Settembre 2021
“Le tre età della donna”, Gustav Klimt (1905)
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 3, n.9
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Le rubriche
EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il desco dei Gourmet Il personaggio Il tempo della Grande Mela Incipit Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Gli Erranti Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni
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Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo
I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta
DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60
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Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE
Foto Chiara Svilpo
Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
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Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI
SESSUOLOGO E PSICHIATRA è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA
ANDROLOGO E CHIRURGO è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO
DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
ANDREA TOMASINI
GIORNALISTA SCIENTIFICO giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
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Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE
GIORNALISTA SCIENTIFICA classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
GIOVANNI PAOLO MAGISTRI
BIOLOGO Classe 1951, biologo specializzato in patologia generale, si occupa di progettazione di sistemi per la gestione della sicurezza e dell’igiene delle produzioni alimentari. Socio Onorario dell’Associazione PianoLink vive sognando di diventare, un giorno, un bravo pianista.
FLAVIA CAROPPO
GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI
GIORNALISTA Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
MONICA SANSONE
VIDEOMAKER operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
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Sommario -10Generazione F Figli e genitori Editoriale di Minnie Luongo -18Foto d’autore Generazioni: un’immagine perfetta per evocarle di Francesco Bellesia -20Incipit Il ruolo di padri e figli: un valore primordiale Di Giovanni Paolo Magistri - biologo -22Incursioni Anna staccato Maria Di Marco Vittorio Ranzoni -26Stile Over Figli? No, grazie di Paola Emilia Cicerone -29Da tener d’occhio G.B. Magistri, pittore e grafico milanese dalla Redazione
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Sommario -30Il desco dei Gourmet Crema di carciofo alpino dalla Redazione -33In movimento Valsassina all’ombra delle Dolomiti Lombarde Gli Erranti -36In forma Il miglior punto di partenza è il traguardo dalla Redazione -40Primo piano Lo Shiatsu. Sappiamo davvero che cos’è? dalla Redazione -44Scienza Probiotici nello spazio dalla Redazione
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Generazione F FIGLI E GENITORI EDITORIALE
Questa volta ero davvero nei guai. Subito dopo aver stabilito che il comune denominatore del mese sarebbe stato l’argomento “figli”, mi sono resa conto che, non avendo avuto né voluto figli, avrei dovuto, per necessità di cose, parlare della mia esperienza di figlia. E qui mi si presentavano due possibilità: 1) cedere direttamente la parola ai colleghi (in primis Marco Ranzoni e Paola Cicerone) che meglio non avrebbero potuto scrivere del loro essere rispettivamente padre affettuoso, e orgogliosamente non madre; 2) glissare con eleganza, consentendomi solo considerazioni generiche, compresa la convinzione che per diventare genitori si debba avere una sorta di patente (altro che green pass!).
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Generazione F
Io da neonata (1951) Mi si presentava però anche una terza e forse più realistica soluzione: far cadere la maschera di persona forte (e Dio sa quanto possono pesare le maschere!) e ammettere ciò che solo i miei più stretti amici e amiche sanno bene: ho avuto infanzia e adolescenza devastate da due persone restie a ricoprire il ruolo di genitori e comunque incapaci a farlo. Dopo questa confessione scritta nero su bianco ammetto di aver provato un’inaspettata leggerezza: il pensiero è andato al kintsugi, l’arte giapponese di riparare con l’oro liquido (rendendoli quindi più preziosi) vasi rotti, ciotole o altri oggetti di ceramica. La metafora contenuta in questa tecnica è evidente : si può imparare così la resilienza. Ovvero, anche coloro che come me sono stati feriti pesantemente e ingiustamente da qualcuno, possono riprendere luce proprio in virtù di ciò che li ha fatti soffrire. E dunque, è possibile assorbire urti o eventi traumatici senza rompersi ma, anzi, diventando più forti. Certo, il lavoro da fare su noi stessi - in genere con l’aiuto di esperti- non è indifferente, ma al termine del percorso diventiamo ancora più unici e non omologati, proprio per la peculiarità delle ferite che abbiamo ricucito e che hanno fatto di noi quello che siamo oggi . Orgogliosamente. Ed è così che finalmente mi sento. Finalmente libera dall’esigenza di fingere un perenne controllo sulla mia sfera emotiva.
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Generazione F
A questo punto ho deciso che avrei scritto dei tanti (non necessariamente artisti conosciuti) che hanno voluto e saputo dedicare una canzone o anche una semplice ninna nanna al figlio appena venuto al mondo. Come mio solito, la prendo larga. Correva l’anno 1982 ed era una splendida estate. Come del resto, sono tutte le estati. Almeno per me. Era agosto e mi trovavo in Calabria dopo essermi fratturata un braccio qualche giorno prima a Milano (quale occasione migliore per farlo durante la festa organizzata la sera del 15 luglio per i miei 31 anni? Così da mandare a casa in fretta e furia i numerosi invitati e raggiungere il Pronto Soccorso più vicino, accompagnata dal futuro marito e da una coppia di amici, Massimo e Yvonne). I tre, dopo molto tempo- più o meno alle due del mattino, con capigliatura e trucco sfatti più una gonna lunga chiara, come d’incanto diventata color grigio topo per esserci inciampata e averla calpestata più volte con degli improbabili tacchi alti- mi videro finalmente uscire dalla sala Gessi con il referto di radio e ulna fratturati malamente e la diagnosi di un gesso da tenere per almeno 30 giorni. Bene, con il braccio destro ingessato che mi impediva di fare bagni in mare (salvo avvolgerlo in più strati di sacchetti di plastica del supermercato e quindi tenerlo sollevato in aria mentre stavo a galla maledicendomi per aver voluto indossare tacchi stratosferici) in quel di Falerna (provincia di Catanzaro) ogni mattina alle 7,45 spaccate venivo svegliata di soprassalto dal jukebox di un bar vicino che a volume altissimo trasmetteva- sempre a quell’ora- la prima canzone del mattino, ossia “Avrai”. Non me ne vogliano i detrattori di Claudio Baglioni, ma io ho sempre trovato splendido questo brano, tanto da aspettarlo con ansia tutti i giorni per affrontare con slancio ogni mattina, nonostante il gesso al braccio e l’afa insopportabile. Pensare che un ragazzo di soli 31 anni (siamo del 1951 entrambi) avesse potuto comporre di getto una tale poesia in musica per il figlio Giovanni (nato a maggio 1982) mi ha sempre stupito ed emozionato.
