Il signor Puccini vittima dell' anagrafe Quest' uomo, che si chiama Antonio Puccini, porta lo stesso cognome del compositore Giacomo Puccini e non lo sopporta. «È da cinquant' anni che si ripete la stessa solfa. Le stesse frasi convenevoli e insopportabili: "Sei parente di Puccini? Che piacere! Sei anche tu un compositore?". Sono veramente stufo». Il signor Antonio è ossessionato dal fantasma di un nome famoso. «Non c' è alcuna corrispondenza tra me e il musicista. E ne ho abbastanza di questa storia». Nonostante il signor Antonio Puccini paghi il prezzo di un' assurda coincidenza, non ha mai pensato di cambiare cognome. «L' identità è una volontà altrui e un destino da rispettare», dice. «Del resto, se ho il morbillo appena qualcuno pronuncia quel fatidico cognome, che ci posso fare! Ma una via di scampo l' ho trovata. Una volta per tutte lo racconterò: Puccini è un banalissimo errore anagrafico. Una sgrammaticatura che risale al tempo di mio nonno». Il signor Puccini spiega: «Il mio nome è Antonio Pulcini, una l al posto di una c. Mio nonno Edoardo andò all' uffico anagrafico per registrare la nascita di mio padre. Era un fattore e allevava animali nella tenuta di campagna di un barone. Quando c' era la fiera in paese, scendeva col carretto carico di animali. Quella volta c' erano una mucca da latte, sette galletti, e in una scatola di cartone, due pulcini... Quando l' impiegato dell' ufficio domandò: "Qual è il nome e cognome del bambino?", mio nonno, in verità, disse: Antonio Pulcini. E l' impiegato di rimando: "Pulcini come i piccoli della gallina?", chiese, mentre due pulcini fuggiti dalla scatola ballonzolavano sul tavolo. "Sì", rispose mio nonno». «E allora l' impiegato disse: "E voi, vostro figlio lo mettete al mondo con i pulcini nella stoppa?". "Mica ho deciso io di chiamarmi Edoardo Pulcini", replicò mio nonno. "Certo. Ma questo bambino rimarrà pulcino per tutta la vita". Mio nonno venne preso dallo sconforto. Aveva le guance rosse e gli occhi lucidi. Nel frattempo l' impiegato catturava i due pulcini. Li rinchiudeva nella scatola. E con del nastro adesivo sigillava il coperchio. Con una matita forava il cartone. "Piccoli buchi per lasciare passare l' aria. Vede che fine farà suo figlio", diceva guardando con gli occhiali sul naso mio nonno. "Glieli compro i pulcini, purché lei cambi cognome a suo figlio". "Ma, come posso fare?", domandava mio nonno balbettando. L' impiegato aprì un cassetto della scrivania. Tirò fuori un libro nero e cominciò a sfogliarlo. Sottovoce leggeva... Pulci... Pulcinella... Puccianti... Pucci... cinelli... Puccini! Cacciò un urlo, sbattendo con impeto il pugno sul tavolo cosicché la scatola volò sul pavimento. I due pulcini, tramortiti per l' urto, appena dopo sollevarono la testolina, e liberi scorrazzarono per tutto il corridoio. C' era nell' ufficio anagrafico un gatto tigrato. Pigramente in panciolle sul pavimento. Di sette chili il gatto si sollevò da terra. Stiracchiandosi ben bene. Come fanno tutti i gatti che sembrano tira e molla. Intanto nel corridoio dell' ufficio comunale si sentiva un ripetuto "pio pio pio", che durò poco. Appena il tempo di una lesta zampata. Il gatto acciuffò i pulcini e se li mangiò. Ecco, questa è la storia del mio cognome». GIANFRANCA CACCIATORE