Giroinfoto magazine 51

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N. 51 - 2020 | GENNAIO Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com

N.51 - GENNAIO 2020

www.giroinfoto.com

VIGOLENO

DUCATO DI PARMA E PIACENZA A cura di Captain Swat

MONDOVÌ LE MONGOLFIERE Band of Giroinfoto

OMAN DESERTI E MONTAGNE Di Cinzia Marchi

STAGLIENO IL CIMITERO MONUMENTALE Band of Giroinfoto Photo cover by Giancarlo Nitti


WEL COME

51 www.giroinfoto.com GENNAIO 2020


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la redazione | Giroinfoto Magazine

Benvenuti nel mondo di

Giroinfoto magazine

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Novembre 2015,

da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti

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Giroifoto è

Editoria

Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.

Attività

Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.

Giroifoto è

Promozione

Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.

L E G G I L A G R AT U I TA M E N T E O N - L I N E www.giroinfoto.com Giroinfoto Magazine nr. 51


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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente

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ANNO VI n. 51

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20 Gennaio 2020

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PARTNERS Instagram @Ig_piemonte, @Ig_valledaosta, @Ig_lombardia_, @Ig_veneto, @Ig_liguria @cookin_italia MAST Bologna SKIRA Editore Urbex Team Old Italy

CONTATTI email: redazione@giroinfoto.com Informazioni su Giroinfoto.com: www.giroinfoto.com hello@giroinfoto.com Questa pubblicazione è ideata e realizzata da Gienneci Studios Editoriale. Tutte le fotografie, informazioni, concetti, testi e le grafiche sono di proprietà intellettuale della Gienneci Studios © o di chi ne è fornitore diretto(info su www. gienneci.it) e sono tutelati dalla legge in tema di copyright. Di tutti i contenuti è fatto divieto riprodurli o modificarli anche solo in parte se non da espressa e comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.

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I N D E X

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C O N T E N T S

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STAGLIENO

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GIULIANOVA

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LA VILLA DORATA

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PIKE PLACE MARKET

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Ducato di Parma e Piacenza

Di Giancarlo Nitti

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STAGLIENO Il cimitero monumentale Band of Giroinfoto

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LA VILLA DORATA Urbex Urbex Team Old Italy

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GIULIANOVA Cittadina del litorale abruzzese Di Andrea Ciarrocchi

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PIKE PLACE MARKET All American Report 2019 Di Mariangela Boni


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10 VIGOLENO

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LE MONGOLFIERE di Mondovì Band of Giroinfoto OMAN Tra deserti e montagne Di Cinzia Marchi ROLLI 2019 - PART 2 Band of Giroinfoto Di Monica Gotta

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UNIFORM MAST Bologna Mostra fotografica

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LE TUE FOTOEMOZIONI Questo mese con: Ivo Marchesini Massimiliano Caligaris Michele Petrelli Adriana Oberto

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LE MONGOLFIERE DI MONDOVÌ

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I NOSTRI

REPORTS Pubblicazione delle statistiche e i volumi relativi al report mensile di: Gennaio 2020

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226

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Articoli pubblicati dagli utenti

Nuovi Reporters

Copertura degli articoli sui continenti

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VIGOLENO - CASTELLI DEL DUCATO

A cura di Captain Swat

Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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VIGOLENO - CASTELLI DEL DUCATO

Laddove Si estendeva il Ducato di Parma e Piacenza vi è un territorio da vivere, scoprire e gustare. Per me, soprattutto da gustare. È un tripudio di emozioni, storia, arte, cultura ed enogastronomia che rende unica questa incantevole terra che si estende dall’Appennino al grande fiume Po. Alla ricerca di castelli, rocche, fortezze e salami, siamo capitati in un piccolo borgo del Comune di Vernasca, in provincia di Piacenza.

Vigoleno Il Borgo di Vigoleno, incluso nella lista dei Borghi più belli d'Italia, intatto in tutte le sue parti è l'esempio di borgo fortificato medievale del X° secolo. La frazione è collocata sul crinale della Valle dell'Ongina e quella dello Stirone ad un'altezza di 350 m.s.l.m. e si raggiunge attraverso la Strada Provinciale 56 a Sud e dalla Strada Provinciale 12 a Nord.

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Passando dal Rivellino, un ingresso fortificato che, all'occorrenza, si poteva isolare in caso di assedio, capiamo immediatamente che la fortificazione è stata progettata per proteggere chi la abitava. Aveva funzioni di controllo in un'area strategica di passaggio di milizie tra la pianura e l’Appennino. Il baluardo d'entrata è sovrastato dal Mastio, che domina l’intero borgo affacciandosi sulla piazza interna del borgo dalla quale ci si inoltra percorrendo piccole stradine. Passeggiando nel piccolo borgo, troviamo alcuni passaggi nascosti che arrivano al perimetro interno delle mura dove ci si può affacciare per godersi il panorama verso la pianura padana e la Valle dello Stirone che segna il confine con territorio parmense. Il percorso circolare ci ha permesso di dare un primo sguardo al borgo con alcune case antiche in pietra costruite tra il 1500 e il 1800, ma soprattutto di scoprire dall’esterno l’antica Pieve di San Giorgio con le sue absidi decorate con curiose sculture in bassorilievo tra le colonne decorative, raffiguranti immagini di pellegrini a testimonianza che Vigoleno era un luogo di passaggio per molti fedeli che si dirigevano a Roma passando da strade alternative alla più frequentata Val Taro.

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La Pieve di San Giorgio è l’edificio più antico del borgo, risalente al periodo romanico del XII secolo. L’esterno è caratterizzato da un impianto basilicale a tre navate a cui corrispondono altrettante absidi interne e una torre campanaria massiccia a base quadrata. La facciata, preceduta da un sagrato delimitato da due bassi parapetti è costituita da conci squadrati e un piccolo oculo sul frontone, unico punto di luce da questo lato. Il magnifico portale, in pieno centro, riporta una strombatura con due enigmatici telamoni accovacciati che sembrano reggere l’architrave su cui poggia la bellissima lunetta a quadruplice ghiera che ospita il santo titolare: San Giorgio, il prode cavaliere, nell’atto di uccidere il famigerato drago, sotto di lui, mentre una figura angelica è scolpita orizzontalmente dietro la schiena dell’armigero. L'interno della chiesa si presenta piuttosto scura, filtrando pochissima luce dalle monofore e per poter ammirare l’interno bisognerà premunirsi di moneta da 1 euro da inserire nella cassettina a sinistra dell’ingresso. Ma l'illuminazione artificiale mette in risalto tracce di affreschi trecenteschi, come il San Giorgio in armatura che uccide il drago e salva la fanciulla nell’abside, o le diverse immagini votive dipinte sul le pareti laterali, come San Francesco e San Bernardino da Siena. Imponenti colonne con capitelli scolpiti con motivi vegetal, dividono la navata. Si notano inoltre quattro statue lignee seicentesche di santi , che in passato si portavano a spalla in processione, testimonianza dell’antica devozione popolare. Uscendo dalla Pieve ci dirigiamo verso il Mastio, dalla parte della piazzetta, anche perchè l'ora del pranzo si avvicina e mi è parso di sentire profumi interessanti proprio da quelle parti.

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Appunto! Il mio olfatto non si sbagliava! Ecco che, su di un banco all'esterno di un negozietto, si presentano diverse ceste di salumi di tutti i tipi, ma prima ne approfitto per farmi una bella bevuta dalla fontana della piazza: ci sono anche dei pesci rossi che casualmente potrebbero finirmi in bocca. Tranquilli, oggi niente sushi: non vorrei mai rovinarmi il palato prima di assaggiare il famosissimo salame piacentino! Ăˆ cosĂŹ che, dopo una bella scorpacciata di pane e salame con tutti gli assaggi di carne gentilmente offerti dal mio umano in un ristorantino niente male, proseguiamo con la visita al mastio.

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Il Salame Piacentino Prodotto garantito in qualità, a partire dal 1996, dal riconoscimento del marchio DOP e famoso per la sua bontà già a partire dal XV secolo, il “Salame Piacentino” nasce dalla lavorazione di carni di maiali allevati nelle zone che, secondo il Disciplinare, fanno riferimento esclusivamente all'EmiliaRomagna e alla Lombardia. È una tipologia di salame a grana grossa che, una volta tagliato, si offre allo sguardo con il colore vivace della carne e al palato si dona con un'aromatica delicatezza che viene gustata in modo completo grazie anche alla compattezza e alla morbidezza che lo caratterizza.

La sua produzione inizia con un'accurata selezione dei migliori tagli di carne e di una percentuale di grasso, ricavato da parti specifiche, tra cui il lardo o la parte della gola, che vengono macinati insieme utilizzando uno stampo con fori larghi. L'impasto ottenuto viene aromatizzato, secondo la ricetta della tradizione, aggiungendo una quantità ben precisa di spezie, di sale, oltre ad un infuso a base di vino e di aglio. Una volta preparato e legato l'insaccato, utilizzando un budello naturale di suino, si passa alla fase dell'asciugatura che deve durare una settimana per poi terminare con la stagionatura che ha una durata minima di 45 giorni. La sua eccellenza organolettica lo rende perfetto per valorizzare il piatto dell'antipasto, è uno squisito spuntino accompagnato con una fetta di pane e può essere utilizzato per sottolineare il sapore di ricette di vario genere che così acquistano in gusto diventando delle vere specialità.

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Giancarlo Nitti Photography

Il mastio Il Mastio è accessibile pagando un biglietto di 4 euro a persona. All'interno delle fondamenta della torre si trovano le antiche galere, costituite solamente da un paio di catene fissate alle pareti. La visita all'interno inizia con diverse rampe di scale, alcune ricavate direttamente nelle pareti della struttura che portano ai diversi piani, ora allestiti da teche contenenti gli abiti del tempo. A circa metà altezza, si nota un passaggio che dà su un piccolo ponte levatoio che permetteva l’isolamento del mastio dal resto della fortificazione in caso di assedio. Dopo due rampe di scale si arriva al camminamento di ronda. Da qui si gode una bellissima vista sulla piazza e percorrendolo fino in fondo si raggiunge una torre più piccola, con un ambiente dal soffitto decorato.

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A fianco della torre un nuovo ponte metallico permette di raggiungere il Castello, dove si può visitare alcuni ambienti arredati tra i quali il teatrino settecentesco., È ora di proseguire sulle scale del mastio, quindi rientriamo e saliamo ancora di qualche rampa. Non ancora in cima si trova un piccolo balconcino da dove si può ammirare ancora da più in alto il panorama verso il Castello. Finalmente in cima ammiriamo la veduta a 360 gradi dalla torre. Scendiamo dal mastio risbucando nuovamente sulla piazzetta con la fontana. Notiamo immediatamente l'edificio alla nostra sinistra: è l’Oratorio di Santa Maria delle Grazie, un tempo cappella della famiglia Scotti. L’oratorio, oggi sconsacrato, si affaccia nella piazza centrale ed è aperto in occasione di mostre, concerti o conferenze. Al suo interno sono ancora due altari di origine barocca e una pala d’altare quattrocentesca rappresentante la Madonna che allatta Gesù.

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Di recente è stato aperto il Museo degli Orsanti, posto nella Casa Tanzi all’ingresso del borgo. All'interno troviamo un’ampia documentazione fotografica e molti oggetti esposti che ripercorrono le vicende degli abitanti dell’alto Appennino, che per sopravvivere ai duri inverni alcuni di loro divennero, tra la fine del 1800 e inizi del 1900, teatranti ambulanti che ammaestravano orsi e altri animali. Da qui il nome Orsanti.

Il borgo si può visitare tutto l’anno, in tarda primavera e per tutto il periodo estivo vengono organizzati eventi, come “La notte romantica dei borghi più belli d’Italia”, I mercatini delle meraviglie, mostre e concerti jazz serali; nel periodo natalizio, in una delle case, è ospitato un presepe molto suggestivo. La zona è rinomata oltre che per i vini dei colli piacentini per il Vin Santo di Vigoleno, una produzione di nicchia,

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realizzata esclusivamente all’interno del territorio comunale di Vernasca, con uve bianche locali che dopo la vendemmia devono essere lasciate appassire su graticci; la spremitura può avvenire soltanto dopo il 1° di dicembre. Un vino D.O.C. che richiede particolari cure e che si produce in piccole quantità, ma il vero principe del gusto rimane il mio caro e saporito salame piacentino.

Captain Swat


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CIMITERO DI STAGLIENO

Stefano Zec Photography Luca Barberis Monica Gotta Sara Morgia Stefano Zec

A cura di Monica Gotta

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GENOVA


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| CIMITERO DI STAGLIENO

Comune di

GENOVA Vi chiederete il motivo per cui siamo andati a visitare il Cimitero Monumentale di Staglieno. A parte l’essere celebre come uno dei cimiteri più importanti d’Europa, era nostro desiderio visitare un luogo rinomato della nostra città, cosa che non si fa spesso perché si sa …è lì… ma non si trova mai il tempo per farlo. Per una serie di coincidenze, un incontro inaspettato ci ha regalato una nuova conoscenza che ci ha condotto alla decisione prima di quanto pensassimo. Fabrizia Scortecci, guida turistica abilitata e creatrice di percorsi guidati al cimitero, entusiasta della nostra idea, si è resa disponibile ad accompagnarci per rendere la nostra visita più consapevole. Ve la presentiamo …

Fabrizia Scortecci genovatracce@gmail.com Fg-design Photography

“Di formazione filologa, laureata in lingue slave, lavoro nel mondo del turismo da 12 anni. La professione di guida turistica, che svolgo a tempo pieno e con molta soddisfazione, mi permette di proporre ai miei clienti, sia gruppi che individuali, una lettura narrata dei luoghi, della storia e delle opere d'arte genovesi. Oltre a tour su richiesta dedicati alla visita del centro storico e delle aree moderne di Genova e della Riviera Ligure nelle lingue in cui possiedo l'abilitazione, cioè l'inglese, il russo e il polacco, propongo visite guidate tematiche riguardanti luoghi e avvenimenti raramente oggetto del prodotto turistico.

Monica Gotta Photography

Negli ultimi 8 anni ho partecipato a diversi percorsi all'interno del Cimitero di Staglieno collegati ad iniziative di interesse culturale come il Festival della Poesia, le Giornate del Patrimonio, le Settimane dei Cimiteri Storici, proponendo visite guidate incentrate su aspetti e temi particolari, normalmente non inclusi nelle proposte turistiche istituzionali. Per sviluppare queste tematiche, dal 2017, mi occupo del progetto culturale "Dalet - Tracce e Percorsi di Memoria", le cui proposte di visite guidate a calendario al Cimitero e nel centro storico genovese sono molto ben accolte dai visitatori e dai turisti, che spesso richiedono tour privati”.

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CIMITERO DI STAGLIENO

Il Cimitero di Staglieno è in una zona abbastanza centrale della città. Da fuori città lo potrete raggiungere in auto con l’autostrada uscendo al casello di Genova Est e poi seguendo le indicazioni per il cimitero. Dalla città con le linee di autobus N°13, 14, 34 e 48, dalla Stazione Brignole con linea bus N°14, dalla Stazione Principe con linea bus N°34, dall’aeroporto con Volabus fino alla Stazione Brignole e poi come sopra.

Il Cimitero di Staglieno è aperto tutti i giorni dalle 7.30 alle 17.00. 25 dicembre e Pasqua: dalle 7.30 alle 13.00 Resta chiuso nelle seguenti giornate: 1 e 6 gennaio, lunedì dell'Angelo, 24 giugno, 15 agosto, 26 dicembre. Quando tali festività coincidono con la domenica il cimitero è aperto dalle 7.30 alle 16.30.

Luca Barberis Photography

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Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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CIMITERO DI STAGLIENO

Storia e

sviluppo Cimitero Staglieno

del di

Nel 1832 un decreto di Re Carlo Alberto vietò, per ragioni di salute pubblica, la tumulazione dentro le mura cittadine, nelle chiese e nei cimiteri parrocchiali. Per tale motivo nacque l’idea di dotare la città di un cimitero monumentale. Così il 1° gennaio 1851 viene ufficialmente aperto al pubblico il Cimitero di Staglieno. Pur non essendo ancora stato completato, la traccia architettonica, funzionale e simbolica era già stata tracciata. Considerato uno dei più autorevoli e creativi professionisti del tempo, Carlo Barabino fu l’architetto incaricato della progettazione di quest’opera monumentale. Fu coordinatore dei piani urbanistici della città di Genova e diede vita ai progetti di importanti edifici come il Teatro Carlo Felice e il Palazzo dell'Accademia Ligustica delle Belle Arti. L’improvvisa morte nel 1835 a causa del colera non gli permise di portare a termine l’incarico di Staglieno che fu affidato al suo allievo Giovanni Battista Resasco. Nel 1840 il piano di Resasco fu approvato e i lavori iniziarono nel 1844. Resasco mantenne la struttura quadrangolare pensata dal Barabino e ne accentuò la monumentalità. Infatti, ancor oggi, entrare dall’ingresso principale provoca sempre un grande impatto scenografico per via dei porticati dallo stile omogeneo, la statua della Fede (scultore Santo Varni ) nonché per l’imponenza del Pantheon.

STATUA DELLA FEDE Monica Gotta Photography Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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L’altra caratteristica che rende l‘impianto del cimitero assolutamente stupefacente è il suo fondersi con l’ambiente naturale della collina. Il Pantheon è infatti contornato dal verde della natura dove si trovano anche la zona del Boschetto e la Valletta Pontasso. In quest’intrico di vegetazione si trovano numerose cappelle e monumenti tra cui la tomba di Giuseppe Mazzini ed altri personaggi del Risorgimento. Seguirono altri ampliamenti sempre a carattere naturalistico, come l’area acattolica e il Cimitero degli Inglesi tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Staglieno divenne una combinazione di architettura e natura, un fondersi della tradizione mediterranea e di quella nordeuropea / anglosassone che ne segnò la fortuna come modello nazionale ed internazionale. Ulteriori ampliamenti furono presto adottati per via dell’espansione della città, che stava crescendo diventando uno dei principali centri industriali e commerciali del settentrione italiano. Resasco stesso ne propose uno a nord-est, un porticato semicircolare che avrebbe dovuto trovare la sua simmetria in un’analoga costruzione. Anche il porticato di nord-est divenne galleria monumentale adornata di opere liberty e art déco. Gli ampliamenti si susseguirono, sempre dettati dalle esigenze di cui sopra. Dopo le aree acattoliche e sempre sulla direttrice della Valle del Veilino, nascerà il

Stefano Zec Photography

Porticato Montino anch’esso ricco di opere art déco. Videro la luce il Sacrario dei Caduti della Prima Guerra Mondiale e il Porticato S. Antonino durante l’ultimo conflitto mondiale. I cambiamenti nella città e nella società del tempo determinarono anche, verso la fine dell’Ottocento, l’apparire di altri simboli oltre a quelli tradizionali, completamente nuovi, appartenenti alla cultura più moderna e legati ad essa e ai suoi valori. Si iniziano a vedere rappresentazioni strettamente legate al mondo commerciale, scientifico ed industriale come ad esempio ruote dentate, elementi nautici, etc. oggetti provenienti dall’appartenenza del defunto ad una data professionalità. TOMBA DI GIUSEPPE MAZZINI Luca Barberis Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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CIMITERO DI STAGLIENO

Personaggi Sono molti i personaggi famosi che riposano in questo luogo d’arte. Rappresentano la storia, la cultura, le arti non solo nazionali ma anche locali. Alcuni di loro sono stati protagonisti delle vicende garibaldine e risorgimentali. Si trovano nel Pantheon, nel Boschetto Irregolare e nel Campo dei Mille. Ci sono aree dedicate alle guerre come ad esempio il Cimitero Inglese dedicato ai caduti britannici, a coloro che sono caduti nella lotta alla Liberazione, oppure il mausoleo dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale senza dimenticare il monumento alle vittime delle deportazioni nazifasciste. Tra i tanti troviamo gli architetti che hanno contribuito alla realizzazione del Cimitero di Staglieno, Carlo Barabino e Giovanni Battista Resasco che riposano nel Pantheon, alcuni degli scultori le cui opere sono visibili nel complesso, poeti e cantautori come Fabrizio De André, il Capitano Enrico Alberto D’Albertis, Gilberto e Rina Govi, attori dialettali molto amati e conosciuti a Genova, il politico Giuseppe Mazzini e la madre Maria Mazzini Drago, Alfredo Noack fotografo, Alfredo Podestà Sindaco di Genova. La lista è lunghissima, costellata di nomi altisonanti che hanno dato il contributo alla storia, alla cultura e a varie arti come la musica, la scultura, la poesia, la scrittura. Monica Gotta Photography

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TOMBA RIBAUDO Monica Gotta Photography

Così inizia il nostro primo “viaggio” nel Cimitero Monumentale di Staglieno, un luogo da vivere in silenzio e nel rispetto della sensibilità altrui, dei nostri avi, di personaggi famosi che dimorano qui nella loro seconda vita, quella spirituale. Quest’ultimi ne hanno aumentato la visibilità, hanno suscitato la curiosità dei turisti, degli storici, degli artisti e di tutti coloro che sono aperti a conoscere un mondo metafisico, suggestivo e assolutamente unico nel suo genere. Qualcuno potrebbe pensare che entrare in un cimitero sia un’esperienza tetra o possegga connotazioni macabre, insomma potrebbe passare un brivido lungo la schiena. Infatti, prima di entrare, questo pensiero è sorto a qualcuno di noi. Ma, appena entrati, la sensazione è stata completamente opposta!

IERI OGGI DOMANI sono un unico filo di quella trama che costituisce il tessuto della vita e il Cimitero di Staglieno unisce in sé questo concetto di spazio-tempo. Vedete il passato come eterno presente che possiede il dono dell’eternità, il futuro.

Vista la magnificenza del luogo, la percezione si è tramutata nel desiderio di vedere questo tessuto della vita vestito d’arte, di rappresentazioni angeliche, di dettagli raffinati e anche dall’emozione di leggere un’infinità di nomi che, se messi tutti insieme, immagini quasi di sentir chiacchierare amabilmente desiderosi di farci partecipi della loro storia di vita.

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Luca Berberis Photography

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CIMITERO DI STAGLIENO


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| CIMITERO DI STAGLIENO

Una nuova visione Addentrandoci nel cimitero abbiamo capito di essere in un’oasi di pace, ricca di panorami e bellezza, di storie d’umanità e di tesori d’arte. Ormai il cosiddetto necroturismo non è più considerato stravagante. L’interesse storico–artistico per i cimiteri ha avuto un forte incremento negli ultimi anni e, a conferma di questo movimento, è stato creato il primo “Atlante Cimiteri Significativi Italiani”, progetto digitale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e di SE.F.IT. – Servizi Funerari Pubblici Italiani. Le iniziative speciali di valorizzazione di ogni cimitero associato, vengono promosse sui social e sul portale europeo dell’ASCE - Association of Significant Cemeteries in Europe: www.significantcemeteries.org Si può anche scaricare la app OneMemoryTours – La Cultura senza Tempo.

Sara Morgia Photography

Il fiorire del turismo nei cimiteri ha dato vita anche ad altre iniziative come pièce teatrali, letture, cacce al tesoro e concerti, come la serata dedicata a Fabrizio De André proprio nel Cimitero Monumentale di Staglieno. Oltre a essere luoghi custodi di memorie, documentano anche i modi di vivere del passato, moda e abbigliamento, cultura e rapporti sociali. Lo vedremo passo passo nel nostro “viaggio” immergendoci in questo spazio dilatato dal silenzio, fuori dalla frenesia della città. Una delle cose sorprendenti che sono accadute durante questa giornata è stata l’affermazione di Fabrizia di essere curiosa di “vedere il cimitero attraverso gli occhi dei fotografi”. Raccontarlo e guidare le persone nella storia del luogo dà soddisfazione riconoscendo l’interesse dei turisti. Conoscere una nuova chiave di lettura di questo luogo attraverso “l’immagine” si è rivelata essere il passepartout per una nuova dimensione e scoprire ciò che potrebbe essere invisibile a coloro che non si immedesimano nella conoscenza attraverso il mirino della macchina fotografica. Giroinfoto Magazine nr. 51

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CIMITERO DI STAGLIENO

Sara Morgia Photography

Iniziamo la mattinata con le zone all’aperto per godere della luce del sole. Entriamo da Piazzale Resasco e ci dirigiamo verso il Porticato Montino risalente agli anni ’20. Spiccano i colori della volta, l’arancio e un accenno di giallo contro il bianco del marmo. I nicchioni del nuovo porticato furono acquistati in tempi brevi dalle famiglie della nuova borghesia mercantile e imprenditoriale genovese. Le decorazioni ripercorrono stili del passato ma testimoniano anche una nuova forma d’arte rivolta verso la modernità del secolo. In questo spazio è documentata la scultura ligure nella sua evoluzione durante le due guerre mondiali. Troviamo quindi diversi stili come il tardo liberty, il linguaggio stilizzato e geometrico del déco, alcune riprese del classicismo e realismo ottocentesco. A destra si vedono tombe di genere più austero e severo, a sinistra figure rappresentate in stile più moderno a volte struggente. Un esempio del tardo Déco è la Tomba Scorza scolpita da E. De Albertis nel 1931. Rappresenta tre figure dal carattere essenziale che richiamano le Tre Grazie del Canova che ritraevano le famose dee della mitologia greca, figlie di Zeus che diffondevano splendore, gioia e prosperità nel mondo umano.

Giroinfoto Magazine nr. 51

La statua centrale sembra librarsi in aria e, se si osserva la posizione dei piedi nudi, essi sembrano non toccare terra per poter reggere con delicatezza un fiore. Una rappresentazione che affascina in modo particolare è la statua della Tomba Gardella. Una donna voltata di schiena, inginocchiata, col capo leggermente chino, coperta da un velo drappeggiato che ne lascia intravedere le forme sensuali. Il drappo, i capelli e il corpo formano un’onda che l’occhio segue naturalmente, il tutto incorniciato in un ovale che riprende nuovamente la forma della donna nel suo velo. Camminando sotto il porticato non si può non rimanere affascinati dal susseguirsi di sculture presenti nella galleria. Ognuna di queste figure ha da raccontare qualcosa. Ali d’angelo, mani giunte, pose in preghiera, altre figure sembrano librarsi in aria come se non toccassero terra. Tanti sono i simboli che si notano, parole mistiche scolpite nel marmo, rappresentazioni e raffigurazioni che riportano alla mente concetti fondamentali.


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TOMBA GARDELLA Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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CIMITERO GRECO ORTODOSSO Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Lasciando il Porticato Montino passiamo davanti alla Cappella della Famiglia De Andrè dove riposa la memoria del cantautore genovese. In effetti le sue ceneri sono state sparse nel Mar Ligure per sua espressa volontà. Incontriamo l’acquedotto storico di Genova che attraversa il cimitero. Il ponte- sifone sul Veilino è la parte più imponente e meglio conservata e fu realizzato sulla base di un’idea degli stessi progettisti Carlo Barabino e G.B. Resasco. Continuiamo verso il Porticato Sant’Antonino. Concluso negli anni ‘50 si differenzia dagli altri per la sua grande luminosità ed ampiezza e per le tombe di stile più rigoroso. In questa galleria ricorre spesso il Cristo e le rappresentazioni sulle tombe sono molto lineari come ad esempio la Tomba Peschiera di Guido Galletti. Anche la Tomba Luigi Burlando – scultore Pietro Da Verona - presenta una scultura semplice nei tratti. Tuttavia questa figura dalla schiena inarcata trasmette in modo sublime l’abbandono del corpo all’aldilà ma anche un sentimento struggente.

TOMBA BURLANDO

Monica Gotta Photography

Al centro del porticato semicircolare si trova la tomba di Gilberto Govi caratterizzata dalle maschere della tragedia greca appoggiate su un sarcofago nero. L’attore commissionò il monumento a Guido Galletti solo 3 anni prima della sua morte. In questa galleria troviamo anche molto colore, diversi mosaici dai colori accesi come la Tomba Dellacasa realizzata dal Navone. Terminato il semicerchio della Galleria Sant’Antonino volgiamo verso il cimitero grecoortodosso situato a fianco dei campi del Veilino. Le tombe appartengono anche a russi, serbi e bulgari di religione ortodossa. È un piccolo giardino, pieno di colore e di natura, ben tenuto e molto interessante. Anche decisamente diverso da ciò che abbiamo visto finora. Dalle statue di marmo e bronzo passiamo ad un altro genere di cultura funeraria. Passiamo oltre concependo questa sosta come un’immersione in un’altra religione e realtà che, al momento, non ci è dato di approfondire. TOMBA PESCHIERA Giroinfoto Magazine nr. 51

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Iniziamo ora a salire verso il Boschetto, l’area romantica, con le tombe in mezzo al verde. Camminando scorgiamo dei panorami unici, una full immersion nel verde delle colline circostanti. La passeggiata in salita è lunga ma ricca di curiosità come alcune cripte avvolte dalla vegetazione. Arriviamo nel Boschetto attraverso questa zona ricca dal punto di vista paesaggistico. Ci dirigiamo verso il mausoleo di Giuseppe Mazzini che sembra scavato nella roccia. Adornato da due colonne doriche ha un carattere piuttosto austero.

Luca Barberis Photography

Le bandiere all’interno sono quelle che accompagnarono il feretro durante il funerale. Nella zona antistante l’ingresso è sepolta anche Maria Drago, madre di Giuseppe. All’esterno si trovano altre tombe dedicate ai gruppi repubblicani e mazziniani e anche a singoli personaggi come scrittori, poeti e premier. Poco distante, un’opera di Rivalta sulla Tomba Savi. La grazia dell’angelo che scrive sul marmo la data della morte del patriota è impareggiabile, come l’espressione assorta nel suo compito. In passato reggeva tra le dita della mano una penna, ora scomparsa. Poco dopo vediamo la sorridente statua eseguita per l’atleta Alfredo Gargiullo, velocista italiano morto prematuramente a 21 anni. Nella stessa zona impossibile non citare il busto di David Chiossone, scolpito da Lorenzo Orengo nel 1883 e l’obelisco di Michele Novaro scolpito da G.B. Cevasco nel 1888 a decorazione della Tomba di Michele Novaro, che musicò l’Inno d’Italia. Continua la discesa verso il porticato superiore e, da lontano, vediamo la Cappella Raggio, fatta costruire in stile gotico da Armando Raggio, finanziere e industriale genovese, per la moglie. E’ stata soprannominata Duomo di Milano per l’evidente somiglianza con la cattedrale milanese.

Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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CAPPELLA RAGGIO Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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TOMBA CELLA Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Nel porticato superiore di levante vediamo la Tomba Cella – “La Danza Macabra” – due figure che si intrecciano in una danza ben rappresentata dalla posizione delle due figure. Il colore scuro della statua accentua il pathos di questa danza così come i drappeggi che avvolgono le due figure. Nel porticato superiore di ponente troveremo alcune opere famose e molto interessanti, la Tomba Pienovi, la Tomba Oneto e la Tomba Raggio. La Tomba Pienovi che rappresenta la moglie che solleva il lenzuolo che copre il marito, come se volesse salutarlo per l’ultima volta e poi coprirne il volto. Da notare è la ricchezza di dettagli nell’abbigliamento e nella scenografia dell’opera scultorea.

TOMBA PIENOVI Stefano Zec Photography

Un’altra opera, scolpita da Giulio Monteverde nel 1882, è l’angelo della Tomba Oneto, forse una delle sculture più conosciute del Cimitero di Staglieno. L’angelo è solo, su uno sfondo severo, rappresenta il sentimento di turbamento verso l’incertezza della vita oltre la morte. Un sentire espresso in modo sempre più frequente verso la fine del secolo. Lo stesso realismo si trova nell’opera del Rivalta per la Tomba Raggio Anche qui l’ambientazione è molto curata, la famiglia viene rappresentata nella sua totalità, curati i dettagli degli arredi e dell’abbigliamento. Quest’opera però riesce anche a trasmettere i sentimenti dei convenuti in questo tragico momento.

TOMBA PIENOVI Monica GottaPhotography

TOMBA ONETO Sara Morgia Photography

TOMBA RAGGIO Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Monica Gotta Photography

Entriamo ora nel Pantheon lieti di poterne vedere gli interni. Nel 1840 con uno stanziamento di 200.000 Lire venne approvato il progetto della Cappella dei Suffragi, ossia del Pantheon. Furono necessari altri stanziamenti per la conclusione dell’opera che avvenne nel 1878. La pianta è circolare, coperta da una cupola con rosoni in stucco e lanternino in vetro e ferro. Le 16 colonne che sostengono il camminamento anulare sono nere in contrasto con il colore predominante della struttura, il bianco. Alzando lo sguardo notiamo il soffitto a cassettone con cornici di stucco. Il Padre Dominicano Vincenzo Marchese di Santa Maria di Casello, personaggio alquanto conosciuto nel panorama culturale e religioso genovese del XIX secolo, fu colui che studiò il programma iconografico del Pantheon. Al termine della sistemazione delle varie statue nelle nicchie del peristilio, nel 1879 stampò il programma iconografico. Non mancarono polemiche e controversie ad opera di molti scultori genovesi che desideravano porre le loro opere all’interno del tempio.

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Le statue che si possono ammirare nelle nicchie sono le seguenti: Immacolata – 1876 di Domenico Carli Adamo – 1878 di Lorenzo Orengo Eva – 1878 di Gianbattista Villa Mosè – 1876 di G.B. Tassara Ezechiele – 1878 di Emanuele Giacobbe Daniele – di Pietro Costa San Giovanni Evangelista – 1877 di Domenico Gallino San Michele – di Santo Varni, non datata ma realizzata tra il 1876 e il 1878 Le statue nelle nicchie non sono gli unici pezzi artistici presenti nel Pantheon. Ci sono bassorilievi in marmo e altorilievi in stucco. Alcuni dei protagonisti della realizzazione di queste opere sono nuovamente Giacobbe e Domenico Valle. Le statue di Giobbe e Geremia furono realizzate da Giuseppe Benetti e le allegorie della Speranza e della Carità eseguite da G.B. Cevasco.


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PANTHEON Sara Morgia Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Le statue di Giobbe e Geremia furono realizzate da Giuseppe Benetti e le allegorie della Speranza e della Carità eseguite da G.B. Cevasco. L’altare maggiore e la Statua del Redentore posti al centro del Pantheon furono al centro di diverse discussioni soprattutto per via di difficoltà finanziarie nella realizzazione di quest’impresa. Furono indetti concorsi per la creazione della statua in marmo bianco che doveva rappresentare il “Redentore che risorge”, aperti a scultori nati a Genova o in essa esercitanti da almeno 15 anni. Questi concorsi, per motivi vari, non ebbero effetti. Nel 1919 il Comune bandisce un nuovo concorso, anch’esso senza nessun effetto. Si arriva al 1922 con un nuovo concorso, nel 1923 arrivano a Genova 16 bozzetti tra cui quello di Francesco Messina, che sarà poi ritenuto idoneo all’unanimità. Nel giugno del 1926 la statua viene finalmente inaugurata. Scrive Franco Sborgi … “la struttura del Pantheon assume un ruolo fondamentale nel processo di simbolizzazione della memoria sociale della morte…la sua posizione sull’asse visivo proposto sin dall’ingresso ne evidenzia il ruolo di luogo emblematico della memoria pubblica…”.

Monica Gotta Photography

Questo tempio diventerà infatti luogo di sepoltura di insigni genovesi per conservare la memoria di personalità illustri della città, per questo detto anche famedio. Esistono infatti precise regole per poter essere sepolti nel Pantheon, anche se forse non è ancora molto chiaro quali criteri furono adottati in passato. Non sarà semplice decidere chi sarà portato al Pantheon. La scelta può riguardare personaggi già accolti in altre tombe, in Italia e all’estero, ma anche personaggi che raggiungeranno l’aldilà in futuro onorando la città con il loro valore. Entrando nella struttura le tombe seguono il moto circolare del Pantheon e si leggono nomi che si sono distinti nell’arte, nella letteratura, nelle scienze e nella politica. Dei 78 posti disponibili, ad oggi ci sono ancora molti spazi liberi in attesa di accogliere altri personaggi illustri della nostra città.

TOMBA APPIANI Monica Gotta Photography Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Per concludere questa giornata non ci resta che scendere verso il Porticato Inferiore, la parte più antica del Cimitero, inaugurata nel 1851. Qui troveremo la “Star” di Staglieno, Caterina Campodonico – La venditrice di noccioline (Porticato Inferiore di Ponente), il Nocchiero di Scanzi (Porticato Inferiore di Levante), la Tomba Appiani (Galleria Frontale a ponente) e la Tomba Ribaudo progettata da Onorato Toso (Galleria trasversale – arcate). Queste due opere scultoree sono diventate celebri grazie alle immagini del fotografo Bernard Pierre Wolff. La statua della Tomba Appiani è apparsa sull’album Closer, mentre l’angelo di Onorato Toso è stato scelto per il brano Love Will Tear Us Apart dei Joy Division. A seguito della morte di Ian Curtis, leader dei Joy Division, la moglie scelse come epitaffio la frase Love Will Tear Us Apart. Qui si trovano anche molti altri sepolcri interessanti, tra cui quelli di diversi benefattori, armatori e borghesi genovesi come anche altre testimonianze di arte scultorea di grande interesse. Non ci sono quindi mancate le curiosità! Entrare nei dettagli dell’arte del Cimitero di Staglieno richiederebbe ancora molti approfondimenti. Argomenti di sicuro interesse sono gli elementi simbolici come quelli introdotti dai cambiamenti sociali e culturali di una Genova in forte espansione industriale e commerciale, i dettagli curati dell’abbigliamento e della moda del tempo, senza dimenticare il simbolismo dei fiori di pietra. Dettagli che affascinano sicuramente l’occhio dei fotografi. VENDITRICE DI NOCCIOLINE Monica GottaPhotography

TOMBA RIBAUDO Sara Morgia Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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URBEX - LA VILLA DORATA

LA VILLA DORATA

La villa che vi presentiamo oggi è un gioiellino. È situata nel bel mezzo del centro abitato di un paesino in mezzo alle campagne dell’Italia settentrionale; trovarla è abbastanza semplice, entrarci molto meno in quanto sorvegliata dagli abitanti del paese. La casa si presenta su due piani, ed è ancora piena di ricordi.

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URBEX - LA VILLA DORATA

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URBEX - LA VILLA DORATA


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URBEX - LA VILLA DORATA

La stanza che ci lascia a bocca aperta è sicuramente il salotto principale in quanto finemente arredato e affrescato. Appena entriamo, l’atmosfera si fa intrigante in quanto scopriamo arredi e decorazioni di grande stile. Inoltre, la presenza di alcuni libri e diplomi ci fa capire che la casa era abitata da una famiglia non solo facoltosa ma anche colta; il che non è molto scontato per l’epoca. In soggiorno è affissa al muro la laurea in agraria del figlio e riporta la data del 1941: in piena Seconda guerra mondiale! Gli elementi a disposizione ci dicono che la famiglia N. era nota per la coltivazione e il commercio di cereali, principalmente riso e mais. Altri indizi ci dimostrano chiaramente che gli inquilini della villa erano molto credenti. Alcuni articoli di giornale citano il proprietario della villa come grande benefattore per la comunità e principale finanziatore dell’oratorio del paese. Partiamo ora con la visita… Il piano terra è composto da un ingresso, una stanza che probabilmente fungeva da ufficio in quanto piena di documenti contabili e fiscali, un salotto, una sala da pranzo, una cucina e un bagno.

L’arredamento è di chiaro stile Liberty, il che indica che la villa potrebbe essere stata costruita alla fine del 800, primi del 900. I mobili sono ancora in ottimo stato e formano due salottini distinti all’interno della stessa stanza: il primo in stile floreale marrone e l’altro di colore verde lime. L'affresco al soffitto rappresenta angeli danzanti su sfondo azzurro e dà al salone un aspetto imponente. Il pavimento è fatto di cementine floreali colorate in stile Liberty di ottimo gusto nonché di ottima fattura. Nella sala da pranzo a fianco, troviamo ancora tutte le stoviglie, porcellane, una vecchia tv e le foto di famiglia esposte. Sembra proprio che il tempo si sia fermato una quarantina di anni fa (infatti i documenti più recenti riportano la data del 1985). Le stanze accanto sembrano molto più recenti e potrebbero essere state ristrutturate in un secondo momento (cucina e bagno).

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Al piano di sopra, si susseguono una serie di camere da letto tutte diverse tra di loro. Ne abbiamo contate almeno sei. Presupponiamo non solo si trattasse di una famiglia numerosa ma, sicuramente, una parte delle stanze erano riservate al personale di servizio. Anche qui troviamo cementine Liberty di vario disegno per terra. Ogni stanza è arredata con mobili di legno di grande pregio e alcuni soffitti presentano cassettoni dipinti. Ad un certo punto, in mezzo al corridoio, tra due camere da letto, si aprono delle ante su una stanza stretta, lunga e molto buia…

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Dopo un po’ e con l’aiuto dei nostri faretti, scopriamo un altare bellissimo in fondo alla stanza. Sull’altare sono presenti statuette, foto di defunti e preghiere. Questa stanza è una vera sorpresa. Il secondo piano finisce con un’altra scalinata che ci permette di scendere al piano di sotto da un altro lato. Decidiamo di uscire, coscienti del fatto che il vero gioiello della casa non lo abbiamo ancora trovato! La parte interna del cortile ci permette di accedere ad altre stanze per cui ci addentriamo immediatamente sapendo che la stanza che stiamo cercando non può che essere lì.


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LA VILLA DORATA E in effetti, eccola! Ci troviamo di fronte ad uno spettacolo di una bellezza incredibile: si presenta come una sala comune, in mezzo vi è soltanto un cammino e, contro le pareti, poltroncine rosse che ricordano molto le poltroncine delle chiese, come se fosse una sala da preghiera. I colori dominanti delle pareti sono il blu e l’oro, il che la rende degna della stanza di un castello. La sua particolarità è il soffitto a cassettoni che presenta ornamenti dorati con all’interno affreschi di colore blu.

Infine, scopriamo la terza stanza che compone questa parte della villa ed è altrettanto sorprendente: si tratta di una sala di colore rossiccio, tutta affrescata con dipinti stupendi, sia sulle pareti che sul soffitto. Questa volta la stanza è completamente priva d’arredi.

Il colpo d’occhio è veramente fantastico. Rimaniamo estasiati davanti a tanta bellezza. Accanto a questa meraviglia si nasconde un’altra stanza che, come la prima, sembra ad uso comune; Dentro, troviamo altre poltroncine più semplici e un pianoforte!

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URBEX - LA VILLA DORATA

Questa villa ci lascia, come sempre accade, grandi interrogativi in testa: come mai tanto sfarzo nel bel mezzo di un paesino di campagna? Come mai la presenza di queste ultime stanze, di stile diverso tra di loro e leggermente tagliate fuori rispetto al resto della casa? La cosa che ci colpisce di più è che nessuno si sia interessato al recupero dei beni all’interno della casa (se non malintenzionati).

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Ci possiamo solo augurare che, prima o poi, qualche erede o acquisitore si faccia vivo con l’intenzione di riportare alla luce tanta bellezza. Noi possiamo solo constatare (per l’ennesima volta) che il nostro paese nasconde dei tesori incredibili in luoghi veramente improbabili ed è proprio questo il bello delle nostre esplorazioni…


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È LEGALE L’URBEX? CHIARIAMOLO IN 10 PUNTI

Tratto da www.ascosilasciti.com

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Lo Stato in cui si trova l’immobile. Inteso come la nazione in cui si trova. Ognuna con le sue lingue, le sue culture e soprattutto… le sue regole! Esiste un’enorme differenza di conseguenze legali se la stessa azione viene svolta in Lituania o in Italia. Aldilà delle leggi che possono tutelare e condannare, ricordiamo bene che in alcuni Stati, prima di uscire vincitori da una causa legale e le pubbliche scuse dell’accusa, si rischia di passare da un bel “servizio educativo” della polizia locale. Non sempre negli Stati più monarchici avrete la detenzione assicurata e in quelli più democratici, la certezza di farla franca. Non avendo tempo nè risorse sufficienti per affrontare la questione di ogni singola Nazione, ci concentreremo a sviscerare il, già complesso, codice del nostro Bel Paese.

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Accessi aperti. Mancanza di recinzione, porte spalancate o inesistenti, grosse aperture nei muri perimetrali, insomma tutti i varchi aperti sono “amici dell’urbex”. Tutto cambia se per accedere a un luogo abbandonato, proverete ad aprire porte chiuse o scavalcare muri (la questione cambierebbe anche per ogni metro di altezza dei perimetri…), il che costituisce violazione di domicilio privato. Crearsi entrate con forza o manomettendo recinzioni, è sufficiente invece perchè l’accusa diventi una frizzantissima “effrazione con scasso”. Giroinfoto Magazine nr. 51

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Lo stato in cui versa l’immobile, ma questa volta intesa come condizione. Finestre rotte, muri crepati, tetti squarciati, muffa e vegetazione incontrollata, porte spalancate, sono tutti segni di chiaro abbandono che potrebbero tutelare l’esploratore. L’attenuante di “immobile in chiaro stato di abbandono” non è da sottovalutare, per quanto non vi sia nulla di codificato. In un’alta percentuale dei casi può però assolvere l’esploratore da accuse di violazione di domicilio.

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Cartelli e avvertimenti. Controllare l’eventuale presenza di cartelli di monito non sarebbe troppo sbagliato (proprietà privata o divieto di accesso). La loro assenza o illeggibilità (magari pioggia e vento hanno fatto arrugginire il ferro dell’affisso o marcire il legno del manifesto) potrebbero comportare buoni sgravi di responsabilità. Insomma, un’ulteriore attenuante, che male non fa’…


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Non toccare nulla. Per chi non lo conoscesse, il comandamento dell’Urbex “prendi solo foto, lascia solo impronte” è un promemoria anche di tutela legale. I souvenir, fosse anche un sasso del muro di un manicomio abbandonato, non sono contemplati come legali.

Strumenti che portate con voi. Conosciamo tutti, o almeno immaginiamo, il rischio di entrare in un edificio abbandonato, potenzialmente abitato da malviventi. Purtroppo no…non basta questo pretesto per portarsi un machete, nemmeno con l’altruistico fine di accettare l’incolto prato della magione. Ma attenzione, anche con un bastone da trekking, o altri strumenti apparentemente innocui, potrebbero scattare l’aggravante di “arma bianca”. Nessuna arma da difesa, all’infuori del cavalletto o di un ramo trovato sul posto, si può….accettare!

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Avvisi e permessi. Torniamo al tema clou. Anche a costo di passare come noiosi genitori apprensivi, sconsigliamo sempre di esplorare questi posti. Se proprio doveste sentirne l’irrefrenabile impulso, avvisate le autorità competenti, nel caso di edifici comunali/statali, o i proprietari/ guardiani per ottenere il permesso ad entrare. Anche a costo di creare allarmismi. Oppure rivolgetevi ad alcune associazioni che operano tramite quest’ultimi. Diffidate dalle organizzazioni che si disinteressano della questione legale e vi fanno clandestinamente introdurre in pericolosi edifici abbandonati.

Anzi, sarebbe meglio prendere solo foto (nel senso di scattarle, ovviamente, non di rubare gli album di famiglia sul comò impolverato) e non lasciare alcuna impronta. Come mai? Udite-udite, per creare il giusto setting alle proprie foto, basta solo spostare gli oggetti e gli arredi, ed essere colti sul fatto, per una bella “accusa di tentato furto”.

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Non scappare e collaborare sempre con le autorità. Se avete seguito i consigli sopra citati, potete sentirvi tranquilli. Motivo per cui, mostratevi per quello che siete e avete fatto. E’ sempre buona norma collaborare enunciando le proprie intenzioni. Così facendo sarete fuori dai guai nel 90% dei casi.

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Rispettare tutti gli 8 punti. La somma delle probabilità di non passare guai seri, che viene fuori rispettando gli 8 punti, vi assolve al 99,9%, parlando dal punto di vista penale. Più complessa diviene la questione civile, che dipende maggiormente dalla volontà del proprietario di volervi eventualmente punire, denunciandovi.

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Incertezza. L’incertezza, purtroppo, rimane l’unica certezza. Tranquilli al 100% non lo sarete mai. Unico modo per sentirvi realmente tutelati è di ascoltare il consiglio enunciato al punto 7. Odiate da molti, poiché danno in pasto alcuni luoghi abbandonati al grande pubblico, queste Associazioni (solo quelle che operano tramite mezzi legali) sono in realtà le uniche a tutelare i luoghi abbandonati in tre modi: si rivolgono ai proprietari ottenendo i permessi di visita; danno visibilità ad alcuni posti altrimenti destinati a marcire nell’indifferenza; scelgono come meta per i loro viaggi solitamente luoghi già devastati dal tempo e dai vandali, per non esporre al turismo di massa gli edifici ancora intatti, accelerandone il declino. Intanto, l’unica certezza è che, come scriveva il romantico François-René de Chateaubriand, tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Giroinfoto Magazine nr. 51


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GIULIANOVA

Giulianova Un viaggio tra arte, storia ed attrazioni turistiche di una cittadina del litorale abruzzese

A cura di Andrea Ciarrocchi

Giulianova è una cittadina del litorale abruzzese, votata al turismo e dotata di una lunga tradizione storica che affonda le proprie radici nell’era neolitica. Datano infatti a tale epoca i primi reperti di una presenza umana nell’area. ll fiume Tordino ed il mare Adriatico hanno contribuito alla prosperità della cittadina che oggi si estende dal litorale sino al territorio collinare limitrofo.

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GIULIANOVA

Andrea Ciarrocchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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GIULIANOVA

Giulianova arte, cultura e attrazioni Giroinfoto Magazine nr. 51


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GIULIANOVA

In epoca romana era già un centro attivo, sede di un porto a funzione commerciale e militare. L’insediamento urbano aveva il nome di Castrum Novum e durante la seconda guerra punica rappresentò una delle basi di partenza della flotta navale. La storia della città si riflette nella sua bellezza composita ed articolata che spazia, nei suoi elementi di rilievo, dalle antiche torri di fortificazione agli edifici in stile Liberty risalenti ai primi del Novecento.

L'era delle fortificazioni

Gli antichi romani istituirono il primo centro urbano a pochi chilometri dall’attuale e gli diedero il nome di Castrum Novum, nel 290 a.C. circa. La toponomastica induce a pensare ad un aggregato urbano dotato di un sistema difensivo, costituito da un castello o quantomeno da una cinta muraria, di cui tuttavia non rimangono tracce.

L’attività mercantile era sostenuta dalla presenza del porto e del fiume Tordino, dalla vicinanza della via Cecilia, ramo della Salaria. Successivamente la città fu distrutta nel corso delle incursioni barbariche. Nel V e VI secolo l’antica Giulianova subì una contrazione demografica ma mantenne un ruolo commerciale e difensivo. A tale epoca risale la chiesa di San Flaviano, eretta in prima istanza quale tempio pagano fuori le mura. Nell’Alto Medioevo Castrum Novum mutò il proprio nome in Castrum Divi Flaviani (o Castel San Flaviano), in onore del patriarca di Costantinopoli San Flaviano.

Una leggenda narra infatti che le spoglie del martire fossero giunte fortunosamente alle coste di Giulianova nel corso di una tempesta, intorno al V secolo. Così come appare oggi, il duomo manifesta l’influenza di diversi stili architettonici, in particolare toscano ed umbro. L’edificio presenta un impianto militaresco, che si ravvisa nelle mura imponenti, nell’aspetto squadrato e in taluni particolari stilistici quali le lesene situate agli angoli con funzione di rinforzo strutturale. Il cammino di ronda, infine, contribuisce a plasmare una costruzione con aspetto massiccio e di fortificazione difensiva. Alla sommità dell’edificio si diparte una cupola, ricoperta di embrici di tonalità rossa, che poggia su una base ottagonale, forma tipica dei santuari mariani. Gli interni sono stati completamente rivisti nel corso del Novecento ed ornati con opere contemporanee.

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GIULIANOVA

CHIESA SAN FLAVIANO Andrea Ciarrocchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Durante il Medioevo Giulianova fu un centro culturalmente vivace e commercialmente sviluppato, dotato di un centro di ristoro per i pellegrini che ne animavano i mercati, sito nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria a mare. Tale chiesa, risalente al X-XI secolo, fu un punto di riferimento spirituale per i cristiani diretti in Terra Santa e fu costruita in laterizio, secondo lo stile romanico. Ha subito svariate modifiche nel corso della storia, la più importante nel XIII secolo volta a modificarne la facciata. Fu pesantemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale. Il portale d’ingresso raffigura animali ed allegorie ed è opera di Raimondo di Poidio, che contribuì anche alla basilica di Santa Maria Assunta di Atri, sempre in provincia di Teramo. Giulianova fu governata dagli Ostrogoti, poi passò sotto l’egida del Ducato di Spoleto e del Regno di Napoli. Gli Acquaviva ne amministrarono le sorti fino al 1460, anno in cui scoppió la battaglia del Tordino fra Aragonesi e Angioini, che si concluse con la distruzione dell’antico centro abitato.

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Il rinascimento e l'età moderna Furono gli Acquaviva ad avviare la ricostruzione della cittadina, un decennio dopo, su un’altura a poca distanza dai ruderi dell’antico centro. Il nuovo nucleo abitativo prese il nome Giulia nova dal duca d’Acquaviva Giulio Antonio, uomo di cultura e sensibilità artistica. Il progetto si basava su criteri di razionalità ed armonia tipici dell’epoca. La paternità del progetto non è ancora chiara, sebbene studi recenti l’attribuiscano allo stesso architetto che realizzò la pianta urbanistica di Pienza, in provincia di Siena. Tale centro abitato si è conservato solo parzialmente sino all’età contemporanea. Sono tuttora visibili i resti della cinta muraria, in particolare alcuni dei torrioni difensivi. Il più grande di essi, il torrione “la rocca”, costituiva il rifugio personale del duca Giulio Antonio ed è oggi adibito a museo archeologico. All’epoca della fondazione della città Giulia corrisponde anche l’edificazione del santuario della Madonna dello Splendore, dedicato al culto della vergine Maria che, secondo la tradizione, apparve ad un contadino assisa su di un ulivo, nell’area su cui si erge il complesso monumentale. Ampliato e modificato nel corso dei secoli ed in particolare nel Ventennio fascista, è attualmente composto da un edificio di culto dell’età barocca e da un convento di frati Cappuccini.

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TORRIONE LA ROCCA Andrea Ciarrocchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Nel corso del XVI secolo e nell’epoca napoleonica subì saccheggi da parte rispettivamente dei Lanzichenecchi e dei Francesi. Dopo l’unità d’Italia, Vittorio Emanuele II vi si recò in visita ed a tale evento è legata l’erezione della statua in suo onore, opera di Pagliaccetti. Il monumento è situato in piazza della Libertà e si affaccia sul belvedere, una splendida terrazza da cui è possibile ammirare uno scorcio del litorale e del porto. Fu concepito per razionalizzare lo spazio che dalla piazza centrale dà sulla scarpata ed il lido sottostante. La salita del monte Grappa costituisce un passaggio pedonale tra l’area litorale e la città alta. Ospitava in principio una lapide dedicata alla fondazione della città durante il Rinascimento, andata distrutta. La scalinata, che conserva ancora oggi tutto il suo fascino, è stata restaurata e risistemata negli anni novanta. A cornice della spiaggia, il lungomare monumentale fu ideato da Giuseppe Meo e traeva ispirazione dal viale della vittoria di Bengasi. Sempre nei primi decenni del Novecento sorsero alcune ville in stile Liberty e il palazzo Kursaal, un tempo albergo di lusso, oggi impiegato quale centro congressi. Esso presenta elementi tipici del neoclassico, misto ad ornamenti in stile Liberty. Villa Castelli Montano, sita sul viale dello Splendore, si articola su due piani asimmetrici ed è dotata di una torretta ed ampie vetrate, che si alternano a decorazioni floreali.

Andrea Ciarrocchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Oltre alle attrazioni culturali, Giulianova offre un sito balneare molto frequentato ed attivo, anche grazie alla Bandiera Blu spesso conferitale negli ultimi venti anni. La cittadina offre dunque un ampio ventaglio di attrazioni in grado di soddisfare le esigenze di tutti i visitatori.

Andrea Ciarrocchi

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GIULIANOVA

Andrea Ciarrocchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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SEATTLE - PIKE PLACE MARKET

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2019 All American Report EDITION

S E AT T L E Con ancora impressi nella mente i magnifici contrasti tra il blu dell’oceano e il bianco delle coste dell’Oregon, approdiamo nella futuristica Seattle.

Come ci ricorda il suo nome, per almeno 4000 anni prima dell’arrivo dei primi coloni europei permanenti, l’area è stata abitata dai Nativi americani: infatti, Seattle è l’anglicizzazione del nome Sealth, il capo della tribù locale Duwamish. Tra i vari soprannomi della città ricordiamo invece: “Gateway to Alaska”, “Rain city” e “Jet City” (per via del fatto che la compagnia Boeing ha stabilito qui dei centri produttivi).

Boni

Washington State

A cura di MARIANGELA

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Band of Giroinfoto Expedition Giroinfoto Magazine nr. 51

Photography MARIANGELA Boni e GIANCARLO Nitti


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Tuttavia quello ufficiale è “Emerald City”, per via delle aree verdi che circondano il territorio urbano, nato a seguito di un concorso negli anni ’80. Seattle è nota per lo Space Needle, la costruzione futuristica eretta nel 1962 in occasione della World’s Fair Expo, che rende così caratteristico il suo skyline. “Emerald City” è rinomata anche per la sua vivacità musicale. Ha dato i natali al musicista rock Jimi Hendrix, al genere rock alternativo grunge dei gruppi Nirvana e Pearl Jam, solo per citarne alcuni, ed è sempre qui che importanti musicisti jazz come Ray Charles e Quincy Jones hanno iniziato la loro carriera. Gli amanti della tecnologia sapranno che è a Seattle che si sono affermati i colossi Microsoft e Amazon. Altri senz’altro la conosceranno perché è stata la location di famose serie TV come Twin Peaks e Grey’s Anatomy.

SPACE NEEDLE Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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SEATTLE SKYLINE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Quello che potrebbe però sorprendervi, è scoprire che una delle maggiori attrazioni turistiche è il

Pike Place Market:

con ben 10 milioni di visitatori l’anno! Le sue origini risalgono all’anno 1907 quando una dozzina di agricoltori con i loro carretti trainati da cavalli giunse in Pike Street per vendere i propri prodotti direttamente ai consumatori. L’intento era quello di contrastare i sovraprezzi praticati dai grossisti. Di certo da allora ne è stata fatta di strada: oggi Pike Place Market si estende per un’area di 36.000 mq, si snoda in ben 24 edifici, si può mangiare in 70 ristoranti ed espongono 85 agricoltori e 225 artisti locali. I banchi su Pike Place, lato strada, sono riservati ai produttori locali mentre quelli più interni offrono prodotti agricoli da tutto il mondo. All’interno del mercato si può trovare di tutto: dal pesce alla carne, dal pane ai fiori, dall’abbigliamento ai prodotti artigianali, dagli articoli per la casa ai manufatti dei Nativi d’America. Mariangela Boni Photography

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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Mariangela Boni Photography Una famosa azienda ha mosso i suoi primi passi proprio a Pike Place Market: Starbucks, fondata nel 1971. A onor del vero il punto vendita che troviamo oggi al 1912 di Pike Place è tecnicamente il secondo punto vendita, in origine, dal 1971 al 1976 si trovava in Western Avenue. Tutto qui è rimasto immutato: dall’arredo al logo che campeggia sulle vetrine. Il logo ha lo sfondo marrone anziché verde e la sua sirena a due code ispirata ad una xilografia norrena del XVI secolo è meno stilizzata di quella di oggi. Girovagando potrete imbattervi nell’Athenian Seafood Restaurant and bar dove una targa rossa esposta ricorda che è qui dove Jay (Rob Reiner) cerca di aggiornare un arrugginito Sam (Tom Hanks) su come comportarsi durante un appuntamento romantico in una scena di Insonnia d’amore (titolo originale Sleepless in Seattle).

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Nel film Singles si possono riconoscere invece gli interni de The Virginian Inn, il più antico edificio del quartiere, del 1903, dove si possono degustare le cozze fritte.

Tuttavia, uno degli spettacoli più celebri è all’interno del mercato: la pescheria acrobatica. Quando un cliente acquista del pesce, l’inserviente letteralmente lo lancia al collega per la pesa e la vendita. Una pratica nata per accelerare e rendere meno stancanti tali operazioni e che oggi si è tramutata in un vero e proprio show. L’ultima star del luogo di cui vi vogliamo parlare è Rachel, un enorme salvadanaio in bronzo a forma di maialino: i soldi raccolti vengono utilizzati dalla Market Foundation per finanziare i servizi sociali del mercato. Questa fondazione sovvenziona la Pike Market Medical Clinic, il Pike Market Senior Center, la Downtown Food Bank, la Pike Market Childcare and Preschool (tutti all'interno del mercato), nonché alloggi all’interno e vicino al mercato con affitti agevolati per persone a basso reddito. La Pike Market Medical Clinic fornisce assistenza primaria e servizi ausiliari a 3.600 pazienti. La maggior parte di questi sono anziani, sieropositivi o poveri. Circa 900 anziani a basso reddito si rivolgono al Market Senior Center. I servizi spaziano dai pasti caldi, all’aiuto nella ricerca di alloggi a lezioni su varie materie dalla salute alla geografia, dall'arte all’informatica.

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Mariangela Boni Photography

Prestate attenzione anche alle note rosse o blu dipinte sui marciapiedi: indicano le aree dove si possono esibire degli artisti per intrattenere gli avventori. Il numero all’interno della nota precisa quanti artisti possono esibirsi in quello spazio.


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Mariangela Boni Photography

Giancarlo Nitti Photography

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La Downtown Food Bank fornisce generi alimentari a circa 1.000 persone a settimana. Oltre ai suoi aspetti educativi, la Pike Market Childcare and Preschool offre ai bambini colazione, pranzo e merenda e ha un professionista a tempo pieno che offre supporto alle famiglie. Non un semplice mercato dunque, il Pike Place Market è un bell’esempio di circuito virtuoso: un luogo dove puoi rifocillare il corpo e l’anima.

Mariangela Boni Photography

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WORKING GROUP 2019

BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project

PIEMONT

ITALIA

E

L OMBARDI

A

LAZIO

ORINO ALL AMERICAN

REPORT

Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 51

LIGURIA

STORIES

GIROINFOTO MAGAZINE


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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.

Impara Condividi Divertiti Pubblica

CHI PUÒ PARTECIPARE

Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale.

Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.

PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.

SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto si trova a Torino con sezioni a Genova, Milano e Roma. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.

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MONDOVÌ - LE MONGOLFIERE

32° RADUNO AEROSTATICO INTERNAZIONALE

EPIFANIA

A cura di Remo Turello

In collaborazione con

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Aereoclub Mondovì

Fotografie Adriana Oberto Annamaria Faccini Barbara Lamboley Claudia Lo Stimolo Davide Giovinazzo Debora Branda Domenico Gervasi Floriana Speranza Giancarlo Nitti Giulia Migliore Giuliano Guerrisi Giulio Pascali Luca Barberis Maria Grazia Castiglione Massimo Tabasso Monica Gotta Monica Pastore Remo Turello Samuele Silva Sara Morgia Stefano Zec


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MONDOVÌ - LE MONGOLFIERE

A d ri ana O ber

t o P h o to gr a ph y

il 4,5 e 6

gennaio scorsi si è tenuto a Mondovì, in provincia di Cuneo, il 32° raduno aerostatico internazionale dell'Epifania. Per due volte al giorno, alle 9.30 e alle 14.30, trenta mongolfiere hanno preso il volo partendo dall'area verde del parco Europa riempiendo il cielo di colori e forme particolari. Oltre ai palloni dalla classica forma che siamo abituati a vedere ed immaginare, quest'anno erano presenti anche quattro “forme speciali”: “Adelaide” il koala

proveniente dal Regno Unito così come “Tall Steve”, il pinguino la cui forma supera i 35 metri d’altezza; “Van Gogh”, mongolfiera guidata da un equipaggio olandese; infine, “Rhino”, dal Belgio, il rinoceronte decorato con la frase SAVE ME per sensibilizzare gli spettatori sulla specie a rischio di estinzione. L’idea di un primo raduno di mongolfiere in Italia fu di Giovanni Aimo, un monregalese, pilota di aerei nonché fondatore del primo Aeroclub d’Italia dedicato al volo aerostatico. Giroinfoto Magazine nr. 51


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MONDOVÌ - LE MONGOLFIERE

Barbara Lamboley Photography

Annamaria Faccini Photography

Stefano Zec Photography

Floriana Speranza Photography

Luca Barberis Photography Sara Morgia Photography

I

n realtà il raduno dell'Epifania nacque come “volo di Capodanno” nel 1983. In quell'occasione si riunirono tre piloti che volevano portare anche in Italia un raduno come quelli già presenti in altre parti d'Europa. Scelsero quel giorno perché il freddo favorisce il volo e poi desideravano che quello fosse il primo raduno del nuovo anno. Optarono per la città di Mondovì perché si trova in una posizione molto adatta al volo delle mongolfiere: le montagne alpine che le fanno da corona la proteggono dai venti forti pur essendo presenti correnti più tenue che permettono di manovrare i palloni aerostatici.

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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Debora Branda Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Con il passare degli anni il numero di piloti e di mongolfiere aumentò sempre di più, ma la data iniziò ad essere scomoda, soprattutto per gli equipaggi che dovevano riprendersi dai festeggiamenti della notte precedente e per quelli che arrivavano da più lontano. Per questo motivo nel 1989 si decise di spostare la data ed organizzare il raduno il giorno dell'Epifania.

Maria Grazia Castiglione Photography

Samuele Silva Photography

Remo Turello Photography

Giuliano Guerrisi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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MONDOVÌ - LE MONGOLFIERE

Da quegli anni la manifestazione ha continuato a crescere e sono stati aggiunti eventi paralleli, come il “Night Glow”. Come quest’anno, nella sera del 4 gennaio, le mongolfiere, ancorate a terra, sono state gonfiate al buio e illuminate dalle fiamme dei bruciatori, in un suggestivo gioco di luci a tempo di musica. Sono state inoltre organizzate interessanti visite guidate all'interno dell'area di decollo che hanno permesso di vedere da vicino tutte le fasi precedenti la partenza dei velivoli e insieme di scoprire dettagli e curiosità sulla storia della manifestazione. Grazie alla disponibilità dell'Aeroclub di Mondovì, abbiamo avuto l'opportunità di entrare nel campo di decollo e vedere da vicino i palloni aereostatici e farci spiegare le dinamiche di questa avio-pratica. La struttura del pallone, che serve a contenere migliaia di metri cubi di aria calda per permettere il volo, è formata da tre parti. L'aria all'interno può raggiungere temperature di 110120°C, per cui, soprattutto la parte più alta, deve essere costituita da un tessuto molto resistente sia agli strappi che al calore ed è costruita con nylon ad alta resistenza unito a poliuretano. Questa parte è anche quella che permette alla mongolfiera di abbassarsi, infatti è collegata al resto della struttura tramite uno strato di velcro, culminante in una valvola “paracadute” che può essere aperta per far fuoriuscire parte dell'aria calda tramite un sistema di funi che giungono alla navicella.

Giulio Pascali Photography

Claudia Lo Stimolo Photography

Giulia Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Monica Gotta Photography Monica Pastore Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Davide Giovinazzo Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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La parte centrale è formata anch'essa da un tessuto di nylon ad alta resistenza con una fibra a sezione circolare.

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Domenico Gervasi Photography

L'ultima parte, quella più vicina al bruciatore, è costituita da un tessuto ignifugo, lo stesso utilizzato per le tute dei piloti di formula uno. L'insieme di queste parti pesa solamente 80/100 kg ma può sorreggere diverse tonnellate di peso. Questi tessuti devono essere sottoposti periodicamente a controlli e revisioni e dopo 600 ore di volo devono essere sostituiti completamente in quanto non più utilizzabili. La parte sottostante al pallone, la navicella, è invece formata da materiali più “classici”: la struttura è in vimini, materiale leggero e al tempo stesso resistente. All'interno è contenuto il bruciatore che permette di scaldare l'aria per il volo. Il combustibile utilizzato è gas propano mantenuto allo stato liquido fino all'imbocco del bruciatore per garantire una maggiore resa. In fase di gonfiaggio l’involucro è riempito da aria soffiata da ventilatori a cui viene poco alla volta aggiunta aria calda generata dal bruciatore. All’esterno le mongolfiere riportano una “targa” che le identifica, precedute dalla sigla della nazione per indicarne la provenienza. E poi una grande scritta del proprio sponsor; la mongolfiera è considerata tra i mezzi pubblicitari più efficaci perché chiunque alza gli occhi al cielo per osservarle volare.

Annamaria Faccini Photography

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Alcuni piloti alla partenza si dotano di un palloncino per valutare le correnti nelle fasi di decollo e nella prima altezza. Per condurre una mongolfiera, il pilota deve conseguire un brevetto con lo studio di cinque materie e fare pratica tramite 16 ore di volo in accompagnamento. Tuttavia il pilota non è mai solo, c’è un vero e proprio team che lo supporta in ogni fase: dal trasporto alla preparazione al gonfiaggio, dal decollo al recupero della mongolfiera e del suo equipaggio là dov’è atterrata. Infatti, le correnti e le diverse situazioni metereologiche non sempre rendono possibile il rientro al punto di partenza.

La tre giorni del raduno, organizzato dall’Aeroclub mongolfiere Mondovì, ha così colorato il cielo azzurro e terso della città e della campagna circostante a cui le Alpi Marittime e Cozie hanno fatto da regale cornice. La presenza di pubblico giunto dalla provincia “granda”, dalla vicina Liguria, dalla Francia e un po’ da tutta Italia ha reso ancora più internazionale una manifestazione tanto storica quanto ormai prestigiosa.

Per ogni mongolfiera che si alza nel cielo deve esserci un piano di volo. Anch’essa, come ogni velivolo, è soggetta ad un controllore di volo. Le 30 mongolfiere che hanno dato vita al raduno di quest’anno avevano, al decollo mattutino, un obiettivo comune. Dovevano cercare di raggiungere uno dei due punti della città, i giardini del Belvedere nel cuore di Mondovì alta o un punto nella zona lungo il torrente Ellero, contraddistinti da una grossa croce a terra e, in volo, far cadere un sacchetto di riso con la targa della mongolfiera. Vinceva questa competizione, detta di “precisione”, chi più si avvicinava al centro del bersaglio. Tuttavia, In Italia si organizzano solo raduni a scopo amatoriale mentre in alcuni paesi all’estero esistono invece vere e proprie forme di gare sportive.

Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

Adriana Oberto Photography


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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 51

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Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Cinzia Marchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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VIAGGIO ATTRAVERSO DESERTI E MONTAGNE A cura di Cinzia Marchi

L’Oman, terra di deserti, deserti piatti, grandi e piccole dune; montagne di roccia grigia e ocra dove la vegetazione è pressoché inesistente, canyon e la ricerca di qualche Wadi od oasi per potersi rinfrescare. Le temperature già alte durante il giorno diventano altissime con un buon tasso di umidità. Camminare può diventare difficoltoso viste le temperature e per questo si consiglia il periodo invernale, quando il clima dovrebbe essere più mite. Dico dovrebbe perché ottobre è stato ancora molto caldo. Praticamente si vive con l'aria condizionata 24 ore su 24 e con la bottiglia d'acqua sempre a portata di mano. Vi chiederete "allora perché andare?" e di primo acchito potrei rispondere "bella domanda!" ma poi ci penso e, certo, sono stati sedici caldi e sudatissimi giorni ma, tanto per cominciare, è uno dei Paesi più sicuri del Medio Oriente, dove noi donne possiamo viaggiare senza avere il capo coperto, è un Paese ancora poco conosciuto al turismo di massa, la popolazione è cordiale e i paesaggi sono mozzafiato.

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Sultanato dell'Oman

Viaggio attraverso i deserti e le montagne. Appena atterrati a Muscat l'impatto è stato forte: erano le 19:00 e c’erano 40 gradi, con una percezione persino maggiore vista la forte umidità e l’aria rovente ci scendeva nei polmoni. Saliamo subito su un taxi e andiamo in albergo. Consiglio di trascorrere almeno un paio di giorni a Muscat e visitarla prima di partire con un 4x4 alla scoperta di questa terra incredibile. A Muscat non perdetevi la visita alla Grande Moschea del Sultano Qaboos, completamente ricoperta da marmi bianchi all'esterno con una grande cupola d'oro che al sole risplende. Resterete impressionati dalla pulizia quasi maniacale dei pavimenti all'esterno.

Cinzia Marchi Photography

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All'interno troverete un grande lampadario di cristalli Swarovski di 10 tonnellate e un magnifico tappeto in seta che è stato intrecciato da 600 donne iraniane in un unico pezzo di 4.200 metri quadri. Date anche un'occhiata ai suk, al porto della città che si affaccia sul golfo Persico e ai forti portoghesi costruiti in cima alle scogliere. È una città in perenne sviluppo come il resto dell'Oman. Dopo due giorni a Muscat iniziamo ad acclimatarci ma non si smette di sudare, cominciamo ad abituarci ai grandi sbalzi di temperatura tra interni ed esterni e non vediamo l'ora di immergerci in questa terra dove la sabbia domina.


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Muscat

Cinzia Marchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Sultanato dell'Oman

Wadi e la strada per Salalah. Per me il viaggio vero e proprio è iniziato una volta lasciata Muscat. Davanti a noi un paesaggio desertico: poche dune, sabbia e sassi, dromedari e capre nubiane. Ci dirigiamo verso Sur famosa nel Golfo Persico per la costruzione di navi in legno, i dau, le stesse imbarcazioni che venivano usate due secoli fa per il commercio. Da qui prendiamo la strada per il Wadi Shab, uno dei più bei Wadi omani. Per raggiungere il cuore di questo canyon bisogna camminare per circa un'ora. Consiglio di non farlo nelle ore più calde, ve lo dico visto che ho fatto l'errore di partire alle 11 di mattina sotto il sole cocente. Portatevi acqua a sufficienza e snack: è facile avere un calo di zuccheri. La partenza di questo canyon è purtroppo rovinata dall'autostrada che passa accanto; giratele le spalle e immergetevi con lo sguardo verso il wadi. Per iniziare il tragitto bisogna prima attraversare il fiume e per farlo ci sono delle barchette a pagamento che fanno la spola da una riva all'altra. Arrivati sull'altra sponda si inizia il primo tratto, il più semplice. Qui si vedono delle piccole coltivazioni grazie alla presenza dell'acqua: una delle principali colture è il foraggio per gli animali, tagliato ancora a mano. Per attraversare questa piana fatta di sabbia e ciottoli

è importante indossare delle scarpe da trekking e portare con voi dei sandali o scarpette da roccia da indossare nelle pozze. Infatti, andando avanti, la strada cambia e si inizia a salire in mezzo a rocce e sassi (ho visto una guida del posto farla a piedi nudi, ve lo sconsiglio). La salita in sé non è impegnativa ma le temperature elevate la rendono difficoltosa. Il paesaggio che si gode da lassù ripaga la fatica. Salendo in mezzo alle rocce si trovano delle pozze, ed intorno a queste una vegetazione di un verde brillante che fa da contrasto. Queste pozze sono popolate da piccoli pesci che vi ripuliscono dalla pelle morta e ci sono una miriade di libellule di tanti colori diversi: blu, rosse, gialle, arancioni, verdi e turchesi e di tutte le grandezze, vi consiglio di portare un'ottica macro se siete appassionati di fotografia. Dopo questo tratto in salita il sentiero si allarga nuovamente e costeggiamo un Falaj, il sistema di irrigazione omanita. Camminando per un po’ di metri lungo il Falaj si raggiunge una serie di cascatelle e alla fine la piscina principale del Wadi Shab. Qui dovete lasciare le vostre cose. Se potete, portate con voi una borsa impermeabile, altrimenti o vi fidate o dovete fare a turno.

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La prima piscina si attraversa camminando ad eccezione di un piccolo tratto che va fatto a nuoto perché l’acqua è più profonda. Dopodiché vi è un tratto a piedi su sassi. Bisogna prestare attenzione perché le rocce sono molto scivolose e le scarpette da roccia vi torneranno utili (vi sconsiglio di procedere a piedi nudi, io l’ho provato e vi garantisco che è piuttosto impegnativo e doloroso). Dopo questo tratto si arriva ad un'altra piscina naturale; qui l'acqua è più profonda e bisogna quindi attraversarla a nuoto. Poi di nuovo un altro tratto su rocce e finalmente si raggiunge la terza piscina dove, a nuoto, si cerca un tunnel che si apre nella roccia. Il tunnel non è molto largo ma ci si passa e sbocca in una grotta in cui scende una cascatella. Qui l'acqua è di un turchese incredibile: faticoso ma ne vale la pena!

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Quindi si riparte e si passa la notte nella riserva delle tartarughe di Ras al Jinz. Se prenotate la camera nella riserva avrete la corsia preferenziale per la visita guidata sia notturna che mattutina sulla spiaggia alla ricerca delle tartarughe verdi che vengono a deporre le uova. Per essere sicuri di vederle il periodo migliore è da giugno a settembre: circa 30.000 tartarughe depongono le proprie uova. Va comunque un po‘ a fortuna: molti dicono che il periodo ideale sia ad ottobre ma non è vero. Noi siamo stati fortunati, ne abbiamo viste quattro il secondo giorno ma la sera prima nessuna. Lasciata la riserva ci dirigiamo verso il deserto di Wahiba sands, più comunemente chiamato Sharqiya sands. Abbiamo trascorso la notte in un campo tendato beduino. In questa zona vi è un’ampia scelta, noi abbiamo optato per uno piccolo. Meglio pagare in più per farsi venire a prendere dato che raggiungere i campi non è facile: qui infatti navigatori e GPS non funzionano, come purtroppo in gran parte dell'Oman e specialmente nelle zone poco o per nulla popolate. È molto facile perdersi e vi assicuro che nel deserto i riferimenti non esistono. È un continuo cambiare ed in più ricordarsi di una duna piuttosto che di un'altra è praticamente impossibile;

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molta gente si perde e non sempre finisce bene. I campi beduini sono ben attrezzati. Nonostante siano nel nulla hanno un piccolo bagno con il cielo come soffitto e un'ampia tenda con un comodo letto, non è avventuroso ma se proseguirete nel viaggio vi rifarete nel Quarto vuoto, Empty Quarter desert. Noi non ci siamo fatti mancare nulla, siamo stati accolti da una bella tempesta di sabbia. Intorno a noi era tutto giallo e polveroso e paurosamente caldo. Arrivati al campo si è scatenato un bel temporale con poca acqua ma tanti fulmini. È stato spaventoso perché ci si sente in balia degli elementi e nel contempo magnifico: il temporale nel deserto è magico!

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Nei campi di questa zona solitamente si è accolti con i datteri (buonissimi) e caffè omani, un caffè molto ma molto lungo e leggermente speziato. Alla sera viene servita una cena omanita e al mattino un'abbondante colazione. In un campo così piccolo, il silenzio la fa da padrone. I beduini sono molto ospitali e vi viziano pure, l'unico momento di relax in questo viaggio. Il mattino dopo si riparte e si inizia la parte più faticosa del viaggio verso Salalah con una tappa serale a Dumq, tappa pressoché obbligatoria visto che dovremo percorrere circa 1100Km lungo la costa. Qui attrezzatevi bene con acqua e cibo e fate sempre il pieno di benzina. La prima parte del viaggio è più facile perché si incontrano dei paesi, la seconda tappa è più impegnativa, specialmente per fare il pieno, si susseguono chilometri e chilometri di nulla. Vi starete chiedendo: ma cosa c'è di bello da vedere? In effetti non c'è nulla: deserto piatto e tanto caldo. Qua e là compaiono qualche dromedario e le capre. Queste ultime sono proprio incredibili; le vedrete in gruppo alla ricerca di qualsiasi cosa da mangiare o scappare via per due gocce d'acqua o dritte su due zampe per mangiare dai rami degli alberi. Non lasciate mai l'auto parcheggiata sotto un albero con loro nelle vicinanze o ve le ritroverete sul cofano o sul tetto.

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È meraviglioso Il contrasto che si crea tra il colore bianco grigio della terra e il color turchese brillante dell’oceano. In mezzo al nulla si scorgono alcune torri delle mosche e pali dell'elettricità: sono dei villaggi di pescatori. Vi troverete poi a costeggiare le fantastiche dune bianche (Sugar sands) di Al Khaluf, dove cielo e oceano si confondono in un'unica linea e il colore incredibile di queste dune non può che lasciarvi a bocca aperta. Verrete ripagati della parte più monotona del viaggio. Il colore dell'oceano è di un turchese sorprendente che risalta grazie ai colori neutri della terra che lo costeggia. Inutile dire che la voglia di tuffarsi è molto forte, ma è meglio desistere: le correnti sono forti, le acque sono infestate da meduse, pesci palla e da squali e le acque sono profonde già vicino alla riva. Chilometri di sabbia bianca costeggiata da uno splendido mare e nessuno intorno se non uccelli marini e le barche dei pescatori tirate in secca sulla spiaggia. Un paradiso.


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Empty Quarter Alla sera arriviamo a Duqm. Da piccolo villaggio di pescatori che era si sta sviluppando in un grande centro grazie alla costruzione del nuovo porto che punta a diventare il primo porto del Medio Oriente, di un aeroporto e della ferrovia, oltre alle nuove infrastrutture per favorire il turismo. Il mattino dopo si riparte alla volta di Salalah. Un viaggio di 613Km facendo la strada n.39, quella che percorre la costa. Da qui la strada è spettacolare, oceano dalle acque trasparenti che lambiscono spiagge bianchissime, il deserto e le montagne del Jabal Samhan, questa è la regione del Dhofar. Da giugno a settembre è la stagione dei monsoni, il Khareef, e a Salalah arrivano i turisti locali che qui riescono a sfuggire alle temperature torride del golfo arabico. In questo periodo il paesaggio cambia completamente colore, le montagne e le vallate da color ocra diventano verdi, questo è l'unico posto dove abbiamo visto degli

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allevamenti di mucche. Terra del franchincenso, a Salalah visitate il suk di Al Haffa dove vi perderete nel profumo dei vari tipi d'incenso. Da Salalah partono i tour per Rub'al-Khali, o quarto vuoto (quarta parte dopo cielo terra e mare), che è così inesplorato che persino i beduini attraversano solo le zone marginali. Si può visitare solo con una guida del posto, troppo pericoloso altrimenti poichè si perde subito il senso d'orientamento. I tour propongono andata e ritorno in giornata o di passare la notte nel deserto. Se potete optate per la seconda, il prezzo è abbastanza elevato ma ne vale la pena. Il giro comprende anche la visita alle piantagioni di franchincenso e a Ubar, la città perduta e patrimonio dell'Unesco chiamata anche Atlantide del deserto, Iram delle colonne e la Città d'ottone. Ciò che resta della città purtroppo sono soltanto dei resti.


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Per passare la notte nel deserto ci vuole spirito d'adattamento. La nostra guida ha trovato un'area dove accamparci ai piedi di un'enorme duna che al mattino ci avrebbe riparato dal sole nascente per alcune ore. Siamo arrivati alle 16.30 circa e da qui ci siamo arrampicati in cima alla duna per aspettare il tramonto e poter ammirare tutto il deserto attorno a noi, il susseguirsi senza fine di dune una differente dall'altra, il cambio di colore in base alla luce. Alla fine del tramonto il rosa intenso e l'ocra lasciano il posto ad un grigio uniforme. Dopo il tramonto scendiamo dalla cima della duna e la guida ci fa trovare la cena pronta. Mangiando seduti su tappeti beduini (la guida è un beduino delle montagne), a causa del vento e del caldo, decidiamo di non accendere il fuoco che terrebbe lontani animali e insetti notturni.

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Solo alle 4.00 di notte circa si ha un abbassamento di temperatura, arriviamo a 20°C e, per la prima volta, avvertiamo freddo e decidiamo quindi di entrare nei sacchi a pelo. La nostra guida ha ricevuto la visita di un grazioso topolino del deserto che ha sgranocchiato il suo tappeto e il suo piede, noi invece al mattino abbiamo notato intorno a noi parecchie orme di varie misure e alcune lasciate da esseri striscianti. Svegliarsi appena prima dell'alba è un obbligo per vedere il sole sorgere e le dune passare dal grigio al giallo e poi al rosa, oltre al fatto che è l'unico momento in cui, complice la temperatura mite, si riesce a scorgere un po’ di vita: considerate che alle 9.30 ci sono già 39 gradi C.

Ci prepariamo per trascorrere la notte e dato che non esiste l'acqua corrente, ci laviamo i denti utilizzando l'acqua delle bottigliette. Sempre a causa del forte vento e del caldo intenso si decide di non montare le tende. Dormiamo quindi guardando la magnifica via lattea, ovviamente qui l'inquinamento luminoso non esiste.

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Ritorno a Muscat. Lasciamo anche Salalah e iniziamo il viaggio di ritorno verso Muscat, con tappa a Nizwa, seguendo la strada interna, che è anche la più veloce. Il viaggio consiste di 878 Km da percorrere in un giorno solo. Al contrario dell'andata, il paesaggio si rivela più monotono, prettamente composto da deserto, ma anche più semplice in quanto ci sono più possibilità di rifornimenti lungo la strada. Nizwa si trova a circa un'ora e trenta da Muscat ed è situata tra le montagne dell'Hajar, catena montuosa dell'Oman settentrionale. È circondata da piantagioni di datteri ed è l'unica città dove nel suo centro storico si respira ancora l'aria del passato. Da visitare il forte e il suk, dove ogni venerdì si tiene il mercato del bestiame, detto anche mercato delle capre. Da Nizwa ci dirigiamo a Misfat Al Abreen, piccolo villaggio tradizionale con le case in argilla, ubicato a 1000 metri d'altezza. Proseguiamo poi per Jabal Shams (in arabo vuol dire

“la montagna del sole”) che con i suoi 3004 metri di altezza è la cima più elevata dei monti Hajar. Da qui si gode di una spettacolare vista sul Wadi Ghul, il Grand Canyon d'Arabia. Pernottiamo a 2800 metri e il giorno dopo affrontiamo il Wadi Bani AWF: una pista mozzafiato che attraversa i monti Hajar e che, trattandosi di una strada sterrata, stretta, tortuosa, a strapiombo e senza protezioni laterali, si può percorrere solo con un 4x4 e non in una giornata di pioggia. A metà strada incontriamo il villaggio di Bylad Sait, uno dei più tradizionali villaggi in Oman, un'oasi in questo territorio roccioso. Da qui si prosegue fino a Nakhal dove si riprende la strada asfaltata che ci riporta a Muscat. E questo stupendo viaggio in Oman,si chiude qui, da dove era iniziato.

Cinzia Marchi

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BAND

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GIROINFOTO

A cu ra d i Mo n ic a Got t a Fotografie di: Adriana Oberto, Isabella Nevoso, Luca Barberis, Sara Morgia, Stefano Zec

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EXPERIENCE


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PART 2 Genova, 11-12 e 13 Ottobre 2019

"Questi palazzi, pur di solido marmo, (...) dalla base alle gronde sono dipinti con scene di battaglie genovesi, con mostruosi Giovi e Cupidi e con note figurazioni della mitologia greca (...). Non ho mai letto né sentito che gli esterni delle case di qualsiasi altra città europea siano affrescati in questo modo." (Mark Twain)

Continua il viaggio tra i palazzi delle antiche famiglie nobiliari genovesi attraverso la visita dei Rolli. Nel numero precedente ci siamo fermati a sbato 12 ottobre, visitando alcuni palazzi e raccontando le loro storie. Domenica 13 ottobre, segna la seconda e ultima parte di Giroinfoto Experience. Iniziamo le visite decisi a entrare nel maggior numero di palazzi possibile partendo dall'originaria Strada Nuova, oggi intitolata a Giuseppe Garibaldi (Via Garibaldi).

Per capire meglio come si è arrivati a quella che oggi si chiama Via Garibaldi facciamo riferimento alla storia della città di Genova in epoca medievale. Questa era una zona degradata della città e fu deciso di demolire tutta la zona ai piedi della collina di Castelletto. Era il 1550 e qui doveva sorgere una nuova strada, una nuova opera di pianificazione urbanistica. Due furono gli architetti incaricati di questo progetto e di dividere gli spazi in lotti che sarebbero poi stati venduti in aste pubbliche.

A metà del ‘500 i lotti messi in vendita furono acquisiti dalle famiglie facoltose di Genova e i palazzi che furono costruiti ebbero a modello le ville di Albaro, realizzate da Galeazzo Alessi, uno dei due architetti coinvolti nella pianificazione di Strada Nuova. Essa divenne il fulcro di un nuovo quartiere nobiliare e di rappresentanza, riservato a coloro che poterono permettersi di edificare sui lotti all’asta. Strada Nuova divenne strada di collegamento solo nel XVIII secolo quando fu realizzata anche Via Cairoli, Strada Nuovissima. In seguito le fu anche attribuito il nome di Strada Aurea per poi essere intitolata a Giuseppe Garibaldi nel 1882, personaggio storico di cui oggi porta il nome.

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purtroppo andato perduto a seguito della ristrutturazione avvenuta ad opera dei Brignole Sale.

O Palazzo Luca Grimaldi (Palazzo Bianco) Via Garibaldi, 11 Palazzo Bianco fu costruito come dimora di Luca Grimaldi tra il 1530 e il 1540 prima dell’apertura di Strada Nuova. Nel XVIII secolo passò alla famiglia Brignole Sale. La ristrutturazione operata dalla famiglia spostò l’ingresso di palazzo da Salita di San Francesco di Castelletto a Strada Nuova, l’odierna Via Garibaldi. Contemporaneamente gli esterni vennero modificati e per questi divenne celebre con il nome di Palazzo Bianco. Alla morte della Duchessa di Galliera, ultima discendente dei Brignole Sale, Palazzo Bianco venne ereditato dal Municipio e divenne galleria pubblica. Nella sua forma cinquecentesca, era dotato di due giardini: uno sul versante orientale, quello ancora esistente ai giorni nostri e quello meridionale,

Il giardino che oggi si può vedere conta quattro parterre bordati di siepi e una pavimentazione composta da ciotoli bianchi e neri (in genovese risseu) e la fontana di forma ottagonale. Il fauno che soffia nella conchiglia completa la fontana e sostituisce la statua originale erosa dall’acqua. A fine Ottocento Palazzo Bianco divenne proprietà civica e il giardino fu unito a quello di Palazzo Tursi facendone un unico terrazzamento. Palazzo Bianco ospita una parte dei Musei di Strada Nuova insieme a Palazzo Doria-Tursi e Palazzo Rosso. In particolare sono esposti pezzi dell’arte pittorica a Genova tra il XVI e il XVIII secolo di provenienza italiana, spagnola e fiamminga. Per citare alcuni nomi si tratta del Veronese, Caravaggio, Luca Cambiaso, Rubens e Van Dyck. Una mostra particolare è quella di abiti ed accessori del XVIII secolo esposti accanto a riviste e figurini che racconta “come comunicare e progettare la moda”.

PALAZZO BIANCO Monica Gotta Photography

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O Palazzo Doria-Tursi Via Garibaldi, 9 Fu edificato negli anni ’70 del XVI secolo per Nicolò Grimaldi, detto il Monarca, per via della sua grande ricchezza. Dato l’ampio spazio dei due lotti edificabili a disposizione degli architetti, i fratelli Ponzello studiarono una disposizione sfarzosa visibile già dall’ingresso nell’atrio, al quale segue un livello sopraelevato con cortile e lo scalone a doppia rampa. Si fece uso di materiali pregiati quali il marmo bianco di Carrara, la pietra di Finale e la pietra di promontorio. Fu venduto quasi subito per problemi economici del committente e arrivò nelle mani di Giovanni Andrea I Doria, Duca di Tursi. Il Doria fece anche sistemare il giardino completando così la sequenza atrio-cortile-scalone-giardino anticipando il barocco genovese. Ciò che colpisce è l’ampiezza della facciata, molto più estesa di quelle degli altri palazzi. Il portale è ornato dallo stemma di Genova e, dalla metà del XIX secolo, è sede del Municipio di Genova. Quando divenne proprietà del Comune il salone principale fu affrescato con una scena rappresentante Cristoforo Colombo e i Reali di Spagna. La Sala Rossa ospita il celebre violino di Niccolò Paganini e un’urna con le ceneri di Colombo. Per motivi legati al riordino dei percorsi espositivi nei musei oggi è direttamente collegato a Palazzo Bianco. Il terzo palazzo collegato a questi primi due, sempre per la continuità del percorso museale, è Palazzo Rosso.

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Giulio e fu realizzata infine dai suoi figli Ridolfo e Gio Francesco. Il palazzo fu progettato tra il 1671 e il 1677 dall’architetto Corradi. Fu man mano arricchito e decorato sempre per volere della famiglia con la stessa configurazione degli altri palazzi di Strada Nuova: atrio-cortile-ninfeo-scalone monumentale.

O Palazzo Rosso Via Garibaldi, 18

Gli affreschi del secondo piano nobile sono opera dei maestri del barocco genovese, tra cui Domenico Piola. Nel Settecento e nell’Ottocento proseguono le migliorie e gli ampliamenti con la realizzazione di tre nuovi appartamenti. Furono anche rifatti i pavimenti in pregiati marmi policromi.

Nel 1875 Gustave Flaubert dice … “Il primo palazzo che ho visto è stato il Palazzo Brignole; facciata rossa, scalone di marmo. Le statue non sono grandi come in altri palazzi ma la manutenzione, i mosaici dei pavimenti e soprattutto i quadri lo rendono uno dei più ricchi di Genova”.

Come accadde a Palazzo Bianco, la Duchessa di Galliera donò anche Palazzo Rosso alla città di Genova che divenne quindi parte del percorso museale della città. Insieme a palazzo donò la pregiata quadreria, una collezione di tessuti, una di ceramiche e una numismatica anche se non pertinenti al nucleo storico.

La storia di Palazzo Rosso è intimamente legata alla storia delle famiglie Brignole e Sale. Tra le famiglie dette nuove furono tra i primi a poter aspirare alla nobiltà per via di oculati intrecci matrimoniali.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu sottoposto ad interventi di restauro coordinati dalle Belle Arti. In quest’occasione fu creata anche la scala elicoidale di Franco Albini.

Ciò portò ricchezza alla famiglia e posizioni di prestigio in ambito cittadino. L’idea di costruire un palazzo nacque da Anton

PALAZZO ROSSO E PALAZZO BIANCO Stefano Zec Photography

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PALAZZO ROSSO Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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arredi preziosi, il camino monumentale in marmo del Valsoldo e cinque arazzi fiamminghi con le storie di Abramo. Attualmente ospita il Circolo Artistico Tunnel fondato nel 1891 dalla fusione della Società Tunnel, nata nel 1875 e il Circolo Artistico nato nel 1882.

Stanze dell’attuale Circolo Artistico Tunnel Via Garibaldi, 6

Nacque per promuovere l’arte, il sapere e il desiderio di comunicare. Nomi illustri come Giuseppe Verdi, Giulio Monteverde e Nicolò Barabino si annoverano tra i soci storici.

Il terreno su cui sorge il palazzo fu acquistato nel 1551 e rivenduto a prezzo raddoppiato ai fratelli Spinola che ne commissionarono la costruzione nel 1563. Nel 1684 fu bombardato e seriamente danneggiato dalla flotta francese. Di conseguenza subì notevoli trasformazioni, fu rialzato di un piano e la facciata fu rimodellata con le attuali decorazioni a stucco. L’atrio presenta una grande lanterna pensile con l’aquila araldica della famiglia Doria che acquisì il palazzo nel 1723. Dopo l’atrio si accede al giardino pensile. Al piano nobile si può ammirare una volta affrescata dal Cambiaso, stucchi settecenteschi di gusto rococò, Stefano Zec Photography

G.BATTISTA SPINOLA Monica Gotta Photography

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Via Garibaldi, 1 Agostino Pallavicini, ambasciatore alla corte di Spagna e fratello di Tobia diede il via alla costruzione del palazzo nel 1558. Tobia invece commissionò Palazzo Tobia Pallavicino in Via Garibaldi, 4. Questo è il primo palazzo che si incontra in Via Garibaldi. Durante il soggiorno di Rubens a Genova, egli fu ospitato nel palazzo dal figlio di Agostino, Niccolò. Rubens incluse il palazzo nell’edizione i Palazzi di Genova del 1622. Successivamente divenne proprietà dei Cambiaso. L’edificio, progettato da Bernardino Cantone, è di fattura estremamente elegante e gode della posizione tra Via Garibaldi e Piazza Fontane Marose. Nel salotto del piano nobile sono dipinte le scene del Ratto delle Sabine mentre nel salone grande troviamo la storia di Amore e Psiche. Attualmente è proprietà di un istituto bancario.

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specchi e decorazioni a richiamare la grandezza dei palazzi francesi in tutta la loro maestosità, in classico stile rococò. Pare che per la realizzazione degli stucchi, tra i suoi collaboratori vi fosse anche Diego Carlone, una vera celebrità tra gli scultori e decoratori dell’epoca.

Camera di Commercio Via Garibaldi, 4 Il palazzo che oggi ospita la Camera di Commercio fu fatto edificare, tra il 1558 e il 1561, dal marchese Tobia Pallavicino, facoltoso patrizio genovese commerciante in allume che aveva acquistato il terreno nell'ambito di quella che fu la più importante realizzazione urbanistica del Cinquecento a Genova: il taglio di Strada Nuova, l'attuale Via Garibaldi. Il palazzo, costruito sotto la direzione dell'architetto Giambattista Castello detto il Bergamasco, comprendeva in origine un blocco cubico di due piani e un giardino sul retro, affacciato su Piazza del Ferro. Nel 1704 il Palazzo fu acquistato da Giacomo Filippo Carrega che diede il via ai lavori di ampliamento che conferirono al palazzo la struttura attuale. Il giardino fu trasformato in cortile interno, l'edificio sopraelevato di un piano e la facciata principale profondamente modificata. Sempre alla famiglia Carrega si deve la risistemazione della nuova ala, realizzata tra il 1727 e il 1746, e in particolare la decorazione della Galleria Dorata, affidata a Lorenzo De Ferrari (figlio del più noto Gregorio). La Galleria Dorata è uno spettacolo che si può ammirare all’interno di palazzo: interamente rivestita di stucchi,

Le porte sono da notare per la loro bellezza, anche se due di queste e una consolle, sono state rifatte dalla Camera di Commercio di Genova in copia esatta a quelle originali depredate dai francesi e custodite a Parigi. Alla fase settecentesca appartiene anche la cappella decorata da Lorenzo De Ferrari con un’architettura a stucco e finto stucco che inquadra l’affresco con un volo d’angeli. Anche le ante della porta sono dipinte su tela dallo stesso pittore che vi raffigurò due medaglioni con l’Annunciazione e la Natività. Il frazionamento dell'edificio è stato evitato con l'acquisto, nel 1922, da parte della Camera di Commercio, cui si devono anche i numerosi restauri compiuti dopo l'ultima guerra, durante la quale la Galleria Dorata fu danneggiata da un bombardamento. Fra gli altri interventi recenti ricordiamo il restauro dei due prospetti principali, quello su via Garibaldi e quello su Piazza del Ferro, il restauro della Cappella del piano nobile, con la collocazione del calco della celebre Vergine del Puget, e quello dell'atrio cinquecentesco. Il Palazzo di Tobia Pallavicino è uno dei Palazzi dei Rolli, riconosciuti dall'UNESCO nel 2006 come patrimonio mondiale dell'umanità.

Isabella Nevoso Photography

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TOBIA PALLAVICINO Stefano Zec Photography

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Via Garibaldi, 2 Eretto per Pantaleo Spinola e terminato nel 1558, oggi è sede di una banca. Il portale è sormontato da due statue, allegoria della Prudenza e della Vigilanza. Il primo piano è meravigliosamente affrescato con scene dipinte all’inizio del ‘600. Salendo lo scalone si accede al piano nobile dove si possono ammirare affreschi della fine del ‘600 realizzati dal genovese Domenico Piola e dall’emiliano Paolo Brozzi. Nell’ampio salone, riccamente arredato e decorato si trova anche un magnifico lampadario. I lampadari antichi, oltre ad essere fonte d’illuminazione, erano anche complementi d’arredo la cui maestosità rappresentava il potere e la nobiltà dei proprietari. Nel corso della storia le forme si sono evolute ad opera di artigiani raffinati e maestri nella lavorazione dei materiali così come del cristallo. Lo scopo era di ottenere un’eccellente rifrazione della fiamma e della luce naturale.

Questo lampadario termina con un elemento sfaccettato di colore blu che raccoglie e rifrange la luce con una tonalità fredda in contrasto alla volta affrescata da colori dorati. Si accede infine alla terrazza dove si trova un ninfeo in cui si trovava una scultura raffigurante il “Rapimento di Elena”, oggi conservata al Museo di Sant’Agostino e da cui si osservano le finestre di altri palazzi una prospettiva rialzata

Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Emanuele I a diventare proprietario di questa elegante dimora. Per esigenze della famiglia reale fu costruito un passaggio che univa il palazzo a Via Prè e alla darsena, furono predisposte la Sala del Trono, la Sala delle Udienze, il Salone da Ballo e un appartamento nobile al primo piano. Fu Vittorio Emanuele III a donare Palazzo Reale allo Stato Italiano.

Museo di Palazzo Reale Via Balbi, 10 Nasce come dimora edificata dai Balbi tra il 1643 e il 1650 e ampliata dai Durazzo all’inizio del Settecento. Acquisito dai Savoia diventa Palazzo Reale nel 1824. Il palazzo è una delle più vaste costruzioni del Seicento-Settecento a Genova con affreschi realizzati dai nomi più illustri dell’arte e della decorazione barocca e rococò. La costruzione iniziò con la parte centrale, mentre l’ala orientale, la facciata e il Teatro del Falcone furono volute da Eugenio Durazzo. Risale a quest’epoca anche la famosa Galleria degli Specchi. Di epoca settecentesca è anche il giardino pensile che presenta un risseu risistemato ad opera d’arte nel 1965-66. Caduti in crisi economica, i Durazzo misero in vendita il palazzo e fu il Re di Sardegna Vittorio

Durante la visita si inizia con la Sala delle Battaglie, segue il Salone del Tempo, il Salotto della Pace e la Sala del Veronese. Si raggiunge quindi la Galleria degli Specchi, la sala più conosciuta del palazzo decorata tra il gli anni ’20 e ’30 del Settecento il cui progetto è attribuito a Domenico Parodi. Nella parte levantina del palazzo troviamo la Sala del Trono, la Sala delle Udienze e, dopo gli appartamenti, troviamo la Sala degli Arazzi. Si può anche uscire all’esterno sulle terrazze che donano ai visitatori una meravigliosa vista sui vicoli di Genova da un lato e sul Porto Antico dall’altro.

Monica Gotta Photography

Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 51


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Campetto, 8 Scrittore e poeta, ambasciatore e senatore, prefetto delle galee e magistrato della guerra, collezionista d’arte fu ritratto più volte da Van Dyck. Dopo 392 anni torna nel palazzo che fu suo e della sua famiglia un dipinto rimasto a lungo nascosto. Parliamo di Gio Vincenzo Imperiale che risistemò il palazzo su progetto di Andrea Ansaldo. Dopo questo intervento Palazzo Imperiale, insieme a Palazzo Tursi, divenne una delle dimore cinquecentesche più costose dell’epoca, valutato circa un milione di lire genovesi. Il palazzo fu progettato, costruito e decorato nella seconda metà del Cinquecento – 1560 circa - da Giovan Battista Castello, conosciuto anche come il Bergamasco, per Vincenzo Imperiale. Il palazzo fu danneggiato nel bombardamento navale del 1684 e più gravemente in quello aereo del 1942. Purtroppo gli affreschi del primo piano, delle Sale di Apollo e del Ratto di Proserpina, sono in cattivo stato di conservazione.

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Tramite lo scalone si accede al secondo piano nobile, visitabile durante i Rolli Days con la presenza di personale che racconta la storia del palazzo e dei suoi fondatori.

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Durante le molte edizioni dei Rolli Days molti studenti, dottorandi e ricercatori dell'Università degli Studi di Genova hanno accolto i visitatori nei palazzi e si sono resi disponibili ad illustrare la magnificenza delle antiche dimore e a mostrare le opere dei grandi maestri che le decorarono. Li troverete sempre agli ingressi dei palazzi per farvi vivere quest'esperienza nel modo più coinvolgente possibile. Vorremmo pertanto portare all'attenzione di tutti il considerevole ed apprezzabile impegno di queste persone che dedicano il loro tempo alla valorizzazione di questo patrimonio inestimabile. Potrete anche rivolgervi per qualsiasi informazione agli uffici turistici del centro di Genova. Uno si trova in Via Garibaldi 12r, nel cuore della città. L'altro si trova in zona Porto Antico in Via Al Porto Antico, 2. Sono disponibili anche guide turistiche abilitate della Provincia di Genova di cui troverete i recapiti sui siti dedicati all'evento dei Rolli Days.

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La manifestazione ha riscosso grande successo fin dalle prime edizioni ed il numero di visitatori è aumentato nel corso degli anni. I numeri ufficiali pubblicati a seguito dell’edizione Ottobre 2019 parlano di 130.000 presenze. Un risultato in termini di diffusione della cultura, divulgazione della storia di una città che affonda le sue radici nel lontano V secolo a.C. e sostegno al turismo della città non indifferente. Sono stati coinvolti influencer locali ed internazionali per promuovere in diretta i Rolli Days e anche 15 ambassador locali. I canali social hanno ottenuto grande risposta e sono stati pubblicati i numeri di visualizzazioni, click e fotografie con hashtag ufficiali relative all’evento. Un grande successo, una formula vincente per la promozione del turismo e della cultura della città di Genova.del 1684 e più gravemente in quello aereo del 1942. Purtroppo gli affreschi del primo piano, delle Sale di Apollo e del Ratto di Proserpina, sono in cattivo stato di conservazione. Giroinfoto Magazine nr. 51


ANDRÉ GELPKE Senza titolo, dalla serie “Sesso, teatro e carnevale”/Untitled, from the series "Sex Theater und Karneval", 1980 © André Gelpke / Switzerland

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IN TO THE WORK/ OUT OF THE WORK

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DAL 25 GENNAIO AL 03 MAGGIO 2020

BOLOGNA


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IN TO THE WORK/ OUT OF THE WORK

LA DIVISA DA LAVORO NELLE IMMAGINI DI 44 FOTOGRAFI

La Fondazione MAST presenta UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK, il nuovo progetto espositivo curato da Urs Stahel dedicato alle uniformi da lavoro che, attraverso oltre 600 scatti di grandi fotografi internazionali, mostra le molteplici tipologie di abbigliamento indossate dai lavoratori in contesti storici, sociali e professionali differenti. Nate per distinguere chi le indossa, le uniformi da un lato mostrano l’appartenenza a una categoria, ad un ordinamento o a un corpo, senza distinzioni di classe e di censo, dall’altro possono evidenziare la separazione dalla collettività di chi le porta. Le parole “uniforme” e “divisa” rivelano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione. UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK comprende una mostra collettiva sulle divise da lavoro nelle immagini di 44 fotografi e un’esposizione monografica di Walead Beshty, che raccoglie centinaia di ritratti di addetti ai lavori del mondo dell’arte incontrati dall’artista per i quali l’abbigliamento professionale è segno distintivo,una sorta di tacito codice dell’anti-uniforme.

WALEAD BESHTY Collector (Collezionista), Los Angeles, California, February 26, 2014 2014 courtesy of the artist and Regen Projects, Los Angeles © Walead Beshty

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PAOLA AGOSTI Forlì, 1978 Giovane operaia ferraiola in cantiere/ Young iron worker © Paola Agosti

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IRVING PENN Macellai / Les Garçons bouchers 1950 Irving Penn | Les Garçons Bouchers, Paris, 1950 | © Condé Nast

La mostra collettiva " La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi", allestita nella PhotoGallery, raccoglie gli scatti di 44 artisti: celebri protagonisti della storia della fotografia tra cui, Manuel Alvarez Bravo, Walker Evans, Arno Fischer, Irving Penn, Herb Ritts, August Sander e fotografi contemporanei come Paola Agosti, Sonja Braas, Song Chao, Clegg & Guttmann, Hans Danuser, Barbara Davatz, Roland Fischer, Andrè Gelpke, Helga Paris, Tobias Kaspar, Herline Koelbl, Paolo Pellegrin, Timm Rautert, Oliver Sieber, Sebastião Salgado, immagini tratte da album di collezionisti sconosciuti e otto contributi video di Marianne Müeller.

WALEAD BESHTY Gallery President (Presidente di Galleria), Los Angeles, California, December 7, 2010 2010 courtesy of the artist and Regen Projects, Los Angeles © Walead Beshty

In tutto il mondo si distingue ancora oggi tra “colletti blu” e “colletti bianchi”, due espressioni che si sono imposte in molte lingue della società industrializzata. Ispirandosi all’abbigliamento da lavoro, si opera una distinzione tra diverse forme e categorie professionali e poi sociali: da un lato la casacca o la tuta blu degli operai delle fabbriche, dall’altro il colletto bianco quale simbolo del completo giacca e pantaloni, camicia bianca e cravatta di coloro che svolgono funzioni amministrative e direttive.

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MANUEL ÁLVAREZ BRAVO Vigili del fuoco, Messico / The Fire Workers, Mexico 1935 © Archivo Manuel Álvarez Bravo, S.C

La mostra è un viaggio tra le uniformi, che sollecita una riflessione sull’essere e sull’apparire: le casacche da lavoro fotografate da Graciela Iturbide, i grembiuli protagonisti dei “piccoli mestieri” - come li chiama Irving Penn - del pescivendolo e dei macellai, le tute degli scaricatori di carbone nel porto de L’Avana ritratti da Walker Evans, gli abiti dei contadini negli scatti a colori di Albert Tübke, le tute da lavoro delle operaie nelle officine di montaggio della Fiat, a Torino, nelle fotografie di Paola Agosti. Nelle immagini di Barbara Davatz gli abiti da lavoro dei collaboratori di una piccola fabbrica svizzera si confrontano

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con le uniformi degli apprendisti del più grande rivenditore di generi alimentari "Migros" della Svizzera fotografati da Marianne Müller, i colletti bianchi di Florian Van Roekel fanno da contrappunto alle tute nere dei minatori nelle foto del cinese Song Chao e alle lavoratrici di una fabbrica di abbigliamento immortalate da Helga Paris. L’abbigliamento da lavoro comprende anche gli indumenti protettivi, che sono al centro delle immagini sia del messicano Manuel Álvarez Bravo, sia di Hitoshi Tsukiji che si sofferma sui guanti di sicurezza della Toshiba, sia di Sonja Braas, di Hans Danuser e Doug Menuez che si concentrano sulle tute.


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L’abito non rispecchia solo la diversa occupazione, né obbedisce esclusivamente alla funzionalità del lavoro, ma indica anche una distinzione di classe e di status come mostra il grande Ritratto di gruppo dei dirigenti di una multinazionale di Clegg & Guttmann dove la luce illumina solo i volti, le mani e i triangoli sfolgoranti formati dai risvolti, dalle camicie bianche e dalle cravatte. Nei nove ritratti di August Sander, considerato uno dei più famosi ritrattisti del XX secolo, emerge la simbiosi tra persona, professione e ruolo sociale più che l’essenza dei singoli individui. L’attenzione del fotografo è infatti sulla funzione sociale, piuttosto che estetica della fotografia, con l’intento di costruire un’immagine fedele della propria epoca.

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L’esposizione ci guida dall’abbigliamento da lavoro all’uniforme con i sette imponenti ritratti del soldato “Olivier” di Rineke Dijkstra, le uniformi civili delle serie di Timm Rautert, abiti del monaco e della suora fotografati da Roland Fischer fino ad arrivare ai ritratti di Angela Merkel nelle nove fotografie di Herlinde Koelbl, la celebre artista tedesca che ha dedicato un progetto pluriennale, “Traces of Power” alla raffigurazione anno per anno di alcuni dei maggiori leader politici tedeschi, a partire dal 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino. Sebastião Salgado immortala il riposo di un operaio della Safety Boss Company, in Kuwait, impegnato nelle operazioni di spegnimento dei pozzi petroliferi dati alle fiamme dagli iracheni nel 1991 durante la Guerra del Golfo. Le opere di Olivier Sieber, Andreas Gelpke, Andri Pol, Paolo Pellegrin, Herb Ritts e Weronika Gesicka descrivono la progressiva trasformazione dell’abbigliamento da lavoro e dell’uniforme in stile e moda assieme alla serie “Beauty lies within” di Barbara Davatz che fotografa alcuni commessi di H&M fuori dal contesto lavorativo. Le fotografie dei ricami di Tobias Kaspar, tratti dagli archivi di un produttore tessile svizzero, chiudono idealmente la mostra. Su grandi monitor otto addetti alla sicurezza in uniforme di servizio, protagonisti di altrettanti video di Marianne Müller, “vigilano” sui visitatori.

WALEAD BESHTY Kunsthalle Director (Direttore di spazio espositivo), Beijing, China, April 27, 2011 2011 courtesy of the artist and Regen Projects, Los Angeles © Walead Beshty

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WALEAD BESHTY “RITRATTI INDUSTRIALI" La mostra monografica del fotografo americano WALEAD BESHTY “RITRATTI INDUSTRIALI”, allestita nella Gallery/Foyer, raccoglie 364 ritratti, suddivisi in sette gruppi di 52 fotografie ciascuno: artisti, collezionisti, curatori, galleristi, tecnici, altri professionisti, direttori e operatori di istituzioni museali. Sono fotografie di persone con cui l’artista è entrato in contatto nel suo ambiente di lavoro, mentre realizzava la sua arte o preparava le mostre. Nel corso degli ultimi dodici anni Walead Beshty ha fotografato circa 1400 persone con una macchina di piccolo formato e pellicola analogica di 36 mm, per lo più in bianco e nero. Dal totale degli scatti effettuati il fotografo ha scelto un ritratto per ogni singolo soggetto, per la mostra al MAST ne sono stati selezionati 364. L’obiettivo di Walead Behsty, ispirandosi al lavoro di inizi del ‘900 del ritrattista August Sander, non è quello di esprimere l’aspetto, il carattere o la natura della persona fotografata – scopi che il ritratto in studio ha perseguito fin dagli albori della fotografia - ma è quello di rappresentare le persone nel loro ambiente di lavoro (che è anche il suo), la loro funzione e il ruolo professionale che svolgono in seno al mondo e al mercato dell’arte. É da qui che deriva il titolo della sua

opera “Industrial Portraits”. “Da un lato in questo titolo possiamo riconoscere il riflesso di una tecnica per certi aspetti standardizzata, dall’altro possiamo dire che i ritratti in mostra e la serie nel suo insieme (1400-1500 elementi in continuo aumento) costituiscono a loro volta una sorta di "ritratto” di una specifica realtà industriale, cioè l’industria dell’arte nel suo complesso. In questo senso, gli “Industrial Portraits” rendono visibili e mettono in evidenza gli attori che si muovono in questo settore che si ritiene tendenzialmente libero da strutture gerarchiche”, spiega il curatore della mostra Urs Stahel. I 364 ritratti di Beshty evidenziano la riluttanza dei protagonisti per l’uniformità dell’abbigliamento professionale. Non bisogna apparire come l’altro, uniformati, mologati. Con il rischio però che questa definizione in negativo si riveli nuovamente, per tutti gli attori che operano in quell’ambiente, un atteggiamento uniformato e standardizzato. Nonostante lo sforzo con cui ogni singolo individuo ritratto mira a mostrare una presenza e un’immagine unica, personale e originale, i protagonisti pare rimangano dipendenti dal contesto, prigionieri del loro atteggiamento individualistico.

Apertura al pubblico: sabato 25 gennaio ore 10.00 Ingresso gratuito Orari di apertura Martedì - Domenica 10.00 - 19.00 In occasione di Arte Fiera: sabato 25 gennaio > 10.00 – 24.00* domenica 26 gennaio > 10.00 – 20.00 MAST. via Speranza 42, Bologna 25 gennaio – 3 maggio 2020 www.mast.org

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SEBASTIĂƒO SALGADO Kuwait after the end of the Gulf War - The oil fields continue to burn, causing a massive ecological disaster and large loss of money. Oil-well fire fighters from around the globe at work to put out the burning oil wells. Worker of the Safety Boss Company during a rest, 1991 Il Kuwait dopo la fine della Guerra del Golfo - I pozzi petroliferi continuano a bruciare, causando un massiccio disastro ecologico e una grande perdita di denaro. Compagnie di pompieri specializzati, provenienti da tutto il mondo, a lavoro per estinguere il fuoco. Operaio della Safety Boss Company durante una pausa, 1991 Š Salgado/AmazonasImages/Contrasto Giroinfoto Magazine nr. 51


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Riflessi alle torbiere del Sebino Autore: Ivo Marchesini Luogo: Provaglio d'Iseo Giroinfoto Magazine nr. 51


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Cupola di San Gaudenzio e Monte Rosa Autore: Massimiliano Caligaris Luogo: Novara Giroinfoto Magazine nr. 51


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Street Art

Autore: Michele Petrelli Luogo: Bari Giroinfoto Magazine nr. 51


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Fontana dei Fiumi Autore: Adriana Oberto Luogo: Parigi

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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Febbraio 2020

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