anno 2
N.1
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Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n° 258 del 17/10/2018
# I NOSTRI TEMI
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co m # scienza #salute #bellezza #da leggere (o rileggere) #da vedere/ascoltare #”amo gli animali” #disabilità in pillole #in forma #intervista con ricetta #stile over #”in movimento” #volontariato & associazioni #”di tutto e niente” #lavori in corso #il personaggio #le ultime #glamour
AT THE DESK
DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo DIRETTORE ARTISTICO
Francesca Fadalti
LA NOSTRA PREZIOSA REDAZIONE Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Enzo Primerano Antonio Giuseppe Malafarina Paola Emilia Cicerone Maria Teresa Ruta Francesca Fadalti Michela Romano DISEGNATORI Attilio Ortolani Margherita Mottana Vittore Mottana
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MINNIE LUONGO
direttore responsabile e giornalista scientifica Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti. Photo Chiara Svilpo
Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli). Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
GENERAZIONE F
ILLUSTRAZIONE DI VITTORE MOTTANA
di Minnie Luongo
Bilanci d’inizio anno. E’ salutare farli? “Ci si mette molto tempo per diventare giovani” Pablo Picasso Quello dei bilanci è un tema che ognuno di noi affronta a modo suo e con spirito del tutto differente. Viene naturale pensare che gli Over 60 siano i più inclini, arrivati al giro di boa dei sei decenni di vita, a chiedersi che cosa si è fatto e come lo si è fatto fino a quel momento. Io posso parlare per me e - come probabilmente molti miei coetanei controcorrente appartenenti a questa particolare Generazione - non ho per nulla seguito questo indirizzo. Addirittura, ricordo che a 20 anni su un foglio protocollo (quelli che si usavano a scuola per i compiti in classe, prima che venissero ribattezzati verifiche) scrissi per me stessa una sorta di decalogo sul “come mi dovevo comportare quotidianamente” (giuro!) per essere una persona affidabile e poi, soprattutto, sulla necessità, inderogabile, di fare un riassunto cronologico mentale di tutto ciò che avevo fatto durante la giornata. Per non dimenticare che avevo vissuto ma soprattutto di che cosa, materialmente, avevo fatto per mettere dignitosamente un minuto davanti all’altro nelle ultime 24 ore. Non so davvero come nacque un’idea così balzana, ma ricordo perfettamente che appena a letto la sera, invece delle preghiere (che non rientravano certo nella mia educazione né nella mia weltanschauung) facevo l’elenco mentale di tutto ciò che avevo “fatto”. Spesso mi si chiudevano gli occhi dal sonno durante questa assurda lista della spesa, ma li riaprivo ostinatamente per concluderla prima di addormentarmi. I bilanci ho continuato a farli anche in seguito. Praticamente sempre. Ad ogni estate, nella prima passeggiata sul bagnasciuga, ricordavo a me stessa che cosa era cambiato nella mia vita professionale dall’anno precedente, che cosa avevo mantenuto (rubriche, programmi,collaborazioni), che cosa si era aggiunto.
Sempre e solo riguardo al mio lavoro. Così come facevo ad ogni settembre tornata in città e poi a Capodanno, e quindi al mio compleanno… Insomma, sempre. In pratica, volendo definirmi, io lo facevo alla maniera degli anglosassoni: I am a journalist, e non “faccio” la giornalista. I motivi sarebbero troppo semplici da individuare: dimostrare, a cominciare dai due inappropriati genitori che la sorte mi aveva riservato, che io facevo (e anche cose importanti), e perciò avevo qualche diritto di essere amata e considerata come figlia e come persona. E, non da ultimo, dimostrarlo soprattutto a me. Autoanalisi da quattro soldi? Non credo proprio. Anche nelle lunghe e noiosissime lettere che durante l’università scrivevo a Ketty, l’amica inseparabile conosciuta in prima elementare e che dopo il liceo si era trasferita coi suoi genitori da Milano in Toscana, sentivo l’obbligo di raccontare per filo e per segno ciò che facevo. Oltre lo studio, tutte le attività con cui mi destreggiavo per mantenermi: ripetizioni, babysitteraggio, vendita di cosmetici porta a porta, commessa… Non erano uno sfoggio di quanto io riuscissi a concludere durante una giornata (e poi, che senso avrebbe avuto dirlo alla mia amica?), sia ben chiaro. Ormai quello era diventato - e lo sarebbe stato per decenni - il mio modo di presentarmi e raccontarmi. Ma i veri amici, se Dio vuole, sono molto più intelligenti di quanto si pensi e quindi sanno, o almeno hanno comunque intuito, che riferito a me essere (con i pregi e i difetti) voleva dire fare. Bastava fare 2 + 2 conoscendo la mia storia familiare e tutto diventava assai comprensibile. E perdonabile. E proprio riflettendo sul fatto di quanti e quali autentici amici io vanti e conservi e mi siano vicini, solo di recente ho avuto un’illuminazione. Vuoi vedere che mi frequentano non per quel poco o tanto che ho combinato nella vita ma per quello che SONO? Già, sono cocciuta, umorale, ripetitiva e tanto altro, ma sono anche leale, affidabile, ironica, comprensiva, folle...
