Quando il successo nasce da una scintilla
Copyright © GSG S.r.l. QUANDO IL SUCCESSO NASCE DA UNA SCINTILLA GSG Carpenteria Metallica S.r.l. via Cà di Aprili, 37 37135 Cà di David - Verona www.gsg.it Stampato in Italia Dicembre 2017
Quando il successo nasce da una scintilla
Quando il successo nasce da una scintilla
Prefazione
Spesso le idee si accendono l’una con l’altra, come scintille.
Friedrich Engels
Cap. 1
Lavora per mantenere viva nel tuo petto quella piccola Scintilla di fuoco celeste chiamata coscienza. George Washington
A un tratto, invece, eccola lì, GSG. Sulla mia destra, un’imponente struttura si staglia contro il primo sole mattutino. È più grande di quanto mi aspettassi ma si sviluppa tutta in larghezza, lasciando che siano le nuvole a dare il benvenuto a me e ai dipendenti che stanno per timbrare il cartellino.
Mi viene incontro. «Mi scusi, è che stavo facendo il giro dei saluti – esordisce - Lo faccio ogni mattina quando arrivo. Capireparto, impiegati, operai... saluto tutti, uno per uno, per ricordargli e ricordarmi che GSG non esisterebbe senza di loro».
Ci eravamo conosciuti solo di sfuggita quando ho chiesto di poter raccontare la sua storia e quella di GSG, ma sarà oggi il giorno in cui scoprirò l’uomo che si cela dietro l’imprenditore. E da quello che ho visto in questi primi minuti in GSG, capisco che l’uomo potrebbe non solo eguagliare ma anche superare l’immagine che mi sono fatta dell’imprenditore.
Entro in reception e chiedo subito di Gabriele Benedetti, fondatore dell’azienda, aspettandomi il solito «Si accomodi in sala d’aspetto» seguito dai classici 25 minuti d’attesa a cui mi obbligano di solito i grandi imprenditori che intervisto. Ma mi sbaglio. «Entri pure, lo trova in giro», mi dicono. Mi affaccio timidamente nel grande capannone principale, la cui architettura mi suggerisce che sia anche quello da cui tutto è cominciato. Inizio ad aggirarmi per la struttura, sorridendo gentilmente agli impiegati del primo turno, già al lavoro sui loro banchetti circondati da cascate di scintille. Poi lo intravedo. È lui, senza dubbio. Gabriele sta salutando uno dei saldatori. Gli dà una pacca sulla schiena, gli sorride, gli fa l’occhiolino. 6
7
GSG
PREFAZIONE
P
ercorrendo l’ultima lunga via di Ca’ di David, minuscola frazione di Verona che ospita meno di 8mila anime, mi chiedo se la strada sia quella giusta. Il navigatore mi assicura che mancano poche manciate di metri alla mia meta, ma il paesaggio che mi circonda, con i dorati campi coltivati e le colline veronesi sullo sfondo, non sembra adatto a ospitare una realtà industriale delle dimensioni e dell’importanza storica che mi hanno descritto.
A un tratto, invece, eccola lì, GSG. Sulla mia destra, un’imponente struttura si staglia contro il primo sole mattutino. È più grande di quanto mi aspettassi ma si sviluppa tutta in larghezza, lasciando che siano le nuvole a dare il benvenuto a me e ai dipendenti che stanno per timbrare il cartellino.
Mi viene incontro. «Mi scusi, è che stavo facendo il giro dei saluti – esordisce - Lo faccio ogni mattina quando arrivo. Capireparto, impiegati, operai... saluto tutti, uno per uno, per ricordargli e ricordarmi che GSG non esisterebbe senza di loro». Ci eravamo conosciuti solo di sfuggita quando ho chiesto di poter raccontare la sua storia e quella di GSG, ma sarà oggi il giorno in cui scoprirò l’uomo che si cela dietro l’imprenditore. E da quello che ho visto in questi primi minuti in GSG, capisco che l’uomo potrebbe non solo eguagliare ma anche superare l’immagine che mi sono fatta dell’imprenditore.
Entro in reception e chiedo subito di Gabriele Benedetti, fondatore dell’azienda, aspettandomi il solito «Si accomodi in sala d’aspetto» seguito dai classici 25 minuti d’attesa a cui mi obbligano di solito i grandi imprenditori che intervisto. Ma mi sbaglio. «Entri pure, lo trova in giro», mi dicono. Mi affaccio timidamente nel grande capannone principale, la cui architettura mi suggerisce che sia anche quello da cui tutto è cominciato. Inizio ad aggirarmi per la struttura, sorridendo gentilmente agli impiegati del primo turno, già al lavoro sui loro banchetti circondati da cascate di scintille. Poi lo intravedo. È lui, senza dubbio. Gabriele sta salutando uno dei saldatori. Gli dà una pacca sulla schiena, gli sorride, gli fa l’occhiolino. 6
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PREFAZIONE
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ercorrendo l’ultima lunga via di Ca’ di David, minuscola frazione di Verona che ospita meno di 8mila anime, mi chiedo se la strada sia quella giusta. Il navigatore mi assicura che mancano poche manciate di metri alla mia meta, ma il paesaggio che mi circonda, con i dorati campi coltivati e le colline veronesi sullo sfondo, non sembra adatto a ospitare una realtà industriale delle dimensioni e dell’importanza storica che mi hanno descritto.
Cap. 1
Lavora per mantenere viva nel tuo petto quella piccola Scintilla di fuoco celeste chiamata coscienza. George Washington
Prefazione
Spesso le idee si accendono l’una con l’altra, come scintille.
Friedrich Engels
GSG
CAP.1
S
ono nato nel 1940 tra le colline veronesi» comincia a ricordare Gabriele, sorseggiando il terzo caffè della mattinata – d’altra parte lui è qui dalle 5 del mattino – con occhi sognanti. «Mio padre morì in guerra quando avevo solo tre anni. Me lo ricordo a stento perché tornava a casa solo quando era in permesso, e non succedeva spesso. Ma certo non mi è mancata una figura paterna: vivevo con mia madre Carmela, mio fratello Sergio, mia sorella e tre zii (i fratelli di mio padre) con relative famiglie, ma il pater familias era lui, mio nonno. Era la classica famiglia patriarcale, dove ognuno poteva dire la sua ma l’ultima parola spettava sempre a mio nonno». «La suddivisione dei compiti era semplice, lassù in collina: i ragazzi e gli uomini uscivano all’alba per andare a lavorare la terra, mentre le donne si occupavano dei lavori di casa. La sera ci si ritrovava tutti per cena: gli uomini aiutavano a rovesciare l’enorme pentolone della polenta e poi si accomodavano al lungo tavolo nel tinello, con mio nonno a capo tavola. Accanto a lui si sedevano gli zii, poi i cugini più grandi e via via i membri della famiglia più giovani. Noi bambini mangiavamo in cucina con le donne. Oggi potrebbero sembrare usanze un po’ retrograde ma ai tempi si faceva così, soprattutto in famiglie numerose come la mia (eravamo 23 in casa), e le cose funzionavano benissimo. Ogni nucleo familiare era come una società in miniatura: ti veniva insegnato ad attenerti alle regole, a rispettare le persone più anziane, e niente ti era dovuto: persino da bambino le cose dovevi guadagnartele». 10
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CAP.1
S
ono nato nel 1940 tra le colline veronesi” comincia a ricordare Gabriele, sorseggiando il terzo caffè della mattinata – d’altra parte lui è qui dalle 5 del mattino – con occhi sognanti. «Mio padre morì in guerra quando avevo solo tre anni. Me lo ricordo a stento perché tornava a casa solo quando era in permesso, e non succedeva spesso. Ma certo non mi è mancata una figura paterna: vivevo con mia madre Carmela, mio fratello Sergio, mia sorella e tre zii (i fratelli di mio padre) con relative famiglie, ma il pater familias era lui, mio nonno. Era la classica famiglia patriarcale, dove certo, ognuno poteva dire la sua, ma l’ultima parola spettava sempre a mio nonno». «La suddivisione dei compiti era semplice, lassù in collina – mi spiega – i ragazzi e gli uomini uscivano all’alba per andare a lavorare la terra, mentre le donne si occupavano dei lavori di casa. La sera ci si ritrovava tutti per cena: gli uomini aiutavano a rovesciare l’enorme pentolone della polenta e poi si accomodavano al lungo tavolo nel tinello, con mio nonno a capo tavola. Accanto a lui si sedevano gli zii, poi i cugini più grandi e via via i membri della famiglia più giovani. Noi bambini mangiavamo in cucina con le donne. Oggi potrebbero sembrare usanze un po’ retrograde ma ai tempi si faceva così, soprattutto in famiglie numerose come la mia (eravamo 23 in casa), e le cose funzionavano benissimo. Ogni nucleo familiare era come una società in miniatura: ti veniva insegnato ad attenerti alle regole, a rispettare le persone più anziane, e niente ti era dovuto: persino da bambino le cose dovevi guadagnartele».
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Ridacchia divertito, pensando ai casi della vita. «Ricordi quando le parlavo del trasferimento della mia famiglia a Gazzo Veronese del ’49? Fu mio cugino Giuseppe a occuparsi del trasloco perché era l’unico ad avere la patente per guidare i camion. Beh, durante l’ultimo viaggio mio cugino caricò, oltre agli ultimi mobili, anche me, mia madre e mia sorella. Durante il tragitto passammo per Ca’ di David dove il destino volle che forassimo una gomma. Dovemmo recarci nell’officina di un certo Stanzial. Vent’anni dopo quell’officina divenne il nostro primo capannone!». Vedo ancora una scintilla di emozione e di soddisfazione negli occhi di Gabriele mentre ricorda quei momenti. È un fiume in piena, ma d’altra parte stiamo arrivando al momento clou del racconto, quello in cui entra in scena il fratello Sergio, compagno inseparabile di lavoro e di vita. 16
«Dopo un esordio a due, io e Giuseppe abbiamo cominciato ad assumere i primi dipendenti. Eravamo in sei, ma all’azienda mancava ancora qualcosa. Qualcuno. Era il 1980, e ai tempi io e la mia famiglia vivevamo con mio fratello e la sua. Sergio lavorava da Biasi, una grande azienda che tuttavia in quel periodo stava vivendo un momento di declino a causa di un passaggio generazionale. Quando mi chiese di poter entrare in società non ebbi dubbi». A questo punto la curiosità è alle stelle, ma Gabriele si blocca. Non può, non vuole continuare il racconto senza Sergio. «Aspetta, vado a chiamarlo» mi dice prima di lasciare la stanza. Mi sgranchisco un po’ le gambe ed esco in corridoio. La zona uffici si trova su un soppalco dal quale si gode di una vista completa di tutto ciò che accade nel capannone princi17
GSG
CAP.1
Foto. 1 Ficiminieni inciusc imincipicius autem facestrum, ut que volectur?
mettano nel loro lavoro. Mi immagino Gabriele e suo cugino Giuseppe da soli, in quel primo capannone affittato poco lontano da qui, mentre seguivano il loro grande sogno curvi sui loro banchetti e circondati dalle scintille. Spostando lo sguardo al centro del capannone, mi colpisce un macchinario per il taglio laser della lamiera che sembra uscito da un film di fantascienza. Un operaio digita qualcosa su uno schermo e subito la macchina entra in azione. Grandi bracci metallici posizionano un’enorme lamiera all’interno del macchinario. Le parete sono vetrate, ed è possibile assistere all’intero procedimento. Il laser comincia a intagliare con infinitesimale precisione la lamiera, seguendo lo schema disegnato sullo schermo esterno. Non riesco a staccare gli occhi da quel sottilissimo fascio di luce che insieme disegna e taglia, muovendosi con precisione ed eleganza su quella lamiera come una ballerina su un palco. 18
Un «Buongiorno!» alle mie spalle mi fa sobbalzare. È Sergio, e anche lui oggi ha tanto da raccontare. «Sì è vero, io e Gabriele abbiamo abitato nella stessa casa con le nostre famiglie per 20 anni» mi conferma poco dopo, rientrati in ufficio. Ha gli stessi occhi del fratello, e, anche se fa più sforzi per contenerla, la stessa voglia di raccontare la sua storia e quella di GSG. «Le nostre mogli erano come sorelle, per un certo periodo hanno anche avuto un negozio insieme. Io avevo una figlia, Gabriele due maschi, e si viveva tutti insieme come un’unica grande famiglia. Ancora oggi usciamo insieme una sera a settimana con le nostre mogli. A proposito, sabato si va ancora a ballare?» chiede al fratello, che conferma l’appuntamento con entusiasmo. «Ai tempi lavoravo da Biasi come dipendente, quindi l’idea di lasciare tutto e mettermi in proprio potrebbe 19
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CAP.1
Foto. 1 Ficiminieni inciusc imincipicius autem facestrum, ut que volectur?