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“Amoglianimali”
Bellezza
Da leggere (o rileggere)
Da vedere/ascoltare
Di tutto e niente
Il desco dei Gourmet
Il personaggio
Il tempo della Grande Mela
Comandacolore
Incursioni
In forma
In movimento
Lavori in corso
Primo piano
Salute
Scienza
Sessualità
Stile Over
Volontariato & Associazioni
Minnie Luongo
Marco Rossi
Alessandro Littara
Antonino Di Pietro
Mauro Cervia
Andrea Tomasini
Paola Emilia Cicerone
Flavia Caroppo
Marco Vittorio Ranzoni
Giovanni Paolo Magistri
Maria Teresa Ruta
Attilio Ortolani
Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com
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Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60
Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.
Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.
Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.
Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA
Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.
MONICA SANSONE VIDEOMAKER
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
-10Generazione F
La natura non è solo una casetta in Canadà “con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà” Editoriale di Minnie Luongo
-13Foto d’autore Fate i fiori! di Francesco Bellesia
-15In primo piano
«Il potere silenzioso delle intenzioni serie» di Amelia Belloni Sonzogni
-22Da leggere (o rileggere)
La memoria del nemico.Perché ci sono voluti duemila anni per scoprire il sistema immunitario (Il Saggiatore 2023) di Paola Emilia Cicerone
-25Riflessioni
Madre Natura scrive sulle ali delle farfalle Di Rosa Mininno
-31Benessere
Stanchezza e stile di vita negli over 50 dalla Redazione
-33Stile Over Salviamo le stelle di Paola Emilia Cicerone
-37Bellezza
Le donne non seguano una irraggiungibile perfezione, ma puntino alla bellezza naturale Professor Antonino Di Pietro
-40Il personaggio Incontro con Jane Goodall di Paola Emilia Cicerone
-43Il desco dei Gourmet
Non solo cibi prelibati, ma anche ottimi vini da Zoppi & Gallotti dalla Redazione
Nel 1957 il testo della canzone presentata a Sanremo ( e arrivata quarta) delineava così il sogno di chi si definiva amante della natura… Da allora molte cose sono cambiate e, soprattutto, abbiamo dovuto prendere coscienza di che cosa sia davvero la natura e dei danni che noi essere umani le abbiamo arrecato . Anche questo Editoriale di maggio ho preferito “passare”, affidandolo alle sapienti considerazioni della nostra collaboratrice Amelia Belloni Sonzogni , che ringrazio di cuore per l’impegno e la passione che riesce sempre a trasmettere con i suoi scritti.
« Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri» ( Goethe) di Amelia Belloni Sonzogni
… e spesso le siamo nemici, nonostante fiumi di inchiostro, lacrime (di coccodrillo) e buone intenzioni che lastricano la via per l’inferno e dell’inferno, quello in cui finiremo tutti, da vivi, come in questi giorni le popolazioni dell’Emilia-Romagna e non solo; è di pochi giorni fa la notizia dell’esondazione del Po nel cuneese e oltre il livello di guardia a Torino. Il Po, lo stesso che è stato filmato in secca per tutto l’inverno. E non è finita perché ci si aspettano frane e smottamenti di un terreno imbevuto di tutta l’acqua che non riesce più ad assorbire. Sempre che noi, alla svelta, non si rinsavisca, o almeno ci si provi.
Lei, la Natura, è stata fin troppo paziente a sopportare una maggioranza umana incurante e devastatrice che invece di rispettare, accudire, assecondare e intervenire per correggere senza deturpare ha infierito, senza criterio, con la supponenza arrogante tipica dell’ignoranza piena di sé. Eppure non mancano filosofi, letterati, studiosi, naturalisti, persino santi che si sono spesi con parole e opere nel tentativo di spiegare e convincere che è meglio, onesto, morale vivere secondo natura, come ammonivano gli stoici, cioè – per loro – vivere secondo ragione, quella dell’uomo virtuoso che riconosce l’armonia dell’universo e vi si adegua.
Ci pensa ancora qualcuno a vivere in armonia con la natura?
E i credenti, ci pensano a vivere in armonia con il creato, il creato da Dio?
Ci vuol tempo per educare le generazioni, si dirà. Certo, perché non ne abbiamo avuto, finora? Sono belli, generosi, attivi i ragazzi sporchi di fango che in questi giorni lo spalano, esattamente come quelli del 1966 a Firenze, o prima – e anche dopo – in occasione delle cicliche alluvioni del Polesine e di tutte le altre che hanno distrutto vite e ambiente.
Apro parentesi: ma non c’era anche un esercito una volta? Un reparto chiamato genio pionieri, pontieri e ferrovieri? Dov’è? Non c’è più? Chiudo parentesi.
Si adoperano tutti, giovani e adulti, per salvare vite e cose; siamo tutti (o tanti) impegnati a mandare soccorsi, versando denaro o spedendo generi di prima necessità o accogliendo animali, ma mi chiedo: quanto nell’atteggiamento quotidiano, nella consapevolezza della maggioranza di tutti noi, me per prima, è stato agito per contrastare, evitare, regolare?
Non chiediamoci ipocritamente: «Ma noi, cosa ne potevamo?»
Ne potevamo e ne possiamo eccome: facendo ognuno la nostra parte ogni giorno, con il nostro stile di vita, per un comune obiettivo.
Quanto negli stili di vita, nei comportamenti comuni, soprattutto in quelli che hanno a che vedere con interessi economici, resta ancora di immorale? Se tutti facessimo la nostra parte, cambiando il nostro stile di vita, forse faremmo del bene a noi stessi (visto che ci si continua a considerare il centro del mondo), al pianeta, alla natura: animali e vegetali.
Ho catturato da un servizio del TG1 Rai questa immagine, che a mio parere mostra, esemplifica e assume valore “omni-animal-comprensivo”:
La proprietaria dell’allevamento di questi riproduttori lamentava la perdita di 4000 esemplari. Sono numeri. E non si fa come gli etologi che pronunciandolo trasformano il numero in nome, il nome in individuo. Sono numeri con una paletta sul becco, installata per evitare che beccando provochino danni economici. Sono solo guadagno.