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Generazione F
Claudio e Giovanni Baglioni Ma avete presente il testo? Avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle Storie fotografate dentro un album rilegato in pelle I tuoni di aerei supersonici che fanno alzar la testa E il buio all’alba che si fa d’argento alla finestra Avrai un telefono vicino che vuol dire già aspettare Schiuma di cavalloni pazzi che s’inseguono nel mare E pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate Un treno per l’America senza fermate Avrai due lacrime più dolci da seccare Un sole che si uccide e pescatori di telline E neve di montagne e pioggia di colline Avrai un legnetto di cremino da succhiare Avrai una donna acerba e un giovane dolore
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Generazione F Viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore Avrai una sedia per posarti e ore vuote come uova di cioccolato Ed un amico che ti avrà deluso, tradito, ingannato Avrai, avrai, avrai Il tuo tempo per andar lontano Camminerai dimenticando Ti fermerai sognando Avrai, avrai, avrai La stessa mia triste speranza E sentirai di non avere amato mai abbastanza Se amore, amore avrai Avrai parole nuove da cercare quando viene sera E cento ponti da passare e far suonare la ringhiera La prima sigaretta che ti fuma in bocca un po’ di tosse Natale di agrifoglio e candeline rosse Avrai un lavoro da sudare Mattini fradici di brividi e rugiada Giochi elettronici e sassi per la strada Avrai ricordi, ombrelli e chiavi da scordare Avrai carezze per parlare con i cani E sarà sempre di domenica domani E avrai discorsi chiusi dentro e mani Che frugano le tasche della vita Ed una radio per sentire che la guerra è finita Avrai, avrai, avrai Il tuo tempo per andar lontano Camminerai dimenticando Ti fermerai sognando Avrai, avrai, avrai La stessa mia triste speranza E sentirai di non avere amato mai abbastanza Se amore, amore, amore, amore avra
La canzone, prodotta da Geoff Westley (che divenne uno dei musicisti più amati del Paese dopo aver collaborato con Lucio Battisti), fu registrata a Londra in soli due giorni e in una situazione rocambolesca, come avrebbe spiegato lo stesso Baglioni in un’intervista: “Quasi sempre i dischi si finiscono in maniera disperata.
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Generazione F Avrai l’ho fatta in una pausa di Paul McCartney, che registrava tutti i giorni tranne il mercoledì: mi infilai nello studio mentre lui giocava a Space Invaders”. Col tempo è diventata una sorta di inno, dell’augurio, della promessa, del patto stabile che ci deve essere tra coloro che sono già al mondo e quelli che stanno per arrivare. E poi perché si parla del futuro: “Avrai” significa stabilire ancora una volta in più una concordia, un senso di trasmissione, sia di valori ma anche di cose che diano esperienza, tradizione, oltre a slancio per il futuro che noi pensiamo debba sempre essere la parte migliore della nostra esistenza”. Il brano si sviluppa, senza mai ripetersi, tra metafore, similitudini e analogie. Al figlio il cantautore preannuncia un mondo ricco di bellezze ed emozioni inestimabili: “Avrai un telefono vicino che vuol dire già aspettare, schiuma di cavalloni pazzi che s’inseguono nel mare, e pantaloni bianchi, da tirare fuori che già è estate, un treno per l’America senza fermate…“. Già, l’America, simbolo di speranza e di inesauribile gioia che, com’è noto, è impossibile raggiungere col solo treno. Ma qui sta il sogno e la sua potenza: sta dicendo al figlio che potrà essere e diventare chi vorrà, che il mondo è grande e vario e le strade da percorrere sono infinite. Dovrà soltanto capire e prendere la direzione capace di renderlo più felice. Una felicità che si annida, però, anche nelle piccole cose della quotidianità, dalle “parole nuove da cercare quando viene sera” al “legnetto di cremino da succhiare“. Ma non saranno tutte rose e fiori: il dolore fa parte della vita e anche Giovanni dovrà imparare a farci i conti, pur se tentato dal desiderio di scappare. “Avrai una donna acerba e un giovane dolore – canta Baglioni – viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore. Avrai una sedia per posarti e ore, vuote come uova di cioccolato ed un amico che ti avrà deluso, tradito e ingannato“. Ma col tempo riuscirà ad andare avanti e tornerà a sognare, perché è dei sogni che si alimenta la vita. “E proverai – chiude nel ritornello – un amore così grande che ti parrà di non avere mai amato abbastanza“. Tuttora mi sembra impossibile - oggi che a 30 anni è facile oscillare pericolosamente tra essere ragazzi superficiali/annoiati e giovani ormai vecchi, nonostante l’anagrafe dica il contrario- aver scovato le parole e le frasi giuste. Per dire tutto quello che c’era da dire, sottolineare e trasmettere. Senza una sbavatura di troppo. E adesso ascoltiamolo con la musica: https://youtu.be/t4vxzJRiW_Q (Arena di Verona 2018) Essendo Over, molti di noi sono anche nonni. E, per proseguire con i cantautori che hanno salutato in musica l’arrivo di un nipote, non posso non citare Fabio Concato, che ha appena scritto “L’aggeggino” per Nina, la figlia della primogenita Carlotta (alla quale, a sua volta, aveva dedicato “Fiore di maggio”, così come aveva fatto per la secondogenita Giulia) . Qui è per me d’obbligo aprire una parentesi: Fabio è il fratello di quel Massimo che, nel luglio 1982 mi accompagnò al Pronto Soccorso per il braccio fratturato.
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Generazione F
Fabio Concato con la nipotina Nina https://youtu.be/WSyPa00wdRY Purtroppo Massimo da poco, fisicamente almeno, non c’è più, ma è impossibile dimenticare lo stretto legame con lui e Fabio: siamo stati amici durante l’ infanzia (Fabio lo conobbi quando era un bimbetto di 4 anni) e poi l’adolescenza e, anche, per un pezzo dell’età adulta. Con i fratelli Piccaluga (questo il vero cognome) ho condiviso tanto, tantissimo. Risate, confidenze, discussioni, viaggi, vacanze, mangiate assieme: tutte le domeniche erano a cena da noi con i genitori, Giorgina e Gigi. A quest’ultimo, grande musicista, che il grande Franco Cerri ( incontrato casualmente in treno con cui parlammo tanto, dimostrandomi, una volta di più ne avessi bisogno, quanto le persone grandi sono modeste e speciali ) ebbe a definire “un maestro” e che a Enzo Jannacci insegnò a suonare.
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Generazione F Di Gigi il ricordo che mi accompagnerà sempre era il momento in cui, varcata la soglia di casa mia e sedutosi immediatamente al pianoforte (ebbene sì, possedevo un piano su cui strimpellai decine di volte con risultati nulli visto l’impegno inesistente) improvvisava come solo lui sapeva fare, accompagnando ad ogni tasto pigiato una battuta esilarante . E Fabio a lui, quando è venuto a mancare, ha voluto dedicare una delle sue più belle e struggenti canzoni. https://youtu.be/Sq_JnQ5J9oQ Perché i figli diventano genitori e poi nonni, ma non smettono mai di essere figli. O almeno così dovrebbe essere.