E allora i bilanci stanno diventando di tutt’altro tipo. Chi sono stata io in questi decenni? Senza inutili liste della spesa ma constando che, se a vent’anni ero seriosa e quasi respingente, autocontrollata e riservata a dir poco, a mano a mano sono diventata quel che sono. C’è un film che mi affascina: “ll curioso caso di Benjamin Button”. Un orologio con le lancette al contrario è legato al sortilegio di un bambino che nasce anziano e, giorno dopo giorno, ringiovanisce. Il film del 2008, diretto da David Fincher e basato sul racconto di Francis Scott Fitzgerald, è ambientato a New Orleans alla fine della Grande Guerra. Il protagonista è un neonato che nasce con le sembianze e le patologie di un novantenne e, crescendo, pian piano, anno dopo anno, ringiovanisce. “Il curioso caso di Benjamin Button” insegna che il tempo è una convenzione umana. Sono i tempi interiori, quelli di cui parlava Proust in Alla ricerca del tempo perduto, che scandiscono il ritmo della vita, dell’amore e delle trasformazioni della mente, che non è sempre in sintonia con quelle del corpo e del fisico. Perciò il bilancio di quest’ultimo anno verte sulle domande “chi sono, mi piaccio, che cosa posso fare per stare sempre meglio con me stessa e con gli altri?” Già nell’editoriale dell’ultimo numero del 2019 proponevo un anticonvenzionale “Che Natale sei?”invece dell’usurato “Che Natale fai?”. A maggior ragione iniziamo quest’anno chiedendoci chi siamo. Io, evviva l’immodestia, sono diventata ancor più meravigliosamente leggera, curiosa, ilare e anche “palpitante”. L’hanno già detto in tanti, ma val la pena di ricordarlo: la magia o la biologia non possono nulla sulle leggi del cuore, e sul fatto che l’uomo possa impadronirsi del tempo, plasmandolo, vincendolo, senza sconfiggere l’ineluttabilità della morte, ma conquistando i propri giorni uno ad uno nella vita. Amando, soffrendo, ridendo. Anche chiedendo aiuto. Ciò che avevamo ritegno di esternare da giovani, è questa la bella notizia, non è tabù. SIAMO noi Generazione F. Fortunati, folli, fighi più che mai. Auguri!
AT THE DESK
DOTTOR MARCO ROSSI sessuologo e psichiatra
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA andrologo e chirurgo
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo.
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO dermatologo plastico
presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of Plastic - Regenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA medico veterinario
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
ANDREA TOMASINI
giornalista scientifico giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze- carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
ENZO PRIMERANO medico rianimatore
over 60 del 1958. Rianimatore in cardiochirurgia, Anestesista e Terapista del dolore, è amministratore del portale di divulgazione www.dolorecronico. org. Si occupa di bioetica e comunicazione nelle cure intensive. Appassionato di musica, satira, costume e sport motoristici. Il suo motto è “Il cuore è il motore e la mente il suo fedele servitore”.
ANTONIO GIUSEPPE MALAFARINA giornalista
nato a Milano nel 1970,giornalista e blogger. Si occupa dei temi della disabilità, anche partecipando a differenti progetti a favore delle persone disabili. Presidente onorario della fondazione Mantovani Castorina. Coltiva l’hobby dello scrivere in versi, raccolti nella sua pubblicazione “POESIA”.
PAOLA EMILIA CICERONE giornalista scientifica
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
FRANCESCA FADALTI direttore creativo
laurea in Architettura, mentre passa da cantieri e negozi a cui ha dato il suo inconfondibile stile, si evolve nell’editoria con Millionaire, la Guida Io e il mio bambino e molteplici interventi di design di pubblicazioni tra cui ultima nata Style Glamping e, finalmente, Generazione Over 60!
MICHELA ROMANO
nata a Como nel ‘73, una laurea in Comunicazione e poi via verso il mondo. Esteta di natura, con una grande attrazione verso il bello in tutte le forme. Ama costruire relazioni d’affetto, d’affari, di cuore e di stile. Osservatrice ossessiva ed un po’ Sibilla nel leggere le tendenze ed interpretarle. Il colore viola e’ la sua passione.
MARGHERITA MOTTANA Illustratrice
nata nel ‘92 è una ragazza creativa e pronta al sorriso. Ha sempre disegnato e ora è illustratrice professionista che fa sede a Milano. Adora parlare di attualità, libri e ovviamente... illustrazioni... e nella sua borsa non mancano mai i colori.
MONICA SANSONE video maker
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
C O N T E N U T I
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2020 Andrea Tomasini #”Di tutto e niente”
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SCARPE CHE PASSIONE Paola Emilia Cicerone
RINIZIARE L’ANNO RITROVANDO LA PASSIONE Marco Rossi
#Stile Over
#Sessualità
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#DOLLYPARTONCHALLENGE Francesca Fadalti
COS’È UN AUSILIO Antonio Giuseppe Malafarina
#Il Personaggio
#Disabilità in pillole
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CON L’INVERNO ATTENZIONE ALLE RAGADI A MANI E PIEDI ! Professor Antonino Di Pietro
IL RITORNO DI FAUST Enzo Primerano #Salute
#Bellezza
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CBM ITALIA ONLUS
FERMIAMO LA CECITÀ
#Volontariato & Associazioni
#Volontariato & Associazioni
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NOTE AROMATICHE D’INVERNO Michela Romano #glamour
PAOLA EMILIA CICERONE
giornalista scientifica
Scarpe che passione
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#stile
over
Serve davvero un buon motivo per parlare di scarpe? Se sì, in queste settimane ne abbiamo almeno due. Intanto, si è appena aperta la stagione dei saldi: e le scarpe, si sa, sono al primo posto tra gli oggetti del desiderio, non fosse altro perché anche chi stenta a trovare abiti che gli vadano bene può sempre puntare sulle calzature per soddisfare la propria voglia di shopping. L’altra notizia è che ha da poco chiuso i battenti la boutique newyorkese di Manolo Blahnick, resa famosa dalla serie Sex & The City e dalla sua protagonista Carrie Bradshaw che qui comprava le amatissime Manolos col tacco dodici, e che ha contribuito non poco al successo della griffe iberica (o per meglio dire italo - spagnola, visto che sono in gran parte prodotte a Vigevano). Che comunque è sempre presente nelle boutique del lusso, per la gioia delle appassionate. Stiamo parlando, l’avrete capito, di scarpe da donna, perché sono loro le protagoniste delle rivoluzioni che sconvolgono periodicamente il mondo della moda. Almeno da quando, proprio un secolo fa, le gonne si sono accorciate mettendole per la prima volta in vista e facendone quindi un accessorio da esibire. Anche se le calzature hanno resistito per anni al consumismo nascente: una volta le scarpe, da uomo o da donna, erano spesso fatte a mano, e in ogni caso si trattava di un acquisto pensato per durare nel tempo. Ricordo ancora le spedizioni della mia infanzia, con i miei genitori, nel negozio che forniva i canonici scarponcini ortopedici - tributo a un piede non proprio arcuato un paio blu e uno marrone, destinati a durare tutto l’inverno per essere poi sostituiti dai fatidici sandali Giglio, mentre le scarpine di coppale lucido che avrei desiderato rimanevano inevitabilmente nello scaffale.