Quando l’ho visto, non ci ho più visto.
In Emilia-Romagna ci sono, gli allevamenti intensivi. Ci sono ovunque. E, nonostante i tanti interventi per mettere in salvo gli animali, sarà stata un’ecatombe di cui forse non sapremo mai nulla di preciso, anche perché le voci che dicono la verità, quelle che raccontano e dimostrano la realtà nella convinzione «che la tematica ambientale, la giustizia ambientale e umana e animale [siano] interconnesse» (Sabrina Giannini, post FB, 22 maggio 2023), rischiano periodicamente una censura indiretta con la mancanza di budget o il mancato rinnovo dei contratti.
Non so dire meglio di lei: «È sempre questione di giustizia e comportamenti immorali. Giustizia sociale, giustizia ambientale e oggi possiamo anche dire giustizia per quei miliardi di animali che torturiamo, per i selvatici che abbiamo cancellato dal pianeta. In molti non torneranno più. Ma possiamo ancora salvare il poco rimasto. E il Pianeta è più potente di noi, piccoli frammenti arroganti della galassia, e saprà rigenerarsi. Magari dopo migliaia di anni. Ma il pianeta resisterà» (Sabrina Giannini, post FB, 25 aprile 2023).
Non so dire meglio di Carl Safina: «Ogni corvo sa che la terra è un paese solo» ( Al di là delle parole , p.257).
Non so dire meglio della natura che si mostra nelle immagini della cronaca.
N. B. In questo numero troverete alcuni articoli, tratti dal nostro archivio- ossia comparsi in numeri passati di “Generazione Over60”- che magari vi sono sfuggiti e che ci è parso giusto riproporre per parlare al meglio di natura. Buona lettura!
Ecco l’esortazione ironica ma profonda allo stesso tempo che in pochissime parole dice tutto. Esattamente come fa lo scatto del nostro fotografo Francesco Bellesia.
Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.
Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.
Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.
Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
Un lupo in corso Roma, a Levanto: l’immagine legata alla notizia risale allo scorso aprile e si trova qui:
https://www.ilsecoloxix.it/la-spezia/2023/04/08/news/lupi_in_liguria_esemplare_corre_per_levanto_lesperta_no_paura-12743894/ .
Forse qualcuno ricorda il mio cenno all’episodio, al termine del pezzo del mese scorso. Aggiungo solo che tutto lo spavento citato dal titolo del quotidiano non mi pare si manifesti nell’”andare” del lupo, ma è solo la mia impressione.
Al momento, per quanto ne so, ci sono stati altri avvistamenti in altre zone più periferiche; per fortuna, non si è verificato nessun incidente, nessun intervento “umano”.
Non è certo una novità vedere animali selvatici nei centri abitati, purtroppo; purtroppo per loro, gli animali selvatici, che non possiedono armi per difendersi da trappole, veleni, fucili di chi prima li stermina, poi li reintroduce, quindi li teme, per cui li uccide. E il circolo vizioso, marcio direi, non finisce mai.
Non ho mai incontrato un lupo e non ho idea di quali potrebbero essere le mie reazioni istintive; credo, con ragionevole certezza, che la paura non sarebbe tra quelle. Credo che la gioia dell’incontro mi aiuterebbe a
controllare qualsiasi moto inconsulto. Non ho mai visto un lupo dal vivo, ma se capitasse vorrei che potessimo guardarci negli occhi anche se so – e me lo ricordano le pagine di cui vorrei parlare – che un lupo ti trapassa con lo sguardo perché guarda attraverso , guarda al di là di te, guarda l’uomo per prendere nota della sua presenza e catalogarlo Poi se ne disinteressa, non gli serve .
Non ho mai visto un lupo dal vivo. Solo immagini, documentari, brevi filmati realizzati con le fototrappole e, da piccola, la meravigliosa storia di San Francesco e il lupo mi ha affascinato più di mille fiabe e almeno quanto i libri letti in seguito.
Tra quelli di più recente ri-lettura, uno mi ha letteralmente conquistato e fatto riflettere sul «potere silenzioso delle intenzioni serie» di chi non usa le parole per comunicare o dimostrare o convincere ma agisce. Gli animali sono esempi meravigliosi di questo assunto, perché loro sanno andare al di là delle parole e sono capaci di gesti importanti, significativi.
Al di là delle parole è il titolo del libro di Carl Safina , dai cui ho tratto (p.145) la frase tra virgolette per farne il titolo di questa nota a margine.
Diviso in tre parti – dedicata la prima agli elefanti, la terza alle orche – in quella centrale, L’ululato dei lupi (pp . 213-360), racconta dei lupi della Lamar Valley, nel parco nazionale di Yellowstone, seguiti ogni giorno, dai primi anni 2000, da uno studioso dei lupi alfa, Rick McIntyre. Con lui, e con altri studiosi, Carl Safina si apposta e li osserva.
Il racconto non è tale da poter essere riassunto, per la semplice ragione che si toglierebbe il piacere della lettura e della visione. Uso il termine visione intenzionalmente, perché leggendo ci si trova immersi, in tridimensionale, nella savana (con gli elefanti), nelle acque degli oceani (con le orche) e appostati a scrutare i crinali per seguire le piste di questi meravigliosi esseri viventi e senzienti e anche – è dimostrato nel libro – ragionanti.
Prima di tutto, Safina ricorda Jane Goodall, che si vide respingere dagli Annals of the New York Academy il primo articolo scientifico sugli scimpanzè perché aveva chiamato gli animali per nome e non per numero.
Jane Goodall rifiutò di usare it (esso) al posto di he (egli) o she (ella).
Gli animali – non solo quelli di affezione cui diamo un nome, che registriamo negli archivi dei pubblici uffici, che dotiamo di un libretto sanitario, che amiamo e curiamo come familiari, di cui sentiamo la mancanza quando muoiono – sono individui, con una precisa identità, con relazioni e personalità.
«Un lupo è un chi – un soggetto» dice Safina, che conta quando è vivo e conta quando è morto perché la sua assenza modifica le regole del gruppo.
Per dimostrarlo, racconta la storia di un super lupo, «il più famoso di Yellowstone: il suo nome era Twenty-One» .
21, un numero, ma se lo consideri un chi, il numero diventa nome: Twenty-One non perse mai un combattimento, non uccise mai un lupo sconfitto, si dimostrò perciò magnanimo, impressionando il resto del branco e i rivali con la propria potenza: una forza e un autocontrollo che ne elevarono lo status. Seppe fingere. Sfamò i propri cuccioli e si occupò in particolare di quello malaticcio. Decise anche dove e come morire, a nove anni.
Chissà per quale motivo il lupo che andava in corso Roma a Levanto era solo.
Un individuo può essere allontanato dal proprio branco e costretto a vivere solo, fino a quando crea a sua volta una coppia e quindi un branco. Sono molte le ragioni che spingono i branchi a formarsi e disfarsi: questioni di individualità forti, incapaci di coabitare, di sviluppo di caratteri distintivi per ogni branco e desiderio di andare, di difendere il proprio spazio, di formare un nuovo gruppo familiare con cui cooperare, specie nella caccia alle prede.
E quanto è diverso dal maschio alfa umano un lupo alfa!
Dotato di una tranquilla autostima, non è aggressivo: di fronte a lui i rivali si sottomettono o se la squagliano, dà l’esempio, è l’esempio. E il branco lo osserva, lo analizza, lo valuta: ne soppesa la personalità che plasma a sua volta l’intero branco, in cui possono emergere anche femmine alfa. Nipote di Twenty-One, OhSix (perché nata nel 2006) ad esempio, «superlativa cacciatrice e maestra di caccia», diede vita a un proprio branco. Morì uccisa, da un umano, nonostante il radiocollare.
Metafore del selvaggio, i lupi – ipotizza Safina – sono tanto temuti dall’uomo perché considerati quasi una tribù rivale, una banda di ladri: storicamente perseguitati, bruciati, impiccati, avvelenati. Con l’intento di farli soffrire. Non solo nel Medioevo e soprattutto nella civiltà occidentale che associa a tale comportamento anche il disprezzo per l’animale che caccia: pare quasi «odio razziale».
È sempre brutta la predazione, ma restituisce routine e l’abitudine – diceva Hume – è uno dei principi della Natura, che non usa fucili, però Né tanto meno utilizza lo scherno
«Quello che stiamo seguendo non sono soltanto lupi . Sono le loro storie » e i lupi le raccontano con gli ululati che Safina chiama «musica lupina».
Mi capita talvolta di soffermarmi a guardarli e ascoltarli sul sito web del Wolf Conservation Center : io mi incanto e il mio cane drizza le orecchie, gira la testa con inclinazione interrogativa. Musica, davvero, che traduce le loro parole mancanti: «i lupi non hanno parole. Hanno, però, riconoscimento, motivazione, emozione, immagini mentali, una mappa mentale del loro territorio, un albo della loro comunità, un archivio di ricordi e di abilità apprese, e un catalogo di odori con abbinati, quali definizioni, i relativi significati». Parlano quindi, ululando tra loro anche per più di un’ora. Il suono delle loro chiacchiere è tanto più gradevole di certe voci umane sgraziate, becere e assordanti, magari utilizzate per dire parole insensate, o peggio.
Nei lupi, Safina dice di aver percepito «dei cani che si autogovernano e colgono l’occasione per crescere e assumersi la responsabilità della propria vita», di cui diventano padroni, migliori amici di se stessi. L’interazione con l’uomo ne portò alcuni a concentrarsi sugli esseri umani per sfruttarli come risorsa, tanto da domesticare se stessi, propagando geni che promuovevano comportamenti amichevoli.
Comprendo gli spaventi, immagino il dispiacere di chi subisce un danno dalla razzia di un lupo, ma penso che
alla leggenda di San Francesco debba essere data la possibilità di attuarsi, anche perché è capitato: «L’esilio dalla natura, associato alla modernità, un esilio autoimposto, sembra aver deteriorato un’antica capacità umana di riconoscere la mente in altri animali. Eppure, può sembrare che gli altri animali riconoscano invece la mente degli umani»: a sostegno di questa affermazione, è citato da Safina l’esempio di equilibrio do ut des tra le tigri siberiane dell’Amur e i cacciatori udege e nanai, rotto dall’arrivo e dalla predazione indiscriminata e avida dei coloni russi. Le conseguenze della violazione di quel patto, di quel difficile equilibrio tra potere e rispetto, ne dimostrano l’esistenza stessa e testimoniano quanto le tigri, nel caso specifico, siano vendicative. E ho visto di recente un servizio sul falco grillaio che nidifica a Matera, sotto le tegole delle case dei Sassi, in una meravigliosa coabitazione.
Scrivo queste righe nel giorno di una dichiarazione del pontefice quanto meno discutibile, di sicuro a mio parere desolante, sui cani e sulle persone che li adottano. E mi appaiono immensi gli animali.
E ritengo degne di maggiore rispetto, soprattutto da parte sua, le persone che li considerano figli e/o familiari, se ne prendono cura, costruendo un «carrello» per consentire loro di camminare se disabili o, pur di raggiungere qualcuno in cui credono, li portano con sé, in una borsa, per salvaguardarli da possibili incidenti tra la folla. Forse sta proprio lì l’errore: l’averli portati da qualcuno e in un luogo che non se li meritano.
Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
E’ un libro di scienza, questo scritto da Arnaldo D’Amico, medico e giornalista, per raccontare la scoperta del sistema immunitario. Ma si legge come un romanzo che parla di guerre, di avventure e di viaggi, come se Salgari avesse momentaneamente abbandonato i suoi pirati per raccontare avventure che si svolgono nei laboratori o nelle aule universitarie . Quello che propone l’autore è un vero e proprio viaggio attraverso le epidemie che hanno colpito la nostra specie fin dalla notte dei tempi Un’occasione per ricostruire le ragioni - storiche, politiche, geografiche - che ne hanno favorite la diffusione e le intuizioni che hanno
contribuito a debellarle ma anche le difficoltà ad affermare le intuizioni della scienza .