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Foto d’autore Generazioni: un’immagine perfetta per evocarle
Quando uno scatto d’Autore ha la capacità di far capire meglio di cento parole l’importanza di un’idea
Generazioni Questa foto di Francesco Bellesia rappresenta, in maniera immediata e romantica, le generazioni che si susseguono, cullate e protette dalle precedenti.
di Francesco Bellesia https://francescobellesia.it/
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Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
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Incipit IL RUOLO DI PADRI E FIGLI: UN VALORE PRIMORDIALE Nel rapporto tra genitori e figli sussistono i presupposti fondamentali che influenzeranno l’organizzazione sociale Di Giovanni Paolo Magistri - biologo
La riproduzione sessuata offre il vantaggio biologico di una maggior rimescolanza genetica, offrendo all’ambiente plurime proposte per la sopravvivenza della specie e, conseguentemente, una più ampia affermazione evolutiva della medesima. Le cure parentali, ovvero le attenzioni dei genitori nei confronti della prole, sono tipiche degli animali superiori - in particolar modo dei vertebrati- anche se si possono annoverare cure parentali presenti negli invertebrati (quali gli insetti e le api, ad esempio).
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Incipit Spesso avviene che, trascorso il periodo di tempo necessario per rendere la prole indipendente, il nucleo familiare si disgreghi, per poi riformarsi successivamente con partner differenti. L’Homo è il più organizzato tra gli animali sociali ed ha ottenuto il suo vasto successo evolutivo primariamente grazie a una maggior attenzione per le cure parentali, spingendole verso forme culturali che non permangono unicamente legate all’acquisizione di comportamenti finalizzati prioritariamente alla sopravvivenza. Il valore attribuibile a tale modello organizzativo è molto elevato: stabilire il rispetto di regole e i relativi limiti è compito dei genitori, costatarne la validità, trasgredirle, come spinta al miglioramento, dei figli. Nel rapporto tra genitori e figli sussistono i presupposti fondamentali che influenzeranno l’organizzazione sociale e, più è presente omogeneità educativa e luoghi fisici di aggregazione per la condivisione delle regole, più salda sarà l’organizzazione sociale; motivo per cui la scuola, luogo fisico di condivisione dei valori acquisiti nel rapporto educativo genitore-figlio, non potrà mai essere sostituita globalmente con la didattica a distanza se tra i diversi obbiettivi della scuola permane quello di influenzare l’assetto sociale . Se è vero, come sosteneva Nietzsche, che in fondo siamo un po’ tutti nichilisti, è altrettanto vero che il periodo adolescenziale evidenzia maggiormente quest’aspetto; avversione, apatia, non condivisione verso valori socialmente consolidati sono atteggiamenti riscontrabili in qualsivoglia nuova generazione e - errore spesso compiuto dai genitori- è quello di porsi nei confronti dei figli con un comportamento amicale, piuttosto che porsi come riferimento valoriale. Nel 2007 il quotidiano inglese The Guardian considerò la spavalderia nichilista del punk una delle performance più devastanti; la citazione musicale “no future” del gruppo Sex Pistols, divenne il manifesto per un’intera generazione. Non è facile recitare i due ruoli: sono in continua trasformazione riguardo il mutare del tessuto sociale, ma varrebbe la pena sottolineare come nel rapporto genitori e figli in primis esiste l’importanza reciproca del loro riconoscimento e successivamente il rispetto delle regole; modello interpretativo spesso dimenticato nella nostra società fortemente informatizzata. Le memorie dei computer hanno raggiunto la capacità di archiviare una considerevole quantità di informazioni, tanto da ritenere che sia più importante esserne in possesso piuttosto che possedere un metodo per ricercarle. Ancora una volta le modalità comportamentali primordiali finalizzate alla sopravvivenza indicano i più appropriati valori da attuarsi.
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Incursioni ANNA STACCATO MARIA Come si può ricordare, in maniera intensa e scanzonata insieme, la nascita della propria figlia oggi trentunenne Di Marco Vittorio Ranzoni - giornalista
Marco e Anna Maria Ranzoni
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Incursioni Il 28 marzo del 1990 mi trovavo in Germania già da tre mesi . Poco dopo Capodanno ero partito con un biglietto di sola andata . All’aeroporto di Bonn nevicava leggermente, il taxi mi portò davanti a quella che per tre anni sarebbe stata la mia nuova casa . Era un bell’appartamento su due piani, ammobiliato con discreto gusto . Poggiai la valigia a terra, gli scatoloni spediti dall’Italia erano già arrivati ed erano accatastati con ordine . Sul tavolino del soggiorno una bottiglia di spumante e due coppe, con un bigliettino della società : herzlich willkommen. Un’immagine tristissima, dato che ero solo. L’anno precedente, dopo aver lavorato con i colleghi tedeschi ad alcuni progetti internazionali, mi fu proposto di trasferirmi presso la casa madre per far parte del neonato gruppo di marketing strategico, che avrebbe portato l’azienda nel campo della diabetologia, fino ad allora inesplorato. Interruppi il mio rapporto di lavoro con la filiale italiana e venni assunto con contratto tedesco, a condizioni molto favorevoli. Tutto si era svolto con una velocità che mi lasciava frastornato. La decisione, condivisa con mia moglie, prevedeva che anche lei lasciasse il suo impiego e partissimo insieme: lei parlava bene il tedesco ed era contenta di trascorrere tre anni in Germania. Verso la fine dell’estate scoprì di essere incinta. All’inizio si trattava solo di decidere se far nascere la bambina a Milano o a Colonia, ma dopo qualche mese si rese necessario il riposo assoluto. Ne parlammo e lei disse che non c’era motivo di rinunciare e che la mia presenza al suo capezzale non sarebbe stata di particolare aiuto, considerato che c’era sua madre con lei. Così iniziai la mia avventura di emigrante. Il 28 marzo del 1990 era una data da tempo inserita nel mio calendario . In una riunione del board, assieme a un collega, avrei dovuto illustrare il piano di marketing per il lancio di un nuovo antidiabetico orale nei Paesi del Mediterraneo. Ci avevo iniziato a lavorare in Italia, era la mia occasione. Il board era composto interamente da dirigenti tedeschi, io studiavo la lingua da un paio di mesi con poca assiduità, ma avevo preparato il mio primo intervento in tedesco. Quella riunione sarebbe rimasta nel ricordo dei presenti per almeno un paio di ragioni. Si svolgeva nel palazzo più antico della sede storica dell’azienda, in una grande sala rivestita di legno scuro e con le pareti adorne dei ritratti ad olio a grandezza naturale dei padri fondatori della società: sguardi severi dietro baffi spioventi e favoriti, panciotti e abiti austeri. Legno scuro, marmo nero: faceva molto terzo reich, non era un ambiente rilassante. Prima di me avrebbe dovuto parlare un giovane collega inglese. Da poco arrivato, Jonathan era simpaticissimo e avevamo fatto subito amicizia anche perché unici due stranieri del nostro gruppo. Prima di lasciargli la parola, un direttore fece una lunga premessa per descrivere i risultati deludenti del business nel Regno Unito. Le ragioni erano note a tutti, ma lui insistette e in breve calcò la mano svelando il suo palese disprezzo per la terra di Albione, portando esempi offensivi. Parlava in tedesco, ma io capivo quasi tutto e sapevo che Jonathan aveva studiato la lingua abbastanza per capire: lo guardavo di sottecchi, preoccupato, ma lui non muoveva un muscolo. Ad un tratto, con un movimento rapido e fluido, Jonathan si alzò. Era alto, allampanato e molto, molto
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Incursioni inglese nell’aspetto. Per qualche secondo non disse nulla, raccolse le carte davanti a sé con molta calma, poi guardò ad uno ad uno i presenti attorno al grande tavolo di quercia e disse, in perfetto tedesco: “1966, Wembley: 4-2”. Io lo guardavo come la mucca guarda il treno, ma gli altri dopo un attimo capirono e, avendo temuto ben altra reazione, si rilassarono. Era il risultato di una storica vittoria inglese sui tedeschi sul campo di calcio. Ci furono risate di sollievo e pollici alzati, ma Jonathan prese le sue carte e senza salutare si avviò a grandi passi verso la porta. L’aprì e, girandosi, gelò tutti dicendo: “By the way, two wars”.
