N6 Anno 3 Generazione Over60

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Giugno 2021

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 3, n.6

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Le rubriche

EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il personaggio Il tempo della Grande Mela Incipit Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Nostalgie Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni

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Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo

I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60

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Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE

Foto Chiara Svilpo

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

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Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI

SESSUOLOGO E PSICHIATRA è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA

ANDROLOGO E CHIRURGO è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO

DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI

GIORNALISTA SCIENTIFICO giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

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Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE

GIORNALISTA SCIENTIFICA classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

GIOVANNI PAOLO MAGISTRI

BIOLOGO Classe 1951, biologo specializzato in patologia generale, si occupa di progettazione di sistemi per la gestione della sicurezza e dell’igiene delle produzioni alimentari. Socio Onorario dell’Associazione PianoLink vive sognando di diventare, un giorno, un bravo pianista.

FLAVIA CAROPPO

GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI

GIORNALISTA Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.

MONICA SANSONE

VIDEOMAKER operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

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Sommario -10Generazione F E che ci vuole a scrivere sull’argomento tema libero? Editoriale di Minnie Luongo -14Foto d’autore In punta di piedi di Francesco Bellesia -16Incipit Monogamia e cosmesi di Giovanni Paolo Magistri -20Stile Over La maestra Carmela di Paola Emilia Cicerone -24Incursioni Il sangue blu? Certo che esiste di Marco Vittorio Ranzoni -29Da leggere (o rileggere) Storia della pasta in 10 piatti:dai tortellini alla carbonara di Paola Emilia Cicerone

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Sommario -32Bellezza Il picotage: un alleato presioso per la nostra pelle Professor Antonino Di Pietro -37Sessualitài Riattivare l’eros è necessario anche per le coppie di lunga data di Marco Rossi -40Da tener d’occhio G.B. Magistri, pittore e grafico milanese dalla Redazione -41Il tempo della Grande Mela 50 sfumature di blu di Flavia Caroppo -44In forma Non esiste un programma di allenamento valido per tutti dalla Redazione -48Di tutto e niente Gli occhiali di Andrea Tomasini -53News “La Scienza del Vivere Bene” di Yakult A cura della Redazione

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Generazione F E CHE CI VUOLE A SCRIVERE SULL’ARGOMENTO TEMA LIBERO? EDITORIALE Premessa: nell’altra vita che ho vissuto (quella di insegnante, parallela a quella di giornalista) non ho mai assegnato un tema libero ai miei studenti. Non ho mai voluto farlo. Ritenevo fosse troppo facile scrivere di ciò che si sa e, soprattutto, già mi vedevo a correggere pagine e pagine sul calciatore preferito, sviolinate fasulle sulla propria famiglia (magari prendendo a prestito spot televisivi di adolescenti che si svegliano in un attimo, richiamati dal profumo della colazione), oppure copie di una pagina di un libro di testo imparata

a memoria in vista di un’interrogazione…. No, assolutamente no: la traccia del tema dovevo darla io, la Prof. Questa volta, in qualità di direttore di un magazine, ho fatto l’esperimento. Il risultato è sorprendente: gli amici che collaborano con i propri contributi hanno confezionato un numero davvero di qualità, tanto da farmi quasi pentire di non averci provato ai tempi della scuola. Bene, ora tocca a me buttare giù l’Editoriale. E che scrivo? Certo, potrei dilungarmi su uno degli infiniti argomenti che mi appassionano, oppure ricordare una persona che ho amato (o detestato), fare sfoggio della

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Generazione F mia competenza su un determinato argomento, parlare della variante Delta del Covid e delle apprensioni che sta provocando in tutto il mondo, ma no. … No. E allora? Vuoi vedere che inaspettatamente provo l’“horror vacui” davanti al foglio bianco? (che poi non è già più bianco, ma questi sono dettagli…) . Utilizzata per la prima volta da Aristotele nei suoi studi sulla fisica per sostenere l’inesistenza degli spazi vuoti, l’espressione è stata poi ripresa per indicare il blocco dello scrittore . C’è chi suggerisce, per superare l’impasse, di scrivere la prima cosa che passa per la testa semplicemente perché sentiamo di volerla comunicare, tentando di ignorare ipotetici giudizi esterni e rassicurati dal fatto che successive riletture ci aiuteranno a limare le imperfezioni . Perfino Kafka- il 29 gennaio del 1915- annotava “ancora una volta ho provato a scrivere, praticamente inutile” . E se capitava, e spesso, a Franz Kafka, non dovrebbe succedere ad una scribacchina come la sottoscritta? Confessione: sempre nell’altra vita, prima di un tema, suggerivo ai ragazzi di farsi una traccia dei punti da seguire (ancora non mi sembra venisse definita “scaletta”), senza buttarsi a capofitto nella scrittura, ma di fare mente locale su ciò che si voleva comunicare. Ebbene, è sempre stato ciò che io non ho mai fatto, né da studentessa né da giornalista o da scrittore. A scuola cominciavo immediatamente a scrivere maqui sta il punto da confessare- non perché sapessi esattamente dove andare a parare, ma per il motivo opposto. Infatti, il più delle volte succedeva che, pensando di voler dimostrare una tesi, procedendo nella scrittura finissi per arrivare a una conclusione del tutto differente. Più o ticolo vere tato

meno ciò che ho sempre fatto con un aro un libro (in quest’ultimo caso scril’Indice per me ha sempre rappresenun incubo, altro che foglio bianco!).

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Franz Kafka


Generazione F In genere per un articolo se mi arriva subito in mente l’attacco (la frase iniziale, per intenderci), comincio da quello. Poi (a molti miei colleghi forse sembrerà una follia) mi concentro scrupolosamente sui “box”, quegli spazi di qualche riga dedicati ad un approfondimento o ad un inciso. E quindi, a ritroso, costruisco il pezzo. Adesso che ci rifletto, è forse un modo per aggirare l’eventuale ansia da prestazione. Chissà.

Quanto ai libri, pur avendone scritti non pochi, specie nell’ambito dei manuali, ripenso sempre al consiglio di un caporedattore che mi conosceva fin troppo bene: “Pensa di scrivere tanti articoli uno dopo l’altro, ma non necessariamente in successione, e non un libro”. E così ho sempre fatto.

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Generazione F Mi accorgo ora che anche l’Editoriale è giunto alla conclusione. Sempre seguendo il mio metodo/non metodo. Tant’è vero che avrei voluto partire dalla spiegazione delle foto di copertina, ma poi ho cambiato in corsa e me ne sono dimenticata… Infine, per essere coerente con quanto detto, terminerò con il box che, in realtà, è stata la prima cosa che avevo scritto per questo Editoriale.

La nostra rivista è entrata felicemente nel terzo anno di vita e conta sempre più lettori ed estimatori. Cosa di cui noi tutti della Redazione non possiamo che essere felici e grati. Avendo deciso sin dall’inizio di non far pagare un abbonamento, per continuare ad essere liberi e poter pagare le spese che comporta l’uscita di un blog e di una testata online, vi ricordiamo che potete contribuire, anche una tantum, e con una cifra corrispondente al costo di un semplice caffè- pur non disdegnando noi cifre più consistenti o vere e proprie donazioni- affinché il nostro lavoro sia sempre più di qualità e possa coinvolgervi con iniziative e proposte. La modalità è semplicissima: basta andare sul blog www.generazioneover60.com e, all’interno di ogni articolo, troverete uno o più “bottoni” da pigiare, che viguideranno senza problemi ad effettuare un bonifico, con carta di credito o anche con PayPal. Grazie!

E che ci voleva a scrivere un Editoriale sul tema libero?! Buona lettura e al prossimo mese!

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Foto d’autore In punta di piedi

Così ci affacciamo tutti a questa estate. Con un po’ di timore e tanta speranza

In punta di piedi. di Francesco Bellesia https://francescobellesia.it/

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Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.

