N. 53 - 2020 | MARZO Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com
N.53 - MARZO 2020
www.giroinfoto.com
W LA FIGURA FEMMINILE
Private Sitting di Gianluca Fontana
LEUMANN IL VILLAGGIO Band of Giroinfoto
BONNEVILLE SALT FLAT Band of Giroinfoto
MONASTERO DI SUMELA TURCHIA Di Monica Gotta Photo cover by Gianluca Fontana
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WEL COME
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la redazione | Giroinfoto Magazine
Seattle skyline by Giancarlo Nitti
Benvenuti nel mondo di
Giroinfoto magazine
©
Novembre 2015,
da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
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Giroifoto è
Giroifoto è
Giroifoto è
Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.
Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.
Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.
Editoria
Attività
Promozione
L E G G I L A G R AT U I TA M E N T E O N - L I N E www.giroinfoto.com Giroinfoto Magazine nr. 53
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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente
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ANNO VI n. 53
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20 Marzo 2020
giroinfoto magazine
DIRETTORE RESPONSABILE ART DIRECTOR Giancarlo Nitti SEGRETERIA E RELAZIONI Mariangela Boni Margherita Sciolti
RESPONSABILI DELLE ATTIVITÀ Giancarlo Nitti Monica Gotta Adriana Oberto Barbara Lamboley Manuel Monaco Roberto Giancaterina CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti Redazione Mariangela Boni Redazione Monica Gotta Redazione Barbara Tonin Redazione Barbara Lamboley Redazione
LAYOUT E GRAFICHE Gienneci Studios PER LA PUBBLICITÀ: Gienneci Studios, hello@giroinfoto.com DISTRIBUZIONE: Gratuita, su pubblicazione web on-line di Giroinfoto.com e link collegati.
PARTNERS Instagram @Ig_piemonte, @Ig_valledaosta, @Ig_lombardia_, @Ig_veneto, @Ig_liguria @cookin_italia MAST Bologna SKIRA Editore Urbex Team Old Italy
CONTATTI email: redazione@giroinfoto.com Informazioni su Giroinfoto.com: www.giroinfoto.com hello@giroinfoto.com Questa pubblicazione è ideata e realizzata da Gienneci Studios Editoriale. Tutte le fotografie, informazioni, concetti, testi e le grafiche sono di proprietà intellettuale della Gienneci Studios © o di chi ne è fornitore diretto(info su www. gienneci.it) e sono tutelati dalla legge in tema di copyright. Di tutti i contenuti è fatto divieto riprodurli o modificarli anche solo in parte se non da espressa e comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.
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C O N T E N T S
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PRIVATE SITTING Gianluca Fontana Skira Editore
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CIMITERO MONUMENTALE Torino Band of Giroinfoto Torino
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MI'NDUJO Identità Calabrese Band of Giroinfoto Roma
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CALTAGIRONE Urban Art Di Silvia Petralia
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IL VILLAGGIO LEUMANN Collegno Band of Giroinfoto Torino
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CIMITERO MON. TORINO
IL MONASTERO DI SUMELA Anatolia Di Monica Gotta
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BONNEVILLE SALT FLAT Il deserto di sale Band of Giroinfoto
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VIA DEL CAMPO ROSSO GENOVA Band of Giroinfoto Genova
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LE TUE FOTOEMOZIONI Questo mese con: Paolo Gentili Alessandro Braconi Rita Russo Ciro Schiavone
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VIA DEL CAMPO 29 ROSSO
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I NOSTRI
REPORTS Pubblicazione delle statistiche e i volumi relativi al report mensile di: Marzo 2020
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BOOK
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PRIVATE SITTING
Valeria Bilello Š 2019 Gianluca Fontana
Le celebrities "al naturale", senza trucco e parrucco, nei ritratti del fotografo
2019, edizione bilingue (italiano-inglese) 24 x 30 cm, 192 pagine 240 colori e b/n, cartonato ISBN 978-88-572-4242-2 Giroinfoto Magazine nr. 53
BOOK
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PRIVATE SITTING
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PUNTUALI come ogni mese di marzo, a omaggiare la figura femminile. Quest'anno attraverso gli scatti di Gianluca Fontana raccolti da Skira Editore nel libro PRIVATE SITTING
Tea Falco Š 2019 Gianluca Fontana
Un'opera che deriva da un progetto del fotografo che vuole oltrepassare il confine dell'intimitĂ dei personaggi.
Le celebrities "al naturale", senza trucco e parrucco, nei ritratti del fotografo
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BOOK
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PRIVATE SITTING
Private Sitting è un progetto che Gianluca Fontana ha intrapreso per oltrepassare un limite, per tentare di superare il confine tra la persona e il personaggio e indagarne attraverso l’obbiettivo le emozioni: piccoli scarti, momenti di incertezza, di gioia liberatoria e di introspezione. Ogni scatto è la somma di precise rinunce: nessun truccatore o parrucchiere, niente abiti di scena, pochissime luci, fondali neutri e nessun altro sul set. Gianluca Fontana è stato capace di creare uno spazio intimo e di restituire il senso della sfida che questo progetto contiene.
Isabella Ferrari © 2019 Gianluca Fontana Giroinfoto Magazine nr. 53
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PRIVATE SITTING
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Alessandra Mastronardi 03 © 2019 Gianluca Fontana Giroinfoto Magazine nr. 53
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PRIVATE SITTING
Vittoria Puccini © 2019 Gianluca Fontana
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PRIVATE SITTING
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GIANLUCA FONTANA
I suoi soggetti hanno saputo cogliere l’opportunità di far parte di una galleria di ritratti che raccoglie e riassume le esperienze autoriali più rilevanti della fotografia contemporanea. Un lavoro iniziato cinque anni fa e che nel tempo ha visto coinvolte quindici donne (Alessandra Mastronardi, Ambra Angiolini, Anita Caprioli, Carolina Crescentini, Cristiana Capotondi, Giulia Elettra Gorietti, Isabella Ferrari, Kasia Smutniak, Margareth Madè, Marta Gastini, Matilde Gioli, Miriam Dalmazio, Tea Falco, Valeria Bilello e Vittoria Puccini), che certamente conoscono i “trucchi estetici” di una fotografia sempre più mondana e che qui si sono lasciate ritrarre senza “effetti speciali”.
Carolina Crescentini © 2019 Gianluca Fontana
Matilde Gioli © 2019 Gianluca Fontana
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PRIVATE SITTING
Fotografo e regista, Gianluca Fontana vive e lavora a Londra. Laureato in architettura, prima di dedicarsi alla fotografia ha sviluppato un senso di composizione e di equilibrio che rimane fondamentale nel suo lavoro. Il suo approccio sofisticato produce immagini di intimità e sensualità, dotate di immediatezza e senso di verità.
Miriam Dalmazio © 2019 Gianluca Fontana
Le sue foto sono state pubblicate su Vogue, Vanity Fair, Harper’s Bazaar, Elle. Ha lavorato per Cartier, Fendi, Givenchy, Prada, la Perla, l’Oreal, Max Mara, Moschino, il gruppo Net a porter-Yoox.
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| PRIVATE R E P O RTA G B EO O|K SEQUOIA NATIONAL SITTING PARK
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Kasia Smutniak © 2019 Gianluca Fontana Giroinfoto Magazine nr. 53
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Cristiana Capotondi © 2019 Gianluca Fontana
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Gianluca Fontana Private Sitting
Testi di Denis Curti, Antonio Mancinelli Le celebrities "al naturale", senza trucco e parrucco, nei ritratti del fotografo
2019, edizione bilingue (italiano-inglese) 24 x 30 cm, 192 pagine 240 colori e b/n, cartonato ISBN 978-88-572-4242-2
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CIMITERO MONUMENTALE TORINO
ALLA SCOPERTA DEL
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A CURA DI BARBARA LAMBOLEY
BAND OF GIROINFOTO TORINO Lorena Durante Photography
TORINO
IL CIMITERO MONUMENTALE Giroinfoto Magazine nr. 53
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GRAZIE Alla visita guidata a cura di Adriana Oberto Andrea Barsotti Andrea Zanatta Barbara Lamboley Cinzia Carchedi Giancarlo Nitti Laura Stratta Lorena Durante Mariagrazia Castiglione Mariangela Boni Massimo Tabasso Monica Pastore Samuele Silva
Gabriella Tesio
guida turistica dal 1996. Dopo la maturità professionale ad indirizzo turistico, quasi per caso, ha preso l’abilitazione da guida turistica che è diventata la sua professione. Nel 2009, per passione, curiosità e continuità, ha aggiunto il patentino su Torino e successivamente, nel 2013, anche su Asti.
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CIMITERO MONUMENTALE TORINO
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Da allora, la sua missione è portare alla riscoperta della cultura del territorio, attraverso la storia, la visita dei luoghi sacri, i musei e la cucina tipica locale per emozionare con antiche e nuove suggestioni. Se volete scoprire ancora qualcosa di Gabriella, potete curiosare nel suo sito:
www.inpiemontecon.it
ALLA SCOPERTA DEL
LIBERTY
IL CIMITERO MONUMENTALE DI TORINO
C
ome parchi tranquilli e silenziosi, i cimiteri hanno sempre esercitato un fascino particolare. Poeti e letterati per primi li privilegiavano quali luoghi di contemplazione in cui cercare, e trovare, l’ispirazione. Luoghi di sepoltura e memoria, i cimiteri monumentali fanno parte di quelle opere con cui gli uomini celebrano la vita terrena dei propri cari. Per la stretta connessione che hanno con la morte sono spesso considerati posti cupi e lugubri ma, al pari delle chiese, racchiudono al loro interno esemplari forme d’arte legate al ricordo e alla nostalgia che meritano di essere scoperte. Il cimitero monumentale di Torino ne è un esempio per eccellenza; custodisce statue liberty e opere d’arte che lo potrebbero collocare al pari di un museo a cielo aperto. Inaugurato nel 1829 grazie al finanziamento personale dell’allora sindaco, il marchese Tancredi Falletti di Barolo, nel corso degli anni il cimitero generale di Torino ha attraversato molti cambiamenti, Sara Morgia Photography a partire dal nome: Monumentale rendeva finalmente giustizia alla ricchezza artistica che aveva accumulato.
È stato ampliato, più volte e, per dargli spazio, la città stessa ha dovuto cambiare. Un tempo la Dora Riparia circondava con una stretta ansa la parte nord del cimitero, pertanto nel 1931 fu deviato il corso del fiume.
Anche la guerra ne ha modificato il volto: bombardato nel 1943, una delle sue ultime ampliazioni, la Settima, venne costruita proprio per poter ospitare i caduti e i combattenti per la libertà. Con i suoi porticati e le sue arcate il Monumentale è già di per sé un gioiello architettonico. Lo impreziosiscono le elaborate cappelle, le edicole, le statue e le sculture che attraversano le epoche e gli stili. Il verismo di Tabacchi, il liberty di Bistolfi, Calandra, Fumagalli, Rubino, la poesia di Canonica, fino al linguaggio innovativo di Umberto Mastroianni sono solo alcuni esempi di una varietà artistica che diventa testimonianza storica, conservando il tempo che, veloce, continua a scorrere al di là delle mura della Città del Silenzio.
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d è proprio sul Liberty che andremo a soffermarci. Ma che cos’è lo stile Liberty esattamente? Il Liberty è un nuovo movimento artistico che interessa l’architettura e le arti applicate nel ventennio tra fine Ottocento e inizi Novecento, assumendo denominazioni diverse a seconda delle aree interessate: in Francia prende il nome di Art Nouveau, in Germania di Jugendstil, in Austria di Sezessionstil (Secessione), di Modernismo in Spagna e di Arts and crafts movement in Gran Bretagna. In Italia è indicata come Liberty, dal nome dei magazzini londinesi di Arthur Lasenby Liberty e si diffonde con l’Esposizione di Torino nel 1902.
Il nuovo stile, rifiutando decisamente l’eclettismo ottocentesco e il gusto storicista, coinvolge l’architettura, la pittura, la scultura e ogni oggetto della vita quotidiana, decorando la città di motivi floreali, delicate nervature, ambienti vegetali, viticci, modanature, fino a un’identificazione con i presupposti della borghesia alla guida della modernizzazione della città. Ed è proprio da Torino che il famoso “Stile Floreale” si è diffuso nel resto d’Italia. Le sinuosità e le raffinatezze Liberty non caratterizzano solo i palazzi cittadini edificati tra Ottocento e Novecento, ma i numerosi sepolcri del Cimitero Monumentale.
Samuele Silva Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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REMMERT
Cinzia Carchedi Photography
DI CESARE BISCARRA
Cesare BISCARRA - (Torino 1866-1943) Figlio d’arte, il padre era il pittore Carlo Felice, frequentò l’Accademia Albertina come allievo di Tabacchi e Monteverde.
L’elemento floreale è il simbolo della vita che risorge, la figura centrale è rappresentata da una grazia semplice e pudica; l’altra figura, “con il volto seminascosto da un turbinio di veli, suggerisce la soglia da oltrepassare tra vita e continuità spirituale” (Bossaglia)
Poi lavorò in “bottega” con Leonardo Bistolfi. Come scultore esordisce con grande successo ad appena 25 anni alla Promotrice delle Belle Arti. Si specializza in piccole opere in bronzo e partecipa sia alle Esposizioni triennali di Torino del 1894 e ’96, alle Biennali di Venezia del 1905/’07/’10 e a quella di Parigi del 1913. Porta la firma di Cesare Biscarra il busto in bronzo di Vittorio Emanuele II che svetta sul Rocciamelone, suoi anche il monumento ad Ascanio Sombrero a Porta Susa a Torino e quello ai Caduti di Baveno. Nel 1926 si trasferisce a Mogadiscio. Su commissione del governatore De Vecchi realizza il monumento ai Pionieri della Somalia e si appassiona come pittore ai paesaggi e ai ritratti di cani che lo accompagnano nelle lunghe battute di caccia. Cinque le opere ospitate al Monumentale di Torino. La tomba Remmert risale al 1922-1925. Di stile floreale che era ormai in disuso.
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Adriana Oberto Photography
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Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Adriana Oberto Photography
HESS
DI LEONARDO BISTOLFI Padre scultore, Leonardo studia all’Accademia di Brera grazie a una borsa di studio del Comune. Qui segue il corso dell’Argenti ma frequenta soprattutto gli artisti bohemien della “scapigliatura” milanese, in particolare il Grandi di cui vuole diventare allievo. Rifiutato arriva a Torino. Lavora con il Tabacchi, ma solo con la commissione del monumento Braida al Cimitero Monumentale può aprire uno studio tutto suo. Promotore dell’esposizione decorativa d’arte moderna del 1802, detto “il poeta della morte”, non vincerà mai un concorso pubblico né avrà l’assegnazione della cattedra di scultura all’Accademia. Tra i suoi lavori più noti: il monumento ai Caduti di Casale (sua città d’origine), la scultura di Garibaldi a Savona e quella di Carducci a Bologna. La tomba Hess risale al 1923-1926. Due bassorilievi in marmo collocati in un blocco di granito a forma di croce. Raffigurano due angeli che sono rivolti da parti opposte. Gli angeli tengono in mano una rosa decorativa in bronzo e sul capo una corona di spine. Decorativa anche la cornice floreale intorno al nome della famiglia.
Andrea Barsotti Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Cinzia Carchedi Photography
BERTETTI DI CELESTINO FUMAGALLI
È un bronzista e collabora col Bistolfi il quale utilizza il suo laboratorio per fondere anche le sue sculture. È scultore ma anche orafo specializzato nel lavorare l’argento. È del Fumagalli la statua in rame del genio alato collocata sulla punta della Mole Antonelliana e abbattuta dal nubifragio unito ad una tromba d’aria l’11 agosto 1904. Quarantasette i metri della guglia abbattuti dalla violenza degli eventi naturali. Oggi la scultura, che erroneamente molti continuano a credere si tratti di un angelo, si può vedere all’interno della Mole (pensata e iniziata nel 1863 come Sinagoga con l’affermazione della libertà di culto per le altre religioni; terminata di costruire dalla Città di Torino e dedicata al re Vittorio Emanuele II; divenuta simbolo della Città stessa e oggi sede del Museo del Cinema). Fumagalli è sepolto nella tomba di famiglia del pittore Emprin che lui stesso modellò. Altre opere di Fumagalli da segnalare: San Giuseppe Cottolengo a Bra; e il monumento ai Caduti a Pinerolo. La tomba Bertetti risale al 1897. Bassorilievo con busto in bronzo su un macigno a forma di “Dolmen” il basso rilievo in bronzo rappresenta una fanciulla che con le sue sinuose linee e decorazioni riporta al naturalismo del maestro Bistolfi. Giroinfoto Magazine nr. 53
Mariagrazia Castiglione Photography
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DURIO
DI LEONARDO BISTOLFI L'opera rappresenta una figura di donna ammantata, statua in bronzo in altorilievo, quasi a tutto tondo, che sta leggermente curvata in piedi sulla destra di una stretta e bassa piattaforma. Alle sue spalle sono raffigurate diverse figure di donna rappresentanti le Memorie che tornano a confortare il Dolore e che si estendono, grado a grado, dall'altorilievo nella destra (per chi guarda) attraverso il mezzo e il bassorilievo fino allo stiacciato e allo sgraffito in fondo a sinistra. Sul lato sinistro è ritratto, in un medaglione, il volto del defunto Giuseppe Durio, sorvegliato da tre angeli-Memorie e raggiunto dal basso da una profusione di papaveri>> (cit.). Alla destra del ritratto è l'epigrafe: SOTTO QUESTO MONUMENTO PERPETUO OLOCAUSTO DI FEDE E D 'AMORE DELLA MOGLIE E DEI FIGLI LA SALMA VENERATA l DEL CAV. GIUSEPPE DURIO GIACE CIRCONFUSA DALLE SACRE MEMORIE CHE LA CONSOLATRICE IDEA DEL POETA HA EVOCATO NEL NOME DEL FERVIDO POETA DEL LAVORO GIUSEPPE DURIO - 1896 Massimo Tabasso Photography
Laura Stratta Photography
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Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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CASANA DI DAVIDE CALANDRA
Davide CALANDRA – (Torino 1856-1915) Arriva da una famiglia borghese illuminata con interessi artistici e frequenta i corsi di Gamba e Tabacchi all’Accademia Albertina. Determinante nella sua formazione il soggiorno a Parigi nel 1881 insieme al fratello Edoardo. Inizia con opere da “salotto”, in seguito spazierà dai monumenti pubblici celebrativi ai ritratti. Lavora a Milano (monumento a Garibaldi) Parma e Napoli, ma è con il monumento ad Amedeo duca d’Aosta nel 1902 a Torino che raggiunge la grande fama. Presidente della società di Archeologia e Belle arti di Torino, a inizio secolo fonda con Bistolfi la rivista “L’Arte Decorativa e Moderna”.
Sopra, un altorilievo in bronzo raffigura una teoria di quindici angeli accostati in semicerchio, pressoché identici nelle lunghe vesti e nell’espressione malinconica dei volti. Ai loro piedi è la scritta: REQUIESCANT IN PACE. Nella parte superiore della nicchia, pure in bronzo, è stilizzata una grande croce. L'opera del Calandra si colloca nel clima del simbolismo d 'ispirazione cattolica. Tipica di esso è la figura dell'angelo che esprime un immediato rapporto tra il cessare della vita fisica e la continuità spirituale ultraterrena.
Tra i monumenti da ricordare quello a Zanardelli a Brescia; il Generale Mitre a Buenos Aires*, e l’opera dedicata a Umberto I a Roma*. La tomba Casana risale al 1909-1910 Una base in marmo verde regge una lastra in marmo rosso su cui è posto un cartiglio bronzeo con l'iscrizione: PER SÈ ED l SUOI IL BARONE IGNAZIO CASANA ISTITUIVA ADDÌ 3 APRILE 1852. Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Barbara lamboley Photography
GEISSER DI DAVIDE CALANDRA
La tomba Geisser risale al 1904-08. Scena in alto rilievo in bronzo su un muro ellittico: in centro la figura ammantata della morte si erge su un cavallo alato, di fronte varie figure a rappresentare i diversi stati d’animo nell’accoglierla.
Sullo sfondo è raffigurata una città. A questa scena grandiosa e movimentata si contrappone, a destra, la figura del Cristo benedicente, forse troppo isolata dal resto della scena. Il simbolismo dell'opera del Calandra è evidenziato da una pittorica oratoria. Come nei bassorilievi dei suoi monumenti celebrativi, si nota un certo descrittivismo di stampo ancora ottocentesco, sicché, nonostante l'esecuzione nervosa e vibrante, “il piglio innovatore dello stile appare fittizio” (Bossaglia, 1973, p. 422).
Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Lorena Durante Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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BOIDO DI EDOARDO RUBINO
Edoardo RUBINO - (Torino 1871-1954) Studia all’Accademia Albertina con Tabacchi e Belli. Frequenta lo studio di Bistolfi e collabora con Calandra. Rubino si propone come scultore a tutto tondo. Partecipa attivamente alla vita pubblica come consigliere comunale dal 1915 al ’23, e come assessore per le Belle Arti e membro del consiglio direttivo della GAM. Cattedra di scultura all’Accademia dove oltre ad insegnare fu anche preside. Indirizza la sua produzione verso una committenza pubblica di tipo monumentale-celebrativo. Tra le curiosità, il rapporto con la famiglia Agnelli per cui realizzò diverse opere. Tra i maggiori sostenitori della sua arte lo stesso presidente della Fiat. Fu il cavalier Agnelli infatti, a volergli commissionare anche l’esecuzione della colossale Vittoria in bronzo, per il faro innalzato a memoria dei caduti della prima guerra mondiale sul Colle della Maddalena con l’epigrafe firmata d’Annunzio che dice:<<Fiat Lux: et facta est lux nova>>. Il gioco di parole è evidente. Lavorò al Palazzo delle Poste a Torino con Casanova, suo invece il Monumento al Carabiniere e l’opera dedicata a Edmondo De Amicis in piazza Carlo Felice; portò a termine anche alcuni lavori di Calandra. La tomba Boido risale al 1907 Il basso rilievo in marmo bianco rappresenta la morte come tramite per la pace eterna accompagnata dagli angeli protettori.
Mariagrazia Castiglione Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Andrea Zanatta Photography
PRATIS DI PIETRO CANONICA
Pietro CANONICA–(Moncalieri1869-Roma1959) Cresciuto nelle botteghe del Gerosa e dell’Argenti, a soli 12 anni entra all’Accademia Albertina dove diventa allievo di Tabacchi. Il marmo non ha alcun segreto per lui, ma lavorerà anche il bronzo e il gesso. È un artista a tutto tondo: l’amore per la musica lo porterà ad essere anche compositore lirico. In una Torino di fine secolo vivacissima in pieno fermento sia politicamente che artisticamente, una città “moderna” in piena industrializzazione e con una borghesia illuminata pronta a riscrivere anche urbanisticamente le nuove esigenze di una società moderna in pieno cambiamento, Canonica partecipa da comprimario alla cosiddetta “scultura nuova piemontese” contro la quale si scagliano i futuristi. Tappe importanti nel suo percorso artistico Roma e Firenze. Partecipa alle maggiori esposizioni italiane ed estere. Una vita costellata di successi: numerosi monumenti funerari ma anche soggetti sacri, si afferma anche come ritrattista dei vip dell’epoca. Nel 1914 ottiene la cattedra di scultura prima a Venezia e poi a Roma. Giroinfoto Magazine nr. 53
Tra le opere monumentali si segnalano: i monumenti all’Artigliere e ai Cavalieri d’ Italia a Torino, all’ Alpino a Courmayeur e a Biella; a Roma il monumento a Simon Bolivar e ad Agrigento quello dedicato ai “Caduti”. La tomba Pratis risale al 1908. Uno dei lavori migliori del Canonica: la bambina defunta che si appoggia al cerchio, davanti ad un rilievo che rappresenta un gruppo di angeli che l’aspettano. Una bambina (L.V. - Gennaio 1898 - Marzo 1907), raffigurata quasi a tutto tondo ancora secondo i canoni della verosimiglianza, si appoggia al cerchio con cui giocava, e pare ascoltare le voci degli angeli che, appena profilati nel bassorilievo di fondo, creano un tenue effetto pittorico; essi suggeriscono la continuità della vita spirituale dopo la morte. Una targa sotto la parte scultorea reca un 'iscrizione con dei versi tratti liberamente dalla poesia “Funere mersit acerbo”, di Carducci: "ELLA GIOCAVA PER LE PINTE AIOLE E ARRISA PUR DI VISION LEGGIADRE L'OMBRA L'AVVOLSE: Al DOLCI GIOCHI E AL SOLE VOLGE ORA IL CAPO ED A CHIAMAR LA MADRE". Mariangela Boni Photography
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Cinzia Carchedi Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Mariangela Boni Photography
GAMBARO DI EDOARDO RUBINO
La tomba Gambaro risale al 1916-1920 Una struttura architettonica con dei gradini nella parte centrale sorregge un gruppo scultoreo raffigurante L'angelo della Resurrezione, il quale â&#x20AC;&#x153;con la posa del corpo, col gesto, con l'ala, in una stretta sintesi, compone il gruppo e dĂ sfondo oscuro alle immagini'' delle due giovani donne, che avanzano serrate e protette dall'ombra" (Jona) . Il parapetto collocato nella parte posteriore reca le iscrizioni: IN TE DOMINE / SPERAVI e IN TE DOMINE / FIDAVI, disposte in modo da formare, sul lato anteriore, una terza epigrafe: SPERAVI IN TE.
Lorena Durante Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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CIMITERO MONUMENTALE TORINO
Andrea Barsotti Photography
MORIONDO DI CESARE REDUZZI
Cesare REDUZZIâ&#x20AC;&#x201C;(Torino,1857-1912 ) Scultore, allievo di Tamone e Tabacchi, fu autore di opere a tema vario quali le terrecotte La fede e Al torrente per dedicarsi quindi alla statua col Tiberio Claudio e altre opere tra cui numerosi monumenti funerari. Fu anche docente all'Accademia Albertina di Torino. La tomba di Moriondo risale al periodo del 1906-1908. Figura marmorea di giovane donna in atto contemplativo avvolta dalle vesti della figura sullo sfondo simboleggiante la Morte.
Massimo Tabasso Photography
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CIMITERO MONUMENTALE TORINO
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Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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MI'NDUJO - IDENTITÀ CALABRESE
A testimonianza della valorizzazione della cultura gastronomica locale, Band of Giroinfoto ha scovato una paninoteca dal sapore rigorosamente calabrese, che ha come mission quella di servire prodotti tipici di qualità, provenienti esclusivamente da aziende locali: questa è
Mi’ndujo A cura di Silvia Riccardi Giroinfoto Magazine nr. 53
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Siamo andati a conoscerli nel nuovo punto vendita che dalla metà di dicembre scorso ha aperto a Roma, presso il centro commerciale Aura in Via di Valle Aurelia. È il primo ristorante della catena che apre al di fuori dei confini calabresi, due si trovano a Rende, uno a Cosenza. Nascono a partire dal 2007 con il nome di Panino Genuino; l’idea del fondatore Marco Zicca è quella di creare un modello di ristorante con una spiccata identità locale, che faccia della semplicità e qualità degli ingredienti il suo punto di forza e che sia facilmente replicabile in altre città.
Silvia Riccardi Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Silvia Riccardi Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Il protagonista assoluto è il panino; la scena è tutta sua quando, dal vetro del forno, si lascia ammirare mentre in soli 60 secondi magicamente lievita cuocendo. Non a caso da Mi’ndujo, come spiega Eugenio Scarlato che ci ha cortesemente guidato nella nostra visita, gli piace descrivere il momento della preparazione del panino come un “piccolo show food" in cui tutte le fasi della preparazione si svolgono a vista.
“Eugenio, in che cosa consiste questo show?” “Tutti i componenti del panino sono preparati al momento, da noi non c’è niente di precotto! A partire dal pane che, seguendo un’antica ricetta di famiglia viene impastato e lasciato lievitare per 24 ore, al momento dell’ordine viene infornato ed in 3 minuti è già cotto; contemporaneamente nelle 5 postazioni gli ingredienti utilizzati per la farcitura vengono cotti sulla piastra, e una volta pronti vengono aggiunti al panino appena sfornato”.
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L’organizzazione è perfetta; dal momento dell’ordine passano 3 minuti ed è interessante vedere come il panino prende forma attraverso un’opera di composizione creativa. “Quali sono gli ingredienti che meglio esprimono la vostra identità locale?” “Tra tutti sicuramente il caciocavallo, la salsiccia di carne fresca, la cipolla di Tropea e la ’nduja che sono presenti in tutti i panini. Ci sono poi ingredienti di ultima introduzione come le cime di rapa.”
“Perché avete scelto il panino come prodotto per rappresentare il sapore di Calabria?” “Perché il panino esprime al meglio l’idea di semplicità che vogliamo portare avanti, così come semplici sono tutti gli ingredienti che lo andranno ad arricchire. La nostra idea è quella di portare in tavola un prodotto completamente artigianale, in cui la qualità sia la caratteristica principale”.
“Qual’è la ragione per cui scegliete rigorosamente fornitori locali?” “Perché vogliamo far conoscere i sapori tradizionali della nostra terra, per garantire la massima qualità possibile, e questo è possibile soltanto attraverso un rapporto stretto di collaborazione con le aziende che operano nel territorio; ma anche allo scopo di sostenere la nostra economia locale. Tutti i prodotti, a partire dalla farina biologica, passando per la carne, i salumi, le verdure, fino al tonno provengono soltanto da aziende locali”.
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Silvia Riccardi Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Silvia Riccardi Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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I L PA N I N O C A L A B R E S E “I panini, o meglio “i paninazzi”, come li chiamate, hanno dei nomi tipicamente calabresi (Mi Sciupu, Bisignano, Ton Pippo, Conzativicci), qual è il panino preferito dai clienti e quali sono gli ingredienti? “ “Il panino più amato è senza dubbio il Bisignano, un vero e proprio evergreen; è preparato con hamburger di carne fresca calabrese, pancetta croccante, cipolla rossa di Tropea, caciocavallo e maionese, il tutto all’interno del pane biologico appena sfornato”. Ai panini che serviamo tutto l’anno affianchiamo dei panini stagionali come il Mi Arrapa, con le cime di rapa, il Totonno con tonno e il Ghiotto. Non manca il panino vegetariano con mozzarella di bufala, zucchine e melanzane grigliate e peperoni arrostiti. Ad accompagnare i panini ci sono sempre delle patatine cotte al momento”.
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“A Roma avete aperto dalla metà dicembre, come siete stati accolti?” “La risposta che abbiamo avuto è stata veramente buona, i clienti si dimostrano soddisfatti di assaggiare un panino preparato esclusivamente con prodotti freschi e di qualità che, al tempo stesso, rispetti i tempi di un fast food”.
“I romani quindi hanno gradito la vostra proposta culinaria calabrese?” “Assolutamente sì, hanno dimostrato grande curiosità per il prodotto che presentiamo, ma nel locale di Roma ci sono anche tanti clienti calabresi che vengono a mangiare da noi per ritrovare sapori a loro familiari”.
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L’arredamento del locale è essenziale e la scelta dei colori estremamente efficace. Il personale, cortese e disponibile, è composto da tutti ragazzi calabresi che hanno una gran voglia di far conoscere un prodotto di cui vanno fieri, che parla di loro e delle loro radici. Si respira una piacevole atmosfera. Si percepisce chiaramente una grande attenzione alla qualità del prodotto e del servizio che altro non è che l’orgoglio di chi ama profondamente la sua terra ed è entusiasta di far conoscere a tutti le sue bellezze. È un viaggio attraverso una cultura culinaria, che permette al cliente di esplorare una terra fiera e determinata attraverso i suoi sapori, colori e profumi.
www.mindujo.it
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CALTAGIRONE
Collina dei vasi, regina delle montagne, terra di argilla, fortezza delle giare, città delle ceramiche, tanti sono i nomi per ricordare Caltagirone, provincia catanese dalle origini antichissime, addirittura preistoriche. Posta a 68 chilometri da Catania e a 608 metri sul livello del mare, la città domina la piana di Catania e di Gela, in una scenografica posizione ad anfiteatro tra i Monti Iblei e i Monti Erei.
In occasione dei 60 anni di mio padre organizzai un viaggio insieme a lui nella sua città natia: Caltagirone. Un viaggio nello spazio ma soprattutto nel tempo, tra i ricordi della sua infanzia. Incredulo per la sorpresa, mio padre accolse con l’entusiasmo di un bambino il mio regalo e iniziò subito a fantasticare e a elencarmi tutti i posti imperdibili da visitare e tutte le prelibatezze da degustare insieme! Mio padre è sempre andato più che fiero della sua città e fin da piccola mi raccontava con orgoglio di Caltagirone come la città conosciuta in tutto il mondo per le sue ceramiche, i presepi e per la sua bellezza unica.
A cura di Silvia Petralia
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CALTAGIRONE
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Così arrivò il giorno della partenza: sveglia presto, zainetti, merenda, tanta curiosità, e via! Caltagirone, dichiarata patrimonio dell’Unesco nel 2002, è una città siciliana di 40000 abitanti ricca di storia e di tradizioni, sita in provincia di Catania, a circa 60 km dall’aeroporto. La città viene anche chiamata “La regina dei Monti Erei” perché sorge su un rilievo compreso fra la piana di Gela e la piana di Catania, sui monti Erei, appunto. Camminando per il centro della città è facile rendersi conto delle origini antichissime di Caltagirone, dove si distinguono tracce della presenza greca, romana e bizantina, e molte altre. La storia di Caltagirone ha origini preistoriche, tuttavia gli abitanti fanno risalire la nascita della città al 25 luglio 1090, quando il Conte Ruggero il Normanno entra trionfalmente in città dopo aver sconfitto definitivamente le truppe Musulmane, dopo anni di conflitti. In ricordo, fu edificato il tempio di S. Giacomo (patrono della città). Sotto i Normanni la Sicilia tornò ad avere un ruolo di prim’ordine, sia in termini politici, sia per il proprio fascino, richiamando numerosi scienziati e artisti. I Normanni edificarono sontuosi palazzi, sfruttando manodopera sia locale (arabi e greci) sia straniera (in prevalenza egiziani), per questo motivo molte delle opere ancora oggi apprezzabili presentano caratteristiche arabonormanne. In seguito ci fu la rifondazione di Caltagirone, il cui nome probabilmente deriva dall’arabo “Qalat Al-Girani” che significa il castello delle grotte.
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LA PIAZZA COPERTA Silvia Petralia Photography
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Se visitate Caltagirone non potete non ammirare la nota “ Piazza Coperta”. All’interno della piazza, nella Galleria Sturzo, sono presenti i dipinti di Pino Romano a testimoniare la cruenta battaglia tra normanni e mussulmani. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la città fu pesantemente bombardata dagli angloamericani e molti monumenti importanti furono irrimediabilmente distrutti. Negli anni sessanta e settanta, Caltagirone si spopolò a causa del massiccio esodo degli abitanti verso il nord, in cerca di lavoro.
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L’opera architettonica più famosa della città, non distante dalla piazza del Municipio, è la scala di Santissima Maria del Monte. Mio padre nacque in una casa proprio sulla famosa scalinata, penso derivi da qui il suo amore per le scalate! Opera unica al mondo, la scalinata è composta da ben 142 gradini decorati da maioliche che narrano la storia della città e della ceramica calatina: le decorazioni delle maioliche dei gradini richiamano diversi periodi storici, dal X secolo al giorno d’oggi. La scala viene illuminata per 4 sere all’anno in 2 periodi diversi: il 24 e 25 luglio in occasione della festa di San Giacomo (festa molto sentita perché S Giacomo è considerato il protettore delle truppe Normanne che liberarono la città) e il 14 e 15 agosto. In queste sere, alle 21.30 gli abitanti accendono i lumini alimentati ad olio d’oliva nei 3000 coppi multicolore e la scala si illumina formando così un tappeto di luci e colori.
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Era una meravigliosa giornata di sole quando percorsi la scalinata, così mi attardai qualche minuto per scattare fotografie e riposarmi su uno dei 142 gradini. È facile imbattersi in gatti randagi che gironzolano su e giù per la scala, in cerca di un po’ di coccole. La salita potrebbe risultare faticosa, ma non si può davvero evitare di percorrerla se si viene a Caltagirone. Per spezzare il ritmo potreste approfittarne per visitare i negozi storici di ceramica presenti a lato della scalinata. Terminata la scalinata, potete perdervi nei piccoli vicoli caratteristici. La passeggiata oltre ad essere molto rilassante, vi permette di osservare scorci interessanti o di imbattervi in più o meno improvvisate botteghe artigiane.
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Caltagirone dispone di cave di argilla e foreste che hanno fornito per anni il combustibile necessario per la produzione di ceramica. Le botteghe di Caltagirone non hanno mai smesso di produrre ceramiche nonostante terremoti, dominazioni e conquiste! Dopo i sismi, le botteghe dove producevano la ceramica erano le prime a essere ricostruite. Consiglio quindi una visita al Museo delle ceramiche dove potete trovare reperti che partono dal 2.500 a.C. fino ai giorni nostri e i forni dell'epoca, riprodotti in scala. Il biglietto di ingresso costa 4,00 Euro.
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Nei pressi del museo delle Ceramiche è presente il polmone verde di Caltagirone: la Villa comunale Vittorio Emanuele, riconosciuta fra i 10 giardini pubblici più belli d’Italia (l’unico siciliano) . Il giardino, in stile Liberty, è opera dell’architetto Giovan Battista Filippo Basile. Si estende per circa 10 ettari, è aperto tutti i giorni e l’ingresso è libero. Il giardino della villa regala passeggiate rilassanti in una ricca varietà di vegetazione tra le piante e i profumi di lantana e pitosfero, alberi di acacia, sophore, dei tigli, accompagnati dal canto della varietà di volatili come l’allocco, il merlo, l’usignolo e la cinciallegra. Opera esclusiva della Villa è il Palco Moresco con rivestimento in maiolica che si erge nel grande piazzale del giardino pubblico, da sempre utilizzato come luogo per la banda musicale. Il palco, come altre costruzioni all’interno del parco, richiama i colori tipici della città: l’azzurro, il verde e il giallo. Caratteristico anche l’ingresso principale con i due piloni sormontati da leoni accovacciati e il teatro. All'interno, lungo i viali, si trovano vasi in terracotta, terrecotte ornamentali e maioliche, le più note sono le cosiddette teste di Moro, che troviamo anche in diversi punti della città e addirittura sui balconi delle case. Viene in seguito costruita la grandiosa balaustra, in terracotta in stile floreale e, alla fine dell’Ottocento, la grande zoccolatura in bugne di pietra lungo tutta la via. Proseguendo verso una stradina del parco in discesa si arriva a lato di una grande gabbia, oggi vuota, ma mio padre testimonia che negli anni 60 era abitata da tre simpatiche scimmiette e che lui e altri bambini del posto trascorrevano i pomeriggi a giocare davanti alla gabbia fingendosi scimmie anche loro.
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Silvia Petralia Photography
Si narra che durante la dominazione dei Mori in Sicilia nel quartiere arabo di Palermo vivesse una bellissima fanciulla appassionata di giardinaggio. La ragazza un giorno incontrò un moro e se ne invaghì, lui ricambiò il sentimento, ma ben presto la giovane scoprì che il suo amato aveva un’altra famiglia ad attenderlo in oriente. La fanciulla si sentì tradita e umiliata così, in preda ad un raptus di gelosia, uccise il suo Moro nel cuore della notte mentre stava dormendo. Successivamente ne tagliò la testa e vi creò una sorta di vaso in cui piantò all’interno un germoglio di basilico di cui si prese cura giorno dopo giorno. La pianta di basilico crebbe rigogliosa, suscitando l’invidia dei vicini che non persero tempo a realizzare vasi in terracotta con le stesse sembianze della Testa di Moro. Il loro fascino colpì anche gli stilisti Dolce & Gabbana che nel 2014 li hanno resi protagonisti di una delle loro collezioni. Altri luoghi di interesse sono il Ponte di San Francesco, decorato con spallette in ceramica e il Palazzo della Magnolia, con ringhiere, portoni e balconi in terracotta decorati con le tipiche magnolie di ceramica. Nella città troviamo diverse chiese molto belle e di diversi stili. Annoveriamo la chiesa ottocentesca del S. Salvatore Giroinfoto Magazine nr. 53
che conserva una madonna cinquecentesca di Antonello Gagini al suo interno, oltre alle spoglie del noto fondatore del partito Popolare Italiano “Don Luigi Sturzo”, nato a Caltagirone dove fu anche prosindaco nel 1912. La Chiesa dell’immacolata, del XIII secolo, originariamente in stile gotico fu ristrutturata in stile barocco a seguito del grave terremoto del 1693. Da visitare anche la chiesa di S Maria del Carmine, Santa Chiara e la chiesa di San Domenico oggi sconsacrata e adibita ad auditorium, caratterizzata da due campanili gemelli. Caltagirone, oltre alle meraviglie architettoniche gode anche di una “squisita” tradizione gastronomica: durante il soggiorno ho assaggiato arancini, panzerotti buonissimi, tra i dolci tipici chiaramente non poteva mancare il cannolo e la frutta di marzapane. La frutta di marzapane, composta da mandorle e zucchero è prodotta esclusivamente con mandorle biologiche e con lo zucchero pastorizzato che permettono la purezza e la conservazione del prodotto, evitando di dover ricorrere all’utilizzo di additivi chimici. Caltagirone è una città ricca di storia, arte e bellezza che trasmette emozioni positive attraverso i suoi colori, i suoi profumi, i sapori, le luci e il calore che vi porterete sempre nel cuore.
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IL VILLAGGIO LEUMANN
IL VILLAGGIO DI Andrea Zanatta Barbara Tonin Elisabetta Cabiddu Fabrizio Rossi Giancarlo Nitti Giuliano Guerrisi Giulio Pascali Lorenzo Rigatto Maddalena Bitelli Mariagrazia Castiglione Mariangela Boni Massimo Tabasso Remo Turello
A CURA DI REMO TURELLO
Stefano Tarizzo
Il microcosmo socio-industriale
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La storia del cotonificio Leumann ha inizio con Isacco Leumann, svizzero, originario di un piccolo borgo sul lago di Costanza, che nel 1831 lascia il paese per giungere in Italia. Fermandosi a Voghera e a Lomello attraversa zone dove, grazie alla numerosa presenza di corsi d’acqua, stavano nascendo molte tessiture. Proprio in una di queste fabbriche inizia a lavorare come operaio. Alcuni anni dopo sposa Elisabetta, una connazionale, anche lei di religione protestante; non essendoci culti protestanti in Italia deve rientrare in Svizzera per il matrimonio. Da questa unione nascerà il primogenito Giovanni Napoleone. Isacco presta la sua opera in diverse fabbriche fino a divenire capo tessitore. Negli anni ’60 del 1800, riesce a rilevare una quota della sua fabbrica di tessitura nel centro di Voghera e
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così inizia la sua carriera imprenditoriale. Intanto farà studiare Napoleone all’estero, dove farà anche le sue prime esperienze lavorative. Ritornato in Lomellina Napoleone sposa Amalia Cerutti, una giovane borghese i cui genitori operavano in banca, e diventa socio nell'attività di suo padre. La fabbrica però coi suoi telai risulta rumorosa e la famiglia Leumann ha problemi con il vicinato. Inizia quindi la ricerca di un posto fuori dal centro abitato in cui dislocare gli impianti, ma senza successo. Contemporaneamente lo spostamento della capitale da Torino a Firenze e poi a Roma causa mancanza di lavoro nella città sabauda. Il governo dell’epoca avvia degli incentivi per gli industriali per impiantare le loro fabbriche in città o nella periferia: intorno al 1870 i Leumann iniziano la ricerca nei paraggi di Torino e individuano in un’area tra Collegno e Rivoli il terreno ideale per impiantare la fabbrica.
Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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L’area è circoscritta tra lo stradone reale alberato che da Torino porta a Rivoli (oggi Corso Francia), la bialera(*) di Orbassano e la bialera(*) di Grugliasco, corsi d’acqua fondamentali per far girare primordiali turbine che mettono in funzione i macchinari della tessitura. Nel 1874 viene quindi acquistato il terreno sul quale vengono costruiti i primi due capannoni e inizia il trasferimento dei telai e delle attrezzature. L’anno successivo viene chiuso l’opificio di Voghera e, agli operari della Lomellina, i Leumann danno la possibilità di trasferirsi nel torinese. Nuovi lavoratori arrivano alla fabbrica da Rivoli, Collegno, Grugliasco, Torino, dalle zone limitrofe, ma anche dalla Val di Susa e dal canavese. Ben presto vengono aggiunte altre campate ai capannoni dove trovano posto nuovi telai. Visto l'ingrandirsi della fabbrica, Napoleone Leumann decide di adattare un locale vicino all’ingresso a pronto soccorso, con un medico e un infermiere sempre presenti.
Lorenzo Rigatto Photography
Remo Turello Photography
(*)bialera: Termine piemontese per indicare un corso d’acqua o un canale spesso usato per i principali canali di irrigazione che portano acqua nei prati o nei campi. Giroinfoto Magazine nr. 53
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Il lavoro di tessitura è pesante e spesso anche pericoloso, gli infortuni non sono rari. Avere a disposizione un soccorso immediato per le fabbriche dell’epoca è un servizio innovativo e avanzato, suggerito a Leumann dai suoi trascorsi all'estero.
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Giulia Migliore Photography
Napoleone mette inoltre a disposizione della fabbrica un’auto per il trasporto dei casi più gravi alla struttura ospedaliera del Maria Vittoria di Torino, in cui ha a disposizione una camera con due letti costantemente riservati per i suoi dipendenti. Napoleone Leumann è un uomo colto con una profonda passione per il lavoro e un grande amore per la famiglia. Ha 5 figli: due femmine, che andranno in sposa a famiglie benestanti, e tre maschi, di cui uno muore in età precoce. Tra questi ultimi, Felice, seguirà le orme paterne, continuando la storia imprenditoriale della fabbrica. La sua umanità lo porta a porre grande attenzione verso i suoi dipendenti, ai quali richiede molta dedizione e diligenza sul lavoro, ma altrettanto egli offre in cambio. Per questa sua propensione verso il prossimo nasce il villaggio Leumann.
Barbara Tonin Photography
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Si tratta di un vero e proprio microcosmo dove i suoi dipendenti costituiscono una comunitĂ ; vi lavorano, ci vivono e Leumann offre loro tanti servizi innovativi. Fa edificare sui suoi terreni adiacenti alla fabbrica casette a 2 piani in modo che possano avere delle dimore comode e vicine. Le case sono costruite in stile liberty non appariscente, con fasce con rose e decori ancora oggi ben visibili sulle facciate ed elementi in ceramica e ferro battuto; sono divise da basse staccionate e ognuna ha un piccolo appezzamento verde di fronte o ai lati. Inizialmente erano presenti un lavatoio e servizi igienici per ogni gruppetto di case e successivamente vengono costruiti per ogni singola abitazione.
Mariangela Boni Photography
Elisabetta Cabiddu Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
La famiglia Leumann fornĂŹ inoltre gratuitamente la corrente elettrica ad ogni abitante del villaggio, insieme con una scorta di legna per il riscaldamento e fiori, in particolare gerani, per decorare i balconi e le finestre delle case. Fa progettare e costruire una rete idrica per il comune di Collegno, cosa fino ad allora inesistente, portando lâ&#x20AC;&#x2122;acqua nelle case.
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Giulio Pascali Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Giuliano Guerrisi Photography Le abitazioni degli impiegati si trovavano in una palazzina che aveva al pianterreno un dopolavoro e uno spaccio alimentare. I gestori dello spaccio erano anch’essi dipendenti stipendiati di Leumann e quindi potevano vendere ai prezzi con cui compravano.
Giancarlo Nitti Photography
Affinché non venisse gente da fuori villaggio a fare acquisti a tali prezzi, venne creata una moneta interna che poteva essere spesa nel villaggio. Una parte dello stipendio veniva dato in quella carta moneta (quello che oggi potrebbero essere i ticket) in base al numero dei componenti del nucleo familiare. Per le mamme lavoratrici predispone un asilo nido affinché possano recarsi al lavoro e avere un ambiente sicuro che si occupa dei propri figli; il lavoro delle donne era particolarmente ricercato, le loro mani, più piccole di quelle maschili, si adattano molto bene alla tessitura. Per le lavoratrici più giovani, che non potevano vivere da sole, fa fabbricare un convitto, gestito da suore.
Fabrizio Rossi Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Andrea Zanatta Photography
Erano presenti camerate con ampie finestre per avere molta luce perché nella fabbrica la luce non era molta e soprattutto vi era molta umidità. Fa poi costruire anche un albergo per ospitare tecnici lavoratori temporanei e mercanti che vengono ad acquistare tessuti. Proprio di fronte al villaggio sorge la “stazionetta”: l'unica fermata che potevano utilizzare i lavoratori che non risiedevano al villaggio per poter arrivare alla fabbrica in mezzo ai campi, con il trenino che collegava Rivoli con Torino.
Foto archivio Rita Trucco
Dove oggi sorge il negozio di vendita nel grande capannone che mantiene le strutture portanti in ghisa esattamente come all’epoca un tempo c’erano i telai azionati da cinghie che erano collegate a terra con dei motori attivati da turbine. Queste ultime erano azionate a vapore e dalla fine ‘800 furono trasformate in elettriche. Nel villaggio erano anche presenti un grande edificio destinato a teatro e altri locali utilizzati come palestra dai gruppi di schermitori, ciclisti e poi calciatori; per le ragazze era presente un locale destinato alle prove per un gruppo musicale.
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Mariangela Boni Photography
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Altra struttura fondamentale del villaggio era la scuola: infatti a Collegno in quel tempo non era presente alcuna scuola. Quella del villaggio fu la prima scuola della zona e potevano accedervi sia i figli dei dipendenti che i bambini delle zone limitrofe. A quel tempo non esisteva ancora l’obbligo scolastico per cui chi voleva mandare i figli a scuola poteva farlo al villaggio. La famiglia Leumann organizza anche la costruzione di un edificio per il culto. Seppur di religione protestante sa che i suoi dipendenti sono cattolici e pensa ad una chiesa che possa non disturbare né gli uni né gli altri. Il progetto viene affidato a Pietro Fenoglio, un esponente dello stile Liberty di Torino. La chiesa, composta da un’unica navata, presenta una grande vetrata alle spalle dell’altare che conferisce molta luminosità all’interno.
Andrea Zanatta Photography
Stefano Tarizzo Photography
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Maddalena Bitellii Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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La vetrata rappresenta una grande immagine dell’arcangelo Gabriele, figura cara sia ai cattolici che ai protestanti, che nasconde in parte la croce in secondo piano. La chiesa è intitolata a Santa Elisabetta d’Ungheria, principessa diventata santa anche per le sue opere di beneficenza verso i poveri. Mariagrazia Castiglione Photography
La scelta fu dettata dall'importanza che dava Napoleone Leumann alla beneficenza e un omaggio alla propria madre, che si chiamava proprio Elisabetta. Nel 1946 la chiesa diventa anche parrocchia e non più solo chiesa del villaggio. Anche il sacerdote della parrocchia viveva nel villaggio ed era stipendiato direttamente dalla famiglia Leumann.
Giuliano Guerrisi Photography
Le statue presenti sulle pareti della chiesa sono state introdotte poco per volta e rappresentano Santa Elisabetta, la Beata Vergine Consolata, molto cara ai torinesi e Sant’Antonio da Padova perché arrivarono molte ragazze dal padovano e portarono con sé la devozione al loro santo. La chiesa, in cui oggi si celebrano riti sia cattolici che ortodossi, venne già costruita con un sistema di riscaldamento avanzato; grazie a delle condutture che portavano l’acqua scaldata dalle turbine per il funzionamento delle macchine fin sotto il pavimento della chiesa venivano riempite delle serpentine che riscaldavano la chiesa.
Giulia Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Stefano Tarizzo Photography
Durante la Prima guerra mondiale il dormitorio viene offerto da Leumann come ambiente da utilizzare come ospedale per la cura dei feriti che giungono dal fronte e nella casa adiacente prendono alloggio medici e infermieri. Nella Seconda guerra mondiale invece la fabbrica viene occupata dai tedeschi. L’occupazione però non crea grandi problemi alla famiglia Leumann, forse per le sue origini svizzere di ceppo germanico, e negli anni tra il ’40 e il ’45 la fabbrica continua a lavorare. Fino a quel periodo la struttura rimane immersa nel verde e nella campagna, in quanto i paesi più vicini, Grugliasco e Collegno sono a circa 3 km, ma dalla metà degli anni ’50 la situazione cambia e le abitazioni si avvicinano sempre di più. Il successore, Roberto Leumann, agli inizi degli anni '70, si trova costretto a chiudere il cotonificio, tenendo per sé ancora una porzione della fabbrica, quella riservata alla tintura dei tessuti, fino al 2007. Alla completa chiusura della fabbrica le case vengono vendute al comune di Collegno. Oggi è possibile visitare alcuni locali del villaggio che sono stati adibiti a museo grazie all’attività volontaria dell’Associazione Amici della scuola Leumann. Nel museo sono state ricreate alcune stanze delle casette, decorate con oggetti in uso per la tessitura.
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Maddalena Bitelli Photography
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Intervista a Rita Trucco, Ex dipendente Leumann
Nel nostro giro di visita al villaggio Leumann ci ha accompagnato la signora Rita che , con grande curiosità, ci ritornava per la prima volta dopo quasi 50 anni!
“Per quanti anni ha lavorato al cotonificio?” “Per 12 anni. Ho iniziato a settembre del ’59 e ho lavorato fino alla chiusura della fabbrica. Anche mio marito Francesco lavorava qui a Leumann, lui era in magazzino.” “E Lei che lavoro svolgeva?” “Ero in sala campionario. Preparavamo le cartelle con i campioni di stoffa per i rappresentanti. Quando venivano a prendere i campionari, spesso nei cambi di stagione, erano giorni frenetici. Facevamo vedere loro e, soprattutto toccare, le stoffe direttamente sulle pezze. In questo modo potevano apprezzare le caratteristiche del prodotto e “venderle” al meglio.” “E poi arrivavano gli ordini…” “Spesso prima arrivavano dei pre-ordini. Gli acquirenti ci chiedevano tagli di stoffa più grandi di quelli del campionario per potersi fare meglio un’idea del tipo di stoffa. Noi preparavamo i pacchi con i tagli richiesti e poi venivano spediti” “Da dove arrivavano le richieste di acquisto?” “Da tutta Italia e da molti paesi d’Europa. In particolare ricordo molte richieste dalla Germania, dalla Spagna e dalla Francia”
Foto archivio Rita Trucco
* ”Monsù”: termine piemontese che indica “Signor” Giroinfoto Magazine nr. 53
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IL VILLAGGIO LEUMANN
“Negli anni ’60 chi dirigeva l’azienda?” “Erano due fratelli della famiglia Leumann. L’ing. “Max”, chiamato così, era un uomo statuario, alto, serioso, lo vedevamo di rado, si occupava della tessitura e dei rapporti con la clientela. Il fratello, Monsù* Federico, il Presidente, era invece una figura minuta, seguiva la produzione, spesso lo incontravamo sul nostro posto di lavoro.” “Come si arrivò alla chiusura del cotonificio?” “Alla morte dei fratelli Leumann ci fu una questione di eredità. L’Ing. Max non aveva figli, Monsù Federico aveva un unico figlio, Roberto, che seguiva principalmente la tintoria e il finissage dei tessuti che tra l’altro furono le uniche divisioni della fabbrica a non chiudere in quel 1972. Ma l’eredità coinvolgeva anche il ramo femminile della discendenza, tra cui una sorella andata in sposa ad un discendente della famiglia imprenditoriale Martini & Rossi. Quando si trattò di ereditare la fabbrica, i Martini Rossi riconobbero di sapere tutti i segreti per produrre un liquore, ma il mondo della “stoffa” era un perfetto sconosciuto.” “Questa giornata l’ha riportata indietro nel tempo” “Sì, è stato molto piacevole. Mi sono tornati alla mente tantissimi ricordi, in particolare di persone che ci lavoravano, molte delle quali vivevano al villaggio. Ho rivisto con emozione i luoghi. Lavorare a Leumann era un po' come esser in famiglia; offriva molti servizi e c’era tanta passione per quello che facevamo.”
Foto Archivio Rita Trucco
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Foto Archivio Rita Trucco Giroinfoto Magazine nr. 53
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WORKING GROUP 2019
BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project
PIEMONT
ITALIA
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L OMBARDI
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LAZIO
ORINO ALL AMERICAN
REPORT
Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 53
LIGURIA
STORIES
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COME FUNZIONA
Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.
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CHI PUÒ PARTECIPARE
Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.
PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.
SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto si trova a Torino con sezioni a Genova, Milano e Roma. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.
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Da n bzo Tra o di ster ona al M el Sum a
A cura di Monica Gotta
Come dicevo nel precedente articolo pubblicato sul n. 38 su Ani Citadel, un viaggio in Turchia è una splendida esperienza per coloro che decideranno di intraprenderlo. È un grande paese con una forte identità culturale. Visto che anche questa località non è proprio su tutti gli itinerari turistici, vi confido che la campagna conserva un'atmosfera tradizionale e zone più impervie regalano al visitatore degli scorci paesaggistici unici nelle loro caratteristiche e nei colori.
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iamo in Anatolia.
Sappiate che l'Anatolia o Asia Minore, come fu nota ai latini, è una regione peninsulare dell’Asia occidentale, comprende gran parte dell’odierna Turchia e le appartiene politicamente.
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u sede d’insediamenti preistorici e culla delle più antiche civiltà mediorientali. Il suo nome deriva dal greco anatolè, "paese di levante", "punto dove sorge il sole, Oriente". L’Anatolia fu sottoposta alle principali dominazioni tardo-antiche e medievali che si avvicendarono sul Mediterraneo orientale e sugli altipiani montuosi al confine con l’Asia. Fu anche culla di una moltitudine di civiltà e di organizzazioni statali durante tutto il corso della storia dell’umanità. La posizione strategica di comunicazione tra Asia ed Europa, fa dell’Anatolia la culla di numerose popolazioni fin dall’età preistorica.
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’Anatolia fu rivendicata dal movimento nazionalista di Mustafa Kemal, meglio noto con il nome di Atatürk, come il nucleo territoriale nel quale sarebbe rinato lo Stato Turco, dopo la perdita dei territori europei e mediorientali e di gran parte del dominio insulare.
er arrivare in Turchia sono disponibili voli aerei a prezzi abbordabili verso Istanbul ed Ankara dalle quali potrete raggiungere Trabzon (Trebisonda) con un volo interno di circa un’ora e mezza. Una soluzione alternativa ed avventurosa è viaggiare con i mezzi pubblici. Ci sono autobus di diverse compagnie in partenza da Istanbul e da Ankara verso Trabzon. A seconda di quanto siete "temerari" potrete approfittare di questo viaggio per ammirare i panorami, fare amicizia con l'autista che sarà ben felice di condividere con voi informazioni, notizie utili, indicazioni sui piatti della cucina turca da non perdere, i segreti dei luoghi più impensati e imparerete qualche vocabolo della lingua turca. L'affitto di una macchina invece vi darà la libertà di programmare delle tappe di vostro interesse durante il viaggio di circa 900 km da Istanbul e circa 740 km da Ankara.
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e volte viaggiare in auto, facendo una piccola deviazione dal percorso suggerito, potrete ammirare Amasya, la “Città dei Principi”, così chiamata in quanto i figli dei sultani, prima di prendere il posto dei loro padri, venivano educati alla politica, alle questioni di stato ed istruiti per ricoprire il ruolo di prefetto in questa città, come se fosse una versione in miniatura dell'Impero. Ne parleremo in un altro articolo però. Ma non è certo l’unico luogo d’interesse lungo questo tragitto. Troverete mercati, luoghi storici, ma soprattutto incontrerete le persone di questo splendido paese che sono molto accoglienti.
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Le sistemazioni alberghiere sono di facile reperimento e dotate di tutte le facilities a cui siamo abituati. In alcuni casi si possono definire "spartane" considerando luoghi pochi frequentati dal turismo, ma sempre pulite, decorose e gestite da persone disponibili ed estremamente amichevoli. Per le lettrici femminili suggerisco di tenere a mente che in questo paese, per entrare nelle moschee e in luoghi sacri, è necessario avere spalle e gambe coperte, spesso anche il capo, e piedi scalzi. Non è inusuale trovare all'ingresso di questi luoghi pezzi di abbigliamento che vengono affittati per poter entrare nel luogo che desiderate visitare. Trabzon è uno di quei posti che può attrarre quanto risultare poco affascinante. Si può essere affascinati dall'atmosfera un pò particolare della città portuale oppure apprezzarne la spumeggiante vena cosmopolita. Probabilmente è la più sofisticata tra le città costiere della Turchia e del Mar Nero.
Il passato della regione rivive nell'incantevole chiesa medievale di Aya Sofya e nel Monastero di Sumela. Visto che si fa tappa a Trabzon vale la pena di dedicare qualche ora alla Chiesa della Sapienza Divina, un tempo chiamata Hagia Sophia. Trasformata in museo, in origine chiesa grecoortodossa è stata convertita a moschea nel 1584. E' datata intorno al XIII secolo, periodo tardo bizantino, quando Trebisonda era la capitale dell'Impero omonimo. Si trova vicino al mare ed è uno degli edifici bizantini ancora esistenti in quest’area. È posizionata su una spianata che in antichità ospitava un tempio pagano. Viene descritta come uno degli esempi più raffinati dell'architettura bizantina, caratterizzata da un'alta cupola centrale e da quattro grandi archi a colonna che la sostengono. Sotto la cupola c'è un pavimento di pietra multicolore. La chiesa è stata costruita con una pianta a croce greca. Gli affreschi del tardo XIII secolo si sono rivelati durante il restauro dell'Università di Edimburgo e illustrano temi di ispirazione biblica e del Nuovo Testamento. Rilievi figurativi in pietra e altri ornamenti sono in linea con le tradizioni locali trovate in Georgia. Ad ovest della chiesa sorge un alto campanile a pianta quadrata alto 40 metri, costruito nel 1427 e contiene altri affreschi. Il campanile fu utilizzato anche come osservatorio da astronomi locali. Giroinfoto Magazine nr. 53
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Partendo da Trabzon per andare al Monastero di Sumela il tragitto non è molto lungo. Circa 50 km di strada in auto, approssimativamente 1 ora di tempo tenendo presente che se la strada ha subito dei dissesti potrebbe volerci un po’ di più. Ma arriviamo ora al monastero. Ci sono due modi per salire e scendere: a piedi oppure con un mezzo. A seconda di cosa decidete di fare avrete diverse visioni di questo luogo ameno. Salire o scendere a piedi lo si fa attraverso un piccolo sentiero immerso nel verde, un sentiero poco ripido accessibile a tutti. Adottare questa soluzione significa godersi il tragitto in profonda serenità e silenzio prima di arrivare a vedere questa meravigliosa struttura architettonica che si è amalgamata con la roccia. Incastonato nella parete di pietra a picco sul dirupo, nel silenzio di un luogo impervio, è ammantato di mistero, spesso avvolto dalla nebbia che suscita nel visitatore sentimenti di rispetto, serenità e stupore per la bellezza del territorio e del sito in sé. Un punto panoramico lungo la strada che conduce al monastero ce lo mostra sospeso sulla parte rocciosa e avvolto tra le fronde della foresta.
Era un luogo sacro e una scuola dove si insegnava ai nuovi monaci. Si vocifera che qui fosse custodita un’icona che faceva miracoli ed era anche famoso per la sua fonte termale di guarigione. Per questo fu il più importante sito di pellegrinaggio dei Greci del Mar Nero e, ad oggi, ospita centinaia di migliaia di visitatori ogni anno. Gli acquedotti e le scale che conducono al monastero sono stati utilizzati per il restauro e l'abbellimento iniziato a settembre 2015, lavori che sono durati circa 3 anni e mezzo. Sono state pulite circa 4 mila tonnellate di rocce ed è stato organizzato un percorso a piedi di 300 metri. Era già da tempo che si pensava di procedere alla messa in sicurezza della parete soprastante così si è proceduto anche al restauro di alcune parti del monastero stesso. Al di sopra del complesso è anche emersa un’altra
cappella affrescata con scene del Giudizio universale. Verso la fine del 2020 ci sarà il completamento degli interventi e solo allora per i turisti sarà possibile tornare di fronte alla chiesa nella roccia con affreschi trecenteschi che rappresentano scene bibliche della Vergine e di Cristo. Il monastero greco-ortodosso della Vergine Maria fu costruito su un dirupo a strapiombo sulla valle dell'Altindere a 1200 metri di altitudine, la tradizione lo vuole fondato tra il 376 e il 395 sotto il regno di Teodosio I dai monaci Barnaba e Sofronio, divinamente investiti della missione di custodire e proteggere l’icona della Madonna (la Panagia Gorgoepikoos, ritenuta miracolosa), dipinta dall’evangelista Luca in persona. Anche dopo l'occupazione ottomana del 1461 il monastero continuò a essere protetto per ordine del sultano Maometto II.
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La comunità monastica continuò a viverci e restò fu una popolare meta di pellegrini e visitatori fino a XIX secolo. Dopo una breve occupazione russa dal 1916 al 1918, venne abbandonato con lo scambio di popolazioni tra Turchia e Grecia pattuita nel Trattato di Losanna del 1923. La comunità monastica fondò un nuovo monastero a Veria in Grecia. Una nota di rilievo è che il 15 agosto 2010, festa dell’Assunzione di Maria Vergine, in Oriente Festa della Dormizione di Maria, il governo turco ha consentito al patriarca ecumenico Bartolomeo I, di celebrare una messa dopo 88 anni, per dimostrare la volontà dello Stato di impegnarsi nella difesa e nel rispetto delle minoranze religiose.
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Oggi il Monastero di Sumela è protetto dall'UNESCO, è uno spazio museale i cui elementi principali sono la Chiesa nella roccia, diverse cappelle, sale di studio, cucine, un ostello, stanze per studenti, una biblioteca e una fonte miracolosa, molto venerata, non solo da fedeli cristiani ma anche musulmani. L'accesso al complesso avviene attraverso una lunga e ripida scalinata. L'entrata è custodita da due locali di guardia, la scalinata sbocca sulla grotta che è occupata da vari edifici monastici e dalla chiesa, affrescata sia all'esterno che all’interno. È facile notare le numerose influenze delle varie civiltà sulla sua architettura. Gli affreschi ortodossi greci costeggiano fontane di ispirazione ottomana. Le molte reliquie offerte nel corso dei secoli sono state spesso saccheggiate, mentre alcune sono esposte ad Ankara.
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La chiesa è composta di due parti, una ricavata dalla cavità naturale e l'altra costituita da un'abside annessa al corpo principale ed è coperta da affreschi multicolori e policromi raffiguranti soggetti sacri. Di pregevole effetto scenografico è anche l’acquedotto che alimenta il monastero, imponente ed edificato radente lo strapiombo roccioso, è connotato da una serie di arcate a sostegno del canale. Il Monastero di Sumela è uno dei luoghi più suggestivi nella zona di Trebisonda nonché una struttura storica di particolare rilevanza a ridosso del Mar Nero. È uno dei motivi per cui ho intrapreso questo viaggio in Turchia. Se ne avete la possibilità visitatelo alle prime luci dell’alba quando non c’è ancora molta presenza umana. Soprattutto, se sarete fortunati, lo vedrete apparire tra le soffici nebbie mattutine come se si volesse svelare solo agli occhi di coloro che ne sono degni.
Monica Gotta
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Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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A cura di Mariangela Boni
Barbara Tonin Chiara Borio Fabrizio Rossi Giancarlo Nitti Giulia Migliore Mariangela Boni Silvia Petralia Giroinfoto Magazine nr. 53
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Durante il nostro tour negli Stati Uniti si sono susseguite una serie di tappe che ci hanno regalato degli scenari naturalistici meravigliosi. E così, tra la tappa di Yellowstone con il ribollìo dei geyser, i vividi colori del Grand Prismatic Lake o le fantastiche cascate pietrificate delle terrazze policrome delle Mammoth Hot Springs (vedi n 50 di Giroinfoto Magazine) e quella degli incredibili archi di arenaria di Arches Park, ci fermiamo a Bonneville Salt Lake. Quello che si apre davanti ai nostri occhi è un paesaggio surreale: un’enorme e abbacinante distesa di sale, a perdita d’occhio.
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Giulia Migliore Photography
Siamo nello Utah Occidentale, a circa 200 km da Salt Lake City e a pochi chilometri dal confine col Nevada, lungo la I-80. Bonneville Salt Lake nasce dal prosciugamento del grande lago preistorico di Bonneville. Il lago ricopriva gran parte del versante orientale del Great Basin, una regione che includeva grandi porzioni di Nevada, Utah e Oregon sconfinando in California. Circa 14500 anni fa, a seguito del cambiamento climatico, il lago iniziò a prosciugarsi lasciando al suo posto alcuni laghi più piccoli dall’alta concentrazione salina, il più famoso tra questi è il Great Salt Lake, e il bacino prosciugato di 260 km2. Nonostante l’ambiente risulti essere piuttosto inospitale, gli esseri umani hanno vissuto nel Great Basin per migliaia di anni. Gli scavi nella vicina grotta di Danger hanno dimostrato l'occupazione della zona già 10.300 anni fa. La zona è chiamata così in onore del Capitano B.L.E. Bonneville, le cui spedizioni nel 1830 dimostrarono che l'area faceva parte di un antico bacino. La prima traversata documentata del deserto risale al 1845, ad opera del capitano John C. Fremont e dei ricognitori Kit Carson e Joe Walker.
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Diverse spedizioni negli anni successivi tentarono con scarso successo di tracciare nuove rotte, nonostante nelle sue testimonianze scritte Joe Walker lo sconsigliasse vivamente. Finalmente, nel 1910, fu completata la linea ferroviaria che attraversando Bonneville Salt Flats collegava Salt Lake City a San Francisco. Gli ampi spazi e l’isolamento furono i motivi che, nel 1944, spinsero il Colonnello Paul W. Tibbets a scegliere il deserto di Bonneville per condurre in gran segreto i primi test balistici di due bombe destinate poco dopo a divenire tristemente famose: “Little Boy” e “Fat man”, le due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki.
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Fortunatamente, Bonneville Salt Flats è conosciuta soprattutto per la Bonneville Speedway: il circuito dove si sono registrati numerosi record assoluti di velocità su ruote. Ogni estate, dopo le piogge invernali e primaverili, la distesa di sale si ricompatta e solidifica, trasformandosi in un terreno perfettamente pianeggiante, ideale come pista per correre. In realtà sono tre i circuiti che vengono realizzati: un ovale di 16-19 km dedicato alle prove di durata e due rettilinei che vengono utilizzati per cercare di battere i record assoluti di velocità. Il primo è lungo 16 km, l’altro è di 8 km ed è stato pensato per i veicoli più lenti. Gli aspiranti recordmen si ritrovano qui dal lontano 1912. Oggi ospita addirittura tre eventi all’anno dedicati ai record di velocità, il più importante dei quali è la Speed Week che si svolge ad agosto.
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Vediamo sfilare mezzi di ogni genere: auto storiche, motociclette, autobus, prototipi… Aggirandosi nei pressi della pista è facile imbattersi in diversi team che armeggiano attorno a mezzi dalle forme futuristiche, con carene affusolate e dalle linee estremamente aerodinamiche. Il primo record di velocità a Bonneville fu stabilito da Malcolm Campbell e dalla sua famosa Bluebird nel 1935: per la prima volta fu superata la soglia dei 480 kmh. L’ultimo primato stabilito a Bonneville risale al 23 ottobre 1970, quando Gary Gabelich con la sua Blue Flame, con motore a razzo raggiunse i 1.014 km/h.
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Il record di velocità attuale è dell’inglese Andy Green, che nel 1997, con la sua Thrust SSC, un veicolo con doppio propulsore turbojet, è arrivato a toccare i 1.227 km/h, primo uomo a superare la barriera del suono su un mezzo terrestre. L’impresa non è però stata realizzata a Bonneville, ma nel Black Rock Desert in Nevada, luogo in cui in effetti sono stati realizzati gli ultimi 3 record di velocità su terra. La pista di Bonneville è tanto famosa da avere dato il nome ad una motocicletta della Triumph ed a una vettura della Pontiac. A proposito di motociclette la storia di Herbert ‘Burt’ James Munro ha dell’incredibile, tanto da ispirare un film: ‘Indian - La grande sfida’, interpretato da Anthony Hopkins. A 16 anni acquista la sua prima motocicletta e da allora la passione per le due ruote e la velocità lo accompagnerà per tutta la vita. Elaborava egli stesso le sue moto. Il suo grande sogno era quello di tentare il record a Bonneville. Nel 1962 partì per l’America con un budget limitato tant’è che si pagò il viaggio in nave lavorando nelle cucine. Credendo che, come in Nuova Zelanda, bastasse presentarsi al via e firmare un modulo, rischiò di non poter gareggiare. Grazie alla sua amicizia con importanti esponenti della “Land Speed Record Fraternity” gli fu concesso di partecipare. Nel 1967, alla veneranda età di 68 anni, dopo diversi tentativi e svariate modifiche alla sua moto Indian, realizzò il record di velocità nella categoria motociclette carenate di cilindrata inferiore a 1.000cc, toccando i 323,478 km/h.
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Bonneville Salt Flats è amministrato dal Bureau of Land Management e dal 1985, per la sua geologia unica, storia e bellezza paesaggistica è stato classificato come area a rischio di interesse ambientale. Per questo motivo e per la propria incolumità, è richiesto ai visitatori di attenersi a delle semplici raccomandazioni. In primo luogo non abbandonare le strade tracciate: infatti, nonostante si presenti come una superficie dura, gran parte dell’area in realtà è una sottile crosta di sale su fango morbido che potrebbe rompersi facilmente sotto il peso di un veicolo. Non avventurarsi se la superficie è coperta d’acqua: in questo caso la superficie è più morbida e inoltre l’acqua salata può
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danneggiare seriamente l’impianto elettrico del veicolo. È vietato il pernottamento nelle saline. Potete campeggiare o nelle aree pubbliche circostanti oppure nella vicina Wendover. D’estate le temperature possono raggiungere i 38°C e scendere sotto i 0°C d’inverno. Non dimenticate gli occhiali da sole: la superficie salata è decisamente riflettente. Una volta terminata la visita è consigliabile lavare scarpe e auto in quanto il sale è fortemente corrosivo.
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Via del Campo c'è una graziosa gli occhi grandi color di foglia tutta notte sta sulla soglia vende a tutti la stessa rosa.
Con queste parole comincia uno dei capolavori di Fabrizio de André, Faber come amava chiamarlo il suo caro amico Paolo Villaggio e come lo chiamano tutti coloro che amano la sua musica. Probabilmente non avrebbe mai immaginato che proprio in Via del Campo 29 rosso un giorno sarebbe nato un luogo tutto suo, dedicato alla sua persona, alla sua musica, un luogo d’incontro per tutti gli artisti e le persone che lo hanno amato e che lo amano ancora oggi. Fabrizio de André nasce a Genova, nel 1940, è considerato oltre che un grande cantautore uno dei più grandi poeti italiani dell’età moderna. Le sue canzoni affrontano tematiche scomode per i suoi giorni, come per i nostri, quali la ribellione, la droga, la prostituzione. Con la sua musica dà voce agli emarginati, ai disgraziati d’ogni tempo. Di nascita borghese, sviluppò per contro le sue idee anarchiche nei suoi testi, rimarcando in ogni sua canzone le ingiustizie della vita. Non ci sono zone di grigio per Faber, o si odia o si ama; chi lo definisce un genio, chi si ostina ad incasellarlo in schemi mentali e politici, da lui sempre rifiutati, solo per ingabbiarlo nella definizione di radical chic rendendolo un simbolo, forse più un feticcio. Ma è proprio questo che combatteva con le sue idee, con le sue canzoni, con quei suoi testi tanto profondi quanto meravigliosi: abbatteva gli schemi, i dogmi, le gerarchie. L’uomo e la donna, sopra a ogni cosa, sopra alle regole, con i propri bisogni primordiali di cui spesso la società si vergogna ma con cui inevitabilmente deve fare i conti. Ecco perché amiamo Faber, perché parla di istinti, parla della terra, di ciò che è atavico, ancestrale, di tutto ciò che dai campi al trono ci unisce tutti.
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Ed è proprio intorno a questa figura che, nel 2010, la storica bottega musicale di Via del Campo 29 rosso di Gianni Tassio, viene ceduta dalla moglie al Comune di Genova e trasformata poi, il 25 febbraio 2012, nell’attuale Spazio Museo gestito da Cooperativa Sociale Solidarietà e Lavoro. Ad accoglierci, dopo aver percorso un corridoio sulle note delle canzoni di Faber, è Laura Monferdini con la sua cascata di riccioli d’oro ed il suo splendido sorriso. Nei suoi occhi la passione per Fabrizio e per la musica che va oltre al lavoro, come si può capire appena inizia a parlare. Ed è a lei che rivolgiamo alcune domande mentre mangiamo trofie e pansoti alla Trattoria Sociale di Vico Mele, proprio dietro al museo.
Come è partito questo progetto? Quando abbiamo aperto eravamo tutti tanto consapevoli di quello che avrebbe significato una realtà del genere ma non avevamo ancora il polso della situazione quindi dovevamo capire quale gradimento, quale interesse e quale affluenza lo spazio avrebbe suscitato. Ad oggi vengono più di 50.000 persone l’anno ed è nato come un progetto che aveva come mission quella della conservazione e divulgazione di quelle che sono le nostre tradizioni musicali, quelle della cosiddetta “Scuola Genovese”, ma anche ad aprirsi a frontiere nuove sulla musica di oggi, ai giovani, a chi fa musica anche in condizioni di difficoltà. Ad esempio alla nostra ultima manifestazione del 28 dicembre 2019, “Genova Musica Superba”, pensata per salutare il vecchio anno in musica ed augurarci qualcosa di buono per quello in arrivo, hanno risposto più di 60 musicisti tra cui molti artisti storici della musica genovese, senza togliere nulla ovviamente ai ragazzi ai quali lasciamo ampio spazio. Ci riserviamo infatti di vagliare delle proposte belle sui nuovi artisti, non solo genovesi, di quelli che sulla canzone d’autore sembra abbiano qualcosa da dire ancora oggi. Abbiamo tenuto ad esempio per 3 anni gli strumenti di Luigi Tenco. L’interesse spazia ovunque verso questi mostri sacri della musica d’autore, di queste “guide”, “vate” in un certo senso, però teniamo presente che rimaniamo in Via del Campo e Via del Campo è Fabrizio.
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La famiglia di Fabrizio come ha preso inizialmente questo progetto? Dori, che è una persona straordinaria, ha detto che da Via del Campo non si prescinde perché è la storia umana ed artistica di suo marito in primis e che ha poi spaziato tutte le frontiere. Cristiano è venuto ultimamente a trovarci e siamo poi andati insieme al Premio Ciampi a Livorno. Per cui devo dire che tutti hanno accolto molto favorevolmente il progetto e veniamo ripagati infatti dal poter lavorare in maniera molto seria.
Oggi una signora siciliana è entrata e mentre faceva una fotografia tra gli oggetti che ricordano Fabrizio si è visibilmente commossa. Sono scene inusuali o capita spesso di assistervi? Sono all’ordine del giorno. La cosa più bella è vedere che la gente entra e si emoziona; io stessa, nonostante 8 anni di lavoro sul campo e di frequentazione Tassio in passato, riesco ancora a farmi venire il magone. Quella che ci è stata lasciata è un’eredità incredibile e quando le persone vengono, spesso vedono un oggetto, magari sono molto riservate ma ti mettono comunque a conoscenza del loro vissuto, delle loro storie e da lì nascono delle cose incredibili. Ognuno di noi ha un vissuto e ha un proprio rapporto con le sue canzoni, anche perché magari legate a certi episodi della propria vita. Ad esempio del concerto del 3 gennaio 1979 e di cui uscirà il film a febbraio, ci sono persone che hanno saputo che da noi c’è l’unico manifesto che esiste di quel concerto e vengono a trovarci e a dirci “Io c’ero” e quindi si raccontano. Grazie a questo abbiamo fatto anche delle mostre con il materiale che ci hanno messo a disposizione le persone.
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Abbiamo fotografato alcuni oggetti, puoi parlacene un po’? La chitarra che avete fotografato è la chitarra dell’ultimo tour, quindi 1997-1998. Fabrizio ha fatto l’ultimo concerto in Liguria l’8 agosto 1998 al parco comunale di Arenzano, dove non ci siamo resi conto di averlo salutato in qualche modo. Regolarmente ospitiamo memorabilia, ad esempio avete visto il tovagliolo, che è uno scritto, un pensiero dedicato a Pepi Morgia, donato dal figlio Emiliano Morgia. Abbiamo i giradischi di Riccardo Mannerini, prossimamente ricorreranno i 40 anni dalla sua scomparsa grande amico di Fabrizio, poeta ipovedente al quale dedicheremo una grande mostra. Abbiamo questo dattiloscritto di Eroina che diventerà poi il Cantico dei Drogati (Cantico dei drogati è stato scritto con la collaborazione di Riccardo Mannerini (1927 - 1980), viaggiatore anarchico, scrittore e amico di De André. La canzone si ispira al poema Eroina di Mannerini. NdR). Ancora abbiamo un deposito S.I.A.E. di una canzone in genovese poi cantata da Piero Parodi composta da Fabrizio De André, Piero Campodonico e Giampiero Reverberi. Avete fotografato anche un bellissimo quadro che poi è una raccolta di firme di tutti i componenti del “tour dell’indiano” che è il tour che Fabrizio ha fatto dopo il rapimento (avvenuto in Sardegna nel 1979 del quale furono vittime Fabrizio e la moglie Dori Ghezzi NdR)
Sara Morgia Photography
Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Stefano Zec Photography
Ancora abbiamo le pagelle di Fabrizio, al Liceo Colombo, nel cuore di Genova. Chi conosce Fabrizio sa delle sue origini e sa che non si perdonava la sua estrazione borghese di cui soffriva molto, ma comunque in Albaro ci viveva; nonostante questo aveva sempre molte occasioni per scendere nella “città vecchia” che ha sempre preferito ad altre zone. Abbiamo delle esposizioni tematiche, come si diceva prima gli strumenti di Luigi Tenco ad esempio, la sua chitarra, il suo sassofono con il quale fece un viaggio rocambolesco in Svezia con Piero Ciampi.
Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Abbiamo tenuto dattiloscritti e manoscritti; lavoriamo su progetti che, di volta in volta, portiamo avanti e non è sempre facile rapportarsi con le realtà che in qualche modo gestiscono queste eredità. La Fondazione Fabrizio De André è un grande organismo molto disciplinato e anche molto disponibile ma comunque gli oggetti che entrano in Via del Campo hanno un grande valore e ci vuole anche una certa cautela. Di tutte queste realtà la Fondazione Fabrizio De André è sicuramente la più presente forse anche perché è quella che meglio ha gestito e tutelato il patrimonio di Fabrizio. Avete poi visto un piccolo altarino con le sigarette. Tempo fa si faceva questa cosa di lasciare una sigaretta con un saluto scritto sopra, una firma, e si è deciso con alcune di esse di creare questa installazione e ancora oggi qualcuno chiede se può lasciare una sigaretta. Che Fabrizio fumasse era una realtà sotto gli occhi di tutti e molti ancora oggi lo omaggiano in questo modo che sicuramente lui avrebbe apprezzato.
Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Fabrizio è molto amato da tutti e non solo dai genovesi, confermi? Assolutamente sì. Noi genovesi siamo gli ultimi in tal senso. Da noi vengono dall’estero per visitare Via del Campo. Oltretutto ormai grazie alla rete tutto è progredito in maniera straordinaria; dal Brasile, all’Argentina, vengono persino dal Giappone. Fabrizio non era una persona che amava spostarsi molto ma se lui non è andato molto fuori tutti vengono qui per lui. Lui era un intellettuale fino, non girava mai con un disco in mano ma con i libri, dall’Antologia di Spoon River, agli autori russi, passando attraverso diecimila autori diversi. Nel 1996, con “Anime Salve” che diventa purtroppo il suo testamento spirituale, abbiamo un momento culturale altissimo. Ci chiediamo tutti che cosa avrebbe ancora potuto dare ma quello che ci ha dato è stato davvero tantissimo.
Adriana Oberto Photography
Giroinfoto Magazine nr. 53
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Sara Morgia Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Monica Gotta Photography
Cosa organizzate grazie al museo? Il museo ha l’ingresso gratuito, facciamo più di 80 eventi l’anno gratuiti, è un brand affermato, abbiamo avuto ospite più volte la Rai. E’ molto bello vedere come i giovani si avvicinano a Fabrizio, anche attraverso la scuola o come interesse personale ne fanno proprio il messaggio anche accanto ad altre forme musicali che loro conoscono ed apprezzano, come il Rap. Abbiamo anche molte uscite, ad esempio poco tempo fa abbiamo portato la chitarra di Fabrizio allo stadio Luigi Ferraris di Marassi. Fabrizio era un grande genoano. Ci relazioniamo con molte realtà territoriali, ad esempio facciamo dei laboratori con le scuole, laboratori sul dialetto genovese, organizziamo visite guidate in zone di Genova importanti per Fabrizio, facciamo anche delle full immersion nei sapori, spesso legati alle canzoni di Fabrizio, pensiamo ad esempio al testo di “A cimma” (la Cima, piatto della tradizione genovese - NdR), non esiste una canzone così bella su un piatto come questa, in qualunque parte del mondo. Importanti nelle nostre visite sono anche le botteghe storiche di Genova.
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Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Progetti futuri? Abbiamo creato un bel gemellaggio con Livorno, c’è il desiderio sicuramente di riportare queste grandi figure come ad esempio i fratelli Reverberi. Andiamo avanti anche raccogliendo le testimonianze di questi grandi giganti della musica italiana che ci sono ancora, anche perché quando si perde la memoria di questi grandi, che ci hanno già raccontato tanto ma ancora non abbastanza, diventiamo tutti più poveri. Abbiamo in ballo anche nuovi progetti che vedrete presto e sui quali stiamo lavorando. Continuiamo sempre il nostro lavoro sul territorio perché per noi è un bene prezioso, sia per chi viene da Genova che per coloro che vengono da fuori, il nostro centro storico ad esempio è pieno di cose da raccontare.
Stefano Zec Photography
Ci alziamo e ci avviciniamo al 29R di Via del Campo, circa 10 minuti prima dell’orario di apertura ed un’immagine ci scalda il cuore: in fila, davanti alla porta del museo ci sono già decine di persone, sotto la pioggia, che aspettano di poter ascoltare la musica di Fabrizio, vedere oggetti che gli furono appartenuti, che lo ricordano e rappresentano e per ascoltare i tantissimi racconti che Laura ha per tutti, piena di ricordi legati a quello che pare essere innanzitutto un suo idolo, e che non serba per sé nel suo cuore, quasi a voler continuare a farlo vivere tramite le sue parole ed il suo vissuto con la tipica generosità del genovese che ad occhi superficiali sembra inesistente. E, mentre si apre la porta del museo per le visite pomeridiane, si odono le voci dei caruggi, vie lunghe e strette tanto care a Fabrizio De André, la voce del fruttivendolo, quella del pescivendolo, quelle voci che possiamo sentire in Creuza de Ma, che rendono così speciale la “città vecchia” che lui ha tanto amato e che in ogni angolo ricorda il suo nome.
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Sara Morgia Photography Sara Morgia Photography
Creuza de Ma mia che bella robb-a le bughe, le anciuve, mìale lì che robb-a
Monica Gotta Photography
Giunge il momento di salutare Laura Monferdini, lasciarla al suo tanto amato museo in modo che possa svolgere il suo lavoro con tanta dedizione e continuare a raccontare queste storie anche ad altri per non dimenticare mai.
Monica Gotta Photography
E lo farà sempre con il cuore in mano, da vera appassionata della musica di questi grandi cantautori che sono un pezzo della storia di Genova. Il suo invito a tornare a trovarla lo divulghiamo a tutti voi. Lasciamo questo luogo intriso di emozioni e ci immergiamo nei nostri caruggi colorati e tanto amati certi che anche voi andrete a conoscere questa realtà unica in Via Del Campo 29 rosso – Genova.
Orario apertura:
giovedì-domenica 10:30-12:30/15:00-19:00 lunedì, martedì e mercoledì chiuso
Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 53
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Scie di luci sotto le stelle
Autore: Paolo Gentili Monte Terminillo - Rieti
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Il deserto dei pinnacoli
Autore: Alessandro Braconi Namburg National Park - Western australia Giroinfoto Magazine nr. 53
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Romantica veduta Autore: Rita Russo Luogo: Il Cupolone - Roma Giroinfoto Magazine nr. 53
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Pomeriggio Saticulano Autore: Ciro Schiavone Luogo: Sant'Agata DĂŠ Goti - BN
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In occasione dei tragici eventi che in questi giorni ci perseguitano e ci terrorizzano, la redazione di Giroinfoto aderisce all'iniziativa "solidarietà digitale" del Governo Italiano. Giroinfoto magazine si propone come soluzione utile alla comunità, sottoposta alle restrizioni previste in ottemperanza delle regole atte a contrastare la diffusione del coronavirus. Mettiamo a disposizione la lettura on-line della rivista gratuitamente, come lo è sempre stato, con un archivio di più di 4 anni per viaggiare, emozionarsi e curiosare nel mondo comodamente da casa.
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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Aprile 2020
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