1966, finale del campionato mondiale di calcio: premiazione dell’Inghilterra allo stadio di Wembley da parte di una giovane Elisabetta II La porta sbattuta da Jonathan, diavolo d’un uomo, lasciò la sala in un silenzio tombale e io che pure l’avevo adorato per il suo splendido e orgoglioso gesto, non osando alzarmi ad abbracciarlo per codardia, pensai che ora toccava a me ascoltare il preambolo del direttore sui Paesi del Mediterraneo, prima che io iniziassi a parlare: già mi vedevo come Guglielmo Oberdan, giustiziato dagli austriaci a Trieste mentre grida: “Viva l’Italia”. Invece la porta si aprì e vidi Valeria, una collega, con gli occhi sbarrati che mi faceva dei segni imperiosi. Era impensabile disturbare durante una riunione del genere e dal mio posto cercai a gesti di mandarla via, ma lei si piantò nello specchio della porta con le mani sui fianchi e disse che al telefono c’era mia moglie e che stava per nascere mia figlia.
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Incursioni Un attimo di esitazione, poi l’incitamento dei capi, i loro auguri: con molta meno calma dell’amico inglese raccolsi le mie carte e le mie diapositive e corsi fuori. Mia moglie era alla Mangiagalli di Milano da alcuni giorni e il monitoraggio del liquido amniotico aveva fatto decidere il professor D’Alberton per un cesareo urgente, l’indomani mattina. Erano le quattro del pomeriggio e stavo già per correre in aeroporto senza passare da casa sperando di trovare un volo qualsiasi, quando Valeria mi bloccò con un gesto della mano. Alzò il telefono, chiamò la Lufthansa e mi diede una lezione di efficienza teutonica. Non c’erano posti sui voli per Milano, ma si infuriò a tal punto che credetti mettesse di mezzo il cancelliere Kohl, in un crescendo di: “Voi non vi rendete conto…fatemi parlare col vostro superiore!”. Ci capii poco, ma due ore dopo ero seduto in prima classe con una hostess che mi faceva gli auguri offrendomi una flûte di champagne. Il 28 marzo 1990 finì così e la mattina dopo ero nella sala d’attesa della clinica . Ad un certo punto uscì un’infermiera sorridente che portava una creatura coi capelli rossi e i piedi minuscoli: non per dire, ma nonostante fosse notevolmente sottopeso era proprio carina, neanche tanto stropicciata. L’infermiera mi disse che era andato tutto bene e prima di accompagnarmi da mia moglie mi chiese il nome da scrivere sul registro: avevamo deciso per quello di mia mamma, Anna Maria. Nel dubbio che potesse sbagliare specificai, aiutandomi col labiale: “Anna-staccato-Maria” e lei stava scrivendo davvero così, condannando la pargola a un futuro di scherno. Così saltai a piè pari la mia relazione in tedesco davanti al plotone di esecuzione, rimasi a Milano per tutto il tempo dell’incubatrice e poi a casa con le due donne, che qualche mese dopo avrebbero preso anche loro - un biglietto di sola andata per Colonia.
Anna Maria da bambina. Oggi ha 31 anni e vive a Cambridge, Associate Editor a “Nature Medicine”
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L’anno scorso, a casa dei miei, ho trovato una scatola con vecchi documenti, tra cui il passaporto di mia mamma, che è morta quando avevo un anno e non ho mai conosciuto: si chiamava Annamaria, tutto attaccato.
Stile Over FIGLI? NO, GRAZIE Oggi non è più un tabù dire che non si desiderano figli, come dimostra Lunadigas, gruppo sviluppatosi in rete con una raccolta multimediale di testimonianze Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
Su molte cose non ho cambiato idea nel corso della vita, e la bambina che ero non è troppo diversa dall’adulta - e Over- che sono diventata. C’è però un’eccezione importante: c’è stato un periodo della vita in cui ho progettato di avere sei figli. Ne ho ricordi confusi, e non so bene da dove nascesse l’idea balzana: a me i bambini, specie i piccolissimi, non sono mai piaciuti, non ho neanche giocato granché con le bambole, se non per utilizzarle come comparse in avventurose sceneggiate che non avevano nulla a che vedere con pappe e pannolini.
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Stile Over Per fortuna è durata poco, e già da adolescente ero fermamente convinta che, io, figli non ne avrei avuti. Non mi ci vedevo proprio, mi sembrava una prospettiva irrealistica, avere un figlio, un po’ come volare o respirare sott’acqua. Tanto che quando molti anni dopo la mia ginecologa, nel corso di una visita, mi ha detto che difficilmente avrei potuto portare a termine una gravidanza non mi sono stupita troppo. Credo di averlo sempre saputo, e ho preso atto tranquillamente, senza troppi rimpianti, forse solo un attimo di riflessione al momento in cui la cosa si avviava a diventare definitiva. E forse perché non mi sono sposata, e ho sempre messo il lavoro al primo posto, nessuno in famiglia o altrove mi ha mai chiesto quando sarebbero arrivati questi benedetti figli. E in questo so di essere stata fortunata. Perché ancora oggi moltissime donne, senza figli per caso o per scelta, sono chiamate a giustificarsi, a dare spiegazioni, a rispondere a chi pensa che una donna senza figli non sia completa. Sentirsi chiedere “Non hai figli? E come mai?” non è per niente insolito - per le donne; agli uomini non succede - anche se si tratta di una domanda più che personale. Che a volte si porta dietro critiche o accuse di edonismo, egoismo, irresponsabilità. Senza contare l’eterno “non sai che cosa ti perdi”, che fa il paio con quel “chi non ha figli non può capire” con cui spesso si risponde a chi sbuffa di fronte a qualche intemperanza infantile.