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Incipit MONOGAMIA E COSMESI L’affermazione della società monogama segnerebbe il passaggio dell’imbellettamento dagli uomini alle donne Di Giovanni Paolo Magistri - biologo

La spinta alla procreazione è premiata, quantomeno negli animali superiori, con il reciproco soddisfacimento sessuale; secondo i moderni sessuologi l’orgasmo è da considerarsi il maggior appagamento psico-fisico e non potrebbe essere diversamente in quanto, contrariamente, ne comprometterebbe il successo evolutivo . Di pari passo il mimetismo è utilizzato dagli animali per “imbrogliare” i predatori e rendere loro difficile l’identificazione della preda. Nel regno animale solitamente tra i due sessi quello femminile è più geneticamente predisposto al suo utilizzo; la femmina ha colori meno sgargianti, tendenti a confondersi con

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Incipit l’ambiente e a volte a cambiare secondo il ritmo delle stagioni, diversamente dal maschio che possiede una livrea più appariscente, capace di indurre la femmina all’unione procreativa in quanto è rappresentazione di salute ed efficienza fisica.

Un pavone maschio con la coda aperta La differenza strabiliante tra la ruota del pavone maschio esibita per il corteggiamento e la sua assenza nella femmina, unitamente agli spenti colori, ne sono solo un esempio. Questa strategia genetico-comportamentale è stata utilizzata anche dall’uomo fino a tempi relativamente recenti ove il maschio attraverso esclusive danze tribali proponeva alla femmina le vicendevoli alternative. Con il formarsi delle iniziali società umane monogame e la conseguente creazione del “nucleo familiare” come unità collante delle società organizzate parrebbe iniziare una sorta di inversione di quanto descritto; la femmina, al riparo ormai delle mura domestiche e con il maschio indaffarato nella ricerca del cibo, inizia ad avere la possibilità di crescere la propria prole con minor apprensione e forsanche dedicare maggior attenzione al proprio aspetto e intanto, per l’appunto, indurre il partner alla routinaria e incessante ricerca del cibo.

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Incipit

Poggiando il proprio comportamento su queste leve la femmina umana si è impadronita di quanto era un’esclusività maschile: incipriarsi il volto, rimarcare i lineamenti degli occhi, tingersi le labbra. Così come sovrastare i feromoni naturali con quelli artificiali ha assunto importante rilievo per la propria affermazione e la conquista del maschio. In questi ultimi anni stiamo assistendo ad una sempre maggior proposta dell’industria della cosmesi al mondo maschile e interessante sarebbe stimare quanto sia dovuto ad una effettiva richiesta e da quanto, invece, sia dovuto ad una forzatura di mercato . La femminilizzazione del comportamento maschile così come lo scemare della femmina civettuola e gentileunitamente al condiviso assottigliamento delle differenze nel mondo del lavoro tra i due sessi- lascerebbero intravvedere un nuovo mutamento all’orizzonte sull’organizzazione delle società monogame; anche le molteplici legislazioni hanno dovuto rivisitare regole che apparentemente fino a qualche decennio fa apparivano inconfutabili ai più.

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Incipit Tra i capovolgimenti di fronte precedentemente descritti e le moderne spinte socialmente riscontrate sembrerebbe emergere la necessità di un avvicinamento comportamentale tra i due sessi umani; d’altronde, uno studio dell’Università di Pisa ha verificato come nella fase iniziale di una relazione il livello di testosterone si abbassi nei maschi e viceversa s’innalzi nelle femmine e il livello di cortisolo, ormone dello stress, sia invece praticamente identico. Un’ultima considerazione interessante è constatare come in gioventù il maschio, contrariamente alla femmina, esibisca un atteggiamento più libertino e che con il passare degli anni, in entrambi i sessi, subisca una sorta di inversione .

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Stile Over LA MAESTRA CARMELA Ricordi di scuola: un’esperienza montessoriana Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Paoletta, come venivo chiamata alle elementari A volte Facebook offre dei regali inaspettati: tra i più belli degli ultimi anni, l’incontro, dopo oltre mezzo secolo, con la mia maestra delle elementari. Chi non ricorda “la maestra”? Per molti di noi è la prima persona importante della vita al di fuori della famiglia, indimenticabile soprattutto per chi ha avuto la fortuna di un incontro felice, e di essere seguito per un quinquennio dalla stessa insegnante. Grazie ai contatti con gli ex allievi della mia scuola romana (Scuola Elementare Statale 7° Circolo Montessori Plesso Villa Paganini) circa due anni fa ho potuto scrivere una mail un po’ emozionata che cominciava con le parole “Cara maestra”, e allegava una mia foto d’epoca per rendermi riconoscibile. Così, il rapporto tra una bimba un po’ spa-

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Stile Over ventata e un po’ musona e la sua giovane maestra - che ha insegnato a Villa Paganini dal 1954 al 1998 - si è trasformato in un’amicizia on line tra due signore Over. E ho avuto la gioia di trovare la mia cara maestra impegnatissima a divulgare la pedagogia montessoriana cui ha dedicato la sua lunga carriera, nell’inedito ruolo di blogger: la trovate su https://carmelaalbaranoblog.home.blog/ , con ricordi, testimonianze e approfondimenti preziosi per chi ama la pedagogia e il mondo della scuola . Così per un po’ sono tornata a essere Paoletta, come mi chiamavano da bambina, e come mi ha sempre chiamato lei, la maestra Carmela - ancora oggi non riesco a chiamarla diversamente - o “Maestra Caramella” come era stata ribattezzata per la sua dolcezza. La ricordo il giorno del nostro primo incontro, piccolina e paffuta, occhi scuri e un sorriso irresistibile. Sarebbe stato difficile fare di meglio, volendo immaginare una persona adatta a rassicurare una bambina timida, poco avvezza agli estranei e poco convinta dell’esperienza scolastica nonostante il “collaudo” dell’asilo, all’epoca tutt’altro che scontato. Carmela era giovane, ma credo che sapesse già leggere bene nel cuore dei bambini, come ha poi fatto per tutta la vita: mi si avvicinò gentilmente coinvolgendomi in un lavoretto gradevole che riguardava alcune foto di fiori, e alla fine tornai a casa convinta che la scuola non fosse poi così male, e che le giornate trascorse accanto a quella creatura gentile sarebbero state serene. Villa Paganini era una delle scuole Montessori aperte nella capitale, diretta da Maria Clotilde Pini - per noi la Signorina Pini - allieva di Maria La maestra Carmela Montessori. E in quelle casette verdi nascoste dalla vegetazione di un bel giardino, lo spirito montessoriano si respirava davvero: “Come medico”, scrive Carmela Albarano nel suo blog, “la Montessori vedeva oltre le medicine, vedeva che era necessario far vivere i bambini, stimolarli, attivarli, renderli partecipi alle proprie funzioni, azioni e reazioni”. Per chi si avvicinava alla scuola, era un programma fantastico. Quegli anni per me non furono facili, tra malattie e lutti familiari, ma Villa Paganini mi piaceva, sentivo che lì c’erano persone in grado di supportarmi nei momenti difficili. E c’erano tante cose da fare, dalle lezioni di flauto dolce - occasione per massacrare la Barcarola di Offenbach, ma anche pe scoprire che amavo la musica classica - ai lavoretti manuali che realiz-

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Stile Over zavamo per i nostri genitori, con risultati estetici discutibili ma grande divertimento. In retrospettiva, sono ammirata dall’audacia con cui le nostre maestre ci facevano maneggiare forbici, candele e ceralacca, ma evidentemente la loro assistenza attenta ma non opprimente funzionava a dovere, perché non mi ricordo che si sia mai fatto male nessuno. D’altronde, il metodo Montessori punta all’autonomia dei bambini e a promuovere la creatività. Con risultati a volte bizzarri dal punto di vista della disciplina, specie per chi come me era già portato alla contestazione . L’orario scolastico - assai flessibile, come tutto in quelle aule luminose senza i tradizionali banchi e i grembiuli bianchi e neri - prevedeva momenti di lavoro libero, che io dedicavo inevitabilmente ai fascinosi libri della bibliotechina di classe . Ricordo con chiarezza che più volte la maestra mi aveva invitato a fare altro, magari qualche lavoro di gruppo, avendo correttamente individuato le relazioni con i coetanei come il mio punto debole . Ma la mia obiezione era sempre la stessa : “E’ lavoro libero? E allora posso fare quello che voglio . Ed io voglio leggere” . Si deve certamente alla dolcezza della maestra Carmela il fatto che mi abbia definita “ dolce e garbata nel profondo” anche se prevenuta e riservata al primo incontro: un’ennesima carezza, e oggi la gioia rara di parlare con qualcuno che mi ha conosciuta bambina.

