N.11 Generazione Over60

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N.11


Photo by Heather Ford on Unsplash

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n° 258 del 17/10/2018


# I NOSTRI TEMI

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co m #non ci dimentichiamo # scienza #salute #bellezza #da leggere (o rileggere) #da vedere/ascoltare #”amo gli animali” #disabilità in pillole #in forma #intervista con ricetta #stile over #”in movimento” #volontariato & associazioni #”di tutto e niente” #lavori in corso #il personaggio #le ultime #glamour


AT THE DESK

DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo DIRETTORE ARTISTICO Francesca Fadalti LA NOSTRA PREZIOSA REDAZIONE Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Enzo Primerano Antonio Giuseppe Malafarina Paola Emilia Cicerone Maria Teresa Ruta Francesca Fadalti Michela Romano DISEGNATORI Attilio Ortolani Margherita Mottana Fotografia di copertina di Katya Ortolani Contact Us: https://generazioneover60.com/ generazioneover60@gmail.com https://issuu.com/generazioneover60 https://www.facebook.com/generazioneover60 https://www.youtube.com/channel/UC4pGjj4-bL8qSbgL2eMmc1A


MINNIE LUONGO

direttore responsabile e giornalista scientifica Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti. Photo Chiara Svilpo

Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli). Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.


GENERAZIONE F

Illustration by Margherita Mottana www.instagram.com/margherita.mottana/


di Minnie Luongo

La morte non appartiene agli artisti Il 17 ottobre ci ha lasciato un grande artista: Attilio Ortolani (alias Attor) che per dieci mesi con le sue illustrazioni dell’ultima pagina (grazie alla disponibilità della figlia Katya) ha impreziosito la nostra rivista. Solo pochi giorni prima della sua scomparsa pubblicavamo un disegno che in un certo modo me lo ricorda: un funambolo attento e sensibile che con grande ironia sa cogliere la realtà e far riflettere. Un piccolo immenso folletto dal cuore d’oro. Caro Attor, il tuo nome rimarrà comunque tra quelli dei collaboratori perché il logo di Generazione Over 60 (come spiegavo nel primo numero del magazine) è tratto da una caricatura che realizzasti per me ai tempi di Corriere Salute. Personalmente ritengo un enorme privilegio averti avuto come amico e collega per tanti anni. Una persona buona dolce e incredibilmente umile, come solo i grandi sanno essere. Ma gli artisti non muoiono mai, amico mio: il loro ricordo e le loro opere restano per sempre. Non è una frase retorica. E’ realtà. E a (piccola) dimostrazione che per quanti ti hanno conosciuto è impossibile dimenticarti, mi piace riportare qui di seguito brevi post e commenti trovati su Facebook (ogni tanto i social servono anche a veicolare concetti e sensazioni importanti), scritti da colleghi dello storico inserto del Corriere della Sera. “Un grandissimo artigiano del disegno, l’artista di innumerevoli copertine di Cucciolo e di Tiramolla. ci ha lasciato. Ho avuto l’onore di lavorare con lui alla nascita del “Corriere Salute”, di cui ha realizzato negli anni una galleria di memorabili cover. E la caricatura che mi fece spicca ancora incorniciata a casa mia. Ciao, Attor! Fai vedere lassù come si disegna davvero!” (Edoardo Rosati) “Mi dispiace per il nostro amico Attilio. Anch’io ho un paio di sue caricature. Come sai stavamo nella stessa stanza, e non potevo sfuggire. Molto bravo e molto perbene, un vero artista”. (Guido Tanganelli).


Sfido chiunque di noi a non aver pensato almeno una volta al proprio funerale e ad ipotizzare che cosa diranno di noi gli amici, i colleghi, i conoscenti … Per Attor è stato un coro all’unisono di apprezzamenti sinceri per la persona & l’artista che era. Che è. A proposito di funerale, io non ce l’ho fatta a partecipare. Katya mi aveva informato del suo grave lutto la mattina stessa e io mi ripromettevo di non mancare. Perdonami, Attor, non ce l’ho fatta. Non ce l’ho proprio fatta. Ma so che in tanti hanno voluto esserci e ricordarti nella maniera più appropriata. Il mio senso di colpa per la defezione all’ultimo saluto ho cercato di stemperarlo pubblicando in copertina la fotografia di te e di Katya che mostrano la prima copia di Generazione Over60 (gli unici che si son dati la briga di stampare la testata online, e già questo la dice lunga sulla famiglia Ortolani). Da questo gesto, solo in apparenza semplice, emerge prepotentemente- ancora una volta- l’indole di Attilio: un artista umile che, pur nella malattia, si preoccupava degli altri per anteporli – immeritatamente- a lui. Se mi ero commossa quando lo scorso anno avevo ricevuto questa immagine, ora ciò che provo è indescrivibile. E ogni parola sarebbe fuori posto. Una promessa però ci tengo a mantenerla a me stessa. Non so quando né dove né come ma desidero organizzare una mostra con i tuoi disegni. E’ il minimo per un artista del tuo calibro.


Una mostra come quella che cinque anni fa, presso la Triennale di Milano, fu realizzata da Francesca Fadalti e Ombretta Nai per un altro amico e artista che, inspiegabilmente, non l’ebbe in vita: il nostro Luciano Francesconi (anche lui matita geniale del Corriere, oltre che amico personale da quando la sottoscritta era bambina). Da qui la decisione di inserire in questo numero una rubrica dedicata per qualcuno che ci ha lasciato il segno. Per Luciano ho riportato la mia lettera aperta a lui (del 2011), esposta in occasione della mostra del 2014 e riportata anche sul catalogo della Triennale, più il toccante e sincero ricordo della nostra Francesca Fadalti. E poi c’è Antonio Giuseppe Malafarina a rammentare l’amico e collega Franco Bomprezzi; Andrea Tomasini che ci insegna com’è possibile parlare del padre che si è tanto amato in modo vero, diretto e mai stucchevole (una grande lezione di sensibilità e, anche, di giornalismo); e altri ancora … c Intanto perché noi della GenerazioneOver60 sappiamo essere diversi nel trattare anche i temi più scomodi per via del DNA e per tanti altri motivi che più volte abbiamo spiegato. E soprattutto perché chi abbiamo amato ed è stato importante non muore. Non può morire mai. In primis gli artisti come Attilio Ortolani. Ciao, amico nostro!


Fare (del) beneper vivere bene. Mantenersi curiosi e creativi, sfruttare i progressi della tecnologia, ma anche rendersi utili agli altri: ecco solo alcuni ingredienti della nostra ricetta per vivere meglio. Ne parleremo l’11 dicembre, ospiti di CBM Italia Onlus, in occasione dell’incontro organizzato per festeggiare il primo compleanno di Generazione Over 60, assieme a numerosi ospiti importanti che parteciperanno. Un traguardo importante che la nostra Redazione vuole condividere con voi. Vietato mancare!



AT THE DESK

DOTTOR MARCO ROSSI sessuologo e psichiatra

è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA andrologo e chirurgo

è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo.

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO dermatologo plastico

presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of Plastic - Regenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA medico veterinario

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI

giornalista scientifico giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze- carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.


ENZO PRIMERANO medico rianimatore

over 60 del 1958. Rianimatore in cardiochirurgia, Anestesista e Terapista del dolore, è amministratore del portale di divulgazione www.dolorecronico. org. Si occupa di bioetica e comunicazione nelle cure intensive. Appassionato di musica, satira, costume e sport motoristici. Il suo motto è “Il cuore è il motore e la mente il suo fedele servitore”.

ANTONIO GIUSEPPE MALAFARINA giornalista

nato a Milano nel 1970,giornalista e blogger. Si occupa dei temi della disabilità, anche partecipando a differenti progetti a favore delle persone disabili. Presidente onorario della fondazione Mantovani Castorina. Coltiva l’hobby dello scrivere in versi, raccolti nella sua pubblicazione “POESIA”.

PAOLA EMILIA CICERONE giornalista scientifica

classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

FRANCESCA FADALTI direttore creativo

laurea in Architettura, mentre passa da cantieri e negozi a cui ha dato il suo inconfondibile stile, si evolve nell’editoria con Millionaire, la Guida Io e il mio bambino e molteplici interventi di design di pubblicazioni tra cui ultima nata Style Glamping e, finalmente, Generazione Over 60!

MICHELA ROMANO

nata a Como nel ‘73, una laurea in Comunicazione e poi via verso il mondo. Esteta di natura, con una grande attrazione verso il bello in tutte le forme. Ama costruire relazioni d’affetto, d’affari, di cuore e di stile. Osservatrice ossessiva ed un po’ Sibilla nel leggere le tendenze ed interpretarle. Il colore viola e’ la sua passione.

MARGHERITA MOTTANA Illustratrice

nata nel ‘92 è una ragazza creativa e pronta al sorriso. Ha sempre disegnato e ora è illustratrice professionista che fa sede a Milano. Adora parlare di attualità, libri e ovviamente... illustrazioni... e nella sua borsa non mancano mai i colori.

MONICA SANSONE video maker

operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.


C O N T E N U T I

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BANALITÀ: PAROLA SCONOSCIUTA PER IL MIO AMICO FRANCESCONI MinnieLuongo #Non ci dimentichiamo

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MARIO LUIGI Andrea Tomasini #Non ci dimentichiamo

RICORDANDO FRANCESCONI Francesca Fadalti #Non ci dimentichiamo

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ADDIO A MARIA PEREGO LA CREATRICE DI TOPO GIGIO Paola Emilia Cicerone #Non ci dimentichiamo

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FRANCO BOMPREZZI UNA LUCE PER SEMPRE Antonio Giuseppe Malafarina #Non ci dimentichiamo

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A BERLINO PER RICORDARE LE VITTIME DELLA STRISCIA DELLA MORTE Francesca Fadalti #”In movimento”


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DALLA TRADIZIONE UNA TORTA PER I GIORNI DEI MORTI Michela Romano #Intervista con ricetta

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CI MANCANO GLI IDENTICI DIVERSI Enzo Primerano #Salute

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FERMIAMO LA CECITÀ #Volontariato & Associazioni

CBM ITALIA ONLUS #Volontariato & Associazioni

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CATARATTA. VISITE SPECIALISTICHE SU AMAZON Michela Romano #Salute

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FARE TESTAMENTO ALLUNGA LA VITA Francesca Fadalti #Il personaggio

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CAMMINARE È LO SPORT IDEALE PER GLI OVER Francesca Fadalti #Da leggere (o rileggere)


MINNIE LUONGO

giornalista scientifica

Banalita’ : parola sconosciuta per il mio amico Francesconi

Minnie Luongo alla Mostra di Luciano Francesconi alla Triennale di Milano


#non

ci dimentichiamo

Caro Luciano, avevo 12 anni (12 e mezzo, rettificavi tu, ogni volta) quando ti conobbi. Eravamo al Bagutta, ristorante dove mia madre (la tua migliore amica) si riuniva periodicamente con altri artisti. Lei faceva la cantante lirica, ed io (che vivevo con mio padre) la vedevo una sola volta la settimana per ritrovarmi, immancabilmente, a seguire discussioni più che dotte, ma per me quasi incomprensibili, fra personaggi che sapevo molto famosi. Ma che io, lo sai, non potevo sopportare, soprattutto perché venivo ignorata da tutti loro. Tutti, eccetto te che – mentre mi ritraevi a matita, seduti accanto a tavola (tanto tu non mangiavi, o quasi …), in apparenza non partecipe alle conversazioni altrui, improvvisamente un giorno alzasti la voce per “difendermi” da qualche improbabile accusa di mia mamma. Ed io trovai un alleato, il “mio” alleato per sempre. Da allora non ci siamo mai persi se non per una manciata di anni, dopo la prematura scomparsa di mia madre. Un pomeriggio ci incontrammo per caso e tu mi chiedesti se continuavo a scrivere. “Macché – risposi –: ci ho rinunciato. Non riesco a camparci e poi è ormai troppo tardi. Sono tornata al mio lavoro di insegnante”. “Ma dai, non è mai troppo tardi – mi sorridesti –: guai a te se molli”. In breve: dopo qualche giorno eravamo ancora seduti al Bagutta – questa volta solo tu ed io – e scorrendo i miei ultimi pezzi pubblicati su giornali vari, concludesti che mi ero arrugginita, ma che dovevo ricominciare. Mi misi d’impegno e, dopo un paio di mesi di tentativi, ti chiamai e ti lessi un articolo sulla medicina scolastica: tu mi afferrasti per il braccio e, nonostante le mie proteste, mi trascinasti al Corsera dove lessi il pezzo - ancora scritto a mano – all’ora caporedattore della Cronaca di Milano. Passarono tre giorni – era il 12 settembre 1986, come dimenticarlo? – e vidi per intero il mio pezzo, con tanto di firma, sul Corriere. Rimasi fuori casa tutto il giorno (non c’erano ancora i cellulari), come ubriaca di felicità e di incredulità.



Al ritorno all’ora di cena, non feci in tempo ad aprire la porta che sentii il telefono. “Ma dove diavolo ti sei cacciata? E’ da questa mattina che ti cerco. Sapevo da ieri sera che sarebbe uscito, ma siccome può sempre scoppiare la terza guerra mondiale e non si può essere sicuri degli articoli finché non si va in stampa, ho aspettato oggi, anche perché ricordo la mia prima volta “importante”, e so come si sta male se non esce il pezzo. Andiamo a festeggiare, sbrigati! No, non domani: domani i fruttivendoli ci incartano le patate con i quotidiani. Sarà troppo tardi”. Ecco: questo era Luciano Francesconi, l’amico che sapeva tutto di carta stampata. Ma che, soprattutto, era dotato di sensibilità ineguagliabile. Da allora mi seguisti nel mio lavoro di giornalista e in tutto il resto. Surreale, atipico, geniale e sempre vicino. Ad ogni mio compleanno eri il primo a farmi gli auguri: non ne hai mai mancato nessuno... E solo una settimana fa io ti scrissi un sms con gli auguri per il tuo di compleanno: stranamente non mi rispondesti. Me l’hai fatta ancora una volta, mio caro insostituibile Luciano: quando ci salutavamo ed io ti chiedevo quando ci saremmo rivisti, tu mi rispondevi immancabilmente: un jour de la vie… Ebbene, oggi ho rilettto il mio ultimo messaggino d’auguri, che concludevo con “sperando sempre di vederti un jour de la vie”. E adesso?... Adesso io ti aspetto come sempre, perché OGNI jour de la vie tu ci sei. Per me e per tutti coloro che al nostro giornale ti hanno amato e continueranno a farlo.


FRANCESCA FADALTI

Ricordando Francesconi

Luciano Francesconi al mio matrimonio. Quando gli è stato chiesto da Ombretta (mia testimone e ultima a destra nella foto) di fare un discorso benaugurale lui esclamo: “Sarò breve!” e si tolse la giacca.


#non

ci dimentichiamo

Io e la mia inseparabile amica Ombretta eravamo sedute al Bar Jamaica, appena fuori dall’Accademia di Brera, ed aspettavamo, ogni giorno, l’arrivo dei giornalisti del Corriere della Sera che venivano a mangiare per la pausa pranzo. Tra di loro c’era Luciano Francesconi che avevamo sapientemente adescato con la scusa di farci un disegno; lui lo realizzò con la sua stilografica sui nostri jeans... così fu amore a prima vista o, meglio, a primo disegno. Quei pantaloni, a cui avevo imposto il divieto di lavaggio e che rimasero intoccati per molto tempo, diventarono simbolo di un’amicizia profonda. Ombretta, la vera artista tra noi due, ricambiò con una cravatta dipinta che Luciano sfoggiò in più occasioni ufficiali tra cui il Premio Bagutta. Luciano, per me, è sempre stato un giornalista cronista che aveva scelto la matita e gli acquerelli per raccontarci, in modo preciso e mai violento, i difetti, le manie e le assurdità di noi umani. Il nostro incontro giornaliero iniziava con un rito: lui che tirava fuori dalla tasca della giacca l’ultimo suo disegno che noi potevamo ammirare prima che fosse pubblicato sul Corriere della Sera l’indomani. Avevamo così il privilegio di conoscere le notizie in anteprima e sentire il racconto, porto con l’entusiasmo paragonabile a quello di un bambino il giorno di Natale, di come era nata l’idea per una perfetta vignetta. Era un artista consapevole della sua bravura, un intellettuale raffinato e un cuoco mancato. Con lui sono cresciuta dai 20 anni in poi ed è stato testimone di tantissimi momenti importanti della mia vita; mi ha regalato il senso di rispetto per tutti, il coraggio d’espressione, la necessità d’informazione e di studio. E la forza di credere in me. 33 anni di differenza che ci hanno solo avvicinato per la voglia di scambiarci i nostri mondi e le nostre passioni. Un uomo Grande che mi chiamava “bimba” anche se gli anni erano passati e avevo compiuto 44 anni, un uomo che mi manca e che amerò per sempre.


ANTONIO GIUSEPPE MALAFARINA

giornalista

Franco Bomprezzi una luce per sempre Franco Bomprezzi e Antonio Giuseppe Malafarina

Esistono varie branche del giornalismo. Quella della disabilità non è considerata una di esse. Non è considerata affatto. Varie ragioni, non stiamo a spiegarle qui. Se tutto va bene è contemplato il giornalismo del sociale e se da noi esiste un giornalismo del sociale lo dobbiamo al nostro direttore Minnie Luongo. A lei e a Franco Bomprezzi, massimo giornalista della disabilità nel nostro paese. Un giornalista con le ruote, benché stiamo parlando di un giornalista oltre le ruote. Una penna, come si dice. Uno che non ha mai nascosto la propria disabilità, compagna di vita dalla nascita sotto forma di osteogenesi imperfetta, cioè la malattia delle ossa fragili, quella per cui devi fare attenzione a come ti muovi che come fai ti rompi. Mi pregio, e non lo nascondo, di avere avuto lui fra i miei maestri. Non per vanto, ma è come dire che si è cresciuti alla scuola di Montanelli, ossia del più celebre, e capace, della materia. E lo dico per dare la misura di maestro Franco. Ha scritto libri, è stato nominato cavaliere della Repubblica,


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ci dimentichiamo

ha ricevuto l’Ambrogino d’oro e il suo nome è indicato nel famedio del cimitero Monumentale di Milano, dacché l’amico Franco ci ha lasciati nel 2014. È stato un fuoriclasse. Si leggeva bene e parlava chiaro. Ha iniziato a scrivere in un tempo in cui le persone con disabilità neppure trovavano un lavoro, peggio di adesso, altro che giornalisti. Lui lavorava non come un giornalista della disabilità ma come un giornalista qualunque, cioè uno che si occupa anche di altro che non di disabilità. Era giornalista nell’animo. Era giornalista dentro, come i professionisti assoluti. Mischiava esperienze personali e disinvoltura nella conoscenza delle leggi e dei fatti della disabilità con una scioltezza incredibile. Sarebbe banale dire che non era mai banale. Quando usava l’ironia e quando l’invettiva. Ci restano i suoi libri. I suoi articoli. Qualche video. Si era impegnato anche in politica, candidandosi più volte alle amministrative. In una di queste occasioni l’avevo lungamente intervistato. Veniva spesso invitato nelle trasmissioni assieme a Matilde Leonardi, altro personaggio della disabilità da conoscere, che si schierava sul fronte opposto: difendendo i diritti delle persone con disabilità, che non hanno più diritti ma modalità differenti per ottenere il rispetto di quelli di tutti. Non litigavano, dibattevano come i politici di rango. Un’eccezione ai giorni nostri. Nessuno dei due vinse, ai tempi la disabilità non vinceva mai. Diceva lui che la disabilità non è mai di moda, oggi lo sta diventando. Ma non si sbagliava, i mostri sacri non sbagliano neppure quando sbagliano: fino a qualche anno fa la disabilità veramente non era di moda. Storico il suo ruolo nell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare ed emblematico quello di responsabile della comunicazione di Telethon. Bella la sua penetrante provocazione con Valeria Golino. Abbiamo lavorato molto insieme, spesso anche con Minnie. E io e lei dobbiamo a lui il nostro incontro. Lei aveva bisogno di una persona con disabilità da portare in televisione come ospite e si era rivolta a lui, agli inizi del millennio. Lui le fece il mio nome e così è nato il nostro sodalizio. Poco dopo abbiamo scoperto che abitavamo a 500 metri di casa l’un l’altra. Potere di Franco. Il numero uno. Il migliore dei giornalisti di un campo che non esiste. Ciao Franco, maestro, collega, amico. Una luce per sempre.


ANDREA TOMASINI

giornalista scientifico

Mario Luigi *

Foto di Sasin Tipchai da Pixabay

Mario Luigi è nato il 6 ottobre. Gli occhi. Le mani grandi. Il pollice senza una falange. I capelli – che ti crescevano dritti e che poi alla fine invece ti cadevano a ciuffi. La risata – quella vera, autentica, piena: la risata, insomma. Certo, anche il sorriso. Lo sguardo concentrato. Il fatto che scrivevi su dei blocchi a quadretti con la matita – spesso con quella a mine. Il coraggio. L’etica. L’assenza di moralismo. Il tormento di credere. Il tormento dei dubbi. La curiosità. Il gusto per le cose buone. Il modo con cui portavi alla bocca il cibo. Il teatro. L’entusiasmo per il vino. L’attenzione per l’olio. I tartufi. Il maiale. Il prosciutto tagliato a mano. Il saluto scout. Il più forte è tale perché protegge il debole. Chi è il più debole va accolto. I boschi. Caravaggio.


#non

ci dimentichiamo

I profumi. I sapori. Le more. I tabbi. Gli asparagi. Monteluco. Macchia. Spoleto. Bottega. A pesca insieme, anche se non ti piaceva. La cicoria. Il pane buono. Il pontificale a ferragosto. Le cotolette d’agnello panate e fritte. Il lesso. Le tue opinioni. La sollecitazione ad avere le mie – che se erano diverse dalle tue sembrava ne fossi contento. Lo scrupolo. L’approfondimento. La scienza. Santa Maria del Popolo a Roma. La documentazione. I principi. Le deroghe. Gli uomini e le donne. Il serpullo. Le uova al pomodoro. La bellezza. I sanguinosi. La pasta al forno. Il tornare tardi dal lavoro. Le chiacchiere con mamma –sempre, semisdraiati sul letto. Il naso umbro. La volontà. L’amore che cresce. Le cose non dette. Le cose non dette che però le sappiamo. Io che ti ho preso in braccio. Tu che davi coraggio. Tu che soffrivi per il dolore nel mondo. Piazza Navona. I libri. La lettura. L’eleganza. Le tue cravatte. I giornali. L’informazione. In nome della rosa. Jack London. Emilio Salgari. Cino e Franco. Nicolas Poussin. La BUR degli anni 50. La doccia l’estate. L’apprendistato. “Sembri il cane di un signore”. I minestroni profumati. Le erbe selvatiche. Il giardino. La casa. Le cose antiche. I mercatini. Fionchi. La valnerina. Le competenze. Il mal di schiena. La fiducia. La crescionda e l’attorta. La stima. Le domande per sapere. La pazienza e l’ascolto. L’ultimo pranzo che te l’ho detto come era bello rendersene conto quel giorno, quell’ora che stavamo a tavola tutti insieme come tante e tante volte era già successo – ma quel giorno come era bello che c’eravamo insieme tutti e ce ne rendevamo conto. L’apertura al mondo, che mi hai dato. Ti avevo fatto il sugo con i funghi. Quella sera ero andato via da poco, che ci voleva stare mamma. Ho portato io il vestito: camicia bianca, gessato grigio, cravatta blu. L’ultimo 6 ottobre insieme eravamo in ospedale. Il vuoto che hai lasciato. Troppo presto, sai. Il 29, e sono 29 anni. Alcune cose che son venute dopo ti sarebbero piaciute (Ah! Emi e Iaia sono scout). Tu lo sai chi sono io. Ciao. *Mario Luigi era mio padre


PAOLA EMILIA CICERONE

giornalista scientifica

Addio a Maria Perego la creatrice di Topo Gigio

Per la mia generazione Maria Perego è Topo Gigio, e quindi per definizione è immortale. Inevitabile, alla notizia della sua scomparsa, sentire una vocina sottile che sussurra “ma che mi dici mai….” Eppure, a novantacinque anni c’era da aspettarselo. Meno scontato il fatto che la morte l’abbia trovata, come piacerebbe a molti, impegnata a sviluppare nuovi progetti: stava lavorando a una serie di cartoni animati di Topo Gigio per Rai Yoyo, attesa per il prossimo anno. E dietro l’aspetto fragile, Maria Perego nascondeva una notevole grinta e uno spirito imprenditoriale. La sua è stata una vita da innovatrice: veneziana trapiantata a Milano, assieme al marito Federico Caldura ha creato Topo Gigio usando una nuova tecnica e un materiale innovativo, il moltoprene, una soffice schiuma di poliestere che permetteva di creare pupazzi dalle linee morbide, più duttili e maneggevoli delle classiche marionette con cui già lavorava. Come ha raccontato lei stessa in un garbato memoir, Io e Topo Gigio. Vita artistica e privata di una donna straordinaria (Marsilio 2015, 288 pagine),


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ci dimentichiamo

e di nuovo poche settimane fa in un’ intervista per il programma Rai Le ragazze Ispirato a Topolino ma dotato di una personalità autonoma, Topo Gigio non ha rappresentato la sua unica creazione, ma certo la più famosa: la sua prima apparizione con la voce di Domenico Modugno è stata nel 1959, nella trasmissione Rai “Alta Fedeltà” - il che ci consente di arruolarlo di diritto nella Generazione Over 60 - ma Topo Gigio ha debuttato ufficialmente due anni più tardi in un programma per bambini, e da allora non si è più fermato. Ripercorriamo la sua galleria di successi: fu il primo pupazzo animato ad apparire in Carosello, come testimonial dei biscotti Pavesini ed è stato presenza costante allo Zecchino d’Oro e a varie edizioni di Canzonissima, di cui nel 1974 è stato anche presentatore con Raffaella Carrà e Cochi e Renato. Senza contare i gadget, i cartoni animati e i fotoromanzi che l’hanno visto protagonista, le strisce sul Corriere dei Piccoli e decine di tournée internazionali dagli Stati Uniti – dove ha partecipato all’Ed Sullivan Show - al Giappone. A conquistare il pubblico è stata forse la sua immagine dolce e ingenua: Topo Gigio, come ha sintetizzato la sua creatrice, è “il ritratto del candore, della fiducia in un mondo flagellato dai pericoli e dalle paure”. E assieme a lei ci riporta a una televisione che associava un’altissima professionalità al garbo, alla buona educazione e ai toni calmi. Con forse qualche eccesso di prudenza, che di fronte a certi show urlati di oggi ci pare un peccato veniale. Inossidabile alle mode, Maria Perego è riuscita a gestire il successo del timido topolino, proponendolo sia alla Rai che a Mediaset, e si è imposta anche come scrittrice e autrice di canzoni. Un esempio? Strapazzami di coccole, scritta negli anni ’70 ma rilanciata vent’anni più tardi dalla trasmissione Non è la Rai, e tuttora molto popolare. Anche la sua pagina Facebook, d’altronde, ha oggi quasi cinque milioni di contatti. Non resta quindi che salutarla con gratitudine (confidiamo che Fred Bongusto non ce ne vorrà se abbiamo dedicato la rubrica a Maria Perego chiedendogli, come certamente avrebbe fatto, di cedere il posto a una signora). Quanto a Topo Gigio, contiamo di rivederlo presto in televisione per divertire i bambini. E non solo loro....


FRANCESCA FADALTI

A Berlino per ricordare le vittime della Striscia della morte

Foto di Peter Dargatz da Pixabay


#in

movimento

Il 9 novembre di 30 anni fa fu ridisegnata l’Europa intera riunificando, dopo 28 anni, la Germania. Berlino Est e Berlino Ovest non erano più divise dal Muro simbolo della “cortina di ferro” che sanciva una netta opposizione ideologica, politica ed economica tra mondo occidentale e mondo sovietico. Così, sotto i colpi di una rivoluzione pacifista, un portavoce del governo di Berlino Est annunciò che sarebbero stati disposti dei cambiamenti nella politica dei viaggi all’estero: questa dichiarazione “virale” (anche se allora non si usava questo termine nell’accezione odierna) fu accolta come l’imminente abbattimento del Muro. Un malinteso che portò migliaia di cittadini, tanto di Berlino Est quanto di Berlino Ovest, davanti al Berliner Mauer in un’attesa trepidante. Dopo diverse ore di grande confusione, in cui le guardie chiedevano precisi ordini di come dovevano comportarsi, qualcuno (la cui identità resta tutt’oggi ignota) diede l’ordine di aprire le frontiere e il mondo scoppiò di gioia. Ma perché è nato il Muro e com’era? Durante la Guerra Fredda tra il 1949 e il 1961, ben 2 milioni e mezzo di tedeschi dell’Est riuscirono a passare ad Ovest. L’emigrazione (o meglio la fuga) dei lavoratori di Berlino Est divenne un problema importante per la DDR (Deutsche Demokratische Republik – Repubblica Democratica Tedesca). Famosa e passata alla storia è stata la frase dell’allora presidente Walter Ulbricht che, durante una conferenza stampa tenutasi il 15 giugno 1961, quando una giornalista gli domandò come intendesse fermare tale perdita di forza lavoro, in quanto circolavano delle voci riguardanti la realizzazione di una barriera fisica tra le due Berlino, così rispose: «Niemand hat die Absicht, eine Mauer zu errichten» (”Nessuno ha intenzione di costruire un muro”). Ma la notte tra il 12 e 13 agosto 1961 la DDR mise fine a questo vasto flusso tra i due settori della città.


Si passò dal solo filo spinato ad elementi prefabbricati in pietra e cemento che, per ben 155 chilometri, delimitavano le due zone. Amici, parenti ed intere famiglie si trovarono improvvisamente separate con la quasi totale impossibilità di ritrovarsi. L’unico punto di passaggio era il Check Point Charlie, tuttora visitabile e passato alla storia perché protagonista di storie di spionaggio, raccontate in molti film. Nel 1962, per impedire e dissuadere qualunque idea di fuga, un secondo muro parallelo al precedente e disposto all’interno della frontiera venne costruito. Tra le due edificazioni era stata creata la “striscia della morte”. Questo lembo di terra, costituito da qualche decina di metri, è stato teatro della morte di centinaia di persone che i militari di frontiera della DDR hanno colpito, rendendo vani quasi tutti i tentativi di superamento del muro. A metà degli anni Sessanta anche l’architettura e l’urbanistica della città furono modificate e vennero demoliti degli edifici per fare spazio ad una striscia di confine uniforme che avrebbe fornito ai soldati una “visuale libera e un campo di tiro libero”. In un crescendo di potere le fortificazioni di confine venivano costantemente sviluppate e migliorate fino ad arrivare agli anni Ottanta, quando si realizzarono piste per cani, barriere anti carri armati e un tappeto di punte d’acciaio posizionato ai piedi del Muro con le estremità appuntite rivolte verso l’alto. Ufficialmente venivano definiti “ostacoli di superficie”, ma le guardie di frontiera lo chiamavano “letto di asparagi” e in occidente era noto come “prato di Stalin”.


Berlin Wall Memorial

Con la caduta della Germania dell’Est nel 1989, cadde anche il Muro di Berlino che il SED, il Partito Comunista al potere nella Germania orientale, aveva, per così tanto tempo, utilizzato per rimarcare il suo potere e la sua sovranità al resto del mondo. La caduta del muro segnò la fine definitiva della sua dittatura. Noi siamo andati a Berlino e abbiamo visitato i luoghi simbolo della divisione e della morte. Sono tutti lì, frammenti disseminati per la città, pronti a raccontarci ciò che è stato e come da un passato così pesante di strage quale l’Olocausto, dopo pochi anni, gli uomini possano aver avuto la “capacità” di scordare tutto e riproporre l’uccisione di persone innocenti per autocelebrarsi. Mentre percorrevamo la striscia più lunga di Muro, 1,3 km, ancora rimasta in piedi e fiancheggiante il fiume Sprea, nel quartiere di Friedrichshain, ad est del centro urbano ed ora ricoperta totalmente da murales e conosciuta come la East Side Gallery, ci siamo fermati in una porzione ancora dipinta di bianco. Il ricordo è andato immediatamente alle vittime perché il Muro, oltre ad essere illuminato da una fila di lampade, aveva la superficie volutamente imbiancata di colore chiaro per far risaltare maggiormente i fuggitivi al buio... in poche parole questi diventavano un bersaglio “facile”. La East Side Gallery è stata dichiarato monumento nazionale nel 1992. Le innumerevoli iniziative per festeggiare quest’anniversario, non solo a Berlino, e l’afflusso di persone che hanno partecipato direttamente o indirettamente agli eventi, nonostante tutto ci mostrano quanto è grande la nostra voglia di pace, convivenza ed integrazione.


MICHELA ROMANO

Dalla tradizione una torta per i “giorni dei morti”


#intervista

con ricetta

“I giorni dei morti” in Italia rappresentano un momento dell’anno carico di tradizioni ed usanze locali, raccontate e ripetute, perpetuate, nello stesso periodo da nonni, genitori e zii (anche se negli ultimi anni la festa celtica di Halloween sta purtroppo soppiantando gli usi propri del nostro Paese). Le narrazioni delle tradizioni si accompagnano talvolta alla realizzazione di vere e proprie specialità, ma possono riassumersi anche nella semplice cottura di caldarroste. Infatti, talvolta una sola percezione olfattiva, del profumo di cibo noto, può raccontare il calore di giorni che vorrebbero tutte le famiglie riunite, nelle case, in pace a commemorare chi non c’è più. Tra l’altro questi giorni coincidono con l’inizio dell’autunno, con la ricerca di tepore tra le mura di casa, rispetto ad un primo freddo, avvertito forse in modo amplificato quando si è all’inizio della stagione. Per chi ama l’autunno questi giorni sono anche l’occasione per fare qualche gita fuori porta e per ammirare i colori dell’autunno che rivestono i paesaggi. Un luogo molto pittoresco da vivere e visitare è il territorio collinare delle Langhe, del Roero e del Monferrato, ricco di tradizione dei trascorsi contadini e vitivinicoli. In realtà, l’esperienza di queste terre mi capita di viverla anche più volte l’anno, ma i miei giorni preferiti per apprezzare ancora di più tali luoghi son proprio questi. Specialmente se si è invitati a casa di qualcuno: per lo più case di amici, i quali ci preparano pantagruelici pranzi con specialità ogni volta diverse e, dopo tanti anni, poter scoprire ancora qualcosa di nuovo mi sorprende e mi riempie di emozioni. Recentemente ho avuto il privilegio di essere invitata a cena da Lucetta e Giovanni, una coppia over 70, lei langarola e lui monferrino. Dopo varie portate tra carne cruda albeisa, tajarin, civet è arrivata in tavola una torta che Giovanni dice sia della tradizione della sua famiglia e si mangiava nel periodo dei morti. Non a caso la torta è definita Torta Monferrina o Torta nera, o anche… Torta Brutta. L’ingrediente principale è la zucca che si mescola ad amaretti e cacao. Una vera coccola morbida che si chiama torta, ma forse è più vicina ad un budino.


Ricetta/ Recipe di Michela Romano All Photos: Š Michela Romano


E’ Giovanni a raccontare come eseguire la ricetta che potrebbe anche avere delle varianti con le mele, le castagne ed altra frutta, secca o essiccata. Ma la ricetta della sua mamma era proprio con la zucca e per questo prima di salutarmi lui ha voluto scrivermela su un foglio, proprio come si faceva una volta consultando il “quaderno delle ricette” che ogni famiglia custodiva gelosamente tra i segreti della casa e riscopriva in occasione di serate con ospiti cari.

ingredienti: 300 gr di zucca violina 3 cucchiai di zucchero 15 grammi di cacao amaro in polvere 2 uova 3 cucchiai di latte 3 cucchiaio di liquore Preparazione Tagliare a cubotti la zucca e metterla a cuocere in forno a microonde per 10 minuto a 750 W. Porre la zucca cotta in un tegame antiaderente, sul gas, a fuoco lento, sfumando con 3 cucchiai di liquore; aggiungere lo zucchero. Continuare a mescolare per pochi minuti. Togliere dal fuco, inserire nel mixer ed azionare il robot per ridurre la zucca a poltiglia. Aggiungere gli amaretti e tritare di nuovo per pochi secondi, inserire il latte, le uova ed infine il cacao. Azionare per 20 secondi a velocità media. Trasferire il composto in una teglia imburrata e poi rivestita con il pan grattato. Cuocere in forno per 35 minuti a 180 ° e poi ridurre a 150° per altri 20 minuti. La torta deve essere servita a temperatura ambiente.


ENZO PRIMERANO

Medico Rianimatore

Ci mancano gli identici diversi


#salute

Quella sera Pattie era affascinante.

Indossava un abito da sera scuro che

mostrava tutte le sue esili curve. Si stava preparando per la festa di compleanno del suo carissimo amico nonché ex marito George e non voleva assolutamente sfigurare tra i tanti invitati che ci sarebbero stati in quell’occasione. Aveva una marcia in più Pattie ad indossare abiti eleganti, abituata com’era alle sfilate di moda, e quando Eric la vide scendere per le scale nella sua semplice eleganza sussurrando qualcosa prese la chitarra e cominciò a suonare canticchiando “ Oh my darling you are wonderful tonight”. Naturalmente non stiamo parlando di normali giovanotti degli anni 70, ma di Eric Clapton e della sua compagna Pattie Boyd ex moglie del suo carissimo amico George Harrison. https://www.youtube.com/watch?v=vUSzL2leaFM La grande amicizia tra Eric e George non era mai stata messa in discussione. Dai loro arrangiamenti era nata “While My Guitar Gently Weeps” . Proprio questa canzone esterna il suo dispiacere per le potenzialità inespresse del mondo verso l’amore universale, al quale egli si riferisce con le parole: «The love there that’s sleeping». Quelli erano anni in cui sentimenti come amore, amicizia e tradimento erano così sfumati da confondersi e mescolarsi in un unico senso di non ben descrivibile affetto. https://www.youtube.com/watch?v=oDs2Bkq6UU4 Emozioni, sentimenti, cultura, abbigliamento e stili di vita erano improntati e indirizzati dalla creatività dei singoli e non dalla omologazione del gruppo. Capelli lunghi corti o a colori, e tutti con una gran voglia ed entusiasmo di cambiare il mondo. Già agli inizi degli anni 60 negli Stati Uniti si stava sviluppando il movimento giovanile Hippy (ribattezzato in Italia con l’espressione “Figli dei Fiori”), decisamente contrario alla civiltà dei consumi e alla cultura di massa, alla quale contrapponeva il ricupero dell’interiorità individuale, spesso perseguito con atteggiamenti anticonformisti. https://www.youtube.com/watch?v=kjxSCAalsBE


Furono anni di grande fermento culturale ed ideologico che, come una piccola crepa nel muro, si estese sempre di più fino a culminare alla fine degli anni 80 con la caduta di quel muro che divideva le due Berlino dentro la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e che avrebbe annientato definitivamente quel già moribondo gigante di sabbia sovietico nei paesi dell’Europa Orientale. Eravamo differenti nel rispetto sia della propria identità che con la consapevolezza di appartenenza. E mi ritornano in mente gli anni del liceo dove una serie di ragazzotti che arrivavano da luoghi, esperienze e ceti sociali diversi. Una classe piena di teste diverse: molti non sapevano nulla di politica, altri erano di destra, di sinistra, anarchici e conformisti, cattolici e atei, cantanti, poeti e sportivi. Interessi diversi e spesso in estremo contrasto ma tutti con la stessa voglia di libertà: jeans ed eskimo erano esigenze pratiche, non orpelli ideologici ed a fare i record nella pista di atletica ci andavi con le scarpette da tennis comprate al mercatino rionale. Mentre per le ragazze l’arrivo della minigonna rappresentò il simbolo della emancipazione femminile. Ma tutti affiatati ed in sintonia l’uno con l’altro e pronti a difendersi se veniva esercitata una prepotenza o angheria a qualcuno di noi. Ci univa l’età e la voglia di vivere e di cambiare il futuro e soprattutto di poter manifestare il nostro libero pensiero senza impedimenti. Ritroviamo, infatti, questo concetto nel dibattito culturale come nel dibattito politico: aspre le dispute, le controversie, contrastanti le idee ma (quasi) mai un briciolo di odio. Si pensava diversamente gli uni dagli altri ma con una ferma manifestazione di identità di gruppo. Allora ad un sorriso si rispondeva con un sorriso non con scherno, irrisione o sberleffo che alimentano odio su odio. Tutti diversi ma straordinariamente identici.


Oggi invece la necessità di globalizzazione e gli scambi economici ci hanno portato inesorabilmente ad un pericoloso livellamento culturale verso il basso e all’appiattimento dei costumi, dell’economia della moda con tutte le sue ripercussioni in qualunque campo della vita sociale: dall’identità individuale ai rapporti interpersonali, fino ad arrivare alla distorsione della percezione del singolo verso la moltitudine e delle masse verso il singolo Sempre premonitrici di pericolose derive autoritarie. Queste consonanze si potevano notare anche nel campo della salute. I grandi progressi della Medicina e della Tecnologia ci regalarono in quegli anni tanto “ star bene”, allontanandoci da una visione fatalistica della vita. Si era abbattuta la mortalità perinatale ed infantile con antibiotici e vaccinazioni e con il miglioramento delle conoscenze in campo ostetrico, pediatrico e rianimatorio. L’aspettativa di vita migliorata consentiva a larghe fasce di popolazione di potersi esprimere al meglio con il proprio bagaglio di esperienza ed originalità nel campo del lavoro o degli affetti ancora per tanti anni. Ma come spesso accade quando il mezzo diventa il fine, gli strumenti per curare (nella logica consumistica) divennero presto strumenti di mercato asserviti alle logiche del guadagno progressivo con grande confusione per i medici, i malati e la società. Tutti confusi e prigionieri di irragionevoli trappole cognitive che conducono a comportamenti che poco hanno a che vedere con la salute e la medicina. Ma quando la chiarezza e trasparenza vacilla il medico, oggi come ieri, sa supplire con quella carica di umanità ed empatia sul malato in modo da smorzare e risolvere le sue paure in una potente alleanza terapeutica. Queste riflessioni non vogliono assolutamente avere il sapore di nostalgia del tempo passato ma soltanto fornire, ahimè con l’esperienza dei capelli bianchi, delle pietre di paragone con cui confrontare il futuro prossimo per correggerne le anomalie.


FRANCESCA FADALTI

Fare testamento allunga la vita

Bernardino Casadei con il nipote


#il

personaggio

In Italia solo il 15% delle persone fa testamento, nonostante si tratti di uno strumento estremamente importante con cui stabilire che cosa dovrà avvenire del nostro patrimonio quando non ci saremo più. E’ un documento flessibile, dato che possiamo modificarlo in qualsiasi momento, e gestibile in totale autonomia. Inoltre, possiamo scriverlo da soli, anche l’affidarsi ad un professionista può essere utile per garantirsi il rispetto delle nostre volontà. Per parlarne abbiamo incontrato Bernardino Casadei, colui che ha introdotto l’intermediazione filantropica in Italia. Attualmente è responsabile sviluppo di Fondazione Italia per il dono e coordinatore del Master per promotori del dono. Papà e nonno instancabile che ha pensato come destinare il proprio patrimonio affinché possa continuare a sostenere nel tempo, anche quando non ci sarà più, le cause a lui care. Aiutando tutti noi a celebrare e conservare nel tempo la nostra memoria o quella di una persona cara, fornendoci strumenti capaci grazie anche a una Fondazione dedicata a gestire la nostra eredità. Come mai lei pensa che tutti dovrebbero fare testamento? “Attraverso questo strumento possiamo ridurre i conflitti fra i nostri eredi ed evitare che alcuni beni finiscano per essere inutilizzati. Pensi solo a quelle case o a quei terreni che a causa delle successioni senza testamento finiscono per avere tanti proprietari che non si mettono d’accordo su come utilizzarli. In più … fare testamento allunga la vita”.


In che senso? “ Perché è statisticamente provato che chi fa testamento vive più a lungo”. Ma come può essere possibile? “Naturalmente il testamento non ha alcun potere taumaturgico. La ragione di questo dato è che è molto difficile che chi muore giovane abbia fatto testamento. In realtà vi è un significato ben più profondo che rende vera questa affermazione”. Vale a dire? “Attraverso il testamento noi possiamo utilizzare i nostri beni per perpetuare la nostra memoria, i nostri valori, i nostri ideali … In ultima analisi, quella che un tempo si chiamava la nostra anima, mantenendo così in vita la parte migliore di noi stessi, anche quando non ci saremo più”. Concretamente? “Per esempio, attraverso il testamento solidale www.testamentosolidale.org si può destinare parte del proprio patrimonio ad un ente non profit che in qualche modo incarna i nostri valori e, così facendo, si permette a questi ultimi di continuare ad operare. Si tratta di una modalità molto semplice ed efficace, ma che certo non ci garantisce l’immortalità. Per questa è necessaria la costituzione di una Fondazione con cui conservare la memoria propria o di una persona cara per decenni, se non addirittura per secoli”.


Non credo che tutti si possano permettere una loro Fondazione. “In effetti, coi rendimenti attuali, per garantirne la sostenibilità, bisognerebbe dotarla di un patrimonio di almeno cinque se non dieci milioni di euro ed è per questo che le Fondazioni sono state per lungo tempo un’opportunità riservata non ai ricchi, ma ai ricchissimi. Oggi però ci sono nuove opportunità e anche una persona con mezzi modesti può godere di tutti i benefici di una Fondazione personale”. Attraverso quali modalità? “È ormai più di un secolo che, a partire dagli Stati Uniti, si sta diffondendo in tutto il mondo l’intermediazione filantropica. In praticaci si riferisce ad una Fondazione già esistente. in Italia, per esempio, le Fondazioni di comunità e in particolare Fondazione Italia per il dono www.perildono.it mette a disposizione la propria infrastruttura a chiunque voglia utilizzarla per perseguire i propri ideali ad un costo marginale. Ciò è possibile grazie alle grandi economie di scala che è possibile conseguire in questo modo sia in termini di riduzione dei costi che di aumento dei ricavi (per esempio, attraverso una maggiore diversificazione degli investimenti). Inoltre, gli intermediari filantropici sono strutturati per tutelare il donatore dai due principali pericoli in cui possono cadere le Fondazioni: da un lato quello di trasformarsi in sorte di “manomorte” (ecco perché sono numerose le Fondazioni che per le più diverse ragioni rimangono inattive, benché il patrimonio sia ancora presente); dall’altro quello di tradire la volontà originaria del fondatore per perseguire obiettivi che certo quest’ultimo non avrebbe approvato”.


C B M Italia Onlus

C B M Italia Onlus

Chi siamo CBM è la più grande organizzazione umanitaria internazionale impegnata nella cura e prevenzione della cecità e disabilità evitabile nei Paesi del Sud del mondo. CBM Italia Onlus fa parte di CBM, organizzazione attiva dal 1908 composta da 10 associazioni nazionali (Australia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Kenya, Nuova Zelanda, USA, Sud Africa e Svizzera) e che insieme sostengono progetti e interventi di tipo medico-sanitario, di sviluppo ed educativo. Dal 1989 CBM è partner dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella lotta contro la cecità prevenibile e la sordità. CBM opera nei Paesi nel Sud del mondo in sinergia con i partner locali in un’ottica di crescita e sviluppo locale. Lo scorso anno CBM ha raggiunto oltre 35 milioni di persone attraverso 530 progetti in 54 Paesi di tutto il mondo. CBM Italia ha sostenuto 64 progetti in 24 Paesi, raggiungendo oltre 2.6 milioni di beneficiari dei 35 milioni dell’intera federazione CBM.


#volontariato

& associazioni

Gli ambiti di intervento nei Paesi del Sud del mondo ► Salute della vista e formazione di medici (prevenzione della cecità, cura della vista, chirurgia, sostegno ed equipaggiamento di ospedali e centri oculistici, distribuzione di occhiali, cliniche mobili, formazione di medici e operatori, riabilitazione su base comunitaria). ► Salute fisica, mentale e uditiva (prevenzione, cure e chirurgie, sostegno ed equipaggiamento di ospedali e centri ortopedici, distribuzione di ausili, formazione di medici e operatori, riabilitazione su base comunitaria). ► Educazione (sostegno a scuole per allievi con e senza disabilità, programmi di educazione inclusiva e di avviamento al lavoro, formazione di insegnanti e operatori sull’educazione inclusiva). ► Emergenza (programmi di risposta alle emergenze umanitarie e ambientali inclusivi delle persone con disabilità, formazione degli operatori sul campo). ► Sviluppo inclusivo nelle comunità (promozione dei diritti e inclusione delle persone con disabilità, inserimento lavorativo, programmi di sicurezza alimentare per persone con disabilità, microcredito, attività generatrici di reddito). Le attività in Italia In Italia, CBM Italia Onlus è impegnata in numerose attività per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul proprio lavoro e sulle condizioni di vita delle persone con disabilità che vivono nei Paesi del Sud del mondo. Negli ultimi anni, CBM Italia Onlus ha rafforzato e ampliato il proprio impegno verso i bambini italiani e le loro famiglie attraverso il progetto didattico “Apriamo gli occhi!”, i laboratori sensoriali, il cartone animato “Le avventure di Cibì” e la collana editoriale CBM #logosedizioni, con cui sono stati pubblicati tre libri: “BLIND” di Lorenzo Mattotti, “Lucia” di Roger Olmos e “Anna dei Miracoli” di Ana Juan. A questi progetti si aggiunge la tournée del “Blind Date”, il concerto al buio ideato nel 2009 dal maestro Cesare Picco. Un evento unico al mondo, un viaggio sensoriale nel buio più assoluto che ben interpreta quello che CBM fa ogni giorno grazie all’aiuto di tanti sostenitori: ridare la luce della vista a milioni di persone cieche che vivono nei Paesi del Sud del mondo.


Dati cecità Ad agosto 2017, la rivista scientifica anglosassone Lancet ha pubblicato i risultati di un’analisi realizzata dal gruppo di esperti internazionali Vision Loss Expert Group (VLEG) condotta dal 1990 al 2015. Questi i risultati principali: ► 253 milioni le persone con disabilità visive, di cui:

► 36 milioni le persone cieche

► 217 milioni le persone con disturbi visivi gravi o moderati

► l’89% delle persone con disabilità visive vive nei Paesi del Sud del mondo ► Il 55% delle persone con problemi visivi sono donne. Delle 36 milioni di persone cieche nel mondo le cause principali sono: ► Cataratta (12.6 milioni) ► Errori refrattivi non corretti (7.4 milioni) ► Glaucoma (2.9 milioni). Tra le 217 milioni di persone i disturbi visivi gravi o moderati sono: ► Errori refrattivi non corretti (116.3 milioni) ► Cataratta (52.6 milioni) ► Degenerazione maculare (8.4 milioni) ► Glaucoma (4 milioni) ► Retinopatia diabetica (2.6 milioni) Gli errori refrattivi non corretti e la cataratta si confermano come cause prevenibili di cecità/ipovisione nel 77% dei casi.


#volontariato

& associazioni

Inoltre: ► Circa l’80% di tutti i deficit visivi potrebbero essere evitati o curati. ► 19 milioni di bambini con età inferiore ai 5 anni sono ipovedenti. Di questi 12 milioni sono ipovedenti a causa di errori refrattivi (miopia, astigmatismo, ipermetropia), una condizione che può essere facilmente diagnosticata e corretta. ► La principale causa di cecità rimane la cataratta, che si può risolvere con un intervento chirurgico efficace. ► 1 miliardo e 100 milioni di persone hanno presbiopia (non vedono bene da vicino): eppure bastano semplici occhiali da vista per correggerla. IL FUTURO – Anche se gli ultimi dati dicono che cecità e ipovisione sono globalmente diminuite, il numero delle persone cieche è destinato a triplicare entro il 2050 passando a 115 milioni per 3 motivi:

1. Crescita e invecchiamento della popolazione

2. Aumento della miopia

3. Picco della retinopatia diabetica

LE PREVISIONI ENTRO IL 2020 ► Il numero di persone cieche passerebbe da 36 milioni a 38.5 milioni. ► Il numero di persone con disturbi visivi gravi o moderati passerebbe da 217 a 237 milioni.


C B M Italia Onlus

“Fermiamo la cecità. Insieme è possibile”

www.cbmitalia.org


#volontariato

& associazioni

LA CAMPAGNA DI CBM ITALIA ONLUS Nei Paesi del Sud del mondo essere ciechi significa rischiare di morire, ogni giorno. “Fermiamo la cecità. Insieme è possibile” è la campagna annuale di raccolta fondi 2018/19 di CBM Italia Onlus che ha l’obiettivo di salvare dalla cecità 2.6 milioni di bambini, donne e uomini che vivono in 21 paesi di Africa, Asia e America Latina (Etiopia, Kenya, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Sud Sudan, Tanzania, Uganda, Zambia, Filippine, India, Nepal, Pakistan, Territori Palestinesi, Vietnam, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Honduras, Paraguay) attraverso 46 progetti di prevenzione e cura. Screening visivi nelle scuole e nei villaggi, visite oculistiche, operazioni chirurgiche, percorsi di riabilitazione, allestimento di cliniche mobili oftalmiche, distribuzione di antibiotici, costruzione di pozzi, attività di formazione professionale di medici e operatori e sensibilizzazione le attività previste dai progetti.

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FRANCESCA FADALTI

Camminare è lo sport ideale per gli Over


#da

leggere (o rileggere)

“... Perché abbiamo deciso di parlare proprio di camminata? Semplice: perché è uno sport economico, alla portata di tutti e non richiede attrezzature particolari .... Questa è una delle prime frasi che possiamo leggere nel libro di Laura Avalle - giornalista e divulgatrice scientifica - e Sara Cordara -biologa nutrizionista - “La dieta della camminata – Forma e benessere, passo dopo passo” edito da Tecniche nuove. Con questo libro possiamo apprendere come utilizzare la camminata per dimagrire, recuperare le energie e staccare la spina dal quotidiano. Tranquilli: non si parla di esercizi difficili che ci occupano metà giornata, di diete a pane e acqua, ma di come questa attività motoria abbinata a una corretta alimentazione possa dare ottimi risultati ed allungare anche la vita. Le autrici, passo dopo passo- è proprio il caso di dire - ci insegnano come camminare correttamente e a quale velocità, quali errori sono assolutamente da evitare, quale abbigliamento indossare, gli esercizi di preparazione o stretching per il dopo camminata e che cosa è meglio mangiare prima dell’attività. E questi sono solo alcuni esempi dei suggerimenti preziosi del volume.


Laura Avalle Sara Cordara

La dieta della camminata: un amore chiamato walking pag. 147

La dieta della camminata: Torta morbida al cioccolato pag. 134


Camminare velocemente stimola tutto il corpo. A prima vista mettere un passo davanti all’altro può apparirci banale ma solo perché camminiamo fin dal nostro primo anno di vita . .. Però, accelerando il passo, il nostro corpo attiva diversi meccanismi che aiutano a combattere anche il colesterolo, l’osteoporosi e l’ipertensione. Ed è ideale per noi Over perché ci dà una mano a mantenere elastici tendini ed articolazioni. La camminata non ha orari e luoghi dove non possa essere praticata e, cosa fondamentale e spesso sottovalutata, non può prescindere da una corretta respirazione. Nei capitoli dedicati alla dieta della camminata curati dalla nutrizionista Sara Cordara vengono affrontati vari aspetti, strategie e consigli per le diverse fasi della nostra vita. S’impara perfino a realizzare in casa un ottimo integratore energetico salino e, a noi Senior, sono dedicati specifici paragrafi dove, per esempio, scopriamo che la frutta secca è un prezioso alleato per “ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione legata all’età, oltre a poter essere capace di garantire una riduzione del rischio di tumore e a costituire un efficace supporto nei disturbi cognitivi.... Seguono le ricette, con invitanti ed efficaci fotografie, per realizzare piatti sani e gustosi. Adesso è ora d’iniziare, ma solo dopo- come ci suggeriscono le autrici-esserci prefissati degli obiettivi realistici e finalizzati a che cosa vogliamo ottenere in concreto. Ovvero, se la nostra camminata si pratica per mantenerci una buona salute o se, invece, come scopo si ha il dimagrimento per cui è necessario aumentare i tempi d’attività e preparare un piano di allenamento graduale, con costante crescita di intensità e frequenza. L’importante dell’andare a fondo delle nostre finalità serve per mettere in pratica in maniera ottimale uno strumento facile ed utile per prenderci cura di noi stessi e, anche, amarci di più. Insomma, anche i più accaniti amanti del divano non avranno più scuse da accampare dopo la lettura di questo libro, ma dovranno ammettere che la camminata veloce è uno sport efficace, piacevole, divertente. E socializzante.


MICHELA ROMANO

Cataratta. Visite specialistiche su Amazon


#salute

“Aiutiamoli ad aiutarci”, dicono dei nonni, i figli ed i nipoti rispetto ai quali devono dimostrare gratitudine per il tempo e le energie che dedicano loro, costantemente nel quotidiano. L’evoluzione della gratitudine per un dono ricevuto è ricambiare in vari modi. Una forma di riconoscimento dell’attività che proferiscono gli anziani di una famiglia è quella di prendersi cura della loro salute, promuovendo azioni per sostenerla e preservarla. E’ il senso profondo dell’iniziativa intrapresa da Neovision con la scelta innovativa di vendere su Amazon il pacchetto “Luce e colori”, una visita oculistica specifica per la diagnosi della cataratta. Secondo l’ultima rilevazione Istat, l’Italia si posiziona come il Paese dove si registra la più alta percentuale di anziani nel mondo, subito dopo il Giappone: 13,8 milioni di persone Over 65, che rappresentano il 22,8% della popolazione. E il trend è destinato ad aumentare: nel 2050 il numero di ultrasessantacinquenni sul totale della popolazione potrebbe crescere dal 9% al 14% rispetto al valore del 2018 (quasi 23%). Il progetto di Neovision ha come obiettivo quello di dare un supporto ai figli e ai nipoti delle persone Over 60, facilitando l’accesso a visite specialistiche ad elevata componente tecnologica, da effettuarsi presso uno dei Centri oftalmologici più all’avanguardia del capoluogo lombardo. “Volevamo facilitare le giovani famiglie a prendersi cura dei nonni e facilitare l’accesso a visite specialistiche ad un’ampia fetta di popolazione che per motivi diversi ha trascurato la propria salute visiva”- dichiara Julien Buratto, CEO di Neovision-. Ci rivolgiamo ad un target preciso: i figli che riconoscono nei propri genitori una importante risorsa nell’ambito dell’organizzazione familiare. I pensionati di oggi sono impiegati a tempo pieno come nonni per poter accudire i loro nipoti, ma hanno anche diritto a mantenere il proprio stile di vita nella più completa autonomia: per questo devono vedere bene”.



Per la prima volta al mondo Neovison ha inserito la vendita di visite mediche sulla piattaforma Amazon e per questo l’azienda ha vinto anche un prestigioso premio: “Practice Management Innovation Prize”, come miglior progetto innovativo. L’innovazione ancora una volta si pone al servizio del miglioramento dello stile di vita e della qualità della vita, e si rivela particolarmente interessante lo schema di comunicazione introdotto in questo caso, che crea dei beneficiari indiretti, gli anziani, di solito meno avvezzi all’acquisto online. NEOVISION CLINICHE OCULISTICHE Neovision è il primo network di cliniche oculistiche in Italia. È caratterizzato dalla presenza capillare di Centri oculistici dotati di tecnologie d’avanguardia e metodologie d’eccellenza, oggi indispensabili per fornire al paziente il massimo servizio in termini di qualità. Dalla diagnostica infantile alla maculopatia senile, dalla chirurgia refrattiva a quella della cataratta, Neovision si prende cura della salute visiva delle persone, offrendo il meglio della conoscenza scientifica, della qualità del servizio al paziente e della tecnologia oggi disponibili. Insieme ad équipe mediche preparate e sensibili alle esigenze individuali del paziente. www.neovision.eu.


Foto di Umberto Cofini da Unsplash


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