Scopriamo così, per esempio che a salvare l’Europa dalla peste - ancora presente in diverse zone del mondo - è stata la sparizione dei ratti neri che trasmettevano il contagio, sostituiti da una specie più resistente di ratti grigi, le cui pulci però sono meno aggressive nei confronti degli umani rallentando la diffusione della malattia. E ripercorriamo l’avvento delle norme igieniche, come la diffusione del sapone, di cui Pasteur fu un illustre sostenitore, o l’attenzione per gli acquedotti che segna - con le ricerche di John Snow a Londra- la nascita della disciplina che oggi chiamiamo epidemiologia.
Il racconto comincia con lo scorbuto, un’epidemia anomala debellata da un’alimentazione corretta prima ancora di scoprire le vitamine la cui carenza era la vera causa del male. Per poi proseguire con i diversi flagelli, dalla peste - e non si può non parlare della Colonna Infame - alla lebbra al colera . Per chi pensasse che la pandemia da cui stiamo uscendo sia stata un flagello senza precedenti, è l’occasione per mettere le cose in prospettiva: le epidemie da milioni di morti purtroppo non sono una novità, e non lo sono neanche le resistenze alle innovazioni. I no vax esistono da quando si è cominciato a parlare di vaccino, e nel tempo ci sono stati anche quelli che si sono opposti all’idea che le malattie fossero causate da microorganismi che i primi microscopi permettevano di cominciare a studiare, e non da miasmi o mal aria”. D’Amico racconta i medici calunniati -come Vesalio nel sedicesimo secolo - per aver tentato di affermare il metodo scientifico e combattuto pratiche come il salasso che ha fatto da solo più vittime di molte epidemie. Sono loro i protagonisti di questo libro insieme ad aristocratici, viaggiatori e avventurieri, perché la storia delle epidemie è anche, lo scopriamo qui, la storia dell’umanità.
Un quadro in cui il sistema immunitario e la scoperta della sua capacità di ricordare i patogeni con cui è venuto in contatto entra in scena tardi . Siamo a oltre metà del volume, e agli inizi del ‘900, quando arrivano i nostri - i tedeschi Emil von Behring e Paul Ehrlich - e l’immunologia comincia ad affermarsi come una disciplina da Nobel A questo punto non resta che raccontare la più difficile delle battaglie, quella contro la malaria che ancora oggi è tutt’altro che conclusa. E che, nell’Italia d’inizio ‘900, ci aiuta a riflettere su quanto sia importante, per il successo di una campagna di prevenzione, tenere in considerazione le esigenze dei pazienti e il loro stile di vita: ricordando per esempio che è inutile indicare orari di somministrazione di un farmaco a persone che non hanno orologio. E poi c’è la battaglia vinta, quella contro il vaiolo, di cui D’amico racconta i primi tentativi di variolazione - Jenner è solo uno dei protagonisti - rappresentante di un movimento assai più vasto, fino ai recenti dubbi sull’opportunità di mantenere il virus nei laboratori per far fronte a possibili nuove epidemie. Perché non c’è dubbio che la globalizzazione, la sovrappopolazione e la distruzione degli ambienti naturali continueranno a metterci in contatto con nuovi patogeni, e che nei laboratori si continuerà a lavorare per sostenere il nostro sistema immunitario con armi efficaci.
Di Rosa Mininno– psicoterapeuta, fondatrice di Sibilla (Scuola italiana di biblioterapia, del libro, della lettura e delle arti)
Ho scelto un titolo poetico, ma in natura esiste davvero un alfabeto scritto sulle ali delle farfalle: l’ha scoperto, in lunghi e pazienti anni di ricerche, un autore e fotografo naturalista norvegese , Kjell Bloch Sanved. Che ha scoperto anche altro: sulle ali delle farfalle la Natura non ha scritto solo lettere ma anche i numeri da 0 a 9. E’ stupefacente e bellissimo.
Sono lettere e numeri dai colori meravigliosi, forme chiare che il nostro cervello “riconosce” su quelle ali . Ricordo che quando vidi per la prima volta le foto di questa ricerca (potremmo mettere il link al suo sito, https://butterflyalphabet.com/) contenute nel libro L’alfabeto delle farfalle di Kjell Bloch Sandved, lo stupore, la gioia per tanta bellezza mi riempirono gli occhi e la mente. Così fu anche per i meravigliosi “alberi arcobaleno “ che la mia mente di bambina aveva solo fantasiosamente immaginato, e che invece esistono nella realtà , anche se solo nelle regioni tropicali come le Filippine, l’Indonesia, la Papua-Nuova Guinea: stiamo parlando dell’ Eucalyptus deglupta , imponenti alberi che perdendo la corteccia in strisce verticali assumono col tempo a contatto con l’aria colori vivaci che vanno dal verde brillante al giallo, al rosso, al marrone, al blu, offrendo a chi li guarda uno spettacolo stupendo per bellezza e unicità.
Immagini come queste ci ricordano che la Natura ha un potere salvifico , e che il nostro rapporto con lei deve essere rispettoso perché tanta perfezione ci ricorda la nostra imperfezione, la nostra limitatezza.
In Natura ritroviamo la matematica, la geometria, la fisica . Vivono nei numeri di Fibonacci, nella sezione aurea della conchiglia del Nautilus, ma anche in una rosa. La disposizione dei petali del fiore obbedisce a una regola ben definita basata sul rapporto aureo, così come le spettacolari spirali orarie e antiorarie dell’inflorescenza del girasole richiamano i numeri di Fibonacci.
Anche i frattali sono presenti in Natura . Frattale è un termine che risale solo al 1975, coniato dal matematico Benoit B. Mandelbrot nel suo saggio The fractal Geometry of Nature per definire un oggetto geometrico che si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse Nel suo libro Maldelbrot propone molti esempi: grazie a lui sappiamo che anche in un cavolfiore troviamo i frattali. E’ stupefacente come la Natura si faccia “leggere” attraverso quelle che ci sembrano solo aride formule matematiche o fisiche e figure geometriche . Invece è proprio grazie a queste rappresentazioni grafiche che possiamo capire la sua potenza, la sua vita, la sua bellezza, e stupirci ogni volta guardando un arcobaleno meraviglioso dopo la pioggia. Le leggi fisiche sul comportamento della luce che attraversa l’aria incontrando le gocce di pioggia ci spiegano la sorprendente immagine che abbiamo di fronte, che pure ha una formula fisica.
E’ di una tale spettacolarità, l’arcobaleno, che a qualsiasi età ci stupiamo a guardarlo , e da sempre esistono miti e fiabe che gli attribuiscono poteri e collocano nel punto dove nasce favolosi, introvabili tesori .
Anche Leonardo da Vinci nei suoi Codici ci ha lasciato studi anatomici, studi sulla natura, su ogni aspetto della vita umana, persino sul desiderio di librarsi in volo come gli uccelli : a colpirci non è solo la bellezza dei suoi disegni, ma anche la sua capacità di indagare il rapporto dell’uomo con la Natura . Ma c’è un altro importante contributo che la Natura ci consegna, e spetta a noi saperlo accogliere e farne tesoro : il suo potere terapeutico .
Oggi sappiamo che la Natura ci cura e ci salva, ridimensiona le nostre emozioni oppresse da malesseri e disagi psicofisici, restituendo loro spessore e colore. Entra nel nostro corpo con ogni respiro, e spetta solo a noi respirare ossigeno e non fumi tossici. Ci nutre nel corpo e nella psiche. La sua intelligenza è visibile dovunque: nelle piante, negli animali, nei minerali, in noi stessi che siamo parte del tutto. Quello in cui viviamo è sistema circolare, al quale è impossibile sottrarsi. Ma guai a trattarla male: diventa violenta e ci fa paura . Dunque rispettiamola, amiamola, teniamola stretta a noi perché senza di lei non viviamo . E’ un concetto che ha enunciato molto bene il noto naturalista Richard Mabey in un suo libro - Natura come cura. Un viaggio fuori dalla depressione (Einaudi 2010)- che insieme ad altri inserisco nei percorsi di biblioterapia integrati in psicoterapia. Questo saggio è un’acuta, profonda testimonianza del valore relativo e al contempo assoluto dell’essere umano, della bellezza e dell’armonia della terra, della creatività salvifica dell’empatia con la stessa Natura, personificata, abitata, vissuta. Un’altra lettura che suggerisco è Mitologia degli alberi. Dal giardino dell’Eden al legno della croce (Bur Saggi 1994), un bel libro dello scrittore psicoanalista e giornalista Jacques Brosse che ci ricorda i miti legati alle diverse piante, dalla quercia, al pino, al noce, al frassino, all’ulivo, alla vite, al melo, al cipresso e a tanti altri. E ricorda anche che la distruzione delle foreste del pianeta non procura solo gravi danni ecologici, ma anche la distruzione e la scomparsa di un prezioso patrimonio dell’umanità.
In Natura esiste un equilibrio, e se si spezza l’intero sistema viene meno . Invece dobbiamo proteggerlo perché la nostra esistenza, come quella della Natura, è preziosa ed è una sola, solo questa. Perché quella del passato non c’è più e quella del futuro dipende da noi, da ciò che saremo capaci di fare.
A cura della Redazione
A ogni età, i pilastri portanti della salute e dell’efficienza psicofisica sono un’alimentazione varia e bilanciata, in grado di soddisfare il fabbisogno calorico individuale e assicurare un sufficiente apporto di tutti i micronutrienti necessari, più un’attività fisica aerobica moderata e regolare, finalizzata a mantenere una buona massa muscolare e un’elevata capacità cardiopolmonare.
Dopo i 50-60 anni, lo stile alimentare deve essere rimodulato tenendo conto del minor fabbisogno calorico complessivo (a causa del rallentato metabolismo e del minor dispendio energetico), della costante necessità di rifornimento proteico (a tutela della massa magra) e della maggiore richiesta di alcuni micronutrienti essenziali.
Tra questi ultimi, quelli da tenere nella massima considerazione nell’ottica di contrastare la stanchezza e
tutelare l’efficienza fisica sono le vitamine del gruppo B (che supportano la produzione di energia dagli alimenti, la formazione dei globuli rossi, la funzionalità neurologica e il rinnovamento cellulare), la vitamina D (indispensabile, assieme a calcio e fosforo, per la salute e la resistenza delle ossa) e le sostanze ad attività antiossidante (vitamine A, C, E, polifenoli vegetali, zinco, selenio ecc.).
Per questo, può essere consigliabile integrare la dieta con preparati a base di vitamine (in particolare quelle del gruppo B) e altri micronutrienti essenziali, caratterizzati da un’azione antiossidante (in particolare, vitamine A, C ed E, polifenoli, zinco e selenio).
Un esempio è il Supradyn® Ricarica 50+ (leggere sempre le avvertenze prima dell’utilizzo), specificamente formulato per sostenere il benessere e la vitalità degli over 50 grazie ai suoi componenti che giocano un ruolo chiave nel metabolismo energetico e nella produzione di energia Prima di ricorrere a questi rimedi è, tuttavia, sempre necessario verificare con l’aiuto del medico quale sia l’esatta causa della stanchezza lamentata, per escludere che alla sua origine vi siano patologie meritevoli di terapie specifiche e per poter pianificare l’approccio «rivitalizzante» più appropriato, compatibilmente con l’età e con lo stato di salute generale
Un altro accorgimento chiave contro la stanchezza riguarda l’assunzione di liquidi che, in assenza di controindicazioni mediche specifiche, deve essere abbondante (almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno in autunno-inverno e anche di più in estate) per contrastare la tendenza alla disidratazione tipica degli anziani. A riguardo, va ricordato che stati di disidratazione relativa in età avanzata, oltre che indurre stanchezza fisica, possono dare luogo a sintomi neurologici erroneamente riferiti alla depressione o al declino cognitivo, nonché far precipitare situazioni cliniche già compromesse.
Per quanto possa sembrare paradossale, poi, dopo i 50 anni, l’esercizio fisico aerobico è cruciale per prevenire e contrastare l’affaticamento perché soltanto un organismo allenato e con una massa muscolare soddisfacente e “reattiva” può disporre delle risorse necessarie per affrontare gli impegni quotidiani, reagire bene agli sforzi e recuperare in modo efficiente dopo il lavoro muscolare.
L’esercizio regolare è, inoltre, fondamentale per tutelare la salute cardiovascolare ed è raccomandato a qualunque età, sia in un contesto di prevenzione primaria sia in persone affette da patologie cardiovascolari o metaboliche croniche (ipertensione, insufficienza cardiaca, diabete di tipo 2, aterosclerosi ecc.) e/o che hanno già sperimentato un evento cardiovascolare acuto (infarto miocardico, ictus cerebrale, trombosi ecc.).
Durante l’invecchiamento, muoversi ogni giorno e/o praticare uno sport non troppo impegnativo almeno 2-3 volte alla settimana (ginnastica dolce, aquagym, nuoto, yoga, cyclette ecc.), è importante anche per preservare un buon controllo neuromuscolare e l’equilibrio: altri due aspetti cruciali per sentirsi “padroni del proprio corpo” e tutelare funzionalità e autonomia il più a lungo possibile.
www.Bayer.it
Anche fisiologicamente, come dimostrano molte ricerche, l’oscurità notturna serve agli esseri viventi (umani e non)
Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
Una famiglia davanti ad un cielo stellato
(Credit: Cortesia Mario Borghi per la Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS)
In questi giorni di fine dicembre, indipendentemente dal nostro credo religioso, celebriamo la luce. Quella delle giornate che lentamente cominciano ad allungarsi, delle lucine colorate e delle candele che spuntano un po’ dappertutto, della cometa che ha guidato i Magi alla grotta di Betlemme e oggi fa bella mostra di sé nei nostri presepi. E forse ci capita di alzare gli occhi al cielo più spesso del solito, ricordando che nelle giornate terse anche i cieli invernali possono essere belli.
Tracce stellari ( Credit: Nikki Miller per la Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS/European Southern Observatory )
La verità purtroppo è che i nostri cieli stellati stanno scomparendo, inghiottiti dall’inquinamento luminoso che rende impossibile all’80% della popolazione mondiale di vedere le stelle. Un fenomeno denunciato recentemente dall’antropologa Irene Borgna un bel libro, Cieli Neri (Ponte alle Grazie 2021), che racconta la caccia ai luoghi in cui il cielo si vede ancora, e la storia di chi si impegna per proteggerli Come l’’associazione, Cielo Buio, coordinamento per la protezione del cielo notturno https://cielobuio.org/ che raccoglie informazioni e iniziative a tutela dell’oscurità . Non si tratta dell’iniziativa di pochi romantici. Fisiologicamente l’oscurità notturna serve agli esseri viventi, umani e non: un numero crescente di ricerche segnala i danni dovuti all’eccesso di luce, dall’alterazione dei cicli vitali alle fioriture precoci, ai danni alle popolazioni di farfalle notturne e uccelli migratori, senza contare le ricadute sulla nostra salute. E forse anche sulla nostra serenità.
Che cosa diventeremo senza stelle? Basta visitare la pagina Facebook di Cielo Buio per renderci conto di come solo pochi decenni fa la Via Lattea forse assai più visibile . Forse non vale la pena di rinunciare, anche considerato che è possibile conciliare un’illuminazione efficace e sicura con la tutela del cielo stellato E paradossalmente proprio nell’illuminatissima Lombardia - una macchia chiara nelle carte che mostrano
l’illuminazione notturna - è stata approvata nel 2000 una legge sull’inquinamento luminoso considerata ancora oggi valida, e che se applicata correttamente permetterebbe i ridurre i danni . Anche se le fonti luminose continuano ad aumentare, senza dimenticare la luce proveniente da strutture private, come i centri commerciali, o i cartelloni pubblicitari illuminati da luci sparate verso l’alto che in teoria sarebbero proibite
Il rischio insomma è che lo spettacolo meraviglioso che ha accompagnato i nostri antenati vada perso per sempre . Personalmente, ricordo ancora con emozione una notte stellata nel deserto marocchino, vista una ventina di anni fa proprio in una notte d’inverno: uno degli spettacoli naturali che mi porto nel cuore. Per fortuna, in diversi Paesi stanno nascendo Parchi delle stelle: aree protette, spesso vicine a osservatori astronomici , dove è possibile ammirare la volta celeste, oltre a partecipare a varie iniziative didattiche e divulgative. Un’opportunità di gite turistiche alternative che attira sempre più appassionati, come avviene in Valle d’Aosta dove nel settembre 2020 è nato il primo parco delle Stelle italiano a Saint-Barthélemy, dove sorge l’osservatorio astronomico della Regione gestito dalla Fondazione Clément Fillietroz ( www.oavda.it ).
E’ la Fundación Starlight dell’Instituto de Astrofísica de Canarias a rilasciare la certificazione Starlight Stellar Park, riconosciuta dall’Unesco, ai siti che offrono la possibilità di ammirare il cielo (per conoscerli www. fundacionstarlight.org ).
Grazie al progetto “EXO / ECO Esopianeti Ecosostenibilità -Il cielo e le stelle delle Alpi, patrimonio immateriale dell’Europa” l’osservatorio valdostano ha potuto realizzare interventi per illuminare le zone abitate vicino all’osservatorio, mantenendo buio il cielo e garantendo la visibilità delle stelle a occhio nudo e col telescopio, in modo da offrire specialmente a chi vive in città la possibilità di osservare per la prima volta la Via Lattea . E da poco è nato un secondo Stellar Parc italiano in Sicilia, presso il centro internazionale per le Scienze Astronomiche Gal Hassin del comune di Isnello (Palermo ) https://galhassin.it/ . E per fortuna sono sempre di più le iniziative mirate a restituirci le stelle: pochi giorni fa si è svolta in Olanda la performance dell’artista Daan Roosegaarde, che in collaborazione con UNESCO ha chiesto alla sua città, Franeker, di spegnere le luci per una notte per rendere visibile il cielo stellato. Il risultato potete vederlo qui www.youtube. com/watch?v=VESOBfcAk2c
L’isola di Niue, nell’Oceano Pacifico, è il primo Paese al mondo ad essere classificato come “nazione dal cielo buio”. I cieli oscuri permettono una visione chiara e incontaminata delle stelle e, dato che l’80% delle terre emerse è inquinato dalle luci artificiali, sono molto rari.
Professor Antonino Di Pietro – dermatologo plastico
http://www.dermoclinico.com
In questo numero del magazine dove la donna è protagonista, forse nessuno ne sa parlare- perché la sa apprezzare sul serio- come il professor Antonino di Pietro.
Inaugurammo la sua prestigiosa collaborazione con GenerazioneOver60 proprio con una pagina in cui spiegava che cos’è la bellezza naturale.
Qui riportiamo un ricordo personale dell’esperto, da lui citato spesso, che –ancora una volta- ci esorta a non rincorrere il mito, falso, della perfezione.
“ La perfezione è sempre sinonimo di bellezza? E la bellezza cos’è? Ricordo qualche anno fa – a un congresso di medicina estetica – la relazione di un medico che sosteneva animatamente come un viso, per essere bello, dovesse essere perfettamente simmetrico. Il relatore consumò molto del suo tempo a elencare quanti centimetri dovessero esserci tra la punta del naso e l’orecchio, tra l’occhio e il mento ecc. Terminò mostrando facce perfette, frutto di elaborazioni digitali , apparentemente belle ma irreali, facce da alieni senza una piega e con lo sguardo fisso.
Ricordo che, al termine di quella relazione, presi la parola e spiegai il mio disappunto. «Un viso troppo perfetto, con tutte le misure ai posti giusti», sostenni, «è freddo, algido,
non scatena amore e non crea attrazione fisica. Io non riuscirei a innamorarmi perdutamente di una statua greca pur ammirandone la perfezione, le forme e le simmetrie, non sarei mai tentato di baciarla o abbracciarla .
Io credo che la bellezza di un uomo o di una donna sia l’emozione che trasmettono le imperfezioni , quei difetti non prevedibili che scopri osservando e riosservando il suo viso . Difetti che ci rendono unici, simpatici o antipatici e che alla fine ti fanno piacere a chi ti sceglie e decide di amarti per come sei . È giusto (anzi è un dovere) darsi da fare per mantenersi in forma e offrire il meglio di sé anche dal punto di vista estetico, ma un buon medico deve puntare sull’armonia e la naturalezza, senza forzature estreme, senza trasformare o modificare i lineamenti e l’espressione».
Proteggere, nutrire, rinnovare, rigenerare
Quando finii di parlare ci fu un attimo di silenzio ma, subito dopo, l’applauso di molti colleghi mi fece capire che potevano esserci ancora buone possibilità per salvare la «bellezza autentica» !
Mostrare la propria carta d’identità non deve essere un tabù!
Una lezione imperdibile sull’ambiente tenuta a Milano dalla nota primatologa ottantottenne Jane Goodall, seguita con entusiasmo da un pubblico di tutte le età
Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
Ci sono incontri che emozionano. E per me tra questi c’è stata certamente l’opportunità di vedere e ascoltare Jane Goodall in occasione della sua venuta a Milano a fine ottobre. Un incontro dal titolo Esseri senzienti La ragioni di una speranza, organizzato dall’Unione Buddista Italiana per celebrare l’impegno della primatologa in difesa dell’ambiente e di tutte le creature viventi . E , acclamata come una star da un pubblico di tutte le età che ha fatto la coda per avere la gioia di ascoltarla, Goodall ha parlato a braccio in piedi per quasi quaranta minuti con una lucidità che smentisce i suoi ottantotto anni
Che questa donna minuta sia fragile solo all’apparenza lo conferma la sua esperienza, brevemente sintetizzata
nel discorso . “Fin da bambina amavo la natura, passavo ore per cercare di vedere una gallina deporre le uova”, racconta . “Poi i miei genitori mi regalarono uno scimmiotto di pezza che ho amato moltissimo» . Il pupazzo, ribattezzato Jubilee, trova ancora posto sulla scrivania londinese della Goodall.
Ma la strada per diventare una primatologa non è stata facile per una signorina di buona famiglia priva della necessaria formazione accademica : “Devo tutto a mia madre”, racconta Goodall. “A dieci anni, quando le dissi che avrei voluto andare in Africa a studiare gli animali, mi rispose che avrei dovuto darmi da fare, e ce l’avrei fatta. E fu ancora lei che mi accompagnò nella mia prima trasferta al parco di Gombe”. Cominciò così l’avventura al seguito di Luis Leakey, il celebre antropologo che insieme alla moglie e collega Mary Leakey fu maestro e mentore delle tre primatologhe più celebri di tutti i tempiun terzetto che lo stesso Leakey aveva ribattezzato
Trimates -: la stessa Goodall, Dian Fossey che studiò i gorilla in Ruanda dove fu assassinata nel 1985, e Biruté Galdikas che si è occupata di oranghi.
Goodall ha dovuto superare vari ostacoli laureandosi quando già svolgeva ricerche: “Le mie idee sul fatto che gli scimpanzé avessero una loro personalità e fossero in grado di provare sentimenti furono duramente criticate”, ricorda.
Ma i suoi studi sulle interazioni familiari e sociali degli scimpanzé selvatici sono proseguiti per oltre sessanta anni - la più lunga ricerca di questo tipo mai realizzata - e oggi ci sono pochi dubbi che gli umani non siano gli unici esseri senzienti del pianeta , “e non parlo solo di scimpanzé”, osserva la primatologa. Che ci ricorda come noi umani non siamo separati dal regno animale: “ Vivendo nella foresta mi sono resa conto della nostra interconnessione con la natura e con le creature viventi”, sottolinea. “ Dobbiamo renderci conto che anche noi dipendiamo dall’ecosistema: se il pianeta collassa - come sta succedendo ora- anche noi ci perdiamo ”. Un messaggio che ha contribuito e contribuisce a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti dei viventi. Goodall non usa mezzi termini, la voce è pacata e il volto sorridente ma le parole sono durissime: ”Una specie intelligente, come noi diciamo di essere, non distruggerebbe il proprio habitat come stiamo facendo con l’inquinamento, i combustibili fossili e gli allevamenti intensivi: non possiamo continuare a comportarci come se le risorse del pianeta fossero illimitate, perché non è così “.
Un impegno ambientale che include l’attenzione per le comunità umane, “perché non possiamo pensare di salvare l’ambiente se la povertà spinge le persone a distruggere l’ambiente per sopravvivere”, ricorda
Goodall: “ La buona notizia è che per ogni problema che ho menzionato, e anche per quelli che non ho menzionato, ci sono persone che si impegnano per risolverli ”.
E gli ultimi passaggi del suo intervento sono dedicati alle sue “creature”, l’Istituto Jane Goodall, ( www. thejanegoodallinstitute.com/ )creato nel 1977 per diffondere per la ricerca, l’educazione e la conservazione delle grandi scimmie antropomorfe, e oggi presente in venticinque paesi tra cui il nostro (www.janegoodall.it/ ) e Roots & Shoots (Radici e Germogli), un programma dedicato ai giovani nati nel 1991 per trasmettere l’idea che il loro impegno civico, anche a livello locale, può contribuire a creare un mondo migliore : “ Troppo spesso vedo ragazzi scoraggiati, depressi, ho pensato di creare un programma per spingerli a fare qualcosa nella loro comunità, a partire da quello che hanno intorno”, spiega Goodall. “In questo modo si sentiranno meglio e saranno spinti da fare di più e a coinvolgere altri. E questo può fare la differenza”. Ed è un invito che ci riguarda tutti: “Abbiamo fatto un casino in questo pianeta, dobbiamo rimboccarci le maniche, pensare all’impronta ecologica delle nostre azioni, dei nostri acquisti : se stiamo pensando di comprare qualcosa che costa poco perché sfrutta qualcuno, lasciamolo lì ”, ricorda Goodall prima di chiudere il suo intervento in uno scroscio di applausi, con un invito ripetuto in coro dai presenti “Together we can. Together we will”.
Informazione promozionale
A cura della Redazione
I clienti della rinomata ditta Zoppi & Gallotti già lo sanno, ma è meglio ricordarlo: in via Cesare Battisti a Milano non si vendono solo prelibatezze culinarie, ma anche ottimi vini pe accompagnarle.
Il prossimo mese daremo la parola a Carlo Gallotti per illustrarci un prodotto particolare, ma per i vini l’esperto è Giuseppe Zoppi : “In effetti li abbiamo sempre venduti; quando nel lontano 1984 abbiamo rilevato il locale da Marchesi ne abbiamo trovati alcuni, ma abbiamo arricchito l’assortimento con bianchi, rossi, spumanti… “
E con la passione che lo contraddistingue ci conduce nell’ampio spazio dedicato al nettare degli dei , dove le bottiglie sono disposte sugli scaffali in ordine meticoloso, anche a seconda del luogo di provenienza: “ La vita va affrontata con passione, in tutto ciò che facciamo- rimarca infatti Zoppi- ed è naturale che anche per vendere una bottiglia di vino ci si debba impegnare . Ecco perché quando acquisto un prodotto voglio sempre prima visitare l’azienda, specie quando si tratta di piccole aziende o aziende non abbastanza conosciute”.
“Già, perché è facile vendere un Dom Pérignon o un Cristal (che pure teniamo), ma è possibile bere champagne ottimi senza spendere cifre per molti proibitive. Per esempio, noi importiamo direttamente due champagne- “Deutz” e Boizel”- da aziende che prima, come mia abitudine, ho voluto visitare”.
Ancor prima dell’azienda Giuseppe Zoppi ci rivela di voler conoscere personalmente il titolare. A questo proposito ci racconta di quando incontrò Alvaro Pecorari, il titolare di “Lis Neris”, una cantina importante e dalla lunga storia della terra friulana che produce un eccezionale vino bianco (e non solo) . Ormai, a livello internazionale, i vini Lis Neris sono considerati eccellenti espressioni della terra di confine nei pressi di Gorizia, nelle valli dell’Isonzo ma anni fa quando Zoppi ebbe visitato l’azienda e dopo aver parlato per un paio d’ore con il titolare, al momento in cui questi lo invitò ad assaggiare il prodotto, lui rispose semplicemente che non ce n’era bisogno: aveva visto e saputo tutto ciò che gli occorreva per essere sicuro di ciò che Zoppi & Gallotti andavano ad acquistare.
E se volete un consiglio, non esitate a domandare. “ In questo caso- sottolinea Giuseppe Zoppi- la prima domanda che pongo al cliente è Questo cibo a che cosa vuole abbinarlo? Faccio un esempio: un arrosto richiede un vino rosso ma leggero, poco alcolico, a differenza delle carni rosse che vanno d’accordo con un vino più corposo e con una gradazione alcolica maggiore”.
E oggi che si abbina il rosso anche con il pesce, come comportarsi? “Non sono assolutamente contrario : per esempio, vini rossi freschi (mai gelati ! ) si sposano bene con alcuni pesci, il guazzetto in primis Mentre per i
formaggi consiglierei, al posto dei tradizionali rossi, un Ménard, vino bianco francese- Cotes de Gascogneche, molto morbido e profumato, ti seduce e ti cattura… quasi come può fare una donna”.
La raccomandazione principale resta sempre una: bere poco ma bene!
Via privata Cesare Battisti 2, Milano
Tel. 02/5512898.
Per ordini e richiesta di preventivi potete scrivere una e-mail a: info@zoppiegallotti.com
Sito Internet: http://www.zoppiegallotti.com
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