Naturalmente, le calzature più belle potevano essere passate di padre in figlio - o di madre in figlia - o scambiate tra fratelli, con l’assistenza di un calzolaio di fiducia in grado di rimetterle a nuovo. Una professionalità sempre più rara oggi che stiamo perdendo l’abitudine al riuso, e che molti modelli fanno largo uso di plastiche e sono inevitabilmente pensati come “usa e getta”. Se negli anni hanno perso in carisma, le scarpe da donna hanno probabilmente guadagnato in comodità: una volta quelle che gli inglesi chiamano sensible shoes -scarpe di buon senso - solidi mocassini o stringate a pianta larga col mezzo tacco, erano appannaggio di zitelle e istitutrici, mentre oggi è possibile mettersi ai piedi qualcosa di veramente comodo senza trasgredire i dettami della moda, in un mix di generi che permette di osare scarpe sportivissime e perfino stivali a ogni ora del giorno e della sera. Certo sopravvivono, e come potrebbe essere altrimenti, gli stiletto heels, ovvero i tacchi a spillo, altra creazione italiana, che dagli anni ’50 hanno fatto sognare e dato lavoro agli ortopedici. Sexy quanto scomodi, richiedono un notevole allenamento e sono stati contestati dal movimento femminista che gli contrapponeva zoccoli e ciabatte. Eppure il tacco dodici è sopravvissuto, anche se in versioni meno impegnative. E affiancato fin dagli anni ‘60, dalle ballerine rese celebri da Ferragamo, uno dei protagonisti della storia della scarpa, e da Audrey Hepburn che le indossava con grazia. Proprio alla Hepburn anzi, che per altezza rischiava di svettare su alcuni colleghi maschi, si deve il successo dei kitten heels, tacchi sottili di pochi centimetri, che hanno
rappresentato per varie generazioni di donne una comoda alternativa ai tacchi a spillo. Nel frattempo la moda ha proposto di tutto, dagli stivali sopra il ginocchio che negli anni ’60 accompagnavano le prime minigonne, agli zatteroni nati durante la seconda guerra mondiale e poi rilanciati trionfalmente negli anni ’70. Assieme a modelli più classici e intramontabili, e alle stiletto che dagli anni ’90 hanno rivissuto, proprio grazie a Sex & the city una stagione trionfale che ha visto protagonisti accanto a Blahnick, Jimmy Choo e soprattutto Louboutin con le sue riconoscibilissime suole rosse. Ma accanto a griffe riservate a poche, la vera trionfatrice del nuovo millennio è la scarpa da ginnastica, anzi la sneaker che ha rimpiazzato le oneste Superga uscendo definitivamente da palestre e campi da tennis per diventare un accessorio adatto a ogni occasione. Così come, da una decina d’anni, sandali e scarpe aperte hanno infranto la barriera delle stagioni per essere proposte come calzature invernali. Ovviamente senza calze, ed è giusto il caso di ricordare che le calze velate color carne - che hanno rappresentato per molte di noi il segnale del passaggio all’età adulta, oltre al terrore costante di trovarsi con i collant smagliati - sono praticamente scomparse, rimpiazzate da calze pesanti nere o variopinte ma anche da una miriade di calzini e calzettoni per tutti i gusti e da abbinare in ogni modo. Fermo restando che per la moda l’imperativo è “scarpe aperte e gambe nude anche d’inverno”: scomodo e poco salutare, ma chi siamo noi per protestare visto che a lanciare l’ormai seguitissima tendenza è stata una milanesissima icona di stile come Miuccia Prada?
ANDREA TOMASINI
giornalista scientifico
2020
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#”di
tutto e niente”
Ventiventi. A lettere si scrive così. Due volte il numero 20. Palindromo: come lo leggi scorre bene, in entrambe le direzioni. Ingannevolmente. E’ iniziato e quindi finirà. Transita e va secondo la “sua” direzione, seguendo un senso che proviamo a indagare, tentando di colmarlo di significati mentre ne abitiamo soltanto la durata. E’ l’ultimo anno del secolo in cui le due prime cifre sono maggiori o uguali rispetto alle successive due – che sono destinate a crescere, aumentare, sopravanzare, travolgere. Come un vento impetuoso. Al cinema – si sa – è difficilissimo filmare il vento, se non per ciò che ne è scosso e si muove. Lo si riprende evocandolo, immaginandolo – rendendone la presenza, cioè l’immagine, per il tramite degli effetti che, invisibile, produce sulle cose.
Ventiventi: 1. gli alberi che si piegano 2. le foglie verdi che stormiscono 3. il fumo che sale sbieco 4. le nuvole che corrono 5. i cappelli che volano e, con una “p” in meno, i capelli acconciati che si scompigliano 6. le bandiere che garriscono 7. la polvere, o la sabbia, che si alza e va negli occhi 8. le carte che svolazzano 9. le foglie secche che danzano cadendo a terra, e poi s’ammucchiano 10. le messi mature che ondeggiano 11. la pioggia che cade a terra in diagonale 12. il mare che s’ingrossa 13. il pallone che, anche se lanciato con forza, devia da dove vorresti che andasse e se ne va per sbieco 14. i panni stesi che si muovono e schioccano frustando nell’aria
15. il sibilo discontinuo che suona quando s’insinua tra le fessure degli infissi e muove le tende 16. le porte e le finestre che sbattono, perché c’è corrente 17. l’ombrello che si sversa e l’ombrellone sulla spiaggia che ne è divelto e svolazza 18. le gonne che si alzano (ma solo per fortuiti giri d’aria) 19. le fiamme del camino che ne sembrano sollecitate, attratte e agitate – danzano allo zufolare irregolare che dal camino penetra e si unisce al crepitio del fuoco 20. qualcosa che cigola o che tintinna – ma non sai cosa, non sai dove però te ne dai una ragione, immagini sia il vento 2020, 20 20, venti vènti. Buon anno nuovo P.S. Il secondo “vènti”, dopo averlo letto con la “è” aperta, chiudilo chè è gennaio, entra aria fredda…
DOTTOR MARCO ROSSI sessuologo e psichiatra www.marcorossi.it
Iniziare l ’anno ritrovando la passione
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È abbastanza comprensibile e normale che dopo anni di matrimonio o di convivenza la passione possa diminuire e che gli incontri intimi possano rarefarsi e diventare occasioni straordinarie da segnare sul calendario! È importante allora che la coppia Over possa ritrovare l’entusiasmo per la sessualità, poiché la sfera intima influisce sulla serenità della relazione. Riattivare l’eros per ritrovare la felicità, anche se si sta attraversando una fase di calo del desiderio, è possibile, e per questo vorrei dare qualche consiglio: prima di tutto è necessario ricorrere a baci e carezze a volontà.
#sessualità
L’intimità ha bisogno di essere preparata, ecco perché è importante dare energia ai piccoli riti e ai piccoli gesti che aiutano la vicinanza fisica, psicologica ed emotiva. Anche “condividere” è la parola d’ordine: avere un progetto comune, ridere e coccolarsi renderà più semplice la complicità tra le lenzuola; non bisogna mai dimenticare che l’intimità aumenta la vicinanza fisica e rafforza la coppia, anche se di lunga data. Non è mai troppo tardi per ritrovare situazioni maliziose e intriganti! Per trovare il giusto stato d’animo prima di vivere l’intimità consiglio sempre ai miei pazienti di fare un po’ di decompressione: una doccia calda e un brindisi prima di cena ristabiliscono il clima giusto per fare l’amore. In particolare, per accendere la passione del partner consiglio di regalare baci e carezze intime: ciò lo/la farà sentire molto apprezzato/a e amato/a. Quindi, è da bandire sempre il senso di vergogna e imbarazzo e, al contrario, ci si deve lasciar andare. Forse la crisi di coppia è in realtà un’opportunità, che permette alla coppia di ritrovare non soltanto l’intesa, ma soprattutto permette ai partner di ritrovare se stessi: bisogna lasciare che la sensualità emerga senza più vincoli dati dai tabù. Iniziare ad amare prima di tutto il proprio corpo (qualsiasi età si abbia) poiché è solo attraverso il sano egoismo che ognuno di noi potrà anche donarsi al proprio partner. Isolare alcuni momenti da dedicare alla cura di se stessi è importante per la coppia, tanto quanto a livello individuale. Attenzione: questo non significa dover essere sempre “perfetti”; al contrario, si deve trovare la formula giusta per sentirsi in armonia con se stessi e dare la giusta attenzione al proprio corpo. Per riassumere: le regole per un’intimità felice sono semplici: basta lasciar fluire le emozioni, le sensazioni e il desiderio; è importante lasciar libero Eros, in modo che possa finalmente esprimersi. Eros non deve “recitare” il ruolo in cui pregiudizi, moralismi e falsi tabù lo vogliono imprigionare. Grazie ad Eros non solo si può ritrovare il desiderio, ma soprattutto se stessi!
FRANCESCA FADALTI
#Dolly Parton Challenge
#il
personaggio
Come iniziare l’anno nuovo? Sicuramente augurandoci tanta felicità per il nostro futuro. Un primo passa lo possiamo fare tracciando il bilancio di dove siamo e di quali sono i nostri obiettivi. Impariamo a buttare ciò che è vecchio in favore delle novità, a regalarci momenti preziosi ed ad essere noi stessi. “Viviamo in un mondo dove tutti vogliono essere qualcuno, tranne che se stessi. Non è strano? Quando esprimi al meglio il tuo Essere, sei più che originale: sei Unico! È il solo modo che hai per essere pervaso dalla creatività. È lì il luogo dove non c’è concorrenza che tenga!” come ci ricorda Anna Biason, Life Coach, Maestra di Yoga e ricercatrice indipendente, autrice di più libri sulla crescita personale. Chi ha iniziato l’anno all’insegna “IO Valgo” è visibile su quattro social network LinkedIn, Facebook, Instagram e Tinder con un collage di quattro immagini che hanno dato vita al nuovo meme #DollyPartonChallenge. Il Dolly Parton Challenge nasce dalla regina della musica country Dolly Parton, che a 74anni non ha ancora finito di stupirci e riconferma la sua capacità di essere una vera star. Cantautrice, attrice (negli anni ‘80 riceve una nomination al Golden Globe per aver recitato a fianco di Jane Fonda nel film “Dalle 9 alle 5... orario continuato”), doppiatrice dai look stravaganti e l’atteggiamento da vera cow girl, nella sua vita ha ricoperto moltissimi ruoli con estremo impegno e successo. Non ha mai dimenticato le sue origini umili e si è sempre prodigata come promotrice in attività filantropiche al fine di attivare notevoli raccolte benefiche; con la fondazione Dollywood, da lei creata e diretta, si occupa principalmente dell’alfabetizzazione dei bambini. È imprenditrice e dal 1986 ha realizzato un parco divertimenti a lei dedicato a Pigeon Forge, in Tennessee: Dollywood. Anche qui parte dei proventi sono destinati ad attività benefiche. Nel 2011 le è stato assegnato un Grammy Award alla carriera.
Oggi “Dolly Parton: Le corde del cuore”, è una serie firmata Netflix come tributo all’iconicità dell’artista. Ma che cos’è la tendenza che da qualche ora sta invadendo le principali piattaforme sociali? Dolly, qualche giorno fa, ha postato sulla sua pagina Instagram un collage di quattro foto che la vede ritratta con quattro look diversi, una per ogni social network. Per Linkedin ha un vestito molto serio e formale che viene sdrammatizzato dalla matita tra i capelli, per Facebook ha scelto un dolcevita “natalizio” ma nero con renne e il suo nome, per Instagram una foto vintage “indie” style e, infine, per Tinder (la più popolare tra le app di incontri), la possiamo vedere vestita da coniglietta sexy per la copertina di Playboy del 1978 di cui è stata protagonista.
La prima foto della tendenza social è stata pubblicata dal profilo Instagram @dollyparton pochi giorni fa. In poche ore tutti i principali social si sono scatenati con l’hashtag #DollyPartonChallenge che ad oggi conta oltre 18mila contenuti. Sono stati contagiati: colleghi Vip da tutto il mondo che si sono sbizzarriti, postando ognuno il proprio collage personale, amanti degli animali, musei con i loro quadri... Nel post originale caricato dalla cantautrice e attrice la Parton scrive: “Get you a woman who can do it all” che tradotto significa “Trova una donna che possa essere tutte e quattro”. La caption è un importante messaggio ed incoraggiamento per noi donne intriso di women empowerment, non puoi essere solo una e ben codificata perchè la nostra personalità presenta mille sfaccettature diverse, ognuna delle quali merita di essere valorizzata. Dobbiamo essere tutto quello che desideriamo e sentiamo, serie e professionali, ma anche ribelli o sensuali. Senza paura di giudizi superficiali...questo perchè, come sempre abbiamo detto noi di Generazione Over 60, siamo semplicemente Fighi. Adesso
aspettiamo,
per
il
numero
#DollyPartonChallenge. https://www.instagram.com/dollyparton/
di
febbraio,
i
vostri
meme
ANTONIO GIUSEPPE MALAFARINA
giornalista e blogger
Cos ’ è un ausilio ?
Nel campo della disabilità il concetto di ausilio è determinante. Dal punto di vista tecnico che un oggetto sia definito come ausilio ne favorisce l’individuazione e l’eventuale copertura dei costi da parte del servizio sanitario nazionale. Dal punto di vista sociale identificare un qualcosa come ausilio lo rende più o meno ortopedico, possiamo dire. Una carrozzina e un bastone, definiti come ausilio, hanno un’inevitabile accezione sanitaria, ortopedica, appunto. Una biro o un computer la acquisiscono nel momento in cui vengono definiti ausilio.
#disabilità
in pillole
Quasi che il concetto di ausilio accrescesse o diminuisse il valore intrinseco di un qualcosa. Iniziamo a conoscere il concetto di ausilio, sapendo che nell’ambito della disabilità risponde a una precisa definizione stabilita dall’Organismo internazionale che definisce gli standard. Lo stesso Organismo che ci dice che una presa di corrente è fatta in un modo invece che in un altro. Questo organismo si chiama Iso, sigla dell’International Standards Organization. L’Iso identifica l’ausilio con il codice 9999 e siccome l’organizzazione segue le definizioni di disabilità emanate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, da quando la definizione di ausilio è stata codificata a oggi ha subito delle variazioni. La definizione oggi in uso in Italia è la Iso 9999:2016, che dice che l’ausilio è: «Qualsiasi prodotto (dispositivi, apparecchiature, strumenti, software ecc.), di produzione specializzata o di comune commercio, utilizzato da (o per) persone con disabilità per finalità di 1) miglioramento della partecipazione; 2) protezione, sostegno, sviluppo, controllo o sostituzione di strutture corporee, funzioni corporee o attività; 3) prevenzione di menomazioni, limitazioni nelle attività, o ostacoli alla partecipazione». Cos’è, dunque, l’ausilio? Per quanto riguarda la vita di tutti i giorni ausilio è qualunque cosa in uso a una persona disabile che ne migliori il rapporto con l’ambiente, come si evince dallo standard Iso. Essere consapevoli di questo principio porta a comprendere che ogni accessorio della persona con disabilità ha una sua dignità da rispettare, persino quando può far storcere il naso, come un bavaglino al collo di una persona che sbava o una scarpa diversa dall’altra. La società ha il dovere di rispettare la persona e tutti i suoi ausili. Ecco perché è importante essere chiari sul concetto di ausilio e sulla sua funzione: per essere giusti.
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO
dermatologo plastico
Con l ’inverno attenzione alle ragadi a mani e piedi !
Photo by Chelsea shapouri on Unsplash
#bellezza
Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis www.istitutodermoclinico.com
Tanti preferiscono la stagione invernale a quella estiva. In questo caso è bene sapere che potremmo avere a che fare con ragadi, a mani o (meno di frequente) a piedi. Questi piccoli taglietti o lesioni possono essere innocui, ma se si infiammano possono provocare fastidio, dolore e infezioni. Si tratta di un disturbo che si sviluppa soprattutto in caso di pelle secca e sensibile, che si disidrata facilmente con l’abbassamento delle temperature, e dovuto in gran parte agli sbalzi tra ambienti gelidi e riscaldati. Per comprendere come prevenire e curare le ragadi della dita, però, si possono seguire dei semplici accorgimenti. Che cosa sono le ragadi e dove si formano? Le ragadi sono dei tagli localizzati che solitamente interessano mani e piedi. In queste parti del corpo la pelle può risultare meno elastica, più spessa e sottoposta a maggiori stress provenienti dall’esterno che la seccano eccessivamente e ne favoriscono la rottura. Questi disturbi dell’epidermide possono essere anche la conseguenza di particolari patologie come la dermatite da contatto o la dermatite atopica. Tali inestetismi colpiscono soprattutto le persone di una certa età, quando la pelle diventa più secca e sensibile. In giovane età il tessuto cutaneo conserva l’idratazione più a lungo e collagene ed elastina garantiscono elasticità e turgore, caratteristiche che si perdono con l’avanzare del tempo. Anche particolari mansioni e lavori, in cui si tengono spesso le mani bagnate, possono favorire lo sviluppo di queste lesioni dell’epidermide, mentre i nuotatori sono i soggetti più predisposti alle ragadi dei piedi.
Quali precauzioni si possono adottare per evitare la formazione di ragadi In inverno è opportuno coprire mani e piedi adeguatamente con guanti e calzature imbottite per conservare la pelle al caldo ed evitare un’eccessiva disidratazione cutanea. L’idratazione è fondamentale, ma bisogna individuare prodotti di qualità consigliati dal farmacista o dal dermatologo. Ottime sono le creme con acido ialuronico, glucosamina, glicosaminoglicani e fosfolipidi per prevenire e mantenere l’idratazione superficiale e profonda del tessuto cutaneo. Attenzione alla doccia: innanzitutto non utilizzare acqua bollente poiché, per quanto piacevole, secca eccessivamente la pelle favorendone la desquamazione. Inoltre, bisogna asciugarsi bene con un asciugamano morbido e asciutto prestando attenzione anche alle zone più sensibili e coperte, per tenere alla larga possibili irritazioni.
Rimedi naturali e pomate cicatrizzanti per ragadi: che cosa funziona di più? I sintomi delle ragadi possono tradursi in dolori, sanguinamenti e perdita di siero che se non correttamente curate vengono contaminate da batteri e funghi che generano infezioni. In questi casi, quando la ferita è profonda è necessaria l’applicazione di pomate cicatrizzanti per ragadi o di una crema per ragadi antibiotica per fermare l’infezione. Tra i rimedi più comuni c’è la dermovitamina. Quando invece le ragadi coinvolgono solo superficialmente la cute, possono essere utili dei rimedi naturali come una crema per ragadi a base di timo, calendula o tea tree dall’azione emolliente. Oppure in farmacia si può trovare una pomata per ragadi con urea, un composto dal potere particolarmente idratante. Se il disturbo diventa cronico, è necessario invece il consulto di un esperto: probabilmente alla base della formazione di ragadi di mani o piedi non c’è una semplice secchezza cutanea dovuta al freddo, ma una sensibilità dell’epidermide eccessiva che va indagata più a fondo.
ENZO PRIMERANO
Medico Rianimatore
Il ritorno di Faust
Clicca sulla foto e ascolta Bohemian Rapsody nella famosa versione del Live Aid
“Penso che le persone dovrebbero semplicemente ascoltarla, pensarci solo un attimo e poi decidere autonomamente cosa dice loro la canzone” (Bohemian Rhapsody – Freddie Mercury)
#salute
La musica rock imperversava con arpeggi crescenti e decrescenti che qualcuno aveva definito pietre che rotolano e come pietre quelle note incidevano sulle nostre vite cadenzandone i tempi ed i ritmi. La musica rock stava incidendo sulla cultura e sulla società comunicandoci libertà in un mondo che era scivolato verso l’incomunicabilità. Anche le nostre vite si stavano adattando a quei ritmi che parlavano di pace, di libertà di diritti civili e di trasgressione dai vetusti canoni codificati delle società che ci avevano preceduto. Ma qualcosa da lì a poco avrebbe cambiato per sempre il mondo della salute e le nostre vite stesse. Eravamo da poco entrati negli anni ‘80 e la vita era frenetica in ogni campo: voglia di nuovo, voglia di futuro, voglia di liberarsi del vecchio. La musica rock faceva da segnapasso persino al ritmo dei nostri cuori che battevano tutti più velocemente per questo. La musica e gli autori dell’epoca facevano proprio quel vento di cambiamento della rivoluzione culturale del 68 e a suon di pregevole musica introduceva il tema della trasgressione dai vetusti valori della società. Da lì a poco un ragazzo originario di Zanzibar, grande virtuoso della musica nella sua essenza, decise di fare irruzione nel panorama musicale di quegli anni: forza, novità, trasgressione e soprattutto rock. In più sapeva suonare a perfezione lo strumento delle sue corde vocali. Quella voce che per timbro, intensità e qualità del vibrato fu definita una delle sette meraviglie del rock. Persino l’imperfezione dei suoi denti che sembravano piegarsi, come canne al vento, dalla forza delle sue note.
Quando fu scritta “Bohemian Rapsody” si capì subito che sarebbe stato un successo ma non poche furono le difficoltà che incontrarono i Queen per farla incidere ma, una volta distribuita, conquistò subito tutto il mondo. Freddie Mercury aveva scritto una Rapsodia in Rock con variazioni non solo di arpeggi musicali ma anche di toni e stili musicali come gli antichi rapsodi greci che cantavano e recitavano storie in pubblico, cucendo insieme elementi e metriche multiformi, con armonie e ritmi differenti. Ma le parole del brano erano ancora più complesse e sibilline. Era forse una rapsodia bohemian come regione dove è ambientato il poema drammatico Faust di Goethe, o quel misto di doppi sensi come la maschera di Scaramouche o la morte dell’impiccato che simula la danza del Fandango o il variopinto Figaro o Belzebù e persino l’invocazione a Bismillah come nelle sure del Corano volevano forse celare un raffinato coming out di un personaggio che voleva gridare al mondo la sua diversità. La trasgressione come espressione di libertà di pensiero e costume vennero messe a dura prova. Sessualità libera e tossicodipendenza erano
quei
comportamenti
dove
più
facilmente
questa
nuova
infezione virale poteva trovare vie d’ingresso per infettare l’individuo. Ci tornerà con varie canzoni anche Freddie Mercury quando anche lui si ammalò di AIDS. L’inno di libertà di “Somebody to love” si era trasformato in “Too Much Love Will Kill You”.
Cominciava nelle corsie degli ospedali a fare capolino una strana malattia di cui non potevamo ancora conoscere la portata. In quegli anni ero studente interno in Clinica medica e arrivò alla nostra osservazione una donna con un sarcoma di Kaposi; i nostri ematologi trovarono una Immunodeficienza acquisita rarissima a quell’epoca nell’adulto. La malattia che interferisce con il sistema immunitario limitandone l’efficacia, rende le persone colpite più suscettibili alle infezioni, in particolare a quelle opportunistiche1, e allo sviluppo di tumori. Questa vulnerabilità aumenta con il progredire della malattia. L’HIV si trasmette in molti modi, ad esempio tramite i rapporti sessuali, trasfusioni di sangue contaminato e aghi ipodermici e tramite trasmissione verticale tra madre e bambino durante la gravidanza, il parto e l’allattamento al seno. L’HIV è subdolo perché ha una latenza che può andare da poche settimane ad alcuni anni. Qualche anno dopo, specializzando in Rianimazione, assistevamo questi ammalati di HIV/AIDS che giungevano con le più svariate infezioni opportunistiche. Arrivavi presto al mattino in corsia per fare il prelievo al malato in questione e dopo non so quante cetrifughe, pipettature strisci al microscopio vedevi per immunofluorescenza indiretta quanti e quali linfociti avevano formato le rosette con le emazie di montone. Tutto questo mentre il sole che avevi visto sorgere al mattino dalla parte del mare, quando avevi fatto il prelievo, ormai tramontava dall’altra parte dell’Istituto.
Il virus HIV è presente in tutti i liquidi dell’organismo. E’ vero che l’adozione delle corrette misure di prevenzione igienico sanitaria annullano tali rischi, ma la paura era pur sempre tanta. La malattia divenne il più importante problema sanitario in molte parti del mondo e la sua diffusione è considerata una pandemia. Secondo il rapporto UNAIDS 2009, in tutto il mondo vi sono state circa 60 milioni di persone contagiate sin dall’inizio della pandemia, con circa 25 milioni di morti e 14 milioni di bambini orfani nel Sudafrica. Con l’Aids aumentò anche l’emarginazione sociale con sfumature che a tratti ricordavano la peste manzoniana e tante Organizzazioni umanitarie si fecero carico di avviare campagne di informazione e portare aiuti nei luoghi sperduti del mondo dove questa malattia era endemica. Ciò avrebbe messo in crisi tutta l’organizzazione sanitaria e le cure mediche e chirurgiche dell’epoca. Tutte le attività mediche che comportavano il contatto con i liquidi biologici dell’individuo come cure parenterali, cioè con uso di aghi, e siringhe, da quel momento sarebbero stati soltanto monouso. Piccola e grande chirurgia, cure odontoiatriche e persino percing e tatuaggi dovevano fare i conti con questa realtà. Tale fenomeno ebbe naturali ripercussioni sulla erogazione di risorse per la salute. L’indotto dei materiali e presidi monouso prese il sopravvento rosicando risorse preziose al budget destinato dal welfare alla salute. Oggi tutti questo può apparire normale ma chi ha vissuto a cavallo tra di quegli anni ne comprende la grande rivoluzione.
Il sangue e gli emoderivati non erano più sicuri e bisognava controllarne con più precisione la presenza di antigeni o titoli anticorpali che potevano anche essere non titolabili nelle fasi di incubazione della malattia. Divenne quindi necessario regolamentare l’uso degli emoderivati. Nasce in quegli anni una nuova disciplina medica trasversale ed interdisciplinare che è la Bloodless Medicine o Medicina senza sangue. Nascono e si sviluppano tutte quelle tecniche e tutte le strategie per il corretto uso degli emoderivati e delle trasfusioni. In Italia, dopo alcuni spiacevoli avvenimenti legati alla compravendita di sangue infetto, vennero attuate delle norme ferree e istituiti in ogni ospedale i “Comitati per il Buon uso del Sangue” per sensibilizzare e far modificare ai medici ed operatori degli atteggiamenti che fino ad allora erano sembrati normali. Sulla scorta di quelle esperienze oggi si riescono a portare a termine lunghi interventi molto impegnativi senza necessità di trasfondere sangue ed in assoluta sicurezza al malato con l’ausilio di sistemi di monitoraggio che ti segnalano che c’è qualcosa che non va quando ancora è tutto in ordine. Oggi l’AIDS è un fenomeno che fa ancora paura anche se esistono terapie adeguate e diagnostica di alto livello. Lo stesso sgomento che alla fine aveva Freddie Mercury quando diceva “Lo spettacolo deve continuare”
1)infezione opportunistica è un’infezione causata da patogeni (batteri, virus, funghi o protozoi) in organismi caratterizzati da un sistema immunitario compromesso.
C B M Italia Onlus
C B M Italia Onlus
Chi siamo CBM è la più grande organizzazione umanitaria internazionale impegnata nella cura e prevenzione della cecità e disabilità evitabile nei Paesi del Sud del mondo. CBM Italia Onlus fa parte di CBM, organizzazione attiva dal 1908 composta da 10 associazioni nazionali (Australia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Kenya, Nuova Zelanda, USA, Sud Africa e Svizzera) e che insieme sostengono progetti e interventi di tipo medico-sanitario, di sviluppo ed educativo. Dal 1989 CBM è partner dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella lotta contro la cecità prevenibile e la sordità. CBM opera nei Paesi nel Sud del mondo in sinergia con i partner locali in un’ottica di crescita e sviluppo locale. Lo scorso anno CBM ha raggiunto oltre 35 milioni di persone attraverso 530 progetti in 54 Paesi di tutto il mondo. CBM Italia ha sostenuto 64 progetti in 24 Paesi, raggiungendo oltre 2.6 milioni di beneficiari dei 35 milioni dell’intera federazione CBM.
#volontariato
& associazioni
Gli ambiti di intervento nei Paesi del Sud del mondo ► Salute della vista e formazione di medici (prevenzione della cecità, cura della vista, chirurgia, sostegno ed equipaggiamento di ospedali e centri oculistici, distribuzione di occhiali, cliniche mobili, formazione di medici e operatori, riabilitazione su base comunitaria). ► Salute fisica, mentale e uditiva (prevenzione, cure e chirurgie, sostegno ed equipaggiamento di ospedali e centri ortopedici, distribuzione di ausili, formazione di medici e operatori, riabilitazione su base comunitaria). ► Educazione (sostegno a scuole per allievi con e senza disabilità, programmi di educazione inclusiva e di avviamento al lavoro, formazione di insegnanti e operatori sull’educazione inclusiva). ► Emergenza (programmi di risposta alle emergenze umanitarie e ambientali inclusivi delle persone con disabilità, formazione degli operatori sul campo). ► Sviluppo inclusivo nelle comunità (promozione dei diritti e inclusione delle persone con disabilità, inserimento lavorativo, programmi di sicurezza alimentare per persone con disabilità, microcredito, attività generatrici di reddito). Le attività in Italia In Italia, CBM Italia Onlus è impegnata in numerose attività per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul proprio lavoro e sulle condizioni di vita delle persone con disabilità che vivono nei Paesi del Sud del mondo. Negli ultimi anni, CBM Italia Onlus ha rafforzato e ampliato il proprio impegno verso i bambini italiani e le loro famiglie attraverso il progetto didattico “Apriamo gli occhi!”, i laboratori sensoriali, il cartone animato “Le avventure di Cibì” e la collana editoriale CBM #logosedizioni, con cui sono stati pubblicati tre libri: “BLIND” di Lorenzo Mattotti, “Lucia” di Roger Olmos e “Anna dei Miracoli” di Ana Juan. A questi progetti si aggiunge la tournée del “Blind Date”, il concerto al buio ideato nel 2009 dal maestro Cesare Picco. Un evento unico al mondo, un viaggio sensoriale nel buio più assoluto che ben interpreta quello che CBM fa ogni giorno grazie all’aiuto di tanti sostenitori: ridare la luce della vista a milioni di persone cieche che vivono nei Paesi del Sud del mondo.
Dati cecità Ad agosto 2017, la rivista scientifica anglosassone Lancet ha pubblicato i risultati di un’analisi realizzata dal gruppo di esperti internazionali Vision Loss Expert Group (VLEG) condotta dal 1990 al 2015. Questi i risultati principali: ► 253 milioni le persone con disabilità visive, di cui:
► 36 milioni le persone cieche
► 217 milioni le persone con disturbi visivi gravi o moderati
► l’89% delle persone con disabilità visive vive nei Paesi del Sud del mondo ► Il 55% delle persone con problemi visivi sono donne. Delle 36 milioni di persone cieche nel mondo le cause principali sono: ► Cataratta (12.6 milioni) ► Errori refrattivi non corretti (7.4 milioni) ► Glaucoma (2.9 milioni). Tra le 217 milioni di persone i disturbi visivi gravi o moderati sono: ► Errori refrattivi non corretti (116.3 milioni) ► Cataratta (52.6 milioni) ► Degenerazione maculare (8.4 milioni) ► Glaucoma (4 milioni) ► Retinopatia diabetica (2.6 milioni) Gli errori refrattivi non corretti e la cataratta si confermano come cause prevenibili di cecità/ipovisione nel 77% dei casi.
#volontariato
& associazioni
Inoltre: ► Circa l’80% di tutti i deficit visivi potrebbero essere evitati o curati. ► 19 milioni di bambini con età inferiore ai 5 anni sono ipovedenti. Di questi 12 milioni sono ipovedenti a causa di errori refrattivi (miopia, astigmatismo, ipermetropia), una condizione che può essere facilmente diagnosticata e corretta. ► La principale causa di cecità rimane la cataratta, che si può risolvere con un intervento chirurgico efficace. ► 1 miliardo e 100 milioni di persone hanno presbiopia (non vedono bene da vicino): eppure bastano semplici occhiali da vista per correggerla. IL FUTURO – Anche se gli ultimi dati dicono che cecità e ipovisione sono globalmente diminuite, il numero delle persone cieche è destinato a triplicare entro il 2050 passando a 115 milioni per 3 motivi:
1. Crescita e invecchiamento della popolazione
2. Aumento della miopia
3. Picco della retinopatia diabetica
LE PREVISIONI ENTRO IL 2020 ► Il numero di persone cieche passerebbe da 36 milioni a 38.5 milioni. ► Il numero di persone con disturbi visivi gravi o moderati passerebbe da 217 a 237 milioni.
C B M Italia Onlus
“Fermiamo la cecità. Insieme è possibile”
www.cbmitalia.org
#volontariato
& associazioni
LA CAMPAGNA DI CBM ITALIA ONLUS Nei Paesi del Sud del mondo essere ciechi significa rischiare di morire, ogni giorno. “Fermiamo la cecità. Insieme è possibile” è la campagna annuale di raccolta fondi 2018/19 di CBM Italia Onlus che ha l’obiettivo di salvare dalla cecità 2.6 milioni di bambini, donne e uomini che vivono in 21 paesi di Africa, Asia e America Latina (Etiopia, Kenya, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Sud Sudan, Tanzania, Uganda, Zambia, Filippine, India, Nepal, Pakistan, Territori Palestinesi, Vietnam, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Honduras, Paraguay) attraverso 46 progetti di prevenzione e cura. Screening visivi nelle scuole e nei villaggi, visite oculistiche, operazioni chirurgiche, percorsi di riabilitazione, allestimento di cliniche mobili oftalmiche, distribuzione di antibiotici, costruzione di pozzi, attività di formazione professionale di medici e operatori e sensibilizzazione le attività previste dai progetti.
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Note aromatiche d ’inverno
Foto di Michela Romano
#glamour
In gennaio si fa ordine. E sappiamo che nella cultura nipponica l’ordine e’ anche segno di bellezza e armonia. Io, con un certo ritardo sulla ortodossia, circa a metà del mese, inizio a togliere le decorazioni di Natale. Vivo un momento molto delicato e di riflessione interiore. Perché è solo lì che mi accorgo di aver archiviato un altro anno ed i pensieri iniziano ad affollare la mia mente tra presente e futuro: cosa ho fatto, cosa farò. Cerco di creare così un vuoto intorno a me, uno zero dal quale ricominciare, perché i bilanci non fanno per me, non so valutare o forse preferisco non farlo. A questa sensazione di nuovo inizio e di leggerezza amo abbinare dei bulbi, essenziali, ma con un presagio di prosperita’ al tempo stesso. Mi piace disseminarli un po’ dappertutto, utilizzo recipienti dei più svariati, come vecchie coppe di gelato anni Ottanta, bicchieri spaiati, vasi e vasetti, creo un letto di trucioli, legnetti, muschi.
Quando i fiori iniziano a sbocciare, la presenza di questi piccoli e discreti fiori si trasforma in un’invasione di essenze che riempiono gli ambienti, creano atmosfera e trasmettono continui segnali al nostro cuore, ma anche al nostro cervello. Ma, prima che sboccino i bulbi, un altro profumo deve regnare in ogni casa d’inverno, subito dopo le feste: e’ quello che viene dai fiori di calicantus, il primo fiore che sboccia dal freddo. La pianta del calicantus trasmette la propria presenza da lontano, la si ritrova nelle passeggiate all’aperto, tra i boschi, e con l’aria fredda alle narici la percezione di questo inaspettato profumo porta un messaggio inequivocabile di primavera. E tra un un gradevole odore, nuove piante e anche qualche ramo secco, la casa torna ad essere addobbata un’altra volta, ed il mio consiglio è proprio quello di creare un allestimento sempre nuovo, ad ogni stagione, che faccia rendere sempre più breve il tempo, ed ai bilanci si possa sostituire un pensiero di coccole e leggerezza.
Foto di Umberto Cofini da Unsplash
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