A lezione di flauto dolce E la bambina solitaria che ero cominciò a scoprire proprio in quegli anni la gioia delle amicizie femminili che poi sarebbero state tanto importanti nella mia vita. Grazie anche al bel giardino in cui trascorrevamo i momenti di ricreazione, e che era teatro delle storie avventurose che inventavo e interpretavo per e con le mie amichette. Proprio poche settimane fa ho avuto la sorpresa di ritrovarne i nomi sul blog di Carmela Albarano, in un libretto che raccoglie i nostri i componimenti poetici, ennesima testimonianza dell’affetto, assolutamente ricambiato, che ha legato e lega la maestra alle sue classi. Sintetizzato nel suo blog da una “ricetta” infal-

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Stile Over libile: “ basta arricchirsi del sapere e lasciarsi andare vivendo con i bambini, senza preoccuparsi di essere capaci o meno di disegnare, o di avere o no abilità manuali (se ci si preoccupa, per me, è solo un alibi per non fare).L’importante è avere entusiasmo e dare indicazioni. Nel rapporto adulto-bambino sono importanti la chiarezza, la decisione, la fermezza, la giustizia, la serenità. Basta farsi bambino tra i bambini”.

La mia scuola

Carmela Albarano, oggi attivissima blogger

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Incursioni IL SANGUE BLU? CERTO CHE ESISTE Dalle elementari all’Università: ricordi e aneddoti scritti con l’ironia e la leggerezza insite nel Dna dei migliori Over60 DOC Di Marco Vittorio Ranzoni - giornalista Alle elementari mi hanno eletto addirittura capoclasse, per una settimana. Il capoclasse aveva il compito di segnare alla lavagna i buoni e i cattivi. Pensarci oggi fa rabbrividire. Non ho mai perso un anno di scuola, ma non ho mai brillato per profitto o diligenza, e ho ricordi vaghi delle scuole elementari e delle medie: si vede che ho rimosso in blocco la scuola dell’obbligo.

Io da bambino Ad onor del vero un ricordo di seconda media me lo porto indelebilmente: durante un’interrogazione di scienze di fine anno il professore mi chiese la differenza tra sangue venoso e sangue arterioso. Io tentai di prendere tempo, perché non avevo studiato e la presi larga: “Anzitutto il sangue arterioso è rosso e quello venoso è blu”. Dal volto paonazzo del prof capii di avere detto qualche castroneria, ma il mio amico e compagno di banco, Atos, venne subito in mia difesa: “Ha ragione, prof, guardi sul libro” e prontissimo si alzò col libro aperto e andò verso la cattedra. Quell’anno io e Atos fummo i soli due alunni della Scuola Media Luca Beltrami ad essere rimandati in Scienze. Ma, diciamolo, una gag del genere non ha prezzo.

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Incursioni

Delle medie superiori sarebbe meglio tacere: iscritto al Feltrinelli, perché nessuno (tantomeno io) ipotizzava un mio futuro universitario e allora un perito meccanico trovava facilmente un lavoro dignitoso, in cinque anni cambiai cinque sedi e dato che quelli erano gli anni delle contestazioni studentesche, quelle sedi le frequentammo molto poco. Ciò si tradusse in un misero 36 alla Maturità (tuttora chiamo “professore” il mio amico Roberto che ottenne un beffardo 37), dopo che l’intera classe rischiò seriamente di non essere neanche ammessa all’esame di Stato per una sospensione a seguito di una pesante marachella (o se proprio volete un atto vandalico), ai danni della Fiat 124 blu del preside. Forte del trionfo scolastico, partii con due amici, le tende e la mitica 2CV gialla (come quella di James Bond, ma prima di lui, ndr) per un viaggio che attraverso tutta la penisola balcanica ci portò in Grecia. Indimenticabile.

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Incursioni

Al ritorno mio padre, conscio del genio di un figlio che – primo in famiglia – si era diplomato addirittura nei tempi stabiliti, pronunciò la fatidica parola: Ingegneria. Detto fatto. Piazza Leonardo da Vinci mi sembrava immensa, e il Politecnico una città kafkiana, austera e fuligginosa, con tanto di ciminiera. Già all’acquisto dei libri di testo mi sorse un vago sospetto, che però ignorai, tutto compreso nella mia nuova veste di studente universitario. In realtà il testo di Analisi mi sembrava scritto in un’altra lingua, ma mi dissi che erano tutte fisime e che presto, frequentando le lezioni, mi si sarebbe dischiuso magicamente il mondo del Sapere. Così non fu. Dopo alcune umilianti lezioni nelle vecchie, fascinose e stipatissime aule mi resi conto che qualcuno, al liceo, aveva studiato davvero. Altri, che condividevano il mio livello di impreparazione, si chiusero in casa giorno e notte per mesi per recuperare il tempo perduto e provarono a mettersi in pari. Io imparai a giocare a biliardo. Tentai un solo esame, quello di Disegno industriale . Ah, lì non mi avrebbe battuto nessuno, pensavo . Ero bravino col tecnigrafo, ma l’esame fu con foglio e matita . A mano libera . Così mi bocciarono e mi schernirono, dicendo che il disegno dal vero di un complicato pezzo meccanico era stato fatto in modo troppo preciso . “Così disegnano solo i periti meccanici”, mi disse il prof “non gli ingegneri : devi mettere su carta solo le informazioni essenziali, mica perderci due ore a fare le freccette a coda di rondine neanche fossi Giotto” . Così mi misi di impegno e migliorai di molto il mio rendimento al biliardo, tanto che mi comprai una stecca.

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Incursioni Infine accettai la sconfitta e mi arresi. Mio padre non fu felice del mio fallimento come ingegnere, ma se ne fece una ragione. Così iniziai a cercarmi un lavoro. Paradossalmente, in quel periodo, molte officine meccaniche cercavano operai, ma nessuna voleva accollarsi un Perito. Insomma, vien da ridere a pensarci, ero TROPPO qualificato. Io a spiegar loro che non mi importava della qualifica o del livello, che avrei fatto qualsiasi cosa per imparare, ma quelli, diffidenti, nicchiavano. Così mi imbattei in lavori strani e temporanei, dal fattorino per le consegne di fiori (la 2CV, tolti i sedili posteriori, sembrava un TIR), al dimostratore di elettrodomestici, allo standista al Macef e alla Fiera Campionaria. Fu lì, in fiera, che per caso incontrai Ermanno, un mio compagno di scuola delle superiori. Con lui avevo condiviso gli anni debosciati fino alla maturità e non l’avevo più rivisto. Pensai che anche lui fosse alla ricerca di un lavoro( altri con cui ero rimasto in contatto erano già in officina), invece la sorpresa: andava all’Università. Era di fretta, ma mi diede appuntamento una mattina a Citta Studi, facoltà di Agraria: “Non puoi sbagliare, è di fianco al Politecnico”. E mi si aprì un mondo. Tanto era tetro e scostante il tempio degli ingegneri, quanto pareva una fiaba il cortile fiorito di Agraria. Forse esagero e sarà stata complice la primavera, ma i volti seriosi dei ragazzi vestiti da vecchi con la ventiquattrore in mano erano qui i visi sorridenti di ragazze multicolori che svolazzavano tra i giardini con abiti leggeri. Beh, detta così sa un po’ troppo di Eden, ma tenete presente che allora la presenza femminile al Politecnico, eccezion fatta per la facoltà di Architettura, si aggirava attorno allo zero . Lì invece era preponderante . Due mondi così vicini e così lontani .

L’Eden, ovvero la Facoltà di Agraria nei miei ricordi

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Incursioni Ermanno aveva lezione, e se ne andò dopo poco, indicandomi un’aula . Era l’aula magna; non potevo saperlo, ma lì avrei assistito alle più belle lezioni della mia vita . Entrai dall’alto, da una porticina e mi trovai nell’anfiteatro dagli alti finestroni, composto da ordini di lunghi banchi di rovere . L’aula era pienissima, mi sedetti nell’ultima fila . E fui fortunato : avrei potuto assistere ad una lezione -che so- di matematica (la ferita di Analisi 1 era ancora sanguinante), invece entrò Davide Calamari, docente di Zoologia generale (nomen omen…). Un omone gioviale, coi baffi folti e la voce profonda. In un’ora capii che quello mi interessava davvero. E mi vennero in mente Atos, la faccia del prof di Scienze e il sangue blu. La faccio breve: mi iscrissi subito (mio padre, di famiglia artigiana milanese, non seppe spiegarsi il mio improvviso interesse per l’agricoltura, ma mi lasciò fare) e feci una promessa a me stesso, quasi un voto: dovevo tassativamente superare al primo tentativo gli esami propedeutici del primo anno, altrimenti avrei lasciato perdere. Primo cimento: matematica. Avevo studiato, ma ero terrorizzato da una materia che non ho mai amato. Dopo una ventina di minuti e un paio di fogli riempiti davanti alla prof lei mi dice: “25”. Io scrivo subito 25 pensando fosse l’inizio di un problema da risolvere e lei si mette a ridere. “Ma no, è il voto. Le va bene?” Poi prende il libretto e vede che è ancora immacolato. Venticinque in matematica! Nemmeno nei sogni più arditi… E così inanellai una serie dove il numero 25 divenne una costante: dopo Matematica, Fisica, Chimica Generale e Inorganica, Chimica Organica…sempre 25. Ero ufficialmente uno studente di Agraria. Poi arrivarono anche voti più alti e anche qualche scivolone, ma la strada era segnata. Ero la prova vivente che basta trovare un interesse vero per riuscire a coltivarlo. Ermanno si è laureato un anno prima di me e insegna. Io di quegli anni ho ricordi bellissimi e divertenti, di giornate passate a studiare sotto i tigli sulle sedie portate di nascosto fuori dalle aule oppure in biblioteca, se pioveva. Atos si è diplomato all’ISEF, si è stabilito in Namibia e organizza viaggi e safari fotografici in Africa.

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Da leggere (o rileggere) STORIA DELLA PASTA IN DIECI PIATTI: DAI TORTELLINI ALLA CARBONARA Perché non è un’eresia la cipolla nella matriciana? Ce lo spiega un saggio di Luca Cesari Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Spaghetti al pomodoro, il primo piatto più amato dagli italiani (Carolina Cossio Unsplash) E’ la pasta il cibo preferito agli italiani? Oggi probabilmente sì: secondo una recente indagine Doxa, per quattro italiani su dieci è l’alimento più cucinato nell’ultimo anno, seguita da pizza e focacce. Ma non è sempre stato così. E’ quanto emerge da Storia della pasta in dieci piatti: Dai tortellini alla carbonara, di Luca Cesari (Saggiatore 2021 pag. 280 euro 22), saggio che racconta l›evoluzione della cucina attraverso le ricette più popolari . Quelle - ed è uno dei temi che emergono dalla piacevolissima lettura - su cui i

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Da leggere (o rileggere) gastronomi litigano invocando la purezza, e la primogenitura di questa o quella ricetta . Com’è successo nel 1959 quando Luigi Veronelli spalleggiato da Luigi Carnacina polemizzò con Felice Cunsolo sulla ricetta della matriciana, e ancora nel 2015 quando Carlo Cracco affermò che lui, nella matriciana, ci metteva l’aglio in camicia, scatenando le ire del comune di Amatrice. In realtà, ricorda Cesari, blogger e storico della gastronomia, le ricette che consideriamo come i pilastri della tradizione - dalla matriciana alla carbonara- non sono particolarmente antiche, e certamente non lo sono nella formulazione che oggi va per la maggiore. Ora la cipolla nella matriciana ci scandalizza, ma settant’anni fa Ada Boni nel suo celebre Talismano della felicità la inseriva nella ricetta, e cosi Aldo Fabrizi che alla pasta aveva dedicato un libro di sonetti . Mentre nelle prime ricette della carbonara troviamo addirittura il groviera e Carnacina, ancora lui, aggiunge un po’ di panna che oggi scandalizza i “puristi”, anche se rende obiettivamente più semplice la preparazione della ricetta. E per inciso, ricorda Cesari, la leggenda per cui la carbonara sarebbe nata dalle riserve alimentari dell’esercito americano in Italia, in cui in effetti abbondavano la polvere d’uovo e il bacon, è appunto una leggenda. Mentre risponde a verità la storia delle fettuccine Alfredo, nate in una trattoria romana nel 1908 per ristorare una giovane mamma e poi innalzate a fama mondiale , anche in versioni discutibili come il “Chicken Alfredo” Tutti sappiamo che alcuni alimenti, come le patate, il mais e il pomodoro, sono arrivati tardi in Italia ed entrati ancora più tardi nella nostra tradizione gastronomica . Il piatto che ci sembra il più rappresentativo- gli spaghetti al pomodoro, che sempre l’indagine Doxa attesta come il primo piatto più amato dagli italiani, vero simbolo della nostra cucina - compare per la prima volta in un manuale alla fine del diciannovesimo secolo. Fino allora la pasta - che in genere era fatta in casa- gli spaghetti sono un prodotto industriale - quando non era in brodo era condita col formaggio, o al massimo con burro e formaggio. E se gli gnocchi hanno una tradizione antica -forse erano gnocchi anche i maccheroni di cui parla Boccaccio descrivendo il paese di Bengodi - erano fatti di farina o pane, e non di patate. D’altronde, anche l’antenato del pesto non era necessariamente fatto con basilico, e certamente non conteneva pinoli: si trattava, ricorda l’autore, di una salsa a base di aglio in cui l’elemento verde poteva essere assicurato anche da maggiorana o addirittura prezzemolo.

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Da leggere (o rileggere) Anche la pasta al dente è una conquista relativamente recente : nei ricettari dell’800 sono ammesse cotture che a noi sembrano inaccettabili, e queste paste stracotte finiscono spesso per accompagnare una portata di carne, esattamente come succede oggi in ristoranti stranieri che critichiamo per aver trasgredito “ la tradizione”. Il problema è che, almeno in cucina, la tradizione non esiste. O almeno non ne esiste una sola: ogni regione, ogni borgo, in qualche caso ogni famiglia ha la sua. Ma sono state cancellate dall’industria alimentare, che ha sentito l’esigenza di fissare dei “ canoni” inderogabili, in qualche caso, come per il ripieno dei tortellini, con tanto di registrazione presso la Camera di Commercio. Oppure dall’intento tutto sommato nobile di tutelare tradizioni destinate a sparire, e a volte anche di valorizzare una città o una regione legandola indissolubilmente a un piatto famoso. Il problema, ricorda Cesari, è che per tutelarne una si rischia di perdere tutte le altre. E allora ben venga il suggerimento di infrangere i canoni precostituiti e provare per una volta a trasgredire, magari mettendo un po’ di cipolla nella matriciana. Non si sa mai, potrebbe perfino piacerci…

La celebre scena con Alberto Sordi in “Un americano a Roma” (1954)

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Bellezza IL PICOTAGE: UN ALLEATO PREZIOSO PER LA NOSTRA BELLEZZA Farsi “punzecchiare” in modo competente da un professionista rigenera la nostra pelle in modo naturale Professor Antonino Di Pietro – dermatologo plastico E questo mese per la rubrica “Bellezza “ curata dal professor Antonino Di Pietro vi presentiamo addirittura un filmato realizzato assieme a lui . Ebbene sì: mi sono sottoposta ad un “Picotage”, il trattamento ideato e brevettato dal nostro dermatologo plastico. Ovviamente è bandito il botox ed è un trattamento del tutto indolore e creato per mantenere giovani le cellule. Ascoltate il video! È il regalo migliore che potessi farmi per il mio prossimo compleanno, che ne dite? Minnie Luongo. Ecco il link per andare direttamente alla pagina Instagram della nostra rivista: https://instagram.com/generazioneover60?utm_medium=copy_link Vedrete in un circolino la sottoscritta con il prof. Di Pietro: cliccate sopra l’immagine e saprete tutto, in pochissimi minuti, sul picotage!

Io con il prof. Antonino Di Pietro prima di sottopormi al Picotage

Il Picotage® (dal francese punzecchiare) è una terapia esclusiva dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, quindi può essere eseguita solo presso le nostre sedi ufficiali. Con questo trattamento si favorisce la rivitalizzazione della pelle, l’elasticità e l’idratazione in profondità. Non solo: rinforza le difese della pelle contro i raggi solari, ristruttura la matrice cellulare e rigenera la pelle in modo naturale. In sostanza, il Picotage mira a rinforzare e rigenerare le cellule della pelle per migliorare l’elasticità, il turgore e l’idratazione profonda; non gonfia e non paralizza il volto, quindi non trasforma o deforma il viso.

La tecnica esclusiva del Picotage® consiste in una serie di microiniezioni di acido ialuronico puro naturale a circa un millimetro di profondità e a distanza di un centimetro l’una dall’altra; può essere effettuato su viso, collo e décolleté. Il trattamento serve a dare tono, turgore ed elasticità alla pelle ma non a riempire le rughe. Quindi, punta su un ringiovanimento naturale della pelle. L’acido ialuronico è una delle sostanze più versatili tra quelle impiegate attualmente, poiché ha funzione rivitalizzante per la cute: • stimola la produzione di collagene, acido ialuronico endogeno ed elastina • conferisce alla pelle compattezza e consistenza • rinforza le naturali difese contro i raggi solari • ristruttura e idrata la matrice.

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Bellezza

Pronta per il Picotage?

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Bellezza

Più che pronta...Ne abbiamo scritto spesso su Generazione Over60: so tutto!

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Bellezza L’acido ialuronico impiegato per il Picotage® si definisce naturale e biocompatibile perché privo di sostanze chimiche addensanti . Queste sue particolari caratteristiche permettono il facile riassorbimento di questo acido da parte della pelle . Il risultato è un effetto rivitalizzante, una pelle più compatta, “consistente” e rinforzata . L’acido ialuronico è una sostanza che costituisce naturalmente il tessuto connettivo, ma che con il passare del tempo, le cellule producono in maniere sempre più ridotta . Per questo motivo per aiutare la pelle ad essere più giovane è necessario reintegrare tale acido con creme per il viso (per esempio a base di fospidina) o con trattamenti specifici dal dermatologo come il Picotage®, il Rimage® o il Dermoneed®. ll trattamento è completamente indolore e non lascia alcun segno perché il microago si ferma a un millimetro di profondità (nel derma superficiale) senza rompere i capillari e senza toccare le terminazioni nervose dolorifiche. Insomma, le possibilità di riscontrare rottura di capillari, lividi o dolore è quasi nulla: pertanto, per una garanzia sul trattamento e la sua sicurezza, si consiglia di effettuarlo presso le sedi del Dermoclinico, l’unica struttura autorizzata ad effettuare la procedura.

Qui dal Prof non si usa botox, ricordiamocelo!

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Bellezza In genere, si consigliano un paio di sedute a distanza di 30 giorni l’una dall’altra e poi una seduta di mantenimento ogni tre mesi, in questo modo sarà possibile migliorare l’aspetto di tutta la pelle del viso e contorni e ridare nuova vitalità anche alla pelle del décolleté. I risultati che si ottengono sono molto naturali: le rughe non scompaiono ma si attenuano visibilmente, conferendo al volto un aspetto fresco e luminoso, che non ha nulla di artificiale. Si tratta di un eccezionale trattamento rigenerante antiaging per un viso che, di seduta in seduta, appare più tonico e più giovane, pur restando sempre presenti quelle bellissime rughe che sono la naturale storia di ogni persona, ogni persona che vuole essere fieramente vera e sempre se stessa.

Andiamo a cominciare! Ciao a tutte le lettrici!

http://www.dermoclinico.com

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Sessualità RIATTIVARE L’EROS È NECESSARIO ANCHE PER COPPIE DI LUNGA DATA Consigli e suggerimenti dell’esperto: in primo luogo dare spazio ai preliminari, con baci e carezze a volontà DOTTOR MARCO ROSSI – sessuologo e psichiatra E’ recentissima (aprile 2021) una campagna sociale lanciata dall’organizzazione britannica “Relate”, intitolata Let’s talk the joy of later life sex : si tratta di immagini – anzi, veri e propri manifesti -in bianco e nero firmate da John Rankin, celebre fotografo di moda, che ritraggono cinque coppie Over più una donna colte nella loro intimità. L’obiettivo è combattere l’immotivato stereotipo che dopo i 60 anni non solo non si possa fare sesso, ma neppure parlarne o solo pensarci . Invece, parliamone . E come sempre, quando parliamo di sessualità, lo facciamo con il nostro sessuologo di riferimento Marco Rossi .

Ecco uno dei manifesti della campagna inglese “Relate” È abbastanza comprensibile e normale che dopo anni di matrimonio o di convivenza la passione possa diminuire e che gli incontri intimi possano rarefarsi e diventare occasioni straordinarie da segnare sul calendario… Pertanto, è davvero importante che la coppia possa ritrovare l’entusiasmo per la sessualità, poiché la sfera intima influisce sulla serenità della relazione. Riattivare l’eros per ritrovare la felicità, anche se si sta attraversando una fase di calo del desiderio è possibile, e per questo vorrei dare qualche consiglio: prima di tutto

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Sessualità è necessario ricorrere a baci e carezze a volontà. L’intimità ha bisogno di essere preparata; ecco perché è basilare dare energia ai piccoli riti e ai piccoli gesti che aiutano la vicinanza fisica, psicologica ed emotiva. Anche “condividere” è la parola d’ordine: avere un progetto comune, ridere e coccolarsi renderà più semplice la complicità tra le lenzuola; non bisogna mai dimenticare che l’intimità aumenta la vicinanza fisica e rafforza la coppia, anche se di lunga data. Non è mai troppo tardi per ritrovare situazioni maliziose e intriganti!

Per trovare il giusto stato d’animo prima di vivere l’intimità consiglio sempre ai miei pazienti di fare un po’ di decompressione: una doccia calda e un brindisi prima di cena ristabiliscono il clima giusto per fare l’amore. Per accendere la passione del partner consiglio di regalare baci e carezze intime: questo lo/la farà sentire molto apprezzato/a e amato/a. Quindi è da bandire sempre il senso di vergogna e imbarazzo e ci si deve lasciar andare. Forse la crisi di coppia è in realtà un’opportunità, che permette alla coppia di ritrovare non soltanto l’in-

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Sessualità tesa, ma soprattutto permette ai partner di ritrovare se stessi: bisogna lasciare che la sensualità emerga senza più vincoli dati dai tabù. Iniziare ad amare prima di tutto il proprio corpo, poiché è solo attraverso il sano egoismo che ognuno di noi potrà anche donarsi al proprio partner. Isolare alcuni momenti da dedicare alla cura di se stessi è importante per la coppia, tanto quanto a livello individuale. Attenzione: ciò non significa dover essere sempre perfetti; al contrario, si deve trovare la formula giusta per sentirsi in armonia con se stessi e regalare la giusta attenzione al proprio corpo. Le regole per un’intimità felice sono semplici: basta lasciar fluire le emozioni, le sensazioni e il desiderio. E’ importante lasciar libero Eros, in modo che possa finalmente esprimersi! Eros non deve “recitare” il ruolo in cui pregiudizi, moralismi e falsi tabù lo vogliono imprigionare. Grazie ad Eros non solo si può ritrovare il desiderio, ma soprattutto se stessi! Fonte: insaluteNews.it

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Da tener d’occhio G.B. MAGISTRI, PITTORE E GRAFICO MILANESE

Il ritorno dalla pesca. Dipinto ad olio (1968) Continuiamo con la carrellata di alcune opere di Giovanni Balilla Magistri. Questa volta abbiamo scelto un dipinto ad olio che ritrae un gruppo di pescatori al rientro dal lavoro. Info (biografia, testimonianze dei figli, pagine di critica, bibliografia e tanto altro) sul sito: https://gbmagistri.org/ Il tutto in attesa delle iniziative previste per il 2022, quando saranno trascorsi 50 anni dalla morte dell’eclettico artista milanese, al quale il Comune ha già voluto dedicare una via .