Il saggio (1949)di Simone de Beauvoir, considerato una pietra miliare del movimento femminista
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Stile Over Sembrava che il femminismo, dalle storiche prese di posizione di Simone de Beauvoir -”Non faccio figli, faccio libri”- a quelle della filosofa Elisabeth Badinter, avesse cancellato il mito della maternità come destino, e dell’istinto materno come pulsione innata legata alla biologia e non alla capacità di dare affetto e cura a un progetto, a una persona o a una classe di studenti. Eppure, oggi l’identità femminile non è più legata alla maternità ma alla realizzazione di se stesse, e sono in molte a scegliere di dedicarsi ad altro. Oggi in Italia circa il 20% delle donne sono senza figli, e se tra queste ci sono anche molte che lo avrebbero voluto perché se a parole in Italia si celebra la maternità, in realtà molte sono costrette a scegliere tra i figli e il lavoro o la carriera - si calcola che le vere childfree siano circa il 17%. Ed è sempre più usato il neologismo inglese che marca la novità distinguendo tra le donne prive di figli - childless- e quelle appunto childfree, ossia libere da figli. In Italia è nato anche il gruppo delle Lunadigas, definizione trovata da Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, autrici e registe, riprendendola dal termine utilizzato dai pastori sardi per definire le pecore che non figliano, perché sterili o semplicemente perché balzane, appunto “ lunatiche”. Oggi Lunadigas, nato come Webdoc e poi come film si è sviluppato in rete con una raccolta multimediale di testimonianze (https://www.lunadigas.com/). E intorno è cresciuta una comunità di donne che si confronta, discute, a volte litiga, perché ci sono le posizioni più radicali di chi i bambini proprio non li sopporta, e quelle di chi li ama e magari ha anche scelto di lavorarci ma semplicemente non ne ha messi al mondo. Ma è unita nel cercare una propria identità al di fuori dagli stereotipi, e la libertà di decidere della propria vita. Intanto stanno nascendo i locali “no kids”. E se una volta hotel e ristoranti riservati ai soli adulti scatenavano polemiche, ora i toni si sono placati, e anche chi ha famiglia comincia ad apprezzare la possibilità di trascorrere qualche ora tranquilla tra adulti. E una ricerca dell’Università del Michigan, che ha coinvolto 6000 donne tra i cinquanta e i sessanta, mostra che l’avere o meno figli non ha effetti particolarmente rilevanti sul benessere psicologico: gli elementi più importanti per una maturità felice, spiegano gli autori dello studio, sono la presenza di un marito o di un compagno, e di una rete di solide relazioni sociali.
Simone de Beauvoir (1908-1986).
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Da tener d’occhio G.B. MAGISTRI, PITTORE E GRAFICO MILANESE
Deposizione. Olio su tela( cm 70 x 60), 1971 Chi meglio della Madonna rappresenta “la madre”? E chi meglio del Cristo “il figlio”? Ecco allora un dipinto ad olio del pittore e grafico milanese G. B. Magistri che seguiamo regolarmente tramite il nostro magazine. Analizzando attentamente il dipinto si può scorgere una serie di significati collaterali all’evento principale; la deposizione del Cristo è qui sentita dall’artista con un valore aggiunto: la “rigenerazione”. Il monte Calvario è abbozzato sullo sfondo scuro; in alto a destra si intravedono appena le tre croci, come se volesse volutamente allontanare l’attenzione dell’osservatore dall’evento “Crocifissione”. In primo piano due figure, la Madonna e il Cristo; la prima (madre), supina e in posizione poco usuale. Le gambe sono divaricate con il Cristo (figlio) accolto tra esse, tenta idealmente di riaccoglierlo nel proprio ventre nel disperato tentativo di ridonargli la vita (rigenerazione/resurrezione). Ambedue hanno il volto senza fronte, segno voluto di impotenza di fronte all’evento morte, impossibilità di porre rimedio “razionale” al compiuto. Mentre la gamba destra del Cristo mantiene una sorta di vitalità che sembra dare la possibilità a rialzarsi per volontà non dovuta al resto del corpo (resurrezione). Come sempre, per saperne di più sul pittore milanese d cui l’anno prossimo ricorrerà il cinquantenario della scomparsa, c’è il sito https://gbmagistri.org/
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Il desco dei Gourmet ©GABRIELE REINA
CREMA DI CARCIOFO ALPINO Informazione promozionale
©GABRIELE REINA
a cura della Redazione
Tra i meriti di Zoppi & Gallotti c’è sicuramente quello di offrire ai propri clienti prodotti di nicchia che nascono da un’accurata ricerca tra le eccellenze gastronomiche disponibili sul mercato, e che possono essere acquistati in negozio per essere degustati, ma entrano anche a far parte delle ricette innovative della linea SLIM.
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Il desco dei Gourmet Questo mese abbiamo deciso di presentarvi una di queste eccellenze, il CARCIOFO ALPINO (Cynaria scolymus): ci piace ricordare una vecchia pubblicità che diceva “ Se il caffè è di montagna, il gusto ci guadagna” . E anche il carciofo alpino, che cresce intorno agli 800 metri di altitudine, ci guadagna in gusto ma soprattutto in dolcezza . Giuseppe Zoppi e Carlo Gallotti hanno scoperto di recente questa squisitezza, andando a trovare un fornitore che in val Brembana, nel paese di Arlecchino, produce ortaggi selvatici: oltre ai carciofi alpini, rabarbaro alpino, spinaci selvatici (Chenopodium Bonus Henricus, paruch in dialetto bergamasco) aglio orsino e sambuco. Il carciofo alpino si pianta nel mese di aprile, per poi raccoglierlo da maggio a settembre, prima dei carciofi classici che si raccolgono da novembre a inizio primavera. Questa pianta di origine recente è arrivata da noi grazie a un floricultore di Bressanone, che durante una vacanza studio in California aveva notato campi di carciofi che crescevano in piena estate. Chiedendo informazioni agli agricoltori locali scoprì che un italiano era riuscito a ibridare il seme dei carciofi, rendendo possibile sfruttare la stagione estiva per farli crescere senza bisogno di aspettare l’autunno, in condizioni climatiche non molto diverse da quelle che si trovano in Alto Adige e in val Brembana. Si tratta ancora di una produzione limitata, locale, che in Alto Adige è possibile trovare solo nei mercati contadini: Per sfruttare al meglio la piccola produzione disponibile in val Brembana abbiamo pensato alla crema di carciofo alpino, che è possibile acquistare in barattolo presso il negozio di via Cesare Battisti. Per chi poi volesse regalarsi una vera squisitezza al sapore di carciofo, la cucina di Zoppi & Gallotti ha pensato di accostare questa crema al riso Carnaroli in purezza stagionato 7 anni. Per chi volesse realizzarla a casa, ecco la ricetta : Tortino di riso Carnaroli con crema di carciofo alpino Ricetta per 2 persone. Ingredienti: • 180 g di riso Carnaroli 7 anni • Crema di carciofi Della Fara • 50 g burro • Scalogno • Sale • Olio Evo • Scaglie di grana padano
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Il desco dei Gourmet Procedimento: In un tegame mettiamo il burro e lo scalogno tritato finemente. Nel momento in cui incomincia a soffriggere aggiungiamo il riso lasciando insaporire, per poi coprire con acqua calda, aggiungendone fino a cottura. Una volta tolto dal fuoco salare e mantecare con 2 cucchiai di crema di carciofo alpino. Lasciare raffreddare e formare una piccola palla, schiacciandola con le mani per darle la forma di un tortino Scaldare una padella antiaderente, ungerla con olio e rosolare il tortino da ambo le parti, per poi impiattare, ricoprendo il tortino con scaglie di grana padano. Il tortino di riso Carnaroli con crema di carciofo alpino lo trovate pronto nella Linea SLIM. Il riso Acquerello e la Crema di Carciofo Alpino li trovate presso la salumeria Zoppi & Gallotti in Via privata Cesare Battisti 2, a Milano. Tel. 02/5512898. Per ordini e richiesta di preventivi potete scrivere una e-mail a: info@zoppiegallotti.com Sito Internet: http://www.zoppiegallotti.com Buon appetito!
