parti, come se quella terra arida avesse ospitato per una settimana un convegno di rabdomanti impazziti. E Betlemme, a vederla a volo d’uccello, si sarebbe detta “la piccola Venezia d’oriente”. I bambini sembravano impazziti. Niente sembrava troppo ardito da non poter tentare di realizzarlo. – Fassàmo ancòa una cacàta! – urlavano, non appena l’ennesimo allestimento idraulico dimostrava di funzionare. Io, inorgoglito da quel progressivo successo, invece di contenerli facevo a gara per proporre nuove e più assurde soluzioni. I nonni, loro sì, parevano assai preoccupati dallo sviluppo dei lavori che non contemplavano ancora niente di somigliante a una mangiatoia. La “notte magica” stava avvicinandosi con inarrestabile rapidità e là dove doveva essere collocata la grotta/capanna si notava ancora una sconcertante precarietà d’allestimento. – Ma questa mangiatoia? – chiedevano, impensieriti. – Adesso la faccio… Ho praticamente finito – mentivo io. Alla fine, trovammo il tempo per fare anche quella. Un po’ in disparte, defilata. Certo, non era la prima cosa su cui cadeva l’occhio a chi si avvicinava al presepe. Di pastori, davanti, ce n’erano pochini. Perfino la lunga fila di lampadinette aveva preso un’altra strada, costretta a illuminare ogni particolare del sistema idraulico palestinese. Immerso nella penombra, non fosse stato per la stella cometa quell’angolo sarebbe passato del tutto inosservato.
In ogni caso, il 24 dicembre eravamo pronti per aprire il presepe al pubblico. Immaginavo, per il giorno dopo, processioni di vicini e parenti, giunti per vedere l’ottava meraviglia. Temevo che la logistica della casa non reggesse alla pressione dei visitatori e immaginai che fosse necessario procurarsi parecchie sedie da collocare
-23-
Per approfondire
davanti a Betlemme. Ma mi sbagliavo. Non ce ne fu bisogno. Nella notte, qualcuno dimenticò inopinatamente aperta la porta della sala e Max (il più grosso tra i gatti di casa e il più giocherellone) distrusse letteralmente tutto. Lo trovammo, la mattina di Natale, con uno dei cammelli tra le zampe. Se l’era portato nella cuccia come trofeo, ma il resto del presepe era un’accozzaglia inguardabile di carta da montagne fradicia, casette e tubi di plastica. Il tacchino zoppo (lo dico per gli amanti della verità storica) non fu mai più trovato. Se ne piange ancora la dipartita. Restava praticamente illeso solo l’angolo della mangiatoia, e quella parte di installazione rimase disponibile fino all’Epifania. Sono passati anni, da quella notte. Tanti e tanti. A ben pensarci, dev’essere stato l’ultimo presepe che ho allestito. Nel frattempo, ho affinato una mia particolarissima forma di agnosticismo, che dovrebbe rendermi immune dalla seduzione della Banda del Bambinello.
-24-
Per approfondire Qualche giorno fa, sono andato a razzolare in un mercatino dell’usato. La mia esperienza in merito è sostanzialmente nulla . Sono un neofita del riciclo . E ho scarse speranze di migliorare . Perché resto affascinato dalle porcherie inguardabili e quando invece passo davanti ad un Picasso non riconosciuto dagli stessi venditori non mi accorgo che con i suoi 30 euro trattabili sarebbe l’affare del secolo . Ma ogni tanto, ostinatamente, vado a razzolare . Mi sgombera la mente, mi fa sentire parte della grande famiglia degli antiquari . Mi porto anche un “metro”, uno di quei flessimetri metallici che raccolgono, in una scatoletta che sta in una mano, cinque metri di nastro metallico graduato. Ho scoperto che mi dà un tono (“per avere più carisma e sintomatico mistero” direbbe il poeta). Ogni tanto lo tiro fuori e misuro qualcosa: una cassettiera, il braccio di una applique di ottone, perfino il diametro di una brocca di vetro. Mi fa sembrare intelligente, anzi, con un progetto in testa, che è anche più seduttivo. Prendo due misure e poi, mentre il nastro metallico si rifugia nel suo alloggiamento con uno scatto secco, faccio scorrere una mano sul mento, ad occhi socchiusi. Ci cadono in parecchi. Ho visto coppie passarmi vicino con una certa soggezione, timorose di sfiorarmi e di disturbare, in tal modo, i miei arcani pensieri. Un’anziana signora, una volta, mi si è avvicinata e mi ha chiesto, con voce affettuosa: “Lei che se ne intende… pensa che questa stampa dell’800 abbia un qualche valore?”. Sono trasalito. Colto dalla disperazione di poter arrecare un danno, in un senso o nell’altro, ho adottato una tecnica che metteva in atto un mio dirigente scolastico, quando gli chiedevi se un progetto poteva trovare finanziamento. Basta dire “Perché no? Ma certo!” e intanto fare “no” con la testa in maniera esagerata, inequivocabile. Oppure, esattamente il contrario. Per la cronaca, non ho mai ottenuto finanziamenti, ai miei progetti. Dunque, qualche giorno fa ero lì a recitare la parte dell’intenditore meditabondo. Mi è caduto l’occhio su un presepe in miniatura, di quelli fatti in ceramica che in un guscio grande quanto una mela riescono a far stare tutti i personaggi della natività (bue ed asinello compresi). Ho sentito una presenza alle spalle e mi sono voltato di scatto. C’era un signore anziano (più anziano di me, intendo) che mi osservava con gli occhi acquosi di un cocker. Osservava me e quello che avevo appena preso in mano. – È bello, vero? – ha detto. – Anche a lei piacciono i presepi? – No! – ho mentito stizzoso. L’uomo mi ha guardato senza stupore e ha scosso lentamente la testa. Mi sono avviato alla cassa, senza nemmeno aver controllato cosa costasse quella piccola porcellana che avevo in mano.
-25-
Da leggere (o rileggere) IL TÈ DI NATALE Tè, dolcetti e buoni consigli. Come si può svelare l’animo umano, anche a Natale Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice
L’ora del tè Ero davvero curiosa di sapere se Vincenza avesse seguito il mio consiglio, che poi era un banale suggerimento spassionato, dettato dall’amicizia e dalla mia convinzione che chi ha più buon senso ha il dovere di usarlo; nel caso specifico, io, Gina, moglie, madre e nonna, credo di averne da vendere, anzi, da regalare, considerato il periodo. Per Natale, ne ho regalato uno alla mia amica Vincenza, di qualche anno più anziana di me.
-26-
Da leggere (o rileggere) È vedova, ma non è sola : ha una figlia, Maria, che è un tesoro e che lei apostrofa spesso come il bastone della sua vecchiaia : io mai lo direi di mia figlia, specie in sua presenza, ma non siamo tutti uguali . Quella volta, quando gliel’ho sentito dire davanti a lei, poverina, l’ho vista sbiancare, abbozzare un mezzo sorriso che pareva una smorfia di sopportazione ma, ferma nel suo aplomb, Maria si è subito ripresa, ha finito di bere il tè preparato per me e sua madre, ha assaggiato un pasticcino e si è congedata dicendo di avere da lavorare: «Tanto per cambiare ! Almeno oggi, potresti farmi compagnia» ha commentato Vincenza, mentre io incoraggiavo Maria ad affrettarsi e non badare a noi vecchiette che avevamo da parlottare di questioni di scarso interesse per lei . Bella, intelligente, studiosa, seria – forse troppo – Maria è un gioiellino da marito, che però non trova (oppure non cerca), con grande scorno di Vincenza, la quale si lamenta di non vederla corteggiata, circondata di amici e impegni, invitata a feste e divertimenti. Non si capisce bene a quali alluda e qualcosa mi dice che si lamenterebbe anche del contrario: se la figlia conducesse una vita mondana e modaiola, avrebbe comunque da ridire. Potrei giurarci. Lo dico perché la conosco da qualche tempo; ne passiamo parecchio insieme, all’ora del tè, ormai diventata un rito. L’ho invitata io la prima volta, per rompere il ghiaccio, perché Vincenza, nota a tutti i nostri comuni amici come una persona cordiale, partecipe delle vicende altrui, liete o meno che siano, secondo me non è generosa: se la inviti, accetta di buon grado ma quando si tratta di ricambiare (neppure tutte le volte, eh, non si sta certo lì a misurare con il bilancino; ne basterebbe una tantum, come quella rimasta impressa per la scarsa considerazione mostrata a Maria) allora nicchia: la casa non è mai a posto, lei stessa non è mai a posto, preferisce ci sia anche sua figlia, che si sa ha mille impegni di lavoro e non è mai disponibile… insomma, vincoli fittizi a non finire. Però, a parte questo, pare che mi ascolti. Passiamo i nostri pomeriggi del tè a raccontarci: per la verità, sono io la più chiacchierona e spesso – mi dicono – ripeto vicende già note; non me ne accorgo perché non mi ricordo mai cosa ho già raccontato e a chi. È l’età, lo so. Devo dire che Vincenza è molto paziente: di sicuro mi sarò ripetuta anche con lei, mai me lo ha fatto notare. Solo qualche volta ha sottolineato che ricordava quanto le dicevo, ma con un sorriso; sarà stato ironico? Ma no, dai, non credo. Poco prima di Natale mi ha invitato da lei per il consueto tè: «Così ci scambiamo gli auguri di persona e non al telefono» è stata la motivazione. Mi ha davvero stupito! Ho accettato con piacere e ho preparato i miei biscotti di Natale, che piacciono molto a Maria. Davo per scontato partecipasse anche lei al nostro incontro. Invece, eravamo sole e solette, noi due anziane signore.