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il tempo della Grande Mela 50 SFUMATURE DI BLU Questo non è un articolo di turismo ma una lettera d’amore. Serenata finale inclusa! Dalla nostra corrispondente a New York Flavia Caroppo – giornalista

La spiaggia di Waikiki (Honolulu, Hawaii), al tramonto Ci siamo rivisti martedì 15 Giugno, erano più o meno le 9 del mattino. Era dal 2012 che non stavamo più insieme, da quella estate in Calabria alla fine della quale ci eravamo detti ciao; pensavo che ci saremmo rivisti l’anno dopo . E invece… Tu forse non lo sapevi ma io, da quasi un mese ormai, ti osservavo tutti i giorni a distanza. La mia amica ti fotografava di nascosto dalla finestra del suo soggiorno e mi mandava le immagini via Whatsapp. Ti osservavo quando eri calmo, ti temevo quando ribollivi e schiumavi, con quella tua energia incontenibile, tanto che persino chi stava con te ogni giorno preferiva starti lontano. E ridevo quando, nei giorni di vento, sfidavi chiunque ti capitasse a tiro, sospingendoli di qua e di là, facendone volare alcuni, annaspare altri, divertire tutti.

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il tempo della Grande Mela Per quasi 10 anni avevo finto che di te non m’importasse nulla. Avevo soffocato la gelosia di fronte ai racconti di amici e conoscenti che, stagione dopo stagione, continuavano a passare del tempo con te. Lamentandosi persino, a volte, della monotonia della vostra interazione. Io scrollavo le spalle con sufficienza e sostenevo che di te non mi importava più nulla, che non avevo bisogno della tua presenza, del tuo sostegno, del tuo ristoro. Che lasciarmi andare al tuo abbraccio, farmi cullare dal tuo corpo in continuo movimento in fondo non fosse così importante per la mia anima. Mentivo. Quando ti ho rivisto, quella mattina, tutte le mie scuse si sono sgretolate come castelli di sabbia. Gli stessi che, per anni, ti sei divertito a distruggere solo perchè ne costruissi di più belli, grandi, maestosi. Eri persino più grande di come ti ricordavo. Immenso, il sole ti avvolgeva vestendoti di luce dorata e l’aria era piena del tuo profumo. Eri così vicino che il tuo odore ha invaso la stanza, più dolce dell’aroma del primo caffè, e mi è sembrato di sentire la tua voce sussurrare: “Che aspetti? Vieni da me!”. Sono sempre stata tua, sin da quando ero solo una bambina, lo sai. E tu mi hai dato tanto, tutto quello di cui avevo bisogno. Non mi hai sempre tenuta con i piedi per terra, ma mi hai sempre protetta e, quando serviva, mi hai rimessa al mio posto con ondate di umiltà. E che dire della prima volta che mi sono voluta unire a te senza nessuna protezione? Ero troppo piccola, dicevano tutti, mi sarei fatta male. E invece io sapevo che tu saresti stato delicato, che mi avresti sorretta e tenuta a galla fino a quando non fosse arrivato qualcuno a riportarmi indietro. Con gli occhi ancora pieni di sonno mi sono infilata uno dei costumi che avevo comprato solo per te, non mi sono neppure lavata la faccia e sono corsa giù per le scale e poi lungo la stradina che ancora ci separava. Mille pensieri passavano veloci dietro le lenti scure dei miei occhiali da sole, alcuni si condensavano in lacrime di gioia, che asciugavo assieme al sudore col dorso della mano. L’emozione di essere finalmente davanti a te, così vicina da poterti toccare mi ha tolto il fiato. E, tremante, ti ho toccato. Il cuore mi batteva forte. Ti ho sfiorato con un piede, senza nemmeno sfilarmi i sandali. Tu mi hai appena accarezzato le dita e ti sei ritratto, sfuggente. Non ho saputo trattenere un gemito e tu sei tornato, prepotente, facendomi sentire la tua presenza, avvolgendomi i piedi, le caviglie, le gambe. Brividi di piacere sono esplosi come fuochi artificiali sotto la pelle, e ogni singola cellula del mio corpo si è lasciata andare in un ciclo continuo e rapidissimo di nascita, morte e resurrezione. Con un calcio mi sono liberata dei sandali e, con essi, dei freni inibitori. Mi sono lanciata verso di te di corsa, con un gemito gutturale. Sono scivolata e caduta in ginocchio, mi sono rialzata ridendo, sono caduta ancora e tu mi hai presa, finalmente.

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il tempo della Grande Mela Ti ho sentito sopra di me, attorno a me, sotto di me, dentro di me. In un istante sei arrivato dappertutto, un’onda dopo l’altra. La tua essenza mi ha inondato gli occhi, inzuppato i capelli. Mi sei entrato nel naso, nelle orecchie, mi ha riempito la bocca e mi hai solleticato la gola. Mi hai accolta tra le tue braccia come se non mi fossi mai allontanata e io, finalmente, ho sentito di essere tornata a casa. Da te, mare mio .

Clicca sull’immagine per vedere il video

Tramonto a Waikiki con l’esclusiva serenata di Brian, il “testimonial” di GenerazioneOver60 alle Hawaii

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In forma NON ESISTE UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO VALIDO PER TUTTI Informazione promozionale A cura della Redazione Dallo scorso mese, per (ri) mettersi in forma- anche partendo da zero, e qualsiasi età si abbia – possiamo contare sulla consulenza del supercoach Paolo Barbera. Abbiamo imparato così quanto sia importante prendersi cura della propria salute, e quanto in ciò lo sport sia fondamentale. Questa volta il coach ci prende per mano, illustrandoci quali sono i 5 punti chiave per sapere qual è, per ognuno di noi, il programma di allenamento più indicato. Leggiamolo allora e facciamo tesoro delle indicazioni di Barbera! Chi è Paolo Barbera

Coordinatore Federale di Triathlon, Ironman Certified Coach. Fondatore di Active Kids, un centro medico specializzato nell’educazione alimentare e nella programmazione e gestione dell’allenamento sportivo. Direttore Tecnico di TRI60 un training center dedicato a ciclismo, triathlon, corsa e nuoto. Maratoneta e Multi Ironman finisher, collabora con le più prestigiose riviste di settore su temi di allenamento, educazione alimentare e preparazione fisica. Nel corso degli ultimi anni ha accompagnato tante persone in un percorso che li ha portati dall’essere sedentari e con problemi di peso e salute a persone sane, attive e in forma. Tri60 Advanced Training; tel. 02-83906360 https://www.tri60.it

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In forma Come scegliere il giusto programma di allenamento “Una delle domande che mi viene posta più di frequente riguarda la validità o meno di un generico programma di allenamento per il raggiungimento di un obiettivo. Quante volte hai pensato di utilizzare la stessa tabella che ha usato un tuo amico, o hai scelto un programma che hai trovato su una rivista o su un sito internet più o meno specializzato? Quali sono i criteri che ti permettono di scegliere un programma di allenamento corretto? La risposta non è ovviamente semplice ma ci sono tanti aspetti facilmente individuabili che ti aiuteranno a fare una scelta corretta. La scelta di un programma di allenamento è strettamente legata alla decisione di allenarti da solo o di farti seguire da un coach. Vediamo insieme quali sono gli aspetti da prendere in considerazione.

Una delle più innovative piscine è quella che si trova nel Training Center TRI60 1. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI. La prima cosa che devi fare è individuare il tuo obiettivo stagionale principale. In base all’obiettivo prescelto capirai bene quali sono le tue esigenze. Ogni gara si basa su un modello di prestazione che sarà quello che dovrai allenare al meglio nel corso delle settimane o dei mesi successivi. Se desideri battere il mio PB sui dieci km dovrò essere molto forte in zona 4, quella che ruota intorno ai valori di soglia anaerobica. Se il tuo obiettivo stagionale è una maratona ti rendi conto che dovrai dedicare molto tempo al consolidamento della tua resistenza e alla tua capacità di consumare i grassi come fonte di energia durante l’allenamento e quindi la gara. Se hai deciso di utilizzare un coach l’obiettivo sarà condiviso. Un coach esperto ti aiuterà a scegliere l’obiettivo corretto e soprattutto ti consiglierà di non disperdere tempo ed energie in una serie di obiettivi diversi tra loro per caratteristiche o distanze e troppo ravvicinati nel tempo. Inserire in calendario una gara dopo l’altra non ti permetterà di migliorare le tue prestazioni in modo adeguato, poiché la dispersione degli obiettivi nel corso della stagione è uno degli errori più frequenti negli sportivi amatori.

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In forma 2. TEST DI VALUTAZIONE FUNZIONALE. Alla base di un buon programma di allenamento ci deve essere uno o più test di valutazione funzionale in base allo sport praticato (uno è sufficiente per iniziare se pratico una disciplina singola, uno per sport se pratico una multidisciplina come il triathlon). Una volta che hai scelto l’obiettivo stagionale e hai quindi individuato gli stimoli più utili da ottenere con i vari allenamenti devi necessariamente conoscere le tue zone di allenamento. Come fai a migliorare la tua zona 2 (aerobica) se non sai qual è? Se ti avvali di un coach il test di valutazione funzionale andrà al di là di una semplice prova cronometrata su una o più distanze note. Un coach attento svilupperà anche un’anamnesi sportiva completa che ti aiuterà a conoscere meglio le tue caratteristiche e soprattutto le tue potenzialità. Puoi sfruttare l’occhio attento di un allenatore per avere qualche consiglio sulla tua tecnica di corsa, di nuotata, ecc… e su come gestire anche a livello mentale le difficoltà di un allenamento.

3. PERSONALIZZAZIONE. Questa secondo me è la parola chiave. Se vuoi che un programma funzioni questo deve essere il tuo programma. Studiato per te in base alle tue caratteristiche, alle tue prestazioni ai tuoi obiettivi e anche alle tue abitudini e possibilità di allenamento nel corso della settimana. Non esiste l’allenamento o la tabella che funziona per tutti; non troverai mai una ricetta magica su nessuna rivista e nessun blog. Un coach può esserti di aiuto in questo ambito perché assieme a lui potrai individuare sicuramente una buona soluzione che renda il programma di allenamento sia funzionale agli obiettivi scelti, sia compatibile con la tua vita privata e sociale. 4. OTTIMIZZAZIONE DEL TEMPO. L’organizzazione è alla base di ogni attività, quindi anche di quella lavorativa. Prima di scegliere un programma di allenamento dovrai capire bene quali sono le tue risorse di tempo ed energia che puoi destinare a questo progetto. Non sei un professionista. Non vivi di corsa o di triathlon. Pertanto dovrai ottimizzare la tua settimana tipo per fare in modo che non solo ci sia spazio per i tuoi allenamenti, ma che

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In forma la realizzazione di una seduta non diventi mai fonte di stress o di troppe rinunce. Con il passare del tempo diventerebbe una situazione insostenibile. Da evitare assolutamente la convinzione che sia necessario allenarsi per forza tutti i giorni. Impariamo ad accettare il riposo e lasciar perdere allenamenti inutili fatti solo per placare un inutile senso di colpa. Concentra le tue energie e il tuo tempo su un numero adeguato di allenamenti, ognuno dei quali abbia sempre un suo obiettivo in termini di stimolo allenante. Uno dei lavori che svolgo con attenzione con i miei atleti è proprio questo. Cerco di organizzare al meglio la settimana di ciascuno per fare in modo che possa ottenere il massimo del risultato impiegando il minor numero di ore possibile e tenendo a bada lo stress. 5. IMPLEMENTAZIONE. Una volta individuato il programma ideale per te- meglio se scelto con un coach che possa accompagnarti in questo percorso- dovrai sperimentare bene l’attività nelle prime settimane. E’ molto importante comprendere se gli allenamenti che svolgi sono alla tua portata in termini di prestazione. Questo non significa che in ogni seduta dovrai raggiungere sempre il massimo della fatica; anzi, un buon programma di allenamento deve essere in grado di fornirti stimoli diversi e completi. Impara ad accettare anche l’allenamento “facile” perché anche se meno divertente di tanti altri vedrai che con il passare del tempo avrà la sua funzione. Assicurati, inoltre, che la tua tabella sia compatibile con la tua vita sociale in modo da non generare stress o contrasti nella vita personale. Dopo un periodo di almeno quattro/sei settimane potrai fare un primo bilancio e apportare le necessarie modifiche per far sì che il programma si avvicini ancora di più alle tue esigenze. Una volta che avrai analizzato tutti questi aspetti e che avrai scelto la strada da seguire non ti rimarrà che fare la cosa che ti piace e che ti diverte di più in assoluto: correre!!!”

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Di tutto e niente GLI OCCHIALI Semplici oggetti appartenuti a qualcuno di famiglia che non c’è più, ma capaci di scatenare forti emozioni e pensieri e desideri in autori sensibili. Come Andrea Tomasini di fronte agli occhiali di casa Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico “IN BREVE, È PROBABILE CHE I PIÙ DURATURI E SPLENDENTI VINCOLI DELLA PSICHE SIANO QUELLI SALDATI E RIBADITI DA UNO SGUARDO” Edgar Allan Poe Una delle cose che più colpisce tra quelle restate è vedere gli occhiali di mio papà o quelli di nonno o di nonna, avendoli conosciuti, essendoci vissuto insieme. Lenti appoggiate e montate nella gradazione pensata apposta per loro, che erano e ora no. Vederli là appoggiati, inutilizzati e inutili senza il “loro” naso che li regga e i “loro” occhi che li trapassino. Degli occhiali vuoti, che raccontano il vuoto lasciato da chi non c’è più. Anche perché non sono nel fodero, ma appoggiati sul tavolo, oppure sul ripiano della libreria, oppure sulla scrivania in una ciotola… Forse sono la cosa più tragica e cruda, tra le cose lasciate da chi se ne è andato. Che quando è cadavere, corpo morto, gli occhi si spengono, si svuotano della luce e dei guizzi della vita. E si chiudono, se restano aperti –non accesi- con gesto pietoso. Gli occhiali richiamano tutto questo –il buio definitivo- senza i loro occhi, senza il loro naso che si arriccia. Naso umbro, quello di mio padre: sopra un sorriso indimenticabile. Gli occhiali erano parte dell’espressione, complemento del viso; accompagnavano gesti, ritmi, abitudini, curiosità, momenti del giorno… Erano il quotidiano dello stare insieme guardandoci negli occhi, cercandoci. Ora sulle lenti c’è la polvere del tempo e il soffice strato impalpabile dei ricordi. Non ci siamo persi. Ma non ci siamo più.

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Di tutto e niente

Conrad von Soest, “Brillenapostel”(1403) E’ totalmente diverso l’effetto che mi fanno gli occhiali che stanno a casa a Spoleto, al piano di sotto, sul ripiano della credenza dentro una ciotola di porcellana bianca, pensata per portare a tavola contorni e che invece è soprammobile candido sul ripiano della credenza, in quella stanza che aveva il telefono prima nero e poi grigio con il disco forato e i numeri da girare, dove mangiavamo quando venivamo a Spoleto il week-end, dove si concentrava il calore..

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Di tutto e niente Sono occhiali antichi e austeri. Piccoli, le lenti tonde ma allungate, spesse ma non molto, da presbite, fissate in una montatura di metallo color piombo che le serra. Montatura che profila bloccando le lenti e che sottilissima procede verso il retro dell’orecchio con aste sottilissime e alla fine accennano a una curva dolce ma con il finale appuntito. Mi dice mia madre essere gli occhiali di nonno Roberto, suo nonno. Che io, per ragioni biologiche – per così dire- non ho conosciuto. Sono occhiali che corteggio, che mi piacciono, che sono in qualche modo misteriosi ai miei ..occhi perché non ho mai visto conosciuto incrociato lo sguardo di quegli occhi che li usavano, che necessitavano di quelle lenti con quella gradazione misurata dosata e costruita apposta per consentire la visione corretta….di lettere e parole e caratteri… Gli occhiali sono stato abituato a pensare siano oggetto personalissimo. Non solo per ragioni estetiche –la scelta della montatura, il metterli e toglierli, le gestualità ad essi connesse che denunciano nervosismo, empatia, curiosità o stanchezza… che devi toglierteli se ridi fino alle lacrime e lo stesso devi fare se invece piangi con le lacrime che scendono e opacizzano il reale e le lenti che usi per rapportarti ad esso – ma anche immagino il lavoro dell’ottico che monta le lenti precise alla diottria assimilandolo a un orologiaio che risistema il movimento per misurare –e rendere percepibile e dosabile e vivibile il tempo che passa: ottico come meccanico di precisione, quale potrebbe esser uno speziale della vista. Occhiali che dosano e ritmano i particolari e il rapporto con la realtà… che forse quando è troppo nitida magari appare crudele; magari è diversa da quel mondo delle ombre che osservandolo “al naturale” appare normalmente diverso da come è la realtà –lo racconta magistralmente Anna Maria Ortese nel primo racconto de “Il mare non bagna Napoli”, dicendo di un dramma che solo le lenti svelano, nonostante la crudele crudezza del reale fosse sempre stata sotto gli occhi della tenera Mariuccia, entusiasta fanciulla napoletana la cui miopia non corretta l’aveva fino a quel momento protetta dalle brutture della vita nitida e spigolosa nei contorni delle forme e nella sostanza… e gli occhiali quasi li maledice… Perché magari viene da girar la testa a guardare la dolorosa realtà, ma io cerco sempre di incrociarne gli occhi, anche se fa male: anzi, proprio perché fa male –l’ago che entra, i punti che cuciono i lembi della ferita, l’iniezione o il prelievo del sangue-: voglio capire, conoscere, vedere cosa è successo e se possibile anche cosa sta succedendo… Oppure ancora, ripensandoci –e il fodero che sta là vicino, accartocciato e inservibile, anche se odora ancora di pelle: persistenza delle cose e dei materiali e della memoria- “forse sai che potrebbero esser di ancor prima”, mi dice mia mamma riferendosi agli occhiali: “forse dello zio di nonna… “ Odoardo Bettini –il suo ritratto nell’entrata insieme a quello della di lui moglie: lui che comprò questa casa già antica (la parte centrale originaria con le volte a vela è del ‘300) dal nobiluomo Fontana nel XXX come racconta quell’atto su carta bollata di qualche bajocco… magari firmato proprio indossando quegli occhiali,

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Di tutto e niente dando l’avvio al fatto che casa nostra sarebbe stata a Monterone e che quindi nonna e poi mamma fosse a Spoleto –unico punto fermo di tanto girare perché mio nonno era in Marina- e incontrasse poi mio padre che da almeno un secolo prima aveva i suoi orafi e argentieri in Spoleto, giù, a corso Garibaldi… Francia: perché forse ugonotti scappati dall’eccidio della notte di san Bartolomeo e poi orafi, scultori e commercianti di tartufi in tutta Europa, e con un negozio dalle parti di rue de Rivoli a Parigi, modisteria attiva anche durante la Comune di Parigi…. E le lettere, che custodisce mio zio, da Parigi a raccontare di quei giorni e di quelle ansie, “par ballon monté” come recita l’annullo: unico modo di salvaguardare la corrispondenza in tempi di assedio... Pensieri e sguardi lontani –verso luoghi e tempi e storie non vicine ma prossime a me- con gli occhiali, attraverso quegli occhiali che sono nella ciotola al piano d’entrata della casa di Spoleto, sul ripiano della credenza nella ciotola bianca. Occhiali che non si sa con certezza di chi, ma con sicurezza che sono di qualcuno di famiglia: chi comprerebbe degli occhiali usati sperando di vederci meglio? Ma se sono occhiali antichi di casa antica... eh quante cose ti fanno “vedere”… Quasi ogni volta, andando a Spoleto, in silenzio, senza dirlo, prendo in mano gli occhiali del nonno Roberto, che so da mia mamma esser stato dolcissimo. Ma anche mite e angosciato per una vita per lui all’inizio dura e oscura. C’erano cose che nel suo passato erano buie, cupe, dolorose e lui ne soffriva. Non le nascondeva né avrebbe voluto farlo. Anzi: avrebbe tanto voluto conoscerle. Sapere il come e il perché, magari anche il chi. Avrebbe voluto vedere nel suo passato, osservarsi per sapere meglio chi era. Non gli è stato possibile e le sue ombre sono restate sempre tali e continuamente presenti, a rendere scarsamente illuminate le scene dove pure lui aveva agito. Quelle lenti appoggiate sulla credenza, polverose, che lui usava per vederci bene. Le pulisco con cura per cercare di restituir loro la massima trasparenza e ogni volta e ogni volta le appoggio sul naso. Ci guardo dentro, attraverso. Ammetto che l’esser assolutamente essenziali e disadorni, al limite del dimesso, rendono ai miei occhi questi occhiali affascinanti: come se esistessero davvero per la sola assoluta essenziale necessità di vedere, di leggere… di guardare le cose piccole: cogliere e interpretare i particolari e girarci attorno per penetrarli, appropriarsene, viaggiarci dentro come in un mondo recuperato proprio grazie alle lenti… perché la presbiopia è adeguata al tempo che passa.. alla maturità dello sguardo e alla scoperta del particulare… Quello che vedi lo guardi con i tuoi occhi e lo completi con quello che hai già visto e che sai, perché ti genera altre curiosità, altre riflessioni, altri viaggi, magari attorno alla tua stanza. Con fantasia, ironia e spirito d’avventurosa osservazione sia di giorno che di notte come ha fatto Xavier de Maistre… È per questo che li inforco e ci guardo dentro . Mi piacerebbe fossero graduati per me .. o che i miei occhi fossero deficitari il giusto per utilizzarli e recuperare attraverso la correzione proprio di quelle lenti qualcosa di quegli occhi che li avevano utilizzati, saperne di più perché guarderei il mondo e le cose con la stessa correzione, in qualche misura con gli stessi bisogni e quindi allo stesso modo… è capire di più della persona che li usava, della sua storia e quindi delle mie radici . E’ la ragione per cui –anche se inizialmente tentatonon mi prendo la montatura e metto da parte le lenti sostituendole –ammesso che sia possibile- con vetri dosati e adatti a me . Devo prender tutto, tutto o niente: di me e della mia storia.

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Di tutto e niente Ogni volta che torno a Spoleto per irrorare le mie radici e aderire alle cose della mia vita, rovistando tra premesse autobiografiche e aria e sapori e odori e atmosfere e ambienti, verifico l’eventuale deperimento della mia vista in rapporto alla correzione graduata costituita dalle lenti del bisnonno Roberto.

Gli inconfondibili occhialini tondi del Mahatma Gandhi Cadenzo e ritmo così il mio tempo che passa . Attendo senza fretta, sapendo di andare avanti fin tanto che quegli occhiali forse andranno bene anche per i miei occhi. Potrò così, utilizzandoli, fasarmi su un tempo passato e non conosciuto, riconoscibile –forse- solo perché i miei occhi saranno abbastanza vecchi per vedere -corretti dalle lenti del bisnonno o di qualcuno che era a casa ancor prima di lui- le cose come le guardo adesso. Cose che non saranno però più le stesse…

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News “LA SCIENZA DEL VIVERE BENE” DI YAKULT Informazione promozionale A cura della Redazione

Una piattaforma per vivere bene: la propone Yakult, l’azienda che produce la celebre bevanda a base di latte scremato fermentato che contiene almeno 20 miliardi di fermenti probiotici L. casei Shirota (LcS). Un prodotto pensato per aiutare a seguire uno stile di vita sano. Il benessere e la felicità delle persone sono da sempre la missione di Yakult, e proprio per questo l’azienda ha deciso di offrire ai consumatori una piattaforma che affronta il tema del benessere a 360 gradi: parliamo di La scienza del vivere bene https://lascienzadelviverebene.it declinata su tre grandi temi, alimentazione, attività fisica e benessere interiore. All’interno non vi sono solo articoli, ma vere e proprie live class tenute da nutrizionisti, dietisti, personal trainer, insegnanti di yoga, divulgatori ed esperti gastronomici, “wellness coach”: è sufficiente iscriversi alla piattaforma per partecipare alla diretta, con la possibilità di rivolgere domande agli esperti. L’accesso ai contenuti e all’archivio è disponibile anche a coloro che non sono iscritti.

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News

Sono già disponibili articoli e video dedicati a una dieta sana - con i consigli e le ricette per un’alimentazione equilibrata, dalla colazione al piatto unico, e poi l’attività fisica - corsa, fitness, yoga - e le strategie per rendere meno pesante il lavoro in smart working. Non mancano i consigli per mantenere o ritrovare un sonno rigenerante e per affrontare la vita con ottimismo, sfruttando tutto quanto può aiutarci a recuperare serenità ed equilibrio, come la musica, il giardinaggio, l’incontro con la natura.

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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI


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