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In movimento VALSASSINA ALL’OMBRA DELLE DOLOMITI LOMBARDE Non occorre andar lontano per ammirare luoghi particolari: i milanesi, per esempio, possono scoprire la vicina Valsassina con i suoi tesori. Naturalistici e gastronomici Gli Erranti
Tramonto a Barzio (Lecco) Ci sono luoghi che danno il meglio di sé in determinate stagioni: è il caso della Valsassina, che a pochi chilometri da Milano ci regala la possibilità di organizzare piacevoli passeggiate ma anche escursioni più impegnative. In particolare all’inizio dell’autunno, quando i boschi si accendono di colori intensi e la possibilità di raccogliere funghi e castagne - o di degustarli nei ristoranti della zona- aggiunge piacere alle passeggiate. Stiamo parlando di un’oasi di verde facilmente raggiungibile da Milano e da Lecco, racchiusa tra il gruppo delle Grigne e le Prealpi Orobie col Pizzo dei Tre signori, montagne apprezzate dagli alpinisti e dagli
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In movimento appassionati del trekking. I panorami ricordano quelli dolomitici, e infatti la roccia che costituisce queste montagne è affine alla dolomia per età e composizione, e offre scorci spettacolari già apprezzati da Leonardo Da Vinci, che li ha ricordati nei suoi appunti di viaggio. Anche il nome della valle deriva dalla presenza di detriti morenici e di ammassi rocciosi che le valsero la denominazione “Valle dei Sassi”. In parte interessata dal Parco Regionale della Grigna settentrionale, la Valsassina è attraversata dal Pioverna, un torrente che nasce a oltre 1800 metri di altitudine per poi confluire nel lago di Como a Bellano dove si trova lo spettacolare orrido derivante dalle sue acque in caduta - dopo aver seguito un curioso percorso da sud verso nord e aver ricevuto le acque di vari affluenti . Splendida in autunno, la valle offre in ogni stagione piacevoli opportunità: l’estate è la stagione delle passeggiate a piedi, in bicicletta o a cavallo, usufruendo della pista ciclopedonale realizzate a fondovalle che parte da Ballabio e arriva nel comune di Taceno presso le terme di Tartavalle, e dell’ippovia che la fiancheggia per lunghi tratti. Mentre i più esperti possono affrontare i sentieri alpinistici che portano in vetta, ove si trovano palestre di roccia e vie ferrate, oltre alla possibilità di compiere vere e proprie scalate. La montagna resta protagonista anche nei mesi invernali, quando in buona parte si colora di bianco: a pochi chilometri dalla pianura si trova il comprensorio sciistico dei Piani di Bobbio con innumerevoli piste da sci e i piani di Artavaggio, Piani d’Erna, Pian delle Betulle, serviti da comode funivie e cabinovie -le stesse che nei mesi estivi portano in quota sciatori ed escursionisti - che permettono di arrivare a pochi metri dalle piste da sci.
Piani-di-Bobbio
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In movimento E in ogni stagione non manca la possibilità di fare interessanti esperienze gastronomiche. Oltre che per i frutti del bosco e i pesci che popolano il Pioverna - soprattutto trote fario e iridee - la valle è famosa per la prodizione di formaggi artigianali e non: basti ricordare che sono nate qui Galbani, Cademartori e Locatelli. E ancora oggi si produce secondo la tradizione lo Strachín quáder (stracchino quadrato) formaggio a crosta fiorita realizzato negli alpeggi locali con latte crudo. Ma ci sono anche altri formaggi tipici tra cui il Fiorone della Valsassina, che come lo Strachin è un prodotto Agroalimentare tradizionale, da consumare al naturale o per insaporire un piatto di polenta taragna. Per finire il pasto in dolcezza ci sono poi i Caviadin, tipici biscottini ricoperti di zucchero in granella, che possono essere acquistati nelle pasticcerie locali.
La chiesa dedicata a Santa Margherita da Antiochia
Neve in Valsassina
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In forma IL MIGLIOR PUNTO DI PARTENZA È IL TRAGUARDO Informazione promozionale A cura della Redazione
C’è un concetto che ogni sportivo o aspirante tale dovrebbe sempre tener bene a mente: senza un obiettivo non si va da nessuna parte. Ecco perché, come ci spiega il nostro coach Paolo Barbera, il traguardo è il miglior punto dipartenza. Chi è Paolo Barbera Coordinatore Federale di Triathlon, Ironman Certified Coach. Fondatore di Active Kids, un centro medico specializzato nell’educazione alimentare e nella programmazione e gestione dell’allenamento sportivo. Direttore Tecnico di TRI60, un training center dedicato a ciclismo, triathlon, corsa e nuoto. Maratoneta e Multi Ironman finisher, collabora con le più prestigiose riviste di settore su temi di allenamento, educazione alimentare e preparazione fisica.
