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Federica Caponera Intervista a Francesco Isidori

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Giovanni Fontana

Giovanni Fontana

Intervista a Francesco Isidori (Labics) di Federica Caponera

Francesco Isidori - La forma della città e la città si sono sempre costruite su se stesse attraverso trasformazioni continue che poi hanno prodotto la ricchezza della città storica come la vediamo oggi, nella contemporaneità, il cui valore è dato dalla forma dei segni e delle riscritture avvenute nel corso del tempo, che l’hanno resa particolarmente ricca di significati storici, dalla forte intensità visiva. Pensiamo al Teatro di Marcello a Roma, che nel Medioevo fu utilizzato come “roccaforte” delle famiglie baronali romane e, nel Cinque cento, fu trasformato in Palazzo, per i Caetani, nel suo assetto definitivo dall’architetto Baldassarre Peruzzi. Un altro esempio straordinario in Italia è il Duomo di Siracusa, un impianto architettonico che cela al suo interno uno dei più celebri e meglio conservati monumenti in stile dorico della Sicilia, il tempio di Atena, che nel VI secolo d.C. fu inglobato nella chiesa bizantina che si sovrappose all’originaria struttura templare dell’edificio. ll restauro, che seguì in seguito ai danneggiamenti del terremoto di fine Seicento, fu occasione per abbellire internamente la chiesa e per ricostruire all’esterno una facciata nuova, che fu realizzata nella prima metà del Settecento come una quinta teatrale sull’originale impianto bizantino. E ancora, la facciata di Santa Maria Novella a Firenze, capolavoro dell’architettura che non potrebbe essere tale se Leon Battista Alberti non fosse intervenuto su un edificio medievale incompiuto e avesse conciliato il suo progetto con le preesistenze. Questo a testimonianza che alcuni esempi straordinari di architettura nascono proprio dalla riscrittura operata nel corso della storia. Perché allora oggi avere un atteggiamento remissivo nei confronti del passato? Perché impedire di aggiungere altri segni all’antico? Ovviamente non possiamo non farlo tenendo conto di tutto quello che poi è stata la storia recente in termini culturali di acquisizione della consapevolezza del valore della memoria. Nel Cinquecento probabilmente si aveva un’idea differente, oggi culturalmente opposta. Nel corso del Novecento, infatti, il restauro è gradualmente diventato una vera e propria scienza. D’obbligo il rispetto del valore della memoria, della conservazione e della possibilità di tramandare questi principi alle generazioni future il più possibile, non alterando i valori che sono giunti fino a noi. Una concezione culturale fondamentale, quindi, che non può di

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Architettura viva

Qualità del progetto come visione di futuro

Francesco Isidori - Per noi i temi di ricerca principali sono due. Il primo, più inerente il linguaggio, è il concetto di struttura. Il concetto di struttura è per noi fondamentale. Non ci riferiamo naturalmente solo alla struttura portante; considerare il progetto di architettura una struttura ha un significato più ampio, in qualche modo filosofico; significa spostare il piano e l’attenzione dal disegno dell’oggetto al disegno dei principi che lo regolano. Tutto nasce quando abbiamo iniziato a progettare, per cercare di capire il perché della forma. Spaesati da un’epoca in cui ogni forma sembrava possibile, abbiamo cercato di ritrovare un’essenzialità, in un certo senso l’irriducibilità del progetto attraverso l’indagine sulla struttura. Il termine struttura ci parla dunque delle relazioni tra le cose e non delle cose stesse. Concepire un’architettura come una struttura implica dunque il considerarla non come un oggetto autonomo, ma come un sistema composto da diversi elementi tenuti insieme da una logica unitaria e soprattutto come un componente di un sistema più ampio, il contesto nelle sue diverse connotazioni. Progettare una struttura significa infatti mettere a sistema – in un’unica entità – tutte le componenti che confluiscono nel progetto. Una ricerca che mira a spogliare l’architettura di tutti gli elementi superflui per cercare questa essenzialità. Un po’ come quando Paul Klee cercava attraverso i suoi dipinti astratti di raffigurare non ciò che vedeva di fronte al reale, ma la struttura del reale, ciò che non è visibile agli occhi, ma che in qualche modo appartiene alle leggi che organizzano l’universo. Questa è in sintesi il senso della nostra ricerca, che non vuol dire rinunciare alla forma, bensì motivarla e dargli struttura: mostrare l’essenza oggettiva del principio generatore alla base di un progetto. Il secondo tema, al primo estremamente correlato, riguarda la dimensione pubblica dell’architettura. In sintesi studia come l’architettura possa amplificare, arricchire, rendere più forte la sua relazione con lo spazio pubblico, sia all’interno che all’esterno dell’edificio. Proprio perché l’architettura non è mai neutrale, ma costituisce sempre un intervento di trasformazione del territorio alle varie scale. Nel suo intervenire nel contesto, l’architettura deve cercare delle relazioni forti con lo spazio pubblico, che appartiene alla società. E l’architettura, come arte pubblica, deve avere grande rispetto dello spazio della comunità. Un’architettura generosa, ospitale, capace di ridare qualcosa indietro alla dimensione pubblica e urbana. Le nostre architetture si pongono sempre nei confronti del contesto in cui si inseriscono con generosità, non concentrandosi su sé stesse, cercando al contrario di aprirsi ad una fruizione, pubblica, condivisa, collettiva.

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F.C. - Innalzare la qualità dell’ambiente costruito significa migliorare la qualità della vita delle persone. Prioritario il ruolo centrale del progetto nei processi di trasformazione del territorio… F.I. - Uno dei grandi problemi che abbiamo avuto in Italia dal dopoguerra in poi, è stata l’incapacità di immaginare le città ed il territorio in una visione unitaria, che fosse in grado di mettere insieme architettura e urbanistica. Purtroppo con il trascorrere delle epoche i due temi si sono nettamente scissi: da una parte l’urbanistica, preoccupata solo dei numeri e delle famose macchie colorate che zonizzavano le aree senza tenere conto della forma finale del territorio; dall’altra l’architettura, focalizzata sul singolo oggetto e manufatto. Questa scissione del progetto unitario della città, con la conseguente perdita di una visione dell’architettura, così com’era stato dal medioevo fino all’Ottocento, ha portato alla crescita incontrollata delle città, prive di una concezione d’insieme. Abbiamo assistito spesso al proliferare di brutti edifici, uno accanto all’altro, a strade, piazze e parchi non più disegnati, semplicemente pensati come una sommatoria di elementi incoerenti, scollegati gli uni dagli altri. Le città italiane confermano questo concetto e ne amplificano i caratteri: basta osservarle nella loro corolla di crescita a macchia d’olio intorno ai nuclei storici, con un’alterazione del rapporto tra la città stessa ed il territorio circostante.

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