-27-
Da leggere (o rileggere)
Gina con i biscotti Mi sembrava che Vincenza fosse di un umore migliore del solito, così ho pensato di cogliere l’occasione per il mio suggerimento, che meditavo già da qualche giorno. Ho lasciato scaldare l’atmosfera raccontando qualche novità sulle nostre conoscenze, farcita di qualche saporito pettegolezzo, ho aspettato che la sua bocca fosse impegnata a degustare i biscotti e l’ho presa alla lontana, ragionando sui regali di Natale che ancora mancavano alla mia lista degli acquisti: piccoli pensieri utili alla vita quotidiana. D’altronde, si fa quel che si può. Vincenza ascoltava, sorbiva, masticava, annuiva, manifestava approvazione per le mie scelte, specie per quelle destinate a mia figlia e ai miei due adorati nipoti che ormai sono grandi, ma il regalo della nonna Gina sotto l’albero se lo aspettano sempre. Mi aspettavo dicesse la frase di rito: «Beata te, che sei nonna! Io, invece, neanche suocera…» e non ho dovuto attendere molto per sentirgliela pronunciare; ne ho approfittato subito: «Cara la mia Vincenza, perché non salti i passaggi e adotti un nipotino?»
-28-
Da leggere (o rileggere) C’è mancato poco che il tè e il biscotto le andassero di traverso; mentre si asciugava le labbra con il tovagliolino ricamato, perfettamente stirato steso come prescrive il bon ton, prima che potesse proferire parola (mi aspettavo un rimbrotto, come minimo un ma cosa dici?!), ho precisato: «Pensavo potresti far felice tua figlia acconsentendo finalmente ad accogliere in casa un cuccioletto di cane. Da quanto lo desidera? Sarebbe al settimo cielo» . Con espressione rincuorata – chissà cosa aveva capito –, Vincenza mi ha risposto dolente ma un tantino piccata: «Lei sì, ma io? Maria lavora, ha tanti impegni, chi lo cura poi, il cane? Chi lo porta fuori regolarmente? Chi gli prepara da mangiare? Finisce tutto sulle mie spalle . No, no, per carità» . «Maria è una persona responsabile, una donna adulta» . Stavo per aggiungere: già mi pare assurdo che debba chiederti il permesso, potrebbe prenderselo e basta, senza aspettare il tuo consenso; tuttavia, mi sono morsa la lingua, sempre per il buonsenso che ho più di lei e quindi utilizzo, e ho aggiunto invece: «Sono sicura che non ti lascerebbe un impegno superiore alle tue forze; sarebbe per entrambe una compagnia, qualcuno da accudire insieme» . Vincenza non poteva negare le qualità di sua figlia, ma non poteva neppure darmela vinta subito: «Ci sono sempre gli imprevisti e un cucciolo, poi, sporcherebbe ovunque . E qui pulisco io» . Il tono da generalessa non lasciava spazio ad alternative: frasi del genere “Lascia fare anche a Maria oppure cerca una persona che ti aiuti nelle faccende domestiche” erano inutili; sapevo che era un tasto da non sfiorare neppure, ma non mi sono data per vinta e ho insistito sulla bellezza di un gesto che avrebbe reso felici due anime, Maria e il cucciolo, e anche lei, alla fine che avrebbe avuto una compagnia costante, un essere da tenere come un principino, da amare e coccolare. Ho insistito, ho sfoderato ogni repertorio, toccato ogni corda, tanto da non credere alle mie orecchie quando l’ho sentita dirmi: «Va bene, Gina : mi hai convinto» . «Davvero? !» «Proverò a sentire, a informarmi, e per Natale farò trovare a Maria un cucciolo» . Non ci credevo, eppure avevo sentito benissimo, anche perché me lo ero fatto ripetere, con la scusa che sono un poco sorda; me lo aveva assicurato, l’avevo convinta. Mentre ci salutavamo sul pianerottolo, in attesa dell’ascensore, è arrivata Maria e io non ho resistito alla tentazione di anticiparle in parte la notizia, strizzandole l’occhio:
-29-
Da leggere (o rileggere) «Vedrai che bella sorpresa arriverà per te, questo Natale ! »
Maria sogna il suo regalo di Natale Le ho visto i lucciconi negli occhi, la meraviglia sul volto, il pallore abituale sparire: sapevo che per lei la sorpresa non poteva che essere quella; l’emozione è durata finché Maria ha guardato negli occhi sua madre: un’ombra incredula è arrivata a scolorire tutto. Non ci credeva. Ma io ero certa, sono certa di quel che ho sentito. Mentre la salutavo con un abbraccio frettoloso, l’ho rassicurata: «Sono sicura, vedrai», le ho detto in un orecchio. Passato il Natale, ieri le ho telefonato per levarmi la curiosità. Come speravo, mi ha risposto Maria e le ho subito chiesto se fosse contenta della sorpresa, quale nome aveva scelto per il cucciolo; neanche l’ho lasciata parlare e le ho svelato di sapere tutto da prima, anzi, di essere stata io a convincere Vincenza, a farle superare le ultime resistenze. Sulle prime, convinta com’ero, non mi sono resa conto del suo silenzio, del suo imbarazzo. Ha balbettato
-30-
Da leggere (o rileggere) qualche scusa, dicendo di non saperne nulla, ma di sicuro nessun cucciolo era stato tolto dal canile per lei. Sono rimasta malissimo, quasi senza parole, e non è facile. Ma come? Con tutte le rassicurazioni che Vincenza mi aveva dato? Le volte che mi aveva confermato, ribadito; non riuscivo a capacitarmi.