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In forma
Nel corso degli ultimi anni ha accompagnato tante persone in un percorso che li ha portati dall’essere sedentari e con problemi di peso e salute a persone sane, attive e in forma. Tri60 Advanced Training; tel. 02-83906360 https: //www.tri60.it “In realtà il nuovo anno inizia a gennaio. Per molti di noi però è l’autunno, la ripresa dell’attività dopo la pausa estiva, la vera stagione degli inizi e dei buoni propositi. Che non sempre si traducono in realtà: proviamo allora a capire che cosa fare di diverso per concretizzarli, e prepararci a un anno di successo e soddisfazioni. La prima cosa da fare è spostare l’orizzonte temporale. Troppo spesso ci preoccupiamo di quello che pensiamo di fare domani senza sapere bene dove stiamo andando, e soprattutto dove vorremmo arrivare. Per ottenere risultati, nello sport come in ogni altro aspetto della nostra vita, occorre prima di tutto di un obiettivo. Già Seneca più di 2000 anni fa ci ricordava che “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”: in altri termini, la pianificazione per obiettivi non è una scoperta degli ultimi anni
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In forma di consulenza o di coaching. Definire un obiettivo aiuta a comprendere che cosa fare nel breve e nel medio periodo per arrivare a destinazione, ma soprattutto diventa un’efficace leva motivazionale che possiamo usare a nostro vantaggio. E’ la motivazione che ci spinge ad allenarci i quando siamo stanchi o demotivati, o a completare una serie di esercizi, anche se sentiamo di non farcela. Ancora, la motivazione aumenta il nostro livello di disciplina, e alla fine fa la differenza tra il successo e la soddisfazione di aver raggiunto l’obiettivo, e la delusione per non esserci riusciti. Vale quindi la pena di prendersi un momento per individuare i nostri obiettivi e cercare di capire cosa vogliamo ottenere dal nuovo anno. Ma per cominciare, come si sceglie un obiettivo, quali caratteristiche deve avere per offrire gli stimoli giusti? L’obiettivo può essere quantitativo, correre 10 km in meno di 60’, oppure qualitativo, imparare a nuotare. L’importante è che sia chiaro e ben definito. A livello agonistico, il risultato desiderato può essere una prestazione - correre una maratona in meno di tre ore - o un risultato di classifica come arrivare nei primi tre della tua categoria in un IRONMAN. Nel primo caso il risultato dipende dal nostro impegno e dal supporto del nostro allenatore. Per raggiungere il secondo, invece, il successo dipende anche da quello che fanno gli altri. Proviamo allora a ragionare sulle caratteristiche degli obiettivi. → Un obiettivo deve essere individuale, non può essere casuale e non deve necessariamente coincidere con quello del nostro amico o compagno di squadra . Parte del mio lavoro sta proprio nell’aiutare gli atleti che alleno a capire dove possono arrivare in base alle loro capacità, all’esperienza e, non ultimo, al tempo e alle energie che possono dedicare a un progetto. Solo un obiettivo coerente e raggiungibile può essere individualizzato e reso proprio; trasformandosi in quella leva interiore aiuta ad affrontare anche le giornate più difficili o meno favorevoli . Un obiettivo imposto dall’esterno ha un impatto meno marcato sulla nostra volontà, e risulta quindi meno efficace . → Ma per essere stimolante un risultato finale essere misurabile. Niente di più facile da capire per chi si misura quotidianamente con il cronometro. Quantificare un obiettivo aiuta a capire se la nostra preparazione sta andando nella direzione giusta e quanto siamo vicini alla meta, anche attraverso dei test o delle gare di preparazione. Che tipo di obiettivo dobbiamo porci? Un obiettivo ottimale deve essere abbastanza ambizioso da risultare motivante, ma anche realistico per evitare di imbarcarsi in missioni impossibili. E ovviamente si deve essere pronti ad accettare anche un insuccesso, che andrebbe vissuto come parte di un processo formativo che ci deve aiutare a capire che cosa non ha funzionato e che cosa fare per ribaltare questo risultato. Risultato che, vale la pena di ripeterlo, non dipende solo dalle capacità dell’atleta ma anche dal tempo e dalle energie che si mettono in gioco. Personalmente, non ritengo indispensabile il raggiungimento di ogni obiettivo. Succede spesso che il successo sia frutto della scelta di obiettivi modesti, mentre mi è capitato spesso di
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In forma entusiasmarmi per una crescita prestazionale nata dal desiderio di raggiungere un risultato poi mancato per un soffio. Mi emozionano meno i successi di chi non si è impegnato, o non ha avuto bisogno di tirare fuori il proprio 101% per arrivare in fondo. Ricordiamo che un obiettivo ambizioso serve proprio a stimolare il massimo impegno e coinvolgimento emotivo. → Un elemento importante è poi la gestione del tempo: sappiamo che un obiettivo ambizioso richiede tempo, a volte molto, anche se a volte un orizzonte temporale molto ampio può essere controproducente. Un target lontano nel tempo stimola molto meno rispetto a un evento imminente. Per questo è utile suddividere il tempo a disposizione in un certo numero di scadenze e impegni intermedi che aiutino a rimanere sempre concentrati e a mantenere una giusta quantità di pressione. Un numero adeguato di competizioni intermedie, ad esempio, può aiutare a mantenere alto il livello di attenzione e a misurare i progressi parziali, oltre a permettere al coach di fare periodicamente il punto della situazione ed eventualmente adeguare l’obiettivo finale. Sono solo alcune considerazioni, che spero possano aiutarvi a individuare un obiettivo realistico e stimolante: la motivazione individuale aumenterà la convinzione di poter raggiungere il traguardo garantendo la giusta dose d’impegno e determinazione durante tutta la stagione”.
