Freddy Curiel - Il mondo non basta

Page 1

Freddy Curiél in posa 007, foto MStash Crew

Genius People Magazine Euro 5.00

Mag/Giu 2016

Numero 2/II

#IlMondoNonBasta Freddy Curiél Marco De Eccher Marco Dainese Roberto Dipiazza Stefano Foffano Katia Lovat Pier Emilio Salvadè Marco Vivan Bernardo Zerqueni Brexit Presidenziali U.S.A. Design Food Moda Maserati Motori








Find us @ Emirati Arabi - Dubai P.R. and marketing office Middle East - 502, Blue Bay Towers, Business Bay

Roma Pio Monti Arte Contemporanea - Piazza Mattei Senigallia Sirio Group - Via Corvi

Cortina Bilbò Club - Galleria Nuovo Centro Contini Galleria d’Arte - Via Roma Enoteca Cortina - Via del Mercato Franz Kraler - Corso Italia Hotel Cortina - Corso Italia Ristorante Leone & Anna - Via Alverà Vip Cortina - Corso Italia

Treviso Al Duca D’Aosta - Via XX settembre, 12 Trieste Cantina del Vescovo - Via Torino Caffè degli Specchi - Piazza Unità d’Italia Griffe Concept Store - Via San Nicolò La Carega Osteria Contemporanea - Via Cadorna Mondadori Bookstore - Via di Cavana Portopiccolo - Sistiana Zinelli & Perizzi - Via San Sebastiano

Gorizia Società Agricola Castelvecchio - Via Castelnuovo Londra Mauro Guerresco - 310 king’s Road, London SW3 5UH, Regno Unito

Udine Golf Club Udine - Via dei Faggi, 1 - Fagagna Al Duca D’Aosta - Via Mercatovecchio, 12

Mestre Al Duca D’Aosta - Piazza Ferretto, 54 Milano Body Balance Center - Via Contardo Ferrini

Pordenone Peratoner - Corso Vittorio Emanuele II Smh Technologies - Via G. Agnelli

Venezia Al Duca D’Aosta - San Marco, 284 Ai Do Forni - Calle dei Specchieri, 468 Caffè Centrale - Calle Piscina de Frezzaria Centurion Palace - Dorsoduro, 173 Chat Qui Rit - Calle Tron, 1131 Contini Galleria d’Arte - Calle dello Spezier Hotel Metropole - Riva degli Schiavoni, 4149 Gran Cafè Quadri - Piazza San Marco, 121 Osteria Ristorante Da Fiore - San Polo, 2202 Palace Bonvecchiati - Calle dei Fabbri, 4680 Tokatzian - Piazza San Marco

Ravenna Gioielleria Ancarani - Via Matteotti

Verona Al Duca D’Aosta - Via mazzini, 31

Moldova Chisinau - Via Sfatul Tarii, 17 Padova Al Duca D’Aosta - Via San Fermo, 48 Royal Notes - Via Malcanton Studio Architettura Lab Archi 3 - Via Roma

Contacts redazione@genius-online.it dubai@genius-online.it info@geniusoff.it GENIUS PEOPLE MAGAZINE



COLOPHON

People Magazine Issue 2/II

Team Fondatore Francesco La Bella

Direttore Responsabile Francesco La Bella

Direttore Editoriale Massimiliano Bergamo

Direttore Artistico Marco Gnesda

Caporedattore Francesco Chert

Direttore Comunicazione On Line Francesco La Bella

Editorialisti Valentina Bach, Fabio de Visintini, Enrico Denich, Stefano Fontana, Vittorio Sgarbi, Francesco Venier, Jonathan Turner, Giuliano Urbani, Ilie Zabica

Redazione Anna Miykova

Fotografi Noemi Commendatore, Alice Noel Fabi, Marino Sterle, Luca Tedeschi

Edito da Francesco La Bella Grafica Daniele Redivo

Collaboratori Serena Cappetti, Michele Casaccia, Francesco Chert, Riccarda Grasselli Contini, Freddy Curiél, Luca Delle Donne, Alice Noel Fabi, Oliver Fabi, Gabriele Gerometta, Sarah Gherbitz, Nicolò Giraldi, Renato Grome, Daniela Kraler, Franz Kraler, Biagio Liotti, Matteo Macuglia, Francesco Minucci, Anna Miykova, Pier Emilio Salvadè, Bettina Todisco, Martina Vocci, Matteo Zanini Distribuzione ed Eventi 9M Srl – Venezia Massimiliano Dandri

Prodotto e sviluppato da Genius People Magazine Redazione centrale Campo San Bortolomio, San Marco 5379 30124 Venezia – Italy tel. (+39) 041 - 528789 redazione@genius-online.it

ISSN 2420-8884 Aut. n. 1233 del 09/03/2011 del Trib. di Trieste

Contatti esteri Redazione centrale Genius People Magazine International Campo San Bortolomio, San Marco 5379 30124 Venezia – Italy tel. (+39) 041 - 528789 redazione@genius-online.it

Ufficio P.R. e Marketing Medio Oriente Mario Farina 502, Blue Bay Towers, Business Bay Dubai – United Arab Emirates dubai@genius-online.it

Abbonamenti www.genius-magazine.it/ abbonamenti

Web magazine www. genius-online.it www.genius-magazine.it

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Sviluppo Web Actionet Srl – Pordenone Bite Srl – Trieste Social Media Manager e Traduzioni Mariaisabella Musulin Stampa Sinegraf Doo Vrbje 80 3310 Žalec – Slovenia


SALUTO

Il talento italiano rimane l’unica certezza Di FRANCESCO CHERT

Nei giorni in cui va in stampa questo numero, molte delle nostre certezze di italiani, europei, occidentali, stanno vacillando pericolosamente; molte incognite, di contro, ci attendono nei prossimi mesi. Dal caso clamoroso della Brexit, ultima e dirompente prova di una sempre maggiore sfiducia della gente nei confronti delle istituzioni di Bruxelles e del sostanziale fallimento del progetto europeo, alla minaccia rappresentata dal terrorismo islamico e dalla progressiva radicalizzazione di giovani europei sedotti da risposte a domande a loro stessi sconosciute; dalla grande incognita del 2 ottobre, data nella quale due dei popoli maggiormente insofferenti all’Unione Europea si recheranno alle urne: gli austriaci, per votare nuovamente alle presidenziali che avevano scongiurato di un soffio la vittoria della destra estrema e che sono state invalidate dalla Corte Costituzionale, tutto da rifare, e gli ungheresi, chiamati a decidere sul delicato tema dell’immigrazione imposto da Bruxelles, alle incognite legate alla possibilità, che fino a pochi mesi fa sembrava fantapolitica, dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca; dalle vittorie del Movimento 5 Stelle in Italia ai minacciosi scricchiolii del sistema bancario italiano, le sole cose che sembrano certe, sono: la totale, inesorabile, infallibile mancanza di capacità - o di volontà - da parte di giornalisti, intellettuali, opinionisti, di analizzare, capire, chiamare col loro nome i problemi, mentre la distanza tra la loro interpretazione della realtà e la realtà stessa diventa siderale, con tanto di disprezzo dichiarato verso la democrazia e il popolo bue, se questo non vota allineato e diligente come loro vorrebbero; il livello di esasperazione della gente, cui gli scenari apocalittici descritti dalle pagine dei quotidiani nel caso di vittoria di questo o di quello, non fanno più effetto, mentre ormai la gente invoca il tanto peggio tanto meglio; la totale assenza di leader sullo scacchiere politico europeo, da cui l’incapacità di fare i conti, seriamente, senza eufemismi e senza retorica, con un ordine mondiale nuovo, non leggibile attraverso la lente delle categorie e delle ideologie del secolo scorso. In un’immagine potremmo dire che alla nostra epoca manca un Churchill.

Per quanto ci riguarda siamo fermamente convinti che i momenti di difficoltà possano offrire grandi occasioni e che le fasi di grande incertezza lascino praterie all’iniziativa di chi sa vedere oltre. Nel ritorno a sentimenti nazionali a scapito della visone europeista non possiamo che trovarci a nostro agio, più orgogliosi del nostro made in Italy e del nostro talento inimitabile che spaventati per possibili scenari del futuro prossimo. Di suo Genius continuerà a fare quello che ha sempre fatto, ma con molta più convinzione: parlerà dell’energia, del talento, della positività di chi ha saputo emergere dalla mediocrità sfruttando i momenti favorevoli e le difficoltà, racconterà la genialità, l’impegno, le storie, gli esempi e i punti di vista di chi è stato un pioniere o un rivoluzionario nel suoi ambito, cercherà di capire la realtà, proponendo interpretazioni non alienate, scomode e per nulla timorose di avere la condanna da parte della santa inquisizione del politicamente corretto.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE


EDITORIALI

Le porte aperte Di FABIO DE VISINTINI

Foto Tedeschi

Non è un caso se le stanze hanno pareti e porte. Delimitano gli spazi, creano la chiusura necessaria alla riservatezza, potremmo dire che offrono spazio ulteriore di arredo, ma questo è un altro discorso. Comunque ci proteggono. Un ambiente esteso come un loft o una casa senza porte, invece, è una faccenda per pochi, quelli che sanno vivere lo spazio in libertà e creatività, anche senza riferimenti fissi. È questo il punto: uno spazio troppo grande genera agorafobia in molti di noi, un eccesso di libertà nei movimenti alla quale non siamo necessariamente preparati. Quando, da consumatori, di fronte agli scaffali ridondanti dei supermercati, 50 tipi diversi di yogurt ci guardano e noi, se non abbiamo già bene in mente la scelta (determinata da abitudine, prezzo e pubblicità), non possediamo altri criteri oggettivi, spesso proviamo un’angoscia da disorientamento che ci fa soccombere. E l’incertezza non è roba da uomini, nell’era materiale del possesso, dove la paura di perdere qualcosa è in continuo agguato. Però potremmo anche prendere una classe di bambini e dire loro di correre liberamente per la palestra e annotare che, quasi sicuramente, si metterebbero in fila sulle strisce del campo per seguirle ostinatamente, magari uno attaccato all’altro. L’Inghilterra è uscita dall’Europa! Ah, e quando si era iscritta? Successe, nel secolo scorso, che il mondo cominciò ad allargarsi a dismisura, rendendo accessibile ogni angolo, rivelando razze e culture che pochi avrebbero immaginato. Per molti di noi fu una scoperta che ampliava la conoscenza e la relativa comprensione delle diversità, per altri fu un ghiotto mercato da espandere e al quale fornire prodotti di consumo. Introducemmo nuovi termini al nostro linguaggio, come globalizzazione o multinazionali. Nel contempo un paio di ragazzotti anni ‘60, alla ricerca indefessa della democratizzazione del mondo contro i poteri forti, inventarono la rete internet, il vero strumento che avrebbe aperto ogni porta, garantendo a chiunque fosse in grado di collegarsi, il contatto infinito e pure gratuito. Il mondo entrava nel nostro monitor e non avrebbe avuto più segreti per noi. Operazione di democratizzazione riuscita, mente degli esiti aspettiamo che la storia ne parli. In verità già nei secoli precedenti qualcuno, a

cominciare dall’Inghilterra, cominciò una politica di navigazione senza limiti per mari e continenti, in cerca di nuove terre e soprattutto nuove risorse (ricchezze). Colonizzò l’America, pezzi interi di Africa, India, Cina, Medio Oriente, Oceania e chi ne sa di più allunghi la lista... perfino le Malvinas! Una riedizione post romana dell’Impero. Non lasciò, dietro di sé, eccellenti ricordi di comportamenti aperti con gli indigeni, ma forse c’è stato qualcuno che ha fatto di peggio, anche se molte di quelle colonizzazioni... spinte, sono un debito che paghiamo collettivamente ancora oggi, Isis compreso. Quel che dobbiamo considerare però, è che la mentalità da imperialista non è nata dal niente e soprattutto non ieri: sono secoli che gli inglesi si sentono un isola/ continente, con tanto di regina del Regno Unito, e il loro ingresso (con mezzo piede) nell’Unione Europea è sempre sembrata una concessione da esprimere in cambio di vantaggi che, al momento di un possibile regresso, avrebbero ritirato. Un po’ come quei condomini nervosi sempre sull’uscio, pronti a emulare Peter Pan se il gioco non dovesse valere la candela. Per compensare i grandi poteri del globo, USA e Cina per citarne due, è chiaro che la vecchia Europa deve prendere peso al tavolo della trattativa e non bastano certo germanie, france e inghilterre da sole a fronteggiare numeri che fanno paura: solo l’unione garantirebbe un bilanciamento, ma qui viene il problema. Mettere assieme stati, culture, lingue, religioni, avere 25 interpreti a Bruxelles per parlare tutte le lingue (anche il maltese) nel rispetto di ogni membro, è stato terribilmente difficile, ma si è potuto fare. Quel che è più difficile, e che la Politica non riesce a fare, è sancire l’unione tra le persone, il sentimento comune, l’orgoglio di appartenenza: nessun decreto possiede questa abilità e gli strumenti per raggiungerli sono molto diversi, tanto da richiedere competenze diverse da quelle giuridiche. Un’appartenenza si stabilisce il giorno che si lotta assieme per ottenere qualcosa, possibilmente senza armi e magari in un campo sportivo, in una scelta importante sui movimenti di masse tra continenti o sui grandi temi ambientali. Un’amicizia si stabilisce con un sorriso e una stretta di mano, un amore con un bacio, niente con le firme.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

12


EDITORIALI

Questa Europa si è resa poco credibile il giorno che non ha votato la sua Costituzione anni fa, rendendo ogni Paese autonomo nel fare i propri interessi all’interno dell’Unione, lasciando che la finanza tedesca si rendesse interessata e impopolare o permettendo ai “britannici con la puzza sotto il naso” (come direbbe Andre Agassi) di flirtare con gli americani ad ogni convenienza si prospettasse, per non parlare degli ungheresi che ci rimandano indietro con provvedimenti interni degni del ventennio. Serve una nuova Europa che faccia scelte vere e non si nasconda, altrimenti prevarrà sempre più il sentimento nazionalista di chiusura, già in grado di esprimersi al top sulle strade francesi dei campionati di calcio, dove il dialetto prevale sulla visione del futuro e il luogo comune classista o razzista sulla pace. Ottimo e facile sfruttare la scia populista per ottenere consensi dal popolo, inneggiando al “ci ripigliamo tutto quello che è nostro” in stile Gomorra, ma poi cosa facciamo? Se Ronchi dei Legionari e Staranzano (non separati più, fisicamente, da un solo metro di verde) hanno alzato le barriere, per non fare squadra e mantenere la reciproca autonomia, forse non dobbiamo pretender niente da alcun referendum in alcuno stato. Se è TUTTA la gente che deve decidere e lo fa in base alla cultura mediocre, omogeneizzata (malgrado o per colpa di internet e TV) e decadente di oggi, con un ottica che non supera il proprio naso e il proprio misero bilancio personale, possiamo smentire in un solo giorno chi, decine d’anni fa, seppe vedere lontano con buonsenso e cultura in saccoccia. Però se è arrivato il tempo selvaggio di curarsi di noi stessi qui e ora, senza vedere oltre l’uscio, che questo sia! Poi i nostri figli, che spesso nemmeno vanno a votare, troveranno un sistema di gestione, magari tutti contro tutti, lanciando dalla finestra gli strumenti di allargamento del mondo, quelli che ci fanno vivere in una casa senza porte, che tanto ci fa paura... Non credo che gli inventori del WEB avessero in mente questo, forse speravano in una coscienza collettiva diversa, cresciuta sulle premesse di quel tempo e non di questo. Ciao Inghilterra e tanti auguri ai tuoi equilibri interni, a cominciare da Scozia e Irlanda del nord, che non vedono l’ora di essere europeisti ortodossi, pur di starti distante. Magari alzerai barriere interne, come

sul Brennero... E grazie a te Cameron, che per risolvere i Tuoi problemi interni al Tuo partito (e nemmeno con l’opposizione!), ci fai bruciare miliardi di Euro mettendo una scelta strategica, che coinvolge tutta l’Europa e della quale ti dovevi assumere onori e oneri, in mano ai tuoi concittadini tutti, inevitabilmente poco strateghi ma soprattutto emotivamente rancorosi per il tramonto dell’Impero. Forse è ora di ritrovare la testa smarrita per riempirla di buonsenso e magari restituire a chi sa vedere più lontano, la possibilità e la responsabilità di fare le scelte sul futuro, senza che noi, fabbri, librai e dentisti, interveniamo ogni dì nelle vesti di Ministri degli Esteri, Interni, dell’Economia, Commissari tecnici della Nazionale e ogni altra specialità che non ci appartiene. Non è questa la Democrazia, non è questo il modo di far partecipare attivamente i cittadini alla Politica: questa è Politica pane e salame, fatta di slogan da stadio e piranha del consenso in Tv a promettere cose impossibili e poi via con l’applausometro a votare il più simpatico! Questo è assemblearismo o populismo (potremmo optare anche per una poco fine ma adeguata paraculaggine). Sarebbe opportuno che la Politica si assumesse la responsabilità delle scelte collettive con la preparazione necessaria a farlo e non con l’occhio fisso al quotidiano consenso degli elettori, così finalmente parlerebbe chi ne ha la competenza ed è pagato per farlo e tutti gli altri dovrebbero ascoltare in silenzio per imparare. E poi votare come ritengono più giusto. Guardare lontano, porte aperte... sembrano parole quasi obsolete eppure appartengono ai popoli che vogliono crescere ed evolvere la propria civiltà. È ora di fare uno stop meditativo, per poi darsi da fare e ricominciare ad andare avanti... in Italia come in Europa! Augh. Fabio De Visintini Figura eclettica in un’epoca di transizione, dove si parla di innovazione ma, troppo spesso, le cose cambiano solo nelle apparenze. Consulente e docente di Comunicazione, Marketing e Innovazione, in precedenza manager in ambito pubblico e privato, giornalista, fotografo e pittore, oggi si dedica, da imprenditore, a un suo progetto d’innovazione che recupera la cultura degli inizi, quella di farmacista prima e aromatiere poi: creme di cioccolato eccellente emulsionate in acqua, senza conservanti, olio di palma e tutti gli altri orridi ingredienti del junk food.

NUMERO 2/II

13


EDITORIALI

Indietrotutta ­ Di STEFANO FONTANA

Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sarebbe un errore procedere “avanti tutta”. Peggio ancora sarebbe esprimere una generica valutazione di “populismo” o “euroscetticismo” con relativa condanna morale come a colpevoli di un reato di opinione. Nell’Unione molti sono gli euroscettici e per motivi i più diversi. Sarebbe sbagliato condannare in blocco tutta la categoria e bollarla con l’ignominia del populismo, senza interrogarsi sulle cause del fenomeno, molte delle quali sono a carico di chi ora è tentato dall’andare avanti a tutti i costi e come se niente fosse accaduto. Proprio nei giorni del referendum Brexit, al parlamento europeo veniva presentato un progetto di legge per l’attribuzione ai robot di personalità giuridica: doveri, diritti, carta di identità. Una proposta inaccettabilmente postumanista, di scavalcamento cioè dell’umanità della persona umana. Doveri, diritti e carte di identità le possono avere solo le persone e non le cose. Un robot, per quanto “intelligente”, è sempre una cosa. Sempre nei giorni scorsi, durante il referendum Brexit, i 28 Paesi dell’Unione Europea sottoscrivevano un lungo documento in cui si impegnavano a difendere e promuovere i diritti LGBT (omosessuali e transessuali) in tutti gli ambiti della vita civile, compresa naturalmente la scuola. Ciò significa che i governi, tramite le istituzioni dell’Unione Europea, impongono ai loro popoli stili di vita, finalità educative, valutazioni morali in modo autoritario e sistematico, senza chiedere loro il permesso e senza essere stati votati per farlo. Gli euroscettici sono di diversa origine, come dicevo. In queste valutazioni c’entrano motivi economici e politici di vario genere, ma tra loro c’è anche un gran numero di persone che di questa Europa, che vuole concedere l’identità personale ai robot e imporre in tutte le scuole una visione di persona e di educazione, non ne può più. L’Unione Europea, composta da funzionari mai eletti da nessuno, vuole troppo dettare legge in campi che non le sono propri. La gente è stanca.

Il problema, allora, non è di andare “avanti tutta”, anche se ci si trova davanti ad un muro. Il problema è piuttosto di rallentare e tornare indietro: da forme forti a forme meno forti, più articolate e sussidiarie, meno burocrazie di funzionari indottrinati al pensiero unico e più voce ai popoli. Una UE meno verticale e più orizzontale. Più umiltà e concretezza. So bene che la moneta unica richiederebbe un potere centrale unico e quindi spingerebbe ad un rafforzamento centralistico. Ma se si va avanti così finirà anche la moneta unica. Nuove cessioni di autorità a Bruxelles farebbero saltare il sistema. Il popolo è stanco di “ce lo chiede l’Europa”, copertura dietro cui si celano interessi politici e ideologici. È anche stanco, a dire il vero, degli appelli di Renzi all’anima dell’Europa da ricostituire. Ma quale anima e quali valori se l’Unione considera persone i robot e vuole insegnare l’omosessualità in tutte le scuole dell’impero? I valori originari — ammettiamo che esistessero — non ci sono più e altri non se ne vedono all’orizzonte. Abbassiamo il tono anche a questo proposito e rimettiamo in circolazione i popoli e le nazioni, loro sì adatti a trattare di valori e non i burocrati di Bruxelles.

Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, del Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa e del settimanale diocesano di Trieste Vita Nuova. Giornalista pubblicista, ha collaborato a varie testate e attualmente collabora a Il Timone e a La Nuova Bussola Quotidiana. È studioso di Dottrina sociale della Chiesa, di filosofia della politica e di problematiche relative al rapporto fede e politica. Ha pubblicato molti libri, ultimi dei quali: Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Il posto di Dio nel mondo (a cura di S. Fontana), Cantagalli, Siena 2013; G. Crepaldi – con S. Fontana, La Dottrina sociale della Chiesa. Una verifica a dieci anni dal Compendio (20042014), Cantagalli, Siena 2014; Matrimonio e famiglia, Chiesa al bivio, Omni Die, Monza 2015. Attualmente sono in libreria il VII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo da lui curato e il volume collettivo Le nuove guerre di religione entrambi da lui curati per l’editore Cantagalli.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

14


LOCMAN ITALY

®

1960

Cassa in acciaio lucido o con rivestimento in PVD golden rose. Impermeabile fino a 50 metri. Movimento al quarzo solotempo o Gran Data. A partire da 198 euro.

WWW.LOCMAN.IT LOCMAN

S . P. A .

-

MARINA

DI

CAMPO

-

ISOLA

D’ELBA

BOUTIQUES LOCMAN: l MILANO: VIA MANZONI, 29 - TEL 02 72094268 l FIRENZE: VIA TORNABUONI, 76/R - TEL 055 211605 l BRESCIA: CORSO ZANARDELLI, 30 - TEL 030 280055 l MARINA DI CAMPO: PIAZZA G. DA VERRAZZANO, 7 T E L 0 5 6 5 9 7 7 7 3 4 l P O RT O F E R R A I O : C A L ATA M A Z Z I N I , 1 7 - T E L 0 5 6 5 9 1 5 8 9 6 l P O RT O A Z Z U R R O : V I A V I TA L I A N I , 2 0 - TEL 0565 920312 l PORTO CERVO: VICOLO DEL CERVO - TEL 0789 92425 l CERVINIA: VIA CARREL - TEL 0166 940195

E

IN

TUTTE

LE

MIGLIORI NUMERO 2/II

GIOIELLERIE 15


ph Alessandro Pellicciari


Coming soon...

www.dalysse.com


SOMMARIO

Genius People Magazine Euro 5.00

Mag/Giu 2016

Numero 2/II

SALUTO

SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

11

Freddy Curiél in posa 007, foto MStash Crew

Il talento italiano rimane l’unica certezza di Francesco Chert EDITORIALI #IlMondoNonBasta Freddy Curiél Marco De Eccher Marco Dainese Roberto Dipiazza Stefano Foffano Katia Lovat Pier Emilio Salvadè Marco Vivan Bernardo Zerqueni

12

Le porte aperte di Fabio de Visintini

Brexit Presidenziali U.S.A. Design Food Moda Maserati Motori

In copertina: Freddy Curiél in versione 007. Foto MStash Crew, rielaborazione grafica.

14

Indietrotutta

Rieletto per la terza volta sindaco di Trieste Roberto Dipiazza Interviste di Francesco La BeLLa anna Miykova

di Stefano Fontana SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA 34

APPROFONDIMENTI

Tre volte sindaco a Trieste: una città non cambia la sua identità di Francesco La Bella 36

Trieste straordinaria, ma bisogna darsi da fare! di Anna Miykova INTERVISTE 40

APPROFONDIMENTI

Marco De Eccher: “Portopiccolo, un traino per la valorizzazione del territorio”

22

di Redazione

NUMERO 2/II

21

Ben oltre la Brexit di Anna Miykova 26

È davvero la fine per la corsa di Trump?

42

Amerigo Vespucci, marchio italiano nel mondo di Matteo Zanini 46

di Matteo Macuglia

Bernardo Zerqueni, self made man

30

di Anna Miykova

Maschio e Femmina li creò? di Don Pier Emilio Salvadè

50

“Mi piacerebbe scardinare lo stereotipo della ragazza bella e stupida!” parla la giovane Katia Lovat di Anna Miykova

Copertine interne, salvo altra indicazione: Marco Gnesda. Tutti i diritti sono riservati. Proibita la riproduzione non autorizzata.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE


SOMMARIO

80

SPECIALE MASERATI

SP71, sguardi nuovi sul mondo 84

Il Food Design di Francesco Minucci 88

Design, cent’anni di eccellenze, dal Bauhaus alla Apple Maserati

di Oliver Fabi

eccellenza italiana a tutto tondo

SPECIALE M-STASH 94 SPECIALE MASERATI 53

Il cofondatore Freddy Curiél racconta il brand M-Stash

Maserati eccellenza italiana a tutto tondo

Speciale m-STaSH

Moda o arte reversibile? Un’idea con i baffi

SEZIONE DESIGN

D D D D e e e e s s s s i i i i G G G G n n n n GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Il cofondatore Freddy Curiél racconta il brand M-Stash “Face Your Phantoms” L’arte può intaccare le differenze di genere nella moda?

61

98

DESIGN 62

The Italian Lab: design urbano di qualità 66

Il comfort per i nostri “amici”? È quello di Brandodesign 72

La “Seconda giovinezza” di Michele De Fina 76

Staygreen, il cartone che… arreda

L’arte può intaccare le differenze di genere nella moda? di Freddy Curiél e Canto Motto 102

“Face Your Phantoms” CULTURA 108

Il Teatro Rossetti di Trieste di Bettina Todisco 110

Redesigning nature di Jonathan Turner 114

Lasciami entrare di Jonathan Turner

GENIUS PEOPLE MAGAZINE


Borsa n.o 1 Vitello nappa e saffiano

SAN MARCO 318/A CALLE DELLA CANONICA 30124 VENEZIA Shop online at www.micheledefina.it Michele De Fina Venezia


Design Marco Gnesda

APPROFONDIMENTI

NUMERO 2/II

21


APPROFONDIMENTI

Ben oltre la Brexit I problemi che il referendum britannico ha portato a galla e le lezioni che abbiamo imparato

Di ANNA MIYKOVA

Il 23 giugno scorso poteva essere un giovedì qualunque, di un anno qualunque, dell’inizio di un’estate qualunque. Ma non lo è stato. Il 23 giungo 2016 scriverà una pagina importante nella storia del Vecchio continente perché il 51,89% dei britannici, quel giovedì al referendum, ha votato l’uscita del proprio Paese dall’Unione Europea. Uno strappo che difficilmente potrà essere ricucito. Gli effetti catastrofici della Brexit sono ben noti: in una sola notte il Regno Unito è passato dall’essere la quinta potenza economica mondiale alla sesta, 200 miliardi di dollari sarebbero la perdita della Borsa di Londra, il valore della sterlina è sceso del 13% in tre giorni e le voci dell’estremismo e del populismo europeo si sono levate all’unisono in tutta l’Europa, acuendo le divisioni e l’incertezza. Insieme a questo, la Brexit ha mobilitato le leadership europee alla ricerca di decisioni per consolidare l’Unione, ma tardivamente. Se però decidessimo di leggere, senza emozioni né accuse, quello che è accaduto in Gran Bretagna giovedì, riconosceremmo un processo molto più profondo dell’incapacità della leadership politica di guidare gli umori (o malumori) del popolo. Un processo che si espande ben oltre il Regno Unito, ma che per una sfortunata occasione il Regno Unito stesso ha sperimentato sul proprio territorio. SCONTRO DI VISIONI E VALORI Il referendum ha delineato chiaramente le linee di demarcazione del nostro tempo generazionali, educative e geografiche. Le posizioni dei giovani e degli istruiti, che riconoscono le opportunità di sviluppo GENIUS PEOPLE MAGAZINE

nel contesto d’interconnessione globale e che hanno razionalizzato i relativi benefici provenienti dalla partecipazione al “Club europeo”, sono ben lontani dalle nozioni sulla sicurezza economica e sociale della generazione di ieri. Infatti, non percependo gli sconvolgimenti del nostro tempo come opportunità, le persone meno istruite migrano verso la scelta semplicistica di chiudersi in ciò che per loro è familiare, conosciuto. In una piccola cerchia, insomma. Cresce così il divario tra i centri cosmopoliti ed economicamente potenti – dove di solito si concentra la conoscenza – e la periferia. La Brexit è la riprova di questo processo. Il 75% dei britannici sotto i 25 anni e solo il 39% di quelli con più di 65 anni ha votato per rimanere in Europa. A favore di un Regno Unito europeo si è espresso il 71% dei cittadini con formazione universitaria, mentre il 66% dei meno istruiti ha optato per l’uscita. Lo stesso “Scotlondon” coniato dalla volontà della Scozia, industrialmente sviluppata, e dei londinesi di continuare a essere un membro dell’Unione, rivela un discrimine tra le aree geografiche con diverso livello di benessere economico. Non stupisce, infatti, che l’exit abbia prevalso nelle aree rurali, dove la politica ha sapientemente giocato su vaghe promesse prive di qualunque argomentazione e sulle paure ancestrali della gente (che di solito sono legate ai bisogni primari di nutrimento, protezione/sicurezza, dimora). I DEFICIT DELL’UE L’Unione Europea, nata e strutturata dopo la Seconda Guerra Mondiale come un meccanismo di partenariato e cooperazione, e come 22


BEN OLTRE LA BREXIT

probabilmente placato la sua insidiosa campagna di abbandono dell’Unione. Eppure, la stessa Europa si è risvegliata dalla Brexit. Oltre ai rischi per il progetto europeo, derivanti dalle continue ondate di euroscetticismo dei partiti populisti in Austria, Danimarca, Ungheria, Paesi Bassi e Polonia, i drammatici effetti del referendum britannico hanno scosso anche le élite europee. Hanno spinto la leadership del Vecchio continente a intavolare un nuovo dialogo sul modello e sull’efficacia del processo europeo. Bisogna allora sperare che catalizzerà rapide riforme del lavoro in UE e misure per affrontare adeguatamente il deficit democratico. La nostra società, tutta, ha bisogno di un processo europeo funzionante, in grado di garantire la nostra sicurezza e la qualità della nostra vita. Per l’Italia stessa – intrappolata nella morsa di un’estenuante lotta alla crisi economica e alla disoccupazione giovanile da oltre sette anni – essere membro del “Club europeo” sembra al momento l’unico orizzonte di sviluppo e l’unico correttivo costruttivo (fatto che non deve essere sottovalutato). garante di uno sviluppo democratico pacifico in Europa non soddisfa pienamente i bisogni dei tempi nuovi. La burocrazia pesante e macchinosa, la politica dei “tappeti rossi”, la mancanza di una lettura moderna del progetto europeo e una chiara enunciazione dei benefici dell’essere uniti in Europa – alla luce dei cambiamenti geopolitici e delle crisi mondiali – nutre il nazionalismo e la xenofobia nel Vecchio continente. Le élite non comprendono, evidentemente, la responsabilità di trasmettere i vantaggi derivanti dall’essere membri dell’Unione, ma anche del proprio ruolo di adattare il processo europeo al mondo globalizzato.

Il Premier inglese dimissionario David Cameron.

Se Boris Johnson – ex sindaco di Londra e brexiter concorrente di Cameron per il posto di premier britannico – avesse calcolato che il 12,6% del PIL della Gran Bretagna dipende dallo scambio con il suo più importante partner commerciale, l’UE, la cui garanzia futura richiede peraltro enormi sforzi negoziali con un risultato incerto, avrebbe NUMERO 2/II

LA CONNESSIONE GLOBALE DEMOCRATIZZA L’ACCESSO ALL’INFORMAZIONE Il risultato del referendum nel Regno Unito ha dimostrato il contrario. Il processo pubblico possiede dimensioni nuove all’interno dell’ambiente esterno globalmente connesso. I social media stanno sostituendo i mezzi di comunicazione classici grazie alla capacità di influenzare. Oggi, ognuno di noi è un media e può pubblicare la propria tesi, ottenendo un facile sostegno pubblico. I club elitari, a numero chiuso, vengono sostituiti dalle piazze pubbliche online, che stabiliscono sempre più l’ordine del giorno della società. La forma conta più del contenuto sicché sono le tesi ad effetto e non quelle esperte a ottenere la popolarità. La stessa leadership politica formale si è trovata costretta a mimetizzarsi in questo nuovo ambiente, senza avere gli strumenti per gestirlo. Un tweet che promette di utilizzare la quota di bilancio nazionale riservato all’UE, nella pubblica sanità, avrà molto più 23


APPROFONDIMENTI

riverbero rispetto alla stessa promessa fatta a un raduno del Partito. La mancanza di limiti e confini rende la rete un ambiente confortevole dove le tesi speculative e manipolatorie riescono a ottenere una rapida approvazione. È come una lente di ingrandimento dei nostri valori e del nostro quadro morale. L’informazione concorrente ci attacca sia tramite i canali formali che tramite quelli informali. Scindere la realtà dalla pura speculazione all’interno del vasto flusso informativo che ci travolge,è sempre più difficile. Il tempo dedicato per ragionare sui contenuti, sempre più esiguo. Le persone fanno sempre più spesso scelte senza un’analisi approfondita, seguendo le tesi più popolari su Facebook, mentre il metro di giudizio sono il numero di “mi piace”. Si sta dunque affermando la pericolosa mentalità del “Non è necessario che io lo sappia, perché Google sa tutto”. Per molti Google è l’ultima istanza. Come abbiamo letto in questi giorni, Google si sta rivelando come il consigliere di gran parte dei britannici sulle conseguenze della loro scelta dopo gli exit poll. Secondo Google “Che cos’è l’UE?” è il secondo quesito più cercato in Gran Bretagna dopo la pubblicazione dei risultati del referendum, subito dopo “Che cosa significa abbandonare l’UE?”, al primo. Post factum. Prima di ciò vengono i “mi piace” su Facebook. UN SEMPLICE CANALE DI MANIPOLAZIONE La mancanza di critica nei confronti delle informazioni crea un ambiente fertile per la diffusione delle tesi populiste e manipolatorie. E chi mira alla destabilizzazione dell’Europa e del mondo approfitta ampiamente di questi strumenti semplicistici: conoscono bene e sanno utilizzare tutti i canali per

“Si sta dunque affermando la pericolosa mentalità del ‘Non è necessario che io lo sappia, perché Google sa tutto’.” distruggere la fiducia del pubblico seminando dubbi e divisioni, seminando promesse di soluzioni facili e “magiche” ai problemi. La verità è che la Brexit ha avuto successo grazie alla continua replicazione di idee unilaterali che screditavano l’Europa, e che con una spropositata risonanza sono riuscite a soffocare la voce delle critiche costruttive in Gran Bretagna. La perdita netta è di tutti i britannici, ma anche di tutti gli europei. Questo è l’ordine del giorno di coloro che hanno interesse a mantenere l’Europa instabile e divisa, per dare corso alle loro ambizioni geopolitiche.

a idee e cause del caso, a scapito del rispetto zelante delle dottrine di partito. Ed ecco che il potere della voce collettiva, che usa i nuovi strumenti di connessione, non riesce a essere monitorata dai classici istituti di espressione della volontà politica collettiva. L’esempio immediato sono gli oltre 3,5 milioni di voti, raccolti in sole 48 ore, per ritornare al voto per un nuovo referendum britannico.

LA LEADERSHIP INFORMALE SI SOSTITUISCE A QUELLA PARTITICA La Brexit ha messo in luce un altro volto dell’ambiente circostante cambiato. Il ruolo dei partiti politici nella loro forma classica oggi viene sostituito da reti di interessi. Sono sempre più le persone che scelgono di associarsi brevemente attorno

I TEMPI NUOVI ARRIVANO CON NUOVI ASSIOMI DI UNIONE, SOLIDARIETÀ E CONDIVISIONE Il fenomeno della Brexit ha mostrato quanto il processo politico nel Regno Unito, in Europa e nel mondo sia deficitario e retrogrado. I tempi nuovi arrivano con una filosofia del tutto nuova: una filosofia dell’unione, della solidarietà e della condivisione. Una filosofia i cui portatori sono quei venticinquenni che conoscono, che comprendono i vantaggi di un mondo connesso e che scelgono per se stessi di costruire attraverso la collaborazione. Essi sono critici nei confronti dei problemi centrali, ma ricercano soluzioni attraverso l’unione e l’appoggio di una causa. Si tratta di una nuova cornice morale della vita, in cui la condivisione si sostituisce alla contrapposizione. Cresce il ruolo e la forza degli individui dei tempi nuovi perché conoscono il codice del nuovo mondo unito. È allora che le istituzioni dovranno modificarsi in base ai regolamenti di questo nuovo mondo o saranno costretti a perire: nel Regno Unito, in Europa e nel mondo. E Brexit non è null’altro che una dolorosa lezione sulla via di questo cambiamento. (8’ 20’’)

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

24

La promessa pre-elettorale che David Cameron fece di indire un referendum popolare sull’adesione all’UE ha, di fatto, salvato il suo partito a breve termine, mettendo a repentaglio il futuro sia del Regno Unito che dell’intera Europa. Nella pratica, Cameron ha agito come un “Cavallo di Troia”, spalancando le porte al becero populismo di Farage, ma anche al suo principale oppositore di partito Boris Johnson. Il risultato è noto. Trump è un prodotto dello stesso processo. E i volti italiani li conosciamo piuttosto bene.



APPROFONDIMENTI

È davvero la fine per la corsa di Trump? I sondaggi lo danno in grande difficoltà ma la strada che porta all’8 novembre è ancora lunga e sicuramente ricca di sorprese

Di MATTEO MACUGLIA

Quando si candidò, Donald J. Trump era l’outsider di delle elezioni presidenziali che si preannunciavano come le più affollate di sempre dal lato del Grand Old Party. I repubblicani presentavano diversi candidati molto interessanti, tra i quali un Jeb Bush, figlio minore della rinomata famiglia a stelle e strisce alla quale già molte altre volte è stato dato il compito di guidare il paese in momenti cruciali. Ma la scheggia impazzita, partita con il 4% di gradimento ha pian piano scalato la vetta. Con le sue affermazioni sempre estreme è stato in grado di monopolizzare il dibattito da parte repubblicana, costringendo gli altri non GENIUS PEOPLE MAGAZINE

solo a seguire, ma a vedersi dettati i temi della campagna dal candidato con meno chance di vittoria. Nonostante il distacco che lo separa dalla candidata democratica, Hillary Clinton, la partita è ancora molto accesa e in molti si aspettano che i veri fuochi d’artificio vengano sperati solo una volta che saranno state ufficializzate le nomination presso le rispettive convention a Cleveland e Philadelphia nel corso di quest’estate. Un’analista di gran peso come Peter Hart, ha recentemente affermato, durante un suo viaggio di lavoro in Italia che “la corsa più inusuale 26


TRUMP V CLINTON

e la meno pronosticabile dal 1968 – l’anno che la campagna fu tragicamente segnata dagli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy, candidato alla nomination democratica”. Questo perché, per quanto oggi sembri impossibile, ci sono moltissimi avvenimenti che da qui all’8 Novembre 2016, potrebbero segnare le sorti di questa corsa in favore di uno dei due competitors. Nella fase attuale, la Clinton sta traendo moltissima forza da avvenimenti fortemente destabilizzanti come la Brexit ed ha buon gioco quindi a ricordare all’elettorato come in questi momenti ci sia bisogno di una guida sicura e con i nervi saldi, che sappia trainare il paese fuori dal momento di incertezza. Lo stile di Trump, sempre pronto allo strappo ed alla boutade, sta facendo molto soffrire il tycoon, il quale non sta riuscendo a riaccendere i riflettori dell’opinione pubblica sullo scandalo delle mail dell’ex Segretario di Stato, unico scandalo legato all’ex first lady. Per quanto i sondaggi attuali lo diano in svantaggio consistente (51% contro il 39% del tycoon secondo l’ultimo sondaggio disponibile del Washington Post), può essere interessante in questa sede analizzare i motivi e possibili scenari per ribaltare la situazione attuale. Per quanto riguarda i primi, la Clinton può contare su alcuni fattori di cambiamento che si affacciano sempre sulle corse presidenziali dopo un doppio mandato com’è stato quello del presidente uscente Barack Obama. L’ex first lady è innanzitutto la prima donna nella storia USA ad aver raggiunto la nomination per la corsa alla Casa Bianca, il che può funzionare come fu per il primo presidente nero nel lontano 2008. Oltre a questo, la candidata favorita ha dalla sua tutta una serie di minoranze tra le quali le donne (di qualsiasi origine etnica), i musulmani e gli ispanici respinti da Trump, nonchè la comunità lgbt, la quale negli Stati Uniti come in diversi paesi è capace di muovere un numero sorprendente di consensi nonostante le sue relativamente ridotte dimensioni. Manca però un vero e proprio slogan, un messaggio da usare come ariete per entrare NUMERO 2/II

in tutte le case che finora le hanno negato l’accesso. Su questo punto il magnate newyorkese è sicuramente in vantaggio in quanto il suo già citato “Make America Great Again” va a colpire l’orgoglio ferito di un paese intero, sia per le vicende economiche (crisi e gigante cinese) che per il ruolo di guida a livello internazionale che si fa sempre più vacillante (Medio-Oriente e Russia). Trump, da parte sua, sta scontando terribilmente una campagna che, specialmente all’inizio è stata caratterizzata dalla critica agli immigrati di ogni sorta, musulmani ed ispanici in testa. Il boomerang ha colpito così forte che negli ultimi mesi si è cominciato a parlare di una volontà del tycoon di rivedere una delle sue proposte più clamorose e discusse, vietare l’ingresso ai musulmani nel paese. Questi rumors non sono stati ancora confermati da alcuna azione da parte del candidato repubblicano, il quale tuttavia deve essersi reso conto di non potersi inimicare delle fette così ampie di elettorato. Questo perché, al di là di ogni polemica legata alla corsa per la Casa Bianca, un dato che emerge è come l’elettorato americano stia cambiando: le donne acquisiscono sempre più consapevolezza della propria importanza mentre il Sud del paese vede cambiare la propria composizione etnica a causa dell’immigrazione. In questo modo, ed in particolare a causa della seconda tendenza, alcuni stati tradizionalmente repubblicani come quelli del centro e del Sud cominciano ad avere dei comportamenti di voto non più rassicuranti per il GOP, anche perché ovviamente questi “elettori emergenti” votano per il partito democratico, molto più attento alle istanze delle minoranze. Nella situazione descritta dunque, le possibilità di Trump si fanno sempre più sottili, legate per lo più o ad un cambio di rotta che risulti capace di includere più ampie fasce della popolazione, oppure ad un exploit senza precedenti tra il suo elettorato di riferimento: i bianchi (Ronald Reagan vinse con il 56% del voto di questa categoria mentre Romney nel 2012 perse nonostante ne avesse convinto il 59%). Il tycoon sembra averlo capito e si prepara ad un fortissimo cambio 27


APPROFONDIMENTI

“La corsa più inusuale e la meno pronosticabile dal 1968 – l’anno che la campagna fu tragicamente segnata dagli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy, candidato alla nomination democratica.”

di strategia, il cui primo passo è stato il licenziamento di Corey Lewandowski, il campaign manager che lo ha portato a sbaragliare la concorrenza alle primarie. Il sistema dei grandi elettori, il quale regola la competizione per la Casa Bianca, lascia qualche speranza visto che non sempre prendere la maggioranza dei voti totali risulta un passaggio fondamentale per la vittoria finale. È necessario vincere negli stati più popolosi, ai quali è assegnata la gran parte degli appunto “grandi elettori”, che sono coloro i quali eleggono materialmente il Presidente della federazione. Questo fa si che se fossero conquistati gli stati più grandi, sarebbe possibile nutrire ancora una concreta speranza. Le cose ovviamente non sono così semplici: diversi stati sono schierati a favore di una o dell’altra parte e rappresentano tradizionalmente delle roccaforti difficili da espugnare per la controparte salvo eventi eccezionali. Corrono quindi in aiuto gli “swing states”, gli stati in bilico che sono disposti a spostarsi da un candidato all’altro a seconda della situazione. Il sostegno di esponenti di questa categoria come Ohio, Iowa, Colorado, Nevada, New Mexico, Virginia, New Hampshire furono decisivi nel 2012 per la conferma di Obama. Per uscire vincente, Trump avrebbe bisogno di guadagnare almeno 10 punti percentuali in ognuno di questi stati chiave. Per poter mettere in piedi una rimonta del genere sarà necessario riportare dalla sua afroamericani, latini e donne che oggi hanno un’opinione all’80% negativa di lui. In ogni caso il magnate di New York non è persona da dare per sconfitta prima del tempo. Nessuno gli avrebbe dato credito all’inizio della campagna mentre oggi diversi istituti finanziari commentano preoccupati gli outcomes economici derivanti da un suo eventuale insediamento al vertice della piramide del potere USA. La Clinton fino ad ora ha giocato una buona campagna, giustamente conservativa ed improntata al fair play. Deve ora riuscire a mantenere la presa sull’elettorato senza commettere passi falsi, che aprirebbero la strada a risultati oggi impensabili. (6’ 50’’)

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

28



APPROFONDIMENTI

Maschio e Femmina li creò? A proposito di violenza sulle donne e di “femminicidio”

Di DON PIER EMILIO SALVADÈ

Le cronache dei giornali di questi mesi riportano spesso episodi di violenza sulle donne, che talvolta sfociano in delitti efferati. Non voglio in questo articolo fornire dei dati su questo fenomeno, ma voglio fare un ragionamento a partire da alcune pagine bibliche, in particolare di Genesi.

Ascoltando questo versetto non possiamo non fare un ragionamento: la verità rivelata da questa pagina biblica è talmente grande che ci si potrebbe domandare se è mai diventata prassi nello popolo ebraico che l’ha accolta come parola rivelata nei suoi testi sacri.

È sempre molto bello prendere in mano i primi capitoli del libro della Genesi, perché essi hanno una “freschezza”, una “leggerezza” unici. Raccontano le cose più importanti e complesse dando un respiro profondo e concreto, mostrando una sapienza alta e nello stesso tempo comprensibile a tutti. La prima immagine la traggo dal primo capitolo di Genesi. Nel sesto giorno Dio crea l’uomo. Ascoltiamo questo passaggio:

Al tempo di Gesù l’unico diritto che aveva una donna era quello di stare zitta e non aveva neppure possibilità di testimoniare in un tribunale, per non parlare di ciò che avviene ancora oggi presso gli ebrei ortodossi… possiamo notare come c’è uno scollamento tra l’auspicio della pagina biblica e la prassi della religione ebraica. Ma anche nella nostra cultura cristiana ci sono stati periodi storici in cui la donna era considerata “di serie b”. Se da una parte Gesù le rende protagoniste dell’annuncio del vangelo mostrandosi per primo a loro il giorno di Pasqua, dall’altra non possiamo dimenticare che all’interno della stessa chiesa la donna spesso non ha avuto il posto che le spettava, se Papa Francesco da mesi ci sta richiamando a ripensare il ruolo delle donne all’interno delle comunità.

Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza (…) E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. (Gen 1,26-27)

Mons. Pier Emilio Salvadè Vicario generale della Diocesi di Trieste.

L’autore biblico che ha scritto questo testo più di 3000 anni fa forse non si è reso davvero conto della grande novità di quanto scriveva: Dio afferma di volere creare la sua immagine nel mondo e crea la persona umana, perché porti nel mondo la Sua impronta. Ma per conoscere il volto di Dio occorrerà guardare la differenza riconciliata tra uomo e la donna: Dio si rivela nell’alleanza tra due partner che sono sullo stesso piano. L’uomo e la donna hanno la stessa importanza di fronte a Dio, sono uguali nei diritti e nei doveri, ne manifestano allo stesso modo la divinità e la regalità.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Da dove nasce la violenza? Nasce dal pensare che io sono tuo “padrone”, che io posso fare di te ciò che voglio perché “tu sei di serie b”, per il fatto che sei “sottomessa”, sei “mia proprietà”. La violenza sulle donne è esattamente la smentita del versetto che abbiamo appena analizzato. Il secondo brano di Genesi su cui voglio riflettere è tratto dal secondo capitolo, dal racconto che è chiamato “seconda creazione”:

30


MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ?

Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta”. (Gen 2,20-23) L’autore biblico questa volta pone l’accento su un particolare importante del rapporto uomo-donna: la diversità irriducibile che c’è tra queste due “essenze”. Egli, per raccontare questo concetto così difficile usa alcune immagini molto immediate ed efficaci: la femmina ha in comune con il maschio la stessa umanità (la costola), ma la femmina per il maschio è un mistero (viene creata mentre lui dorme) ed è un’irriducibile differenza rispetto a lui. Questa differenza è il cuore del rapporto uomo-donna. Proprio perché diversi nel corpo, nella sessualità, nell’approcciarsi al mondo, maschio e femmina sono chiamati a ricondursi a unità, perché nell’unità delle differenze si manifesta l’Unico. La violenza sulla donna nasce dal non accettare questa irriducibile differenza. Quando si teme la diversità, qualsiasi diversità, si diventa violenti, perché non si accetta un altro punto di vista sulla storia che non sia il proprio. Certamente non è facile capirsi nelle differenze, non è facile dialogare e comprendersi

(chiedetelo a chi è sposato da quarant’anni se è facile capire l’altro o l’altra…), ma certamente è la sfida affascinante che Dio ha posto nel mondo creando la donna: amare significa sempre accettare l’altro in quanto diverso da te. Il terzo brano che ho scelto è tratto dalla terza pagina di Genesi: quando si è consumato il peccato di Adamo e di Eva a causa del serpente, Dio dice alla donna: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà” (Gen 3,16) Dio non maledice la donna, ma narra purtroppo quello che già avviene nella storia: il più bel rapporto tra maschio e femmina può tramutarsi in stupro, l’attrazione amorosa può degenerare in violenza e sopruso. La violenza sulle donne nasce esattamente dal non umanizzare gli istinti. L’attrazione sessuale non deve mai dimenticare che l’altra non è un’oggetto a propria disposizione, ma una persona con una libertà e una dignità incomparabili. L’altra può dire “no!”, perché è una persona libera, non un oggetto sessuale. Condividiamo con gli animali la sessualità, ma non possiamo essere animali nel viverla: siamo chiamati a “umanizzarla”, a farla diventare canale di dialogo, non strumento di “imbestialimento”, di dominazione, di violenza. La violenza nasce dal pensare la sessualità come un potere attraverso cui soggiogare l’altro: per “amore” (che in realtà non lo è) spesso si compiono (e si coprono) le nefandezze più grandi. In questo senso credo che occorre anche all’interno della chiesa tornare a rieducare gli adolescenti e i giovani a uno sguardo bello e profondo sulla sessualità. Abbiamo troppe volte rinunciato a questo compito pensando di

NUMERO 2/II

risolvere la questione dando qualche “regolina”, come se la visione del vangelo rispetto all’affettività fosse solo “una castrazione” e non uno sguardo liberato e davvero umanizzante su di essa. Domandiamoci sinceramente: da chi imparano la sessualità i nostri maschi futuri uomini? Se i genitori, la scuola, la chiesa rinunciano ad essere educatori di un modo serio, sereno e bello di vivere la sessualità, non possiamo certo pensare che i nostri maschi possano crescere in umanità se sono abbandonati a se stessi e gli unici loro maestri sono la pornografia, la prostituzione e i discorsi da “compagnia al bar”… In ultima analisi, questo fenomeno della violenza sulle donne chiede alla Chiesa di “esserci”. Esserci perché torni ad essere “maestra in umanità” per i giovani uomini e le giovani donne di oggi e di domani. Non si insegna solo con le parole, ma con la testimonianza della vita: nel concreto, a partire dalle nostre “famiglie cristiane” e nei nostri ambienti ecclesiali, in cui dobbiamo domandarci come stiamo crescendo i figli rispetto a questi temi. La violenza sulle donne a volte nasce in famiglia, spesso da comportamenti violenti subiti da chi poi diventa carnefice a sua volta… Queste questioni esigono da parte di tutti un forte esame di coscienza, perché si possa sempre più combattere questa piaga di inciviltà che sembra non avere fine, ma che deve essere combattuta con ogni mezzo, a partire da una forte “prevenzione” ed educazione delle nuove generazioni. (6’ 15’’)

31


SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

Rieletto per la terza volta sindaco di Trieste Roberto Dipiazza Interviste di FRANCESCO LA BELLA ANNA MIYKOVA


Trieste ha una scontrosa/ grazia. Se piace,/è come un ragazzaccio aspro e vorace,/ con gli occhi azzurri e mani troppo grandi/per regalare un fiore;/come un amore/con gelosia./Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via/scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,/o alla collina cui, sulla sassosa/cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa. (da “Trieste”, Umberto Saba)


SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

Tre volte sindaco a Trieste: una città non cambia la sua identità Genius People Magazine, che è stata fondata a Trieste, propone un’anteprima sul lavoro del rieletto Primo Cittadino. In tutta la sua autorevolezza.

Di FRANCESCO LA BELLA

Sindaco Dipiazza, al di là dell’attrattiva rappresentata dal suo nome, come spiega che un blocco politico piuttosto imponente come quello coagulatosi attorno al PD in questi cinque anni sia crollato in questo modo? Il lavoro di un sindaco è quello di governare goccia dopo goccia, aggiungendo ogni giorno un piccolo risultato che vada a creare poi nel complesso, quell’insieme di proposte ed idee che si sono promessi all’elettorato in sede di campagna elettorale. Evidentemente l’amministrazione Cosolini non ha fatto abbastanza in questi cinque anni, salvo svegliarsi a tre mesi dalle elezioni, raccontando alla gente di trenini sulle rive, progetti per il Porto Vecchio e quant’altro. In questi ultimi tre mesi si è raccontata una favola ai cittadini che però hanno chiamato il bluff di un ex sindaco che in ben cinque anni di mandato non ha predisposto nemmeno la segnaletica orizzontale, giusto per fare un esempio. Questo efficientismo dell’ultima ora ha anzi fatto irritare i cittadini, che si sono sentiti presi in giro.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Un dato politico molto importante in queste elezioni è stato l’astensione, ha avuto la maggioranza ma di una minoranza perché più del 50 per cento degli elettori non si è recato alle urne. La considera un’ombra sulla sua investitura? Come riportare i cittadini al voto? Innanzitutto vorrei ricordare che mentre io sono stato votato da almeno un cittadino su quattro, Debora Serracchiani (Presidente della Regione FVG e Vicesegretario PD ndr) ha ottenuto il favore di solo un cittadino su cinque, questo è un dato politico. Il problema è stato innanzitutto il fatto che si sia deciso di precludere ai cittadini la possibilità di farli votare anche di lunedì (originariamente il voto di domenica era previsto per l’orario 8-22, poi esteso a 7-23 tramite emendamento). Per anni si è parlato male della politica mentre questa è un elemento fondamentale non solo dello Stato ma della democrazia stessa. Insegnare agli elettori che la politica è marcia ed i nostri valori da rottamare non può che portare ad un risultato di questo

34


SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

tipo. Valori come famiglia, patria, lavoro, l’educazione ed il senso civico sono imprescindibili se si vuole convincere le nuove generazioni che vale la pena di recarsi alle urne. Per fare un esempio concreto, stamattina sono entrato nel gabinetto del sindaco ed ho subito notato che era stato rimosso il crocefisso dalla parete, per lasciarlo chiuso in un cassetto. Io ho subito rimesso questo simbolo della nostra storia e dei valori fondanti della nostra civiltà al suo posto. Trovo che un atteggiamento così negazionista rispetto alla nostra storia, e quindi del nostro futuro, sia gravissimo. Lei ha rappresentato un’alleanza politica tra tre partiti: come si può mantenere dei buoni rapporti di vicinato? Ci si chiude attorno da un programma, il programma della città. Inoltre la forza del sindaco, che è data dal consenso dei cittadini e dall’apprezzamento dell’operato di governo, rappresenta uno stimolo fortissimo ad andare avanti e a concentrarsi sulle cose davvero importanti per la comunità. Come valuta il suo successo in relazione all’esito nazionale di queste elezioni amministrative? Con i miei 8650 voti di prederenza al sindaco, sui 40.000 totali posso dire che l’elettorato di Trieste si è dimostrato, ancora una volta, molto maturo. Nonostante le parole di Roberto Weber e Paolo Rumiz, i quali hanno scritto delle parole indecenti contro la nostra coalizione e contro i nostri elettori di centro-destra, la gente non si è lasciata mettere “l’anello al naso”. La cattiveria con la quale si sono scagliati contro di noi secondo me ha contribuito al nostro successo. Trovo comunque che le elezioni locali guardino molto alle persone ed alle situazioni concrete più che al contesto politico nazionale.

sempre vinto le mie campagne elettorali, tutte e quattro le volte. Questo significa che le persone riconoscono in me una persona onesta che dice le cose come stanno senza tanti giri di parole. I cittadini per questi motivi si fidano di me ed io li ringrazio per questo. Una vittoria importante non solo contro un avversario come Roberto Cosolini ma anche contro una buona parte di stampa che non le ha risparmiato nulla. Vuole esprimere un commento? Non avrei mai pensato nella mia vita, sia privata che pubblica, nonostante io sia sempre stato una persona trasparente e con un grande rispetto delle regole, come dimostra la mia fedina penale immacolata, di poter ricevere degli attacchi personali come quelli che mi sono stati rivolti. La cattiveria che è stata scagliata contro di me è finita per essere un boomerang contro i miei detrattori visto che la gente mi conosce e sa distinguere le critiche dalle calunnie. Io ho sempre lavorato, da quando avevo 15 anni, riuscendo poi a creare ricchezza per me e per il territorio, pagando le tasse e non solo. Prima parlava del crocefisso, prenderà una posizione forte e decisa sul tanto discusso “gioco del rispetto” dopo che l’ha inserito all’interno del suo programma? La proposta del mio programma è assolutamente quella di abolire questa pratica. I nostri ragazzi devono crescere giocando, educandoli al senso civico ed al rispetto dell’altro, non vedo cosa possa dare in più questo “gioco del rispetto”. Quello che conta è il rispetto del prossimo. Noi dobbiamo offrire ai bambini una società sana, nella quale le parole mamma e papà siano riconosciute come le parole più belle del mondo. Non voglio che vengano abbandonate in favore di genitore 1 e genitore 2. (4’ 35’’)

Sindaco Dipiazza, terza volta scelto dai cittadini a governare Trieste: rifarebbe tutto il percorso di questi anni oppure ha qualche rimpianto? Quarta con Muggia! (ride) Non vorrei sembrare altezzoso ma nei fatti io ho

NUMERO 2/II

35


SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

Trieste straordinaria, ma bisogna darsi da fare! È sufficiente fare cenno alla bellezza di Trieste, che il suo entusiasmo irrefrenabile viene a galla e ti travolge di idee e progetti. La Trieste di Saba “che ha una scontrosa grazia”, è la Trieste tanto cara a Roberto Dipiazza, eletto sindaco per la terza volta. Udinese di nascita, ma triestino sino alle viscere proprio come l’amore entusiastico per la natura eccezionale e l’unicità di questo luogo, al contempo mitteleuropeo e italiano che instancabilmente definisce “straordinario”. Il Sindaco Dipiazza mostra un indubbio carisma, ma si fa subito serio e risoluto quando si parla di giovani e lavoro, obiettivi principe del suo programma.

Di ANNA MIYKOVA

Si suole dire “Non c’è due senza tre” e lei ne è la dimostrazione, congratulazioni per questo risultato. A cinque anni dal suo ultimo mandato, i triestini le hanno rinnovato la fiducia e le hanno conferito le chiavi della città. Quanto conta per lei l’affetto dei suoi concittadini? Io ero consigliere regionale e la mia scelta di ricandidarmi è stata proprio in funzione dell’affetto dei cittadini che mi fermavano in ogni dove in questi anni, per strada… dicendomi di ritornare. Infatti, sono ritornato e ho vinto. Cosa vuol dire essere sindaco di una città sui generis come Trieste: italiana, mitteleuropea, città di confine, porto marittimo. Guardi io sono friulano, e un friulano a Trieste è un po’ come un pisano a Livorno. Invece, non è stato vero perché i cittadini mi hanno votato per il quarto mandato. Sono infatti stato sindaco anche della vicina Muggia dal 1996 al 2001. E le devo dire che Trieste è la città più italiana d’Italia, nel

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

senso che qui sono passate due guerre, entrambe del ‘900, le hanno vissute tutte. È indubbiamente una città mitteleuropea anche perché qui si parlava di Europa quando in Europa non sapevano nemmeno cosa volesse dire “Europa unita”. È anche una città di confine, il che è un’esperienza incredibile. Pensi che il sabato arrivavano oltre 100.000 acquirenti d’oltreconfine. Era una cosa meravigliosa: ricchezza per la città e lavoro per tutti! E poi c’è il porto marittimo. Maria Teresa d’Austria ha fatto diventare grande questa città portandola a 270.000 abitanti, unendo popoli diversi: greci, turchi, dalmati, ungheresi, tedeschi, austriaci e slavi. Insomma, intendo dire che è una città straordinaria. Alle manifestazioni, come il 25 aprile per esempio, c’è il Vescovo che parla in italiano e sloveno, la comunità ebraica con i suoi riti, la comunità greco-ortodossa e quella serbo-ortodossa con i loro riti orientali e poi la comunità anglicana. Se pensa a una città di 205.000 abitanti, tutto questo è straordinario.

36


SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

La Ferriera di Servola è un annoso problema di Trieste ma, a malincuore, resta al momento irrisolto. Quali misure intende adottare in questo senso oltre alla disponibilità al dialogo che ha già mostrato al Comitato 5 dicembre? Nei primi dieci anni solo contro il sindacato, e solo contro l’imprenditore che voleva continuare a inquinare. Mentre adesso sono nati i Comitati che sono in grado di portare in strada quattro o cinque mila persone e avere il loro appoggio è molto importante per un sindaco. La Ferriera è un cancro della città che fa molto male alla salute dei cittadini e non possiamo più scambiare l’ambiente per i posti di lavoro, e quando si va a Servola ci si rende conto del dramma in cui vivono i bambini e le famiglie. Per cui ho detto ancora una volta basta Ferriera, e basta all’area a caldo. Loro stanno mettendo su un laminatoio a freddo, dove ci saranno dieci forni a 1000° dove occuperemo gran parte degli operai e dobbiamo chiudere l’area a caldo. Anche perché il futuro della mia città non è la ghisa, prodotto con basso valore aggiunto ma lo sono prodotti con alti valori aggiunti e penso alla Wärtsilä, alla Illy caffè, all’area della ricerca e al parco scientifico. Uno dei suoi tweet più recenti “Giovani e mare sono il futuro di Trieste. Il mio impegno è certo”. Lo può commentare? Nella mia campagna elettorale io avevo tre parole: lavoro, lavoro e lavoro. E questo è dedicato ai giovani! Io devo assolutamente creare opportunità lavorative per i giovani perché se c’è lavoro c’è famiglia, c’è ricchezza, se c’è lavoro la gente sta bene mentre se il lavoro manca, manca tutto. Manca la serenità in famiglia, i denari per vivere. E poi il mare che è il futuro perché Trieste è cresciuta sul mare con il suo Porto vecchio grazie a Maria Teresa d’Austria e il Porto nuovo. Siamo uno dei porti più importanti del Mediterraneo e dobbiamo continuare a lavorare Riusciremo un giorno a parlare del Porto Vecchio come qualcosa di “nuovo” e a

NUMERO 2/II

rilanciarlo dandogli l’importanza rivestita nei decenni addietro? Immagini questo porto nuovo con 650.000 metri quadrati, immagini marine, maxi yacht, luoghi dedicati alla nautica, luoghi dedicato ai giovani, locali. Provi a pensare a tutto questo spazio straordinario sul mare, che ritorna a vivere. È una grande opportunità. Dopo il Borgo giuseppino e il Borgo teresiano, questo nuovo borgo della città che vorrei dedicare ai giovani, agli studenti e alle persone che amano Trieste. Rilanciare Trieste a livello turistico. Qual è il suo prontuario? Voglio collaborare con il sindaco di Venezia che fa trenta milioni di visitatori all’anno, con quello di Vienna e Lubiana – che è un caro amico – e con quello di Zagabria e Capodistria. Vorrei creare un’area all’interno della quale abbiamo una varietà paesaggistica dalle coste sabbiose del FVG e del Veneto, al Collio goriziano, alla Grotta gigante fino ad arrivare alle grotte di Postumia e a tutta l’Istria croata, dando l’opportunità di conoscere questo meraviglioso territorio. A pochi Km da Trieste abbiamo Aquileia, che poco è conosciuta ma era la quarta città dell’Impero romano e questo dimostra che ci sono grandissime opportunità di sviluppo. E sviluppo turistico vuol dire lavoro, il lavoro vuol dire ricchezza. “Renderò Trieste bellissima” è un motto particolarmente presente nelle sue dichiarazioni e colpisce soprattutto chi ama particolarmente la sua città. Piazza Unità è indubbiamente una delle più belle del nostro Paese, ma Trieste non è solo questo… cos’è per lei la bellezza di Trieste? È sufficiente guardare lo skyline della nostra città per rendersene conto: è qualcosa di straordinario! Nei dieci anni passati, infatti, abbiamo rifatto le rive, l’illuminazione pubblica, i teatri, le piazze...penso a piazza Verdi, piazza della Borsa, piazza San Giacomo, piazza Puecher e a tutte queste opere bellissime che abbiamo realizzato. Ci tengo a sottolineare che Trieste era prima in classifica

37


SPECIALE ROBERTO DIPIAZZA

“Abbiamo cambiato molto di quella città che a volte ricordava un po’ troppo il Novecento, quel Novecento di tragedie con la Prima Guerra mondiale, la Seconda, la Risiera, le Foibe… Vorrei che la città guardasse avanti e non più a quei drammi.” come qualità della vita a livello nazionale per ben due volte - nel 2004 e nel 2009 - e i parametri di valutazione sono ben 44, per cui la bellezza della città è per me Miramare, è la fortuna di essere a cinque minuti dal mare e dal Carso, in mezzo a una natura straordinaria e bellissima. Nessuno ha questa peculiarità! Per esempio, Miramare è la seconda o terza meta d’Italia, dobbiamo sfruttare di più le opportunità a nostra disposizione. Non abbiamo mai creato parcheggi, servizi all’interno del parco e la caffetteria stessa è un disastro. Si potrebbero organizzare delle manifestazioni importanti come le operette o luci e suoni che ricordino la vita di Massimiliano e Carlotta. Le opportunità sono davvero molte però bisogna darsi da fare. Criminalità e immigrazione clandestina: due variabili direttamente proporzionali? Io sono contro l’immigrazione clandestina non contro quella regolare trattata dalla Prefettura. Sono contrario a far dormire qualche decina di persone sotto il portale all’ingresso di Porto vecchio e per strada. Sono contro il buonismo di questa città che chiude gli occhi sui mendicanti e sulle persone che delinquono. Userò un termine un po’ forte, tuttavia voglio pulire la città da

tutte le scritte e “pulirla” dalla delinquenza. Cosa lascerebbe invariato di Trieste? Trieste è la città di Saba, di Joyce, di Svevo...te ne innamori. Io me ne sono innamorato anche perché è una città che mi ha dato tantissimo sia dal punto di vista personale, sia come imprenditore che come sindaco. Insomma, non ci sono molti sindaci in Italia che sono al terzo mandato! Capisco Saba, quando nella sua poesia parlava di questi magici angoli della città. La sua vocazione internazionale, la capacità di guardare al futuro e di diventare una capitale d’area, perché lo è. Questo è ciò che lascerei invariato. E cosa che cambierebbe? Le dirò una cosa, Trieste è talmente permeata di cultura e di angoli meravigliosi che…Abbiamo cambiato molto in precedenza, come quel 10 luglio del 2010 quando ho portato i tre presidenti di Italia, Slovenia e Croazia al concerto di Muti. Abbiamo cambiato molto di quella città che a volte ricordava un po’ troppo il Novecento, quel Novecento di tragedie con la Prima Guerra mondiale, la Seconda, la Risiera, le Foibe… Vorrei che la città guardasse avanti e non più a quei drammi. (7’ 25’’)

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

38


5575LE 5575LE the original the original

YEArS LATEr YEArS LATEr

LiMiTED EDiTioN LiMiTED EDiTioN ®

®

t h et hM eic Mri c orpo hp ohno en . e

Per celebrare i 75 anni dal suo lancio avvenuto nel 1939, Shure ripropone oggi il progetto originale del suo “55 Unidyne” realizzando una edizione limitata e numerata denominata 5575LE “Fat Boy”. C on la sua capsula cardioide dalle prestazioni elevate e il suo inconfondibile “vintage style” è da sempre il microfono più riconosciuto e riconoscibile al mondo. Una vera icona per artisti e collezionisti!

Distribuito Distribuito da: da: Prase Engineering Prase Engineering S.p.A. S.p.A. Tel. +39 0421 Tel. +39 571411 0421•571411 Fax +39• 0421 Fax +39 571480 0421 571480 www.prase.it www.prase.it • info@prase.it • info@prase.it

www.shure.it www.shure.i © 2015 Shure © 2015 Incorporated Shure Incorporated


INTERVISTE

Marco De Eccher: “Portopiccolo, un traino per la valorizzazione del territorio” Il Presidente di Rizzani-De Eccher ha trasformato un progetto di sviluppo in una destinazione d’eccellenza È una domenica di sole a Design Zone 2016: volto rilassato, espressione gentile e modi disponibili. Marco De Eccher passa in maniera eclettica dallo Yacht Club alle le aree espositive di Design Zone, l’evento che a maggio ha animato per dieci giorni Portopiccolo. Una conversazione piacevole sulle iniziative in programma per un luogo che sta attirando sempre più persone, anche da lontano: un mix di eleganza, eccellenza e gusto in un’atmosfera che però non è esclusiva, ma che, anzi, vuole dare ospitalità a tutti.

Di REDAZIONE

Marco De Eccher il Presidente dell’omonimo gruppo Rizzani-De Eccher.

Da un anno all’altro, molte cose sono cambiate a Portopiccolo, in primis gli eventi. Si è deciso di organizzare questa manifestazione nell’ambito di un programma più ampio, che ha come obiettivo quello di far vivere una struttura nata in pochi anni, che deve colmare un gap di storia che attualmente non ha. Certamente Portopiccolo è una realtà in evoluzione, con una migliore offerta in quanto a servizi, ma manca la “vita” ed è proprio questo che dobbiamo creare, con iniziative di vario genere, offrendo qualcosa in ogni weekend. Dobbiamo farlo in modo graduale, si tratta di far crescere l’area un po’ come quando si cura una pianta: non dobbiamo esagerare o forzare, altrimenti si rischia di ottenere un risultato peggiore. Un primo bilancio relativamente a Design Zone 2016, manifestazione che mette in primo piano l’arredo, il lifestyle ed il leisure. Design Zone 2016 è un’iniziativa che andrà ripetuta annualmente: le edizioni future saranno certamente arricchite, siamo consci che la “prima volta” è sempre un test o un rodaggio, anche per capire gli sviluppi GENIUS PEOPLE MAGAZINE

futuri. Dopo due giorni, comunque, possiamo dire che il bilancio sia assolutamente confortante e che questo sarà un evento da portare avanti anche nei prossimi anni. Peraltro, parlando sempre di manifestazioni, a breve avremo un appuntamento importante con Mercedes Benz: dal 20 maggio, infatti, ci sarà la presentazione mondiale di uno dei loro modelli di automobile. È un bel segnale per Portopiccolo: iniziative che cercano contesti che possano fare una promozione di qualità, e questo non può che far bene alla nostra realtà. Come sta rispondendo un territorio che, in un primo momento, non vedeva di buon occhio un intervento simile? Il concetto di Portopiccolo come un contesto chiuso è sbagliato: se proprio vogliamo trovare un difetto, si tratta di una realtà artificiale nata in un posto naturale e proprio per questo dobbiamo cercare di dargli una vita più “naturale” possibile, riuscendo a far entrare la gente e farla sentire a casa. Il contesto curato e gradevole deve essere un traino per le persone. Stiamo avendo riscontri positivi, sia dalle istituzioni 40


INTERVISTA A MARCO DE ECCHER

Creare un ambiente che faccia convivere l’attenzione e la cura per il design con la naturalezza e la spontaneità. In più, una caratteristica peculiare di Portopiccolo è il fatto che sicuramente si posiziona su uno standard medio/alto, ma non ci sono cancelli o entrate con le guardie: il clima è amichevole, c’è gente di tutti i tipi che può farsi una passeggiata al pomeriggio, con il cane o in compagnia. In più, una persona è in un contesto di grande qualità perchè ci sono tre capoluoghi di provincia a meno di mezz’ora di macchina: ci sono servizi e collegamenti e molta gente, che in un primo momento aveva pensato a Portopiccolo come alla zona della propria casa al mare, sta pensando ad un uso differente del posto, visto oltretutto che il mare è più bello d’inverno che d’estate.

che dagli abitanti delle zone circostanti, che si rendono conto che Portopiccolo può essere un traino per la valorizzazione del territorio: in passato, era visto come un elemento di disturbo nel contesto, ma ora viene considerato un elemento di qualificazione che non ha assolutamente deturpato questa costa. Questo è molto utile: per noi, il rapporto con il territorio è fondamentale. Lo dico perchè è il sistema a fare la differenza: se a Sistiana e su tutto il territorio si sviluppa un’offerta qualificata che può far forza anche su Portopiccolo, tutti quanti ci guadagnano. Portopiccolo si sta configurando come un’eccellenza del Friuli Venezia Giulia, per diversi aspetti. Portopiccolo è un punto d’incontro fra un’atmosfera naturale, con la cura della qualità, del design e della contemporaneità, ed una parte di sviluppo ed espansione data dalle case e dalla spa, ma sempre con la ricerca della contestualizzazione all’interno dell’ambiente circostante, perchè ad esempio la pietra usata per i muri a secco è stata scavata dalla cava nella quale il villaggio è stato realizzato. Qual è la logica?

Quali sono gli sviluppi nel prossimo futuro? A breve completeremo un primo intervento con la tanto attesa spa, che sarà una struttura di qualità che troverà la soddisfazione di tutti e darà il suo contributo nella de-stagionalizzazione della struttura, che ha un potenziale di vita anche durante la stagione invernale. Sarà strutturata in due diverse aree: una, molto elegante e curata, per l’attività “beauty”; l’altra sarà una zona con saune, vasche saline, piscine, idromassaggi, dove ci si potrà godere il caldo e la tranquillità, con un servizio “food” orientato al benessere. Un’altra addizione sarà il Portopiccolo Pavillion, un centro congressi che verrà utilizzato per convegni, cerimonie, spettacoli, mostre e tutte quelle iniziative che serviranno per far “vivere” il posto anche nei mesi meno caldi. Portopiccolo si fermerà qui o andrà anche oltre? Il prossimo passo più grande sarà quello del potenziamento di Portopiccolo, abbracciando la Baia storica di Sistiana, fino ad arrivare all’ex hotel austriaco, con un ulteriore sviluppo immobiliare magari non di grandi volumi, ma comunque molto qualificante per l’area, che valorizzerà tutti i boschi circostanti. (4’ 55’’)

NUMERO 2/II

41


INTERVISTE

Amerigo Vespucci, marchio italiano nel mondo Curzio Pacifici, Capitano di Vascello della storica nave scuola ambasciatrice Unicef dal 2007 Oltre quindicimila visitatori in tre giorni a Venezia; un equipaggio di 310 persone, di cui il dieci per cento sono donne. Numeri impressionanti, quelli della nave Amerigo Vespucci: una nave scuola che è un vero e proprio simbolo italiano, rivestendo oltretutto i panni di ambasciatrice Unicef dal 2007. La sua nascita risale al 1931 ed il marinaio con più anzianità di servizio a bordo è il nostromo Giulio D’Elia, con vent’anni d’esperienza sulla nave: una storia lunghissima e importante alle spalle, come ci racconta il Capitano di Vascello Curzio Pacifici, in carica dal 2012. GENIUS PEOPLE MAGAZINE

42


INTERVISTA A CURZIO PACIFICI

Di MATTEO ZANINI

Innanzitutto ci racconti la sua esperienza: com’è arrivato, dagli inizi, fino all’Amerigo Vespucci? Al termine del percorso accademico, ho partecipato ai corsi di pilotaggio presso la US Navy, conseguendo i brevetti di Pilota di Ala Fissa ed Ala Rotante. Rientrato in Italia, sono stato imbarcato su diverse Unità della Squadra Navale tra cui il Cacciamine Termoli, la Fregata Bersagliere e il Cacciatorpediniere Mimbelli, nella Base Navale di Spezia e Taranto, assolvendo numerosi incarichi operativi. Nel corso di questi imbarchi ho partecipato alle missioni in Mar Adriatico ed in Golfo Persico, sia sotto bandiera NATO che UE. Successivamente sono stato destinato presso il Comando Operativo di vertice Interforze (COI) come Ufficiale di staff del Capo di SM. Nel novembre 2004 ho assolto l’incarico di Capo Ufficio Supporto al Volo del 6° Reparto Aeromobili presso lo Stato Maggiore Marina; nel settembre 2006 sono stato destinato presso il Quartier Generale NATO a Norfolk – USA (Allied Command Transformation – ACT), quale responsabile della policy della Education & Training delle Forze alleate. Dal 1 ottobre 2009 al 30 settembre 2012 sono stato Vice Capo del 6° Reparto Aeromobili dello Stato Maggiore Marina e dal 29 ottobre 2012 sono al Comando della Nave Scuola “Amerigo Vespucci” della Marina Militare.

L’eccessiva libertà crea confusione nei giovani d’oggi: la disciplina consiste nel dare gli strumenti al giovane per vivere bene e i giovani hanno pochi punti di riferimento. L’Amerigo Vespucci è una grande famiglia, una squadra composta da piccoli ingranaggi parte di un grande meccanismo nel rispetto della tradizione, ma affiancata dall’innovazione.

Per fare questo tipo di mestiere ci vuole una certa attitudine: quali caratteristiche deve avere un allievo ufficiale? Un Ufficiale di Marina deve essere pronto ad affrontare tutte le sfide che gli si presentano davanti, nel corso dell’intera carriera. Sin dal primo anno in Accademia Navale, molte sono le prove alle quali si è sottoposti, sia come “singolo allievo” che come “membro di un gruppo” avente una propria ben definita identità, che cresce e si amalgama nel tempo grazie alle continue esperienze ed al diurno addestramento. In questo iter, il periodo a bordo del Vespucci costituisce una esperienza unica, in cui tradizione e cultura marinaresca diventano un bagaglio ineguagliabile per ogni Ufficiale di Marina.

Si può dire che l’Amerigo Vespucci sia un prodotto d’eccellenza del “Made In Italy”? Se sì, quando conta oggi il prodotto italiano? L’Amerigo Vespucci è sicuramente un prodotto d’eccellenza del “Made in Italy” e tra le varie funzioni che assolve, oltre all’addestramento degli allievi Ufficiali ed attività prettamente “duali” (ovvero che prevedono l’impiego di mezzi militari per scopi non propriamente militari come nel caso, ad esempio, di impieghi per scopi di protezione civile nel caso di calamità, sociali o scientifici) vi è anche quello di promozione dell’immagine dell’Italia nel mondo. Progettata e costruita interamente in Italia grazie all’abilità delle maestranze che hanno contribuito alla sua realizzazione ed alla sua manutenzione nel corso degli anni, l’Amerigo Vespucci è l’esempio tangibile della qualità dei prodotti nazionali e dell’operato degli italiani, apprezzati in tutto il mondo.

Che ne pensa dell’educazione e della disciplina dei giovani d’oggi? È qualcosa che si è perso un poco, vero? NUMERO 2/II

“Non chi comincia, ma quel che persevera” è il motto legato all’Amerigo Vespucci: ce lo può spiegare? Ogni nave della Marina Militare ha un motto che la accompagna per la sua intera esistenza e diventa parte integrante dello spirito della nave stessa; quello del Vespucci è un aforisma, peraltro attribuito al grande Leonardo da Vinci, che ben si affianca ad un ambiente di elevatissimo ingegno umano, di formazione ed addestramento all’arte marinaresca, dove appunto gli allievi dell’Accademia Navale, al termine del loro primo anno accademico, hanno un vero e proprio battesimo del mare entrando in simbiosi con quell’elemento che li accompagnerà per tutta la loro vita, privata e professionale. Il motto si sedimenta da sempre nel cuore dei cadetti, una saggezza destinata a non mutare nel tempo, come gli animi, fieri e forti, di chi ha solcato il mare ed ha imparato a conoscerlo a bordo di Nave Vespucci.

43


INTERVISTE

Parlando proprio di “Made In Italy”, l’Amerigo Vespucci mantiene le tradizioni della manifattura del nostro paese? In che cosa riusciamo, secondo lei, a differenziarci dagli altri sul mercato? L’Amerigo Vespucci confermo è un’eccellenza non solo della Marina Militare ma dell’Italia tutta. Mantiene in essere tutte le tradizioni della grande manifattura italiana, esempio ne è il grande lavoro di ricostruzione cui la Nave è stata oggetto a seguito dei lavori di ammodernamento (AMV/PVO - ammodernamento mezza vita/prolungamento vita operativa), che, durati oltre due anni, hanno visto il fondamentale contributo delle maestranze arsenalizie della Spezia e dell’industria privata, senza le quali non si sarebbe potuto completare la “ciclopica impresa” di ammodernamento dell’Unità. L’addestramento si svolge con campagne addestrative intorno al globo: un periodo non facile, ma formativo. Quanto è difficile riuscire a superare questo scoglio? La “vita di bordo” è impegnativa su tutte le navi della Marina Militare; il Vespucci non fa eccezione in questo. Per i giovani allievi ufficiali l’imbarco sull’Amerigo Vespucci rappresenta il vero e proprio “battesimo del

mare”: qui infatti, si è impegnati durante tutto il giorno, nei lavori tipici del marinaio e, in aggiunta, nei servizi di guardia, che prevedono lo svolgimento e l’apprendimento delle attività di bordo relative allo specifico settore di appartenenza. Vi sono inoltre periodi dedicati allo svolgimento di lezioni teoriche di navigazione e astronomia, oltre a briefing di carattere professionale e storico-culturale. Tenacia e voglia di apprendere sono sicuramente elementi essenziali che contribuiscono al superamento di questo primo intensissimo periodo addestrativo. Lei avrà visitato molti posti: ce n’è qualcuno che le è rimasto particolarmente nel cuore? Nel corso della carriera a bordo di varie navi i porti ed i mari toccati sono stati molti, ma direi che di particolare emozione sono stati proprio nella Campagna di Istruzione del 2013 a bordo del Vespucci la navigazione fluviale sul Tamigi e sul fiume Elba. Queste navigazioni, della durata di oltre diciotto ore con un assetto di massima reazione e prontezza, sono state delle esperienze uniche ed indimenticabili; l’estrema vicinanza alla costa, le continue accostate, il variare della corrente, le barriere di ausilio

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

44


INTERVISTA A CURZIO PACIFICI

alla navigazione, sono soltanto alcune delle molteplici caratteristiche che hanno fatto da scenografia in queste navigazioni, di forte impatto formativo ed emotivo per gli Allievi e per l’Equipaggio che si sono alternati nelle varie guardie, e del sottoscritto che seguito e condotto dalla plancia l’intera manovra. Voglio evidenziare che, nonostante le navi militari siano fatte preferenzialmente per navigare in alto mare, nel c.d. blue water, sempre più oggigiorno le esigenze di carattere sociale ed umanitario impongono un impiego nelle shallow water; l’aver pertanto acquisito dimestichezza nel navigar nei fiumi è un altro importante valore aggiunto che potrà essere di ausilio per altri impieghi in futuro. I prossimi progetti ed obiettivi legati all’Amerigo Vespucci, una realtà che va ben oltre la semplice figura della nave ma assume un aspetto “formativo” per le giovani leve italiane.

L’aspetto formativo degli allievi ufficiali è l’essenza stessa dell’Amerigo Vespucci. Nata infatti come nave scuola, continua ad assolvere questo ruolo fondamentale nell’iter formativo dei futuri Ufficiali di Marina da oltre 85 anni, contribuendo in maniera fondamentale alla formazione dei futuri Ufficiali di Marina e del personale nocchiere di bordo, che qui impara in maniera eccellente l’arte marinaresca e l’andar per mare. Cambiano i tempi e con essi la società è soggetta a dinamiche diverse; tuttavia i valori fondanti come l’etica, la fedeltà, la disciplina, l’onore ed il coraggio, valori a cui l’Ufficiale di Marina deve sempre tendere durante l’intero arco della propria carriera, rimangono immutabili e, forse proprio in virtù di questi repentini cambiamenti cui la società è sottoposta, acquisiscono oggi ancor più significato. L’Amerigo Vespucci riveste, proprio in virtù dell’esperienza e degli insegnamenti che tramanda da oltre 85 anni, un valore aggiunto insostituibile. (7’ 00’’) NUMERO 2/II

In apertura: La Amerigo Vespucci e il suo equipaggio. Nella pagina a fianco: Il Capitano Curzio Pacifici e il motto leonardesco impresso sulla Vespucci. Sopra: La Amerigo Vespucci naviga in mare aperto affianco della portaerei Cavour.

45


INTERVISTE

Bernardo Zerqueni, self made man Per dirla con un termine che piace tanto agli americani, Bernardo Zerqueni è un vero “self made man” che, con una lunga gavetta e un sacco di idee, si è fatto da solo. Da semplice venditore - come lui stesso racconta - è arrivato alle vette manageriali nell’ambito commerciale fino a decidere che “era arrivato il momento in cui dovevo essere il solo responsabile delle decisioni che assumevo”. È così che nasce ONES group, un progetto ambizioso che fornisce servizi diversificati “per offrire un’opportunità di miglioramento a tutti, dando la possibilità di realizzarsi”.

Di ANNA MIYKOVA

Come nasce ONES group? Nel corso della mia ultima esperienza lavorativa, dove ero direttore commerciale per un’importante società di fornitura di energia elettrica, mi sono reso conto che una delle mie attività principali era diventata il recruiting e proprio durante uno dei corsi di formazione e di comunicazione che tenevo per i ragazzi è nata l’idea del marchio ONES. Si parte dal presupposto che tutti vogliono raggiungere un obiettivo nella vita - che è come la cima di una montagna - ma per farlo esistono più strade. L’importante è, innanzitutto, capire qual è la strada che si vuole intraprendere e, poi, avere qualcuno che ti guidi e ti aiuti a portarla fino in fondo. Da lì mi è venuta l’idea della bussola che ha portato al nome dell’azienda, al suo significato e alla sua mission. Interessante, dunque ONES sarebbe un acronimo che significa… Al contrario di quanto pensano molte persone, ONES non è un termine inglese e il suo logo – la bussola, disegnata all’interno GENIUS PEOPLE MAGAZINE

della “O” – ne rappresenta l’essenza stessa: non è altro che l’unificazione dei punti cardinali da Ovest a Sud. Quindi il vostro obiettivo è quello di orientare? Essere un punto di riferimento mi sembra di capire… Per le persone che lavorano con noi, ONES vuole essere come una bussola che indica la strada giusta da percorrere a livello professionale. Per i clienti l’idea è quella di acquisirli, tutelarli, gestirli sotto ogni aspetto e sostenerli nella giusta scelta. Per questo offriamo una gamma di servizi differenziati che sono comunque legati tra loro da un filo logico. Quali sono le realtà che compongono il gruppo ONES? La prima è ONES Green, che si occupa di energie rinnovabili, fotovoltaico e di sistemi di ottimizzazione dei consumi e di risparmio e che ho fondato insieme a Giambattista Morosini. Poi abbiamo inserito anche la mobilità elettrica, ma vedendo il forte interesse per le biciclette 46


elettriche, abbiamo deciso di creare un negozio apposito solo per queste. È nata così anche ONES Ebike, nata dall’esperienza proprio di ONES Green e Biciclando, l’azienda del mio attuale socio Giovanni Romich, che aveva un negozio di bici elettriche e faceva il negoziante per passione, ma insieme siamo cresciuti fino a creare questa piccola società. ONES Web che si occupa di web marketing e ONES Comm, che abbiamo costruito io e Angelo Boffi, è una rete commerciale per acquisire nuovi clienti e sviluppare le vendite. Infine c’è ONES Form, che si occupa di formazione. Si tratta di società tutte autonome ma il concetto che sta alla base è quello di offrire una serie di servizi e prodotti che posso far risparmiare il cliente, o delle soluzione per incrementare il suo guadagno. Ad esempio, la società di web marketing ha l’obiettivo di creare un sito internet se il cliente non ce l’ha oppure di migliorare il precedente ma anche, e soprattutto, di lanciare una serie di campagne di marketing online per incrementare la sua clientela.

“Si parte dal presupposto che tutti vogliono raggiungere un obiettivo nella vita - che è come la cima di una montagna - ma per farlo esistono più strade. L’importante è, innanzitutto, capire qual è la strada che si vuole intraprendere e, poi, avere qualcuno che ti guidi e ti aiuti a portarla fino in fondo.”

Foto courtesy www.onesgroup.it

NUMERO 2/II

47


INTERVISTE

Qual è il vostro target di clientela? I nostro target è principalmente il micro business come un ristorante o un negozio di abbigliamento, un dentista o un commercialista e ci rivolgiamo anche ad aziende più grandi, ma in minima molto minore. Perché il ristoratore di solito non ha un punto di riferimento per il web marketing o per l’ottimizzazione dei costi fissi, per la formazione. Di solito, un ristoratore non pensa nemmeno a fare formazione. I nostri corsi comunque non trattano l’HACCP o la sicurezza sul lavoro ma puntano all’incremento e gestione degli affari: gestione dello stress, time management, corsi di vendita o comunicazione. La mission stessa di ONES Form è quella di proporre corsi di questo tipo a realtà che non ce l’hanno nel DNA. Per spiegarmi meglio, una società come la mia ha nel DNA il fatto di investire in corsi di vendita, per vendere meglio. Mi sembra che le idee siano svariate e l’offerta anche, avete un obiettivo specifico?

Proprio quello di diversificare il più possibile perché lo richiede il mercato! Le aziende grosse oggi stanno in piedi proprio perché hanno diversificato le loro attività. E questo ci ha portato a essere consulenti di energia e gas e di diversi altri servizi in maniera tale che il cliente abbia un unico punto di riferimento e per un microbusiness questo significa tanto, perché non ha il tempo di stare dietro a diverse persone. Avete progetti di espandervi anche all’estero? Tra tutte le società del gruppo ONES credo che l’unico progetto che a breve potrebbe essere portato all’estero è quello di Ebike. Con il negozio Bad Bike noi vogliamo essere il punto di riferimento della city bike offrendo alla nostra clientela marchi di alta qualità. L’idea è di aprire negozi anche in altri Paesi con molto turismo magari con il noleggio. Ad ogni modo, puntiamo moltissimo sulla qualità e l’unicità anche nel design delle bici elettriche, e anche in questo vogliamo essere un punto di riferimento perché scegliamo modelli che

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Foto courtesy www.onesebike.it

48


INTERVISTA A BERNARDO ZERQUENI

raramente si vedono in giro. E poi altre idee bollono in pentola per il 2017 ma per ora non ne posso parlare. Qual è il cliente tipo che acquista una Bad Bike? Innanzitutto bisogna tener conto del fatto che il 70% delle persone che provano una bicicletta elettrica se ne innamorano, quindi si parla di un target di clientela che cresce dopo una prima esperienza. Inizialmente, c’è il preconcetto rispetto alla bicicletta classica soprattutto tra quelli, come i giovani o gli sportivi, che amano pedalare e questo target va fino ai 40 o 50 anni…ma una volta provata, cambiano idea con molta facilità! La e-bike è adatta per chi non va più in bicicletta perché non può permetterselo, come gli anziani o le persone con problemi alle articolazioni. È come se gli si regalasse un sogno, poter di nuovo provare le emozioni di girare in bicicletta pur non pedalando. Non dimentichiamo poi l’uomo d’affari che magari deve andare in ufficio vestito in maniera elegante e con il caldo infernale e le vie in salita (pensa alle vie ripide di Trieste…), non può permettersi di arrivare in riunione trafelato e sudato. La bici elettrica ti regala la comodità e ti permette di goderti la città in un modo del tutto nuovo. Chiaramente, per come la pensiamo noi, la bici elettrica deve sostituire lo scooter soprattutto perché comoda ed eco-sostenibile, e nel rispetto dell’ambiente è preferibile rispetto ai vecchi motorini. Mentre gli amanti della pedalata, possono continuare ad utilizzare una bicicletta classica finché non proveranno quella elettrica, ovviamente. Come ha reagito il mercato italiano all’immissione dell’energia rinnovabile e degli impianti correlati? All’inizio il primo conto energia, era davvero conveniente eppure le persone non ne erano convinte credendo fosse una fregatura, perché il costo dell’impianto era elevato ma l’energia prodotta veniva comprata. Successivamente, anche quando poi i costi dell’impianto si sono ridotti e lo Stato rimborsava il 50% ma non pagava la produzione al privato (il surplus veniva riimmesso nella rete), le persone dicevano che non convenisse. Ma l’impianto

“Io ho la percezione che questo sia il settore del futuro, diventerà una sorta di elettrodomestico, cioè qualcosa che farà parte dell’uso quotidiano in tutte le case.” fotovoltaico deve essere costruito non per guadagnare ma per produrre energia per sé e per non dover pagare le bollette. Noi crediamo fermamente nel nuovo concetto di fotovoltaico associato agli accumulatori. Puntiamo molto su un progetto che si chiama impianto a isola e che noi abbiamo voluto definire “verde” perché permette di accumulare energia di giorno che può essere consumata la sera. Quindi l’obiettivo di ONES Green è di far sì che, chi ha la possibilità di dotarsi di un impianto fotovoltaico sul proprio tetto, possa diventare autosufficiente dal punto di vista energetico con un servizio di altissima qualità. Quindi credi che ci potrà essere una diffusione più capillare del fotovoltaico in futuro? Io ho la percezione che questo sia il settore del futuro, diventerà una sorta di elettrodomestico, cioè qualcosa che farà parte dell’uso quotidiano in tutte le case. E spero che si arriverà a non dover più pagare le bollette. Per quanto riguarda le aziende per così dire “energivore” per quanto possano installare impianti fotovoltaici non riusciranno mai a soddisfare il loro fabbisogno energetico solo in questa maniera e, ad ogni modo, non tutti gli edifici sono adatti per l’installazione. Ma il fotovoltaico potrebbe incidere parecchio ecco perché anche in questo caso, il nostro target è il privato o comunque la piccola impresa. C’è molta pigrizia in giro, tutti si lamentano che pagano ma pochi agiscono. Ma se ci si trova nella circostanza di avere un consulente di ONES Green, per quanto riguarda le energie rinnovabili, che possa chiarire le idee e informare molti passeranno al fotovoltaico. C’è mancanza d’informazione ed è giusto che si inizi a parlarne di più. (7’ 40’’)

NUMERO 2/II

49


INTERVISTE

“Mi piacerebbe scardinare lo stereotipo della ragazza bella e stupida!”, parla la giovane Katia Lovat Ha una simpatia travolgente e un entusiasmo da vendere, Katia. Già dal principio, comunica tanta empatia e si abbandona alle chiacchiere come se ci si conoscesse da sempre. Poco da stupirsi, è nata sotto il segno dell’acquario: estrosa, solare e socievole. Da subito viene notata da Vitality’s - professionisti del hairstyling tutto italiano che dopo la sua partecipazione a Miss Mondo Italia 2016, l’hanno voluta come testimonial.

Di ANNA MIYKOVA

Katia, parlami un po’ di te. Come è nato il tuo percorso nel mondo della moda? Sono entrata nel mondo della moda molto giovane. Avevo 15 o 16 anni quando ho iniziato con un catalogo di moda per un negozio che si trovava vicino a casa mia. Lì avevo conosciuto delle ragazze che facevano concorsi di bellezza e che vedevo molto stimolate. Erano molto gentili e disposte a darmi consigli, questo ambiente mi ha affascinata perciò da subito, eppure per varie ragioni non ho continuato. In genere, poi, non credo nel destino ma c’è stato un momento particolare che mi ha fatto pensare che il destino esistesse eccome. Un giorno, infatti, ho ricevuto una telefonata da alcuni organizzatori del mio comune che mi chiedevano di partecipare a una piccola sfilata di paese per esibire le collezioni delle piccole boutique di abbigliamento, per intenderci. In quell’occasione c’erano delle ragazze che avevano partecipato a Miss Mondo e sono state loro a spingermi a partecipare. Prima avevo sempre fatto degli shooting fotografici, ma più che altro per passione. Così, da quell’incontro, un po’ per caso e di nascosto dai miei, sono partita. Alla prima occasione, a un concorso della GENIUS PEOPLE MAGAZINE

regione Veneto, non ho vinto nulla ma ho continuato e la mia determinazione mi ha portata, in un secondo momento, al titolo di Miss Provincia di Treviso. Da lì, sono stata selezionata insieme ad altre 149 ragazze da tutta l’Italia per Gallipoli (dove si è tenuto il concorso di Miss Mondo Italia). Tra le 50 finaliste sono poi stata eletta Miss Vitality’s. Arrivare a Miss Mondo Italia 2016 è un grande traguardo soprattutto perché in quell’occasione sei stata scelta come testimonial di Vitality’s. Dove speri che ti porti questa esperienza? Negli scorsi giorni sono stata a Milano per uno shooting organizzato da Vitality’s per promuovere delle nuove colorazioni. Spero davvero di poter soddisfare le loro aspettative perché è stata un’esperienza bellissima e tutti, dal primo all’ultimo, sono stati davvero gentili con me. Punto tanto su questa esperienza partendo dal presupposto che è già un onore per me essere stata scelta come testimonial e appoggiata da un’azienda del genere, soprattutto perché parto dalle basi. È indubbiamente un’occasione unica e vorrei coglierla al meglio.

50


INTERVISTA A KATIA LOVAT

Katia Lovat in una foto di Federico Sciuca.

NUMERO 2/II

51


INTERVISTE

Se potessi descriverti con tre aggettivi, come ti definiresti? Primo in assoluto determinata, perché la determinazione mi ha regalato molto e mi ha portato a non arrendermi di fronte alle difficoltà. Sono anche fiera del mio carattere cocciuto perché se voglio ottenere una cosa do il massimo, ovviamente con tutti gli effetti del caso. Poi solare, io adoro il contatto con le persone. E anticonformista, non riesco proprio a stare nella massa e mi piace distinguermi senza però sfociare nell’esibizionismo…non saprei magari indossando una cosa colorata o per un particolare colore dei capelli. E viceversa adoro le persone anticonformiste che abbiano qualcosa di particolare. I social network sono ormai diventati lo strumento per eccellenza per avere visibilità e notorietà soprattutto tra i giovani, quanto contano per te? Uso soprattutto Facebook e dopo aver vinto il titolo di Miss Vitality’s mi hanno creato una pagina personale, quindi adesso li uso molto di più. Ma i social sono un’arma a doppio taglio. Ti danno tanta visibilità però poi deve essere anche mediata perché lì “siamo tutti bellissimi, tutti top model” ma nella realtà è ben diverso. Oltre all’aspetto fisico, chiaramente, conta anche l’aspetto caratteriale che secondo me per affrontare questo mondo è davvero fondamentale. È una delle cose che ho capito subito, soprattutto dall’esperienza a Gallipoli. Se infatti qualche ragazza era insicura di sé oppure era lì solo per vincere e non per divertirsi se la viveva malissimo. Per questo do molto peso anche all’aspetto caratteriale. Io per esempio sono sempre positiva, non vedo l’ora di viaggiare, conoscere persone nuove e solo il fatto di essere stata selezionata tra le 150 finaliste, era per me un onore.

“Io difendo il concetto greco della bellezza come “specchio dell’anima” che presuppone che se una persona è bella fuori lo sia anche dentro.” Ovviamente il fatto che la propria immagine venga diffusa a livello mediatico porta inevitabilmente con sé anche delle critiche. Tu come reagisci a un attacco? In maniera molto diplomatica e se riesco con ironia, sarcasmo e positività perché prendersela dà soddisfazione a chi ti critica. Bisogna invece risultare superiori. Poi chiaramente la bellezza è assolutamente soggettiva, quindi posso piacere o non piacere. Mi dà fastidio quando vengo criticata per il carattere, senza che qualcuno mi conosca, non per l’aspetto fisico. In genere però accetto le critiche perché spesso possono essere costruttive, le valuto e poi decido se rispondere o meno. Nel mondo della moda l’estetica è il primo biglietto da visita. Si comunica, per così dire, con il proprio volto, il corpo, i gesti... Qual è la parte che reputi più espressiva di te? Io amo usare lo sguardo, con gli occhi riesco di esprimere diverse sensazioni, dallo sguardo romantico che mi richiede il fotografo a uno più deciso, per esempio, nel caso di un servizio di moda. E poi amo usare le mani perché le ho molto lunghe e affusolate e avrei sempre voluto fare la pianista, anche se poi non ho mai suonato il pianoforte ma questo è un dettaglio (ride, ndr). Qual è il messaggio più importante che vorresti trasmettere agli altri con la tua immagine o quale messaggio non vorresti che passasse? La cosa che più mi infastidisce è che le persone pensino che se una ragazza è bella debba per forza essere stupida. GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Io difendo il concetto greco della bellezza come “specchio dell’anima” che presuppone che se una persona è bella fuori lo sia anche dentro. Questo non implica che le belle ragazze che lavorano nell’ambito della moda siano stupide, anzi quelle che ho conosciuto sono la prova del contrario perché per arrivare a certi livelli devi essere preparato eccome. Quindi voglio scardinare questo stereotipo! Con le mie immagini mi piace comunicare uno stato di serenità, essere naturale, esprimere la gioia nel posare e fare questo lavoro, me lo auguro proprio perché spesso guardando certi cataloghi ci sono delle modelle con sorrisi finti o molto castigati e non vorrei che la mia immagine comunicasse questo. Quali sono i tuoi progetti futuri? In primis, la laurea. Adesso sto studiando Economia internazionale e mi manca un anno circa per finire, anche se so già che il mio futuro è la comunicazione e il marketing. E poi sicuramente proseguire, per quanto possibile, nel mondo della moda. Ovviamente anche la carriera da fotomodella o da modella può essere esercitata solo per un tot di anni. Finché potrò sfruttare questa esperienza “protagonista” come modella dei set fotografici, vorrei continuare su questa strada e poi mi piacerebbe lavorare proprio nell’ambito manageriale di qualche brand della moda. (5’ 55’’)

52


SPECIALE MASERATI

Maserati

eccellenza italiana a tutto tondo


SPECIALE MASERATI

Maserati, eccellenza italiana a tutto tondo Marco Dainese, sales manager per il settore delle Corporate Sales dell’azienda italiana, ci fa entrare nel mondo di Maserati Un marchio che, come lo nomini, è il sinonimo d’eccellenza: Maserati, una storia lunga un secolo. Non una semplice casa produttrice di auto, ma una realtà che promuove il “Made In Italy” come una delle eccellenze mondiali nel suo campo: abbiamo trovato modo di fare due chiacchiere con Marco Dainese, sales manager per il settore delle Corporate Sales di Maserati, che ci ha raccontato qualcosa in più rispetto all’azienda.

Di REDAZIONE

A fianco: Marco Dainese, sales manager di Maserati. Per tutte le foto, courtesy Maserati.

Marco, ci racconti innanzitutto il suo percorso professionale. Sono in Maserati da un biennio, con una carriera che inizia nel mondo della consulenza, tre anni in KPMG, e prosegue per dieci anni in BMW Italia: il mio ruolo è stato sia quello di business manager che di responsabile d’area. Sono stato poi chiamato in Maserati proprio per sviluppare il mercato del Corporale Sales: è un’area nel quale l’azienda non si era mai affacciata prima e, dalla fine del 2013 con l’avvento di Maserati Ghibli, abbiamo iniziato ad approcciare questo mercato così importante. Appena arrivato in azienda, a luglio 2014, ho iniziato a studiare il mercato di riferimento e ad applicare una strategia di inserimento dell’azienda in questo nuovo mondo, presentando il prodotto alle società italiane ed alle multinazionali presenti in Italia. Quali sono le tipologie di mercato che vi interessano? Era importante far conoscere il nostro prodotto all’interno di svariate realtà aziendali: GENIUS PEOPLE MAGAZINE

il noleggio a lungo termine è uno strumento incredibilmente utilizzato da esse, specialmente sul fronte italiano; siamo quindi riusciti già nel 2014 ad avere un impatto abbastanza forte, guadagnandoci un’incidenza sul totale contratti in Italia di circa il 14%, cresciuta poi al 20% l’anno successivo. Questo grazie alla nostra strategia che vede nella politica di presenza costante sul territorio uno dei pilastri fondamentali per far conoscere il prodotto Maserati; nel 2016, la percentuale sta continuando a crescere e, con l’uscita del nuovo SUV Levante l’obiettivo è quello di crescere ancora. Parliamo proprio di Levante. Presentato ufficialmente a marzo durante il Salone di Ginevra, arriva ora all’interno dei nostri show-room, anche se devo dire che molti clienti hanno già deciso di acquistare la vettura a “scatola chiusa”, grazie all’organizzazione di eventi dedicati. Quali sono le novità che caratterizzano Levante? 54


INTERVISTA A MARCO DAINESE

NUMERO 2/II

55


Si tratta di un SUV al cento per cento Maserati, dunque con ingegnerizzazione e costruzione completamente italiana. Quando parliamo di “DNA Maserati”, significa ottenere una vettura che mantiene la sportività che contraddistingue Maserati, unita però ad un grande comfort e ad un elevato livello di tecnologia. Levante è una vettura da “city”, ma ovviamente adatta anche ad attività off-road, che sono essenziali per ogni tipo di SUV. Quali sono state le scelte, per quanto riguarda il design? La nostra vettura è lunga poco più di cinque metri ma, vista da fuori, è un

connubio di design ed eleganza tali che non fa per nulla apparire la sua lunghezza; abbiamo utilizzato il nostro Centro Stile FCA Group al cui interno sono presenti alcuni dei designer più importanti che lavorano oggi nel campo delle auto; tutto questo ha fatto sì che Levante abbia ottenuto ottimi apprezzamenti anche da parte della critica automobilistica internazionale. Ci spieghi la scelta degli interni. Con Ermenegildo Zegna abbiamo creato degli interni pregiati, fatta di una seta realizzata con un procedimento brevettato dal Lanificio Zegna di Trivero: GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Maserati Levante.

56


questo dà un approccio di esclusività alla vettura, dando la possibilità al cliente di “customizzare” la propria vettura al cento per cento. Uno dei vostri claim è “Maserati: dal lusso al design”: l’azienda ha più di cent’anni, ma come riuscite a mantenere un livello qualitativo così alto, sia per le prestazioni che per l’aspetto estetico? L’idea di Maserati non è quella di produrre milioni di vetture; la produzione è ovviamente consistente, ma bisogna mantenere l’esclusività del design delle nostre vetture unita alla possibilità del cliente di personalizzare la propria Maserati. Certo, è

possibile acquistare una Ghibli diesel da settantamila euro, comunque accessoriata con sedili in pelle, fari bixenon, cambio automatico, etc, ma è possibile anche allestire una Ghibli benzina All Wheel Drive da centotrentamila euro in cui introdurre la pelle extrafine di Poltrona Frau, l’impianto sound di Bowers &Wilkins, etc.: è possibile quindi avere una vettura che rispecchi esattamente i desideri del cliente, nei minimi dettagli. Parliamo invece di Maserati Experience: quanto è importante il branding? È fondamentale: noi lavoriamo molto su quella che è la trasmissione dei valori del NUMERO 2/II

57


SPECIALE MASERATI

brand, cerchiamo di presidiare, in occasione del Winter e del Summer Tour Maserati, le location invernali più importanti come Cortina e Courmayeur o quelle estive come Porto Cervo e Forte dei Marmi, per dare la possibilità ai potenziali clienti di toccare con mano le qualità dei prodotti Maserati. Recentemente, siamo stati presenti all’evento Company Car Drive, che è uno degli eventi più importanti nel mondo del business, dove abbiamo fatto provare le nostre vetture presso l’Autodromo di Monza insieme ai piloti professionisti della Scuola Master Maserati. Con questo test drive, è possibile immergersi al cento per cento nell’esperienza Maserati. Con la vostra azienda non producete solamente autovetture, ma proponete anche dei corsi. Esatto, abbiamo una scuola di guida sicura e sportiva, non solo per i nostri clienti ma anche per aziende che vogliono organizzare meeting che possano unire all’attività prettamente lavorativa anche quella “ludico-formativa”. Quali sono gli obiettivi nel futuro prossimo, tenendo presenti i cent’anni di storia che avete alle spalle? I nostri obiettivi di oggi sono continuare a crescere in termini di volumi, a livello nazionale ed internazionale. La crescita di Maserati, negli ultimi anni, è stata incredibile: basti pensare che nel 2012 vendevamo circa 6.000 unità, mentre nel 2015 siamo arrivati a circa 32.000 unità. Se vogliamo parlare di obiettivi futuri, vi posso dire che, a livello Worldwide, vorremmo arrivare a 70.000 unità entro il 2018. Si parla quindi anche di un’espansione verso nuovi territori commerciali?

Confermo, non solo a livello di unità vendute, ma anche di presidi territoriali. Questo perché il fatto di continuare a crescere si unisce all’esigenza di dare al cliente dei punti assistenziali sempre più vicini. Cosa cerca Maserati nella collaborazione con altri marchi e che preferenze ha, verso le varie aziende? Per fare qualche esempio importante, citerei nuovamente Ermenegildo Zegna, con il quale abbiamo realizzato gli interni pregiati di cui vi accennavo prima, senza però dimenticare Poltrona Frau, che si contraddistingue per la raffinata lavorazione dei pellami con cui realizziamo i nostri sedili, ed altre realtà con cui collaboriamo come ad esempio StayGreen per quanto riguarda l’organizzazione delle attività di presenza al Fuori Salone del Mobile di Milano. Diciamo che, in generale, Maserati cerca la collaborazione con marchi italiani poiché riteniamo importante valorizzare il “Made In Italy” a tutto tondo. Quale potrebbe essere la strategia per continuare a crescere, nel panorama italiano? Indubbiamente la conoscenza del brand: oggi, molte aziende italiane, piccole o medie, non conoscono il nostro prodotto, anzi diciamo che sono quasi “intimorite” dal nostro brand. Io, invece, ci tengo a far conoscere le potenzialità di Maserati e il fatto che, acquistando Maserati, si aiuta quella che è l’economia italiana. La nostra attività, all’interno del corporate sales, è quella di continuare ad essere presenti in quelli che sono gli eventi collegati a questo mondo, ma soprattutto continuare a far provare i nostri prodotti. Ora, con la nuova Levante, possiamo inoltre dire di avere una “triade” di proposte che può andare a soddisfare esigenze non solo professionali ma anche personali dei nostri clienti. (6’ 10’’) GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Maserati Quattroporte.

58


INTERVISTA A MARCO DAINESE

NUMERO 2/II

59



SEZIONE DESIGN

D D D D e e e e s s s s i i i i G G G G n n n n GENIUS PEOPLE MAGAZINE

61


DESIGN

The Italian Lab: design urbano di qualità Marco Vivan ci presenta l’outdoor reinterpretato in un modo del tutto orginale

La delicatezza della pelle, la concretezza del cemento: aspetti che possono sembrare contrastanti tra loro, ma che trovano una commistione ideale nei prodotti di The Italian Lab. L’azienda di Pordenone, che produce e commercializza elementi di arredo urbano e contenitori per la raccolta differenziata, riesce a coniugare l’estetica con la praticità in maniera sublime. La mission? Poter rendere le strade ed i parchi delle città al pari dei salotti di chi le abita, con prodotti di qualità e di design di altissimo livello. Marco Vivan è il volto di questa realtà, che si è aperta a Genius People Magazine in tutti i propri aspetti e peculiarità.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

62


INTERVISTA A MARCO VIVAN

Di REDAZIONE

Nella pagina precedente: Marco Vivian nella sede dell’azienda a Concordia Sagittaria. Sopra: La chaise longue per gli spazi pubblici Eles. Composta dall’unione di due lamiere piegate una con una inclinazione caratteristica. La texture Eles conferisce eleganza al tutto. Elementi in acciaio zincati a freddo e verniciati a polveri PP. (La collezione Eles comprende: la Panca, la Panchina, la chaise longue ed il cestino). Design Ramos Bassols.

Marco, da dove hai iniziato? La mia storia parte da Venezia, la città in cui sono nato; ho sempre fatto l’imprenditore nel settore dell’arredo per spazi pubblici e dei contenitori per la raccolta differenziata, un campo in cui sono attivo da sedici anni. Che cos’è esattamente The Italian Lab? The Italian Lab è un mio progetto, partito da un anno: insieme ad altri due soci abbiamo lanciato questo brand che vuole portare una nuova filosofia del design sugli arredi. Ci ho messo del mio, dato che oltre ad essere manager, sono anche designer di alcuni degli elementi che proponiamo: cerchiamo di realizzare dei prodotti che possano rendere le strade ed i parchi come dei salotti di casa nostra, pur essendo oggetti da esterno. Abbiamo avuto dei buoni riscontri, partecipando in maniera massiccia a quasi tutte le manifestazioni dedicate al design:

NUMERO 2/II

dalla Design Week di Pordenone, organizzata da ISIA Roma Design, università madre di questo campo in Italia, passando per il Fuori Salone dove abbiamo uno show-room permanente in zona Brera. Siamo presenti a Portopiccolo nell’ambito di Design Zone e, a fine maggio, abbiamo partecipato alla Clerckenwell Design Week di Londra, nel distretto londinese del design. Il vostro sviluppo aziendale, attualmente, che cosa propone? Come azienda, abbiamo uno show-room a Milano, uno a Toronto, uno ad Adelaide e, a settembre, ne apriremo uno nel Middle East: il mercato estero, per noi, è molto importante. La nostra azienda esporta l’80% dell’intera produzione, proprio perchè la filosofia è quella di esportare il nostro Made In Italy: noi facciamo tutto direttamente in Italia, con due stabilimenti; uno di questi si

63


DESIGN

accordi su ventidue paesi nel mondo con rivenditori esclusivisti, probabilmente perchè il design proposto è molto interessante. L’obiettivo è quello di riuscire ad arrivare su mercati come il Sud America o l’Africa, con progetti verso la Nigeria, il Congo, il Camerun o l’Angola: posti in cui, attualmente, non siamo presenti.

occupa della produzione delle parti in acciaio, mentre l’altro è dedicato al nostro cemento UHPC.

Sopra: La struttura Urban Shelter con tavolo. Tubolare d’acciaio zincato a freddo e verniciato a polveri PP, doghe alternativamente di legno di essenza esotica trattate con olii naturali idrorepellenti, in essenza di pino trattate in autoclave oppure in composto riciclato di legno e plastica. Design Martin Solem.

UHPC: sembra uno scioglilingua, invece si tratta di uno dei prodotti di punta di The Italian Lab, vero? La sigla sta per Ultra High Performance Concrete: è un cemento ad altissime prestazioni, che ci serve per l’arredo urbano e per rivestimenti, fino ad arrivare alle facciate esterne per il mondo dell’architettura; vi basti pensare che, con questo materiale, abbiamo prodotto i pannelli decorativi esterni della villa privata del Primo Ministro del Kazakistan. Stiamo parlando di una struttura di quattromila metri quadrati. Lo abbiamo lanciato all’inizio dell’anno e abbiamo dato ancora più valore ai nostri prodotti con una finitura “effetto pelle”, inoltre possiede aspetti tecnici come l’impermeabilità, l’elevata durabilità, i colori personalizzabili e la grande resistenza.

The Italian Lab non si ferma di certo qui: che obiettivi avete, in quanto a prodotti? Lo sviluppo dei prodotti è legato al cemento: attualmente facciamo solo outdoor, mentre nel prossimo futuro cercheremo di creare una linea di pannelli decorativi per interni ed esterni che ci diano la possibilità di diffondere il Made In Italy di qualità in tutto il mondo. L’intuizione di personalizzare la texture con l’effetto pelle mi è venuta perchè, a mio modo di vedere, non c’è cosa più elegante di questo materiale, ma il bello è che abbiamo riprodotto per l’esterno questo effetto con un materiale che ha una grande durabilità. Altra novità sarà la produzione di sedute disegnate da Zaha Hadid.

Hai detto che lavorate molto con l’estero: quali sono le prossime tappe? The Italian Lab è una realtà nuova, ma siamo già riusciti a chiudere

Sei il manager dell’azienda, ma anche il designer: insomma, hai un ruolo di responsabilità. Che caratteristica deve avere una persona come te, per veicolare al meglio il marchio? Io curo le relazioni con i nostri distributori, li cerco nei vari paesi e trasmetto loro le nostre emozioni e le nostre sensazioni; questo perchè il prodotto deve piacere. Ci sono paesi che magari non riescono a recepire molto bene il concept dei nostri prodotti, questo viene però bilanciato dall’interesse generale di altre zone. Non per niente, in un anno e mezzo, come dicevo prima abbiamo coperto buona parte del mondo: quando si ha a che fare con l’estero, l’importante è trasmettere fiducia e serietà

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

64


INTERVISTA A MARCO VIVAN

aziendale, oltre che trasparenza. I rapporti umani sono fondamentali, bisogna essere onesti: purtroppo, nella molteplicità di persone che vanno in giro per il mondo, non sempre ci sono esempi virtuosi e per questo è necessario cercare di essere il più seri possibile. Perché una persona dovrebbe scegliere The Italian Lab per i suoi arredi urbani? Noi italiani abbiamo la capacità di creare ed inventarci ma, in più, abbiamo il gusto delle finiture, cosa che all’estero non hanno. The Italian Lab produce tutto in casa: in questa maniera, abbiamo un grande controllo interno, sia di produzione che della qualità.

Parliamo di comunicazione: quanto conta, nel tuo campo, utilizzare questi mezzi? Ho usato molto i mezzi moderni per diffondere il nostro design: parlo dei social network, che ci hanno fatto riscuotere molti consensi e devo dire che questo ha fatto si che spesso sia stata la gente a venirci a cercare. La comunicazione è fondamentale, ma ovviamente alle spalle ci vuole un’azienda solida, con prodotti di qualità ed un servizio efficiente: sono tutti bravi a “vendere” in internet, ma se poi la tua struttura non è adeguata alla velocità del mercato digitale, ecco che cominciano i problemi. Il web marketing deve essere il primo approccio, poi però ci deve essere la concretezza. (5’ 10’’)

NUMERO 2/II

Sotto: La seduta Charm. Realizzata in lamiera d’acciaio spessore 30 mm, decorata mediante il taglio laser con la texture irregolare a “foglie di palma” (texture esclusiva per il mercato degli EAU).

65


DESIGN

Il comfort per i nostri “amici”? È quello di Brandodesign L’architetto Pierangelo Brandolisio e il fantastico arredamento di lusso per animali L’amico del migliore amico dell’uomo: lo si potrebbe definire in questa maniera Pierangelo Brandolisio; l’architetto “amico di cani e gatti” è colui che rende più confortevole l’esperienza domestica dei nostri amici animali. Cucce, supporti, lettini pensati con un gusto tutto particolare, che si traducono nel marchio Brando. Uno sguardo tecnico che, come tante idee vincenti, è stato associato ad una passione, quella per gli animali.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

66


INTERVISTA A PIERANGELO BRANDOLISIO

Di REDAZIONE

In alto: L’architetto Pierangelo Brandolisio a lavoro. A lato: Lettino per cani e gatti in noce Mira 3. Foto di Elia Falaschi.

Da dove comincia la tua strada e quali sono i tuoi principi d’ispirazione? Il mio grande riferimento è stato Carlo Scarpa, per la capacità di trovare i particolari nel costruire. Pensate che io mi sono laureato a Venezia con Arrigo Rudi, che ha lavorato con Scarpa per trent’anni: da loro ho cercato di capire come venivano ricercate le finiture dei materiali. Ho finito l’università nel 1998, ma già a 21 anni ho fatto il mio primo lavoro, per un privato. Da lì, ho aperto lo studio di architetto ed ho sviluppato l’attività: il lavoro più significativo è stata la scala di Castello Cecconi, che peraltro è una delle sette scale più fotografate al mondo; ne ho ridisegnato ogni parte, raccontando la commistione fra storia e modernità. Dallo studio di architettura alla produzione di cucce per animali: spiegaci questa tua inclinazione. Dopo vent’anni di lavoro, ho NUMERO 2/II

preso atto che ero in grado di dare un mio contributo agli animali, avendo sperimentato molte cose nel mio campo professionale. Chi conosce gli animali e li ama, apprezza molto queste scelte perché comprende che qualcuno ha fatto qualcosa in più a livello di innovazione: queste persone sono dotate di grandissima sensibilità e mi hanno fatto vedere il mondo in una maniera differente. Parlando con esse, possono venir fuori nuove idee ed ispirazioni: questo si traduce poi nel mio lavoro ed è una grande soddisfazione vedere che un gatto si mette a dormire all’interno di una cuccia ideata da me e che non è la sua personale. Come nasce il marchio “Brando”? Questa start-up nasce da un’emozione e una sensazione, quella dell’animale come presenza. L’animale viene con me, in vacanza, da qualsiasi parte: quando sono con il 67


DESIGN

mio cane, mi sento in compagnia di qualcuno. Questo tipo di emozione mi ha portato a voler immaginare e pensare a degli oggetti che potessero rendere più confortevole l’esperienza dei nostri “compagni di viaggio” anche negli spazi normalmente dedicati agli umani. Mi sono interrogato sul quesito: “che cosa posso fare per gli animali?” A quel punto, ho trovato la risposta nel mio studio e, da lì, ci siamo messi a disegnare i primi prodotti: oggi, la start-up ha poco più di un anno e, quando bisognava decidere il brand da utilizzare, ho ripensato al nomignolo che gli amici di mio padre usavano con lui, quindi la scelta è andata su “Brando”. Ci sembrava un marchio adatto per tutte le lingue e, oggi, viene riportato in tutti i miei prodotti anche per la semplicità nel riconoscerlo e nell’inciderlo. Poco più di un anno di “vita”, ma ci sono già risvolti interessanti: quali sono i prossimi sviluppi di Brandodesign? Io, per abitudine, ho sempre fatto un passo alla volta: la mia è una start-up giovanissima, in un anno ho registrato il brand e creato una decina di prodotti unici. Vedo con positività questo percorso, ho alcuni nuovi progetti che verranno a breve resi noti e, da sognatore cauto quale sono, desidererei diventare un riferimento per questo campo. Si dice spesso che la qualità italiana sia di un altro livello: quali sono le scelte aziendali in merito alla produzione? Noi siamo friulani, facciamo tutto interamente “Made In Italy”, dal cucito alla scelta del materiale più particolare. Sono prodotti fatti a mano con i quali vogliamo rendere note le maestranze del mondo: ciò che è bello è l’espressione del costruito, ogni singolo pezzo ha una sfumatura dove è possibile riconoscere la mano che l’ha

In alto: Pierangelo Brandolisio con la cuccia per gatti Tunnel in cor-ten. Nella prossima pagina: Cuccia per gatti Cat60 in legno. Foto: Tramontina Studio.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

68


INTERVISTA A PIERANGELO BRANDOLISIO

composto, questo è il grande valore che noi italiani riusciamo a dare ai nostri prodotti. Ci sono mai state delle richieste particolari fatte dai vostri clienti che suonano come delle nuove sfide per l’azienda? Costruire la cuccia attorno all’animale è una bellissima sfida: abbiamo ricevuto diverse richieste di prodotti su misura e siamo anche in grado di adempiere alle richieste di coloro che desiderano materiali differenti da quelli che offriamo. Inoltre, abbiamo iniziato a studiare un design per ciotole, che fosse coordinato ai prodotti che facciamo: un progetto che voglio tenere da conto, magari non lo faremo nell’immediato ma ci piacerebbe toccare questo tipo di tematiche. Io credo che, quando disegno un prodotto nuovo, ognuno rappresenti una

parte di me: dò un nome diverso ad ogni mio prodotto e ritengo che quello che maggiormente rappresenti il mio lavoro sia la linea Baco. Ho scelto questo nome perché secondo me il baco è l’espressione più elevata della natura: l’animale entra nella cuccia ed è come se si trovasse in una culla. Ma se tu potessi disegnare un ambiente domestico partendo dalle esigenze dell’animale e non da quelle dell’uomo? Questa è una bellissima domanda: io immagino i miei prodotti come delle abitazioni in scala ridotta. Potrebbe essere un sogno studiare una casa partendo dall’animale: pensate che, in una delle case che ho progettato, mi è stato richiesto di trovare una soluzione per il gatto, in maniera che potesse entrare ed uscire senza problemi. Anche l’animale necessita NUMERO 2/II

di un luogo sano, dove può adagiarsi senza necessariamente stare sul pavimento: sempre meno, oggi, l’animale vive nelle cucce esterne all’abitazione domestica. La gente non vuole pensare il cane fuori nel giardino, da solo, ma è abituata a vivere con l’animale nel proprio ambiente. Cani e gatti hanno cambiato gli stili di vita, sono diventati dei riferimenti per persone sole. Questa start up potrebbe, in futuro, diventare il tuo impiego a tempo pieno? L’architettura è l’arte nella quale sono cresciuto, mi verrebbe difficile abbandonare completamente il volume, perché per me è uno stimolo che oltretutto mi ha dato la possibilità di occuparmi di questo nuovo progetto, per cui mi sentirei un po’ di tradire le mie origini.

69


DESIGN

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

70


INTERVISTA A PIERANGELO BRANDOLISIO

Quanto è importante “fare squadra” in un’azienda? Ho uno spazio di circa 250 metri quadri, dove c’è la sede amministrativa di Brandodesign e la sede dello studio di architettura: qui, insieme ai miei collaboratori, condivido ogni cosa. È giusto, ogni parte del lavoro deve essere condivisa perché solo in questa maniera una persona riesce a sentirsi parte del progetto e può darti di più. L’obiettivo, ora, è quello di collocare i miei prodotti nei negozi di design, sia in regione che fuori regione, occupando le vetrine più belle d’Europa: oggi come oggi, il mio progetto non nasce con lo spirito di vendita a ogni costo; vorrei capire fino a dove è possibile arrivare con gli articoli Brando, sarei disposto anche a nuove collaborazioni per fare un prodotto in sinergia con qualcuno, richiamando sempre il concetto di squadra.

Ci sono eventi o fiere a cui volete partecipare o che organizzerete? Ora ho in cantiere una presentazione privata, che verrà fatta al Ferrari Club a Castello Cecconi. Poi, a Longarone, in agosto, saremo presenti presso una fiera dedicata al gatto ed ai bonsai, dove è stata richiesta la nostra presenza. Ma devo dire che un evento che ricordo con piacere è stato a Vicenza, dove sono stato chiamato perché, esponendo a Cortina, il responsabile della fiera ha visto i miei prodotti e mi ha invitato: proprio lì ho visto un animale addormentarsi in una delle nostre cucce; è stata la risposta più gratificante al lavoro che facciamo. Chi vuol dare una riconoscibilità al proprio animale, all’intero dello spazio domestico, da noi trova la risposta. (6’ 30’’)

NUMERO 2/II

Nella pagina precedente: Cuccia per gatti Baco. In alto: Lettino per cani e gatti Dune. Foto: Tramontina Studio.

71


DESIGN

La “Seconda giovinezza” di Michele De Fina Imprenditore a 56 anni: la nuova elegante attività dell’ex gioielliere veneziano La qualità ed il brand come prime cose, oltre al recupero dell’artigianalità. Sono concetti semplici, che vengono trasmessi prendendo in mano una borsa o sfiorando il materiale di una cintura di Michele De Fina. Questo signore alto, dall’aspetto ieratico ma che in realtà nasconde un animo cordiale e disponibile, ha una storia davvero interessante alle spalle, che sfocia in quella che possiamo definire una “seconda giovinezza”: la sua azienda prende proprio il suo nome, Michele De Fina - Venezia, e si occupa della produzione di borse ed accessori femminili e maschili. A due passi dalla Basilica di San Marco a Venezia c’è il suo punto vendita di Calle della Canonica: un angolo nel quale coloro che amano le cose belle e gli oggetti eleganti e di qualità possono trovare una risposta nei prodotti di Michele.

Di REDAZIONE

Innanzitutto, due parole su di te... Io sono veneziano, nasco in Piazza San Marco come gioielliere: quasi da subito ho avuto un ruolo importante, per cui la mia carriera lavorativa inizia nel 1979. Quando ho cominciato io, erano tempi migliori dal punto di vista commerciale, perchè il turismo non era ancora quello che è il turismo odierno. Dalle tue parole traspare un pò di nostalgie per i tempi passati: il motivo è la crisi economica, specialmente a livello italiano o parli proprio della tua città natale? L’involuzione di Venezia è partita da una data precisa: 11 settembre 2001. Già si cominciavano, comunque, a vedere alcune realtà cinesi che impoverivano le attività

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

commerciali a Venezia, con la standardizzazione merceologica da loro imposta: il loro sistema di prezzo, offrendo un prodotto buono con un prezzo modico, ha un po’ scombinato il mercato. Ecco perchè uno dei motivi per cui mi sono messo a studiare un’iniziativa imprenditoriale è stato il cercare di cambiare questa tendenza, provando con il mio esempio a stimolare anche altre persone, con voglia di mettersi in gioco. Idee nuove per contrastare le difficoltà del presente, quindi? In tutto il paese, gli imprenditori hanno preferito la finanza al prodotto, lasciando campo libero alle nuove idee: è necessario riprendere un po’ quello che ci appartiene,

72


INTERVISTA A MICHELE DE FINA

NUMERO 2/II

73


DESIGN

ovvero le tradizioni e la manifattura, cercando di sostenere il nostro prodotto non per una questione di campanilismo, ma per creare posti di lavoro e tramandare le nostre eccellenze. Pensate che molti si sono rimessi a fare mestieri che erano andati in disuso, come gli agricoltori o gli allevatori di capre. Non è però semplice, visto che i giovani oggi scelgono strade differenti. Negli anni Settanta, un giovane andava prima a fare il garzone di bottega e imparava un mestiere, praticamente senza essere pagato. Si trattava di un periodo di apprendistato, un po’ come quella che oggi è considerata l’esperienza dello stage: con la differenza, però, che oggi gli apprendisti bisogna pagarli. Ecco perchè questo tipo di periodi, oggi, sono considerati parte del passato e, di conseguenza, la manifattura ci ha perso. Eppure ci sono paesi come la Russia o gli Emirati Arabi, dove questo tipo di prodotto incontra il gusto del cliente: pensate che esistono aziende che lavorano esclusivamente per questi paesi, sarà per la loro attitudine ad avere più merletti, più ricami. Parlaci invece di come è partita la tua iniziativa imprenditoriale. Segnatevi questa data: 12 giugno 2014. È questo il giorno in cui è nata la mia nuova avventura: dopo trentacinque anni dall’inizio della mia carriera nelle gioiellerie. Il primo motivo era dovuto al fatto che non c’era più stabilità lavorativa e, dal punto di vista personale, anche le soddisfazioni stavano venendo meno. Poi, la scelta è maturata nel tempo: tre anni prima, nel 2011, avevo fatto un disegno di una borsa; a me è sempre piaciuto disegnare, anche nell’ambito dei gioielli. Quando è sorta la crisi, ecco la scintilla, pur con tutti i timori del caso: mettersi in gioco a 56 anni non è di certo facile e, in più, il progetto è nato mentre ero ancora impiegato in gioielleria. Nei momenti liberi dal lavoro dovevo controllare la produzione, scegliere i tessuti ed i materiali, allestire il negozio e trovare chi poteva sviluppare i modelli che io stesso avevo disegnato, oltre a chi potesse produrre le borse e le cinture.

Quanto conta il brand nel concept dei tuoi prodotti? L’idea particolare è quella di essere riconoscibili per una cifra stilistica che si ripete in tutti gli oggetti di pelletteria e gli accessori; per me, il concetto di logo appartiene al passato. Bisogna proporre qualcosa che sia riconoscibile non attraverso i soliti canali della moda: credo che la gente si stia stufando di andare in giro “griffata” e sia alla ricerca di qualcosa di esclusivo. Intendiamoci, non penso di essere un innovatore, ma semplicemente una persona che persegue la propria idea, convinta che ci sia una nicchia di mercato che ricerca questo tipo di prodotti.

“Quando è sorta la crisi, ecco la scintilla.”

Se Gucci sta a Milano si può dire che…De Fina sta a Venezia? Guardando avanti? Ho iniziato quest’attività a 56 anni e mi sono dato 20 anni di evoluzione, sperando di farcela. Mi aspetto di fare qualcosa che possa rimanere nel tempo, per mia figlia ed i miei nipoti, ma uno dei motivi per cui mi sono messo a fare questa cosa è anche il fatto che a Venezia non esiste alcun brand, fatta eccezione per Roberta Di Camerino. Diciamo che cerco di approfittare del vuoto di mercato che altri hanno lasciato e penso di essere il primo ad aver sfruttato questo fatto. A parlarti, non sembri una persona che ha lavorato nel campo delle gioiellerie e, attualmente, si sta affermando come imprenditore. Ho sempre vissuto con un profilo basso, nonostante i miei impieghi, perchè solo così si può rimanere a contatto con la realtà. Io ho sempre lavorato, so cosa vuol dire guadagnarsi lo stipendio. Mi spiace solo non aver goduto delle soddisfazioni attuali nel passato, ma mi considero comunque fortunato, perchè almeno sono riuscito a far partire l’idea, cosa che magari altra gente non è riuscita a fare. Che cosa c’è nel futuro di “De Fina Venezia”? Parto dal concetto di orizzonti nuovi, dicendo che Venezia aveva perso

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

74


INTERVISTA A MICHELE DE FINA

l’artigianalità e la manifattura: io spero di porre buone basi per confermare il mio brand, aprendo magari qualche nuovo punto vendita che seguirò personalmente e magari riuscire, nel tempo, ad aprire un laboratorio per invitare i giovani ad imparare il mestiere. Raggruppare chi avrà voglia di imparare per supportare il nostro artigianato: questo potrebbe aiutare la nuova evoluzione del commercio in Italia. Quelli che verranno ad imparare avranno a loro volta l’occasione di fare qualcosa per conto loro, entrando nel mondo dell’imprenditoria ed alimentando nuovamente il mercato dei prodotti d’eccellenza in tutta Europa. (5’ 45’’) Michele De Fina all’interno della sua boutique a Venezia in Calle della Canonica.

NUMERO 2/II

75


DESIGN

Staygreen, il cartone che… arreda Il creatore Stefano Foffano e l’innovazione degli arredi ecosostenibili Fare tendenza, ma con un occhio all’ecologia ed alla sostenibilità: Staygreen è un’azienda del Nord Est, di quella zona d’eccellenza che è rappresentata da Venezia. Carta riciclata, collanti naturali, tessuti biologici compongono questa linea di arredi ecosostenibili che colorano diverse location prestigiose. Seduti proprio su una sedia “di carta” prodotta dall’azienda, insieme al General Manager Stefano Foffano abbiamo approfondito i temi aziendali. La Barcolana di Trieste, il Padiglione Italia all’International Golf Travel Market, il Salone Nautico di Genova, Maserati Hospitality alla Design Week di Milano: sono solamente alcuni degli esempi di location che si sono dotate di arredi marchiati dall’azienda rappresentata da Stefano Foffano.

Di REDAZIONE

Raccontaci come ha origine Staygreen. Io provengo dal mondo dell’interior, dove seguiamo tutto il percorso dalla progettazione alla realizzazione chiavi in mano: i prodotti Staygreen, per noi, sono sinergici all’altra azienda con la quale ci occupiamo della produzione. Il progetto Staygreen è nato tre anni e mezzo fa, in occasione di un evento organizzato al Golf Club Cà della Nave di Martellago (VE), assieme al designer Roberto Pamio. Attualmente le figure “operative” dell’azienda sono due: io in qualità di General Manager e Mauro Marcenta, Project Manager. Qual è la particolarità che distingue il vostro progetto? Siamo molto attenti al tema del design: abbiamo approcciato questo aspetto insieme allo stesso Roberto Pamio, aggiungendo prodotti nuovi realizzati da uno studio giapponese: direi che la parte dell’estetica, per quanto ci riguarda, è fondamentale, ma GENIUS PEOPLE MAGAZINE

a questa uniamo il tema dell’ecologia e della sostenibilità. Sono queste le cose che ci hanno permesso un cambio di passo: usiamo materiali come, ad esempio, carta che proviene per l’ottanta per cento dal riciclo. Abbiamo brevettato un nuovo rivestimento della materia del cartone detto “Solid Green”, che non va ad intaccare i processi di riciclabilità della carta stessa. In realtà, il primo oggetto di design in cartone è stato fatto da Vitra, negli Anni Settanta, ma poi tutto si è fermato lì: noi siamo riusciti a “nobilitare” questo materiale, abbinandolo con ecopelle,tessuti e metallo. Voi siete una realtà veneziana di eccellenza artigianale: quanto conta, per voi, il cosiddetto “Made In Italy”, pur considerando tutto il lavoro che c’è dietro? La produzione? È tutta interamente italiana. Puntiamo a produrre qui da noi per avere il massimo della qualità: devo altresì dire che aziende di ricerca come la nostra non possono pensare di spostare la produzione 76


INTERVISTA STEFANO FOFFANO

in altri paesi, poiché i costi andrebbero a superare nettamente i vantaggi. Il vostro è un settore particolare, viste anche le tematiche che trattate: quali sono le realtà con cui vi trovate maggiormente a vostro agio? Come sviluppo di mercato, attualmente abbiamo una rete vendita che segue prevalentemente i progetti; lavoriamo insieme a studi di architettura che poi desiderano che siano utilizzati i nostri arredi. Certo, essendo i nostri dei prodotti ecosostenibili, oggi la richiesta di questo tipo di collaborazione è sempre più in voga. In realtà, ci sono anche studi che si occupano specificatamente di design che ci stanno cercando, vogliono interagire con noi e sono affascinati dalla materia e dal nostro approccio di lavoro. Visto il vostro target di eleganza e approfondimento, sarete stati accostati anche ad altri marchi di un certo tipo, vero? NUMERO 2/II

77


DESIGN

Per quel che riguarda il mercato di un certo livello, abbiamo portato a termine delle realizzazioni a Dubai, presso l’Emirates Tower, dove si trovano alcune delle nostre lampade. Sempre parlando di clienti importanti, abbiamo inserito dei pezzi sulla terrazza dell’Hotel Hilton, a Venezia. Ci sono anche altri progetti che vi hanno visto coinvolti, corretto? Diciamo che il settore dove ci sentiamo più a nostro agio è quello della casa, dell’interior e dell’office, ma seguiremo a breve un evento importante al Golf Club Cà Del Bosco di Montecchia, Padova, come partner tecnico. Ci sono progetti importanti in cantiere anche nel mondo dell’hairstyling, senza dimenticare la collaborazione con Maserati in tutte le sue lounge. Se una persona cerca Staygreen, dove può ammirare le sue realizzazioni? Citerei la location di Brera, a Milano dove si trova uno dei nostri showroom. Infatti abbiamo appena partecipato al Fuorisalone, che considero l’evento più importante in Italia nel campo del design ed in questa occasione è passata a trovarci perfino l’emittente televisiva Sky Arte. Ci terrei a ricordare che siamo presenti anche presso la sede milanese di Global Blue, multinazionale che si è affidata a noi per veicolare la propria immagine. Insomma, i brand ed i marchi con cui collaboriamo sono tanti e noi cerchiamo di offrire a tutti la nostra miglior qualità. Chiudiamo con uno sguardo verso il futuro: che cosa ci può essere all’orizzonte della vostra azienda, a breve e medio termine? Il futuro dell’azienda? Io sono un imprenditore e per questo le mie aspettative sono quelle di ottenere una crescita ed uno sviluppo importanti anche nel mondo del design per quanto riguarda materiali sostenibili come il cartone. Vedere che tanti studi ci stanno chiamando e chiedendo la nostra collaborazione non può che farci piacere, anche alla luce del tipo dei prodotti che realizziamo. (4’ 50’’)

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

78


INTERVISTA STEFANO FOFFANO

In apertura, in alto: La poltrona Wendy in primo piano e sullo sfondo la lampada da terra @Luce Build e la libreria Omm. In apertura, sotto: Dettaglio della texture in cartone della poltroncina Petal e sullo sfondo il divano Botto, completo di pouf/contenitore. Nella pagina a fianco: La nuova poltroncina Petal, design by Robertopamio+partners. In questa pagina, sopra: La chaise longue Leaf e a fianco l’elemento decorativo Amphora Music, un impianto di diffusione audio con controllo Bluetooth. In questa pagina, a sinistra: Particolare del divano Botto, con pratico schienale/ contenitore e sullo sfondo, le sedute Leaf.

NUMERO 2/II

79


DESIGN

SP71, sguardi nuovi sul mondo Simone, Donatella e il marchio che sposa tradizione e artigianalità con design e concretezza “Nuovi sguardi sul mondo”, sfruttando una terra che ha fatto la storia dell’occhiale moderno: due lettere identificano un marchio, SP71, che coniuga artigianalità e moda. Un’avventura che parte da Mogliano Veneto, da Simone Palma e Donatella Cagnin: sposati con due figli, da vent’anni in attività nel trevigiano, hanno deciso di “deviare” dalla quotidianità lavorativa per intraprendere un’avventura da imprenditori, creando un marchio e portandolo avanti parallelamente al lavoro di ottici. Ne è venuta fuori una sigla, SP71, che accosta tradizione e modernità, design e concretezza: un concept innovativo, che promuove il “Made in Italy” e dà un taglio particolare al mercato dell’occhiale.

Di REDAZIONE

Simone, quando è partito il vostro progetto? Siamo partiti nel 2015, con l’idea di fare un qualcosa di diverso rispetto al nostro abituale lavoro. Siamo ottici di professione e, quotidianamente, visioniamo le collezioni che i rappresentanti ci propongono: proprio parlando con uno di loro, ci è venuto il desiderio di avere un occhiale particolare e da qui siamo partiti. Parliamo proprio di che cosa rappresenta SP71: Donatella, raccontaci qualcosa. Prima di tutto, non si tratta di una linea prodotta in stile “catena di montaggio”. Noi cerchiamo di

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

trovare le forme degli occhiali più alla moda ed attuali; da qui, sviluppiamo il progetto con un piccolo restyling basato sui nostri gusti e sui colori che ci sembrano più adatti. A quel punto, per la produzione, ci affidiamo ad un’azienda di Domegge, dove confrontiamo le nostre idee e facciamo dei bozzetti di quello che vorremmo realizzare, sviluppando il tutto: l’azienda cui ci rivolgiamo è una delle più storiche del Cadore, che è la patria dell’occhiale. Da dove deriva l’ispirazione di SP71? Possiamo dire che la nostra ispirazione derivi dal quotidiano: andiamo a vedere molte fiere, ma ci rivolgiamo molto anche al settore

80


INTERVISTA A SIMONE PALMA E DONATELLA CAGNIN

della moda. Potremmo dire che è quest’ultimo il settore che ci da maggiori idee; dai colori, agli accessori, a un dettaglio in particolare, tutte queste cose sono utili per implementare il nostro concept della linea. Donatella, a livello di prodotti cosa proponete? Attualmente proponiamo sei modelli, in sei colori differenti; gli ultimi due sono usciti ad aprile 2016; come si diceva prima, la produzione è interamente artigianale e proprio su questo concetto vogliamo soffermarci. Non siamo una catena di distribuzione e ogni prodotto è un pezzo unico; a ognuno di questi diamo un nome, che scegliamo in base alla nostra fantasia ed alla creatività. Possiamo dire che si tratta di un occhiale profondamente antico nella lavorazione, ma profondamente evoluto per quel che riguarda materiali e colori. Nel mondo di oggi, una parte importante la fa anche la comunicazione e veicolazione del marchio. Simone, Vale la stessa cosa anche per SP71? Pensa che il primo logo l’ho creato io insieme a mio figlio, su un semplice tovagliolo di carta. Da lì, quando poi abbiamo iniziato a disegnare, ci siamo affidati a dei professionisti del settore web e comunicazione, che hanno sviluppato la nostra immagine coordinata in maniera molto fresca ed innovativa. Oltre alla Pagina Facebook, al profilo Instagram ed al sito internet, hanno ideato per noi anche dei particolari espositori in cartone; abbiamo scelto di affidarci a dei professionisti perché crediamo fermamente che ognuno debba fare il proprio lavoro e, soprattutto, pensiamo che non ci si inventa da un giorno all’altro.

NUMERO 2/II

81


DESIGN

Il bello è che perfino i nostri grafici si sono sentiti coinvolti in questo progetto, tanto da formare una vera e propria squadra insieme a noi. Donatella, parlaci invece dello sviluppo a livello di mercato e degli eventi a cui avete partecipato. Abbiamo fatto la Fashion Week a Cortina, dal 6 all’8 dicembre 2015, in collaborazione con il negozio di abbigliamento Cècile di Cortina d’Ampezzo, dove abbiamo esposto i nostri occhiali, direi anche con un discreto successo. Siamo presenti anche a Jesolo, nel negozio Nekromanciè, oltre che in uno show-room a Dubai, insieme ad altri marchi che promuovono il Made in Italy negli Emirati Arabi, ma la volontà comunque è sempre quella di rimanere in Italia per quanto riguarda la lavorazione. Ci hanno proposto soluzioni economicamente più vantaggiose, specialmente dal mondo orientale, ma noi abbiamo voluto affidarci alla “sostanza” cadorina. Anche l’astuccio portaocchiali è creato in Italia; per quel che riguarda invece la diffusione, vendiamo solamente in negozio e non tramite internet, anche perché essendo la creazione artigianale, c’è una certa tempistica per la produzione.

Avete parlato di “discreto successo”: Simone, ci racconti qualche aneddoto divertente? Beh, il capitano della Roma Francesco Totti si è fatto la foto con i nostri occhiali; poi, sempre per rimanere nel mondo del calcio, abbiamo personalizzato gli occhiali a Joe Tacopina, il presidente del Venezia Calcio, e glieli abbiamo consegnati personalmente allo stadio, durante una partita del Venezia. Da qui, abbiamo iniziato una collaborazione proprio con la prima squadra del Venezia, che ci ha chiesto delle forniture personalizzate con lenti specchiate e di vari colori. Anche in questo cerchiamo di distinguerci, ovvero privilegiando l’aspetto della fidelizzazione e dell’attenzione verso il cliente. In un mercato come il nostro, la qualità del rapporto interpersonale è certamente in primo piano. Donatella, ma perché avete scelto di fare una cosa del genere? Ci siamo ricavati questo spazio per rompere la monotonia del quotidiano. SP71 è nato come “occhiale sartoriale”, costruito su misura: facciamo una sinergia fra il mondo dell’artigianalità e quello della moda, ed il risultato finale sono

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

questi occhiali versatili, che derivano dalla nostra creatività. Avete parlato di moda, arte e concetto. Ma chi è il vero artista, fra voi due? Tutti e due. (4’ 45’’)

Nella pagina precedente, dall’alto: Gli occhiali da uomo: - First, nella variante con montatura legno e lenti viola, - Scarface con montatura havana e lenti marrone sfumato; - Scarface con montatura legno e lenti marrone sfumato. In questa pagina: Gli occhiali da donna Olivia, con montatura camouflage e lenti verdi.

82


“essere qui è bellissimo” Rainer Maria Rilke

La cultura dell’abitare Zinelli&Perizzi sbarca a Portopiccolo Incastonato fra le falesie dell’esclusivo villaggio Portopiccolo a Sistiana (TS), SPAZIOPICCOLO Zinelli&Perizzi è un luogo delle idee dove design, arte e cultura dell’abitare si fondono per esprimere un nuovo concetto del vivere la casa oggi. Un tempio dell’arredamento e delle grandi firme del design italiano ed internazionale, selezionato con eleganza, passione ed originalità, caratteristiche dell’inconfondibile firma Zinelli&Perizzi.

SPAZIOPICCOLO // ZINELLI&PERIZZI c/o PoRToPIccoLo | SISTIana 231/Q6 | 34011 DUIno aURISIna | TRIeSTe | ITaLy T +39 040 9976625 | SPaZIoPIccoLo@PeRIZZI.IT | www.ZINELLIEPERIZZI.It


DESIGN

Il Food Design Reale corrente di pensiero o moda di passaggio?

Di FRANCESCO MINUCCI

Chi lo dice che il cibo non ha nulla a che fare con il design? Chi ci dice che ogni sfera della bellezza, perché di questo si parla, debba per forza essere considerata separatamente? Credo invece che, nel contesto odierno, i due aspetti siano strettamente correlati; non esiste al mondo un ristorante di successo che non abbia degli stretti legami con il mondo del design. Scrivo questo pezzo proprio nel giorno in cui Massimo Bottura, star planetaria nel mondo della ristorazione, conquista il premio come miglior ristorante del globo, la sua Osteria Francescana issa definitivamente la bandiera italiana tra il gotha della ristorazione dopo aver solcato il podio per ben tre anni consecutivi. Quanto design, quanta progettazione, di pensiero e nella sua realizzazione c’è nella cucina di un così quotato ristorante? Prima di capirlo meglio, cerchiamo di capire cosa effettivamente ciò possa etimologicamente significare questa parola: è di tal comune utilizzo che il dizionario Treccani, se si cerca la parola design…il secondo risultato è proprio “food design” e per tale si intende proprio una sorta di progettazione del cibo: ideazione, preparazione e allestimento di specialità alimentari e gastronomiche, con particolare attenzione al loro aspetto estetico e alla loro appetibilità. Il concetto di ristorazione pertanto si sta evolvendo, diventando fooddesign, aprendosi su paesaggi in continuo GENIUS PEOPLE MAGAZINE

mutamento, guarda al cibo ma non solo, passa dallo studio della sua materia prima a livello globale, andando a ricercare ormai chissà quali spezie o prodotti in paesi remoti, ipotizza l’abbinamento di sapori e profumi, utilizza tecniche di preparazione variegate attraverso macchinari altamente tecnologici, e si presenta su piatti che ormai hanno tutto fuorché la forma tradizionale cui siamo abituati. Ma la questione non è aliena da critici o detrattori. Architetti del cibo o cuochi della forma? Una querelle nell’aria, visto il sempre maggior interesse per il matrimonio «food&design» che ormai sbuca da tutte le parti, scusate, da ogni piatto. Il successo della progettazione del cibo spinge ormai molti, troppi a voler aderire a questo «branco» sulla cresta dell’onda, così nascono dubbi su cosa sia il «food design» ove colori e forme sembrano disegnati sopra ogni fetta, disposti secondo un ordine centrifugo misterioso e seducente. Ecco Bottura ne è il maggior esponente, il migliore tra i migliori, colui che però, in un connubio perfetto con l’eccellenza della materia prima del nostro paese, ci ha messo del cibo vero. Il cibo, si proprio quello così apparentemente banale, scontato, quotidiano, è l’elemento principe del suo processo creativo.

84


IL FOOD DESIGN

Ormai non si parla più solamente di arte al cospetto di una tela dipinta ad olio, o di una scultura fatta a mano da un grande artista, ma gli chef, così si chiamano, sono i Picasso della tela, i Michelangelo dello scalpello. A esser rielaborato, progettato, pensato e disegnato questa volta è l’oggetto più antico che l’uomo abbia mai prodotto: il cibo. Food design è un’espressione che da qualche anno si incontra spesso. Si legge sui giornali, si sente pronunciare in televisione, si insegna nelle università, per non parlare del web, dove una ricerca produce milioni di risultati. Ecco allora spuntare, puntuali, gli immancabili dibattiti fra conservatori e innovatori. I primi indignati dall’idea di rielaborare la cara vecchia cucina, e quindi a profetizzare la perdita dei valori della tradizione e la corruzione del gusto. I secondi a magnificare le ultime possibilità che la tecnologia dischiude: nuovi sapori ma anche nuovi modi di preparare il cibo, di produrlo, di renderlo disponibile. Alcuni piatti dei più importanti e stellati cuochi del mondo, che di tanto in tanto, complice un po’ di azoto liquido e sregolatezza, sembrano passare il guado per entrare fra le opere del food design: dal caviale di melone di Ferran Adrià alle “lenti a contatto” di caffè di Carlo Cracco. Opere, sì, perché il food design, almeno in questa fase della sua esistenza, sembra molto vicino all’universo dell’arte, e per varie ragioni. Prima di tutto perché gli oggetti che propone sono spesso presenti solamente in mostre ed esposizioni di arte contemporanea. Al loro interno (pochi) oggetti realmente prodotti in serie e (tanti) concept, idee più o meno balzane come uova a base quadrata o improbabili carni prodotte in provetta che danno vita a inedite bistecche. A margine, ma perfettamente integrate con il resto, le performance dei superchef che si esibiscono in show cooking da lasciare a bocca aperta. L’universo di oggetti e pratiche che si configura con il food design non soltanto è estremamente vasto e variegato, ma anche – e non è una

Francesco Minucci. Imprenditore.

NUMERO 2/II

85


DESIGN

questione marginale – di sicuro successo mediatico e commerciale. Come potrebbe fallire l’unione fra il food e il design? I foodies, ovvero gli appassionati di cibo, sono un numero sempre crescente. Guardano i tanti format televisivi, leggono i libri dei cuochi, comprano le guide enogastronomiche, vanno a caccia di rubriche nei quotidiani e, soprattutto, postano, postano, postano. È attraverso social network e blog che cresce, moltiplicandosi a dismisura, la c.d. gastromania che sembra segnare profondamente la contemporaneità. La moderna tecnologia fa si che ognuno possa farsi food star, offrire ricette, filmati, idee – riproponendo i piatti della nonna oppure spingendosi verso luoghi culinari inesplorati, convinto dell’autenticità e dell’eccellenza del proprio operato. Proprio la tecnologia, l’attenzione per la stessa, che si traduce non soltanto nel suo utilizzo ma anche nella sua creazione e messa a punto; e infine l’utopistica conciliazione fra estetica e marketing, fra fare un mero business e fare qualcosa di bello. Accanto agli esempi di cui si è detto, c’è un altro food design, meno discusso ma altrettanto presente: la progettazione invisibile e collettiva, quella che interviene sulla gastronomia a livello dei processi produttivi, del packaging, delle soluzioni che hanno come denominatore comune il rispetto dell’ambiente. Si toglie il cibo alla creazione spontanea, all’onda di un piacere che riteniamo istintivo, per farne qualcosa di meglio, per farlo diventare cioè un progetto ben riuscito. Tutto questo succede adesso. In questi ultimi anni, forse mesi, settimane. Il food design è un fenomeno di una contemporaneità assoluta, non ha una storia. Non c’è un momento, seppur convenzionale, cui far riferimento come origine di questo ambito progettuale. Non c’è un prodotto che

possa essere considerato come il suo vero capostipite. Per quanto nel passato tavolette di cioccolata, tartufi gelato, nastri di liquirizia e coni gelato siano stati progettati e brevettati, soltanto in tempi recentissimi è maturata l’idea che il food design sia un ambito specifico della progettazione al quale è possibile associare un insieme di metodologie. Perché ciò succedesse, è stato necessario che si creasse una combinazione di fattori, che vanno dalle già evocate innovazioni tecnologiche a un’inedita attenzione per l’universo del cibo, il tutto coadiuvato dall’importanza e dalla pervasività di flussi di comunicazione mai visti prima. Se del food design non si può fare una storia, almeno si potrebbe tentarne una geografia. Tracciare forma, dimensione e posizione dei diversi continenti che popolano questo pianeta, stabilire chi e come oggi si occupa di food design, in che modo interpreta tale ruolo, quale futuro riconosce. Sfortunatamente anche questo approccio offre scarse prospettive. È ancora la contemporaneità del fenomeno, il suo esser prodotto culturale emergente, a rendere difficile l’orientamento. Non soltanto gli esempi di food design sono un insieme eterogeneo, a cavallo fra l’arte e la scienza, la realtà e la fantasia, l’utile e il dilettevole, il possibile e il provocatorio, ma anche i modi di presentarlo cambiano, spesso più per seguire la voglia di trovare un’etichetta che faccia presa sulla gente che per reale convinzione. Ma a questo punto credo sia lecito porsi alcune domande.

si può considerare food design? Perché una collana fatta con le patatine fritte (per nulla commestibile) è food design mentre un video che racconta di una pietanza non dovrebbe esserlo? E ancora, perché la cialda di un cono gelato può essere considerata un esempio di food design ma non un cannolo siciliano? Ma soprattutto il food design esiste o è una mera parola con cui associare alcune foto da postare sui social network? È una moda, è una parola per riempirsi, per l’appunto, la bocca all’interno di conversazioni chic, o può essere, e se non lo può diventare, una corrente di pensiero, una parola che realmente sta ad identificare qualcosa? Probabilmente il food design non esiste, non ancora almeno, e non in forma compiuta. Se ne sente l’opportunità, perfino l’urgenza, ma perché si concretizzi in una disciplina degna di questo nome è fondamentale che si comprenda fino in fondo la complessità di un fenomeno come il cibo, i cui confini vanno molto oltre quelli che siamo abituati ad attribuirgli. La sua pervasività è tale che finiamo per non vederla più, per intenderla come normalità, necessità, quando invece è chiaro che la necessità non è che una parte infinitesima dell’universo gastronomico. (7’ 25’’)

I piatti di uno chef come il già citato Massimo Bottura o del Ferran Adrià sono food design? E se sì, tutti o solo alcuni? Il progetto del packaging che contiene un alimento lo è? Un frullatore ultratecnologico? E ancora: quando un prodotto non alimentare GENIUS PEOPLE MAGAZINE

86



DESIGN

Design, cent’anni di eccellenze, dal Bauhaus alla Apple

Di OLIVER FABI

Parlare di design oggi vuol dire sia volgere uno sguardo al passato che confrontarsi con l’innovazione tecnologica e la sperimentazione. La velocità con cui si manifestano nuovi trend, i cambiamenti nelle abitudini e la scoperta continua di nuove tecnologie che entrano nelle nostre vite hanno fatto sì che anche il design evolvesse alla stessa velocità per stare al passo delle nuove esigenze generate dai fenomeni attuali tecnologici. Nell’era di produzione di massa, di internet e delle comunicazioni veloci, non si sentono più le barriere nel reperimento e nella distribuzione di prodotti. Se un tempo ogni paese produceva forme riconoscibili e caratteristiche della propria cultura, oggi, superati i confini attraverso il web, anche il gusto diventa globale e il design internazionale. Superate le barriere fisiche il termine design amplia anche i propri confini. Non identifica più solo quella sfera di competenza relativa alla creazione di oggetti che hanno una forma che va al di là della loro funzione ricercando il bello. Ma va inteso come un’attività di progettazione alla base della costruzione e realizzazione non solo di prodotti materiali, ma anche concettuali. Le numerose forme di design spaziano dal più tradizionale design industriale, al design architettonico d’interni, il web design, lo yacht design, il graphic design, il fashion design, fino ad arrivare alle forme più innovative di interaction design, lighting design, food design, service design, marketing design, e tante altre declinazioni. Oggi il GENIUS PEOPLE MAGAZINE

design è quindi una pratica che raccoglie discipline e metodi diversi nel quale si fondono arte e scienza, creatività e tecnica, in modo vitale per produrre nuovi prodotti o servizi tecnologici. Tra i designers di spicco che attualmente rappresentano l’interdisciplinarità del design, viene subito in mente Jonathan Ive, che con Steve Jobs avrebbe innescato tra le più straordinarie collaborazioni. Come si legge nella biografia di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson, nella descrizione dello studio del designer si legge di come in quel tempio della progettazione si custodiscano e proteggano tra le più straordinarie realizzazioni Apple. Oggetti di altissimo livello tecnologico e formale. L’esterno dell’ufficio è sorvegliato e l’interno dello spazio è protetto dai più tecnologici sistemi di sicurezza. È insonorizzato da strati di isolanti acustici. Lì si custodiscono i prototipi, i modelli, gli schizzi, i progetti, le conversazioni e momenti creativi che accaddero in quel luogo accessibile solo al designer e pochi stretti collaboratori. Qui Steve Jobs usava passare i suoi pomeriggi con Jonathan Ive dove toccavano con mano l’evoluzione di ciascuna realizzazione: dal computer e dispositivo Apple più complesso, allo studio del packaging con il suo “rito di spacchettamento”. Nella stessa biografia Jobs dice: <Lui è quello con più potere esecutivo in tutta la Apple, dopo di me>. Andando alle origini del design intorno agli inizi del XX secolo, le crescenti richieste del rapido processo di industrializzazione, 88


DAL BAUHAUS ALLA APPLE

prima in Inghilterra, poi in Germania, richiedevano studi innovativi specifici per ottimizzare e razionalizzare costi e processi. Presto il tema centrale divenne il come diverse discipline potessero fondersi in un’unica attività in cui estetica, progettualità, tecnica ed artigianalità dovevano convergere in una ricerca progettuale. Le scuole di artigianato artistico già a fine ottocento iniziavano progressivamente a trasformarsi con l’aggiunta di laboratori; così iniziava il dialogo tra industria, artigianato e artisti di avanguardia in qualità di docenti. Mentre in Inghilterra il movimento “Arts and Crafts” rifiutava la produzione meccanica, con la sua impronta decisamente ottocentesca, la Germania al contrario aveva abbracciato il nuovo modo di produrre in modo incondizionato, dove nel 1907 venne fondato il <Deutscher Werkbund>, l’istituzione culturale più importante e prestigiosa che raggiunse eccellenti risultati nel dialogo tra le questioni artistiche e quelle dell’industria. Cent’anni fa, nel 1916, si stava formando in modo sempre più concreto l’esigenza e la volontà di fondare quella scuola che

NUMERO 2/II

89


DESIGN

avrebbe raccolto architetti, artisti, grafici, tecnici ed artigiani per porre le condizioni di collaborazione per la costituzione delle basi del design moderno. Era quindi giunto il momento di riunire in uniche istituzioni, in modo sperimentale, figure di spicco dalle accademie d’arte, dalle scuole di artigianato artistico e dalle istituzioni tecniche. Molti artisti e sopratutto architetti condivisero e fecero proprie tali idee. <Non ci sono confini tra arti applicate, scultura e pittura dal momento che tutto si fonde in un’unica, inscindibile attività: costruire> B. Taut. Così nel 1919 Walter Gropius fondò a Weimar, il Bauhaus, diventato il simbolo universalmente noto del design, che a cent’anni quasi dalla sua fondazione continua ad essere un riferimento sempre presente ancora oggi. In un manifesto del Bauhaus, Gropius pose e chiarì diffondendo in tutta la Germania le idee della nuova scuola. Parlava del lavoro sinergico di artisti ed artigiani volto ad erigere insieme <la casa del futuro>. Una vastissima produzione di arti grafiche, oggetti di design, dalle sedie alle lampade divenute icone del design, si accostavano la produzione di opere d’arte

grafica, pittorica ed architettonica. I vari campi di sperimentazione diedero vita a produzioni pionieristiche di eccezionale avanguardia. In questa realtà operarono i maestri del Bauhaus, personaggi di spicco quali Walter Gropius, Moholy-Nagy, Marcel Breuer, Kandinsky, Paul Klee e l’ultimo direttore Mies Van der Rohe. Mies, uno degli architetti maestri del Movimento Moderno, dopo aver ispirato generazioni di architetti e designers, continua ancora oggi ad essere tra i più interessanti architetti del XX secolo per il suo approccio essenziale al progetto. Nella sua ricchissima produzione progettuale rimarca, nei suoi edifici come nei suoi celebri oggetti di design, come la ricerca di chiarezza e di sviluppi tecnici e scientifici diventino l’espressione del proprio tempo. Al centro del suo lavoro c’è il rifiuto ricorrente di ogni forma che non fosse retta dalla struttura; è noto per la sua celebre frase <Less is More>. In questo eccezionale contesto si andava a costituire in modo irreversibile l’importanza del ruolo del design nel mondo moderno e contemporaneo. (4’ 55’’)

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

In apertura: Bauhaus a Dessau e l’iMac G4 disegnato da Jonathan Ive. Sotto: La Neue Nationalgalerie di Berlino di Mies Van der Rohe.

90




SPECIALE M-STASH

Moda o arte reversibile? Un’idea con i baffi

Il cofondatore Freddy Curiél racconta il brand M-Stash “Face Your Phantoms” L’arte può intaccare le differenze di genere nella moda?


SPECIALE M-STASH

Il cofondatore Freddy Curiél racconta il brand M-Stash M-Stash è un’idea nata assieme a due amici già nel 2010. Grazie alla mia presenza a Hong Kong per lavoro, siamo riusciti a concretizzare allora la prima serie di magliette esclusivamente reversibili, e dal 2012 M-Stash è un marchio registrato internazionale, riconoscibile dalla sua M baffuta e il marchio di fabbrica: il baffetto geometricamente costruito.

Di REDAZIONE

Dopo i primi anni di vendita online e gestendo la produzione in Cina, il brand è cresciuto grazie all’originalità dei nostri prodotti (reversibili o multiuso) e in parallelo grazie al fatto di essere al passo con la moda e la cultura del momento: il grande ritorno di barbieri e lustrascarpe sofisticati, bretelle e papillon stilosi, acconciature rétro e la cura per la barba, sul filone cosiddetto hipster. Anche la crescita della popolarità di un movimento internazionale come Movember, di cui sono un attivo e affezionato ambasciatore, non solo testimonia la tendenza ma conferma anche quanto un semplice baffo possa ottenere tanto successo. Nel 2015 si è deciso di investire nel Made in Italy spostando la produzione in Italia. Una decisione sicuramente contro corrente. Abbiamo

ristrutturato l’azienda con una nuova squadra di professionisti del settore che mi affiancano. Sono quasi tutti di Trieste - dove abbiamo la nostra sede operativa in Italia - e, puntando a entrare nel mondo del retail nel Belpaese, hanno portato M-Stash a diventare una realtà in rapida espansione dello streetwear italiano. Attualmente la società ha una rete di distribuzione che conta oltre 120 negozi sul territorio italiano e un volume di oltre 30.000 pezzi venduti, solo nella stagione 2015-2016. Questo primo anno di ingresso nel mercato italiano ha rappresentato un buon banco di prova per valutare le potenzialità del brand, anche nel Vecchio continente. Nell’area asiatica abbiamo, invece, quasi 50 corner shop-in-shop, tra GENIUS PEOPLE MAGAZINE

94


FREDDY RACCONTA M-STASH

In apertura: Il modello “Light Camo Reverse”. Sopra: Freddy a Hong Kong per il lookbook “I’m Awesome”. Foto e grafiche M-Stash Crew.

NUMERO 2/II

95


SPECIALE M-STASH

department store e multi-brand design store, tramite il supporto del gruppo CDF China Duty Free. Sin dagli albori, il nostro brand è sempre stato più vicino al mondo del design che della moda, proprio perché i nostri prodotti nascono dal domandarsi “how should it work?” piuttosto che “how should it look?”. Le nostre t-shirt reversibili sono tutt’ora lo zoccolo duro delle nostre vendite, ma è fisiologica la necessità di un portafoglio prodotti molto più ampio e vario, avendo a che fare ora con la grande distribuzione e nell’ottica di una collezione stagionale strutturata su sei mesi. Il volto duale del brand viene comunque espresso anche attraverso dettagli particolari che permettono di portare lo stesso capo in modi diversi - come le canottiere con zip che possono essere usate come borsa-mare, o le nostre giacche con inserti di pattern nascosti che permettono di trasformare un capo classico in uno stile new-dandy in poche mosse - e attraverso grafiche a doppio senso in grado di combinare mondi e culture diversi. L’anno scorso abbiamo lavorato combinando i classici dei fumetti con i tratti di alcuni pittori famosi, mentre quest’anno abbiamo preso scene e personaggi di diversi film creando nuove realtà e situazioni inaspettate e divertenti. Nei capi più alla moda e non graficati, abbiamo lavorato sull’utilizzo di diverse lavorazioni e lavaggi e la combinazioni di materiali diversi in un singolo capo. Sicuramente la mia formazione da architetto mi porta ad approcciare il mondo della moda in modo non convenzionale, e ciò non sfocia solo nel look dei prodotti, ma ancora di più nelle strategie aziendali, dal marketing alle campagne pubblicitarie, dal modo di comunicare al look dei futuri negozi monomarca (M-STASHops) e all’idea dei temporary store; in tal senso stiamo lavorando all’idea di uno store itinerante che sarà realizzato all’interno di un container! Questo container customizzato ad hoc non solo ci permetterà di essere presenti periodicamente in diverse posti e occasioni,

seguendo il calendario dei maggiori eventi di moda in Italia e in Europa, ma anche di generare un’agenda propria di eventi in svariati spazi pubblici come i centri commerciali, per esempio. Si chiamerà M-STRUCK - anche qui un gioco di parole - e non sarà semplicemente una vetrina del brand e un nostro canale di vendita diretta, ma punterà a creare eventi collaterali e attrazione sociale della popolazione locale. Diamo molta importanza all’interazione tra il nostro brand e gli spazi pubblici, cercando di allontanarci dalla classica soluzione di pubblicizzare il marchio tramite affissioni e cartellonista statica, ma piuttosto con vere e proprie installazioni o eventi di guerrilla marketing, e cercando sempre nuove contaminazioni con altri mondi al di fuori della moda e del fashion business. M-Stash vuole essere non solo un marchio d’abbigliamento, ma anche uno stile di vita. (3’ 50’’) GENIUS PEOPLE MAGAZINE

96


FREDDY RACCONTA M-STASH

In alto: M-Stash sponsor della prima festa di beneficenza Movember Gala allo Shark Shenzhen. Da sinistra a destra: Dj Gloria Ansell, Paula K. from Style Workshop, Dj Ann Colt, Anna Tushina, Dj Coco. A destra: Immagine promozionale tra arte e comunicazione “MUSTallion bowtie stripes”. Nella pagina precedente: T-shirt “Superhero”, foto Alba Zari.

NUMERO 2/II

97


SPECIALE M-STASH

L’arte può intaccare le differenze di genere nella moda? Pubblichiamo in esclusiva cartacea l’intervista che Canto Motto, brand di moda e rivista digitale, ha fatto a Freddy Curiél, direttore e cofounder del brand M-Stash.

Introduzione di FREDDY CURIÉL

Gianluca Giacobbe con la moglie Emma Qi.

Canto Motto è un brand originariamente Italiano, nato nelle parti di Vicenza a fine anni ’80 in una sartoria d’alta moda locale. Nonostante l’apertura di diversi negozi in Italia, il brand è sempre rimasto a conduzione familiare, curando i dettagli delle sue produzioni. Nel 2006, Canto Motto si concretizza in una brand internazionale grazie a Gianluca Giacobbe, il nipote del fondatore originario, che decide di portare in Cina il know-how e l’esperienza accumulata nella manifattura italiana, aprendo il primo negozio a Guangzhou (Canton). Ad oggi Canto Motto conta la presenza in più di 50 città tra Cina e Giappone, con oltre un centinaio di negozi monomarca sul territorio. Ho avuto modo di conoscere da vicino la realtà del loro fashion business a grande scala in Cina, e ho imparato molto sulle differenze dei due mercati e sulle strategie aziendali per poter essere concreti e incisivi in un campo come questo, circondati da innumerevoli competitors. Di certo l’Italianità e il design unico e curato, nei dettagli e GENIUS PEOPLE MAGAZINE

nella loro estetica, di Canto Motto, ha fatto la differenza per affermarsi ed espandersi sul mercato cinese. II brand sviluppa prettamente moda femminile, con approccio fortemente concettuale, ispirandosi alle forme e ai colori della natura, con geometrie semplici ma con una scelta di materiali particolari e di alta qualità. Ho avuto modo di collaborare con Canto Motto a un progetto di adattamento di alcuni dei loro capi per un’estetica maschile, selezionando e indossando alcuni dei loro outfit. Questa sperimentazione si è ripetuta con altri artisti oltre a me, stranieri e locali, da cui sono nate una serie di interviste che hanno raccolto in modo virale l’attenzione dei media in Cina. È stato un lavoro molto interessante e l‘inizio di una collaborazione più ampia, infatti stiamo lavorando assieme all’ingresso, o meglio al ritorno, del brand in Italia, e al contempo dell’espansione di M-Stash in Cina.

98


ARTE, MODA E DIFFERENZE DI GENERE

Di CANTO MOTTO (WWW.CANTOMOTTO.COM) Traduzione GENIUS

Freddy Curiél reinterpreta gli abiti della collezione Canto Motto.

Puoi presentarti ai nostri lettori e condividere con noi qualche esperienza del tuo lavoro interessante? Mi chiamo Freddy Curiél, e sono un architetto paesaggista con base a Shenzhen e Hong Kong da ormai 6 anni. Mi occupo principalmente del design di spazi pubblici, giardini residenziali e aree commerciali prettamente esterne, ma ultimamente lavoro spesso anche con il retail design, dove posso combinare sia il branding con l’interior design per ottenere soluzioni spaziali innovative, grazie al mio interesse e occupazione in prima persona anche nel mondo della moda e del retail. È da quasi 4 anni infatti che ho lanciato assieme ad alcuni amici una linea d’abbigliamento “mustache-friendly” chiamata M-Stash. Questo è un progetto nato senza troppe pretese, iniziando a disegnare e produrre t-shirts e accessori esclusivamente reversibili, vendendoli online. Di

NUMERO 2/II

recente, il marchio ha iniziato ad avere una forte visibilità e richiesta e abbiamo deciso di puntare alla qualità dei nostri prodotti, spostando la produzione in Italia e sviluppando un total look 100% made in Italy, entrando con successo nel mercato del retail Italiano. Nella tua professione attualmente, quali sono le più recenti cose di cui ti stai occupando? Da architetto al momento, stiamo lavorando a 3 progetti di diversa scala. Il primo è un vasto intervento di paesaggio residenziale a Yichang, nel centro nord della Cina, che è già in costruzione e verrà ultimato entro la fine del 2016. Stiamo poi seguendo l’ultimazione di un centro per la cultura araba nel Nord-est cinese. Per finire, sto lavorando assieme al mio amico e collega Tobia Repossi, un altro architetto italiano di base a Shenzhen, con una nota azienda cinese di prodotti per la salute. Stiamo sviluppando per loro un nuovo branding, strutture

99


SPECIALE M-STASH

espositive, e il concept per i loro flagship store. Per quanto riguarda l’attività nel campo della moda con M-Stash, abbiamo da poco ultimato la nostra collezione Spring Summer 17, e stiamo lavorando alla campagna mediatica di supporto alla nostra campagna vendite. Qual è la tua visione personale della moda? Vedo la moda non come uno statement estetico, ma piuttosto come una nuvola di ispirazioni da lasciare all’interpretazione personale. Al giorno d’oggi ci sono talmente tanti nuovi prodotti e marchi sul mercato, e grazie a internet e molto facile reperirli da qualsiasi parte del mondo, che è difficile pensare di uniformare il concetto di moda a livello globale. Non penso ci sia il giusto o lo sbagliato, ma piuttosto dovremmo essere in grado di interpretare la moda in base alle nostre singole personalità, rientrando nel contesto delle nostre

personali circostanze. La moda e l’essere alla moda, non deve essere una prerogativa di pochi, ma un luogo comune per l’espressione estetica dei singoli individui, senza discriminazioni. Come definiresti il tuo modo di vestire? Ho sempre avuto difficoltà a dare definizione delle cose, e inserirle dentro categorie precise, in particolare se riguardano me stesso o il mio lavoro. Grazie al fatto che viaggio molto, sia per piacere che per lavoro, sono abituato ad assorbire diverse influenze ed ispirazioni dalle persone che incontro, dalle circostanze in cui mi ritrovo, e dai luoghi che visito, e di certo questo si riflette nel mio design e nel mio modo di vestire. Infatti, penso che il mio stile sia un connubio e un mix di idee interessanti e dettagli non convenzionali. Se devo provare a trovare qualche aggettivo, direi eclettico e stravagante, ma sempre con uno stile GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Sopra e nella pagina successiva: Due realizzazioni Canto Motto.

100


ARTE, MODA E DIFFERENZE DI GENERE

a tono con il contesto e le circostanze in cui devo esser presente. Cosa hai pensato quando ti abbiamo chiesto di prendere parte a questo progetto per Canto Motto? Ero molto eccitato dall’idea perché sin da subito, quando ho avuto l’opportunità di vedere di persona le sfilate e prodotti di Canto Motto, ho pensato che alcuni dei vostri capi e modelli da donna sarebbero stati bene nel mio guardaroba… Ed eccoci qua a lavorare proprio su questo, cercando di trasformare, interpretare e adattare i vostri capi a un look maschile! È stata per te la prima volta che hai indossato vestiti femminili? Quando mi piace qualcosa, un certo vestito, singolo pezzo, colore particolare o un accessorio, non ci penso due volte a comprarlo e indossarlo, nonostante sia pensato originariamente come capo

da donna… Lo ripeto, mi piace la moda quando è interpretata con un certo stile dai singoli individui, non importa cosa indossi, ma come lo indossi! Cosa ne pensi della filosofia dietro a questo evento? Personalmente penso sia un ottimo concept comunicativo, che lavora proprio su concetti a cui io do molto valore nel campo della moda, come dicevo prima la moda dovrebbe essere un’interpretazione personale lasciata agli utenti finali piuttosto che alle vetrine dei negozi. Rispetto all’idea di uomini che vestono capi pensati originariamente per la donna, cosa ne pensi? Supporto senza problemi l’idea di stile androgino, che riflette molto la generazione contemporanea di fashionista, tanto che io stesso nelle creazioni di M-Stash, il nostro brand, sviluppo elementi unisex. (4’ 25’’) NUMERO 2/II

101


SPECIALE M-STASH

“Face Your Phantoms” Letteratura+pittura+moda Ci ritroviamo in occasione del lancio del nuovo libro di Andrea G. Pinketts, presso Le Trottoir di Milano, storico caffé artistico e letterario, che da anni continua a coniugare musica, letteratura, arte e tanto altro tra le sue mura. Non poteva esserci occasione e luogo migliore per incontrarsi e scambiare due chiacchiere con tre artisti e creativi, che stanno lavorando a un progetto davvero speciale, che unisce la letteratura, la pittura e la moda in un unicum interessantissimo: “Face Your Phantoms”.

Di REDAZIONE

Caro Freddy, iniziamo da te, ringraziandoti per l’invito e per aver reso possibile questo incontro. Cos’è “Face your Phantoms”? FC: non è facile da spiegare in poche parole perché il tutto è nato senza un obiettivo ben preciso, e lo sviluppo creativo di tutto il processo è ricco di concetti, significato, numerologia, temi sociali, ecc… ma anche da una continua contaminazione vicendevole tra tre persone e campi d’azione artistici molto diversi tra loro. Possiamo sintetizzare il tutto, senza il rischio di banalizzare, come una serie di magliette M-Stash edizione limitata, molto particolari, arricchite dalle interpretazioni pittoriche di Alexia Solazzo e dalle frasi d’autore di Pinketts. GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Facciamo qualche passo indietro. Venite da mondi e generazioni molto diverse… Come vi siete conosciuti voi tre? Da dove nasce tutto ciò? AGP: Allora, tutto nasce in realtà a Milano Marittima l’estate scorsa, un luogo che ha già in sé nel nome il mare e Milano, quindi l’idea di qualcosa di vasto come il mare e di efficiente come Milano. Ci siamo incontrati ad un evento per la consegna di un premio che ci è stato conferito: a Freddy per l’imprenditorialità di M-Stash come brand innovativo e a me come migliore scrittore dell’anno. Ci piaciuti immediatamente e abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa assieme, e che l’idea della moda e l’idea della letteratura potevano coniugarsi perfettamente. 102


"FACE YOUR PHANTOMS"

AGP: Il nostro progetto, io continuo a chiamarlo così anche se il termine non mi piace perché ha qualcosa di ingegneristico, anche se, in realtà, si tratta anche d’ingegneria, è l’ingegneria di un’alchimia tra linguaggi che si incontrano e che si scontrano perché hanno forse la necessità e il dovere di incontrarsi superando le barriere di linguaggio, superando le classificazioni banali. Quindi, una t-shirt è una t-shirt, un dipinto è un dipinto non è un quadro, un romanzo è un romanzo mentre tutte e tre sono in realtà un’opera d’arte diversa.

Freddy era un mio grande lettore precoce e mi ha addirittura raccontato che la sua stanzetta da ragazzino era tappezzata di alcune frasi tratte dai miei libri. Abbiamo trovato molti punti di discussione in comune. I libri non sono mai tappezzeria, sono qualcosa che resta. L’intuizione successiva è stata di coniugare ulteriormente i nostri know-how con qualcosa di ancora più estremo che non la moda e la parola, ma con la pittura appunto. Quindi tre media, tre forme di espressione artistica coniugate su qualcosa che avevamo in comune io e Freddy e assolutamente condivisa dall’artista nel senso autentico e pittorico della questione, che è la terza comoda, non la terza incomoda, nel senso che Alexia Solazzo raccontava pittoricamente delle inquietudini che io avevo raccontato nei libri e che Freddy viveva come necessità di espressione e di espansione.

In alto da sinistra: Freddy Curiél, Andrea G Pinketts e Alexia Solazzo.

L’incontro è stato fulminante pur essendo nato tra me e Freddy in un contesto assolutamente…Come dire? Mondano. Ci siamo visti, piaciuti e abbiamo capito che si poteva cercare di far sì che tre linguaggi diversi arrivassero a una sorta di supremo tentativo di sintesi. Il tentativo è sempre supremo perché aspira all’alto. La moda attraverso le t-shirt, le parole attraverso me, e Alexia Solazzo attraverso le immagini. Quindi potremmo definire tutto ciò quasi un découpage a tre dimensioni? NUMERO 2/II

FC: Il bello di questo progetto è che le singole parti, la maglietta, i racconti e i quadri lavorano già bene di per sé nei nostri casi, e sono frutto di un punto di partenza comune, che nello srotolarsi nelle diverse direzioni aiuta a comprendere e rendere più forte il significato dell’opera completa. Sono certo che messe assieme questi tre elementi creino un qualcosa che è molto più strong rispetto alle tre cose prese singolarmente. Nulla sembra lasciato al caso. AGP: Tutto ciò è “very very strong” come direbbe Freddy (che annuisce compiaciuto mentre Alexia scoppia in una risata, NdR). Perché in realtà il tema, il primo tema che abbiamo deciso di affrontare in questa opera multimediale è “Face Your Phantoms” che è nato dalle fobie, dalle paure ma anche dal sociale: una delle opere che rappresenteremo e che saranno rappresentate riguardano il femminicidio, poi c’è la paura del vuoto ad esempio, o la paura del tempo che passa. Esistono le paure, esiste la rappresentazione della paura attraverso il dipinto. Ribadisco, attraverso l’esposizione. Quindi indossare le proprie paure attraverso una t-shirt e attraverso il racconto che certifica da scripta manent in poi tutto ciò di cui noi abbiamo paura e che abbiamo deciso di affrontare, raccontare, far vedere e indossare. Quindi Andrea, nella tua lunga esperienza da scrittore, affermata e di successo, è di sicuro stato uno stimolo in cui probabilmente non ti sei mai imbattuto prima. Nel senso che da scrittore, probabilmente, lavori quasi sempre sulla tua interiorità, ma qui ti sei dovuto confrontare con 103


SPECIALE M-STASH

l’idea e il responso di altre parti. Quanto è stato questo una scintilla per creare un qualcosa che fino adesso nessuno ha mai creato o provato a farlo? AGP: Beh, ma sai, una scintilla è nata dall’incontro con Freddy e un’altra scintilla è nata dall’incontro con Alexia. Tutte queste scintille hanno permesso di creare un fuoco e accendere un sigaro pieno di fuochi d’artificio, a dispetto di chi crede che le arti siano a compartimenti stagni. Noi siamo praticamente contro i generi, perché i generi confluiscono, vengono convogliati non controvoglia ma con voglia e con una sorta di decisionalismo, in qualcosa che rappresenta le stesse paure. Questa sera hai presentato il tuo nuovo libro in cui è stato annunciato tra le righe e un po’ dalla tua prefazione che sembra quasi che sia il tuo ultimo racconto, però in realtà ci stai confermando che non stai smettendo di scrivere… AGP: Il libro di cui stiamo parlando si chiama La Capanna dello Zio Rom ed è proprio un libro di contaminazione di genere. Come diceva Antonio D’Orrico, il critico del Corriere della Sera, una delle cose che apprezza maggiormente negli scrittori è la capacità di abbattere le barriere linguistiche e creative. Credo che questa sia una grandissima e irripetibile occasione per far sì che ci sia veramente un linguaggio accessibile e nello stesso tempo…

accorgiamo delle nostre paure forse possiamo superarle. Avete accennato prima l’importanza di alcune coincidenze e della numerologia in questo progetto? Potete spiegarcelo meglio? FC: In primis, non credo nelle coincidenze in quanto tali ma le leggo come avvicendamenti non casuali a cui dover dare un senso… They happen for a reason! La numerologia non è voluta, ma è diventata un fil rouge integrante di tutto il progetto. Lavorando con il tema delle paura, e dovendo gestire l’idea di “limited edition”, dovevamo per forza parlare di cose e di numeri… Saranno in toto 6 diverse M-Stashirts, ognuna in 111 ripetizioni, per un totale di 666 magliette uniche e numerate. Il numero 666, detto “the number of the Beast” è da sempre legato al maligno e alle paure dell’uomo, non poteva cadere meglio! Tutti questi numeri tornano nel numero delle pagine del catalogo, nelle date del lancio, della prima mostra il primo di Novembre (1/11), ecc… Ma non vogliamo svelare tutto in questo momento!

FC: …Accessorio. Scusate ma i doppi sensi sono per me una deformazione professionale oramai! AGP: Accessorio sì, perché parliamo di gadget artistico in questo senso. Hai detto bene deve essere accessibile e accessorio. Deve essere un dono a pagamento come lo è esattamente la sopravvivenza stessa. La sopravvivenza è la testimonianza di ciò che siamo e di ciò di cui abbiamo paura. Se le paure vengono espresse forse ne abbiamo meno paura. Se gli orrori vengono raccontati con grazia e abilità danno il colpo di grazia all’orrore stesso. Lo condannano, lo ghigliottinano, riescono a enuclearlo, quindi riescono ad arrivare all’atomo delle cose di cui abbiamo paura e quando ci GENIUS PEOPLE MAGAZINE

104


"FACE YOUR PHANTOMS"

“Perché in realtà il tema, il primo tema che abbiamo deciso di affrontare in questa opera multimediale è “Face Your Phantoms” che è nato dalle fobie, dalle paure ma anche dal sociale: una delle opere che rappresenteremo e che saranno rappresentate riguardano il femminicidio, poi c’è la paura del vuoto ad esempio, o la paura del tempo che passa.” AS: Cominciando a ritrovarci questi numeri in mano, non potevamo che continuare a prestare attenzione agli eventi e alle coincidenze, unendole ai nostri sviluppi, o sviluppandole in parallelo alle nostre creazioni. Consci del fatto che - come dice Freddy - non potevano essere semplici coincidenze!

M-Stash usa strategie di Guerrilla Marketing dove arte e comunicazione si confondono, nella foto una installazione per la Fashion Week di Rotterdam.

Ci sono davvero una miriade di contenuti nel vostro progetto, come pensate di comunicare il tutto in modo appropriato all’utenza finale? Gli utenti non compreranno una semplice maglietta… ma che cosa? FC: Come dicevamo prima si tratta di un gadget artistico, nel senso che portiamo forme d’arte, nel loro connubio, alla portata di tutti, letteralmente portabili! L’arte viene portata non solo da chi la indosserà, ma portata a chi la vedrà, grazie al compratore che diventa vettore fisico, e mezzo di comunicazione errante. L’arte contemporanea viene spesso presentata in forme esclusive, in senso non propriamente positivo, in quanto escludono. Rimane una distanza formale tra l’opera e il messaggio e chi lo recepisce, in quanto questi tendono a non avere la possibilità di incontrarsi nei luoghi comuni, ed è proprio qui che vogliamo inserirci: l’arte non deve essere necessariamente impersonale, da capire, e da vivere in una location statica e ben precisa; noi vogliamo “personalizzarla” rendendo chi le indossa il vettore che porta il messaggio, creando il potenziale, voluto o inaspettato, NUMERO 2/II

per interazioni e discussione sporadiche e spontanee, legate alla presenza fisica della persona e della forma d’arte sulla t-shirt in un luogo casuale, informale e pubblico! Il progetto sarà lanciato in concomitanza della mostra delle opere prima di Alexia qui a Le Trottoir a novembre. Inoltre la t-shirt acquistabile sarà accompagnata da un minilibro, un ibrido tra il catalogo di una mostra e un lookbook di moda, dove i racconti inediti di Pinketts racconteranno le singole opere, le riproduzioni sulle maglie, l’interpretazione di esse e gli stati d’animo, attraverso il romanzo e la cronaca dei suoi paesaggi letterari… E le t-shirts reversibili riprodurrano l’opera da un lato, e degli estratti ad hoc dei racconti sull’altro lato. Un vero e proprio pezzo da collezione! Parliamo della parte più estetica e pittorica del progetto, per quanto ho sentito e mi avete raccontato ci sono alcuni temi che sono difficilmente immaginabili dal punto di vista figurativo: quanto ha influito, nel prima o nel dopo, la scrittura o la moda rispetto al tuo lavoro? Sei riuscita a interpretare qualcosa in un modo che sentivi già tuo o è stato proprio la coniugazione di questa unione di scintille da mondi diversi che ti hanno permesso di realizzare, di trovare il modo per rappresentare quello che stai facendo? AS: sicuramente rispetto a determinate tematiche era un mondo che sentivo già assolutamente mio. Molte delle paure affrontate nel progetto le riconosco come mie, fanno parte del mio io e quindi le ho sentite e le ho vissute personalmente e sono uscite da ciò che più intimamente mi rappresenta e risiede in fondo me stessa, però questa coniugazione tra le diverse arti, appunto tra la moda e la letteratura, mi ha ispirato tantissimo e mi ha aiutato a sviluppare le tematiche in questione. Si tratta di un progetto che, dal punto di vista pittorico, non ho realizzato esclusivamente da sola ma è stata una cosa pensata a tre, in cui le tematiche sono state sviluppate a tre, è stata un’unione di idee, quindi con tre teste, tre cervelli e tre modi di interpretazione a volte assolutamente diversa, altre totalmente condivisa. Parliamo di paure, di fobie, alcune ci appartengono e altre le conosciamo 105


SPECIALE M-STASH

meno, ma insieme si può imparare a conoscerle, a riconoscerle, affrontarle e superarle. Quindi è stato proprio un lavorare, lavorare insieme, su noi stessi innanzitutto. Da quanto mi dite mi sembra di capire che vi conosciate da meno di un anno ma sembra un lavoro di persone che si conoscono da una vita. Come riuscite a spiegare questa cosa? AGP: Mah, si chiama Ossitocina, è citato anche nel mio ultimo libro guarda caso, è l’ormone dell’amore e dell’empatia. È la coniugazione di paure diverse che insieme possono essere affrontate. È questo che è anche il senso dell’opera d’arte o della scrittura o dell’esporsi. L’esporre significa specchiarsi ma nello stesso tempo lo specchiarsi significa ammettere, riconoscere e superare.

Quindi per concludere, visto che parliamo di paure, in tutto ciò di cosa dobbiamo o dovreste aver paura alla fine di questo percorso? AGP: Secondo me l’autentica paura che dovrebbe avere l’uomo è l’ impossibilità di comunicare e infatti questo credo che sia il progetto più comunicativo del quale faccio parte. Nel senso che non significa inaridirsi dietro alle parole o dietro all’immagine ma dentro l’immagine e quindi l’idea di mostrarsi e di mostrare delle cose mostruose rappresenta forse la summa di quello che è veramente il vestiario. Ossia, raccontando dei mostri, raccontando delle figure terribili e affascinanti che albergano in noi, possiamo imparare a conviverci se non ad abbatterle, se non a tenerle quando è il momento di riconoscerle senza il limite di averne paura. (11’ 50’’)

Il modello della collezione Face Your Phantoms “Ti odio dalla nascita del nostro amore”.



CULTURA

Il Teatro Rossetti di Trieste Una eccellenza nel merito e nei risultati

Di BETTINA TODISCO

Che dire del Teatro Rossetti, il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, fondato nel 1954, se non che è un grande Teatro, uno dei più antichi Teatri Stabili nazionali, e fra i più prestigiosi Teatri Stabili pubblici italiani? Che dire del suo pubblico se non che è composto da spettatori numerosissimi, attenti ed esperti? Il teatro, attualmente diretto da Franco Però, ha sede a Trieste, al Politeama Rossetti, un edificio costruito nel 1878 in stile eclettico, un teatro dunque storico e per sua natura adatto a ospitare una notevole varietà di generi di spettacoli differenti. Due le sale che lo compongono: la Sala Bartoli con 128 posti, spazio dedicato soprattutto alla drammaturgia contemporanea - e la sala maggiore del Politeama (dal 2010 intitolata “Sala Assicurazioni Generali”) che con la sua capienza di 1530 spettatori costituisce uno dei più grandi spazi dedicati alla prosa d’Italia e d’Europa. Inutile dire che dalla sua fondazione il teatro ha visto calcare le sue scene da attori di ben più di trecento spettacoli di produzione e di migliaia di spettacoli ospiti. Vi hanno lavorato registi, scenografi, musicisti e attori di assoluto prestigio. Elencarli tutti sarebbe un lungo e dettagliato viaggio nella storia del teatro italiano e dei suoi maestri ineguagliabili come, solo per citarne alcuni, Memo Benassi, Cesco Baseggio, Renzo Ricci, Paola Borbonin e Vittorio Gassman. Altrettanti i protagonisti della scena attuale da Gabriele Lavia a Franco Branciaroli, da Massimo De Francovich a Mariangela Melato, da Piera Degli Esposti a Giulia Lazzarini. E ancora registi, quali Luchino Visconti, Luigi Squarzina, Sandro Bolchi, Aldo Trionfo e Giuseppe Patroni Griffi che firmò una memorabile edizione della Trilogia pirandelliana delle Maschere Nude. Franco Però dirige il Politeama GENIUS PEOPLE MAGAZINE

Rossetti dal 2014, dopo diciannove anni di direzione di Antonio Calenda. E Milos Budin, presidente del teatro, ha da poco ammainato la sua bandiera, non scordando di sottolineare l’apertura internazionale del Rossetti nelle co-produzioni con teatri austriaci, sloveni e croati. Apertura che non ha però contraddetto la politica di sinergie nazionali, come dimostrano i lavori realizzati insieme al Teatro Metastasio di Prato e a Spoleto58. Ha ricordato inoltre come, in seguito al decreto ministeriale del 1°luglio 2014, il Rossetti ha ottenuto lo status di “teatro di rilevante interesse culturale”. E l’enorme rilevanza culturale del Rossetti è dimostrata appunto dallo spessore dei suoi spettacoli e dai numeri cha accompagnano il teatro: 150 mila gli spettatori durante il 2015 e ben 270 le recite così distribuite, 202 repliche per la prosa, 33 per i musical e 14 per la danza. Fra gli spettacoli più apprezzati dal pubblico, senza dubbio, “Magazzino 18” dell’autore romano Simone Cristicchi: un grande contributo civile e culturale all’esodo istriano post-bellico. Perché, come dice lo stesso Cristicchi ne “Il cimitero degli oggetti”, “tra cassapanche di foto ingiallite e di esistenze scampate alla bora sono nascoste migliaia di vite che nel silenzio ci parlano ancora. Sono passati più di sessant’anni e anche se danno fastidio a qualcuno qui troverete soltanto fantasmi che ormai non fanno paura a nessuno...”. La stagione teatrale 2015-2016 si è aperta in gran spolvero con “Scandalo”, un testo inedito di Arthur Schnitzler, mai rappresentato in Italia, nel quale Franco Però ha diretto la nuova Compagnia stabile del Friuli Venezia Giulia, in scena per sei repliche fino al primo novembre. Due gli ospiti di tutto riguardo: Franco Castellano e Stefania 108


IL TEATRO ROSSETTI

Rocca, che ci portano fra abiti cremisi e sedie Thonet nella Mitteleuropa di Schnitzler e nella sua ipocrisia borghese. Un mondo lontano e un sentimento datato? Per nulla. Perché quell’ipocrisia è attuale, è quel sentimento che ancor oggi noi nutriamo per il “diverso”, qualunque sia la sua diversità: l’estraneo, lo straniero, colui che ti mette di fronte alle tue paure, mette in crisi le tue certezze e l’ambiente in cui vivi. La bella commedia di Schnitzler ci presenta, infatti, una donna “diversa”, tale per appartenenza sociale. Una donna, in scena rappresentata da Astrid Meloni, che per una scelta buonista viene accolta a Vienna in una famiglia alto-borghese e poi, in maniera ipocrita, allontanata, emarginata e lasciata morire. Dopo un inizio di successo, altri spettacoli hanno incontrato il grande apprezzamento del pubblico in quest’ultima stagione appena conclusa. “Porcile”, ad esempio, che affidato alla regia di Valerio Binasco, uno dei registi italiani di maggior successo in questi anni, ha reso omaggio a Pier Paolo Pasolini nel quarantesimo anniversario della sua morte. Lo spettacolo è una produzione del Teatro Metastasio e dello Stabile del Friuli Venezia e ha debuttato lo scorso giugno, con grande successo, al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Oppure “Bisbetica. La bisbetica domata di William Shakespeare messa alla prova” per la regia di Cristina Pezzoli con Nancy Brilli, dove la violenza sul corpo delle donne è un tema tragicamente attuale e reale che la regista ha deciso di affrontare con un registro pop, ma non per questo meno serio. O ancora l’apprezzato “Calendar girls”, uno degli spettacoli più attesi della stagione. Dell’autore inglese contemporaneo Tim Firth, lo spettacolo è una deliziosa commedia con un nutrito cast di bravissime attrici: Angela Finocchiaro, Laura Curino e Ariella Reggio, Carlina Torta, Matilde Facheris, Corinna Lo Castro, Elsa Bossi e Noemi Parroni. Una commedia, per chi non la conoscesse, divenuta un celebre film della Miramax, nel quale le donne si spogliano per un calendario, anche se a scopo inequivocabilmente benefico. E poi come non citare il ritorno a Trieste, questa volta al Rossetti dopo il Palazzetto dello Sport, del musical “Notre Dame de Paris” con le musiche di Riccardo Cocciante

“150 mila gli spettatori durante il 2015 e ben 270 le recite così distribuite, 202 repliche per la prosa, 33 per i musical e 14 per la danza.” e le liriche di Luc Plamondon, adattate in italiano da Pasquale Panella? Un vero e proprio kolossal “Notre Dame de Paris” che porta con sé numeri da brivido: in 18 anni, nel mondo, è stato rappresentato 4.046 volte, tradotto in 7 lingue e in Italia ha toccato 40 città in 10 anni, per un totale di 94 tappe con 915 repliche complessive. Nel mondo gli spettatori che hanno applaudito lo spettacolo supera largamente i 10 milioni di persone. Ebbene dopo quattro anni di pausa, il musical è ritornato in scena in Italia con il cast originale di partenza: Lola Ponce (Esmeralda), Giò Di Tonno (Quasimodo), Vittorio Matteucci (Frollo), Leonardo Di Minno (Clopin), Matteo Setti (Gringoire), Graziano Galatone (Febo), Tania Tuccinardi (Fiordaliso), oltre a trenta artisti tra ballerini, acrobati e breaker. Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Rossetti di Trieste per nove repliche ad aprile, con un successo stratosferico di pubblico e di applausi sin dalla serata di debutto. Un appassionato e imperdibile musical che è andato ad aggiungersi ai numerosi e imperdibili spettacoli che stagione dopo stagione il Teatro Rossetti ci regala. (5’ 30’’) NUMERO 2/II

Gli splendidi interni del Politeama Rossetti.

109


CULTURA

Redesigning nature Antonio Pio Saracino

By JONATHAN TURNER

“Design is the place between humans and nature,” says Antonio Pio Saracino, the award-winning designer, architect and artist. Many of his projects, ranging from furniture, product design, lighting, jewellery, interiors, public art commissions and large-scale architectural blue-prints, are inspired by such natural forms as bones, horns, plants, shells and coral. His particular style also makes references to high-tech innovation, Roman mythology and genetics. “I have always been interested to create from nature, to build a bridge between the natural and the artificial,” he says. “We see many forms of life evolving from the structures of ribs, sectioning of bones, the spines of fish, snakes and other animals, the columns of interlocking bones that carry life and allow movement. And GENIUS PEOPLE MAGAZINE

architecture can be seen as a method of making our own exoskeletons, created from the same logic as the protection offered by a shell or scales.” Born in 1976 in Puglia, Saracino now lives between New York and Rome. His projects are infused with Italian classicism, mixed with the spirit and dynamism of the New World. In any case, Saracino is something of a contemporary Renaissance man. His talent incorporates computer-manipulated photography, outdoor illuminated installations and monumental sculptures including his two Guardian statues in Bryant Park in Manhattan: Hero carved in layers of Carrara marble based on Michelangelo’s David, and Superhero made from ribbons of mirror-polished stainless steel mimicking the self-confident silhouette of Superman in a flowing cape. 110


REDESIGNING NATURE

Saracino’s chairs, produced in Italy, Belgium and the United States, have been featured in many of the world’s leading publications. His Hexa Lounge made in Italy by Amura is his best-selling chair, while his Ray Chair and Cervo Chair are in the permanent collections of the Powerhouse Museum of Applied Arts and Sciences in Sydney and the Brooklyn Museum in New York, respectively. “The Ray Chair is created with an algorithm that generates the mathematical model of a crystal into soft seating. The Cervo Chair is shaped from thin strips of bentwood, recalling the ribcage and antlers of a deer. The complexity of the structure enhances the idea of a form that is inside-out and as result it strengthens the seat itself.”

Saracino’s design for a lookout tower on the grounds of an old house in the countryside surrounding the southern French city of Carcassonne, near Toulouse, follows the same formal principles of an expanded rib-cage. Reminiscent of Carcassonne’s many castle towers, the structure is built from a series of stainless steel tubes woven in space and anchored to a free-floating red steel staircase. The stairs extend into a diving board and end at the summit in an open-air bench. Earlier this year, his maquette for the observation tower was purchased by the Centre Pompidou in Paris. For 15 years, Saracino’s designs and work have been shown in solo and group shows in Rome, Venice, Florence, Trieste, Brussels, London, Athens, Moscow, Sao Paulo, Mexico City, New York, Washington NUMERO 2/II

Previous page: Antonio Pio Saracino with his “Totem” installation on the roof of the Pacific Design Center, Los Angeles. Above: Model of the “Observation Tower” in Carcassone, France.

111


and Sydney, and his retrospective exhibition at the Pacific Design Center in Los Angeles, runs until the end of July. Saracino works simultaneously on many projects, commissions and prototypes over several continents. He has designed the trophies for the Formula 1 and Moto GP World Championships for Eni. In 2011, GATE 150 was designed as a monument honouring the 150th anniversary of the unification of Italy for the Caraffa Museum in Cordoba (Argentina) and his work was exhibited in the same year in the Italian pavilion in the 54th Venice Biennale. His architectural concepts include a doctor’s surgery built in Rome and a dentist’s office in Chicago, a sinuous Brazilian boutique in Sao Paulo, a museum of photography conceived for Dubai, an Art Hotel in the Big Apple and a harbour-side house in Sydney based around the form of a series of diving platforms and a coral-like super-structure, proposed as the perfect home for Australian Olympic gold-medal diver Matthew Mitcham.

GENIUS PEOPLE MAGAZINE

112


REDESIGNING NATURE

“Today more than ever, we see the importance of reconnecting back to nature, to take the imperial order from nature, and inject our ideas and designs back into nature.” This is clearly demonstrated in one of his latest projects, a cylindrical monument under construction for the New York Presbyterian Hospital in New York, one of America’s top-ranking clinics for medical research. “It is an outdoor sculpture of overlapping rings inspired by the shifting shape of the spiral structure of DNA. It also represents elements of protein-mapping, the vibration of a heart-beat and the diversity of genetics. Each stainless steel ring is different, but looks similar to the one below and above. Each touches the next ring at two points, and while it might look visually unstable, it is strongly engineered, fragile yet resilient.” It is an uplifting, symbolic monument which traces the rhythm and diversity of life. In his work, Antonio Pio Saracino explores the parallel worlds of design and architecture inspired by nature, while integrating his art projects into the broader urban landscape. His unique skill is how he also includes issues of ethics and aesthetics, history and geography, and the many languages of visual arts. (4’ 15’’)

Above: “The Guardians: Hero”, marble monument in Bryant Park, New York. Photo by Stephen Smith. Previous page, above: “Diver’s House”, Sydney. Previous page, below: “Ray Sofa” from the permanent collection of the Powerhouse Museum, Sydney.

NUMERO 2/II

113


CULTURA

Lasciami entrare Le nuove fotografie di Alessandro Valeri Un percorso visivo dove fotografia e pittura dialogano con una grande installazione di matite spezzate e un antico banco di scuola sospeso, il tutto immerso in un’opera di sound-design: lasciami entrare è concepito dall’artista Alessandro Valeri a Zippori (Sepphoris in greco antico), piccola città in Galilea dove un gruppo di suore gestisce, con operatori cristiani, ebrei e musulmani, un orfanotrofio che accoglie bambini senza alcuna distinzione di etnia o religione. La mostra di Valeri a La Pelanda del museo MACRO di Roma, racconta le storie e le esistenze dei bambini di Zippori nel loro mondo, fatto di sogni e speranze.

Di JONATHAN TURNER

A destra: “Mickey, stai con me”, 2016, stampa fotografica e acrilico su tela, 320 x 320 cm.

Per la sua serie Sepphoris, Alessandro Valeri ha fotografato dettagli dell’interno di un edificio disadorno, li ha quindi ingranditi ed estrapolati dal contesto, rappresentato come se fossero oggetti monumentali. A prima vista le sue immagini in bianco e nero potrebbero apparire anonime e casuali, finché l’osservatore non realizza che esse concorrono, tutte insieme, come pezzi di un puzzle, a creare un quadro più ampio e più profondo. L’estetica, inizialmente documentaria di ogni singola immagine è ulteriormente sfidata dall’aggiunta di gesti pittorici in rosso, nero e bianco. Questi radi interventi accentuano il vuoto di molte delle scene che Valeri cattura. Nel 2011, Valeri ha fotografato l’orfanotrofio di Zippori (Sepphoris in greco antico), vicino a Nazareth, in Israele, gestito da suore cattoliche. La sua serie Sepphoris si concentra su dettagli dell’edificio che non sono immediatamente riconoscibili – un interruttore, disegni appesi nel dormitorio, un rubinetto, un lucchetto su un armadio, un Mickey Mouse di peluche, la porta del rifugio antigas, un’ombra sul muro. L’immagine finale della serie Sepphoris, che ritrae un gruppo di ragazzini in fila per una partita di pallone, GENIUS PEOPLE MAGAZINE

è l’unica fotografia che coglie una presenza fisica, umana. Valeri congela le sue composizioni formali, stampa le fotografie in grande formato su tela, e poi vi aggiunge pochi, veloci colpi di pennello. Queste opere sono essenzialmente gli appunti visivi di Valeri, modi di registrare i suoi sentimenti e le sue emozioni in un luogo difficile da descrivere. A Zippori, cinque operose suore dell’Ordine delle Figlie di Sant’Anna, insieme a 25 insegnanti ed assistenti, si prendono cura di circa 70 bambini, senza alcuna distinzione di etnia o religione e, senza fare opera di evangelizzazione. Fuori ci può essere il conflitto, ma dentro esiste una collaborazione, attentamente gestita, tra persone di fede islamica, cristiana ed ebrea. Zippori è un melting pot. Il sito possiede un patrimonio culturale e architettonico ricco e variegato, con influenze ellenistiche, giudaiche, romane, bizantine, islamiche, crociate, arabe e ottomane. Secondo la tarda tradizione cristiana, Sepphoris è il luogo di nascita di Maria, madre di Gesù, e il villaggio dove vivevano Sant’Anna e San Gioacchino. Le fotografie dell’orfanotrofio di Zippori sono accompagnate da un video che mostra immagini del rifugio anti-gas pieno di 114


LASCIAMI ENTRARE

NUMERO 2/II

115


CULTURA

“Il reale valore dell’opera sta in quello che il denaro, pagato per essa, può fare per aiutare l’orfanotrofio, per riparare il motore dello scuolabus, per comprare un certo numero di letti o computer per i ragazzi, per realizzare migliorie. Non è anarchico, ma l’opposto, ispirato dalle esigenze specifiche del luogo. Non posso fare il medico, ma posso usare l’arte per dare aiuto.”

giocattoli, alternate a sequenze in cui si vedono i piedi dell’artista che cammina attorno al perimetro della struttura e un bambino che disegna un giardino felice con fiumi e arcobaleni. Il messaggio è chiaro. L’orfanotrofio, provocando emozioni forti, è una fonte di grande ispirazione, e Valeri ha trovato la luce in un luogo di tale strazio e sconvolgimento storico. Inoltre, in qualche modo come risposta provocatoria al mercato dell’arte, Valeri ha creato una versione tutta sua di una rete di vendita diretta a scopo di beneficenza. Con un atto notarile redatto a Nazareth, ha donato tutte le opere di Sepphoris alle suore di Zippori e poi ha creato un sistema di pagamento per cui, ogni volta che un collezionista compra una delle opere in mostra, il pagamento va direttamente all’orfanotrofio. È una soluzione pragmatica e realistica, priva di motivazioni politiche. Da un lato, Valeri opera all’interno del sistema dell’arte, nel quale è normale che un artista a una fiera d’arte venda le proprie opere come in un mercato. Dall’altro, utilizza la struttura esistente del mondo dell’arte per creare un vero impatto sociale. Porta l’arte al di là della sua funzione di rappresentazione, reinterpretandola e ridefinendola attraverso le sue implicazioni e il suo significato sociale. “Oltre lo spazio della mostra, la mia è

un’azione basata sulla collaborazione”, spiega Valeri. “Il vero potenziale sta nella sua semplicità. Il reale valore dell’opera sta in quello che il denaro, pagato per essa, può fare per aiutare l’orfanotrofio, per riparare il motore dello scuolabus, per comprare un certo numero di letti o computer per i ragazzi, per realizzare migliorie. Non è anarchico, ma l’opposto, ispirato dalle esigenze specifiche del luogo. Non posso fare il medico, ma posso usare l’arte per dare aiuto”. Le fotografie stesse diventano uno strumento di cambiamento, eleganti e allo stesso tempo profondamente commoventi. Con i loro significato nascosto e i loro sottile simbolismo, sono un meccanismo attraverso il quale un artista può veramente avere un impatto sul mondo che lo circonda. Così come l’arte può modificare sia lo spazio espositivo che la struttura sociale in modi non convenzionali, così l’opera di Valeri è caratterizzata dai metodi inusuali che utilizza per installare le sue mostre. Nel 2014, per la sua personale Stai con me, alla MedioArea Gallery di Terni, ha costruito un labirinto dentro uno spazio di tipo industriale. I visitatori dovevano sbirciare attraverso feritoie le opere, appese al soffitto con diverse angolature. Per la mostra Sepphoris al Molino Stucky, nella Biennale di Venezia del 2015, come evento GENIUS PEOPLE MAGAZINE

A destra: Due tele giganti della serie “Sepphoris” (2016), esposte alla mostra “Lasciami entrare”. Stampa fotografica e acrilico sul tela.

116


LASCIAMI ENTRARE

NUMERO 2/II

117


(COMPLETA TESTATINA)

collaterale, ha utilizzato dei free-climber per appendere 15 grandi tele, non incorniciate, nel cavedio dell’edificio, alto 35 metri. Valeri ha usato le sue immagini dell’orfanotrofio per creare una “torre narrativa”, come un totem. Viste dai ballatoi in una sequenza di prospettive sempre diverse, la mostra era dinamica anche da un punto di vista filosofico. In quanto tale, era perfettamente coerente con l’etica promossa dal curatore della Biennale, Okwui Enwezor, che propone un’arte che modifichi direttamente la realtà, e che possa trasformare le ingenti spese di produzione dell’arte contemporanea in un valore sociale e umanitario che va oltre il profitto economico. Ora al MACRO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma), nella mostra lasciami entrare, le grandi fotografie su tela di Valeri tracciano un percorso diverso. Non tutte le 44 immagini dell’orfanotrofio sono facilmente visibili. Alcune sono impilate, altre appese in un corridoio oscurato. In un modo metafisico, gioca con il volume dello spazio espositivo e altera il senso della distanza

attraverso una scenografia a strati, 100 disegni a carboncino, e prospettive aperte e chiuse. Alla fine della mostra, l’osservatore entra in uno spazio come in un carosello, in cui tutte le opere sono finalmente visibili. Lì vicino, a sé stante, c’è una vecchia macchina per lo zucchero filato, con un performer circense che offre dolcezza ai visitatori. Accanto alle fotografie, la mostra di Alessandro Valeri a La Pelanda contiene anche un’installazione con un’antico banco di scuola di legno, che pende in obliquo dal soffitto. Sotto, sul pavimento, una pila di 40.000 matite rotte a metà. Teatrale e toccante, sembra il gigantesco nido di una mostruosa colonia di formiche. Secondo l’artista, questa parte rappresenta le ambiguità dell’iconografia e dell’educazione, e la differenza tra il mondo protetto, dentro la scuola, e i pericoli che stanno fuori dalla classe. “lasciami entrare parla sia delle gioie che dei sogni spezzati dei bambini”, dice l’artista. “Semplicemente, metto in scena un pensiero”. (6’ 10’’) GENIUS PEOPLE MAGAZINE

In alto: Istallazione al Museo MACRO con 40.000 matite spezzate e antico banco di scuola. Foto di Jordan J. Reed.

Alessandro Valeri – “lasciami entrare” (“let me inside”). A cura di Micol Veller Fornasa. Museo MACRO Testaccio – La Pelanda. Piazza O. Giustiniani 4, Roma. mar-gio 15.00-20.00; ven 15.00-21.00; sab 11.0021.00; dom 11.00-20.00. Fino al 24 luglio 2016.

118





gENIUS PEOPLE MAgAZINE

1



JAEGER-LECOULTRE BOUTIQUE Florence Milan Rome Venice

Duomètre Unique Travel Time watch Dr. Craig Venter, decoder of human DNA

Open a whole new world


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.