La scatola regalo… è vuota Mi sono fatta passare sua madre al telefono e le ho chiesto spiegazioni. Ammetto di essere stata un po’ troppo veemente, forse brusca, ma mi sono sentita presa in giro. Vincenza ha lasciato che si esaurissero tutti i miei interrogativi, con abbondanti commenti e considerazioni sul mancato rispetto della promessa da parte sua e poi mi ha detto, testuali parole: «Vedi, Gina cara, tu parli, parli, parli . Non ti si può interrompere, non si riesce a interloquire perché parli solo tu . Ci ho impiegato un po’, ma alla fine ho trovato il sistema per interromperti : darti ragione . Ti ho
-31-
Da leggere (o rileggere) detto quello che volevi sentirti dire» . «Ma il mio era un consiglio spassionato» . «Non richiesto, anzi» . «Ho pensato a tua figlia, al suo desiderio…» . Ho replicato quasi senza saperlo, in modo meccanico, parlando più a me stessa che a lei, che tanto in quel momento non ascoltava, come non aveva ascoltato prima. Sono però rimasta di sale quando mi ha raccontato come Maria avesse trovato vuota l’ideale scatola regalo: «Il giorno di Natale, Maria mi ha detto che si aspettava da me la sorpresa della quale avevi parlato tu, Gina, il pomeriggio del tè e mi ha chiesto di cosa si trattasse . Gliel’ho spiegato . Ti avevo detto, sì, che le avrei fatto trovare sotto l’albero che non addobbiamo perché non lo abbiamo, un cucciolo di cane che tanto desidera ma che io non alcuna intenzione di avere per casa; ma te lo avevo detto solo perché era l’unico modo per farti smettere e non farmi più sfinire dalla tua insistenza. Tanto, quel che decido di fare o no, non passa certo per la tua approvazione». «Con buona pace della delusione di Maria» sono riuscita a dire . «È adulta, o no?» Ho balbettato qualche banalità, un saluto apparso forse forzato. Passerà del tempo, credo, prima che io riesca a organizzare un altro tè con Vincenza.
-32-
In movimento PRESEPE O BABBO NATALE? Viaggiando in Lombardia, alla scoperta delle tradizioni natalizie, in primis con i presepi di carta di Crevenna, frazione di Erba (CO) Gli Erranti
E’dicembre, e ovunque si vada è facile imbattersi in un villaggio di Babbo Natale: per tutto il mese l’omone vestito di rosso, con la sua folta barba bianca, è impegnato a farsi fotografare con bambini sulle ginocchia e adulti alle prese con tutto quello possa produrre un selfie (chissà se gli pagano gli straordinari e il lavoro notturno). Anche se la nostra tradizione mette al primo posto il presepe, ed è di quello che parleremo, non prima di aver dedicato un breve excursus al mito di Santa Claus. Un mito in realtà un poco confuso: si dice che il primo a fare regali sia stato San Nicola (Santa Claus appunto) che incontrando tre fanciulli poveri e affamati donò loro tre mele, trasformatesi miracolosamente in oro durante la notte. Comincia così la tradizione cristiana dei regali, eppure anche gli antichi romani usavano scambiarsi doni intorno alle festività dedicate al Solstizio d’Inverno . E ancora oggi a Lecco il 6 dicembre si festeggia San Nicolò con dei dolci a forma di mela. Una vecchia filastrocca per bambini (in dialetto) ricorda che :
-33-
In movimento San Nicolò (6 dicembre patrono di Lecco) porta le mele Sant’Ambrogio (7 dicembre patrono di Milano) le fa cuocere La Madonna (8 dicembre l’Immacolata) le pela Il Bambin Gesù (25 dicembre Natale) le mangia Ci sono molte altre storie e leggende che si collegano tra loro; lasciamo scegliere a voi quella che preferite. Ricordiamo solo che il vestito di San Nicola/Babbo Natale anticamente era verde e lungo fino ai piedi, poi nel 1931 divenne rosso grazie all’illustratore Haddon Sundblom che mise insieme i suoi ricordi di San Nicola e il personaggio dello “spirito del Natale presente“ descritto da Charles Dickens nel suo Canto di Natale (ed è l’immagine utilizzata nella pubblicità di una nota bibita gasata americana). Ma noi ci siamo imbattuti in una nuova versione del generoso Babbo grazie al Gruppo Culturale La Martesana di Erba: in un libretto antecedente al 1920 si narra di un signore di nome Anno (vestito di rosso con barba bianca, potrebbe aver ispirato l’immagine attuale) che vive in cima alla montagna da dove osserva i bambini buoni, ai quali a Natale porterà i giocattoli da lui fabbricati. Alla fine di dicembre il buon vecchio Anno muore, per rinascere col primo di gennaio e riprendere il proprio lavoro.
-34-
In movimento E non dimentichiamo una “collega” al femminile dei vari San Nicola e Babbo Natale: ci riferiamo a Santa Lucia che si festeggia il 13 dicembre, con una delle più diffuse tradizioni legate ai doni in Europa e in Italia. La Santa è spesso rappresentata da una fanciulla alla guida di un carro trainato da un asinello, in memoria della leggenda di una carovana trainata da asinelli carichi di sacchi di grano regalati per combattere la carestia. Questa distribuzione avvenne in gran segreto la notte tra il 12 e il 13 dicembre, così si pensò che fosse stata una grazia della martire e con il trascorrere del tempo si consolidò l’usanza di fare regali in quest’occasione. La Santa è festeggiata anche in Scandinavia, e soprattutto in Svezia, con varie processioni in cui le ragazze sono inghirlandate da corone di candele accese, mentre in Puglia in questa ricorrenza si preparano piccoli taralli dolci ricoperti di glassa chiamati “occhi di Santa Lucia“, e in Sicilia la “cuccia di Santa Lucia“, un dolce al cucchiaio a base di grano bollito e ricotta o crema di latte e canditi. Per tornare ai villaggi di Babbo Natale, abbiamo cercato di capire quale messaggio ci sia dietro: il denominatore comune delle diverse leggende è il dono, anche se al giorno d’oggi dietro il donare si cela spesso un’offerta puramente commerciale. Per questo, stanchi dei villaggi di Babbo Natale siamo partiti alla ricerca di Presepi, riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio immateriale della cultura italiana. Scoprendo due realtà che nascono dalla storia del presepe cominciata proprio ottocento anni fa per volere di San Francesco a Greccio, in provincia di Rieti: qui il Santo fece realizzare un presepe modellato sul racconto dell’evangelista Luca – lo conosciamo dalla descrizione che ne ha lasciato il suo biografo Tommaso da Celano- da cui ha avuto origine la tradizione diffusa in tutta Italia . Quelli di cui vi vogliamo parlare sono i presepi di carta di Francesco Londonio, esposti fino al 7 gennaio presso la villa Ceriani (via Ugo Foscolo 23) a Crevenna, frazione di Erba.
-35-
In movimento La mostra è promossa dal circolo culturale La Martesana nel terzo centenario della nascita del pittore milanese (1723-2023) specialista nella produzione di presepi dipinti su carta. Una produzione all’epoca assai diffusa: chi non aveva possibilità di acquistare le statuine di ceramica e legno si procurava fogli di carta con le figure del presepe da ritagliare e incollare poi su legno. In mostra si possono ammirare una serie di disegni con soggetti pastorali, oltre a vari presepi realizzati su carta, libri antichi e altri oggetti legati alla tradizione natalizia. Tra cui spicca nell’ala sinistra della villa, l’ormai famoso presepe che esattamente vent’anni fa gli Artigiani del Presepe guidati da Angelo Garolfi iniziò ad animare con gli ingegnosi movimenti meccanici da loro ideati. Si tratta di oltre trenta quadri scenici in movimento che rappresentano il paesaggio e le abitazioni della Brianza di cento anni fa, il lavoro nei campi e nelle stalle, le prime attività industriali e i mestieri della tradizione, i momenti di festa e di svago. In questo contesto la Natività è inserita in una casa contadina, ma soffermatevi anche sulla filanda in miniatura che ospita due macchinari per la lavorazione del filato di seta di ispirazione leonardesca, opere composte da migliaia di pezzi e realizzate con grande perizia dagli artigiani . Un motivo in più per visitare questa realtà a un’ora da Milano all’ombra delle Prealpi Lombarde, affacciata sui laghi di Pusiano e Alserio: i presepi valgono sicuramente una deviazione.
-36-
Dal nostro archivio LA FESTA DEI 7 PESCI La “Fist di Settefisc” è il menu obbligatorio della cena della Vigilia di Natale in ogni famiglia Italo-americana, anche in casa di Jim e Claudia Di Flavia Caroppo – giornalista, corrispondente da New York «Ci ha tolto Pasqua, le vacanze estive, Halloween, la festa del Ringraziamento e pure San Gennaro… Mr Covid non ci toglierà anche la Fist di Settefisc. Non è Natale senza i Settefisc. Capisci?». La “Fist di Settefisc”, ovvero la Festa dei 7 pesci, è il menu obbligatorio per la cena della Vigilia di Natale in ogni famiglia Italo-Americana (o meglio Ameritaliana, ovvero americana ma di origini italiane) che si rispetti. Compresa quella di Jim, che nonostante di cognome faccia Czajkowski è per metà italiano di sangue (sua madre è di Ariano Irpino, il padre polacco), e per l’altra metà italiano d’amore. Sua moglie Claudia Giuliani, infatti, è barese purosangue e i loro due figli, Aleksandra e James, parlano la nostra lingua perfettamente (e con il nonno Giuseppe Giuliani, attore teatrale di opere in vernacolo, azzardano persino conversazioni in dialetto barese) . «Io ho cercato di spiegare che in Italia la “Fist di Settefisc” non esiste come tradizione nazionale, che se la sono inventata gli immigrati qui in America. Ma non sono mai riuscita a convincerli e non ci provo neanche più», interviene Claudia, la veterinaria più amata del Connecticut (da cani, gatti e umani). In quasi 16 anni di matrimonio, Claudia è riuscita a cancellare dal menù “italiano” della famiglia di suo marito gli Spaghettimittbols, ovvero spaghetti and meatballs (spaghetti con le polpette, da servire come piatto unico e pronunciare come parola unica), le Fettuccini Alfredo (cioè fettuccine -o un qualsiasi formato di pasta, in realtà- condite con una versione in barattolo di quella cremina che si forma quando facciamo una semplice pasta al burro all’italiana), o il chicken parmesan (diffusissima “parmigiana di pollo”, ovvero filetti di pollo a strati ricoperti di pomodoro e mozzarella, che in italiano non sappiamo neanche che cosa sia) . «Però mi sono piegata anch’io alla tradizione dei 7 pesci», continua Claudia . «In fondo non è troppo lontana da quello che si fa nella mia famiglia, a Bari, e in gran parte d’Italia specialmente al Sud . Da noi la cena della Vigilia è di magro, a base di pesce e verdure» . A Bari però, e lo so per esperienza personale, più che su 7 pesci il cenone della vigilia di Natale si basa sui frutti di mare (per i baresi ogni occasione è buona per mangiare frutti di mare crudi). Ostriche, noci (prelibato mitile che nel resto d’Italia si chiama tartufo di mare perchè va scavato fuori dal fondale sotto le rocce, come un tartufo va scavato dalla terra sotto alcuni alberi), cozze nere, cozze pelose, ricci di mare, taratuffi (il tartufo di mare made in Bari, una spugna dall’esterno calloso il cui sapore ricorda l’acido fenico, apprezzata solo dagli irriducibili dei frutti di mare), e poi vongole, lupini, mussoli (conchiglie dalla forma strana, difficili
-37-
il tempo della Grande Mela da aprire, che a Bari si chiamano piedi di porco), polipetti crudi arricciati (cioè battuti su uno scoglio fino a renderne le carni molto tenere), e gli immancabili allievi, seppioline nate da poco che si mangiano generalmente intere (testa compresa) o tagliate a striscioline sottili (la testa resta intera, a parte) senza alcun condimento. «Io e Jim ci occuperemo, come tradizione, proprio del crudo, come lo chiamiamo noi», racconta ancora Claudia, che spiega anche come in famiglia cercheranno di mantenere viva la festa anche se, a causa della pandemia e del divieto di aggregarsi, non ci sarà la solita tavolata (più il tavolo dei bambini) ad invadere gioiosamente la casa di uno o dell’altro membro della famiglia. «Quest’anno ciascuna di noi quattro cognate preparerà una parte delle 13 portate che compongono la Festa dei 7 Pesci, e poi ce le scambieremo, in modo che ogni famiglia abbia un menu completo senza dover sfacchinare», racconta Claudia . E continua : «Abbiamo già ordinato tutto nella nostra pescheria di fiducia . Il 24 mattina, all’alba, partiremo da Trumbull, in Connecticut, alla volta di New York, precisamente Arthur Avenue, nel Bronx, la vera Little Italy sconosciuta ai turisti. Qui caricheremo in macchina le cassette di frutti di mare freschissimi che abbiamo fatto confezionare per ciascuna famiglia (sono cinque in totale, tra cognati e suoceri, compresi loro). Al ritorno, lasceremo il nostro gustoso contributo sulla soglia di casa dei destinatari, e prenderemo le prelibatezze gastronomiche che ciascuna famiglia ha preparato per gli altri. Sarà un viaggio di circa 4 o 5 ore tutto compreso, sperando di partire tanto presto da evitare il traffico, altrimenti chissà quanto ci metteremo! Ma per rispettare la tradizione, almeno a tavola, e dare una parvenza di normalità a questo Natale ne vale la pena», conclude. Il menù di questa vigilia deve restare un segreto, al momento lo sanno solo le cuoche, che hanno creato un gruppo Whatsapp per organizzarsi, vietato agli estranei. Con un’unica eccezione, quella fatta per noi (che lo pubblichiamo a Vigilia passata ormai) e di nonna Mariella, che non potendo contribuire con il suo buonissimo baccalà fritto (per colpa della pandemia è dovuta, ovviamente, restare in Italia) è stata aggiunta al gruppo per poter almeno condividere la segretissima ricetta con la famiglia allargata americana . Se volete provare a fare la Festa dei Sette Pesci non vi tocca aspettare il prossimo Natale. «In casa mia i Settefisc è la cena del 24 dicembre, ma qui in America molti fanno la Feast il 31 dicembre, per portare fortuna nel nuovo anno», racconta ancora Jim. Che spiega anche l’importanza dei numeri sette (i tipi di pesce) e 13 (le portate). «Mia nonna Maria diceva che 7 era per ricordare la settimana di viaggio di Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme . Le 13 portate, invece, rappresentano il numero dei commensali all’Ultima Cena. Noi bambini», ricorda Jim, «dovevamo conservare un boccone di ogni portata da lasciare, a fine cena, sul tavolo, per sfamare gli angeli che durante la Notte Santa sarebbero venuti a fare visita».
-38-
il tempo della Grande Mela Il menu della Feast dei Sette Fisc 2020 Ecco cosa hanno mangiato gli angeli (o Babbo Natale) quest’anno a casa di Jim e Claudia: Antipasti: 1. Filettini di baccalà fritti in pastella 2. Polipo all’insalata 3. Crudo di mare Primo: 4. Spaghetti allo scoglio, o con le vongole, o con il sugo di capitone, o tubettini alle cozze in bianco. Secondi: 5. Seppie, patate e cipolle 6. Capitone (arrostito o al sugo) o branzino, orata, etc al forno 7. Gamberetti fritti in pastella Contorni: 9. Insalata di rinforzo 10. Cardi al forno con olive e capperi 11. Finocchi crudi e pinzimonio Dolci: 12. Panettone/Pandoro/Cartellate 13. Tronchetto di Natale Il baccalà fritto in pastella di Mariella n.b. Mariella raccomanda di iniziare la preparazione del baccalà in pastella presto la mattina del 24 dicembre Ingredienti per quattro persone: 700 grammi di baccalà ammollato 150 grammi di farina di grano duro (semola rimacinata) 100 grammi di farina 00 25 grammi di lievito di birra acqua tiepida olio sale e pepe q.b.
-39-
il tempo della Grande Mela Preparazione Sciacquate sotto l’acqua corrente il baccalà per dissalarlo ulteriormente e fatelo sbollentare, per qualche secondo, in acqua bollente non salata. Privatelo della pelle e delle spine, e lasciatelo riposare ed asciugare per almeno quattro ore. Appena sarà completamente freddo, riducetelo in piccoli tocchetti, tenetelo da parte, sempre su un canovaccio asciutto, e preparate la pastella che dovrà lievitare per almeno un paio d’ore. Sciogliete il lievito di birra in mezzo bicchiere di acqua tiepida. In una ciotola setacciate i due tipi di farina, unite il lievito di birra sciolto in acqua ed un pizzico di sale. Amalgamate accuratamente con un cucchiaio di legno o, meglio ancora, con le mani (la velocità del mixer, infatti, potrebbe compromettere la corretta lievitazione). Mescolate con cura, in modo da evitare la formazione di grumi. La consistenza ideale del composto dovrà essere semifluida. Se, invece, dovesse risultare troppo denso, diluite con qualche altro cucchiaio di acqua tiepida. Coprite la ciotola con un telo e fate riposare la pastella, in un luogo riparato (l’deale, per esempio, è il forno di casa; acceso e spento dopo un paio di minuti, tanto da raggiungere una temperatura appena tiepida). Trascorse due ore, osservate la superficie dell’impasto che, se presenterà delle piccole bolle in superficie, vi indicherà il raggiungimento di una ottimale lievitazione. Prendete un pentolino abbastanza capiente e profondo (potete usare anche la friggitrice elettrica, avendo però cura, di lasciare aperto il coperchio, per evitare che il vapore condensando ricada nell’olio bollente, abbassi la temperatura e comprometta la consistenza croccante della pastella) e riempitelo abbondantemente d’olio. Accendete la fiamma. Appena l’olio avrà raggiunto una temperatura elevata, passate alcuni pezzetti di baccalà nella pastella e tuffateli, pochi pezzi alla volta, nell’olio bollente. Aiutandovi con una paletta forata (schiumarola), girate i pezzi di baccalà e spingeteli verso il basso, in modo da farli dorare omogeneamente. Il fritto deve letteralmente “nuotare” nell’olio. In questo modo, infatti, ne assorbe meno, risulta più digeribile ed assume anche un gusto più delicato. A mano a mano che i tocchetti di baccalà saranno dorati e croccanti, prelevateli e fateli asciugare su carta assorbente [oppure carta marrone – L.C.] e proseguite, fino a quando non avrete fritto tutto il pesce a vostra disposizione. Servite i pezzetti di baccalà fritti su un piatto da portata precedentemente riscaldato, cospargendoli di un pizzico di sale e, se gradite, pepe nero macinato al momento. Infine, per una pastella particolarmente croccante potrete sostituire parte dell’acqua con della birra bionda o con dello spumante (molto freddo, quasi ghiacciato).
-40-
Da leggere (o rileggere) CONTROGLOSSARIO DI MEDICINA Un libro di Roberta Villa da leggere tutto l’anno Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
Che cosa meglio di un libro, quando non si sa che regalare? Meglio ancora se si tratta di un libro autorevole ma di piacevole lettura, serio ma non troppo impegnativo: da spizzicare secondo la curiosità o per rispondere a domande specifiche. Un libro come il Controglossario di medicina di Roberta Villa ( Gribaudo 2023) reperibile in libreria e sui principali siti (come www.amazon.it/Controglossario-medicina-viaggio-pensiamo-conoscere-ebook/dp/B0CNXXRZ8T)
-41-
Da leggere (o rileggere) Per chi legge di salute, il nome di Roberta Villa è una garanzia: laureata in medicina, una vita da divulgatrice su quotidiani e periodici, negli ultimi anni ha proposto sui social video dedicati soprattutto al tema dei vaccini e della pandemia, approfondendo i diversi temi in modo puntuale ma non pedante e soprattutto rassicurante. La stessa filosofia che guida questo Controglossario che snocciola una quarantina di voci, da Abbronzatura – che non sempre fa bene – a Zucchero – che non dobbiamo demonizzare eccessivamente – arricchite da box, tabelle e altri approfondimenti . Gli obiettivi sono soprattutto due: spiegare termini che usiamo o sentiamo spesso senza conoscerne il vero significato, e contrastare la disinformazione chiarendo qualche dubbio. Per esempio sull’alimentazione: oggi gli alimenti senza glutine vanno per la maggiore, eppure, ricorda l’autrice, sono vitali per chi soffre di celiachia ma del tutto inutili per chiunque altro, salvo che per le aziende che puntano sugli “alimenti senza” (glutine, ma anche grassi, zuccheri o altro) per attivare i consumatori attenti alla salute. Mentre il vino, ahimè, “non è mai un toccasana”: anche se siamo in stagione di brindisi, dobbiamo ricordare che non c’è nessun vantaggio per la salute a consumarlo. L’autrice spiega come sia ormai sfatato il famoso paradosso francese che attribuiva al vino rosso la miglior salute cardiovascolare dei nostri cugini di oltralpe rispetto agli americani, a parità di consumo di grassi saturi. Anzi, non esiste neanche una dose minima accettabile il che non significa che non si possa brindare al nuovo anno, ma che dobbiamo essere coscienti che alcuni piaceri devono essere centellinati, se teniamo davvero alla salute. Altre voci aiutano a chiarire termini di uso comune ma spesso fraintesi: nel linguaggio corrente, per esempio, interpretiamo schizofrenico come “incoerente, contraddittorio” mentre in realtà, spiega Villa, il termine fa riferimento alla mente “divisa” dalla realtà di chi soffre di allucinazioni, deliri e altre difficoltà a interagire con i propri simili. Un disturbo grave, anche se in molti casi controllabile con una terapia adeguata. Un altro pasticcio semantico è quello che riguarda l’arteriosclerosi, spesso confusa con l’aterosclerosi: in una voce dedicata alle “sclerosi” di vario tipo, Villa ci ricorda che l’arteriosclerosi è l’irrigidimento delle pareti arteriose col passare degli anni, un disturbo che si può presentare in varie forme, tra cui la più diffusa e grave è appunto l’aterosclerosi, “un nome in cui il prefisso ‘atero’ non si riferisce alle arterie ma a una parola greca che significa ‘pappa’” a evocare l’aspetto delle placche di grasso che ostruiscono le arterie irrigidendole e ostacolando il passaggio del sangue. E poi ancora, l’autrice spiega la differenza tra microbioma e microbiota, tra efelidi e lentiggini, tra siero e vaccino. Un tema, quello dei vaccini, caro a Villa che l’ha già approfondito in due saggi. E qui ci spiega perché sia utile affidarsi alla scienza – con toni anche più accesi, nei confronti dell’omeopatia, di quelli che userei io – e ricorda correttamente quanto possa essere pericolosa l’equivalenza naturale / sicuro . Il tutto scritto in “stile Villa”, corretto e scorrevole, senza banalizzare ma soffermandosi a spiegare i passaggi più ostici. Chi legge avrà la sensazione di chiacchierare con un’amica che si può poi continuare a seguire sulla sua pagina Facebook www.facebook.com/lavillasenzavirgola oppure su Instagram www.instagram.com/robivil/.
-42-
Da leggere (o rileggere)
-43-
Benessere A CHE COSA SERVONO I “BATTERI BUONI” Informazione promozionale A cura della Redazione
A che cosa servono i “batteri buoni”? Alzi la mano chi sa rispondere a questa domanda: che cosa sono i “batteri buoni”? La risposta è semplice: come i lattobacilli e i bifidobatteri, sono batteri che hanno la capacità di instaurare una sorta di relazione amichevole con il ostro intestino. E. com’è ormai noto, l’equilibrio fra i diversi microrganismi che compongono il microbiota intestinale è essenziale per il benessere dell’intero organismo. Dalla presenza di batteri buoni possono derivare numerosi vantaggi, quali: •
contribuire al corretto finzionamento del nosyto sistema immunitario;
•
mantenere in equilibrio la flora intestinale, inibendo la crescita dei batteri cattivi (“patogeni”);
•
aiutare il processo di digestione;
•
produrre nutrienti come alcune vitamine del gruppo B e K. Fondamentali per l’organismo.
Ma dove trovare i batteri buoni? Si possono trovare negli alimenti fermentati e soprattutto nei prodotti probiotici. Non a caso L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce i probiotici come “microrganismi vivi che, somministrati in quantità adeguate, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”
-44-
Immagini e fotografie
Copyright Dove non espressamente indicato le foto o le immagini presenti attualmente nella rivista sono situate su internet e costituite da materiale largamente diffuso e ritenuto di pubblico dominio. Su tali foto ed immagini la rivista non detiene, quindi, alcun diritto d’autore e non è intenzione dell’autore della rivista di appropriarsi indebitamente di immagini di proprietà altrui, pertanto, se detenete il copyright di qualsiasi foto, immagine o oggetto presente, oggi ed in futuro, su questa rivista, o per qualsiasi problema riguardante il diritto d’autore, inviate subito una mail all’indirizzo generazioneover60@gmail.com indicando i vostri dati e le immagini in oggetto.
Tramite l’inserimento permanente del nome dell’autore delle fotografie, la rimozione delle stesse o altra soluzione, siamo certi di risolvere il problema ed iniziare una fruttuosa collaborazione.
-45-
ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI