Il signor Ernesto Palladio che bruciò la pergamena Il signor Ernesto Palladio salì sopra un monticello. Circondato da ameni colli, l' ascesa era facilissima. Meno facile la scalata in alto, sulla cima del monte della verità. Perché nessuno sapeva di chi lui era figlio. Raccontano le tre sorelle Palladio, che vivono a Polizzi Generosa, Vita Concetta e Anna, il giallo della loro famiglia e di quanto il loro padre Ernesto «sarebbe andato in fondo per scoprire le proprie origini», purtroppo «una cupa tristezza attraversava la sua mente». Ernesto Palladio viveva con un' ombra insidiosa che lo tediò fino alla fine della sua esistenza. Loro, le tre sorelle Palladio, sanno bene di avere un cognome famoso. Sanno bene che Palladio era un architetto del Cinquecento. Andrea di Pietro della Gondola, detto Andrea Palladio. E sanno anche che quel nome le porta lontano. A Venezia. «Anche mio padre lo diceva spesso, parlava di certe origini venete. Papà mai conobbe i suoi nonni. Nemmeno i suoi genitori. Era orfano». La storia del signor Ernesto, testimoniata dalle sue tre figlie, stupisce ancor di più perché in questa vicenda non pensavamo proprio d' imbatterci. «Le origini di mio padre Ernesto Palladio erano certamente nobili. Lui era consapevole della sua triste favola. Un giorno finalmente coronata dalla felicità. Dalla verità di sapere chi cavolo fossero i suoi genitori». Di peregrinare in cerca delle sue origini, il signor Ernesto Palladio non si stancò mai. Anche sua figlia, Concetta, sta ancora cercando di conoscere chi sia davvero suo nonno. «I fatti andarono così. Mio padre era un bambino trovatello. Lo trovarono sulle scale del castello di Ruggero I, conte di Sicilia. Conte di Polizzi Generosa. Lo trovò una donna che cibava i numerosi gatti stanziali, intorno al castello. Che scambiò il pianto del bambino in miagolio». Era consuetudine a Polizzi, per i randagi di lì, scavalcare le mura del castello e approvvigionarsi del fortunato pasto offerto quotidianamente dalla signora. «Quel giorno, però, i gatti si accucciarono intorno a una piccola cesta, dove dentro c' era un bambino che piangeva. Era mio padre, Ernesto, coperto da un lenzuolo. Accanto al bimbo, un libro in pergamena con delle iniziali stampate a fuoco. E sul fronte, lo stemma araldico di una famiglia. Dentro la cesta c' era anche una busta, e un biglietto diceva: "Prendetevi cura del piccolo Ernesto Palladio. Dio mi perdoni"». Concetta Palladio racconta poi che la donna si prese cura del piccolo divenendo sua madre adottiva. Volle bene a Ernesto Palladio come a un figlio. Ma quest' uomo coraggioso e oltremodo testardo, Ernesto Palladio, non s' arrendeva mai, e spesso partiva, diretto verso il Veneto. Finché smise di farlo. «Un giorno» confida la signora Concetta «tornò a casa furibondo. Lui era un uomo calmo e generoso. Sempre gentile, mai agitato. Quella volta, però, aveva perso le staffe. Era accaduto qualcosa. Singhiozzava come un bimbo. Io a quel tempo ero piccolina, ma comprendevo una certa agitazione nei suoi movimenti. Mio padre era turbato. Quando a un tratto s' infuriò. Aprì il cassetto del comò dov' era custodito gelosamente il libro di pergamena e come un tronco secco lo buttò dentro il camino». In pochi istanti le pagine furono cenere. GIANFRANCA CACCIATORE