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Primo piano LO SHIATSU. SAPPIAMO DAVVERO CHE COS’È? Una settimana per sperimentare gratuitamente il trattamento energetico al quale ricorre regolarmente un milione e mezzo di italiani A cura della Redazione
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Primo piano No, non è un massaggio: è questa la prima cosa che c’è da sapere sullo shiatsu, il trattamento energetico di origine giapponese cui oltre un milione e mezzo di italiani già ricorre per combattere lo stress, trattare mal di schiena e altri disturbi, e soprattutto per ritrovare equilibrio ed energia. Per chi volesse saperne di più, è in arrivo la Settimana dello Shiatsu organizzata da FISieo la Federazione Italiana Shiatsu Insegnanti e Operatori che riunisce scuole associazioni e operatori del settore, e arrivata quest’anno alla decima edizione. Dal 18 al 25 settembre l’iniziativa Studi Aperti permette, su prenotazione, di sperimentare gratuitamente un trattamento (info e prenotazioni www.settimanadelloshiatsu. it). Un’occasione per riscoprire in sicurezza il piacere del Contatto - il tema centrale della manifestazione – grazie alla sanificazione degli spazi, all’uso della mascherina e al rispetto delle normative vigenti da parte degli operatori FISieo. Nato in Giappone, lo Shiatsu è però legato alla tradizione della medicina cinese, e come questa si basa su un sistema di meridiani da stimolare per rimuovere blocchi energetici e riequilibrare l’organismo con un meccanismo simile a quello adottato dall’agopuntura. Negli anni la disciplina si è evoluta, sviluppandosi in stili diversi, ma restano fermi alcuni capisaldi: a differenza di quanto avviene con i massaggi, chi riceve un trattamento non deve spogliarsi e non sono utilizzati oli o creme. Il trattamento si basa sulla pressione perpendicolare e costante, in particolare dei pollici e delle palme delle mani, esercitata sfruttando il peso del corpo: non a caso il termine “shiatsu” è composto di “si” (dita) e “atsu” (pressione). Pertanto, significa quindi “pressione con le dita”. In genere ogni trattamento, che avviene sul lettino o a terra sul tradizionale materassino giapponese, è preceduto da un colloquio che serve a valutare l’opportunità di eseguirlo e le sue finalità. Molti ricorrono allo shiatsu per alleviare mal di schiena, cefalee o dolori muscolari ricorrenti, anche se l’obiettivo vero e proprio del trattamento è quello di stimolare le capacità di autoguarigione dell’organismo, promuovendo la salutogenesi: “si definisce così un approccio sviluppato dal sociologo della salute Aaron Antonovsky, che si concentra sui fattori che contribuiscono allo stato di benessere dell’uomo anziché su quelli che causano la malattia”, ricordano i responsabili di FISieo, che organizza corsi di formazione triennale certificati, e iniziative di formazione permanente per i propri iscritti, offrendo un ampio elenco di operatori certificati cui rivolgersi in sicurezza.(Info www.fisieo.it/ ) . Mentre si stanno consolidando i rapporti tra FISieo e il mondo della medicina ufficiale, con esperienze di collaborazione in diversi settori che mostrano l’efficacia e l’utilità dello shiatsu. “Particolarmente prezioso oggi “, sottolineano i responsabili dell’associazione, “perché proprio attraverso il contatto può aiutarci a recuperare la percezione corporea, e al tempo stesso rimetterci in contatto con emozioni e pensieri”. Un approccio particolarmente utile per fare fronte alla “pandemic fatigue”, la sensazione di spossatezza e sfinimento che costituisce la naturale reazione di fronte alla situazione di crisi prolungata che stiamo vivendo: non a caso FISieo con il proprio gruppo di volontari ha attivato il progetto “Aiutiamo chi ci ha aiutati”, per offrire trattamenti gratuiti agli operatori sanitari impegnati nella lotta contro la pandemia.
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Primo piano
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Scienza PROBIOTICI NELLO SPAZIO Informazione promozionale A cura della Redazione
Da anni gli effetti benefici di Yakult sono testati anche nello spazio, grazie alla collaborazione tra Yakult e JAXA, l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA). Le condizioni di vita durante le missioni spaziali, l’assenza di gravità e la dieta a base di alimenti disidratati e sterilizzati portano ad un’alterazione dell’equilibrio del microbiota intestinale (disbiosi) degli astronauti, aumentando il rischio di insorgenza di alcune malattie infiammatorie, senza contare che durante i soggiorni prolungati nello spazio è assolutamente necessario prevenire e controllare ogni tipo di infezione. ”Il forte stress cui sono sottoposti gli astronauti, assieme all’assenza di gravità, porta, infatti, a un’alterazione dell’equilibrio del microbiota, con un aumento dei batteri aerobi patogeni, che normalmente popolano il
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Scienza nostro intestino ma sono inoffensivi, e anche ad una riduzione dei batteri anaerobi “buoni” che hanno il compito di controllarli e mantenerli sotto il livello di pericolosità”, spiega il Professor Lorenzo Morelli, Direttore dell’Istituto di Microbiologia della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza. “Gli astronauti, inoltre, seguono una dieta particolare a base di cibi disidratati e sterilizzati, che non permette loro di assumere quei batteri che ogni giorno noi riceviamo attraverso il cibo”. Dal 2014 Yakult collabora con JAXA, per studiare l’effetto del ceppo probiotico - Lactobacillus casei Shirota (LcS) - sul sistema immunitario umano e sul microbiota intestinale, nelle condizioni di microgravità della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Già dal 2007 JAXA ha aperto un laboratorio di biologia e medicina dello spazio in cui studiare, tra l’altro, gli effetti di alimenti funzionali contenenti probiotici specificamente sviluppati per le missioni spaziali, con l’obiettivo di preservare la salute degli astronauti durante missioni di durata sempre maggiore, ma anche di accelerare il processo di riabilitazione dopo il rientro. Nel frattempo, a febbraio 2012, Yakult ha preso parte al Kibo Utilization Forum, relativo all’utilizzo del Modulo Sperimentale Giapponese “Kibo” presso la Stazione Spaziale Internazionale, e ha dato vita al Gruppo di Ricerca sul Miglioramento dell’Ambiente Intestinale per studiare l’effetto, nello spazio, dei probiotici nel favorire l’equilibrio della flora intestinale. È nata così la collaborazione tra l’Azienda giapponese Yakult e JAXA, con lo scopo di studiare gli effetti del consumo regolare di L. casei Shirota nello spazio, valutandone in particolare i benefici sulla funzionalità immunitaria e sul microbiota intestinale. Iniziando con il valutare la possibilità di realizzare prodotti liofilizzati adatti al consumo nello spazio, ma in grado di conservare le proprietà del ceppo probiotico presente in Yakult: uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori dello Yakult Central Institute pubblicato nel 2018 mostra appunto come un prodotto liofilizzato, contenente LcS, dopo un mese presso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), conservi le sue caratteristiche proprietà probiotiche e la sua capacità di resistere alle condizioni di microgravità. Risultati riproposti in un’ampia rassegna degli studi realizzati sul tema pubblicata nel 2020 sulla rivista Frontiers in Physiology, che ha preso in esame i cambiamenti del microbiota durante i voli spaziali, confermando la necessità di integrare la dieta degli astronauti con nutrienti che ne preservino l’integrità. La ricerca continua, confermando l’interesse di Yakult nell’acquisire nuove conoscenze, che consentiranno non solo di migliorare la salute degli astronauti, ma anche di contribuire all’avanzamento della medicina e della scienza della nutrizione, grazie a informazioni utili per la salute di tutta la popolazione.
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Immagini e fotografie
Copyright Dove non espressamente indicato le foto o le immagini presenti attualmente nella rivista sono situate su internet e costituite da materiale largamente diffuso e ritenuto di pubblico dominio. Su tali foto ed immagini la rivista non detiene, quindi, alcun diritto d’autore e non è intenzione dell’autore della rivista di appropriarsi indebitamente di immagini di proprietà altrui, pertanto, se detenete il copyright di qualsiasi foto, immagine o oggetto presente, oggi ed in futuro, su questa rivista, o per qualsiasi problema riguardante il diritto d’autore, inviate subito una mail all’indirizzo generazioneover60@gmail.com indicando i vostri dati e le immagini in oggetto.
Tramite l’inserimento permanente del nome dell’autore delle fotografie, la rimozione delle stesse o altra soluzione, siamo certi di risolvere il problema ed iniziare una fruttuosa collaborazione.
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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI